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domenica 7 gennaio 2018

LE PIETON DE L'AIR- 8-9-10

LE PIETON DE L'AIR- N.8
nostalgia del futuro

Ma  aveva, però, quel maledetto vizio di usare la fantasia.
Tutto era già previsto da provvidenziali entità superiori. Una impresa inverosimile. Tutto calcolato al millesimo. Un miracolo l'avrebbero definito un tempo i santoni delle varie fedi.
Eppure…
Quel tarlo, quella farfalla magica della fantasia lo faceva correre avanti. A prefigurare. A proiettare sullo schermo celeste quel futuro. Promesso. Immancabile. Per quanto incredibile.
Cominciò a guardare il tramonto sulla terra nuova. Un sole rosso incandescente sovrastava l'orizzonte. Da un lato. Mentre dall'altro una gigantesca stella nana rossa purpurea invadeva quel cielo verdeazzurro. L'orizzonte era poi soltanto un modo di dire. Lontanissime catene di rilievo. Scheggiate e scoscese da una parte. Si andavano poi degradando verso rilievi più morbidi, arrotondati, quasi fossero immensi nudi umani distesi.
Nella sommità del cielo una luna piccola giallastra si avvicinava ad un'altra più grande, argentata e metallica. La stava aggirando.
Brillanti tremavano sul tappeto di velluto. Si confuse di di nebbie galattiche sembravano nubi e cirri terminato un temporale

LE PIETON DE l’AIR-9. exodus. Exit
Tutto  doveva essere stato preparato bene.
Nelle  abitazioni la parete visiva si era dilungata. Con tutte le abituali variazioni. Messaggi pubblicitari accattivanti. Seduzione della parola e dell'immagine. Musica, musica, musica. A bizzeffe. Suadente. Alla maniera del Canone di Pachebel. Organo a perdifiato quasi quello delle festività natalizie dei tempi passati.
Il recitativo verbale passava dai toni fermi e severi. A quelli suadenti. A quelli girati a mò di burla.
Ma lo strumento mediale, diffusivo, a tratti ridondante, a persuadere, era accompagnato dal media mentale neuronico. Che si insinuava compiacente come un vento di brezza di primavera, negli spiragli mentali.
Regnava un livello generale di stand-by. Chiunque si occupava delle cose abituali senza perdere mai d'occhio di testa di orecchio in mente il fatto dominante. L’ exodus.
Il  tempo era maturo. E si faceva vie più ogni istante più maturo. Tutto era saturo della aspettativa.
L'integralismo barbuto dei tagliateste.
Il ghigno beffardo del ricco magnate dalla zattera gialla.
Gli occhi a mandorla che stavano per premere il pulsante dei desueti missili nucleari.
Lo zar beveva il tè del San Novara nella sua dacia.
Sultani e califfi avevano aperto palestre e stadi lasciando liberi gli schiavi ideologici in mutande.
I celoduristi nostrani.
Le tifoserie nazi avevano abbassato il braccio teso e il sorriso becero.
Gli orchi avevano lasciate libere mogli bambine, spose, conviventi.
Riposte inerti le fiocine sulle baleniere.
Sospesa l'esalazione di veleni fumosi dalle ciminiere.
Ciascuno osservava se stesso nel proprio specchio interiore.
Sentendosi controllato con la coda dell'occhio da ogni parte.

Una sospensiva generale incombeva.

I pesci nei ruscelli e nei mari cominciavano a togliere la maschera antiveleno.
Gli orsi bianchi e le foche mutavano gli ultimi pezzi di plastica.
Preferendo sardine e aringhe.
Spalancati i lager per pollame e suini.
Coste e ravanelli in salsa di soia in bandivano le tavole.
Ovini e capretti vivevano una pasqua serena.
Sciami di api raccoglievano bottini di polline per le loro arnie.
Chierichetti giocavano di nuovo a saltarello lontani dalle sacrestie.
I malati di AIDS toglievano le flebo nel braccio guardando con speranza l'azzurro del cielo.
Gli oncologi dimettevano pallidi pazienti sorridenti dal cranio lucido.

Tutto il pianeta si stiracchiava garantendoci le gambe. Pronto alla propria resurrezione.

E tutto questo stava nell'aria, nell'etere, nel pensiero diffuso, sospeso… Aleggiava come la speranza quando torna.

L'eccellente catalizzatore prescelto, viveva entusiasta il proprio sogno.
I cloni replicanti parevano fanciulle e donne umane. Iniziavano danze e girotondi cantando nenie trascinanti e sensuali.
Lui le guardava goloso. Le ammirava. Le desiderava. Le incontrava con gli sguardi. E talvolta anche non solo.
Umani, di tutti i sessi, respiravano tranquilli.
Nei gerontocomi nascevano nuove storie d'amore.
Nelle aule di ogni grado tutti gli alunni erano i primi della classe. Amici e …
[13:35, 6/1/2018] +39 346 221 1457: LE PIETON DE l’AIR-9. exodus. Exit
Tutto  doveva essere stato preparato bene.
Nelle  abitazioni la parete visiva si era dilungata. Con tutte le abituali variazioni. Messaggi pubblicitari accattivanti. Seduzione della parola e dell'immagine. Musica, musica, musica. A bizzeffe. Suadente. Alla maniera del Canone di Pachebel. Organo a perdifiato quasi quello delle festività natalizie dei tempi passati.
Il recitativo verbale passava dai toni fermi e severi. A quelli suadenti. A quelli girati a mò di burla.
Ma lo strumento mediale, diffusivo, a tratti ridondante, a persuadere, era accompagnato dal media mentale neuronico. Che si insinuava compiacente come un vento di brezza di primavera, negli spiragli mentali.
Regnava un livello generale di stand-by. Chiunque si occupava delle cose abituali senza perdere mai d'occhio di testa di orecchio in mente il fatto dominante. L’ exodus.
Il  tempo era maturo. E si faceva vie più ogni istante più maturo. Tutto era saturo della aspettativa.
L'integralismo barbuto dei tagliateste.
Il ghigno beffardo del ricco magnate dalla zattera gialla.
Gli occhi a mandorla che stavano per premere il pulsante dei desueti missili nucleari.
Lo zar beveva il tè del San Novara nella sua dacia.
Sultani e califfi avevano aperto palestre e stadi lasciando liberi gli schiavi ideologici in mutande.
I celoduristi nostrani.
Le tifoserie nazi avevano abbassato il braccio teso e il sorriso becero.
Gli orchi avevano lasciate libere mogli bambine, spose, conviventi.
Riposte inerti le fiocine sulle baleniere.
Sospesa l'esalazione di veleni fumosi dalle ciminiere.
Ciascuno osservava se stesso nel proprio specchio interiore.
Sentendosi controllato con la coda dell'occhio da ogni parte.

Una sospensiva generale incombeva.

I pesci nei ruscelli e nei mari cominciavano a togliere la maschera antiveleno.
Gli orsi bianchi e le foche vomitavano gli ultimi pezzi di plastica.
Preferendo sardine e aringhe.
Spalancati i lager per pollame e suini.
Gli occhi azzurri dei lupi cercavano merende raggiungibili per la selezione naturale.
Coste e ravanelli in salsa di soia imbandivano le tavole.
Ovini e capretti vivevano una pasqua serena.
Sciami di api raccoglievano bottini di polline per le loro arnie. E ronzavano sorridenti.
Chierichetti giocavano di nuovo a saltarello lontani dalle sacrestie.
I malati di AIDS toglievano le flebo dal braccio guardando con speranza l'azzurro del cielo.
Gli oncologi dimettevano pallidi pazienti sorridenti dal cranio lucido.

Tutto il pianeta si stiracchiava sgranchendosi le gambe. Pronto alla propria resurrezione.

E tutto questo stava nell'aria, nell'etere, nel pensiero diffuso, sospeso… Aleggiava come la speranza quando torna.

L'eccellente catalizzatore prescelto, viveva entusiasta il proprio sogno.
I cloni replicanti parevano ed erano fanciulle e donne umane. Iniziavano danze e girotondi cantando nenie trascinanti e sensuali.
Lui le guardava goloso.
Le ammirava.
Le desiderava.
Le incontrava con gli sguardi. E talvolta anche non solo.
Umani, di tutti i sessi, respiravano tranquilli.
Nei gerontocomi nascevano nuove storie d'amore.
Nelle aule di ogni grado tutti gli alunni erano i primi della classe. Amici e sodali. Golosi di conoscenza, di relazione, di affetto.
Lui sentiva e ammirava dentro di sé tutto questo. E solo a tratti era colto dal dubbio che  fosse solo un bellissimo sogno. Una specie di incubo positivo radioso e piacevole.
Ed era in dubbio anche con se stesso e sulla propria capacità di percepire.
Quante volte già gli era capitato nella sua lunghissima vita di provare stati d'animo del genere!
Di borbottare dentro di sé che forse quel momento piacevole, bellissimo, fantastico, incredibile poteva benissimo anche non essere mai esistito. Apparirgli e basta. Essere una gradevole e sana allucinazione.
Quali e quanti amori lo avevano turbato facendogli sorgere il dubbio.
Quante volte gli era toccato risvegliarsi da sogni, cercando di afferrare nel vuoto le mosche di quella fantasia gradevole. Con le dita che stringevano l'aria.
E qui ora il sogno era ancora più incredibile. Improbabile. Eppure con radici salde, robuste, piantate nella dimensione dello spazio tempo.
Il tempo continuava a far scendere granelli impalpabili nella clessidra dell'esistenza.
Si prese ancora un attimo di tempo. Mandò in circolo una dose di endorfine di speranza benessere e felicità.
E si concesse il piacere di giacere nella penombra con l'ultima clone replicante. Con il suo corpo. Con la sua voce. Con la sua anima di donna.

LE PIETON DE l’AIR-10. terra promessa
Tutto  sembrava ora assestarsi e sistemarsi.
L'immensa moltitudine di viventi, anime, pensieri, infanzie, nostalgie, lutti, separazioni e perdite, stava da sola sistemandosi quasi automaticamente. Finché avrebbe retto quella pulsione galattica che durava l'evento.
Nessuno aveva dimenticato le chiavi di casa, il gatto, la lettura prediletta serale.
Le nuove abitazioni autogeneratesi rendevano inutili serrature e chiavi.
Le galline razzolavano libere e felici.
I maiali grufolavano nel fango già dimentichi delle gabbie feroci di costrizione.
Mandrie di emù si apprestavano ad attraversare le nuove savane sconosciute.
Verso i guadi.
Dove i coccodrilli si sarebbero saziati soltanto degli animali più inutili e invalidi.
Un falco pellegrino roteava studiando le sue prede.
Negli animali la ferocia vera non era mai esistita per davvero.
Sembrava che anche gli umani, per il momento almeno, avessero accantonato il gusto di conquista, latrocinio, devastazione, e morte.
La morte annotava sul suo taccuino i prossimi impegni. Mesta . Rassegnata al suo ruolo.
La ruota cominciava a girare. Calma. Lenta. Senza intoppi.
Nelle coppie umane, non si riusciva più a litigare come una volta. E il tradimento era una soluzione in extremis, un atto dovuto, completamente meritata da partner insulsi e inadeguati.
I bambini giocavano a girotondo. I disabili a turno venivano aiutati o portati in groppa dagli altri. La terra nuova con i suoi colori e odori diversi, stava studiando e programmando il suo ruolo di terra promessa.
Candide redivivo abitava nelle anime dei più. Utòpia prendeva le misure per durare più a lungo possibile.
Negli opifici la retribuzione era identica per tutti, indipendentemente dal genere e dal ruolo. I dirigenti alla mensa si mettevano in coda con gli altri scambiando battute scherzose.
Le classi scolastiche sceglievano il buon tempo per studiare la natura nuova, all’aria aperta, ripassando come una leggenda nefasta la storia terrestre.
I maestri e gli insegnanti tutti si accanivano laboriosamente per studiare le migliori soluzioni di apprendimento, di vita, di relazione, di serenità.
Fanciulle e donne nubili giocavano a dama e cavalieri per cercare il partner ideale.
Il senso di colpa e la vergogna erano banditi, in quanto inutili, sciocchi, dannosi.
Gli anziani abbellivano di fiori di carta i loro ospizi per conferenze in cui raccontare tutta la loro vita.
Il freddo pungente, timoroso e pudico, si scusava per il disagio arrecato.
Il caldo dei soli faceva maturare i frutti e le verdure.
Il sudore veniva tollerato come male minore.
I popoli stavano inventando modalità di autogestione.
Chi veniva eletto diventava il servitore pubblico, senza potere di prevaricare, la rotazione avveniva di frequente perché era troppo fastidioso e faticoso essere rappresentanti del popolo.
I fidanzati di qualsiasi genere o età si attardavano, terminate le occupazioni quotidiane, e spesso si tenevano per mano, baciandosi dietro i cespugli e gli arbusti.
Regalare amore era il dono prediletto e preferito. Dava piacere a chi dava e a chi riceveva. Come  d'altronde in ogni dono che sia davvero tale.
Il consenso e il dissenso sociale sostituivano regole e divieti.
La vergogna e il ludibrio sostituivano carceri e lavori forzati.
Le parole venivano pronunciate leggere e lievi come farfalle.
I pensieri volavano ancora più veloci e raggiungevano destinatari e uditori dovunque.
Nei luoghi di cura prestavano servizio fuori orario suonatore di jazz, di clavicembalo, di viola da gamba… e clown emangiatori di fuoco… fatuo.
Lui si guardava sempre intorno perplesso. Compiaciuto. Titubante.
I pensieri suoi, degli altri viventi umani, e quelli ancora più semplici degli animali inferiori, erano un linguaggio privilegiato.
I vegetali e le piante osavano mormorare silenziosi i loro parlari muti e densi di significati.
La nostalgia lasciava il posto a un ricordo pacato. In equilibrio sulla linea del tempo. Ciascuno ricordava. I ricordi erano libellule leggere. Quelli più brevi e pesanti finivano per sdrucciolare al suolo. Mescolandosi alla sabbia e ai sassi del terreno.
Lui ripensava con tenerezza estrema quel volto, quel corpo, quello sguardo, quella voce, quel profumo di donna… Il cuore piano gli tremava. Nostalgia, o piuttosto saudade, più morbida, vellutata, garbata e gentile.
Solo i cloni qualche volta ancora l'avevano chiamato eccellenza.
Lui conversava. Andava a visitare gli alloggi. Le famiglie. I luoghi di lavoro.
La traduzione simultanea gli aveva permesso di girare tutto il nuovo globo.
Conoscere i nuovi volti. Sentire racconti di vita.
Ed era stato proprio visitando una terra dell'est, dietro le alture dalle forme umane color ocra, che l'aveva scorta tra la folla. Stava raccogliendo delle drupe simili alle amarene. E le poneva in un cesto che teneva sotto il braccio. La riconobbe dal riso squillante.
Il cuore nel petto si mise a battere intensamente, piacevolmente.
Tu Tum tu tum. Sembrava che stesse giocando.
Non più extrasistole o fibrillazione atriale. Un battito caldo. Di vita.
Come già in passato era avvenuto, fu lei a scorgerlo. Gli occhi lampeggiarono luminosi.
Lasciò il cesto a terra, sorrise e salutò la compagnia con la quale stava raccogliendo frutti.
Lui la sentì mormorare: «non so se torno presto però ci vediamo…»
Un mormorio piacevole e ridente assentì e le fece coro.
Il tempo dell'esodo aveva tenuto tutto in sospeso.
Ora, nella terra promessa, avuta in regalo, tutto poteva riprendere a pulsare. A rivivere.
Gli si avvicinò. Guardandolo sempre negli occhi.
E senza pudore alcuno allungò la sua bocca e le sue labbra a baciarlo.
Intensamente. A fondo.
Quel bacio aveva un sapore antico. Remoto e insieme nuovo. Come i racconti alla sera intorno al fuoco e ai falò. Anche l'aria intorno rimase in sur place. I falchi, le colombe, le api, le farfalle e le libellule rimasero sospese a mezz'aria come tanti colibrì.
Quel bacio gli fece riscoprire la dolcezza profonda, sensuale, assoluta che una ragazza o una donna vera ha rispetto a una pur deliziosa mutante femmina.
In quel nuovo eden ritrovò l'entusiasmo della giovinezza che credeva di avere lasciato di là, in quell'altra terra malata.
«Sì, tu sei sempre stato senza età…» Gli diceva ancora lei, incurante che lui avesse ormai maturato 213 anni anagrafici.
Tenendo in bocca il gusto vellutato e fragrante di quel bacio, le cinse la vita, e lentamente mossero i passi per qualsiasi altro luogo.




mercoledì 3 gennaio 2018

L'ISOLA CHE C'È

L'ISOLA



CHE C'È

deposte allora le orrende spade
i pennoni alzavano le antiche vele
al vento favorevole verso quell'isola
smarrita la strada per Itaca
lasciato il fascino di circe e i fiori di loto
spenta l'unica luce al mostro polifemo
a frugare per mari e oceani cercando
di far sempre rotta verso quel luogo incantato
fresco di brezza e di ghiacci immensi
che certo poteva
che certo doveva pur esserci
col cuore e il sangue e i lombi e il fiato
ribollenti del fuoco di lava
rovente e gelato come sa esser la vita

a naufragare contenti
di quella speranza inesausta
che fosse
che era
che è possibile
il viaggio
perché la meta forse c'è
per davvero
dietro gli ultimi marosi
tra le montagne di ghiaccio dei nord infiniti
tra sbuffi allegri d'acqua salata

e il sogno continua a galleggiare
a mezz'aria miraggio regale
e reale concreto
colmando il cuore di aspettativa tremante

e l'isola che non c'era
ora c'è
forse
può darsi
magari
e s'appresta a spalancare i propri fiordi salati
di salmastro e di odore di bosco

mano al timone
le ciglia bianche di salsedine
il viaggio continua

martedì 2 gennaio 2018

ritrovata sul sedile del treno...

ritrovata sul sedile del treno
una bambola di panno candido
chi l'avesse smarrita lo dica
è il treno che va nell' ossola
della mia infanzia
verso le cime bianche
verso il fresco
verso le campagne gelate

chi l'avesse smarrita

se sei tu vieni te la posso ridare
è tua la bambola
sei tu che ti sei smarrita
nel fresco pungente di nebbia
tra i rami bassi dei larici
sei tu che andavi a cercare
la radice di sole di risa e di gioia
lo so ero passato di lì
per gioco e un po' con intenzione
apposta
sapevo che ti avrei incontrata

vieni allora ci troviamo al chiosco
dove vendono lo zucchero filato
e caramelle alla frutta di gelatina
vicino allo skylift  verso le stelle
eccomi amore mio
bambina mia
donna mia
mia attesa
mio ritorno
mia partenza
mio sogno

ma certo e ti racconto la favola
di quel principe di un tempo
che aveva girato per 1000 anni
per cercare il suo sogno
e ritrovarlo proprio lì
dove eri tu ad aspettare
insieme allo zucchero filato
bianco di neve

lui sapeva di incontrarti
ed era lì seduto sulla panchina
di assi di legno
semi assiderato
col cuore soltanto
che mandava faville di luce
e di calore
e con l'immenso fazzoletto
a quadri colorati ti asciugava
il nasino gocciolante di freddo

è stato lungo il tuo viaggio
dal passato lontano
sapevi dove stavi andando
eccoti finalmente
eccoti di liquirizia di legno
da mordicchiare succosa

facciamo il cambio certo
a me le gelatine di frutta
che hai nella voce
a te i legnetti saporiti e dolci
asciugati la goccia di brina
dal nasino gelato

nel bosco di betulle
c'è uno  spiazzo di erba verde appena spuntata

il cocuzzolo del monte cervandone si è calato
un berrettuccio di lana di neve

il lago l'agaro è una pista ghiacciata
per pattinare
con pattini d'argento come farfalle
gli alpeggi profumano di fumo
di  larici nei capelli

nel secchio di zinco
il latte spumoso
appena munto e tiepido
di vapore pieno di schiuma soffice panna montata
l'accarezzi inondandoti le mani che corrono e volano
gocce bianche colano

per questa storia improbabile
ma vera che ora
si sta raccontando da sola
a se stessa
per consolarsi