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giovedì 21 giugno 2012

SPECCHI

Fuggivo per le valli del mio passato
Cavalcando il Super Dink color argento,
                                                        ricordi?
Quando  effluvi di fiori d’acacia, come un velluto
Carezzavano l’aria afosa di giugno,
                                                  vero?
Di costa una chiesina minuta, arrampicata, annegata
Nel verde fresco, che c’era da dissetarsi guardando,
                                                                       lo sai?
Il lago di Morasco aveva come un gorgo più chiaro
D’un verde tenero, sembrava malato anche lui,
                                                                       ricordi?
                        Strappavano ancora, di nuovo, brandelli d’anima
                        Con separazioni devastanti e nuovi lutti da elaborare
Non puoi ricordare, già, perché stavi cercando
Nello specchio di ritrovare l’amore che avevi partorito
                        Flauti morbidi e archi di violini provavano a lenire
                        Le ferite lancinanti, che tardavano a cicatrizzare
Non puoi più ricordare, perché eri dentro ad un’altra storia,
dove c’era un altro lago Morasco, un’altra Ossola, un’altra
arsura da annegare con altro verde, in un’altra dimensione
simile, sì, ma un’altra. Il gioco dello specchio! E’ bastato
inclinarlo un poco ed eccoci decisamente estranei.


13.09.02 (©)Nanni Omodeo Zorini

LIQUIDA

Si scioglie
lo sciabordìo d'acqua
ma coglie questo sopore
alla soglia del sonno
pare non voglia
lasciarti andare
e continua a cullare

fresca ti fascia
fino a
lambirti la coscia
mentre liscia cola
l'acqua che inonda
e dilava
leccando le membra
e lascia
un ondeggiare che cresce
sembra

l'onda e liquida inonda
liscia
         lo stare sospeso
se fascia

riesce a scioglier
la soglia vicina
alla veglia

e ti lasci librare
nel volo liquido
di pesce

17.08.06 Ibiza

mercoledì 20 giugno 2012

DOVE
Dove, dimmi dove sarà
domani o non so quando
il tuo puro profilo di cristallo
dimmi se puoi, se sai, dimmi
il tuo colore di acqua intenso
dove sarà, dimmi

Sul letto freddo della mia tristezza

Sulla graticola rovente del desiderio

Sul mare morbido dei miei sogni

Dimmi gioia, dimmi, se vuoi
dimmi dove, perché possa, se posso
cercarti, frugando nel buio dell'attesa
cercarti, buttando all'aria pezzetti di paura malata
cercarti, con occhi come fari spalancati sull'assenza
cercarti per urlare ancora, sempre, l'angoscia
dell'incubo d'averti smarrita, di essermi
forse smarrito; ma dimmi, se puoi, dove, dimmi
se vuoi, amore, ma dimmi dove
potrò incontrare la tua dolcissima
anima, nuda, amor mio, nuda, molto nuda,
lo sai
 TOMMASINA


Correvamo a cavallo della mia moto
catarrosa di rabbia e delusione
per le risaie ammorbate di molinate e atrazina
nella terra avita d'un'infanzia imbalsamata
le cui foto stanno, incerte e surgelate
in una smorfia di sufficienza e disappunto.

Correvamo sorvolando a volo d'uccello,
altri peregrinari lomellini,di altri remoti giorni
quando la speranza flautava alleluia
di resurrezione. Verso piccoli mondi contadini.
La Tommasina, con la sua galassia di immagini
si mostrava ormai solo una cascina diroccata
e minuscola,per masse di pennuti rabbiosi.
Uova d'oca e d'anatra per frittate proibite.
Saturno  cavallo da tiro coi calzettoni da centravanti,
maiali da scannare, tori da castrare nel fango
di sterco di pollo, da guadare con gli zoccoli;
giacevano in foto bidimensionali e grigie.
Hanno raso al suolo i ricordi.
L'infanzia, una malattia da cui guarire
immunizzandosi con la bottiglia.

Correvamo per accendere un cero
ai ragazzi, nella catacomba dove alitano
ricordi di consunzione disperata;
di sordo oblio; di estremo inalienabile abbandono.
 La vita fluiva un tempo nelle vostre
immagini diafane; nei fantasmi
delle istantanee conservate
con sofferta nostalgia,nei giorni
che permettono ritorni;che culleranno
anche il nostro eterno sopore
nel sudario dell'oblio. Sorrido
alle immagini smaltate coccolando
anche la vostra muta e disperata
eterna desolazione. Aironi d’argento
e d’acciaio brunito, candidi come farina,
gallinelle d’acqua nei risi cercano
rane minuscole da ingoiare.

Correvamo io e te, anima mia
 malata, dove la via Francigena,
 incrocia l'Agogna. Col pianto amaro
in bocca e rigurgiti di dolore rattrappito(©)Nanni Omodeo Zorini







SOGNI


SOGNI

... come ci è pur dato a volte
il dono di costruzioni magiche, fatte
di dolcezze che, da soli, vogliamo regalarci
proiettando sul telone di nuvole immense di panna montata..

...storie che altrimenti riterremmo improbabili, ma che
col tremito del batticuore andiamo disegnando
a colori vividi. Spruzzati di profumi e sensazioni tattili,
brezze sorridenti e flautate , suoni di violini e di arpe,
gesti ed emozioni...
... e possiamo, con pennellate rapide,
aggiustare ogni volta i particolari, ritoccare il filmato,
tagliare sequenze dolorose o disturbanti, sorridendone
compiaciuti...
... e come quel principe polacco sappiamo
pure che il nuovo sogno è dentro a quell'altro, quotidiano,
sì, che crediamo la realtà, ma che è pur sempre un sogno...
... ma quello che ci siamo appena raccontato
lo teniamo più caro, prezioso. E ci piace, così, raccontarci
ogni volta nuovi sogni nel sogno. Scegliendo poi
di nostro gusto a quale di essi dare la consistenza vera
e le gambe per camminare...
... e sfumano, fuori fuoco, in campo lungo,
le burrasche e gli incendi che avevamo creduto bruciarci il cuore ,
perché i nuovi profumi di salmastro e  sottobosco
li respiriamo ormai con tutti i sensi, dilagano nei pori dilatati,
ci invadono l'anima, ci fanno di nuovo, ancora, vivere...
... e sono, queste presenze nuove e palpitanti, la vera
essenza del nostro esistere. Ne siamo fieri; abbiamo
finalmente, una volta per tutte, reinventato il mondo
e fatto rinascere ancora la speranza. Siamo
per sempre semidei, creatori orgogliosi delle creature
luminose che abbiamo partorito.

Tintinnano campanelli di festa, mentre il suono di bordone
di violoncelli e bassi accompagna, trionfante,
sorrisi definitivi..
(©)Nanni Omodeo Zorini

il tempo delle amarene

Il tempo delle amarene,
gusto aspro, proibito, raccolto insieme;
non si può dimenticarlo

Nel terrazzo a pozzo, in mansarda
una pianticella, così,
a rifarci il gusto, al pungente sapore
di trasgressione

Qualche drupa
da centellinare con parsimonia
irrorando il palato goloso
di essenza, inondato di sapore

Perle sature di essenze acuminate
carminio lucente
a lenire l'arsura rotonda e inesausta.

Tempo remoto di porpora
grondante, polpa
ferita che stilla gocce,
galleggiando nell'afrore
dove adagiarsi
e perdersi

martedì 19 giugno 2012

PIANO SCENDE GIU'

Piano scende giù
come un atto dovuto
una mesta malinconica
funzione prevista
rubricata
solitaria

Un telone più stinto
stemperando mite l’azzurro
si dipana languido
senza racconti di parole
colando fermenti lattici
attese maturate

Pullula il vuoto intorno
lampeggiano promesse sfumate
si sbriciolano
frammenti di meteoriti
nella sabbia finissima
di ore che stanno già terminando


Novara - 09/05/2012 18.03


A tavola con Pessoa

A   tavola   con   Pessoa

Ad appuntarsi la vita
su tovaglioli di carta,
tra un antipasto assortito
e gli spaghetti allo scoglio

Tu finalmente sei uscita
dai giorni. Aspetto che tu parta
anche da casa,col benservito
senza saluti scritti su foglio

Lasci le tracce nella mia vita
Su altra carta lasci ferite;
su tovaglioli immacolati
io storie d’altri,tutti inventati

Io che racconto divento un altro
un altro nome,degli altri dati
dentro il narrare sogno la storia
e mi confondo,giù fin in fondo

duca d'abruzzo,conte di malta
invento tutto,faccia di palta,
invento me nel grande sogno
addormentandomi,senza bisogno

scrivere,leggere,fare l'amore
ubriacarsi delle parole
in un onirico gioco verbale;
signor Pessoa,mi passa il sale?

Come fa lei parlo da solo
dico le cose e mi rispondo
narro le vite e mi consolo
scrivo parole di questo mondo

trova ben cotto il gamberone?
acqua e limone per la gran sete,
che certo aiuta la digestione,
affabulati dentro la rete

ricominciando altri parlari,
certo,convenga,si é sempre soli,
soli e perduti in questi mari
nella burrasca e sotto i soli

sulla mia moto scroscia tempesta
lava le storie, in aria sospese,
le mie,le sue, ancora in testa,
grazie, Pessoa, molto cortese

Novara 29.06.09

(prego, serviti pure... )

E' un altro modo di fare giorno 
un altro possibile mattino
che il cuore nemmeno ti sobbalza 
come nel sordo torpore di una 
nevicata. E non sai
se nuovo o straniato
questo risveglio ti porta 
il candido, esaltante
stato nascente
che faccia, infine
ribollire la linfa vecchia 
e gridare di pazza euforia 
le finestre illuminate


2/12/79

(battuta a macchina...)

C'é un riso nuovo
nell'aria
che ci accoglie tutti benigno
Ci sono segni
augurali
di festa
Ci sono
nuove fantastiche, danze nell'orizzonte
dei giorni
Presenze sfumate
di certezze di là da venire ma che urgono
e non sanno
come partorire
la speranza
di linguaggi nuovi
che
nella sofferenza
e nel franco entusiasmo non possono più tardare
Perché deve
perché può
avvenire
al di là delle leggi usate
e delle norme
in una anarchica fantasia di comunicazione totale

Luoghi inusitati
fremeranno di dolcezza
per la risorta
dolciniana
campagna.

07.05.79

(emozioni cristallizzate nel tempo, continuano ad ardere,vero?)

(JAN RACHOTA)
Tante foreste
Tante foreste strappate alla terra massacrate
finite
rotativizzate
tante foreste sacrificate per
fornire la carta
ai miliardi di giornali che ogni
anno attirano l'attenzione dei lettori sui rischi del disboscamento."
Jacques Prévert

           "Spezzarti, per portarti via,
                                                sarebbe troppo doloroso,
                                                o fior di ciliegio:
                                                piuttosto sotto i tuoi petali rosa starò ad ammirarti
                                                fino al tuo appassire."
                                                                                       Bashò Matsuo






 Grigio stava
lì appoggiato sul clivo
assorto in un'ultima
pungente riflessione sulla vasta garza di brina
I corvi lanciavano rauchi
richiami gelati
                   subito annegati
nell'aria viola

Disteso tutto nell'involucro rugoso immobile provò
un inventario per le sue fibre dure.    
                                             Lenta
la luce fredda estendeva il silenzio
                                          oltre il dosso


Neanche una formica di nero
metallo a solleticare la scorza tra rughe e piccole cicatrici
La corteccia screpolava nuda
Lenta
la luce fredda estendeva il silenzio
                                              oltre la collina


Il fall—out regalava pulviscolo radioattivo sui rami rattrappiti impigliati in sfilacci di cellophan. Inutile guardare intorno o
voltare lo sguardo di dentro
ai ricordi bagnati dell'infanzia
Lenta
la luce fredda estendeva il silenzio
                                               oltre il fiume


Aggrappato al tepore
dell’ultimo sogno
consolava l’anima vegetale
di morbide sensazioni profumate

-Ah! la carezza della pioggia ah! le cetonie ronzanti
ah! le rapide piume felpate- Piccole lancette di ghiaccio scandivano pungenti
un tempo vuoto
Lenta
                                                                               la luce fredda estendeva il silenzio
                                           oltre la vallata

E piano giunge il vento non una lama ghiacciata soffiato da gote gentili non ancora una carezza lambisce calmo
Un brivido sorpreso
nelle membra legnose la linfa é pervasa da sussulti inattesi
e stupisce tutto tremando odorando un profumo di terra
-Il vento,com'é buono il vento
che dolce sapore le sue carezze-
e lo sguardo si colma di luce gialla
che si scalda piano

-Il sole,com'é buono il sole
che dolce musica il suo tenero sguardo-
Lento
                                                                                 il tepore brulica di fremiti
oltre il dosso –
-   L'azzurro,com'é pulito l'azzurro
                                         che profumo di lontananze il suo specchio-

E piano una linfa nuova
dolcemente sale nei vasi legnosi
-Come dirlo,come cantarlo
tutto questo che accade-
E subito a interrogarsi
che non sia ancora un sogno
fantasma malinconico della notte
prolungato oltre i confini consueti
E si vergogna ancora della provata allegria, ingiustificata

                                                                       Lento
                                                                                 il tepore brulica di attese
                                                                       oltre la collina
canteranno i campi di girasole
i flauti scandiranno il tempo
al controcanto dei violini
ancora pronuncerò parole di speranza...-


Una linfa nuova
          faceva vibrare  il grigio del tronco

L'ontano stupito ancora tremava 
guardando perplesso lontano

                                                           25.01.87

lunedì 18 giugno 2012

NOSTALGIA


Tu non sai, dolcezza, i giorni passati e perduti...
quelli miei, remoti e lontani, ormai.
Ti ho mai raccontato, i picnic proletari
sulle panchine del lungolago di Stresa?
Con scatolette di sardine e pane raffermo
cartocci di oleata  bisunta di prosciutto e salame affettato,
di immense olive nere carnose e saporose,
di carciofini e funghetti gocciolanti...
Ti parlo di tempi molto remoti, sai?
Talmente remoti che ancora nessuno conosceva
il tuo profilo elegante e slanciato, sui tuoi polpacci
ben torniti dai tacchi alti, né il tuo portamento
delizioso e sublime,flessuoso nella minigonna sobria,
né il tuo sguardo sovrano... Quel tempo
non avrebbe saputo pronunciare la tua immagine,
come la contemplo io ora, qui, in questa dimensione nuova
che masturba i ricordi sepolti, con uno struggimento
sottile e lancinante. Era un'altra dimensione.
La lanugine umile e modesta
di quelle teste rapate di orfanelli
era il pelo rasato e infeltrito sulle zucche
di noi asinelli; altrimenti percosso
da mani legnose che sapevano
di mozziconi usati fino allo spasimo degli ultimi millimetri...

Non riesco, ora, a ricordare altro, se non
un'atmosfera diversa, di evasione dalla gabbia,
di sapori e ghiotti profumi, intrisi
dell'odore bagnato e amaro del lago...
come un odore di morte…

E ora, qui, su questa terra nuova
che volge rassegnata al tramonto
tornano alla luce. Insieme
a tutte le primavere e le estati, al sole asciutto
ai cieli puliti e intensi, agli azzurri tersi,
ai boschi ombrosi e umidi, alle cime da raggiungere
col ghiaccio secco nella faringe,
alle alghe a cespuglio
mentre i polmoni scoppiano in apnee prolungate,
alle bracciate fresche e salate nel mare,
alle vasche da contare a cadenza…

Insieme alle amarene tiepide appena raccolte,
ai mirtilli d’inchiostro, ai porcini paffuti
che giocano a nascondino, al profumo di muschio
e licheni che nascondi tra le cosce di donna flessuosa,
ai  seni turgidi come pesche mature,
ai glutei sodi come albicocche dorate,
alla peluria minuta che io carezzo col labbro...

Restiamo invasi di nostalgia di tutto
dell’allegria e della tristezza,
dei lutti e dei banchetti,
dei balli sfrenati e delle canoe sulle lanche del fiume,
dei funerali e delle nozze,
dei concerti di oboe e delle sonate di legni e fiati...

Dell’infanzia amara e sognante,
dei caleidoscopi di paura e di speranza,
degli incubi cupi e del buio delle catacombe...

Novara, 6-9 settembre 2010