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sabato 30 giugno 2018

BUONGIORNO A VOI GENERAZIONE ERASMUS

BUONGIORNO A VOI GENERAZIONE ERASMUS




e allora
buongiorno a voi
generazione erasmus
se mi passate il termine
e la catalogazione del linguaggio corrente
che tende a mettere etichette classificatorie

buongiorno a voi
che avete occhio e croce
un terzo dei miei pesanti anni
che parlate disinvolte
l'esperanto britannico
a me così ostico e rozzo
ma efficace come lo era stato
nel tempo remoto il linguaggio latino
dei piccoli fanti con le corte spade
che intruppati come formiche da guerra
muovevano i loro piedi nelle calighe
a dominare il mondo
delenda est cartago e fu rasa al suolo
e cantava con la sua metrica giambica
nei versi di quinto flacco orazio

buongiorno a voi
a dublino a torino
a camberra a parigi
a berlino a cambridge
e nei dovunque
che vivo con la mente fascinosi
e insieme sconosciuti e remoti
che pensate sognate e leggete
in tanti diversi idiomi
e avete occhi più aperti a leggere la diversità
fuori dal borgo paesano in cui rimango
vi vedo
vi ammiro
vi seguo

con rammarico
per questi rottami malconci
di pianeta che vi facciamo ereditare
noi generazioni di pitecantropi
che dalla clava al giavellotto alla daga
siamo giunti ai droni senza occhi
ciclopici di un polifemo tecnologico cieco
compiaciuti della nostra vecchiezza sopravvissuta
mentre insieme guardiamo
dilagare dai paesi da noi devastati
orde di disperati come lo fummo noi pure
ormai più senza valigie di cartone
rassegnati a subire l'inferno salato e azzurro
dopo le torture e gli stupri che hanno battezzato
cresima maledetta
l'esodo epocale verso una speranza
troppo spesso orfana

buongiorno a voi
che ancora riuscite
tappandovi il naso a trovare
qualche speranza nel blu del cielo
che può esser sempre più blu
un buongiorno malinconico e mesto
canuto come i nostri ricordi
e la rabbia che abbiamo cantato
nei 68 di speranza
frustrata e delusa
con invidia tenera affettuosa e dolce
e lo sconcerto con cui proviamo
a guardare il futuro con i vostri occhi
figli del nostro presente
e di tutti i presenti passati
divenuti archeologia e ricordo

buongiorno a voi
a dublino a cambridge a torino
dove stringete i denti dall'unico mondo possibile
che ormai è solo vostro
buongiorno
figlie e figli della terra
della nostra carne sofferta
delle miserie feroci di questo tempo malato
che come tutti i tempi ha partorito
sfasci miserie sciagure
con il sogno la speranza il mantra magico
per voi protagonisti nuovi assoluti
di essere costruttori e fabbricatori
di quel mondo migliore di utopia
che a noi è stato e viene negato

buongiorno ai vostri occhi di speranza

SCAMPATO PERICOLO

SCAMPATO PERICOLO

In genere alzarsi al mattino non era mai stato un problema da moltissimi anni. Di colpo si svegliava, prestissimo tra le cinque e le sei. Cominciava a pensare qualcosa si accorgeva di essere completamente sveglio. E allora si metteva a fare le solite cose di sempre… Prendere le pastiglie, farsi il caffè con il miele, un rapido e leggero spuntino…
A volte nel risvegliarsi gli risuonava in mente qualche frase molto più spesso qualche ritornello di canzone… Gli faceva compagnia in modo molto ripetitivo…
Però le cose ora non andavano affatto così…!
Sveglio, si sentiva sveglio… Ma c'era qualcosa di diverso dal solito… Era come se non avesse neanche dormito… Oppure addirittura come se fosse ancora completamente sprofondato nella dimensione onirica…
Boh! Come d'abitudine cercò di portare al naso la mano per togliere quella mascherina che usava contro le apnee notturne.
Niente.
Nè la mascherina né altro c'era… Come se non l'avesse neanche messa sul volto la sera prima. Ma anzi, c'era di peggio: neanche poteva verificarlo! Si, proprio così… La mano che aveva voluto andare a sentire sul volto quell'oggetto di plastica che ricordava molto le maschere respiratorie dei primi voli degli anni 30 50 del secolo 900, era come se non ci fosse neanche stata… Come se non si fosse neanche mossa…
La cosa cominciava un pochino a puzzargli… Ma cazzo!? Cosa stava succedendo?
Stiamo calmi si disse. Volle verificare il battito cardiaco. La respirazione. Ma si rese conto che in nessun modo era in grado di fare qualcosa del genere… Per cautela si era riservato di non aprire ancora gli occhi… Aveva un presentimento terribile… strano…
Che fosse stato ancora in preda a qualche apnea notturna, con conseguente mancanza di ossigeno al cervello e al cuore, anossia, gli sembrava che si chiamasse…
Ma cazzo cazzo cazzo…!? Se qualcosa del genere era avvenuto , allora…
Ma come si fa a stare calmi…?! Era già bello, buono è positivo che riuscisse almeno a pensare… Ma anche questo era strano: i pensieri venivano fuori lenti distaccati come se galleggiassero sospesi nel vuoto nell'acqua o nell'iperspazio…
Ma no! Proprio quel giorno…!
No… Non è che avesse impegni particolari inderogabili… Si fa per dire… Praticamente la solita routine: il caffè, i farmaci abituali, qualche decina di minuti nella palestrina in mansarda… La sauna doccia… E poi… Un'occhiata ai socialnetwork… Guardare i messaggi arrivati durante la notte… Rispondere… Molto spesso realizzare qualche progetto mentale che si era ricordato già dal giorno prima… Qualche frase o qualche attacco di parole era già pronto per farlo diventare una composizione poetica…
L'ascolto di Rai tre radio prima pagina talvolta gli faceva nascere il raptus e l'impulso di buttar giù un testo per far polemica con qualche notizia o con qualche interpretazione che veniva data lì…
Il racconto… Ne aveva una mezz'idea… Lo spunto, l'idea iniziale, poi scrivendo si sarebbe divertito a inventare cose nuove… Ma la cosa strana e incomprensibile adesso era che il racconto non aveva ancora cominciato a farlo, a buttarlo, giù a stenderlo…
Non aveva neanche iniziato a farsi il caffè…
Ad attivare e accendere la sauna.
A togliersi la mascherina da pilota di aereo anni 30…
E neppure aveva avuto l'impulso di andare in bagno…!
Teneva allontanata da sé quell'idea che gli era balenata all'improvviso… Troppo assurda e impossibile… Continuava a dire a tutte le persone amiche e meno amiche, e addirittura alla sua innamorata, che aveva fatto il patto per sopravvivere a se stesso almeno altri 20 o trent'anni…
Ma ora…
Cazzo cazzo cazzo!
E non sapeva ancora se cominciare a restarci male per aver commesso uno strafalcione e una gaffe così grande….
E poi si accorse di un'altra cosa straordinaria inconcepibile e abbastanza amara… Quando decise di aprire gli occhi si rese conto che senza ancora averli aperti, da sempre lui vedeva tutto quello che c'era intorno… La tapparella era ancora abbassata e la stanza doveva essere in penombra. Non aveva acceso la luce sul comodino…
Eppure…
Poche balle: lui vedeva perfettamente tutto senza aprire gli occhi e che cosa vedeva?
Dall'alto vedeva sotto di sé una sagoma allungata, col capo coricato leggermente sul fianco sopra il cuscino… Sulla bocca e sul naso una specie di boccaglio trasparente… Gli occhi chiusi… E…
CAZZO! Nessun movimento: quel tale lì sotto non respirava!
I capelli bianco-grigi folti erano sparsi sulla federa rossa del cuscino.
Preferì ancora per un po' non pensare a quella cosa che aveva rimosso e cancellato almeno momentaneamente…
Idee o parole generatrici per poesie non ne aveva in mente… Ma…
E qui gli venne da ridere: aveva in mente un'idea per un racconto...
E nel racconto un tale si sarebbe svegliato dopo un ictus o un infarto notturno… Cioè non si sarebbe affatto svegliato…
Si sarebbe accorto che era finita la sua avventura…
Ma la fregatura adesso era che il racconto non lo stava scrivendo…
Il racconto lo stava vivendo in prima persona! E qui avvenne la cosa strana magica incredibile.
Appena si rese conto che stava vivendo il proprio racconto, si mise sghignazzare dentro di sé… Silenziosamente prima… E poi sempre più forte… E dallo sghignazzare fece tremare la mascherina di plastica contro le apnee notturne… Sentii il fiato freddo che gli arrivava allenare alla bocca sentii il ronzio…
Riuscì davvero ad aprire gli occhi…
Madonna…!
Ma allora gli era andata davvero di culo…!
Allora poteva davvero contare nei prossimi 20 o 30 anni?
Si compiacque come faceva spesso di usare termini pesanti, volgari, trasgressivi non perché gli piacesse la volgarità in sé e per sé, ma perché le parole forti pesanti erano come urlate, accentate, scritte in grassetto, evidenziate…
Allungò la mano. Premette il pulsante. La macchinetta sul comodino fece spegnere la lucina e l'aria fresca smise di pompargli sul volto…
Sfilò i cinturini elastici dal capo. Si tolse la mascherina… E allora si decise a fare quello che temeva di non poter mai più fare…
Andò subito in bagno perché un po' di ipertrofia prostatica ce l'aveva…
Accese il pulsante per fare scaldare le resistenze che l'avrebbero reso incandescenti le pietre nell' hammam…
Scaldò la macchinetta del caffè espresso…
E cominciò come tutte le mattine a ingurgitare capsule, pastiglie grandi e piccole…
Ci bevve dietro e sopra un abbondante bicchiere di acqua con le gocce ayurvediche… Da quella brocca immensa che lui chiamava il suo "sciroppone"…
Ma questa mattina i gesti abituali si gestivano da soli, per conto proprio… Lasciandogli il piacevole fresco suono e canto della risata che gli stava sgorgando dentro…
Non mi ero neanche spaventato, si disse, meravigliato, stupito, attonito, perplesso al massimo…
Al massimo poteva essere proprio uno scherzo da prete quello…
E dentro rideva tutto… E subito corse con il pensiero al sorriso dolcissimo di lei… Quel giorno l'avrebbe vista… Le avrebbe raccontato questa vicenda…
E lei avrebbe creduto che si trattava di uno dei soliti suoi pretesti per farla sorridere ridere e divertire…
E solo alla fine avrebbe creduto quello che lui le stava dicendo:
«dopo aver detto tante volte quella frase ricorrente che magari mi sarei deciso prima o poi a prendere il cammino con passo lento verso il cimitero degli elefanti… E sai benissimo che lo dicevo per scaramanzia… Ho avuto per qualche secondo il dubbio, fermo lì che galleggiava in sur-place, che magari…
Quella cosa poteva anche succedere…
Sarebbe anche potuta succedere quella mattina stessa…
E invece…
E mentalmente fece un gesto osceno che gli ricordava quella frase di Luigi Pulci quando un suo personaggio in silenzio fa una blasfema bestemmia con le dita verso il cielo…
"… A MACOMETTO, CON AMENDUE LE MAN LE FICHE GLI FACEA…"
E laicamente, agnostico e addirittura ateo nel profondo dell'anima, sapeva che non stava offendendo nessuna divinità di nessuna confessione religiosa… E ancora un po' emozionato e spaventato rise dentro di sé…
"Questa volta ancora gliel'ho fatta!"

Nanni Omodeo Zorini Qfwfq

giovedì 28 giugno 2018

A ESSERE MALATI



A ESSERE MALATI
(Un altro racconto per te Artemisia!)

Raramente ma a volte era capitato. Un raffreddore. Un'influenza. Una bronchite…
La consolazione era quella di non dover andare a scuola a fare i compiti. A studiare le lezioni noiose. Imparare a memoria le poesie. Studiare e ripetere gli affluenti di destra e di sinistra del Po, e la popolazione delle regioni e degli stati d'Europa.
Sulle prime sembra un po' bello. Però cola il naso. Starnuti e colpi di tosse. E poi la febbre che fa venire i brividi. A volte addirittura fa battere i denti. E fa venire delle strane fantasie e degli strani pensieri. Come un lungo disteso interminabile sogno spesso disturbato e disturbante.
Ci si può magari consolare con l'idea che almeno non si sta in mezzo alla gente antipatica noiosa. Crogiolandosi e coccolando la propria solitudine.
Ma dopo mezza giornata o addirittura dopo uno o due giorni, anche questa non risulta +1 regalo o una cosa bella. Uscire. Vedere gente. Andare a giocare in cortile o in strada.
Queste piacevolezze cominciano a mancare.
Ci si misura la temperatura sotto l'ascella o volte addirittura sotto la lingua. "Ancora 38 5… Anche domani allora resterò a casa… Che bello… Anzi… Uffa! Comincia a diventare una noia questa cosa…"
A ripensarci all'indietro viene un doppio sentimento ambivalente. Di piacevole nostalgia di quando si sta rannicchiati sotto le coperte. Dormicchiando. Pensando. Sognando continuamente.
Ma anche si ha un senso di fastidio. Si spera che non succeda molto presto o comunque di frequente.
D'altra parte, anche quando non ha la febbre, il raffreddore un'influenza, sei di malumore, si ha pensieri che la disturbano, è convinta che sia un rifugio piacevole e riposante e curativo starsene da sola.
Starsene chiusa a riccio. Le pare un ripiego.
Ma risulta tale solo i primi momenti. E poi, si fa strada un pensiero positivo, una speranza, un desiderio…
La voglia di vedere almeno le persone più care. Quelle con le quali si è in totale confidenza. Quelle con le quali non si hanno segreti, si racconta tutto, ci si apre completamente…
Certo, a pensarci bene sembrerebbe che si è limitato il numero di queste persone. Però…
E allora, mentre è nella sua tana chiusa a riccio, in difesa, a leccarsi le ferite, le viene in mente quella persona particolare. Cerca di impedirselo. Ma continua sempre di più a buttarci il pensiero e la mente. A cercarla mentalmente… Malata o solo imbronciata che sia.
Poi di colpo è come se si levasse un vento che spazza le nuvole. Cancella la nebbia e il grigiore col quale vedeva il mondo. Come quando la febbre è calata. Il naso non cola più tanto e gli starnuti sono rari. C'è solo qualche colpo di tosse. E allora il raggio di sole portato dal vento fresco si fa strada piano piano.
E non riesce a negarselo. Neanche a se stessa. Nel proprio intimo. Nel segreto interiore.
"Che bello… Forse possiamo rivederci presto… Ed è proprio vero che quando siamo insieme è una cosa fantastica… Sto benissimo… Vedo sereno e positivo… Aspetto che ci sia il momento giusto… E poi…"
E poi il momento giusto arriva. L'incontro è magico. Come le prime volte che ci si è conosciuti. E il cuore ricomincia a battere forte: tu tum,  tu tum,  tu tum, tu tum…
Ed è come rinascere daccapo… Una continua resurrezione…
E allora la tana nella quale ci si era nascosti non sembra più così allettante riposante e confortante…
Verrebbe voglia quasi che non ci fosse stata.
Magari, si pensa, la prossima volta non mi nascondo nel buio…
E il cielo azzurro è blu ed è sempre più blu.
E allora il sole e tiepido e fa carezze morbide e piacevoli.
E allora si va con passo ancora un po' incerto verso l'incontro, verso la rinascita, verso il sorriso, verso le risate, verso l'allegria…

E IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU…

E IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU…

(… certo, Artemisia, guarda anche tu…) s'

Facile dirlo.
Adesso.
Che quel tempo lontano mi appare come un miraggio. Desiderabile.
Irraggiungibile concretamente.
Ma forse, valgono le parole che lui mi ha detto…
Proprio ieri.
Quando io stavo commentando il racconto che come sempre fa, quotidianamente mi aveva regalato.
"Come sarebbe bello, davvero, tornare a quel tempo… Anche essere malate. Però forse era meglio che ora con questi malanni che sto vivendo… E che non vedo l'ora che finiscano…!" Gli avevo detto gustando la piacevolezza che lui con le sue parole magiche aveva saputo farmi risvegliare nel ricordo come le avesse vissute insieme a me.
Per un po' non ha commentato.
Rifletteva forse.
Poi, come sempre fa in questi casi, nel regalato ancora un fiore di speranza e di entusiasmo.
"Si, certo... E anche la dimensione del tempo che ci aiuta a rinverdire l'infanzia…
«La tua infanzia a Menton. Si, la tua infanzia, già favola di fonti…» Cita Garcia Lorca, a introdurre una sua poesia, questa espressione di Walt Witman…
E quel vecchio discorso del cannocchiale rovesciato. Vediamo tutto quanto nitido, ma molto molto più lontano, dove i cieli sono molto più azzurri e tersi. Dove il sole splende più radioso che nell'oggi. E viene un desiderio struggente per quell’allora che pare un bene remoto e perduto. Mettiamo forse da parte le ombre che pure c'erano. Le lacrimucce di bambini versate. E insieme il desiderio di diventare presto grandi…
La dimensione del tempo… Ora guardiamo all'indietro con nostalgia e saudade. E vorremmo riacciuffare quel qualcosa che ormai ci sfugge.
Allora, sognavamo che finisse presto quella dimensione di incertezza e di instabilità, per diventare adulti…
Certo allora il bello era bello davvero. Soprattutto nella dimensione del sogno e del gioco. Quando tutto il resto scompariva per incanto. E riuscivamo a vedere soltanto quella realtà che la nostra mente, la nostra anima proiettava sul telone del cielo del nostro cinema…
Ma anche da grandi, molto grandi, forse fin troppo come nel caso mio, la dimensione della nostra infanzia ce la portiamo dentro. E continuiamo a essere, nel corpo adulto e nella vita quotidiana ormai purtroppo abbastanza disincantata, anche la bambina il bambino che siamo stati. Nulla è stabile, definitivo, irrevocabile e immutabile.
Hai avuto un fremito di tenerezza nostalgica rivedendoti bambina. E quand'eri bambina volevi affrettarti di corsa per vivere momenti di felicità adulta. Quelli pure che non ci sono mancati. Che abbiamo gustato insieme, io e te… Ciascuno con le varie componenti temporali e cronologiche. Quando siamo davvero tremendamente stupendamente entusiasti felici, facciamo ridere anche il bambino e la bambina che abbiamo dentro e che ci porteremo per sempre con noi…"
All'inizio della conversazione mi sentivo invasa da una profonda malinconia. Insoddisfazione. Disagio. Mi sta sofferenza fisica. E lui, come sempre fa mi ha dato la mano, accompagnandomi con le sue parole magiche nel viaggio verso il sorriso.
Riesco ora meglio a ridimensionare il mio stato di salute. So che presto i malanni che ho vissuto si saranno conclusi, completati e svaniranno.
E sono convinta con lui che le nuove intense prolungate stagioni di allegria e di felicità, dopo le nebbie e il maltempo della malattia, riusciranno a risultare ancora più radiose luminose solari straordinarie.
Tenendomi per mano mi ha regalato una dimensione di prospettiva in campo lungo. E nella prospettiva nuova già intravedo il piacere intenso del benessere, della serenità, dell'affetto profondo… E mi viene voglia di cantare: «IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU…»
E me lo canto dentro. E ripeto le sue parole:
"tranquilla ragazza, io so, tu sai, entrambi sappiamo dove stiamo andando… Dammi ancora la mano come hai fatto sempre, Artemisia… O, se vuoi,  ti chiamo con un altro nome… Ma per ora va bene questo, no? I nomi, d'altra parte sono come vestiti da indossare. Quello che conta è il corpo e la persona che li indossa.
La strada ora appare sempre più libera. Senza intoppi.
Disavventure. Malanni. Tristezze e malinconie. Sofferenze. Non possono durare eterni. Aiutami ad aiutarti…"
Stamane, alzandomi, forse anche aiutata dalla giornata splendida che si preannunciava, ma forse molto anche dal sentirmi l'anima piena delle sue parole, del suo fervore, della sua determinazione ottimista, guardavo già con distacco sempre crescente, i pur brutti momenti attraversati. Come nel racconto che mi aveva scritto sull'essere malati, mi sentivo dentro rigenerata, e stavo diventando tutta nuova ancora. E rinascevo.

lunedì 25 giugno 2018

LA SCATOLA STRAORDINARIA
















LA SCATOLA STRAORDINARIA

All'inizio, a dir la verità, non aveva affatto pensato che potesse diventare qualcosa di speciale. Quando aveva comprato le ultime scarpe di vernice, quelle con il cinturino e due aperture ovali una destra e una sinistra, stava per buttare la scatola. Ma poi sua mamma le aveva detto: "Tienila  da conto. Potrebbe senz'altro rendersi utile. Ci puoi mettere magari i tuoi pennarelli. I pastelli. I giochini piccoli che altrimenti rischi di perderli. I pezzetti di lego. Le carte da gioco. O tutte le sorpresine che hai trovato nelle uova di Pasqua, anellini collanine… Certo che così com'è non è un granché… Prendi magari un po' di quella carta che abbiamo avanzato… Con le forbici e la colla la puoi foderare…"
Uffa! Un altro lavoro da fare!
Poi una volta che non aveva compiti era andata a recuperare il rotolo avanzato di carta. La colla arabica. Le forbici… E ci aveva lavorato tutto un intero pomeriggio…
Poi l'aveva messa sopra al suo scrittoio, sullo scaffale dove teneva il dizionario di italiano e degli altri libretti come Topolino e Tiramolla. Però non riusciva a decidersi a metterci dentro qualcosa. Ogni tanto le capitava di avvicinarsi alla scatola. Sollevava il coperchio e…
Ogni volta le sembrava di vederci dentro qualcosa di strano. Di nuovo. Di fantastico. Di straordinario… Allora decideva di lasciar perdere credendo di aver avuto delle visioni o delle allucinazioni.
Ma alla fine finì per convincersi: senza saperlo e senza volerlo quella scatola comune di cartone rigido che aveva foderato con tanta cura tanto amore, era diventata una "scatola magica".
Lo faceva specialmente la sera prima di andare a dormire. Dopo aver dato la buonanotte a tutti. Infilato il pigiama. Lavati i denti. Chiusa la porta della cameretta. Si avvicinava in punta di piedi al suo scrittoio. Sollevava il coperchio… E…
Poteva vederci qualsiasi cosa. Bastava che fosse sintonizzata e che ci stesse pensando da un po'. Se era concentrata il miracolo avveniva.
Come da lontano usciva una voce sommessa di musica rock.
Del profumo di bosco, di foglie e di funghi.
Il rumore del mare e addirittura l'odore di salmastro…
Una mandria di cavalli al galoppo.
Una famiglia di scoiattoli.
Però non voleva abusarne troppo. Temeva che la sua scatola fatata a un certo punto potesse smettere di avere efficacia. Come se fosse stata predisposta per un certo numero di apparizioni e poi rimanesse esaurita.
Per cui il regalo della scatola se lo riservava soltanto per i momenti in cui era un po' triste. Di malumore. Mesta. Mogia. O quando era stata sgridata per qualcosa. Giustamente o senza motivo non aveva importanza. E allora, era solo in quei casi che si regalava la sua scatola magica…
Una sera, che era particolarmente giù di morale, reduce da una ramanzina lunghissima per questo e quest'altro, non aveva saputo resistere. Con gli occhi bassi. Il volto aggrottato. Aveva deciso che si regalava una visione.
Sul comodino c'era solo una piccola lucetta coperta da un foulard, per fare un po' di penombra fintanto che si sarebbe addormentata. La stanza era quasi buia.
Invece del pigiama indossava una camiciola da notte con i funghetti e le fragole. Ce l'aveva da qualche anno per cui le risultava un po' strette e attillata e le arrivava un po' sopra il ginocchio. Avrebbe voluto prima sciogliere la treccina dei capelli. Ma poi preferì regalarsi il suo sogno.
Con cautela, e molto delicatamente, con l'indice e il pollice di ciascuna mano sollevò il coperchio…
Doveva essere proprio un giorno speciale. Era come se si trattasse di un filmato visto in televisione. Ma era a tre dimensioni. E il suo sguardo ci si perdeva dentro. Era come se lei fosse entrata in quel mondo straordinario che stava vedendo.
Da una parte in alto c'erano delle rocce. Probabilmente una montagna. Si scorgeva soltanto il luccichio scintillante di una cascatella. Che scendeva giù e andava buttarsi in una pozza non troppo grande ma che faceva un laghetto. Intorno adesso dei salici. E poco più in là allineati tutti i diritti come pennarelli o pastelli in piedi, delle betulle… Con la loro corteccia che sembrava fatta di pezzetti di carta di quaderno incollata. Intorno un prato che sembrava tagliata di fresco. Senza accorgersene era entrata dentro la visione. Aveva dimenticato nella cameretta le ciabattine e sentiva piacevolmente i piedi nudi sull'erba tagliata.
Si avvicinò al piccolo laghetto. Infilò i piedi nell'acqua e sentì che non era neanche troppo gelida. Piacevolmente fresca. (Giustappunto, pensò, quella sera si era dimenticata di lavare i piedini).
Da qualche parte doveva esserci un giradischi o mangianastri. Oppure, ma non osava sperarlo, un'orchestrina stava suonando musiche dolcissime e melodiose. Nascosta da qualche parte magari dietro le betulle o nel folto dei salici.
Tenendo i piedi al fresco dell'acqua da seduta che era appoggiò il busto e allargò le braccia sull'erba. Pensò che non era mai stata così bene. La musica, l'arietta fresca e profumata di bosco, tutta la situazione nell'insieme, le stavano facendo venire un certo sopore. Avrebbe voluto quasi addormentarsi così.
Ma sul più bello avvenne un incantesimo.
Mentre teneva gli occhi chiusi, sentì qualcosa che le sfiorava le labbra. Ma niente di brutto o di disturbante. Come se le avessero accostato alla bocca un'albicocca. Una pesca, un fazzoletto di seta…
Non osava aprire gli occhi. Per paura di ritrovarsi, svegliandosi da quella magia, nella propria cameretta. Di dover ricordare la ramanzina di quella sera. E poi finì per capire.
Le sue labbra di ragazza stavano ricevendo un bacio. Morbido. Delicato. Pulito.
Una mano molto discreta le carezzò la guancia.
Capì che senz'altro un principe era venuto a trovarla per consolarla di quella giornata di rimproveri.
Rimase nel suo bacio. Lo corrispose. Nei film aveva visto come fanno i grandi a baciarsi. Nessun altro mai l'aveva baciata sulla bocca. Qualche volta ci aveva sognato e fantasticato quando vedeva qualcuno che le garbava abbastanza. Però, quello era il suo primo bacio. Per quanto magico. Ma forse proprio per questo straordinario e speciale.
Un bacio che durava all'infinito. E non vedeva neppure il volto del principe che la stava baciando. Lo immaginava soltanto. Ed era la somma e la sintesi di tutti i ragazzi principi che aveva desiderato.
Capì in quel momento che stava diventando grande.
Seppe che avrebbe presto incontrato il principe che sarebbe stato l'amore di tutta la sua vita.
E l'avrebbe incontrato in tanti posti. Tante volte. All'infinito.
Senza mai che le venisse a noia. Senza doverci fare l'abitudine o provarci fastidio.
Da quel momento, aveva chiaro, che sarebbe rimasta per sempre bambina e ragazza nell'anima. Avrebbe lasciato che il proprio corpo diventasse quello di un adolescente, di una signorinetta, di una donna… Ma dentro la ragazza era sempre pronta a incontrare per caso, per fortuna, per miracolo, l'uomo della sua vita… Per trovarlo. Perderlo. Desiderarlo. E ritrovarlo di nuovo. All’infinito…
Poi alla fine si decise. Il mattino dopo si sarebbe aperta la porta della cameretta: "svegliati, dai, che è tardi… Se no fai tardi a scuola… C'è già pronto il caffelatte. Anche i biscotti sono nella scatola di latta. Ciao. Io vado…"
Portò il sogno meraviglioso che la scatola magica le aveva regalato sotto le coperte. Si girò sul fianco. Con le mani sotto il mento unite. E il sogno le fece compagnia tutta la notte.
Da grande, prima o poi, l'avrebbe rivissuto intensamente fino in fondo.
E mentre stava cominciando a prendere sonno, pensò che la protagonista di un sogno così doveva avere un nome eccezionale. E allora decise di sceglierne uno apposta invece del proprio. Da usare solo nel sogno. E decise di chiamarsi Artemisia.

domenica 24 giugno 2018

IL MIRTILLO MAGICO


IL MIRTILLO MAGICO

Una  volta, tanto tempo fa, ma anche oggi, c'era un giardino pensile sospeso verso il cielo. L'aveva collocato lì un mago bizzarro.
E si era divertito a farci crescere i frutti più strani. Fragole volanti. Ciliegie amarene dei merli. Albicocche incarnate. Pesche dalle guance sorridenti. Uva spina senza le spine. Lamponi come labbra di ragazza.
Ma un giorno, che era un po' distratto, ci aveva fatto crescere anche dei mirtilli… Si, dei mirtilli apparentemente comuni… Ma solo apparentemente, però!
Quando i frutti erano maturi, li metteva in un cestello e li regalava alla principessa dagli occhi turchini.
Quel mago, si divertiva anche ogni tanto a travestirsi da drago, da dinosauro, da principe, e da cavaliere antico.
La principessa abitava su una collina dove il tempo era sempre fresco d'estate, e d'inverno spirava un venticello tiepido. Però, come nelle fiabe succede alle principesse, era vittima di un sortilegio.
Ogni tanto capitava che una nuvola si abbassava sulla collina e la nascondeva alla vista.
E allora, solo il mago conosceva l'incantesimo per farla tornare visibile e soprattutto per farla ridere tanto…
Niente di speciale. Ai maghi tutto è possibile. E nei mirtilli aveva riposto una virtù rara.
Quando la principessa ragazza a volte era un po' giù di morale, o era malata, o aveva la bua, riceveva dall'amico mago il cestino di frutti…
I frutti erano deposti su foglie di lattuga, di cavolo, e di verbena. Ed erano coperti con un fazzoletto di seta ricamato.
Lui arrivava a cavallo del suo liocorno. Volando penetrava nella nuvola di garza che avvolgeva la collina. E arrivava fin sul balcone della fanciulla.
Con l'elsa della spada, ma in modo molto garbato, delicato, batteva contro i vetri della sua finestra.
"Toc toc"
Lei  usciva dal torpore nel quale era rimasta immersa. Socchiudeva un'anta della finestra dai vetri rilegati in piombo e tutta colorata come l'arcobaleno. E faceva uscire il suo sguardo di cielo.
Bastava quello sguardo per dissipare la garza della nebbia. E allora tornava splendere il sole.
Il mago, principe e cavaliere deponeva la spada cesellata di diamanti. Si toglieva il cappello a larghe tese decorato con piume di struzzo e di pavone. Faceva un inchino abbassando il capo. E da quel momento lei cominciava a ridere come una fontana.
Lui sfilava gli stivali che portava molto alti fino alla coscia. Levava il giustacuore di cuoio ricavato da una pelle di dinosauro sul quale splendevano borchie d'oro e d'argento, con rubini e smeraldi e altre pietre preziose.
Per garbo e per farle una sorpresa serbava nascosto sotto il mantello rosso il cestino di frutti.
Poi, estratto da un tascapane un liuto, una piccola cetra e una viuela, le cantava recitandoli madrigali garbati d'amore.
La ragazza lo ascoltava estasiata con gli occhi luminosi. E in via eccezionale, scordando di essere una principessa di sangue blu, batteva le piccole mani squittendo come uno scoiattolo, e riempiendo la camera del suo riso argentino come acqua di fonte.
Poi, riposti gli strumenti nella bisaccia, da sotto il mantello rosso appoggiato al suolo, lui estraeva il cestino. Un altro incantevole concerto di risate felici. E i mirtilli succosi andavano a porsi, come d'abitudine, delicatamente, nei punti più ambiti. Le labbra di lei li ricevevano anche direttamente da quelle di lui. Ma…
Bisognava sapere che non tutti i mirtilli erano uguali…
Solo uno era quello magico e fatato!
Poteva essere il primo, il settimo, il diciassettesimo…
Ma quando alla fine il mirtillo magico si deponeva tra le labbra della fanciulla, si sentiva un rumore delicato come di cavalli in corsa… Un concerto di clavicembali e fagotti… Una melodia che vinceva ogni incantesimo…
La merenda e l'incontro duravano un tempo limitato. Qualche ora al massimo. Poi il cavaliere mago e menestrello sentiva scalpitare fuori vicino al terrazzo gli zoccoli di cristallo del suo unicorno. E dei nitriti garbati lo richiamavano…
Si ricomponeva di tutto punto. Riinfilava gli immensi stivali, indossava il giustacuore prezioso, faceva un'altra riverenza prostrando il capo e muovendo l'ampio cappello piumato, riceveva di buon grado l'ultimo bacio e si apprestava ad aprire i vetri colorati.
«La tua medicina magica, il mirtillo fatato, la tua presenza e i tuoi canti mi hanno guarita di nuovo… Per un po' di tempo ti lascio andare via. Ma torna, te ne prego, ti scongiuro… Tu sei la mia salvezza… Non posso restare sempre qui a languire… Ti aspetto… Lo sai…»
Offriva di nuovo al suo bacio le sue labbra dal sapore di mirtillo. E lo vedeva scomparire volando nel cielo, fino a quando il suo mantello rosso svolazzante svaniva dietro le montagne di ghiaccio e dietro le selve folte e buie…




GUARDARE IL MONDO DAL BASSO






GUARDARE IL MONDO DAL BASSO

Eh, sì… Anche fare la bambina non è mica tanto facile…! Pensava la piccola guardandosi intorno e meditando bene.
I genitori. Ti dicono sempre cosa devi fare, cosa non devi fare, come devi comportarti, e questa cosa sì, e questa cosa no… Comodi però loro! Soprattutto la mamma e di fatto è la vera comandante della famiglia e che mi vuole guidare a bacchetta. Il papà è buono, ma è praticamente come assente. Non solo quando è fuori di casa per lavoro. È quasi come non averlo.
E allora?
La cameretta deve essere sempre in ordine. Non lasciare mai le calze o la biancheria in giro. Ritirare i giochi negli scatoloni e nei cassetti. Al massimo appena ho rimesso a posto il letto, una bambola posso lasciarla lì, come se dormisse col capo sul cuscino.
E va bene.
E per uscire? Sono incerti orari, quando lo decide lei, e devo ricordarmi di tornare a quell'ora giusta… Devo uscire bella in ordine. Che se no la gente pensa che sono una trovatella. E va bene.
A giocare si va soprattutto nel cortile. Qualche volta possiamo anche uscire sul marciapiede perché tanto di auto e di traffico non se n'è quasi mai. Meno male.
Le amiche e le compagne sono un po' come capita. Qualcuno certe volte mi piace tantissimo, e non vedo l'ora di uscire a giocare perché ce l'ho in mente. Poi magari dopo un po' di tempo va a finire che ne preferisco un'altra.
Ma nel gruppo si gioca abbastanza bene. Nessuno mi guarda con aria di superiorità. Neanche le ragazze più grandi. È bello perché anch'io ho il mio ruolo e nessuno mi tratta come fa sentire come una stupida!
Ma sono i grandi in famiglia che non li sopporto… Anzi, purtroppo mi tocca sopportarli, e sentirmi come loro mi giudicano. Bambina femmina, la più piccola della famiglia, che non è un genio ma che la si sopporta così… Uffa…!
Poi ci sono gli altri grandi. Le vicine e i vicini di casa. Tutti quelli che conosciamo compresi i parenti. Sono fatti tutti a modo loro. Da quelli che ti fanno una coccola e una cara, con un'aria un po' di sopportazione che solo qualche volta di affetto e simpatia. A quelli che non ti vedono neanche. A quelli che magari si sgridano anche loro: non fare così; non fare cosà; mi sembri un maschiaccio…
Io vorrei che tutti mi guardassero con simpatia ed affetto. Ma solo qualcuno lo fa.
Mi piacerebbe tanto potermi scegliere anche tra i grandi quelli che mi piacciono di più.
Con i miei coetanei viaggia tutto bene. Ma qualche grande speciale quello se mi piacerebbe davvero incontrarlo!
Delle mie compagne hanno a scuola delle maestre e dei maestri veramente favolosi e speciali. Poche a dir la verità. Ma mi piace molto un maestro che ha sempre i suoi alunni intorno, che lo chiamano maestrino, che gli dicono le cose carine, e lui si comporta da grande che però capisce i bambini.
Certe volte mi domando se i grandi riescono a capire come siamo fatti noi bambini e bambine. Secondo me pochissimi. A dir la verità anche per me difficile riuscire a pensare come penserebbe un grande. Solo con pochi ci sono riuscita.
E mentre metto a posto la cameretta, provo a raccontarmi delle storie.
E magari che la mia maestra un po' antipatica che ha sempre le sue preferite le sue predilette, magari sta a casa ammalata un po' di tempo. O magari che cambia scuola. Quando sono un po' vecchi maestri li mandano in pensione…
E allora mi racconto che è venuta una nuova maestra. Che magari mi prende un po' di simpatia. Senza fare delle grandi preferenze, ma mi basta che mi tratta bene come tutti gli altri.
Un sogno ancora più bello e che venga un maestro come quello che hanno le mie compagne. Ma quello lo so che non si realizza. Oppure, magari, chissà…?
Ora me lo raccontò così…
"Buongiorno bambine e bambini. La maestra tal dei tali purtroppo non sarà più la vostra insegnante. Per quest'anno ci sarò io. Mi chiamo così e così… Mi piace molto insegnare, e voglio molto bene i bambini e alle bambine. Cerco di capirli. Di mettermi nei loro panni. Di pensare e di immedesimarmi nelle loro testoline. Certo non li lascio fare tutto quello che vogliono… Ci mancherebbe! E non voglio soltanto raccontar loro tutte le cose che io sono già perché le ripetano. Voglio aiutarli tutti a trovare la strada ciascuno per imparare. Posso essere un amico; ma un amico grande; se loro rispettano i patti che stabiliamo insieme…
Tu mi guardi con quegli occhioni azzurri, non sei un po' scomoda li in quel banco in terza fila? Scusami ma mi sembri un po' piccolina… Perché non vieni qui davanti in questo banco qui che libero? Anzi facciamo proprio così. Se non ti dispiace vieni subito. E proprio perché tu non ti senta sperduta e troppo piccina, ti do subito un incarico. Ho deciso: se sei d'accordo e ti fa piacere, sarai la mia aiutante. Ti va ?
Magari sollevandosi sulle punte dei piedi vuoi per favore prendere il cancellino e pulire  la lavagna? Bravissima! Proprio così! E di già che sei vicina alla lavagna, scrivi la prima frase che ti viene in mente… Così… Senza star a pensarci troppo… È quello che faremo tutti quanti insieme… Scrivere le cose che pensiamo anche sui nostri quaderni. E magari quelle più belle le raccogliamo se piacciono a tutti che le stampiamo in un giornalino di tutta la classe…"
E mi immagino di scrivere: «oggi è venuto un nuovo maestro. Sembra molto simpatico. E mi ha fatto venire al primo banco. Finalmente qualcuno che si è accorto di me. Oggi sono proprio contenta. I maestri dovrebbero essere tutti così: gentili, decisi, forti, che però ci parlano e ascoltano quello che diciamo che pensiamo…»
Ora ho finito di mettere a posto la cameretta.
E mi è piaciuto raccontarmi questa storia.
E mi piacerebbe tanto incontrare un grande buono che mi capisca e che mi faccia sentire a mio agio.
Basta sgridate inutili quando non me le merito. Non mi verrebbe neanche voglia di essere monella o di fare la stupida.
Penso proprio che prima o poi incontrerò un grande così. Ma per ora questo sogno a questa fantasia me li metto nel cassetto dei sogni…
Credo che ogni bambina e bambino abbiano bisogno di essere trattati bene, voluti bene, ascoltati… Non è mica colpa nostra se siamo ancora bambini! E io sto già pensando che un po' alla volta diventerò grande. E che prima o poi incontrerò una persona fantastica.
Adesso però devo smettere perché devo andare a comprare il pane. Intanto potrò guardare un po' in giro. Vedere la gente che passa. Guardare le persone. Provare e immaginare come sono dentro. Sono sicura che quasi sempre quando lo faccio non mi sbaglio.
Andiamo ora. Se no la mamma mi sta addosso e mi dice di sbrigarmi.
Ma certo che mi sbrigo. Lasciatemi essere bambina. Lasciatemi diventare grande un po' alla volta. Lasciatemi giocare. E quando mi va lasciatemi stare da sola che mi piace tanto!
Prendo la borsa del pane e metto i soldi nella tasca della gonnella.
E vado.
Mentre esco di casa mi guardo nello specchio alto e lungo che c'è nel soggiorno.
E trovo che con i sogni e i racconti che mi sono fatta prima, mi vedo molto più carina e bella. Prima o poi qualcuno se ne accorgerà. Tanto per cominciare me ne sono accorta io

sabato 23 giugno 2018

ESSERE TUTTI RINOCERONTI ?





ESSERE TUTTI RINOCERONTI ?
e se infine decidessimo anche di dirlo
a voce ben alta
con parole chiare e distinte
che non è stato il becchino che ha chiuso la bara
e ha buttato la prima palata di terra
ma che la cancrena già aveva invaso le membra
e galoppava contaminando di morte
il corpo malato del nostro tempo
ed è stata l'indifferenza
il rancore accumulato a vuoto
per quegli altri là che non siamo noi
del paese vicino
dell'altra scala
della squadra non nostra
del genere diverso
della provenienza
dell'accento e della parlata
della fede
del colore della pelle
di chiunque non è noi
a creare i mostri e i monatti
che guidano i carri di cadaveri sociali
economici e linguistici
applauditi e osannati
per avere inventato l'acqua calda
dell'odio con voce arrogante
insipiente e becera
e in tanti hanno gridato entusiasti
ai ratti di fogna e al loro livore
bene bravi siete tutti noi
era ora alla fine
non se ne poteva proprio più
offrendo lo scettro livido
e la corona d'alloro lorda di sterco
i tiranni scemi e capipopolo
mostrano ghigno e denti famelici
e il contagio si allarga
e la peste cavalca lo spazio e il tempo
e molti che stavano assorti o perplessi
mutano pelle e imparano a barrire
e indossano l'abito e la maschera n voga
perché rinoceronte è bello
perché non vogliono e non osano
sentirsi diversi dagli altri
Nanni Omodeo Zorini Qfwfq
[v.Wikipedia, Il rinoceronte -opera teatrale di Eugène Ionesco. - teatro dell'assurdo. 1959, immaginaria epidemia di "rinocerontite", che ha inizio in un piccolo paese di provincia della Francia, per poi diffondersi in tutto il paese.
Trasparente allusione al significato politico della metamorfosi degli esseri umani in rinoceronti riferimento al cedimento dell'uomo comune (e dell'intellettuale) a tendenze totalitarie (e razziste).Nel finale il protagonista, decide di opporsi e resistere fino alla fine.]

LA PRINCIPESSA MARMOTTA

LA PRINCIPESSA MARMOTTA                                                                                             






Aveva consultato tutti i sapienti della terra. L'avevano studiata, analizzata, con i loro aghi magici avevano sondato dove potevano… Il maleficio veniva da molto lontano. Le streghe cattive del regno delle ombre le aveva fatto l'incantesimo: doveva vedersi brutta stupida sciocca. Fino a quando…
Da tempo ormai piangeva e si lamentava dei suoi dolori. Provava un po' di refrigerio solo nella stanza fresca che si era riservata nel castello. Il caldo dell'estate diventava  altrimentiinsopportabile. Si consolava ogni tanto affacciandosi ai merli del torrione per vedere la vita che scorreva di fuori lontano. Cavalieri bardati di armature sui loro cavalli… Cortei di damigelle nelle loro portantine e lettighe che venivano condotte ai matrimoni. Cortei più mesti che portavano nell'ombra della terra chi non aveva resistito.
Giovani saltimbanchi, suonatori di cetre e di liuti, lottatori a corpo libero… Li vedeva scorrere lontano. Appena riusciva a uscire dal torpore del sonno che la invadeva da quando aveva avuto il maleficio da bambina, abbandonava i sogni piacevoli e confusi, e si metteva ad aspettare… Perché un giorno, tanti anni prima, andando per altri cammini e altre strade, era passato di lì per caso un personaggio strano e meraviglioso. Assumeva moltissimi aspetti. Sapeva tramutarsi in drago, e allora emetteva ruggiti terribili e lingue di fuoco gli uscivano dalla bocca. Ma da quando l'aveva vista e incontrata, aveva imparato a lasciare l'abito terrificante. E di volta in volta era un maturo principe di Norvegia, il poeta e menestrello dei mari del Nord, il ragazzo folle bizzarro che cantava le più belle canzoni poetiche d'amore…
Lei a volte si stupiva pensandoci: perché temeva di credere che si trattasse di un altro sogno. Come capita alle principesse marmotte che entrano ed escono continuamente dal sogno verso la realtà e viceversa. Eppure l'anziano e maturo giovine doveva pur averlo incontrato per averne un ricordo così delizioso in certi momenti… In altri finiva quasi per vederlo come da lontano in una nuvola di vapori e di fumi, come fosse anche lui una fantasia un'illusione una speranza impossibile…
Eppure lei affermava a se stessa, che doveva pur averlo incontrato davvero, perché lo struggimento piacevole e incantevole che aveva provato le durava ancora nella memoria nei nervi e nei sensi facendola sognare e impazzire di piacere.
I cerusici presto avrebbero messo da parte i loro alambicchi, riposti gli aghi magici negli astucci, e se ne sarebbero andati come facevano sempre. Il buffo giardiniere che raccontava  a tutti di essere il suo sposo, divorava a quattro palmenti la zuppa di cipolle nella ciotola con il cucchiaio di legno. Versandosi nel boccale dalla caraffa la birra fermentata. Poi si ritirava per la meditazione in un antro che aveva definito il suo studio.
La fanciulla, mandava al suo amato messaggi d'amore in tutti i modi possibili, con i piccioni viaggiatori o con il pensiero… E quando lui a volte si allontanava dal castello per un po', di lì a poco l'orco, drago, poeta, menestrello, cantastorie, principe del sole e della luna sarebbe venuto per portarle la medicina dell'amore.
L'alcova della sua camera avrebbe risuonato di parole, di canzoni, di risate di piacere ...
La  fanciulla sapeva che il suo salvatore miracoloso veniva insidiato costantemente da damigelle di tutti i livelli e di tutti i ceti… Lei aveva spesso paura di perderlo… Ma poi, quando lo vedeva, quando sentiva il suo corpo e le sue mani sul suo e dentro di lei, tornava a riempirsi di speranza e di ottimismo.
Solo lui le portava refrigerio vero, freschezza del cuore, speranza di salvezza.
I medici parrucconi e i cerusici non erano mai stati capaci davvero di darle una medicina così valida e così efficiente ed efficace come quella che riceveva da lui…
Di lì a qualche giorno il cavaliere drago le avrebbe regalato di nuovo allegria.
Perciò si predispose al suo ricamo abituale, sentiva il pensiero di lui che lei entrava nella mente, lasciò stare gli spalti e i giovani aitanti e baldi che lì vedeva scorrere in lontananza. Erano immagini fasulle ingannevoli vuote.
Si preparò con l'anima al pensiero di lui. E deposto l'archetto del ricamo e gli aghi, portò alla bocca il tiepido pasto di semola…
Sapeva che presto la guarigione totale sarebbe arrivata.
E si sarebbe di nuovo accostata ai pasti gradevoli gustosi. A tavola. E soprattutto poi nel morbido del letto dell'alcova…
Da lontano sentì accordi di viuela e di viola da gamba, certo il duca principe e drago stava facendo suonare musiche amorose per deliziarle l'anima…
Poi, decise di sognarlo… Sapeva che lui dovunque fosse la pensava, la desiderava e la sognava sempre.