scegli argomenti:

martedì 31 luglio 2018

PROMETTI

"PROMETTI!"

       "SÌ, PROMETTO..."

avevo promesso allora
tante promesse a te
mio amore lontano

ma solo ad una tengo fede

ti dico che il viaggio è terminato

ma la meta non è quella

ho perduto il telefonino
ho perduto la dignità
ho perduto la serenità
e alla fine
ho perduto tutto
anche il corpo
e l'anima
e il fiato
amore mio

europa non c'era ad aspettarmi
non c'erano umani

PERDONAMI

non ho più le parole
m'han tolto l'aria

solo una promessa mantengo
di dirti che sono arrivata
in un "non posto"
senza vita
senza voci
e senza
luce

Semira Adamu, Nigeria 20 anni

Nanni Omodeo Zorini.
(FPMI.La memoria del presente. Milano Piazza Duomo tutti i giovedì alle 19. Flash mob)

!"
"SÌ, PROMETTO..."
avevo promesso allora
tante promesse a te
mio amore lontano
ma solo ad una tengo fede
ti dico che il viaggio è terminato
ma la meta non è quella
ho perduto il telefonino
ho perduto la dignità
ho perduto la serenità 

e alla fine
ho perduto tutto
anche il corpo
e l'anima
e il fiato
amore mio
europa non c'era ad aspettarmi
non c'erano umani
PERDONAMI
non ho più le parole
m'han tolto l'aria
solo una promessa mantengo
di dirti che sono arrivata
in un "non posto"
senza vita
senza voci
e senza
luce
Nanni Omodeo Zorini.






(FPMI.La memoria del presente. Milano
Piazza Duomo tutti i giovedì alle

19. Flash mob)


Sono Semira Adamu, avevo 20 anni…
Ero partita ancora ragazza dalla Nigeria con tanti sogni.
Come tante ragazze partivamo con la promessa di un lavoro umile ma dignitoso
Ma è stato difficile, terribile.
 Se  ti ribellavi, col Wudu avrebbero fatto morire tuoi cari. Quando arrivavamo in un posto eravamo già merce.
L'inferno non finiva mai.
Venivamo vendute alle madame. Che avevano un metodo sicuro per contare se quel giorno avevamo lavorato abbastanza.
Da tanti posti ero scappata. Ma sempre le madame  mi facevano inseguire. Poi erano botte. E lividi viola sulla pelle nera.
 Finalmente credevo di essere al sicuro. Ma ero senza documenti.
I poliziotti sono uguali in tutto il mondo.
E perché gridavo e non volevo farmi arrestare e deportare, quelli belgi cercarono di farmi star zitta.
Ma il loro cuscino mi toglieva l'aria.
E alla fine mi ha tolto la vita.
Ho lasciato il mio amore nella mia terra.


È morta per emorragia cerebrale dopo aver cercato di resistere alla deportazione forzata dal Belgio, soffocata dal cuscino della polizia

ÌL VIAGGIATORE



ÌL VIAGGIATORE

Pensandoci bene, era sempre più convinto che fosse stato così… da quando in un tempo remoto, in un'altra galassia, in un'altra dimensione, aveva letto quella frase.
Che forse era un titolo.
Che l'aveva colpito: "STRANIERO IN OGNI LUOGO" .
Aveva  capito che, chi aveva scritto quella frase, stava pensando a lui.
Il suo destino ormai era segnato e ne era contento. Ci si era abituato piacevolmente. Poco socievole. Schivo. Ritirato, parlava e si apriva magari anche con gli sconosciuti , ed evitava i luoghi abituali, della stessa gente e degli stessi discorsi.
E  così aveva cominciato a navigare. Navigare nel tempo. Nello spazio. Nell'acqua. Nella mente. Nella vita… Era  diventato il navigatore solitario. Un uomo senza frontiere, senza terraferma. Una specie di Ulisse. Ma non trovava mai e non sapeva dove fosse la sua Itaca, la sua Penelope.
Cercava . Ogni  volta incontrava una figura che gli faceva venire in mente Penelope, la regina di Itaca e poi si accorgeva di essersi sbagliato… si accorgeva che aveva preso male le distanze e le misure.
Aveva  navigato sui monti. Era stato addirittura professore, di tutto ... Geografia astronomica, economia domestica, latino… Gli avevano chiesto addirittura di insegnare le lingue… Ma lui non le sapeva; tranne qualcuna. La sua.
Aveva  imparato a sciare da solo, senza chiedere consiglio a nessuno e anche quello era stato un modo di viaggiare, di andare. Il tempo del viaggio sugli sci e sulla neve era infinito e anche brevissimo. Piccole soste. Piccole cadute. La sua sagoma si stagliava nella neve fresca e chi passava dopo rideva pensando a quell'uomo strano…
Fatto sta che l'abitudine a viaggiare, a cercare sempre terre sconosciute e nuove era rimasta e gli si era appiccicata al DNA, a posteriori.
E  così viaggiando viaggiando aveva incontrato bambine, ragazze, dame .
L'ultima  aveva gli occhi di cielo. Uno sguardo che teneva celato per evitare di incantare tutto l'universo…
Entrambi  si erano sovvenuti, a quel punto, che certo si erano già incontrati in un altro tempo, in un'altra dimensione. Si avvicinarono  titubanti, fiutandosi da vicino e da lontano e, gradualmente, avevano imparato a parlare un linguaggio comune.
Lui  celiando diceva che parlava olandese, norvegese ma non parlava nessuna lingua… Tranne la sua. E l'uso che lui sapera fare della sua lingua piaceva molto alla sua giovane principessa dagli occhi cerulei.
Le regalava parole, pensieri, immagini e soprattutto le regalava il sorriso, il riso e a volte addirittura l'entusiasmo e l'allegria.
Chi raccontava questa storia, narrava di averla trovata in una bottiglia su una spiaggia . Aveva  pensato a un naufrago di qualche mondo lontano e sconosciuto.
Aveva tradotto da quell'idioma, linguisticamente perfetto e insieme contorto e malato. Folle, delirante e bruciante e l'aveva messo sulla carta.
E mentre lui andava ancora di nuovo per i suoi viaggi, drizzando le vele , e tenendo la barra del timone sempre in direzione giusta, muoveva la randa… e a volte innalzava anche il fiocco e il controfiocco.
I delfini e i cetacei si buttavano fuori a guardarlo. E le balene e i capodogli emettevano i loro spruzzi gioiosi con fischi di gioia e di allegria.
E certo doveva essere stato proprio così, forse alla fine gli ultimi tratti del viaggio Ii aveva percorsi su una zattera.
In  compagnia di un’anfora di terra, che trasudava al sole e al vento. L’acqua diventava sempre più fresca per le sue labbra e per la sua arsura .
Aveva visto da lontano le sagome scure e immense dei gommoni, neri e sgonfi. E i lugubri barconi di legno. Dei disperati, con gli occhi sbarrati e le braccia levate al cielo, imploranti qualche dio o qualche divinità tribale.
Non li aveva mai direttamente avvicinati o incontrati.
Solo più tardi nel tempo ne aveva saputo il racconto. Ma ormai non c'era più modo di fare qualcosa. Decine di migliaia ormai erano scomparsi tra i flutti con i loro sguardi di disperazione e di morte.
Aveva vergato con inchiostro di china le vecchie pergamene. Dopo averle raschiate. E raccontata la storia. E accennava nello scritto  anche, oltre ai fischi e agli zufoli dei cetacei , alle urla disperate, che chiedevano soccorso. Dai gommoni neri, quasi sgonfi prima che affondassero disperatamente.
Chi ha raccolto questa storia leggendo la lettera e scrivendo, ha avuto per un po' il cuore in subbuglio. Però il tempo di oggi non permette questo. E allora il lettore e trascrittore della storia della bottiglia del naufrago, l'aveva fatta diventare un poema in versi. Da leggere e recitare in qualche posto importante. Come la piazza del Duomo di Milano ad esempio. In un giorno speciale simbolico. Girando in cerchio in tanti con le magliette rosse col nome di qualche sventurato. E, scrivendola e ricopiandola, aveva sparse infinite lacrime. Ma questa è un'altra storia, quella del nostro tempo.
La sua meta come la meta di tutti i viaggi, era stata, ed è ancora il viaggiare stesso.
Forse ha ricominciato a viaggiare per mare, per terre, per cieli.
Incontrando sguardi.
Lacrime.
Sofferenze.
E solo qualche volta, eccezionalmente, sorrisi e urla di gioia.

mercoledì 25 luglio 2018

SEMIRA ADAMU

Semira Adamu (donna, 20) Nigeria. Morta per emorragia cerebrale dopo aver tentato di resistere alla deportazione forzata dal Belgio, soffocata dal cuscino della polizia

ma quanto
non sai
l'aria manca

tutto buio più della notte
solo vedo fulmine veloce

cantilene per farmi dormire bambina
ma quanto l'aria manca

le zie al rito per farmi donna
ma molto l'aria manca

giocare a rincorrersi ragazze
ma troppo l'aria manca

e quella volta che mi ero perduta
ma già tutta l'aria manca

mi sto perdendo per sempre
e l'aria manca
manca
manca

soffoca dentro il grido
e vado via

tutta

si
io
allora
proprio
manco

domenica 22 luglio 2018

BERTA PENELES ACOSTA


BERTA PENELES ACOSTA

tu che passi RICORDA
Fui speranza negata
sogno impossibile e bello
fiato e sguardi di terre lontane

cittadino del mondo RICORDA
fui sete inesausta del sale
buio profondo blu
lacrime mai piante abbastanza

speranza orfana RICORDA
liquido blu dell'assenza
gorgogliare spaventato
muto ricordo assente

ingombrante presenza RICORDA
tremante agnello innocente
escluso e cacciato dalla mensa
alla deriva del tempo e della vita

alba di sole negata RICORDA
calendario cancellato per sempre
frammenti di clessidra spezzata
terrore del navigare  vuoto

RICORDO il sorriso della madre
RICORDO profumi perduti
RICORDO indifferenza amara
RICORDO smisurato spavento

per sempre sarò il mio ricordo
la gelida notte della fine
canzoni e odori di un tempo
il miraggio sospeso a mezz'aria

oasi divenuta sogno impossibile
abbracci negati sulla riva
approdo cancellato scomparso
e ninne nanne dimenticate

sabato 21 luglio 2018

TU NE QUESIERIS

TU NE QUESIERIS

Era un luogo comune vecchio come il mondo. Lo si diceva da un'eternità. Una nonna molti anni prima diceva nel suo dialetto della bassa novarese: “A s’po' pù fè la vita… cum a ‘su temp” (= non si può più far la vita e vivere con questo tempo, che cambia sempre).
Ma lei lo diceva per consolarsi. Nessuno parlava mai con lei e così si sfogava parlando del tempo.
E tanto poi non riusciva neanche ad ascoltare le risposte, perché era sorda come una campana.
Eppure c'era qualcosa che cambiava radicalmente. Mutamenti climatici. Sguardo diverso verso la realtà da parte di molte persone. Disperazione non ancora rassegnata verso le brutture che riemergevano dal passato buio. Rabbia mormorata a mezza voce.
E anche il tempo stesso e le stagioni brontolavano tra loro.
«Non per sembrare banale, ma io che sono l'estate cominciò stufarmi un po' di questo caldo, incostante, instabile, alternato a improvvisi freddi che mordono le ossa.
Mi ero abituata per vezzo che un po' alla volta, dopo i primi tepori di fine marzo e di aprile, con maggio cominciavo a riscaldarmi tutta. Poi giugno apriva le porte al sole e all'afa, che a luglio e in parte ad agosto avrebbero dominato sovrane. Alternate da scrosci di temporali… Insomma una cosa normale.
Ma ora, sarà per le previsioni metereologiche che viaggiano nell'etere e negli organi di informazione degli umani, sarà per le aspettative sempre più incerte e incostanti, sarà anche per qualcos'altro… Penso anch'io in modo abbastanza serio che quella nonna con quella sua frase che veniva dalle risaie, dicesse davvero la verità.
In pieno luglio, oggi che è il 21, se mi guardo avanti o delle prospettive molto incerte.
Verrà davvero l'autunno, quello "con le conchiglie e i monti aggruppati" come diceva il poeta umano Federico Garcia, oppure c'è rischio che l'abbiano soppresso e annullato?
E come diceva quell'altro poeta chiamato l'etrusco, quest'autunno lo sentiremo venire nel vento d'agosto e nelle piogge di settembre, torrenziali e piangenti, quando un brivido percorrerà la terra, che allora muta e triste accoglierà un sole smarrito?
Dove andremo mai a finire noi, stagioni della vita e del tempo? Ed è lecito forse, almeno a noi, stagioni, domandarci che destino ci abbiano riservato gli dei dell'Olimpo?
E sento, già mentre ne parlo, uno scoramento sottile. Un tremore dell'anima. Anima stagionale, certo. Ma che sa tremare di fronte all'ignoto. Quali giorni ci riserverà il futuro?
E non basta lamentarsi dicendo che il futuro non è più quello di una volta. Certo, logico naturale.
Vedo, masse di umani fuggire dalle terre distrutte e devastate che furono dei loro avi.
Cercando un avvenire che reiteratamente e brutalmente viene loro negato.
Pronti ad affogare con tutta la loro speranza nell'amaro salato del mare.
E queste emozioni, si contagiano agli altri umani. Quelli più delicati sensibili. Quelli che scrivono versi e poesie. Che scrutano l'orizzonte confrontandolo con il passato. Che provano a riunirsi indossando magliette rosse e tenendosi tutti per mano, mentre intorno l'indifferenza galleggia sovrana.
Solo i poeti dunque riescono davvero a sentire quello che io, millenaria stagione del tempo caldo, oso soltanto abbozzare?
Che tempo verrà dato, come clima anche emotivo, spirituale, mentale, dell'anima, a questo pianeta malato di plastica, alle sue piante, ai suoi animali, ai suoi ghiacciai liquefatti, agli unici umani coscienti della catastrofe che a passi lenti e inesorabili si avvicina?»
E il parlottare che la stagione calda faceva si diffondeva tutto intorno.
In qualche parte del pianeta, forse un anziano poeta canuto, guardava da lontano la bellezza leggiadra della sua musa che l'aveva incantato. E le chiedeva, forse, accorato, se almeno lei sapesse, almeno in quel momento, dove stava rotolando tutta l'esistenza.
Aveva intravisto, gustato, assaporato con passione golosa, la bellezza estrema, radicata eppure fuggevole. Gliene era rimasto il gusto ancora nella bocca. Il profumo fragrante nelle nari non voleva andarsene. Non poteva andarsene. E assolutamente non doveva andarsene… Altrimenti l'avrebbe scritto nei suoi versi gioiosi e amari insieme.
Versi che dedicava alla bellezza femminile sovrana che colmava il suo cuore.
Perché i poeti hanno l'anima molto sensibile. Come chi li legge e li ama.
E voleva ancora invitare, di nuovo, all'infinito, cantori di versi, uniti insieme agli amici in ascolto, brandendo la coppa dorata con cui brindare all'anima, perché tutti insieme, almeno loro, provassero a cambiare il mondo davvero!
Un coro grande. Una danza inarrestabile. Contagiosa e sfrenata. Per dare il la alla continua rinnovata resurrezione della speranza.
E forse allora quel poeta, muoveva i suoi passi antichi, con lo sguardo e il pensiero proteso, per la meta che si era prefisso e aveva scelto.
E vedeva, lontana e limpida come il sogno, come la speranza, come la passione, come l'amore, la bellezza sublime femminea che gli aveva incantato il cuore.
In disparte, carezzando i propri lunghi capelli verdi come rami di salice piangente, la stagione estiva lo guardava con la coda dell'occhio. Intenerita. E provò una dolcezza estrema. È in quell'occhio brillarono frammenti di lacrime di speranza.


mercoledì 18 luglio 2018

RACCONTARE IL FUTURO

RACCONTARE IL FUTURO»

Stava ora passando di nuovo per quella stradina. Era rimasta attratta da un brulichio giù in basso in mezzo all'erba. Forse era una lucertola che stava scappando inseguita da un ramarro o qualcosa del genere.
Aveva tempo.
Si accucciò giù come faceva quand'era bambina.
Seduta sui calcagni.
Le gambette bianche e nude dalle quali era scivolata indietro la gonnellina.
Ricordò che la mamma la sgridava sempre per stare in quella posizione:
"va bene che sei ancora una bambina piccina ma non mi pare conveniente stare così che fai vedere le cosce… Mettiti più composta. Copriti le gambe. Dài…!"
Ricordava che allora aveva cinque o sei anni. Si abbassava a guardare quel mondo i mezzo all'erba. E guardandolo così da vicino le sembrava una foresta ammazzonica.
Con le formiche grosse panciute di colore rosso e nero. I fili d'erba.
I sassolini minuti e la ghiaia. Sotto il braccio la sua bambola di panno lence.
Che le faceva compagnia.
E guardava con lo sguardo assorto. Ed era stato allora che si era domandata: «ma come fanno i grandi a dire sempre che loro ricordano che un tempo avevano fatto questo e avevano fatto quest'altro… A me non capita mai… Forse perché sono ancora così piccola e non ho tanti ricordi indietro? Mi rompe un po' le scatole che tutti dicano che ricordano il passato. Io voglio rovesciare la situazione.
IO VOGLIO RICORDARE IL FUTURO…! Ahahahahahah…»
E anche adesso che aveva 13 anni, le gambette bianche le si modellavano e presto sarebbero diventate quelle di una ragazzetta quasi adolescente, si era messa in quella stessa posizione. Stava sì ricordando il passato di quand'era più piccola.
Ma di nuovo era convinta che lei voleva RICORDARE IL FUTURO!
Non capiva bene cosa stessero facendo quegli animaletti in mezzo all'erba foresta amazzonica.
Ma guardava così… gratis.
Poi si rialzò da quella posizione.
Si rimise a posto la gonna.
E sorridendo dentro continuò quel gioco mentale che stava facendo DI RICORDARE IL FUTURO.
Alcuni particolari non riusciva a ricordarli bene. Era stata abbastanza minuta di statura sempre. Pensò che magari poteva diventare anche un pochino più alta. Pensò che sarebbe diventata una donna. Non riusciva a cogliere sfumature delle novità: avrebbe avuto un compagno? Un fidanzato? Delle amiche? Una famiglia e dei figli?
Passò su questi particolari a volo rapido mentale. Cambiandoli di volta in volta. E dicendosi: oppure sarà così; oppure anche sarà diverso; oppure questo oppure quest'altro…
Delle sue coetanee delle medie avevano già dei ragazzotti più grandi che le aspettavano scuola. Che le prendevano a braccetto mentre tornavano a casa insieme. Che stavano insieme avvinghiati...Ma lei non voleva qualcosa del genere. Nel racconto del suo futuro immaginava, come aveva letto nei romanzi e nei racconti della sua età, che avrebbe incontrato l'uomo giusto, l'uomo ideale, il migliore di tutti… Bello. Alto. Forte. Giovane. E anche maturo. Grande soprattutto. E dolce. Rassicurante. Protettivo. E insieme anche da proteggere…
Sorrise al pensiero dentro di sé. "Protettivo e da proteggere…!"
Come aveva visto in certi film, avrebbe anche potuto restare un po' bassetta di statura. Magari si sarebbe aggrappata al suo braccio andando in giro insieme. Oppure si sarebbero potuti tenere per mano. Oppure avrebbero camminato nei boschi.
Nelle città.
Nelle strade.
Nelle vicende della vita… Sorrise di nuovo pensando a questi discorsi così seri.
E giocando a fare la donnina grande.
A volte metteva insieme dei particolari nuovi.
Non riusciva a vedere esattamente il volto che avrebbe avuto quel suo compagno di vita.
Non sapeva ancora se marito. Fidanzato.
Amante innamorato.
Le sarebbe piaciuto, e nel racconto lo puntualizzava continuamente, che lui si sentisse totalmente libero, di amare lei liberamente e di essere da lei amato liberamente.
Di essere tutto per lei e di avere lei tutta per sé.
In certi momenti lo immaginava con i capelli scuri castani ricci. Vestito di bianco da capo a piedi. Con gli occhi scuri e luminosi insieme.
E l'avrebbe guardato dal basso all'alto adorante e adorata.
Magari avrebbe usato probabilmente le parole che usano tutti in questi casi.
"Ti amo.
Amoremio.
Sei l'uomo della mia vita. Sono la tua donna…
Ma sono anche e resterò per sempre la tua bambina. La tua Nini. La tua ragazza…"
Sorrise turbata e un po' vergognosa ma anche compiaciuta di essersi definita la sua donna. E di averlo chiamato amoremio. Quando a casa si guardava allo specchio, notava il suo caschetto di capelli biondi i suoi occhi bellissimi. Il suo corpo minuto. E non sapeva se desiderare intensamente di avere un'evoluzione anche fisica nel corpo diventando donna. Con i seni. Con gli studi alle superiori da grande. Con il permesso di uscire con quell'uomo lì che ogni volta assumeva sfumature e particolari nell'aspetto.
Ma che senz'altro doveva avere la barba cortissima.
E una voce calda. Accogliente.
Morbida.
Forte e insieme dolcissima e tenera…
Lui l'avrebbe portata a  far dei giri in moto?
In auto?
Magari con una macchina scoperta?
Sarebbero stati insieme seduti sulle panchine nei viali e nei parchi tenendosi per mano?
Dandosi baci?
Si sarebbero intrattenuti nella penombra nell'intimità dei loro corpi e delle loro anime e del tepore dei loro fiati? Queste cose non le sapeva ancora bene vedere.
Non riusciva ricordarle bene. Non c'erano ancora mai state…
La stradina era terminata. Andò a prendere il sacchetto di pane come le avevano detto. E si apprestò a ritornare a casa. E mentre tornava a casa era la ragazzetta tredicenne dalle gambe bianche e dagli occhi azzurro intenso.
Ma era anche la bambina che si era accucciata seduta sui talloni delle sue scarpette di tela verde.
Con le gambe un pochino scosciate. Tanto la mamma non era lì a vedere… E un barlume le fece capire che oltre che la ragazza la bambina era anche la donna che sarebbe diventata. Le venne un fremito. Come un tremore. Sentì che ogni persona non è solo quella se stessa di quel momento lì. Ma che è  la persona che è stata. Quella che sarà. Quella che vuole essere e che riuscirà ad essere.

Era tornata dal lavoro un po' stanca. Per passare a prendere il pane aveva traversato la stradetta con ciuffi d'erba. In un angolo giù in basso aveva visto qualche cosa muoversi. E le era tornata in mente la se stessa dalle gambe tornite bianche. Che era anche la bambina con la bambola sotto il braccio…
Il tempo prolungava quel pensiero diffuso. La disorientava e insieme le piaceva sentire che non si è mai soltanto qualcosa di fisso di fermo ed immutabile. Ma si è in un continuo divenire.
A casa aveva ancora un po' da stirare. Quel giorno aveva incontrato il suo lui. Il  lui quello vero. Non quello ufficiale. E mentre erano insieme nell'intimità si era sentita la ragazza è la bambina che era stata. E con voce umida e sottovoce glielo aveva raccontato e ne avevano riso compiacendosi insieme. Lui le aveva raccontato delle cose analoghe di se stesso. Con la sua voce baritonale.

Il microfono era sempre attivo. La cuffia dalle orecchie ogni tanto gli scivolava giù. Come faceva sempre anche quel racconto l'aveva scritto tutto d'un fiato. Dopo averlo meditato tutto il giorno. Con tutte le varianti.
Come quando si faceva scorrere nelle mani dei frammenti di pellicola del film. E vedeva le varie sequenze successive. La bambina accucciata. Il suo sorriso curioso e morbido.
La ragazza l'adolescente la giovane donna… Le aveva viste tutte insieme. Nello sviluppo successivo. E fuse in un unico istante, in un'unica entità in un'unica persona. Come quel giochino che si faceva una volta con il blocchetto delle parti di carta staccate in alto al block-notes. Che rimangono ancora cucite insieme con il punto metallico. E sui frammenti di carta si disegnavano sequenze successive. E poi facendole scorrere con il pollice simulavano un movimento e un'evoluzione.
Anche lui aveva usato quel termine: "CIMENA", deformazione del termine usato per i film. Con il gusto autocompiaciuto del vezzo infantile di trasformare la parola.
La pellicola e il blocchetto di animazione di carta. E la ragazza che diventava donna e che tornava ad un piccolo tocco delle dita adolescente ragazza bambina avanti indietro continuamente.
Si era divertito quel giorno anche solo a stare ad ascoltarla. Con la sua voce che aveva risonanze di donna, di ragazza, di bambina… Aveva passato delle ore incantevoli. Lei ora era nel suo altrove. Libera. Di fare delle altre cose. E a tratti a pensarlo. Come faceva lui. Proprio in quel momento. Mentre dettava le ultime battute di quel racconto.
Al quale aveva deciso di apporre quel titolo intenzionalmente trasgressivo:
«RACCONTARE IL FUTURO»
Rilesse  il racconto. Fece il copia-incolla inserendolo nel software che glielo avrebbe riletto tutto con voce sintetica.
La  pagina di whatsapp lo accolse.
E sentiva e leggeva già le parole di lei che gli sarebbero arrivate quella sera:
«Meraviglioso   il tuo racconto. Meraviglioso il nostro racconto. Grazie amore. Ti volevo raccontare che oggi…»
Nanni Omodeo Zorini Qfwfq

martedì 17 luglio 2018

LA MAGICA RESURREZIONE



Uffa! Di nuovo ancora! Come tutte le sere!
Capitava sempre quel fenomeno strano che la disturbava, la intristiva, le faceva mutare umore…
Ad un certo punto il colore azzurro intenso del cielo diventava grigio. Il sole, quando non era nascosto dietro le nuvole, perdeva il suo splendore d'oro. Le foglie degli alberi perdevano il colore vivo e cominciavano ad ingrigirsi. Perdevano quella tonalità smaltata e brillante. Per non parlare poi dei fiori! I gigli bianchi maculati sembravano fatti di carta. Le ortensie seguivano la stessa sorte del cielo, da azzurre con tendenza al violetto, anche loro appassivano di tonalità… Si guardava le mani, il tavolo, i tendaggi… Tutto perdeva vivacità di colori…
Uffa! Uffa e ancora uffa! Diceva tra sé la ragazza.
Eppure si ricordava che un rimedio l'aveva imparato. Anche se ora non se lo ricordava più.
Era stato molto tempo prima. Alcuni anni. Quattro forse. Quando aveva incontrato quel personaggio fantastico buffo e assurdo. L'aveva sempre chiamato il principe fuori dal tempo. Era alto, slanciato, ma come spesso le persone molto alte aveva movimenti dinoccolati e a volte stava un po' curvo.
A dir la verità era insieme giovanissimo e anche molto antico. Per questo per lei era fuori dal tempo.
In alcuni momenti rideva come un bambino… Cantava come un ragazzo… Faceva cose buffe come un adolescente… Discorsi saggi e pieni di sapienza, e le sapeva alternare combattute molto buffe e umoristiche. Per lei era come se lui sapesse tutto. Ogni volta che toccavano un argomento nuovo, lui ne parlava a lungo, distesamente, in modo argomentato. Lei rimaneva stupita. Dicendo che lei non sapeva tante cose così. E lui per consolarla le diceva che quelle cose forse magari non le sapeva neanche, se l'era inventate per farla contenta, per stupirla, per affascinarla… Ma lei sapeva apprezzare la sua sapienza. Non l'aveva quasi mai visto adombrato o arrabbiato. Tranne qualche rarissima volta. Lei si era subito giustificata riconoscendo che davvero era stato un po' scioccherella, lunatica, birichina, e aveva commesso qualche marachella. Ogni volta lui aveva mostrato fermezza, determinazione, severità… Ma ogni volta l'aveva perdonata… Dicendole che vedeva in lei la bambina che aveva dentro sempre, anche ora che era diventata grandicella… Le carezzava le gote e i capelli. Restava ad ammirare la luce intensa fosforescente del suo sguardo. E le diceva parole dolcissime e tenere. E le prodigava coccole che la facevano tremare tutta.
Era stato lui, certo, quattro anni prima o giù di lì… Aveva messo una mano nella saccoccia. E da quella aveva tirato fuori il pugno chiuso… E appena aveva aperto le dita un minuscolo uccellino si era messo a volare col volo fermo… Era proprio un colibrì!
Un colibrì magico, naturalmente. Il colibrì era rimasto sospeso nell'aria facendo un leggerissimo pigolio. Dal quale lei aveva imparato a decifrare delle parole morbide, flautate, con un linguaggio straordinario…
Le sembrava di ricordare che le avesse suggerito di guardare ai piedi del roseto. Li avrebbe trovato una scatolina di latta color argento e oro. Aprendola avrebbe visto e scoperto un anellino. Come gli anellini giocattoli che si trovano avvolti nella carta oleata dentro alle sorprese dell'uovo di Pasqua.
Doveva metterlo al dito. Girarlo sopra e sotto diverse volte. E pronunciare la formula magica…
Ma uffa, uffa, e stra-uffa!!!
Non ricordava più due cose. Dove avesse riposto quell'anellino magico che serviva per la resurrezione dello spirito e dell'allegria. E quale fosse la formula magica!
La ragazza ripose il fuso con il quale aveva filato la lana. Il pesante ferro da stiro a brace ormai raffreddato con il quale stirava tutto il giorno ogni cosa che trovasse in giro.
E si era avvicinata al camino. Aveva soffiato sul fuoco risvegliando le braci sotto la cenere. Ponendovi delle ramaglie secche. Fino a quando le fiamme avevano ripreso a crepitare. Dal gancio nero di fumo e di fuliggine pendeva la pentola per fare la minestra.
Riempitala degli ingredienti giusti, si era messa a mescolare con un mestolo di legno.
Stirare, rassettare, cucinare le minestre… Un tempo a fare solo quello borbottava continuamente tra sé e sé il suo abituale: uffa, uffa… Uffa!
Ma da quando era venuto il magico principe al di là del tempo, con il suo colibrì sospeso a mezz'aria che sussurrava a mezza voce come uno strumento musicale, limitava quel borbottio soltanto ai momenti meno gradevoli… Ora ad esempio da tempo lo faceva quando verso sera i colori scomparivano. E con essi l'allegria. L'entusiasmo. La speranza. Stava rimestando nella pentola di rame la buona minestra profumata, quando le venne un lampo nella mente!
Ma si! Ma certo! Di sicuro…!
Si allontanò dal camino. Si avvicinò al canterano. E proprio in basso, in quel cassettino che non apriva mai… Evviva… Evvivissima… Superevviva…! La scatolina di latta un po' arrugginita colore argento e oro era lì. Sollevò il coperchio. E anche l'anellino pasquale era al suo posto. Sembrava aspettarla.
Tremante e titubante se lo infilò subito al dito. Lo fece girare come ricordava diverse volte sopra e sotto… E incantesimo degli incantesimi… Sentii come un piccolo zufolo il cinguettio garbato che le stava volando sopra il capo.
«Prova a ricordare, Nini, non è difficile, certo ci riesci… La filastrocca formula magica per fare l'incantesimo… Ne sono sicuro…» Zufolava morbido l'uccellino con il suo fruscio d'ali rapido come quello di un calabrone…
Si fregò le mani sul grembiule per nettarle. Poi si mise le mani sul volto. Ve lo tenne qualche istante pensieroso. Poi le mani salirono sul capo. Sui capelli biondi con la treccia a crocchia intorno alla sua nuca.
«Ma si… Evviva… EVVIVISSIMA… Super evvivissima…»
Nel capo, nella mente e nel pensiero, frullando allo stesso ritmo del minuscolo volatile, la filastrocca un po' alla volta veniva fuori… Una parola dopo l'altra…

«ACCIDERBOLINA SI, LA MAGIA LA FACCIO QUI…
PERDIRINDINDINA DINDA, FACCIO QUI LA MERAVIGLIA
MERAVIGLIA FANTASIOSA DI MAGIA CH’È STREPITOSA
I COLORI L'ALLEGRIA LA SPERANZA È TUTTA MIA…»

Appena l'ebbe pronunciata a mezza voce, la ripeté ancora e ancora e ancora e ancora… E intanto faceva ruotare l'anellino fatato sul suo ditino…
Lentamente ma anche in un batter d'occhio tutti gli oggetti ripresero il loro colore. La sera vestì il cielo di velluto oltremare. La luna si fermò a guardare in giù con il suo sguardo luminoso. La fiamma del camino danzava sotto la pentola di rame con il suo colore porpora, arancio e giallo sole…
E fu in quel momento che si spalancò la porta massiccia di legno antico. E si affacciò il volto che temeva di avere quasi dimenticato. La barba corta. I capelli argentati. Lo sguardo di ragazzo antico. E cominciò a tremare anche la sua voce mentre parlava…
«Mi stavi dimenticando piccina. Insieme ai colori e all'allegria e alla speranza… Dicevi parole nella tua mente e dimenticavi quelle giuste. Quelle con le quali potevi parlare solo a me. Insieme alla formula magica avevi dimenticato l'anellino fatato… E stavi dimenticando le parole che dovevi dire a me. Proprio  a me. Solo a me…
Giocavi un po' a fare la bambina pasticciona. Volevi essere sgridata. Aiutata. Rincuorata.
Ricorda che il colibrì e l'anellino fatato sono un dono mio che ti ho fatto.
Sono il dono della felicità e dell'allegria. Che ti spettano di diritto. Ti ho insegnato le parole e il linguaggio. Le parole magiche e le parole comuni e quotidiane. Insieme io e te siamo la parola, il verbo, il messaggio…»
Poi le si avvicinò, le prese prima una mano al poi l'altra. Le portò alle labbra. E le baciò a lungo con il suo fiato caldo.
Il tempo intanto si era distratto e aveva smesso di scorrere via. E si era arrestato per un momento magico, prolungato, infinito…
E ricominciò la vita, il colore, le canzoni, insomma ricominciò la resurrezione!

lunedì 9 luglio 2018

LA STREGA NASONA

LA STREGA NASONA



«Raccontano le antiche leggende…»
-Ma scusa a chi lo raccontano…? E come fanno le antiche leggende raccontare?-
«Insomma, vuoi che te la continuo, questa storia, o non ti interessa e preferisci che giochiamo a qualcos'altro…?»
-Ma dai, ho scherzato, babbo, continua… Che cosa raccontano le antiche leggende?-
«… Raccontano che c'era in un posto che non può essere nominato qui, una strega che veniva chiamata da tutti "STREGA NASONA".
Tutti l'avevano sempre presente giro per un motivo o per un altro da quand'era ancora bambina. Anche a scuola la maestra come la sua mamma, senza dire esplicitamente che la riteneva una sciocca, una sprovveduta, usava delle espressioni contorte: "si, anche lei, non si può negare, qualcosina sa fare anche lei… Anche se... però…"
Fatto sta che lei aveva finito addirittura per convincersi di essere una persona insignificante, una scioccherella , e se ne stava sempre per conto suo con il cappello a cono che usavano un tempo le streghe… A preparare degli intrugli che mescolava nel suo calderone con un grosso mestolo di legno… Naturalmente gli intrugli non piacevano né a lei né a nessun altro… Ma essendo una strega… Le toccava pur farli, no?
Fatto sta, comunque che un giorno che stava mescolando tutta annoiata nel suo calderone, sentì bussare alla porta. Toc toc… Toc toc e ritoc…
Nessuno l'aveva mai cercata specie negli ultimi tempi. Si affacciò alla porta. E chi vide? Un uomo tutto malandato, con un cappellaccio malconcio in testa, vestito malissimo e con le scarpe tutte scalcagnate che gli si aprivano sul davanti. Lei capì che si trattava di un caminante. Quelli che una volta andavano in giro a piedi per paesi e campagne e cascine a cercare qualcuno che desse loro qualcosa per sopravvivere. La gente voleva bene caminante perché erano bravi ad ascoltare. E soprattutto erano bravi poi a raccontare quello che avevano ascoltato in altri posti. Erano un po' come dei telegiornali ma molto meglio perché raccontavano cose vere.
Lei lo fece entrare e lui si mise a raccontare questo a raccontare quest'altro… Poi a un certo punto dopo averla guardata in faccia con i suoi occhi strani e scuri, le propose di fare una magia… "Dicono che tu vieni chiamata e credi di essere davvero la STREGA NASONA. Ora se permetti metto una mano sulla tua fronte, la basso sul tuo naso e… Voilà…!" Aveva afferrato una cosa che ricordava una buccia di patata rinsecchita e di cartone che stava sul naso della strega. E con delicatezza l'aveva preso e tolto di la… Lei mise subito le mani sul suo naso e si accorse che era un altro normalissimo. Non aveva in casa uno specchio perché in quei tempi non si usavano e dicevano che portavano sfortuna e che si commetteva peccato che si andava all'inferno… Però lì fuori c'era la fontana. Si tolse il cappellaccio a cono e a punta e si guardò nell'acqua che rispecchiava il suo volto…
"Caspiterina… Ciur bis… Perbacco baccone…. "  Esclamò senza fiato  " non sono mica poi così brutta senza quel finto naso a patata…"
Intanto il caminante per mostrare come stava sorridendo contento 1002 dita sotto la gola e in un colpo si tolse la maschera da caminante con barba cappello e  vestitaci brutti compresi… E anche lui si fece la magia e la caminante si trasformò in un rozzo ma pur simpatico e sorridente hom- salbadg…
"Caspiterina… Ciur bis… Perbacco baccone….
Ma allora non sei un caminante povero e malandato sei il famoso hom- salbadg di cui tutti parlano e che viene giù dalle valli dell'Ossola…
Lui si mise allora a raccontare delle storie magiche delle valli ossolane… E anche delle storie molto tristi di quando a Croveo ad esempio qualche secolo prima erano arrivati gli uomini della Chiesa e avevano fatto l'inquisizione e avevano condannato delle donne che erano brave inventare sistemi per guarire e le avevano condannate come streghe sul rogo.
La strega, non più nasona ormai, era contenta di sentire come lui valorizzava invece di denigrarla alla categoria delle streghe…
Ogni tanto dava ancora qualche giro con il mestolo di legno nel calderone… Si scusò con lui dicendogli che era una schifezza e lo faceva solo perché sul manuale delle streghe c'era scritto così… Gli chiede se aveva fame perché di là aveva delle buone cose… Della pancetta affumicata… Dei salamini della duja… Del pane di segale e delle castagne bollite con il miele…
Per potersi mettere a mangiare però, l'hom- salbadg fu costretto a fare un'altra magia se stesso… Mise di nuovo due dita sotto il mento… E voilà… Si tolse la maschera da hom- salbadg… E sotto che c'era? Uno dei più bei principi di tutte le favole… Con un bel vestito azzurro decorato d'oro… Lo spadino di alluminio argentato alla cintura… Insomma a questa terza trasformazione che aveva guadagnato…
Anche la strega che ormai ci converrà chiamare la ragazza perché di strega non aveva più niente, si tolse il vestito atto brutto marrone scuro e puzzolente di fumo, e sotto aveva un bellissimo vestitino di tulle tutto ricamato…
Insieme si misero a preparare la tavola con delle ciotole di terracotta e di legno.
Ma mentre si era girata per prendere dei bicchieri di stagno nella credenza, nel tornare a guardare verso di lui, vide che si era messo un cappelluccio da menestrello… Ed ha una borsa che portava a tracolla, come normalmente fanno sempre tutti i menestrelli, aveva estratto una viuela, una piccola cetra e un mandolino…
E allora si mise a suonare, a cantare, e la ragazza che credeva di essere brutta si mise a danzare… E quando non ce la fecero più a danzare tutti e due dandosi il braccio, e si furono rifocillati mangiando le leccornie che lei aveva messo in tavola… Si guardarono negli occhi…
"Se tu vieni ancora trovarmi, menestrello magico, ti preparo un cibo buonissimo… Vado nei prati e raccolgo tutte le erbe buone da minestra, il cicorione, gli asparagi selvatici,i louvertis…, E ti faccio un pranzetto come si conviene…"
Il principe menestrello la guardava estasiato… Da quando l'aveva vista il suo cuore aveva cominciato a battere: tu-tum, tu-tum, tu-tum…. Ed ebbe paura che gli venisse una fibrillazione atriale, un extrasistole, e gli mancava anche il fiato…
Allora si decise. Si alzò dal sedile di legno di quercia, e come facevano una volta i principi, piegò il ginocchio a terra, le prese la mano, gliela baciò e le chiese con la voce tremante:
"ma allora, cosa ne dici se io ti chiedo di sposarti? Vuoi essere mia sposa?" E rimase lì ad aspettare la risposta con la bocca aperta…
Lei sorrise, poi si mise a ridere, poi quasi quasi stava per piangere… E gli fece una domanda strana: "ma tu queste proposte le fa ha tutte le ragazze che incontri?"
Col poco fiato che gli era rimasto, mentre quasi gli veniva da balbettare, lui rispose:
"questa proposta non l'ho mai fatta a nessuna ragazza… Ed ero pronto a far la quando fossi stato sicuro che avrei incontrato la ragazza più bella del mondo… La donna della mia vita…"
Poi si misero d'accordo per il matrimonio… Lui sarebbe rimasto ad abitare dove stava già. E lei pure… Ognuno per conto suo. Perché così ogni giorno ogni momento ogni notte potevano avere il piacere di cercarsi di incontrarsi di avere di nuovo il batticuore e di regalarci il piacere di ritrovarsi di nuovo…

-Questa volta ne hai inventata una totalmente nuova babbo… Ma allora anche loro erano contrari al matrimonio? Secondo me hanno fatto bene. Così potevano regalarsi solo i momenti più belli e gli istanti migliori. Se lei voleva poteva preparargli le minestre ma solo perché piaceva a lei farlo. E se lui voleva poteva portarla a cavallo nei boschi, cucinarle la casseula   e la paniscia...-

E la ragazzina aspettò che il padre si fosse caricata e accesa la pipa ricurva. Poi prese la sua manona nella sua. E si incamminarono. E mentre andavano lei si mise a cantare una filastrocca che le piaceva… E intanto faceva fare l'altalena alla propria mano e a quella del babbo avanti indietro come il battacchio di una campana… Din Don din Don…

Poi, e smise di cantare la filastrocca, e guardandolo dal basso in alto gli chiese:
"ma allora babbo, non esistono le streghe o le bambine brutte nasone… Forse dipende se sono felici e se hanno qualcuno che gli vuole bene… Io senz'altro non sono né strega né brutta né nasona… Perché tu mi vuoi bene… E poi che quel ragazzino di quarta C che mi fa sempre gli occhioni dolci. E certe volte mi fa assaggiare la sua merenda nell'intervallo.

domenica 8 luglio 2018

LE MAGLIETTE ROSSE

LE MAGLIETTE ROSSE


Per chi non ha capito questo come altri semplicissimi avvenimenti intenzionali, mi permetto due appunti. Il semiotico Charles Sanders Peirce aiuta in modo semplice a capire cosa significano questi gesti.
Questi sono dei segni: Comunichiamo con i segni: le parole, le espressioni facciali, le immagini sui cartelloni pubblicitari, i segnali stradali, alcuni suoni o colori sono segni.
Un segno, per definizione, è composto da significato e da significante.
Il SIGNIFICANTE è il concetto espresso, il SIGNIFICATO è il supporto materiale che lo esprime.(il significato e la traduzione)
icona: Abbiamo una ICONA quando il segno assomiglia al concetto rappresentato
Un SIMBOLO: quando il significante utilizzato è frutto di una convenzione ma non assomiglia al concetto espresso nella realtà
INDICE : quando il segno è naturale, non è frutto di convenzione e non assomiglia al concetto espresso che si intende rappresentare.
Le MAGLIETTE ROSSE, sono il significante, un segno che facciamo vedere; una cosa che noi diciamo e affermiamo… e sono anche un simbolo: vogliono dire = "emorragia di umanità"… Richiamano la maglietta rossa di uno dei tanti bambini annegati nel Mare Mediterraneo.  E  richiamano anche il colore del sangue.
[Vuoi vedere che nessuno dei RATTI che ROSICANO capirà questa cosa? Eh già… Loro mica leggono… L'ignoranza è proprio una brutta malattia!]

NAVIGARE OMBRA

NAVIGARE OMBRA

nel solco aperto dalla nave
spruzzi intensi di verde selva ai lati
ricadono nella propria ombra
navigando presenze che ormai
galleggiano nel proprio ricordo
e tane di terra bruna zuppa di foglie
e musi scuri di cinghiali
e pelo di setole di fumo
intento a odorare il proprio fortore
selvatico e ormai lontano

spalancata come una scatola di sardine
l'auto beve flutti di vento caldo
e si ubriaca di estate vasta
che trascina nel suo volo
ombre e sprazzi di luce
quello che era ombra odorosa

tutto scorre come un fiume
con pesci di ricordi di bosco
e funghi e felci e umido odore terroso
violentato dall'asfalto brutale
offerto alla corsa sfrenata delle auto

i ricordi olfattivi raccontano
la propria storia che vacilla
nel continuo andare e andare
senza scopo ne meta alcuna

e corriamo insieme anima mia
la tua immagine galleggia
mentre andiamo e andiamo senza fine

e anche forse
lo spazzaneve allarga un nastro grigio
che vibra ancora al correre intenso
nel fresco calore pungente
nell'aria rovente di luglio

e senti certo anche tu
la melodia del tempo
che ansima sul proprio fiato
l'impercettibile stillicidio
minuto  della sabbia
sul fondo della clessidra

e andiamo
andando
senza fine
amoremio



 «IL DRAGO PASTICCIONE

A quel tempo, in un posto che era tutti i posti, ma che si trovava molto molto lontano, tutti temevano molto un drago dal cappello con le piume.
A dir la verità nessuno ricordava di averlo davvero visto. Però… Dal tempo dei nonni e delle nonne tutti dicevano ai bambini: "guarda che se non mangi la minestra viene il drago e te la mangia lui…"
In effetti le minestre che facevano allora erano deliziose. Per cui il drago aveva poco da fare. Le mamme e le nonne ci mettevano tutte le erbe e le piante saporite che trovavano nei prati. Quando uscivano apposta dicendo che andavano per minestra…
Sicché il drago aveva dovuto organizzarsi per mangiare anche lui qualcosa visto che le minestre finivano tutte a cucchiaiate nelle bocche delle bambine e dei bambini.
Viveva in una radura sopraelevata che si alzava sopra il bosco. E con le sue unghione si era abituato ad arare il terreno. Quando aveva arato un bel po', tirava fuori dalle sue saccocce vari tipi di semi e di bacche. Li metteva a dimora. Talché il suo orto avrebbe fatto invidia all'orto del barone. Ma neanche il barone aveva mai visto quell'orto. E tra l'altro era un barone al quale non gliene fregava assolutamente niente degli orti. Stava sempre a rimuginare quali nuove leggi le quali nuove tasse inventare perchè era un po' sadico e si divertiva a tormentare e a vessare i suoi contadini.
I quali avrebbero voluto uno di quei baroni buoni e simpatici che organizzano festicciole, balli, e festival… Ma erano proprio sfortunati. Quei festival una volta, in un tempo lontanissimo, li organizzava il gruppo benefico "bandiera rossa". Ma ora si era dimenticato… Lasciava che a volte li facessero quelli delle "camice verdi". Me erano tutta un'altra cosa! Bevevano a crepapelle. Sparavano cazzate. Erano invidiosi e dicevano che il barone era ladrone. Perché volevano andare loro a rubare i soldini delle tasse…
Il drago tutte queste cose le sapeva. E a volte gli venivano delle lacrime agli occhi a pensarci. E diceva tra sé e sé, masticando fiammelle e fumo mentre parlava: "ma guarda un po' come siamo finiti in basso!"
Si annoiava abbastanza a fare il drago perché non aveva neanche una daraghessa che gli facesse compagnia. Solo una volta ricordava di averne intravisto una. Bellissima e fantastica. Ma non aveva osato inseguirla e l'aveva lasciata andare a fare la spesa perché andava a comprare le uova e il prezzemolo al mercato.
Borbottando le sue nuvole di fumo un giorno decise. Avrebbe attraversato tutto il resto del bosco. E sarebbe andato a incontrare gli umani.
Perciò si mise un vestito da saltimbanco. Sollevò i suoi pesanti e immensi piedoni. Che scuotevano il terreno ad ogni passo. E si mise in cammino.
Nel frattempo le bambine e bambini del villaggio, terminato di fare i compiti a studiare le lezioni e le tabelline, giocavano a moscacieca; saltacavallina; saltafossi; a bambole e a scopa d'assi.
Quando arrivò il drago saltimbanco, mancava ancora un po' di tempo prima che le mamme li chiamassero a fare merenda. Quando si sarebbero affacciate alle soglie delle case, e avrebbero gridato cantando:
"bimbe belle e
bimbi cari,
marmellata di lamponi,
con il burro sono pronte,
sopra il pane a gran fettoni…"
Stavano infatti discutendo tra loro per mettersi d'accordo a chi toccasse andare a nascondersi e a chi andare a cercarli.
Fu una bambina piccina con le treccine bionde, che lo vide arrivare.
Le si spalancò un sorriso immenso sulle labbra. Gli andò incontro.
E ingenuamente, come fanno le bambine e bambini, cascando dalle nuvole gli disse:
"ciao drago pasticcione, lo sai che ti sta proprio bene quel vestito da saltimbanco? Sei venuto a mangiare la mia minestra? Se aspetti un po' ti do una fetta della mia merenda… Vuoi giocare con noi?"
Il povero drago rimase senza parole. Si era messo anche un nuovo cappello con le piume. E fumava una pipa di schiuma. Sperando di non essere riconosciuto.
Diede la mano alla bambina… Anzi le diede la zampa… E la bambina la afferrò con tutte due le mani.
I bambini fanno in fretta a volersi bene.
A fare amicizia.
Ad accettare chi è diverso da loro.
In men che non si dica si erano messi a giocare benissimo.
Alcuni si arrampicavano sulla schiena del drago.
E lui rideva come un matto perché con i loro piedini gli facevano solletico.
E stavano giocando meravigliosamente quando cominciarono ad affacciarsi alle soglie le mamme: "bimbe belle e bimbi buoni…"
Il drago non sapeva dove andare a nascondersi. Sapeva che gli adulti degli umani non amano chi è diverso da loro. Cercò perciò di farsi piccolo piccolo. Di nascondersi dietro un cespuglio di rose. Ma ormai era stato individuato…!
Uscì il capo del villaggio. Si mise a suonare il corno. E a gridare all'impazzata:
"all'armi all'armi…
Chiamiamo gli armigeri…
Chi non è di questo villaggio se ne torni a casa sua…
All'armi all'armi…"
Il drago che era magico, a furia di cercare di farsi piccolo piccolo era diventato come una lucertola.
Un ramarro.
E il vestito da saltimbanco gli era scivolato via perché troppo largo.
E allora…»
Si era fatto silenzio. Il babbo che stava guidando il camper con la sua bambina, era rimasto incerto al semaforo. E non sapeva se andare a destra o a sinistra…
"Ma babbo, vai avanti con la storia… Poi decidiamo dopo dove andare… Eravamo proprio sul più bello… Dai continua…"
Ma il babbo era rimasto interdetto… Questa volta la storia che aveva cominciato andava avanti a ruota libera.
E lui non sapeva proprio come farla continuare…
Preferì allora usare un espediente che usava spesso in questi casi…
"Scusami Ciccio, la storia te la continuo dopo, magari questa sera quando saremo nel campeggio, dopocena prima di andare a dormire…
Ora non riesco proprio a capire che direzione devo prendere e non vorrei prendere una multa…"
La bambina lo osservò delusa.
L'aveva colto in castagna. Aveva cominciato una storia bellissima.
Ma non era stato capace di portarla fino alla fine…
Poi però lo guardò con tenerezza. Gli diede un bacio sulla guancia e gli disse:
"babbo, sei fantastico, ti voglio bene lo stesso, anche se sei proprio tu il drago pasticcione…"
Infine trovarono un campeggio.
Molto ombreggiato.
E c'erano anche due piscine. Una per i grandi e una per i bambini…
Da buon babbo sistemò il camper.
Fece rifornimento d'acqua. Vuotò le acque di scarico.
Montò la veranda.
Collegò il lungo cavo elettrico alla corrente.
E mentre faceva tutte queste cose, si arrovellava per cercare di trovare una soluzione al finale della favola.
Intanto la sua bambina aveva preso una palla a spicchi colorati e si era messa a giocare sul prato.
E dire, che lui era entusiasta di fare il babbo, e soprattutto di fare il babbo che va in vacanza con il camper e con la sua bambina.
Però quando attaccava le storie…
Era proprio un disastro…
A volte raccontava le storie degli antichi egizi o degli antichi romani.
E la bambina con i suoi occhioni lo guardava implorante, dicendogli che stava facendo una lezione, ma che quella non era una storia… era una vera noia…
Anche fare il babbo era diventato un mestiere difficile!
Nanni OMODEO ZORINI Qfwfq
Mi piace
Commenta