Nanni OMODEO
ZORINI
(foto
di Jan Rachota)
OLGA
2012
OLGA
1.
L'immenso parcheggio sopraelevato era
completamente ingombro di auto.
Dovette aggirarsi a lungo alla ricerca di
un buco dove infilarsi. In alcuni corridoi di passaggio già stazionavano
consumatori impazienti che, con la freccia di segnalazione lampeggiante,
indicavano le proprie intenzioni; accanto a bagagliai aperti che venivano
stipati di sacchi gonfi. I carrelli della spesa venivano sistematicamente
vuotati di confezioni di acque minerali, coche cole, aranciate, birre,
detersivi liquidi e in polvere per
lavatrici e lavastoviglie. "Questi sacchetti qui li possiamo mettere sul
sedile di dietro". Ai figli o alle mogli toccava riportare il carrello
sotto le pensiline distribuite regolarmente su tutto il territorio. Recuperando
la moneta. Le auto con motore acceso segnalavano con le loro frecce
lampeggianti irritazioni a stento celate. Qualche borbottio "ma dai,
muoviti..." o semplicemente una smorfia della guancia. Recuperando figli e
mogli, l'acquirente soddisfatto e compiaciuto manovrava uscendo molto
lentamente dal posto detenuto. Che repentinamente veniva occupato, con smania, urgenza. Prima che
nascessero contenziosi. Equivoci con altri ricercatori di piazzole liberate.
Quando già stava per avere fortuna, non
fu troppo lesto, facendosi fregare il posto da un immenso suv. Guidato da una
tipa che teneva il cellulare incollato alla guancia abbronzata dalla lampada.
Biascicò dentro di sé un "brutta
stronza", ma preferì lasciar perdere. E neppure per cavalleria.
Ripercorse l'ampio spazio fino all'estrema
periferia dello spiazzo, vicina alla rampa dalla quale era salito poco prima.
Qui si poteva ancora trovare a malapena qualche sistemazione.
Cercò di memorizzare il numero del
settore e il colore. Certo, che al momento giusto, se ne sarebbe dimenticato.
Ogni volta stentava a ricordare se le coordinate si riferissero a
quell'occasione, oppure fossero reminiscenze di precedenti spedizioni.
Percorse un centinaio abbondante di
metri; rinunciò a munirsi di un carrello; mise le chiavi dell'auto nella tasca dei
calzoni nella quale non aveva il rigonfiamento dei due sacchetti biodegradabili
opportunamente ripiegati. Le frecce dell'auto smettevano in quel momento di
lampeggiare dopo l'input del telecomando di chiusura.
Estrasse il telefonino sul quale si era
segnato l'elenco delle cose essenziali da acquistare. Per il resto avrebbe
fatto un po' a naso. Girovagando di qua e di là. Facendosi venire in mente
alcuni articoli che aveva dimenticato di memorizzare. Anche se sapeva benissimo
che l'immenso hangar era intenzionalmente ripartito e scandito in infiniti
corridori. Percorrendo i quali la panoramica in esposizione avrebbe risvegliato
o creato necessità e bisogni indotti.
C'era spesso il rischio di perdere
l'orientamento in quel labirinto. La varietà delle merci, le marche e le
tipologie, il numero dei campioni esposti erano davvero eccessivi.
Periodicamente, poi, blocchi e corridoi venivano riorganizzati, distribuendo
diversamente le merci. Al di là di motivi logistici ci doveva essere anche
l'intenzione di offrire apparenze di novità all'occhio del
compratore/esploratore. Deliberate ristrutturazioni di campo, che avrebbero
messo in difficoltà l'orientamento, offrendo nel contempo ulteriori stimoli ai
bisogni consumistici.
Si avviò, a questo punto verso la porta girevole
dell'ingresso laterale a sinistra.
Stazionavano qui, abitualmente, tabagisti
incalliti che erano usciti non riuscendo a resistere alla tentazione compulsiva
di una sigaretta. Che spesso, dopo le prime tirate, finiva per non offrire più
gradimento e piacere. Per terra e nella sabbia dei portacenere erano state
schiacciate contorte cannucce bianche con filtro. Il desiderio, che li aveva
perseguitati a lungo nei peregrinari estenuanti, spingendoli al raptus di
uscire, a tutti i cost,i a dare due tiri, di colpo era scomparso. E si
sarebbero subito affrettati a riprendere a girovagare nei meandri degli
scaffali, raggiungendo congiunti e partner, che li attendevano con sufficienza,
spingendo carrelli ricolmi.
Non tutti però stavano fumando. Una
persona soltanto non partecipava al rito.
Poco discosta dalla parete attigua alle
porte a vetro girevoli, una figura femminile alta, non perfettamente snella,
stava ritta guardandosi intorno.
Sembrava osservare la scena. Muoveva lo
sguardo in giro, con calma delicata e gentile. Portava i capelli biondi di
media lunghezza. Il suo abbigliamento non era né trasandato né particolarmente
elegante; indossava abiti di foggia abbastanza inconsueta. Niente di speciale,
un normale tailleur; ma qualche particolare che sfuggiva dava l'impressione che
la donna venisse da qualche altro posto, che non fosse di quella città. E
quell'aria di straniamento era anche nel suo modo di guardare.
Quando incrociarono gli occhi, a lui
parve che quello sguardo lo seguisse con intenzione. Quasi con una leggera
sfumatura di sorriso. Garbata, delicata, non insinuante o indiscreta. Però lo
guardava.
Diversamente dal solito, riuscì a
sbrigarsi efficacemente nei suoi acquisti. Come si fa quando si va a comperare
a colpo sicuro; solo per cercare quelle tre o quattro cose che davvero ti
servono. Con determinazione spigliata e decisa. Senza lasciarsi andare a
bighellonare, in attesa di essere stuzzicati a scoprire quel che, la sapiente e
oculata disposizione degli articoli, ha intenzionalmente posto lì, in bella
vista per farlo acquistare.
Si avviò allora nella zona bar e
self-service, approfittando per un pasto rapido, saporito e a costi contenuti.
Si accostò per l'ordinazione al bancone
dell'esercizio che preferiva sempre. La varietà limitata di generi consisteva
in alette e cosce di pollo fritte, saporite e piccanti, minuti arrostini di
maiale monoporzione, patate fritte e al forno, crauti, melanzane, peperoni e
zucchine grigliate; e, soprattutto stinchi di maiale arrosto!
Come di sua abitudine ordinò uno stinco
con contorno di melanzane e crauti. E una birra. Destreggiandosi con il vassoio
e le borse, si sistemò in un posto libero ad un tavolo, deponendo il vassoio
delle sue leccornie abituali.
Dopo avere aperto la bustina delle posate
e del tovagliolo si accinse ad aggredire il suo pasto. Quasi sempre gli
capitava che il coltellino di plastica si incrinasse e si spezzasse contro la
corposa massa brunita della carne.
Forse, proprio per la sua golosità e
bramosia di cibo, fu proprio quello che gli accadde ai primi tentativi.
Mormorò, sacramentando, dentro di sé.
Fece per alzarsi e richiedere al bancone altre posate di riserva. Fu a quel
punto che la vide. Era seduta sul lato opposto al suo, ma più sulla destra.
Aveva colto il suo gesto e con un sorriso gli stava porgendo il proprio
coltellino di plastica. "Tenga pure. A me non serve proprio". Aveva
detto guardandolo con sguardo gentile.
Aveva un volto ampio e ben modellato. Gli
occhi erano di un colore grigio, con sfumature azzurre. Le sopracciglia
discretamente marcate, dovevano avere subito di recente qualche leggero
intervento di depilazione. "Davvero, sa? Per il mio kebab mi basta la
forchetta. E poi il cucchiaino per lo yogurt". Pronunciava le parole in
tono marcato, con un'inflessione che gli fece venire in mente i paesi dell'est.
Non denotava improprietà di linguaggio. Solo una cadenza e delle sfumature
inusuali.
Lui allungò la mano accettando il dono
generoso e a basso costo. "Non c'è una volta che non mi si rompano.... La
ringrazio molto. È davvero gentile." Le disse prodigandole un ampio
sorriso riconoscente. Che lei ricambiò appena, con noncuranza. E si rimisero
entrambi a consumare il proprio frugale pasto.
Poi, ad un tratto, lei alzò di nuovo lo
sguardo osservandolo, compiaciuta della soddisfazione con cui stava divorando
lo stinco di maiale. Attento a non spezzare di nuovo le fragili posate.
"È comodo, qui. In pochi minuti ci
si può sbrigare a mangiare qualcosa. Senza perdere tempo a dover cucinare e
rimettere tutto a posto. E poi non costa troppo. Da noi, molti anni fa, c'erano
le mense di condominio. Una cosa un po' come questa qui. Al piano terra c'era
un grande salone, che serviva per le riunioni di tutti e che faceva anche un
po' come da ristorante. Poche robe. Ma era comodo e andava bene. Negli alloggi
le cucine non le usavamo quasi mai. Non servivano. E gli appartamenti erano
piccolissimi.... Ma forse la sto annoiando con queste mie storie?"
"Ma per niente, si immagini. Non ne
ho mai viste di mense di condominio. Qui in Italia?"
"Oh, no; parlavo del mio paese,
della mia terra. Io sono moldava."
"Complimenti. Parla benissimo
l'italiano. È da molto che è qui in Italia ?"
A questa domanda non rispose. Parve
ignorarla.
Mentre lui raccoglieva con la forchetta
gli ultimi frammenti di carne e di crauti, la donna intingeva con garbo
cucchiaino bianco di plastica nel bicchierino dello yogurt; portandolo alla
bocca. Aveva labbra carnose che si aprivano appena per introdurre la crema
bianca.
Sullo sfondo di quella conversazione
rimbombavano spot pubblicitari, intervallati da sequenze di partite,
provenienti da un megaschermo. Ad aumentare il livello sonoro il ronzio sordo
delle conversazioni dei commensali,
La donna si era alzata e, guardandolo
benevola, si stava spostando per portare il suo vassoio al contenitore di
raccolta dopo averlo vuotato. Lui fece subito altrettanto. "Le posso
offrire un caffè?".
"Accetto volentieri la sua offerta,
ma se non si offende preferirei bere un tè. Sa, lo preferisco."
Al bancone di un bar, uno dei tanti che
si alternavano a quelli di ristorazione, si accostarono a lui fece le
ordinazioni.
Ripresero una conversazione che aveva,
insieme, un carattere informale , permeato da connotazioni confidenziali. Circa
le abitudini di vita in Moldavia, il clima, le ristrettezze economiche, le
consuetudini; i ricordi d'infanzia.
Lui pensò che era un modo di conversare
molto naturale, autentico, pur nella semplicità dei temi e degli argomenti
trattati. Era come trovarsi a scambiare due chiacchiere con una persona che si
fosse conosciuta da sempre; con la quale ci si fosse persi di vista; ma che
fosse stato piacevole rincontrare.
Parve quindi naturale scambiarsi
reciprocamente i numeri di cellulare. Prima di accomiatarsi.
Stentò, come sempre gli capitava, a ritrovare il settore dove aveva
lasciato l'auto. Fu costretto a farsi aiutare dal telecomando delle chiavi. Fin
quando vide il lampeggìo, là in fondo. Depositò i suoi sacchetti. Avviò il
motore e scese la rampa dalla parte opposta a quella da cui era salito.
2.
Il condizionatore dell'auto buttava aria
fresca contro il parabrezza, e su verso l'alto . Diffondendosi nell'abitacolo. In sordina gli altoparlanti
diffondevano le cadenze morbide e sensuali da un CD di Paolo Conte. Sul subito
non riuscì a distinguere la suoneria del cellulare, sul quale aveva di recente
appena installato "Una topolino amaranto". Poi i due motivi musicali
finirono per confliggere. Mise la freccia e accostò, senza spegnere il motore.
"Sto chiamando il 3351830451?"
Chiedeva una voce distaccata e asettica. Sul monitor compariva la scritta
«numero privato».
"Sì, chi parla?"
"Ci scusi, qui è il commissariato di
polizia. Parla il vice ispettore Terrisi.
Nel corso di un'indagine è stato trovata questa utenza di telefonia
mobile. Avremo perciò bisogno di parlare con lei. L'utenza ci risulta intestata
a Berardi Orazio."
"Sì, io sono Orazio Berardi, posso
sapere di cosa si tratta?"
"Scusi, ma preferiremmo parlare con
lei di persona. Potrebbe venire qui al commissariato, diciamo in giornata o nei
prossimi giorni?"
Non riusciva ad immaginare chi avesse
indicato il suo numero di cellulare. Né il significato che potesse assumere
quella situazione. Fece, perciò, un rapido calcolo mentale. Scorrendo
rapidamente il calendario di quella giornata. Erano da poco passate le nove del
mattino. Poteva benissimo iniziare le sue attività con un po' di ritardo.
"Certo, va bene, vedo di liberarmi
subito di qualche impegno e raggiungo i vostri uffici. Presumo di dover venire
in questura?"
"Grazie. Sì, sia così gentile da
venire in questura. Alla porta chieda di me, vice ispettore Terrisi. Le daranno
le indicazioni. Arrivederla."
"Scusi, un particolare, è possibile
parcheggiare lì vicino?"
"Certo. Indichi qual è la sua auto all'agente che staziona davanti
ai nostri uffici. L'aspetto, allora."
L'edificio grigio e amorfo si ergeva, con
le sue pareti ricoperte di lastre di travertino. L'aspetto inconfondibile
dell'architettura del ventennio. Nei primi anni dopo la liberazione avevo
ospitato una Casa del Popolo. Occupava un'ampia zona che iniziava dai giardini
e dall'attiguo Parco dei bambini. Il massiccio e brutto parallelepipedo era,
almeno parzialmente, ingentilito dalla massa accogliente e protettiva dei
platani e degli ippocastani, che gli facevano da sfondo. Trovò un posto vicino
a delle auto di servizio, sul tettuccio delle quali era ancora montato un
lampeggiatore azzurro. I parabrezza delle altre auto vicine mostravano una
targhetta applicata dall'interno per identificare la professione del
proprietario.
Scese, imbarazzato, facendo dei cenni da
lontano al militare in divisa, che invece parve non capire. Con la mano dal
dito alzato quello gli faceva segno di no, indicando poi l'edificio. «Posti
riservati per il personale del corpo di polizia dello Stato».
I lampeggiatori dell'auto denotarono che
essa veniva chiusa. Avvicinandosi spiegò al milite che era stato convocato dal
vicecommissario Terrisi. E che era stato esattamente quello a dirgli di
parcheggiare lì facendosi riconoscere.
Stringendo le labbra con una smorfia
quasi di disappunto, l'agente non fece commenti.
"Guardi, deve entrare lì dentro, poi
deve salire quei gradini sulla destra. Lì, c'è il posto di guardia. Deve
lasciare un documento d'identità e indicare dove deve recarsi. Quando ha
finito, si ricordi di ritirare il suo documento...".
Il picchetto di guardia era costituito da
un agente bardato con giubbotto antiproiettile, che reggeva tra le mani una
mitraglietta. Con l'estremità di quella gli fece segno di oltrepassare una
porta a vetri spalancata, di fianco ad una vetrata che recava ad altezza d'uomo
il foro circolare per le comunicazioni verbali.
Dentro ad una stanzetta stavano altri tre
o quattro in divisa ma senza armi. Uno solo aveva in testa il berretto a
visiera. Altri berretti erano appoggiati su un tavolo accanto e sopra ad un
giornale sportivo. Uno di quelli senza berretto ad un certo punto decise di
interrompere la conversazione con i colleghi, puntandogli addosso uno sguardo
inquisitore.
"Lei che deve fare?"
Si sentiva un forte odore di caserma. Di
mozziconi di sigaretta spenti. Gli agenti muovevano brevi passi sulle scarpe
nere perfettamente lucide, sopra le quali calzoni azzurri mostravano i segni
evidenti del ferro da stiro. Sulla giacca blu portavano il cinturone bianco dal
cui fianco pendeva, pure bianca, la fondina della pistole di ordinanza. Mentre
si accingeva a fornire spiegazioni sentì che gli altri continuavano a mezza
voce la loro conversazione. "... ma se ti dico che è stato proprio Bettisi
a dirlo... lui! Chi altro vuoi che potesse dare quell'ordine di servizio? E
adesso che cazzo vanno dicendo? A chi vanno scaricando la patata ?..."
Aveva estratto dal portafoglio la carta
d'identità, porgendola asciutto al suo interlocutore. "Sono appena stato
invitato telefonicamente dal vice ispettore Terrisi, che mi ha detto che ha
bisogno di parlare con me per informazioni".
Quello fece un vago cenno di assenso col
capo e formulò un numero di poche cifre su un telefono a filo di colore nero,
che stava posato vicino i loro berretti.
"Sì, salve, sono Truci, qui alla porta.
C'è qui un certo..." e lesse il nome che vedeva scritto sul documento che
teneva davanti. "... dice che è stato convocato da Terrisi, il
viceispettore...".
Poi, rivolgendosi a lui: "In questo
momento è occupato al telefono. Può aspettare qui. Fanno sapere loro quando
avrà terminato."
L'odore di caserma si diffondeva dalle
divise, e aveva sfumature olfattive di fumo di sigaretta e di caffè. Mentre
attendeva in piedi e ritenne opportuno impostare sul cellulare la sola
vibrazione, togliendo il sonoro. Gli sembrava che fosse più corretto. Per non
disturbare il colloquio che lo aspettava.
Un trillare dimesso e biascicato e poi la
cornetta del telefono venne accostata all'orecchio: "Sì? No, sono Truci,
sì, lui è qui vicino, va bene, gli dico di accompagnarlo...". Intanto
guardava con un cenno del capo uno dei colleghi in particolare, ammiccando con
gli occhi verso il visitatore.
"Adesso il collega la accompagnerà.
Si ricordi quando ha terminato l'interrogatorio di passare a ritirare il suo
documento".
Il nominato prese dal tavolo il proprio
berretto e rivolgendosi a lui lo invitò a seguirlo.
Mentre percorrevano ampi corridoi spogli
e disadorni, sulle pareti dei quali, dentro cornici modeste, si potevano
intravedere prime pagine di riviste d'arma o poster che invitavano ad
arruolarsi, lui ci tenne a precisare: "In verità non si tratta di un
«interrogatorio», mi hanno accennato al telefono che volevano chiedermi delle
informazioni a proposito di una loro indagine...".
Quello gli concesse un mezzo sorriso,
commentando con sufficienza : "Ma è lo stesso, non c'è problema, non si
preoccupi...".
Salirono ampie scalinate, sempre
pavimentate di lastre di travertino grigio, con pianerottoli vasti dove immensi
e improbabili vasi di bronzo ostentavano piante verdi probabilmente
artificiali. Poi si fermarono davanti ad un'ampia porta. Sul vetro smerigliato
una targa di ottone recava un nome: ispettrice capo dr.ssa Ragusa Matilde.
L'accompagnatore socchiuse la porta affacciandovisi, dopo avere garbatamente
ticchettato sul vetro con l'anello, che portava all'anulare.
"... C'è qui..., sì, certo,
comandi." Aveva battuto i tacchi nel pronunciare l'ultimo termine, come
forma di estremo ossequio e deferenza.
Dietro i vetri si sentiva una voce
femminile impegnata al telefono.
"Io la lascio qui. La dottoressa la
chiamerà appena avrà terminato." Poi con un leggero sorriso di maniera si
riavvio verso il percorso che aveva appena compiuto.
Inframmezzati da brevi pause di silenzio,
la voce di donna pronunciava termini e frasi del tipo: immigrazione, permessi
di soggiorno, identificazione, medico
legale, un caso come gli altri.
«A chi ho dato il numero del cellulare?
Quei ragazzi nordafricani che mi hanno aiutato nel trasloco? La ragazza
albanese che mi mette a posto la casa ogni tanto? Certo che non gliel'ho
chiesto se avevano il permesso di soggiorno; questo assurdo reato di
"clandestinità". Della gente è costretta a scappare dalla sua terra
tormentata dalla fame o dalla guerra, e qui da noi rischia di venire rinchiusa
nei CIE per mesi, prima di essere rispedita all'inferno di provenienza. Sempre
dopo che è riuscita a sopravvivere nel mare ai gommoni degli scafisti; alle
traversate disperate nei deserti; a viaggi eterni ed assurdi in autocisterne o
in doppi fondi di Tir. E adesso mi chiederanno di identificare il tal dei tali,
arrestato come clandestino, che aveva in un vecchio cellulare scassato il mio
numero di telefono. Con le loro procedure e le loro burocrazie, questa gente
qui c'entra poi fino a un certo punto. Tranne quando decide di scaricare le
proprie nevrosi pestando pugni e calci o ammazzando di botte i malcapitati di
turno. Stranieri, immigrati, clandestini. NOTAV, NOF35. Disoccupati ed esodati.
Consumatori distrutti dalla droga. Un comportamento è legale se qualcuno ha
fatto una legge che lo prevede e lo regolamenta. E chi sta in Parlamento di
mostri del genere ne ha costruiti tanti!"
Non si era accorto, nel frattempo, che la
voce femminile dietro il vetro smerigliato aveva smesso il tono recitativo
della telefonata. E stava dicendo: "Sì, fate pure entrare.".
Perciò giro lentamente la maniglia,
socchiuse la porta e si sporse facendosi vedere.
La stanza era immensa. Arredata con
mobilia sontuosa e massiccia, ma di cattivo gusto. Prendeva luce da due vaste
finestre munite di tende a pacchetto color panna. Davanti alle quali in
contenitori di ferro battuto facevano mostra di sé grandi piante. Un maestoso
ficus beniamina, dei potus, un’aralia, delle felci, un cactus, una
diffenbachia...
Collocato d'angolo, sulla sinistra,
accostato alla parete finestrata e alle piante lussureggianti, un tavolo di
noce scuro, dalla superficie ricoperta da un riquadro di velluto verde
sormontato da un piano di cristallo. Sulle pareti attigue all'angolo in quadro
abbastanza gradevole rappresentava una marina notturna e faceva compagnia ad
un'effigie del presidente della Repubblica.
Dietro al tavolo una donna di mezz'età,
dal volto scuro di abbronzatura, capelli ricci nerissimi. Le mani magre
mostravano massicci e vistosi gioielli. Che richiamavano dei pendenti e
parevano d'oro. Un doppio giro di perle le scendeva dal collo sul petto,
prossimo ad una scollatura castigata e severa. Le mani e la parte del petto
visibile apparivano segnate e maculate da efelidi. Le sopracciglia marcate
coronavano un volto dai tratti asciutti ed austeri. Gli occhi nerissimi,
luccicanti e luminosi, scrutavano con attenzione atteggiata a magnanima
benevolenza.
"Sì, lei deve essere ..." e
pronunciò il suo nome. "Come certamente il mio collaboratore, il vice
ispettore Terrisi, le avrà detto, avremo
bisogno della sua preziosa collaborazione. Il
suo numero telefonico è stato trovato nella memoria del cellulare di una
persona che... purtroppo... ha subito atti violenti..., insomma ha fatto una brutta
fine. Lo
stesso telefono cellulare, a dir la verità, era ridotto in brutte
condizioni. Stava insieme con lo scotch.
La squadra della polizia criminale investigativa sta cercando di
raccogliere tutte le informazioni e gli indizi possibili. Attraverso i quali
dovremo cercare di ricostruire l'identità della persona. E successivamente,
appurate le cause materiali che hanno determinato il decesso, tenteremo di fare
luce su questo ennesimo episodio di efferata violenza su una donna. Con gli
annessi e connessi, s'intende.
Non voglio ora tediarla con gli aspetti
procedurali che stiamo seguendo. Naturalmente la poveretta riceverà una visita
autoptica. Anche se, a prima vista, appare evidente che non sia deceduta né per
armi da taglio né mediante armi da fuoco. Appaiono evidenti sulle parti esposte
del suo corpo come il volto, le braccia, e le gambe, segni marcati di violenza
fisica. Di primo acchito sembrerebbe essere stata uccisa a botte.
Vorrà perdonare la crudezza di questa
descrizione, ma è stata necessaria perché, sono ora a chiederle di poterle
sottoporre una serie di fotografie che descrivono i poveri resti. Ai fini di un
possibile riconoscimento”.
La descrizione, per quanto succinta e
schematica, lo stava immergendo in un'atmosfera cupa e drammatica. Gli stavano
chiedendo di riconoscere, nelle foto che gli avrebbero mostrato, una donna
uccisa e massacrata a botte, nel cellulare della quale risultava il suo numero
telefonico.
I modi e il tono professionale della sua
interlocutrice lasciavano trasparire una certa umanità.
Sentiva, in quel momento, alitargli
intorno l'atmosfera dilatata di quel brutto e immenso ufficio. Sentiva che
stava entrando in una dimensione inusitata. Una persona era stata picchiata a
morte. Una donna. Che in qualche modo lui doveva pur aver conosciuto, a quanto
risultava dal numero del suo cellulare che le era stato trovato addosso. Di lì
a poco avrebbe potuto visionare delle foto cruente. Gli passavano per la testa
lampi di immagini già viste in documenti o nelle fiction cinematografiche. Solo
che qui poteva e doveva scorgere e riconoscere una donna già vista. Reale, con
uno sguardo, una voce, degli atteggiamenti. Fino a poco tempo prima.
Fece un gesto di assenso. Rigido e
imbarazzato. A fatica riuscì a dire: "certo, naturalmente..., benché la
cosa mi disturbi profondamente...".
La poliziotta gli regalò di sfuggita un
mezzo sorriso di comprensione e compiacimento. E, dopo qualche secondo di
silenziosa concentrazione, aveva estratto da un cassetto una cartellina di
colore giallo. Fissandolo negli occhi l'aveva spalancata. Il suo sguardo
intravide macchie scomposte che non riuscì, sul subito, a decifrare. Poi, una
alla volta le foto gli vennero consegnate. Trattenne tra le mani ciascuno di
quegli ampi fogli lucidi. Erano riprese effettuate nel chiaroscuro
crepuscolare. Le estremità e gli angoli erano completamente scuri. Il flash
metteva in evidenza la parte centrale della scena. Un corpo femminile giaceva
semisdraiato su un fianco. La spalla destra contro il terreno; l'altra
sollevata. Il braccio sinistra tendevano verso il volto, e la mano era ricaduta
inerte sulla scapola. Il braccio e l'avambraccio erano segnati da macchie
violacee. La gamba destra giaceva allungata sul terreno; la sinistra mostrava
il ginocchio che doveva aver teso verso il ventre, nel tentativo di una posizione
fetale, ed era ancora scoperta; la gonna era rimasta sollevata più verso
l'alto. L'interno della coscia e del polpaccio allungati recavano contusioni e
macchie scure, di sangue. Il ginocchio sinistro che aveva tentato la protezione
del ventre ai colpi, sembrava lacerato sopra la rotula.
I particolari presi da altre posizioni
rivelavano le dita delle mani contratte a pugno.
L'ultima foto era la più terribile.
Ripresa da posizione abbassata, mostrava il volto della donna. L'intera guancia
sinistra tumefatta; lo zigomo era una
macchia nera di sangue raggrumato in una ferita, come una profonda caverna. Gli
occhi aperti guardavano con disperazione impotente il tempo della vita che era
inesorabilmente volato via. Che era stato strappato con rabbia. E ferocia. Le
labbra carnose, leggermente dischiuse, lasciavano intravedere il luccicante
biancore dei denti. Il labbro superiore era spezzato da una ferita e aveva
colato abbondante sangue.
La poliziotta era rimasta seduta al suo
posto ad osservarlo, mentre lui piantava il suo sguardo allucinato su quel
baratro desolante. Su quelle tracce disperate come un pianto. Sui segni di
quella irrevocabile sciagura, che, devastando una vita aveva spalancato orridi
sconsolati.
Riandò con pensiero alle immagini
composte e meste, pur nella loro irrimediabile condizione, di congiunti ed
amici che aveva visto sistemati nello spettacolo dei rispettivi feretri. Qui la
condizione estrema della morte era stata ulteriormente turbata e sconvolta da
una devastazione che si era accanita. Questa donna, questo simulacro residuale
della donna che era stata, risultava certo molto più morta.
Doveva avere sino ad allora quasi
trattenuto il fiato. Perché si accorse che, sollevando lo sguardo mentre
deponeva quell'orrore sul tavolo, fu costretto ad una lunga inspirazione. Dopo
quell'apnea terrificante.
Trovò ad aspettarlo lo sguardo calmo e
interrogativo dell'ispettrice.
Il tempo anche lì in quella stanza smise
di trascorrere per una dimensione infinita; che forse si protrasse soltanto per
alcuni minuti.
Infine, quando se la sentì, pronunciò
alcune parole stentate, a mezza voce.
"Avrei dovuto telefonarle. Ma non
l'ho mai fatto. E neanche lei, d'altra parte. Chissà, può anche darsi che le
cose sarebbero andate diversamente. Che non avrei dovuto assistere a quello
scempio. Che lei non lo avrebbe subirlo.
Quegli incontri casuali, inaspettati;
insperati; gratuiti. Ti capitano forse
quando ne hai bisogno. O quando qualche magico influsso te li regala.
Improvvisi come una giornata di sole tiepido in gennaio. Si scambiano quattro
parole. E ci si stupisce della stranezza di come suonino autentiche e vere.
L'avevo intravista all'ingresso di un
ipermercato. Ci siamo guardati come se ci riconoscessimo. Poi per caso o per
una coincidenza fortuita me la sono trovata vicina che consumava un pasto anche
lei. Diceva delle cose della sua infanzia. Veniva dalla Moldavia. Raccontava
che là i palazzoni avevano al pianoterra una specie di ristorante autogestito,
di condominio. Frugale ed economico. Come i self-service alla buona annesse i
grandi magazzini. Mi disse che il suo nome era Olga. Credo fosse in Italia per
lavoro. Non so altro di lei. Eppure credo di averla conosciuta davvero, anche
se me ne è rimasta soltanto una traccia nella memoria, il suo nome e il numero
del suo cellulare. Ce li eravamo scambiati ripromettendoci di rivederci. Non so
chi fosse. Ma l'ho conosciuta."
L'ispettrice Ragusa era rimasta ad
ascoltarlo. Attenta e silenziosa.
"La ringrazio molto. Anche se le
informazioni che lei riesce a darci costituiscono solo qualche piccola traccia.
Ipermercato. Moldava. Olga.
Sono rimasta colpita dalle sue parole
accorate, con le quali ha ricordato una conoscenza fuggevole. Spero che non me
ne voglia se le chiedo un'ulteriore cortesia.
Nel timore che le foto possono avere
troppo deformato l'immagine di quel suo ricordo, le vorrei chiedere la cortesia
di venire a riconoscerla direttamente. Voglio dire all'obitorio. Potrà essere
emotivamente più forte l'esperienza; anche se l'immagine che vedrà sarà meno
violenta; nel frattempo verrà ricomposta."
Abbassò lo sguardo su quelle immagini
truculente, sparpagliate sul tavolo davanti a lei.
"Perché no? Ormai ho intrapreso
questo cammino che mi riporta indietro di diversi mesi. Verso l'incontro con
una persona che ho sentito di conoscere intimamente per pochi istanti; che è
stata spazzata via dalla furia devastatrice; voglio provare a riconciliarmi con
quell'immagine. Non con la salma che vedrò all'obitorio. L'immagine che
conservo dentro di me.
Lei desidera, per dovere professionale,
conoscere la vicenda di questa donna. Chi era, cosa faceva, di che cosa si
occupava, chi l'ha distrutta così, perché. Io, per motivi diversi, voglio
ripercorrere il suo cammino. Cercare e scoprire la sua storia. Verrò
all'obitorio con lei. Lei, in cambio, deve aiutare me."
Dopo avere riflettuto qualche istante,
gli fece un cenno di assenso.
"Il suo contatto telefonico lo
conosciamo. Le farò sapere con qualche giorno di anticipo il giorno e l'ora. Le
voglio far conoscere anche un'altra persona che si sta interessando alla sua
Olga.
È un'operatrice di un gruppo che si
occupa di donne maltrattate. «Liberazione e Speranza». Hanno conosciuto e
seguito molti casi di donne straniere, venute da molto lontano per cercare
un'occupazione seria e onesta. Ma che si sono imbattute nelle persone
sbagliate; si sono fidate di loro; sono state sfruttate e maltrattate da coloro
nei quali vedevano i loro benefattori e salvatori. Qualcuna di loro ha fatto
una fine simile a quella della nostra Olga.
Non voglio insinuare nulla: tutte le
donne di cui sto parlando erano persone splendide. Fino a quando qualcuno ha
posato i propri occhi rapaci e malevoli su di loro."
Chiamando con il telefono si era fatta
portare nel frattempo due caffè. Sorbirono ciascuno il proprio. Poi lei lo
accompagnò alla porta e gli strinse la mano con un sorriso non di circostanza.
3.
Era arrivato puntuale; addirittura in
anticipo sull’ora stabilita. Rimasto lì a guardarsi intorno aspettando.
Estraendo ogni tanto il cellulare; per darsi un contegno. Già due volte un
addetto in divisa era uscito chiedendogli se aspettava qualcuno; se voleva
accomodarsi a aspettare dentro. Diniego e
cenno di sorriso formale. Meglio lì fuori, certo. Dentro non sapeva che
cosa l'aspettava. Immaginava che si sarebbe trovato in uno spazio asettico; con
vetrate che ostentassero, al di là, l'esposizione di defunti estranei ed
anonimi.
Quando giunse l'auto di servizio,
l'ispettrice scese veloce dallo sportello
posteriore, anticipando l'agente in borghese che stava precipitandosi ad
aiutarla.
"Sai, secondo me tu te ne puoi anche
andare. Ho voglia di tornarmene a piedi." Aveva detto al suo chaffeur.
Poi, si era subito avvicinata a lui,
tendendogli cordiale la mano appesantita di gioielli. "Spero di non averla
fatta attendere troppo...".
"Ero in anticipo".
Il custode si era fatto sulla porta,
invitandoli cortesemente. Doveva avere preavvertito all’interno di
quell'arrivo, perché appena dentro si
avvicinò subito un uomo in camice bianco. Sopra il camice portava un grosso
grembiule verde, fermato con legacci dietro la schiena. Si era appena sfilato i
guanti di gomma. Preferì comunque non porgere la mano. E neppure battere i
tacchi; non doveva essere un militare. "Il dottor Garosio... medico
legale..." aveva spiegato lei.
Si trovavano in un atrio abbastanza
spazioso e vuoto. Sui lati, a sinistra e a destra, delle porte di sicurezza
scure.
In quel momento si era affacciata
all'ingresso una donna abbastanza giovane; e aveva sorriso all'ispettrice.
"La signora è la mediatrice di cui le
parlavo...; ci teneva ad esserci anche
lei per conoscerla; se non le spiace, naturalmente".
La nuova arrivata non era particolarmente
alta. Il suo abbigliamento era informale: una camicetta di seta blu scendeva
sopra i jeans.
Fece un cenno di saluto abbozzando un
sorriso verso di lui. Anche lei non allungò la mano per stringerla a
nessuno. Il luogo non era favorevole.
"Dottor Garosio, direi che possiamo
cominciare..." aveva pronunciato a mezza voce l'ispettrice.
Quindi l'avevano seguito verso la seconda
porta a destra. L'interno assomigliava ad un archivio. Uno stretto corridoio
centrale e, su entrambi i lati, dei riquadri metallici con maniglia cromata.
Il freddo era intenso.
Era l'ultima botola a destra. Fece forza
tirando la maniglia. Ne venne fuori una struttura incernierata su guide rigide
silenziose. Tranne un leggero fruscio metallico.
Ora una barella stava sospesa nel vuoto.
Coperta da un lenzuolo bianco.
Mentre veniva tirata fuori parve
diffondersi un'ulteriore ventata gelida.
Nel frattempo Garosio aveva rinfilato i
guanti. Se li stava sistemando, aiutandosi
con le dita a scorrere fin in fondo. Fece una digitazione con entrambe
le dita nell'aria, per prova. Guardò in volto
l'unico sconosciuto. Quando ritenne che il momento fosse maturo per
l'esibizione, fece scorrere un poco il lenzuolo, quel tanto che era necessario
per mostrare il volto che stava riposando perdutamente lì.
Le palpebre erano ora abbassate. Le labbra chiuse. L'ecchimosi faceva però ancora
corona allo zigomo spappolato..
Distesa all'infinito quella figura
martoriata se ne stava lì, tutta raccolta e compunta, rattrappita
inesorabilmente nella sua rigidità gelata. Pareva trattenere il fiato, tanto
era immobile. Tanto definitivamente e in modo assoluto tutto si era fermato. E
stava sospeso a mezz'aria. Come un
accordo di violini e violoncelli, sfregati sulle corde stridenti della pece
greca dei crini dell'archetto; o un cigolio di porte interrotto bruscamente, ad
un silenzio improvviso e totale, un
vuoto profondo aleggiava.
Una maschera troppo immobile, che esibiva
con amarezza il proprio esacerbato disappunto.
Con le mani guantate che gesticolavano
lievemente, rivolte verso l'alto come dei burattini, Garosio si attardò in una
superflua descrizione del calvario registrato su quel corpo.
A lui rimasero impressi alcuni
particolari. I colpi ripetuti con calci e oggetti contundenti sul capo e al
ventre. Lo spappolamento del fegato e la frattura del primo anello cervicale.
"... queste poverine sono spesso ridotte in stato pietoso e miserevole,
anche quando non vengono decisamente uccise.... La modalità e abbastanza
diffusa in questi contesti. La “materia prima” non manca a questi criminali. O
ti pieghi o ti spezzi. Ci sono già tante pedine di ricambio pronte a
partire..."
Il burattini di quelle dita guantate
mimavano la macabra pantomima della feroce esecuzione. Picchiare selvaggiamente
per incutere terrore, soggiogare completamente, spezzare ogni volontà, rendere
totalmente succube la propria preda. Finché agisce come un automa. Oppure non
si muove più del tutto.
Ma chi aveva motivo di brutalizzare così
una donna? Questa donna? Quella donna che aveva abitato questo corpo martoriato
qui. E perché? Quale situazione così tremenda poteva averlo spinto?
Garosio prese ad abbassare ulteriormente
il lenzuolo, scoprendo altre devastazioni sulle spalle, lo sterno e il
petto....
Lui si era girato guardando in basso,
dalla parte opposta. L'ispettrice aveva interrotto il medico legale.
"Credo possa bastare così. La ringrazio…"
Poi gli si era avvicinata appoggiandogli
una mano sul braccio. Anche la mediatrice gli aveva posato una mano sulla
spalla. Uscirono nell'atrio. Poi tornarono all'aperto.
Le due donne si accesero una sigaretta
ciascuna. La giovane provò ad offrirne una; ma ne ebbe un diniego con un cenno
veloce del capo e le dita leggermente alzate.
"Mi sono tornate in mente scene che
ritenevo terribili; massacri di cavalli e di bovini abbattuti con un colpo alla
nuca; foche uccise a bastonate sul pack gelato; tonnare con arpioni che
afferravano, trascinavano e scarnificavano.... Il tutto inondato di sangue.
Terribile. E questo corpo è stato un essere umano! …
Mi aveva raccontato frammenti della sua
infanzia della sua adolescenza in quella terra lontana. Diceva cose autentiche
con semplicità genuina. Per un attimo fuggevole sono stato in comunicazione con
la sua essenza vitale. Con la sua anima. Ho raccontato anch'io, a quella voce e
a quel volto, briciole della mia umanità.
Non capisco e non accetto. Mi si è acceso
come un fuoco dentro; ho bisogno di sapere; ne va della nostra umanità di
persone."
Era rimasto in silenzio qualche istante,
sembrava che stesse guardando dentro di sé, cercando pezzetti di ricordi,
provando a farmi rivivere.
Poi alzò lo sguardo. La poliziotta doveva
essere abbastanza abituata a situazioni e a scene del genere. Eppure era
turbata.
Quindi la giovane si mise a parlare.
"Episodi di questo genere stanno
diventando abbastanza frequenti anche qui nella nostra città. Nell'ultimo anno
quattro massacri. Due donne nigeriane. Un transessuale brasiliano. Una ragazza
albanese. Di tutti loro conoscevamo le storie.
Molte
vengono dalla Nigeria. In
grandissima parte. Donne e ragazze minorenni. Spesso è addirittura qualche
membro della famiglia il responsabile primo.
Genitori snaturati, che non si curano
delle notizie che comunque circolano su quel genere di "viaggi".
Fratelli, sorelle, madrine. Conoscenti. Offrono la soluzione.
Sono donne e ragazze che vogliono fuggire
da una vita impossibile, di povertà,
fame e stenti. Che desiderano e cercano disperatamente una soluzione per la
propria vita: un lavoro da badante, da infermiera, da cameriera.... Una realtà
nella quale possano riprendere e continuare gli studi.
Vengono messe in contatto quindi con
persone "rispettabili"; nei modi e nell'abbigliamento. Quella persona
sa tranquillizzare, rassicurare, togliere qualsiasi dubbio. Le aiuta con
sicurezza e decisione a continuare a cullare il proprio sogno.
"Ma certo che è possibile. Devi
stare assolutamente tranquilla penso io a tutto."
Il loro aspetto é certamente
rassicurante. Modi garbati, abiti eleganti, auto signorili....
È quasi impossibile non fidarsi di loro.
"So io con chi parlare, sistemerò io le cose per benino; tranquilla".
Quando ricompaiono forniscono in
formazioni operative dettagliate: come fare per il passaporto, a chi
rivolgersi, a nome di chi....
I dubbi vengono fugati subito: "Ma
tutto questo... quanto mi costerà?". Gli occhi e il viso dell'uomo della provvidenza,
fanno un leggero cenno di ulteriore rassicurazione, con noncuranza. "Ti
ripeto: lascia fare a me. Penso a tutto io, no? So che posso fidarmi, conosco
la tua famiglia. Sono certo che mi restituirai tutto. E con tutti i soldi che
guadagnerai...; tu devi solo stare tranquilla e lasciare fare a me...".
Non è possibile non fidarsi. Di una
persona così perbene, poi.
Anche la speranza gioca ai loro danni.
Hanno molto, troppo bisogno di credere che sia possibile. Il dubbio non le
sfiora neppure per un istante. È quello che hanno sempre desiderato. Molte
persone ormai sono partite. Fra breve sarà il loro turno.
Le tappe e i passaggi sono cadenzati da
brevi pause di qualche giorno. Vengono presentati i nuovi personaggi
raccomandati da quella persona importante. Ciascuno di loro fornisce
indicazioni, rassicurazioni, istruzioni.
I toni e i modi diventano solo
gradualmente più categorici. Le disposizioni diventano più brusche, definitive
e impossibili da discutere.
Anche l'aspetto di questi ultimi perde
gradualmente la rispettabilità.
Ma ormai il percorso è iniziato. Indietro
non si torna. Il sogno e la speranza pungolano con urgenza e insistenza.
Adombrando qualsiasi ombra di dubbio.
Potranno finalmente andare in quel
paese dell'Europa che avevano da tempo fantasticato.
Saranno cameriere, badanti, impiegate. Potranno iniziare o continuare i propri
studi per raggiungere diplomi di prestigio.
Sono molto contente di essersi decise
finalmente a imboccare questa strada.
Qua e là, ogni tanto qualche elemento
imprevisto. No, non andranno in quel paese, ma in un altro, solo per un po',
naturalmente. Non sarà un viaggio in aereo; sono cambiate le disposizioni;
meglio così. Non è ammessa replica. I modi diventano sempre più categorici. Le
perplessità vengono rintuzzate sempre di più con frasi ed espressioni brusche.
Fino a sfiorare la brutalità.
Iniziano gli spostamenti; verso basi
temporanee che le ospitano da qualche giorno a diverse settimane o mesi. Lunghi
periodi vuoti. Trattamenti sempre più sgarbati. Lunghi trasferimenti con
furgoni, fuoristrada, autobus. Estenuanti marce di ore nei deserti.
I loro passaporti vengono ritirati per
prudenza; per essere conservati dagli accompagnatori.
Qualche lampo di dubbio, ancora, in
qualcuna di loro. Alle domande, ai dubbi e alle perplessità viene risposto di
stare zitte, di non rompere le scatole; credono forse che andranno a fare le
principesse? Non l'hanno ancora capito dove andranno a a fare che cosa?
E se non bastano queste parole crude:
arrivano le prime sberle; i primi pestaggi brutali. Che servono anche ad
esempio alle altre. E che non si provino a scappare. Per quell'avventura loro
ormai hanno pagato un sacco di soldi; che gli dovranno essere restituiti
sull'unghia fino all'ultimo. Fino alle ultime affermazioni ancora più
esplicite. Sono state comprate; sono diventate " roba" loro.
Con continui passaggi di di condizioni;
fino alla consegna alle "madame" finali. Nuove discussioni sui prezzi
della "merce" scambiata.
La situazione finale è allucinante e
terrificante. Dovranno cifre astronomiche alle loro maitresse. Comprensivi del
viaggio, dell'alloggio, della sistemazione, dei servizi..., dei preservativi.
Ogni volontà viene piegata, repressa, soffocata. Qualsiasi ribellione castrata.
In tutte le fasi ai maltrattamenti si aggiunge
l'incubo che possano rivalersi sulle loro famiglie.
Per quelle che ci credono, che sono per
la maggior parte africane, il rito voodoo.
Le botte feroci poi sono lo strumento
abituale per domarle.
Il loro debito continua a lievitare
all'infinito."
Clara ha fatto questo racconto tutto d'un fiato. Seguendo un
canovaccio che ormai conosce a menadito. Ha parlato con voce calma e fredda.
Le parole, come sciabolate, hanno
squarciato un velario di apparente normalità. Dietro il quale giace un inferno
allucinante.
Orazio è rimasto in sur place ad
ascoltare. Paralizzato. Fissando un punto fermo del vuoto.
"... è agghiacciante tutto questo...
ma cosa c'entra con Olga? Vuol dire che lei pensa.... Ma, non mi sembra
possibile..!".
Rimangono tutti e tre in silenzio.
"... non possiamo saperlo.... Ma
storie così sono molto frequenti e diffuse. Tenga conto, poi, che quasi tutte
queste donne, non sanno a cosa stanno andando incontro.... Fino alla fine,
voglio dire.... Fino a quando verranno cacciate nella strada o in squallidi
appartamenti perché i loro corpi vengano usati a pagamento....".
Un altro tipo di freddo e di gelo alita
intorno. Orazio vi si sente sospeso. Tremendo; come quello che ha sentito e
respirato nella cella mortuaria dell'obitorio.
Devastante e assoluto.
"Non posso accettare tutto questo.
Devo sapere. Mi sconvolge l'esistenza. Non sapevo chi davvero fosse quella
persona, eppure le ho parlato e ho sfiorato la sua conoscenza. A questo punto
voglio andare fino in fondo. Non so neppure che cosa possa comportare, tutto
questo."
Le due donne lo stavano guardando con
comprensione.
Fu di nuovo Clara a parlare. "Io ho
scelto questa dimensione nella quale operare a lavorare. Mi creda, sono
profondamente motivata. Lei, certamente, nella vita svolgerà altre attività. Avrà
il suo lavoro. Non mi importa quale. Ma la sua reazione emotiva rivela come lei
si sente e sia profondamente coinvolto. Ben venga qualsiasi aiuto da chiunque.
Se lei vorrà mi terrò in contatto con lei."
Aspettava un avallo e un cenno di assenso
da parte dell'ispettrice . La dottoressa Ragusa guardò entrambi. Poi,
stringendo leggermente le labbra, fece segno di sì. "Ci è indispensabile
la collaborazione di chiunque. Dal mio punto di vista di funzionaria, per
raggiungere e soddisfare verità e giustizia. Come persona e come donna per
l'indignazione verso tutto questo. Sono d'accordo con lei Clara: chiunque ci
può e ci deve aiutare. Se il signor Berardi se la sentirà."
Una trama indefinita si stava tendendo.
Orazio la percepiva senza ancora individuarne i connotati. Sentiva che
assolutamente non avrebbe potuto tirarsi indietro. Che non l'avrebbe voluto.
"Io nella vita faccio tutt'altro. Ma
nella vita ci vivo anche. Per quel poco che posso fare, potete contare entrambe
su di me."
Clara gli tese la mano con un sorriso
mesto ma insieme dolcissimo: "La ringrazio. Credo che ci sentiremo molto
presto. Ci terremo in contatto dottoressa."
Si guardarono tutti e tre con aria
complice. Un patto si era stipulato. Tre esseri umani stavano provando a
buttare all'aria una catena dannata. Tra loro in sintonia. Con la
determinazione della speranza. Un'impresa disperata, donchisciottesca forse; ma
possibile. Tutte le grandi imprese, d’altronde, hanno avuto un input iniziale.
Una presa di coscienza. Un'intuizione.
«
Mamma cara, come vedi queste settimane non sono riuscita a telefonarti.
Approfitto di una pausa per buttar giù due righe.
Qui all'istituto
tutto bene: le lezioni e i compiti sono un po' pesanti; la sera mi tocca star
su fino a tardi a scrivere e studiare;
nel tempo libero aiuto nei lavori di cucina e di pulizia. Così mi riducono la
retta, e non peso troppo su di te e sulla famiglia. Non so se te l'avevo già
detto al telefono, ma mi sono fatta una nuova amica. Si chiama Nadia, ma non mi
ricordo da quale paese venga. La conoscevo già di vista alle scuole superiori.
È più avanti di me nei corsi di un anno. Ma riusciamo lo stesso a vederci
nell'intervallo delle lezioni e alla mensa. Con lei mi sono trovata subito. Ci
fidiamo l'una dell'altra. Le ho raccontato tutto, di voi, della vita al paese.
Le ho anche accennato alla scomparsa di papà. Sì, so che la cosa ti darà
fastidio, ma gliel'ho raccontato lo stesso. Lei è figlia di divorziati, e sua
madre sta con uno più grande di lei; uno che conta nel partito; e anche
riuscito a farle avere un lavoro come bidella e cuoca in una scuola elementare.
Insomma, ci raccontiamo tutto, così mi sento meno sola, e tu e Alessia mi
mancate meno.
La professoressa
di chimica e fisica ha molta simpatia per me. Quando interroga qualcuno o
qualcuna, se non sanno rispondere bene lei dice: "dài, Olga, spiegagli tu
...". Io, naturalmente, sono un
po' imbarazzata. Ho paura che poi gli altri in classe mi guardino con
antipatia. Però non capita quasi mai. Così, ti stavo dicendo, questa
professoressa già diverse volte mi ha detto: "Ragazza mia, tu sei sprecata
se, dopo il diploma tecnico, lasci stare.... Devi andare all'università,
continuare gli studi, laurearti.... Con le tue capacità senz'altro riuscirai
superare il concorso.... Così ti trovi un posto sicuro, statale.... Potresti
anche iscriverti al partito.... Una cosa aiuta l'altra.... Ma, soprattutto,
devi andar avanti fino all'università...."
Quando mi dice
queste cose io sono molto contenta, gratificata. Ma allo stesso tempo ho anche
tanta paura. Come posso andar avanti all'università? Ho sentito che bisogna
vincere il concorso per l'ammissione. E pare non sia molto facile ottenere il
sussidio e la borsa di studio. Mah, poi si vedrà. Per adesso mi impegno più che
posso, così un altr'anno riuscirò a prendere il diploma senza troppe
difficoltà.
Quel ragazzo di
cui ti avevo parlato,ti ricordi, no? Beh, non l'ho più incontrato. Voglio dire,
solo qualche volta da lontano ci siamo scambiati un saluto, tutto qui.
Sono contenta che
Alessia si sia ripresa, che non abbia più la febbre e possa tornare a scuola.
Io, per me, sto
benissimo. A parte qualche emicrania o i soliti disturbi. Ma tu non sai che non
ho mai sofferto troppo. Figurati che anche in quei momenti riesco a fare
educazione fisica...
Ma, parliamo un
po' di te adesso. Che è il motivo principale per cui ti sto scrivendo. Ti
stanchi sempre tanto con il tuo lavoro? Hai preso sempre quelle medicine che ti
hanno dato? Lo sai che ti voglio tanto bene, mammina? È anche Alessia te ne
vuole. La prossima volta che ritorno ti voglio vedere in forma, neh? Senza
quelle cose lì, che non dormi, che passi la notte a piangere, e ti viene sempre
in mente lui.... Dài, mamma, lascialo perdere. Che non se lo merita proprio che
tu stai male così per lui. Anche per me e per mia sorella è stata una cosa
bruttissima. Ma dobbiamo farcene una ragione.
«Non ce la faccio
più con questa vita qui con voi. Ho deciso di andar via. Per sempre. Quindi è
meglio che non mi cercate. Provo a
rifarmi un'altra vita. Sono sicuro che
questa volta sarò più felice e più fortunato. E lo auguro anche a voi.»
Sì, quelle parole
le ho imparate a memoria. Tutte e tre le abbiamo imparate a memoria.
Adesso, però, ti
abbraccio. Spero di riuscire a telefonarti. Dai un bacio a mia sorella.
Olga
4.
AMANTE GELOSO?
Per tutta la mattina, mentre caricava i
dati nel computer da tavolo, l'immagine di Olga, come lui l’aveva conosciuta al
self-service, gli si continuava a muovere dentro. A tratti i lineamenti di quel
viso aggraziato si mescolavano con quelli deformati dell'immagine congelata che
gli era stata da poi presentata. Il volto rigido dalle palpebre abbassate, la
macchia scura dello zigomo devastato, spodestavano violentemente quel cenno di
sorriso in sur place. Quell'accento marcato nella voce flautata e cantilenata,
mentre articolava le frasi, cercando l'espressione e la parola giusta. E non riusciva a
sovrapporre la fisionomia desolata a quello sguardo gentile. Ogni volta uno
scarto violento impediva alle due dimensioni di realtà di raggiungere una
qualsiasi coincidenza. Non poteva esistere congruenza.
Le pagine scannerizzate finivano ogni
volta per trovare il proprio posto. Corredate da brevi notazioni digitate in
tastiera. Il database ingoiava tutto. E tornava immediatamente pronto con la
schermata di routine che invitava a caricare altre informazioni.
Alla incompatibilità e incongruenza dei
due volti, si aggiungeva poi quella carrellata di tappe successive verso
l'inferno. Come le aveva descritte quella Clara. Nell'ipotesi che aveva voluto
ventilare. Anch'essa profondamente improbabile.
Un volto vivo. Esotico, garbato, con
qualche sfumatura di perplessità. Che lo rendeva ancora più desiderabile. Con
un che di indefinito, sospeso a mezz'aria, quasi titubante ad aspettare
l'attimo successivo. In una dimensione di incertezza ricca di garbo. Un cenno
di stupore frenato. Come sanno essere a volte i momenti dell'esistenza. In cui
nulla è sicuro in modo definitivo. Ogni istante è un'ipotesi. Quelli nuovi come
quelli appena consumati. Sì, riusciva ancora a sentire e a provare quelle
emozioni appena abbozzate che tremavano nell'aria. Quel qualcosa che non aveva
ancora iniziato ad esistere, e già tentennava incerto. Quasi volesse tornare
indietro. In un prima e in un dopo senza soluzione di continuità. In un vagheggiamento
sospeso. Intriso di brevi effluvi di speranza. Subito rallentati con cautela.
Accostò all'orecchio il portatile che
aveva cominciato a ronzare. Reggendolo con la spalla mentre continuava a suo
guardare lo schermo. Le mascherine andavano riempiendosi dei testi digitati. Il
cursore pronto scattava nella casella successiva. Lampeggiante in attesa del
nuovo input.
"... Sì...? ... ah... sto caricando
quelle stronzate che m'ha dato da poco il " master".... Beh, sì, che
adesso lo sto facendo.... È una routine talmente monotona e abituale che puoi
farla benissimo mentre chiacchieri... o pensi ai cazzi tuoi.... Sì, oggi l'ha
proprio rifilata a me questa brodaglia.... Mica voleva disturbare la sua
amichetta, no?
Incazzato? No, perché mai dovrei esserlo?
No, non direi proprio. O, almeno, non incazzato. Così, stavo seguendo dei miei
pensieri. Sì, certo, ancora con quella faccenda là. E allora? Che cazzo ci devo
fare? Beh, io sono fatto proprio così! No, dài, scusa.... Ah è per quello che
chiamavi ? Va bene, d'accordo. Ok ok ok... Magari evitando di annunciarlo col
megafono... no, voglio dire, meglio se ci vediamo direttamente là, no?....
Così, senza un motivo preciso. Non mi va particolarmente che questi cazzuti qui
debbano sapere con chi sono andato a pranzare.... No, tutti quanti. Non la
principessa in particolare! Con lei la cosa e chiusa da tempo."
Stava per aggiungere «quella è una storia
morta e seppellita», ma si bloccò in tempo. Gli apparve come un flash quella
brandina gelata che usciva dal suo cunicolo. Restava sospesa a mezz'aria. Tirò
mentalmente in su quel lenzuolo a coprire il volto sfigurato.
".... Certo... va bene... allora
restiamo d'accordo così.... Ok ok ok..."
Si accorse che un po' lo disturbava
l'idea di consumare il suo spuntino insieme a lei, nella pausa pranzo. Poi, gli
sembrò che quasi gli facesse piacere, prendere un po' le distanze da
quell'immagine malata di morte, coperta inesorabilmente dal suo sudario.
Pranzare insieme era stato spesso anche
un abbozzo di proposta interlocutoria. Un primo passo. Piluccando con la
forchetta svogliatamente nella ciotola un pezzo di uovo sodo o una foglia
d'insalata, gli avrebbe detto, con quello sguardo insinuante: "Stasera
sono libera. Va in palestra il macho. A rifarsi i muscoli. Posso venire un salto
da te."
Non era la prima volta. Una scopata senza
gusto particolare. Con l'afrore del suo sesso caldo. Mescolato a quel profumo
intenso e inebriante. Che gli lasciava un alone morboso nell'aria e nelle
lenzuola. Parole dolci e rituali. Di maniera. Prima. Dopo si sarebbe accesa una
di quelle sue sigarette magre lunghe con la carta colorata. Lui sarebbe andato
a cercare un portacenere. Nudo. A piedi scalzi. Col gelo al passare dal parquet
della camera alla marmiglia del salotto.
Avrebbe raccattato nel frigo una birra
gelata. Da bere a canna. Passandone qualche boccata anche a lei. Che non sapeva
adattare le labbra al collo della bottiglia. E si sarebbe riempito la bocca,
staccandola subito.
Quella bocca che avrebbe baciato
intensamente, durante i preliminari. Poi l'avrebbe baciata sul collo
mordicchiandole lobi delle orecchie.
Doveva ricordarsi di dirle di infilarsi di nuovo gli orecchini. Il macho
avrebbe potuto anche sospettare se li avesse dimenticati un'altra volta.
Quei baci che avevano un altro sapore
durante i giochi erotici. Lo infastidiva un po' che le labbra di lei odorassero
del suo sesso.
Anche lei gli diceva, meno schizzinosa: «
... hai l'odore di me...». E sorrideva sorniona.
Era appena arrivato a casa. Stava per
infilarsi nel vapore bollente della sauna. Aveva lasciato cadere accanto al
letto i calzoni e la camicia. Il primo squillo arrivò mentre si toglieva i
boxer.
".... Sì? Sono Orazio Berardi... ah,
la signorina Florio, sì Clara,... va bene... senza signorina...
d'accordo…"
Era ritornato in bagno. Il cristallo
sintetico conteneva la nuvola bollente. Che pulsava con un leggero turbinio.
Vide il proprio corpo nudo nello specchio. Dove l'immagine del suo sosia
reggeva il cellulare all'altro orecchio. Simmetrica. Riuscì a mettere a fuoco i
lineamenti di quel volto che gli stava parlando.
".... Beh, anch'io avevo una mezza
idea di chiamarla... così, per sapere se c'era qualcosa di nuovo.... Ah, la
commissaria... cioè volevo dire l'ispettrice... ah, delle nuove ipotesi... beh, certo, capisco...
scopo passionale.... Mah, non saprei dire, comunque mi sembra un po' più
probabile di quelle storie terribili che lei mi stava raccontando l'altro
giorno.... No, assolutamente no, mi creda, non voleva assolutamente essere una
critica... no di certo.... È logico... lei si occupa di quei casi.... Beh,
diciamo magari domani, quando stacco dal mio lavoro, tra le sei e le sette....
Va bene anche per lei? Ma sì, certo, possiamo prendere qualcosa insieme, un
caffè... un aperitivo... ma certo, ottimo, una pizza non ci sta male per
niente.... Vuole che passi a prenderla io? Ok, me lo segno qui, via Spreafico
119, ok, appena sono lì sotto le faccio uno squillo. Va bene, allora, restiamo
d'accordo così, domani sera alle 19.30. Perfetto. Ma di niente, s'immagini. Arrivederci.
Buona serata anche a lei."
Il caldo nella sauna era terrificante.
Lasciò la porta curva di cristallo socchiusa mentre abbassava la temperatura.
Il vapore fuoriuscito stava cominciando a imperlare la superficie dello
specchio. In quel vapore addensato adagiò delicatamente quel sorriso sfumato e
ormai così lontano.
Quindi serrò il vetro che scivolò sulle
guide. Rimanendo immerso a galleggiare
nella sua pentola a pressione.
Rada!!!
Amica mia! Finalmente ti sei decisa a rispondermi! Ce ne hai messo però di
tempo! Ti ho scritto una cartolina dal campo estivo durante le vacanze. E tu
niente! Poi, sarà stato a settembre..., beh quando ho provato a telefonarti tuo
fratello Silvestru mi ha promesso che te l'avrebbe detto. E mi ha assicurato
che entro qualche giorno mi avresti chiamato tu...
Beh, ma non fa
niente. Non puoi immaginare quanto sono stata contenta quando ho visto la tua
cartolina postale. E dietro ci ho letto il tuo nome: Rada.
E così ti sei
decisa alla fine? Pavel...! È da quando facevate le elementari che ti stava
dietro. Mi vengono in mente quei bigliettini stropicciati, che leggevamo di
nascosto...:
«anche questa
notte, Rada, ti ho sognata... Mi fai impazzire. Ti aspetto domani alla solita
ora dietro il cortile del barbiere. Ti voglio raccontare il mio sogno.... Come
quello dell'altra volta..., ma ancora più bello..!». Questo non riuscirò mai a
dimenticarlo. Ci ho pensato e ripensato chissà quante volte..!
Me l'aspettavo,
sai? che tuo padre facesse tante storie. Ma alla fine ha dovuto cedere! Eureka!
Non credo di
riuscire ad esserci per la vostra promessa di fidanzamento. No, lo sai che
vorrei tanto, ma non riesco proprio a tornare per quel giorno. Qui va tutto
come al solito.
La borsa di
studio non è stata sufficiente a coprire tutte le spese. Mia madre deve
rimetterci ancora qualcosa; o meglio, credo lei e mia sorella Alessia.... Loro
dicono che sono contente di fare un sacrificio per me. Ma tu non puoi
immaginare quanto mi scoccia. Io qui a fare la bella vita, anche se studio
sempre come una matta. Lo sai che finora sono perfettamente a posto con gli
esami? E tutti con il massimo dei voti? C'è un professore anziano che mi guarda
sempre con occhi gentili. Beh, sai cosa voglio dire, no? Mi dice sempre di non
avere paura, che posso chiedere consiglio a lui, che se voglio avere la tesi
con lui e molto contento, che un giorno di questi mi aspetta nel suo studio e
ne parliamo....
Ma a me non piace
il suo modo di guardare; quei suoi sorrisetti maliziosi. È basso,un po' pelato
sulla testa, con la barbetta a punta e gli occhiali dorati. Figurati che ha
anche la pancia! Be', non proprio tanto, ma un po'. Credo proprio che la tesi
non la chiederò a lui. Ha un'aria viscida e appiccicosa che mi fa schifo.
No; io uomini per
il momento niente. Beh, tranne qualche cosa senza importanza; qualche
strusciamento e qualche bacio; specie alle feste di dipartimento. Ma niente che
mi interessi davvero. Ah, c'era uno che stava cominciando ad interessarmi un
po'. Ma poi una volte stato un po' cafone..., dicendo una frase che aveva un
doppio senso volgare.... E chi s'è visto s'è visto!
Rada! La mia
Rada. La mia amica del cuore!
È pesante il
lavoro alla fabbrica? Beh, appena ti
avranno assunto definitivamente, potrete cominciare a fare dei progetti con
Pavel... per metter su casa.... O, al massimo, vista la grande difficoltà ad
avere un alloggio, magari per un po' di tempo potrete vivere in casa con i
tuoi. O con i suoi.
Me lo dicevano
anche delle altre mie amiche che ci sono delle liste d'attesa lunghissime, per
avere un buco dove andare ad abitare. A meno che hai degli appoggi; degli
agganci con qualcuno importante; qualcuno che conta, dentro all'apparato.... Ma
è meglio non fidarsi mai! Anche quelli i favori non li fanno mai gratis!
A dir la verità,
quasi quasi stamattina mi era venuto un presentimento. Il cielo era bello
azzurro e c’era un solicello tiepido che carezzava nel freddo pungente. «Vuoi
vedere che oggi mi succede qualcosa di bello?» Tu lo dicevi sempre che io ho un
po' un sesto senso.... Dicevi che ero un po' maga. Che sono un po' una mezza
strega.
E avevo intuito
giusto. La tua cartolina postale è stata un regalo bellissimo.
Alle prossime
vacanze, quando torno, voglio fare ancora quelle belle e lunghe chiacchierate
con te.
Ah, mi ero
dimenticata di dirtelo. Oltre alla borsa di studio e a quello che mi mandano
mia madre e Alessia, arrotondo un pochino facendo dei lavoretti qui alla casa
dello studente. Qualche ora al giorno. Le pulizie nelle camere, e, quando gli
orari delle lezioni me lo permettono, servire alla mensa. Ma non è per niente
pesante. Specie in confronto al tuo lavoro alla fabbrica. E poi non sono
costretta a respirare i fumi e le polveri puzzolenti come fai tu.
Purché alla fine,
quando avrò finalmente il diploma di laurea, non sia troppo lunga e faticosa la
trafila per trovare un posto fisso di lavoro.
Ma diamo tempo al
tempo!
Mi rendo conto
che non ti ho detto niente di speciale. Chiacchierare con te,sedute
insieme sul tuo letto in camera, o sulla
panchina dei giardini... e tutta un'altra cosa!
Beh, per adesso
ti lascio. Ti abbraccio. E ti stringo forte.
A presto.
Olga
5.
Gli erano tornati in mente diverse volte,
durante la mattinata in ufficio, alcuni spezzoni e frammenti della precedente
serata.
Dopo la telefonata di Clara si era sentito
come impacciato e sporco. Nell'accingersi ai preparativi per la serata di
tradimenti con la collega compiacente. Era stato addirittura sul punto di
chiamarla. Inventando un pretesto qualsiasi. Ma nulla di abbastanza imprevisto
gli era venuto in mente, come pretesto che potesse apparire adeguato. Perciò
aveva continuato a piccoli passi a compiere i preparativi abituali. Aveva messo
a rinfrescare nel freezer una bottiglia di carta nevada. Aveva preparato sul
tavolino in salotto un piattino con delle fette di salmone affumicato. Un
barattolo già aperto di uova di lompo. Un panetto di burro. Delle fette di
pane.
Il fumo intenso e pungente dei piccoli
cunei di sandalo alla rosa, si andava diffondendo. Era già arrivato anche in
camera. Qui aveva lasciato indietro il copriletto e il lenzuolo di sopra.
Ma tutti questi passaggi li aveva sentiti
stonati e fuori luogo. Una catena a tappe prestabilite. Fastidiosa e falsa.
Gli era più volte tornato davanti il
volto della mediatrice. Clara, o come si chiamava quella tipa. Col suo sguardo
trasparente e pulito. Che guardava diretto senza mezzi termini. Quegli occhi
nei quali sembravano apparire le immagini dolorose alle quali era abituata.
Compresa quell'immagine martoriata. Che lui conosceva. Che aveva conosciuto
nella sua brutale trasformazione. E, ogni volta, era come se gli venisse
l'impulso di chiudere gli occhi, abbassando le palpebre per non vedere, tirando
su di nuovo quel lenzuolo su quella macchia di dolore assoluto ed eterno. Che
era stata una persona. Che era stata un ricordo dolce e morbido.
Non riusciva più a ricordare le sequenze,
lì in ufficio, del rituale di sesso trasgressivo. Come di una routine fin
troppo abituale e priva di significato autentico.
Dalla stampante, ora, usciva un listato
dove comparivano, secondo una loro logica, i dati che ieri aveva caricato. Le
memorie del database avevano vomitato le loro informazioni. Utilissime per
l'azienda. Totalmente indifferenti ed estranee a quello che era lui in quel
momento. A come si sentiva. Alle emozioni mescolate che gli turbinavano dentro.
Tenerezza. Nostalgia di qualcosa che non era mai avvenuto. Malinconia e
mestizia. Curiosità pacata verso quella giovane donna che avrebbe visto, di li
a poco. Con la quale avrebbe cenato. Che gli avrebbe riaperto scenari pieni di
ferite e di sofferenze. Che gli avrebbe raccontato storie che lui avrebbe
davvero preferito ignorare.
Le nuove ipotesi dell'ispettrice. La
poliziotta dal volto abbronzato,
grondante di ori e gioielli, massicci e pesanti.
Con quel suo sguardo fermo e sicuro.
Deciso e determinato. Sfiorato, a tratti, da qualche luccichio di umanità.
L'ipotesi di un omicidio a scopo
passionale.... Passionale. Frutto di gelosia? Quella era pure una passione!
Malata e mostruosa. Un uomo geloso? Che
non voleva esser abbandonato? Che voleva punire con ferocia un tradimento? Vero
o presunto?
Non riusciva, però, a concepire quella cosa. Non riusciva , per
quanto ci provasse, a immedesimarsi nell'ipotetico uomo tradito. A individuare,
figurarsi, descriversi e raccontarsi le sue emozioni e sensazioni. Neanche la
sagoma e il profilo riusciva a a mettere
a fuoco. Era come un'ombra. Carica di livore, di odio e di rabbia. Di bestiale
disperazione. Di angosciante paura di abbandono. Un uomo fragile che vedeva il
suo mondo vacillare, nel venir meno di quella presenza femminile.
Solo questo riusciva ora Orazio a
sentire. La tenerezza che doveva avere diffuso Olga agli uomini o all'uomo che
l'avevano conosciuta. E il senso di vuoto immenso che doveva provocare quella
perdita. A lui quel ricordo dava solo un'amarezza infinita. Una desolazione
piena di nostalgia per un bene prezioso che gli era apparso di sfuggita; e che
era svanito violentemente; lasciando solo un lenzuolo di lutto.
Ma questo non riusciva assolutamente a
raffigurarsi: la paura della perdita trasformata in uragano distruttore. Il
raptus rabbioso e feroce che aveva scatenato la belva. Il suo infierire con
colpi.... Delle mani, raccolte a pugno, dei calci violenti e rabbiosi, delle
botte ripetute all'infinito su un corpo sempre più massacrato e devastato..
Certo, un quadro desolante. Ma, forse,
un'alternativa più credibile rispetto alle vicende che il racconto Clara gli
aveva fatto balenare.
Olga ridotta alla prostituzione; che si
ribellava; e veniva uccisa a botte!
Le sue
parole avevano squarciato uno scenario di normalità. Rivelando un girone infernale e
allucinante.
Agghiacciante. Ma cosa poteva c'entrare
tutto quello con Olga? Non era
possibile. Clara poteva averlo pensato, ipotizzato; solo come congettura.
Olga non poteva essere stata una
prostituta. Questo assolutamente non lo poteva accettare.
Anche il solo pensarlo gli ripugnava.
Prostituta. Una donna che concede per
soldi i suoi favori, la sua tenerezza femminile e muliebre. Che fa come
mestiere sesso a pagamento!
Non era possibile!
Come avrebbero potuto costringerla ad
un'attività così ignobile?
Forse avrebbe anche potuto concepire che
una donna diversa, da quella che lui aveva fugacemente conosciuto incontrato,
raggiungesse quel livello di degradazione. Per bisogno, forse. Per necessità.
Aiutata magari da una naturale predisposizione per pratiche libidinose.
Lui non ne aveva mai conosciute né
frequentate. Le aveva solo intraviste di sfuggita, con un senso di profonda
pietà e malinconia.
Trovando stridente l'abbigliamento
ostentatamente erotico, le minigonne quasi inesistenti, il trucco esagerato ed
eccessivo. Gli erano parse delle macchiette, delle caricature della sessualità
esibita. Apparivano sorridenti nei loro gesti di adescamento.
Quella gestualità, per quanto eccessiva,
insieme all'esibizione di nudità fuori luogo, l'aveva però,
contraddittoriamente anche stuzzicato.
Come certo abbigliamento che, talvolta,
qualche sua occasionale avventura gli aveva rivelato.
Calze autoreggenti. O addirittura
reggicalze. Tanga microscopici, con la parte posteriore filiforme, che finiva
per scomparire nel solco delle natiche. Come certe immagini pubblicitarie
intenzionalmente provocatorie.., Fuori contesto.
Agiva dunque così, l'abbigliamento di
quel tipo, sui clienti in cerca di sesso a pagamento? Sul bordo della strada,
su un marciapiede, donne appariscenti e seminude che invitano con cenni e
sorrisi suadenti....
Provò a pensarli quei clienti. Uomini
troppo impacciati e vergognosi per relazione autentiche? Mariti insoddisfatti
con mogli che amministrano la casa; con le quali hanno concepito dei figli, ma
con le quali non hanno mai giocato il piacere del sesso ? Perbenisti ipocriti, che cercano di
realizzare fantasie erotiche, impraticabili nel letto di casa? Squallidi xenofobi,
fautori del reato di clandestinità, che desiderano soddisfare le proprie voglie
di possesso e di dominio totale su una donna di colore? Come su una schiava?
Perché hanno profondamente paura di un rapporto alla pari con una donna?
Soprattutto con la propria moglie?
Il luogo comune che definisce la
prostituzione il mestiere più antico del mondo, dimentica forse di definire lo
squallore della clientela.
Ma, anche in questa miseria, potrebbero,
al massimo, essere tollerabili prostitute che scelgono liberamente
quell'attività.
Ma Clara parlava di qualcos'altro!
E poi, cosa poteva c'entrare tutto questo
con la donna con la quale aveva parlato al self-service?
No! Non era assolutamente possibile!
Neanche che si lasciasse costringere!
Molto più praticabile plausibile, dunque,
l'ipotesi del delitto "passionale". Pur dando a questo termine un
connotato aberrante, di situazione emotiva e psichica di tipo patologico.
Raccolse, a questo punto, la pila dei
fogli che giacevano nel piatto della stampante. Si avviò verso la rilegatrice.
Il report era pronto.
Avrebbe chiarito tutte queste cose, fra
poco, in pizzeria.
Il numero era quello: 119. E anche la
via.
Aveva fermato la macchina accostata ad
una aiuola, piena di mozziconi e di carte di gelati.
L'orologio sul cruscotto segnava le 19.
28.
Aperse finestrino; nell'abitacolo c'era
odore di chiuso. Non gli piacevano gli odori nauseanti dei deodoranti per auto.
Sapevano troppo di falso con le loro essenze artificiali. L'aria che veniva da
fuori non era certo più profumata. Solo da lontano qualche residuo odoroso di
erba di recente tagliata.
Aveva già infilato la mano nella tasca
per estrarre il cellulare. Un gesto abituale e ricorrente nei momenti vuoti.
In quel momento vide una figura femminile
che si avvicinava, cercando con gli occhi di riconoscerlo nell'abitacolo.
Riuscì a riconoscerla soprattutto dalla
situazione e dal contesto. Si accorse che non l’aveva per niente osservata. Di
statura non raggiungeva 1 metro e 60. Sopra i jeans, che dovevano costituire un
suo abbigliamento abbastanza abituale, aveva una camicetta ampia color
petrolio. I capelli erano corti e neri. Non particolarmente curati. Il volto
aveva lineamenti regolari, delicati; i tratti erano semplici e spigliati.
Nessun segno di trucco. Non ostentava in nessun modo la propria femminilità.
Quando fu certa che fosse lui, fece un
rapido accenno di sorriso. E mosse la mano a mezz'aria, come ulteriore
conferma. Aperse la portiera e si sedette al suo fianco. Mostrava una
gestualità limitata e molto sobria. Essenziale. E insieme garbata e sbrigativa.
Mormorò un «Salve» e, solo quando vide la mano di lui tendersi, allungò la sua
per stringerla. Avevo usato un tipo di saluto intermedio tra il formale
«buonasera», e un più spigliato e amichevole «ciao».
«Salve», rispose Orazio. «Magari ciao, se
permetti...». Gli era venuto spontaneo.
«Ma certo. Naturalmente».
Nell'atmosfera frugale e confidenziale,
rimasero zitti entrambi. Mentre lui guidava. «Non ho particolari preferenze.
Perciò scegli tu come sei più comodo. Possibilmente un posto senza troppo
rumore, dove si possa parlare tranquillamente. Senza schiamazzi o musiche
assordanti.»
Aveva pronunciato queste battute in modo
semplice, come era tutto l'insieme della sua persona. Profondamente autentico e
diretto.
Lui, nel frattempo, era rimasto come in
sur-place. Influenzato da quella naturalezza sentiva di liberarsi in un clima
informale; al quale non era molto abituato. Ma che gli dava un profondo
benessere. Fin quando arrivarono alla pizzeria rimasero tranquillamente in
silenzio. In una calma serena e piacevole. Senza neanche pensarlo mentalmente,
lui si sentì a proprio agio. Insieme aprirono le rispettive portiere. I
lampeggiatori, attivati dal telecomando,
bloccarono le portiere dell'auto. Che rimase lì parcheggiata. Anch'essa a
proprio agio. A gustare la calma distesa che le era stata regalata, per la
sosta.
La sala era quasi vuota. Scelsero un
tavolino d'angolo, dietro una colonna di cemento.
«… per me un’insalata di mare…, e un
calice di bianco vivace…», aveva già ordinato Clara, dopo avere dato
un’occhiata veloce alla carta.
«… per me invece… scialatielli allo
scoglio…, e bianco vivace anche per me…», aveva detto a sua volta lui;
sorridendo compiaciuto della propria golosità.
L’argomento della conversazione incombeva
nell’aria, ma preferiva restare lì, in sospeso. Lasciandoli consumare la cena.
Le battute che si scambiarono avevano tutte un carattere interlocutorio.
Preamboli di conoscenza. Efficaci nel tono dimesso. Preliminari di approccio
colloquiale. Di due che stavano perfettamente a proprio agio.
«...
Mamma?... no, certo che non aspettavo questa chiamata.... Eravamo d'accordo che
avrei chiamato io il mese prossimo.... Ma è successo qualcosa? Anche Alessia,
sta bene?... Niente..., ma proprio niente davvero? …. Ah…, ecco che cos’è,
allora…! Beh, anche prima succedeva ogni tanto che ti pagassero in
ritardo....Eh...? ... da tre mesi? Ma non è possibile! No, voglio dire... ma ci
sarà ben una ragione, no? Mancanza di
liquidità? Cioè... vuol dire che anche loro non hanno i soldi... e gli altri
che lavorano non dicono niente? Ah, anche loro.... E non si può fare niente?...
... No, non fai
niente, sai.... Al massimo vuol dire che aumento le ore che faccio, di lavoro qui.... Spero soltanto che me le
diano.... Siamo in tante ad aver bisogno di soldi in più..., sì, perché a casa
ci sono delle difficoltà....
... Ma no, tu non
preoccuparti..., ci penso io, sai..? So già come potrò arrangiarmi!
No, ti dico;
l'assoluzione la trovo io qui. No, è che anche la borsa di studio doveva durare
solo due anni.... Avevo già chiesto una proroga e me l'avevano concessa. Ma di
concorsi ormai non ne fanno più. Specie per quelle che l'avevano già ricevuta.
... Ma ti dico di
stare tranquilla..! Saprò ben bastare a me stessa..., almeno adesso.... Dopo
tutti gli anni che peso su di voi.... No, lascia stare, è vero quello che sto
dicendo.... E poi,... non è mica neanche obbligatorio che io debba per forza
laurearmi.... No, lasciami parlare, so quello che sto dicendo.... Come tu hai
fatto sinora insieme a mia sorella potrò ben trovar anch’io un lavoro
normale.... Va bene, non sarà un lavoro qualificato e ben retribuito,... ma non
fa niente.... Ti dico e ti ripeto che non fa niente!!!
Tanto per
cominciare... chiederò di parlare con quelli del consiglio accademico. Poi con
il senato di facoltà e con la cellula universitaria degli studenti. È solo che
finora non avevo creduto di doverlo fare. Ma è sento spesso parlare delle mie
amiche. Chiederò e farò di tutto per farmi aumentare le ore. Posso sempre
studiare di notte, no...? ma sì, ti dico, ogni sera, fino a tardi non mi addormento.... Potrei benissimo
studiare allora. E poi anche la domenica e molto richiesta. Ci sono da fare le
pulizie generali nelle aule, nei corridoi. L'aula magna rende molto, sai?
Tu, tanto per
cominciare, cerca di stare tranquilla.... Vedrai che riusciremo a sistemare
anche questa....
E... non ci sono
altre novità? Lui, voglio dire, non si è più fatto sentire o vedere?Dopo tutti
questi anni?
Ma come lui non
c'entra? Sono ben sempre anche sua figlia, no? È mai possibile che lui debba
scomparire per farsi un'altra vita con un'altra donna.... Lasciandoci a noi
nella merda.... No, che le uso le parolacce, quando ci vogliono le so usare
benissimo.... Non le usava sempre anche lui?.... Va bene quindi allora le uso
anch'io....
Adesso, comunque,
è meglio che chiudi. Altrimenti non so che conto ti toccherà pagare di
telefonata..!
Ma certo che sto
tranquilla. E cerca di stare tranquilla anche tu. E anche Alessia. Sì, certo,
stiamo tutte tranquille.... E quel porco stronzo di mio padre intanto.... Che è
dovuto scappar via perché non resisteva più.... Poverino! Lui! Non ce la faceva
proprio sopportare te e noi. No. Dobbiamo capirlo, no?
Lascia stare
discorso dei soldi.... No, ti dico di lasciar stare. Non mandatemi più
niente.... Ho detto più niente! Che ho già pensato a come potrò organizzarmi
e aggiustarmi io qui..... Ma no, quella
di lasciare l'università l'avevo detto solo così.... Trovo l'assoluzione e
basta!
E adesso ti
bacio, mammuccia cara. Abbracciami e baciami forte Alessia. E state tranquille.
Appena ho sistemato le cose ti scrivo ho ti telefono io.
E..., ti prego
adesso, non ti mettere anche piangere.... Lo so, è vero, siamo state molto
disgraziate e sfortunate.... Ma la soluzione ci deve pur essere, no? E allora
la troveremo!
E non piangere..!
Che dopo ti viene ancora mal di testa.... E riprendi a non dormire di notte....
Ma adesso... ti
saluto davvero... ciao ciao ciao...!»
6.
«Sono appena stata a parlare, ieri, con
Matilde. La Ragusa. L'ispettrice capo. Beh con quella sua aria da donna del sud
in carriera. Con tutti quei gioielli pesanti che le ballonzolavano
tintinnando.... Sotto la sua maschera abbronzata da poliziotta..., beh,... io
trovo che a una profonda umanità.... Ormai la conosco abbastanza. Non è il
primo caso. E l'avevo già incontrata di sfuggita, comunque, per altre situazioni;
anche se non così drammatiche
tragiche....
Insomma, siamo un po' quasi... diventate
amiche.... Per modo di dire, intendo. Sul piano professionale.
Dice che hanno fatto analizzare più
approfonditamente il cellulare.... Dopo
averlo aggiustato alla meglio, per tenerlo insieme... C'erano diversi
messaggi. In diverse lingue. Negli ultimi tempi erano molto ricorrenti quelle
da uno stesso numero. Il gestore telefonico pare registrato in Albania.
C'era anche quell'altro, quel suo
collaboratore, quel Terrisi.... Quello che aveva cercato te. Si, il vice
ispettore.
Mi hanno letto molti SMS, che avevano
fatto tradurre. Avevano fatto venire anche un mediatore linguistico. Per
aiutarci a capire abbreviazioni e sfumature di linguaggio....
Beh, io adesso provo a raccontarti un po'
alla buona e alla rinfusa, contenuto e tenore di quei messaggi.
Beh, a cominciare dai primi. Lì il tono
era molto garbato e gentile. Faceva un po' pensare al linguaggio e alle
espressioni che si usano..., beh, intendo dire quando c'è una relazione....
Erano presenti, spesso, termini tipo "dolcezza", "pulcino
mio", "mia tenera caprettina",” bimba bella”....
Non sono solo espressioni gentili ed affettuose. Denotano
una certa confidenza. Chi le usava doveva avere una certa intimità affettiva e
probabilmente sentimentale con lei.
Il contenuto dei messaggi era spesso
relativo a quando e dove vedersi. "Spero di liberarmi questa sera e di
poter venire da te. Non stare ad aspettarmi in piedi. Posso entrare per conto
mio".
"Passerò a prenderti alla solita ora
e al solito posto. Basta che tu ti fai trovare lì".
"Ceniamo insieme, al ristorante
della prima volta. Entra pure e aspettami dentro".
"Forse è meglio che fai che venire
tu da me. Non credo che ti farò aspettare molto. Ho molta voglia di vederti, sai?"
Poi, ad un certo punto sono scomparsi i
termini affettuosi e intimi. Il tono diventava sempre più deciso e categorico.
Avevano molto l'aria di disposizioni; di ordini di servizio. Asciutti,
stringati e sempre più telegrafici.
“Non più tardi delle 6 p.m”.
"Puntuale! Non farti
aspettare!"
"Starai lì all'ingresso finché te lo
dirò io. C'è chi vede e riferisce”.
Gli ultimi erano diventati veri e propri
ordini gridati con rabbia.
"Non me ne frega niente! FAI COME TI
DICO E BASTA!”
"E non cercare DI FARE ANCORA DI
TESTA TUA!"
"Se ti trovo ancora a farti i fatti
tuoi GUARDA CHE TE LA FACCIO PAGARE!"
"... sai che non mi va che PARLI con
CERTI TIPI DI PERSONE…"
"... che sembri una che è in vacanza
e sta cercando di farsi nuove amicizie..."
Insomma, ne abbiamo discusso insieme.
Terrisi continuava a chiedere particolari. Il mediatore cercava di interpretare
il contenuto. Tentava di farci immaginare il contesto relativo a quei messaggi.
Infine è stata la Ragusa, a provare a
tirare la conclusione. Secondo lei le minacce sono proprio quelle di un uomo
geloso. Che fa controllare la sua donna da qualcuno, che poi gli riferisce. Che
vuole vietarle di incontrare qualcuno o che faccia nuove conoscenze. Ritiene che siano
intervenuti degli screzi. Dei sospetti. Che gli sguardi o i colloqui di lei con
altri lo abbiano fatto andare in bestia. Le minacce hanno il tono cattivo.
La lingua usata negli SMS e spesso il
rumeno. Anche se compaiano, a volte, espressioni albanesi.
Sono gli unici nuovi indizi emersi. Pochi
forse per riuscire a delineare fisionomie e identità dell'uomo.
Però sembrerebbero confermare, o meglio,
più prudenzialmente suggerire, un movente che ha a che fare con la gelosia.
Cosa ne pensi?»
Orazio aveva seguito in silenzio
l'esposizione di lei. Come la sequenza di un film. L'uomo, la figura in ombra
dalla fisionomia indefinita, era stato seduttivo e galante con la bella donna
moldava. L'aveva corteggiata, incontrata. Si erano dati degli appuntamenti,
avevano cenato insieme. Poi doveva avere cominciato ad essere roso dal tarlo
del sospetto. Probabilmente aveva
cominciato a pedinarla. A farla seguire da qualcuno. A chiedere a qualche amico
o conoscente di raccogliere informazioni sui suoi comportamenti. Sui suoi atteggiamenti e sulle persone che
incontrava, e con le quali parlava.
Aveva interpretato quanto riceveva e
raccoglieva, secondo la propria logica. Costruendo un po' alla volta
un'impalcatura, nella quale lui riusciva a vedere segni e sintomi di
tradimento. Avvenuto; in atto; o potenziale...
Di qui l'escalation esponenziale, verso
il controllo sempre più meticoloso; gli appostamenti; i pedinamenti; le scenate
furibonde.... L'epilogo finale....
Eppure, durante il racconto di Clara, gli
era parso che alcuni termini e alcune espressioni potessero avere più di
un'interpretazione.
Per cominciare quell'eccessiva insistenza
sulla puntualità. "Non farti aspettare" significava non farti
aspettare da me, oppure da qualcun altro?
"Starai lì all'ingresso finché te lo
dirò io…." Perché lei avrebbe dovuto stare in un certo posto finché lui
avesse voluto? È poi, a quale ingresso? L'ingresso per dove? " C'è chi vede e riferisce”: che senso poteva avere
ordinare alla propria partner di restare in un certo posto, ad aspettare non si
sa chi, finché lui avesse voluto ? e informarla, poi, che qualcuno avrebbe
controllato il rispetto della disposizione. Riferendo a lui; o a qualcun altro
di sua fiducia.
E per concludere quella diffida "non
fare di testa tua", con l'aggiunta di un "ancora".
Quindi era già avvenuto che lei cercasse
di fare di testa sua?
Ma lei doveva "fare come le ordinava
lui"; concludendo con quel categorico e autoritario "e basta!"
Che già preludeva alla minaccia: se
l'avesse trovata ancora a “farsi i fatti suoi”, lui questa volta gliel'avrebbe
fatta pagare!
E di nuovo, un'altra volta l'uso di
"ancora". Lei aveva già
provato a fare di testa propria; a farsi i fatti propri.
Aveva anche "parlato con certi tipi
di persone".... Quali tipi? Sembrava
un po' eccessivo quello scrupolo nel definire la tipologia delle persone,
per una situazione di sola gelosia. Le
aveva detto e scritto “ lo sai...". Quindi significa che gliene
aveva già parlato. L'aveva messa al corrente dei suoi divieti e dei tabù; delle
proibizioni che le imponeva.
A lui scocciava molto che lei si comportasse come una persona
che è in vacanza e sta cercando nuove amicizie. Non si limitava, nella propria
gelosia, a negarle occasioni per nuove conoscenze o relazioni. Soprattutto
sembrava insistere sull'escludere che lei potesse avere nuove "amicizie".
È pur vero che, nei connotati psicotici
del geloso maniacale, conti molto di più una amicizia o confidenza da parte del
proprio partner; addirittura piuttosto che una relazione.
Ma qui il divieto assumeva il carattere
di un campanello d'allarme: guai a fare nuove amicizie. Sono fonti di pericolo.
Ma per chi? Per l'amante geloso? Era un
campanello che suonava indistintamente. Niente amicizia! Guai! Pericolo! Non
sei in vacanza! Altrimenti te la faccio pagare!
«...
Rada?... ciao bella..! Spero di non disturbarti, vero? ma certo che sto bene e
tu? Prima di tutto mi devi raccontare com'è andata la tua festa di promessa di
fidanzamento...! Certo, certo che me l'immagino! C'eravate tutti? anche gli zii
di tua madre? Magnifico! Grande! Beh, sì, certo, anche una grandissima rottura
di palle... eh già, lo immagino,.... E: Rada di qua, Rada di là, e come sei
bella, e come sei diventata grande, e com'è il tuo lavoro, e che bel fidanzato
che ti sei trovata, e mi raccomando tienitelo bene da conto che sai come sono
gli uomini, e quando vi sposate tieni ben in ordine la casa, e che certo con
quella mamma che ha e sarà e una donnina bravissima a una brava mamma....
E dài, va là!
Però ti è piaciuto e ti sei divertita o no? Era comunque la festa per
raccontare a tutti che ami il tuo Pavel, che presto lo sposerai, e ci farai dei
figli....
E sei riuscita a
trovare anche la casa? beh, me l'immagino, in quella zona lì ci sono case
vecchie. Però sono grandi e spaziose. E poi penso di riscaldamento a legna con
la stufa vi tenga ancora più caldo. …
Comprate la legna
col trattore e un po' ve ne fate regalare dal papà di Pavel....
Certo, sì...
quasi quasi ti invidio un po'!
Ah...! L'hai già
saputo da Alessia? Ho dovuto lasciare l'università.... Eh, sì, certo che mi è
dispiaciuto un po'.... Ma non potevo più andare avanti così... la mamma e mia
sorella non ce la facevano più... e le pagavano anche sempre in ritardo di
qualche mese... e io continuavo a fare lavori all'università, ma i soldi non
bastavano mai..!
Beh, mi rende un
po' così... faccio dei lavoretti ogni tanto di qua o di là... , sai, quelle
cose lì, tenere i bambini, fargli fare i compiti, fare qualche pulizia....
Prima di mollare
del tutto ho voluto provare a parlare a quel professore che ti dicevo, quello
vecchiotto che mi faceva gli occhi dolci.... Mi ha fatto andare nel suo studio,
mi ha preso la mano nelle sue, mi ha detto che vedrà che cosa potrà fare per
me.... Ha detto che un suo nipote forse può aiutarmi. Non ho capito bene che
lavoro faccia. Ma lui dice di essere sicuro che potrà aiutarmi... pensa,
addirittura a venire in Europa...! Pare abbia delle conoscenze importanti in
Italia. Ed è sicuro che troverà qualche famiglia per bene che mi tenga a vivere
da loro, e mi farà fare dei lavoretti, tipo quelle che faccio adesso. Occuparmi
dei bambini, tenere pulita la casa e fare i lavori domestici, accudire gli
anziani.... Diceva che è già in parola con qualcuno. Che devo solo aspettare un
po'. Ci penserebbe a tutto lui. Mi pagherebbe il viaggio, come prestito, naturalmente.
E i soldi glieli potrei restituire un po' alla volta con quello che le caverò
facendo i miei lavori. Il bello è che potrei riprendere a studiare
all'università in Italia! …Sì, Rada! Certo che una laurea presa in Italia conta
molto di più di quella che avrei preso qui in Moldavia.... E poi se l'avessi
conseguita qui, probabilmente all'estero non avrebbe contato niente.... Sì,
dovrò ricominciare tutto daccapo, ma con tutti gli anni che già studiato...
credo che farà meno fatica e sarò abbastanza avvantaggiata..! Beh ci sarà
soprattutto il problema della lingua. Quel poco di italiano che io conosco...!
E poi, non c'è come vivere in un altro paese per essere facilitata a imparare
la lingua di quel posto. Stavo dicendo che quel poco di italiano che conosco mi
basterà a malapena per farmi capire e arrangiarmi i primi tempi....
Beh, staremo a
vedere. Io certo non mi arrendo facilmente. Ah, volevo ancora aggiungere che
continuo a vedere quella mia amica che ho conosciuto alle scuole superiori.
Credo di avertene parlato, no? Non te ne
ricordi? Si chiama Nadia. Ma si, sono proprio sicura di avertene già
parlato. Ma, beh, per farla breve, anche Nadia avrebbe una gran voglia di
venire in Italia a studiare. Certo non troveremo il lavoro nello stesso posto.
Ma almeno potremo sentirci ogni tanto. Scambiarci qualche telefonata, qualche visita. Insomma, da non sentirsi
totalmente sole in un paese straniero. Nadia mi ha raccontato che ha una
lontana parente in Ucraina che è andata per molti anni in Italia a lavorare. Si
occupava delle persone anziane. Là le chiamano "badanti"; perché
badano, cioè si occupano, di persone anziane o malate. Ma pagavano anche
abbastanza bene. Lei viveva in casa e mandava quasi tutti i soldi in Ucraina. E
poi, due o tre volte all'anno, dei connazionali organizzavano dei pulmini per
tornare a trovare la famiglia. Un viaggio massacrante di giorni e giorni. Beh,
però cercavano un pochino di organizzarsi. Io e Nadia speriamo di poter fare
così anche noi. Naturalmente dopo che avremo trovato il posto. Sia io che lei.
... sì? Anche a
te pare una buona idea? Io non sono ancora sicuro fin in fondo. Ho ancora
qualche dubbio e perplessità. Certo, si tratta di lasciare tutto quanto, di
fare un viaggio lunghissimo in un mondo che è per me ,ora, sconosciuto. Il
grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno che è ancora pieno di
incognite.
Soprattutto sarò
contenta se potrò studiare all'università magari con lei. Pensa che bello? Due
ragazze moldave in una Università italiana, metti a Milano, o Torino, o Novara,
o Pavia, che ne so..?
Ah, un’altra cosa
interessante: la nostra lingua e un po' imparentata con la lingua italiana.
Derivano tutte e due della lingua latina che parlavano gli antichi romani. Con
Nadia dicevamo che il rumeno e
l’italiano hanno solo un po' di elementi in comune. Che non sono troppo simili.
Beh, sempre
meglio, comunque, che imparare l'ungherese o il serbo…., faccio per dire....
Mi piace
abbastanza l'idea di andare in Italia, sai?
Ma dovremo prima
stare ad aspettare che il nipote del mio professore dongiovanni combini la cosa
e si faccia vivo.
Tu, Rada, sei la
prima persona a cui ho finora confidato il mio progetto.
Sono molto
contenta di questa chiacchierata che abbiamo fatto. Anche se mi rendo conto che
ho parlato quasi sempre solo io.... Appena so qualcosa di più sicuro ti chiamo,
ti racconto tutto e ti chiedo tanti consigli...!
Adesso ti do un
bacione grande grande! Un abbraccio al tuo Pavel.
Ciao ciao ciao.»
7.
Mentre
Orazio aveva esposto queste sue riflessioni, Clara aveva spesso tenuto
gli occhi bassi, sulla tovaglia. Come se stesse mentalmente confrontando quelle
considerazioni con il risultato del suo colloquio con la polizia inquirente.
Solo a tratti, ogni tanto, aveva alzato
lo sguardo, puntandolo su di lui. Curiosa di leggere dentro a quel che lui le
stava dicendo.
Aveva occhi neri molto luminosi. Guardava
attenta, spostando solo a tratti il fuoco dei suoi pensieri su qualche punto
che era un po' più in là.
Poi erano rimasti assorti a meditare; tutti e due.
«Hai ragione. Qualche cosa del genere era
balenato anche a me. È comunque molto probabile, quasi certo, che da quei
messaggi si possa ricavare almeno che c'è stata una relazione. Sarebbe utile e
interessante, a questo punto, poter conoscere anche i messaggi che Olga ha
mandato. Provando a collegare quelli che sono in relazione e in risposta a
quelli che abbiamo insieme analizzato.
Non so ancora quanti siano registrati
nella memoria del cellulare. Quando li avranno trascritti tutti, potremo avere
qualche elemento in più».
«Mah, forse io mi sono lasciato un pò
influenzare dei discorsi che m'hai fatto l'altro giorno. Quello sulle nigeriane che vengono convinte a
imbarcarsi in un'impresa per trovare un lavoro in Europa. E che poi si trovano
ad essere sfruttate, malmenate e costrette a prostituirsi. Qui la situazione
sembrerebbe essere stata diversa. Ma qualche dubbio sei riuscita comunque a comunicarmelo e a instillarmelo. La storia
come l'ha interpretata la tua amica Ragusa mi sembra che faccia acqua da
qualche parte. Sì, alcuni particolari lascerebbero credere ad una storia di
gelosia. Però è un'ipotesi che traballa un po'. Sembra che a te, mi pare, no?
Non sono capace a fare l'investigatore e
il poliziotto, io! Forse mi lascio troppo guidare da intuizioni, fantasie, emozioni. Non
riesco a trovare una logica molto serrata nei ragionamenti che ho fatto.
Eppure...
Boh; staremo un po' a vedere se riescono
a tirar fuori qualche cosa ancora da quel cellulare.
In quel telefono c'è stato anche il mio
numero..! Avrei anche potuto chiamarlo. Non l'ho mai fatto. Un essere umano se
ne sta a dormire definitivamente in una
cella frigorifera. Una persona che per un istante mi aveva lasciato sfiorare la
sua umanità e la sua essenza....»
Orazio aveva abbassato il volto
passandosi la mano sugli occhi. Restando così a lungo in quella posizione.
Clara aveva rispettato quel silenzio turbato.
Quando lui aveva tolto la mano dagli
occhi, sfregandoseli, luccicavano.
Lei, allora, aveva posto una delle sue
piccole mani affusolate sulla sua ancora umida. L'aveva dapprima solo sfiorata.
Con garbo. Poi gli aveva dato una stretta forte. Che lui aveva ricambiato.
Le mani erano rimaste lì, a consolarsi e
a confortarsi vicendevolmente. Un calore piacevole passava dalle dita magre di
lei, alle sue. Non si guardavano. Eppure un contatto profondo di teneva
collegati. In quel gesto così discreto e insieme così intimo. La comunicazione
e la conoscenza tra i due proseguiva il suo cammino. Senza fretta. In modo
molto dignitoso, pudico, umanissimo.
Poi erano venuti a sparecchiare.
Lasciando un bigliettino del conto.
Poco dopo l'aveva lasciata al 119 di via
Spreafico. Mentre apriva la portiera, guardandolo con quel suo sguardo pulito e
terso, lei con la mano gli aveva sfiorato la guancia. Era scesa in silenzio. Aveva
raggiunto il massiccio condominio informe di cemento grigio. Chiudendosi dietro
la porta a vetri. Senza voltarsi.
«Alessiuccia
mia…, sorellina mia bella! Voglio
scrivere a te questa volta. Pregandoti di usare tutte le cautele possibili e la
prudenza e il tatto che tu sai... nel raccontare a mamma quello che ti sto
confidando. Tu e lei avete fatto
moltissimo per me. Lasciamelo dire. E senza mai farmelo pesare. E non ci sono
ragioni per dire che io me lo meritavo, che ero più brava negli studi.... Da quando
papà se ne è andato voi due avete cercato in tutti modi di coccolarmi. Lo so.
Me ne sono sempre accorta. Con la scusa che ero la sorella minore. E con l'idea
che certo avevate di non farmi sentire troppo il disagio di esser lasciate
sole, noi tre. Se alle superiori ero stata abbastanza brava, era anche perché
facevo solo quello. E anche l'università, poi. Voi a sgobbare tutto il giorno
in fabbrica; per farmi fare la signorina per bene che studia e vuole laurearsi!
Non sentitevi assolutamente in colpa per non essere riuscite, ad un certo
punto, a mandarmi quei soldi che toglievate dalle vostre modeste economie
familiari. Si vede che la vita fatta così! Ho trascorso un periodo bellissimo
della mia vita a leggere e studiare. E soprattutto ad arricchirmi dentro. Di
questo mi sono che vi sarò sempre eternamente grata.
I lavoretti che
avevo trovato negli ultimi tempi all'università gli permettevano di mettere
insieme delle cifre modestissime. Quando mi sono messa un po' a fare i conti,
ho capito benissimo e lucidamente e non ce l'avrei mai fatta. Un mio professore
è stato gentile nel consigliarmi quello che sto per fare. Un suo nipote ha dei
contatti in Italia. Sta brigando e interessandosi per trovarmi una famiglia
benestante in qualche città del Nord, nella quale io possa andare. Mi
ospiterebbero e mi manterrebbero, in cambio di lavoretti in casa: tenere
pulito, rigovernare, occuparmi dei bambini o degli anziani. Mi darebbero anche
un piccolo stipendio col quale potermi iscrivere all'università. E anche dei permessi
per andare a sostenere gli esami.
D'altra parte, la
laurea che avrei conseguito qui non avrei mai potuto spenderla all'estero. E
qui nel nostro paese, lo sapete benissimo meglio di me, sarebbe moltissimo
difficile trovare un lavoro. Con una laurea italiana, invece,.... In quel paese
il livello economico e molto migliore del nostro. E ci sono ancora discrete
possibilità di trovare occupazioni.
La loro lingua, poi, è abbastanza simile alla
nostra. E a scuola ho già avuto modo di impararla un po'. Almeno nei primi
tempi potrei cavarmela a spiegarmi e a farmi capire.
Come vedi, dalla
situazione "brutta" che si era determinata, possono nascere
prospettive nuove e addirittura migliori..!
Io non mi
arrenderò mai! Quando riuscirò andrò in
quel paese, studierò, prenderò una laurea che vale molto, troverò un lavoro
stabile e ben retribuito. A quel punto, spero, potrò finalmente ricambiare
tutte le fatiche e sacrifici che avete fatto per il mio bene. E di cui, lo
ripeto un'altra volta, vi sono e vi sarò sempre infinitamente riconoscente!
Di nuovo ti
prego: spiega tu nel modo migliore la situazione alla mamma. Quando le ho telefonato l'ultima volta piangeva,
povera mammuccia mia. Si sentiva colpevole di essere in difficoltà a farmi
continuare l'università. Ma sono sicura
che tu riuscirai a parlarle con calma e a farle capire bene la situazione.
Convincendola che non è per niente
disperata. Anzi che si stanno aprendo prospettive ancora migliori. Io sto
inventando in un modo nuovo il mio futuro.
Certo, si tratta
di lasciare tutto quanto, di fare un viaggio lunghissimo verso un mondo che è
per me, ora, sconosciuto. Il grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno
che, nonostante qualche incognita, potrà rivelarsi molto migliore della realtà
che viviamo qui nel nostro paese. E mi
auguro tanto che tutto questo porti miglioramenti e felicità anche a voi due.
Per ora ti
abbraccio, sorelluccia splendida! Ti prego di riempire di baci e di abbracci la
nostra mammusca. Di coccolarmela tanto. Non credo che riuscirò a venire a
salutarvi prima di partire per l'Italia. Ci risparmieremo ( a me e a voi,
voglio dire) le sofferenze della separazione..., le lacrime degli addii....
Cercherò di telefonarvi quando saprò i dettagli della partenza.
Un bacione
grande!!!
Olga»
8.
Arrivava sempre in anticipo, lui.
Il brutto edificio era rimasto sempre lì, freddo e grigio.
Immerso, senza merito alcuno, nel rigoglio incontrollato dei platani.
Il piantone di servizio, alla porta,
aveva fatto un cenno di assenso, quando lui aveva chiesto, con gli occhi, il
permesso di parcheggiare lì.
Da un'altra zona parcheggio poco distante
vide arrivare Clara. Si strinsero la mano con un cenno di sorriso.
All’ingresso dovevano avere riconosciuto
la donna, perché non li fecero neanche entrare nella stanzetta vetrata del
posto di guardia. E, neppure, a lui fecero consegnare i documenti.
Venne loro risparmiato, così, il forte tanfo rancido di
caserma e di cicche spente, che vi stagnava dentro.
Lei
andava spedita su per quelli scaloni, e si avvicinò alla porta della
Ragusa, che era spalancata. E vuota. Mentre stavano lì in piedi, entrambi,
sulla soglia, la videro arrivare. Con quel vago cenno di sorriso sul volto,
dalla pelle abbronzata, come cuoio antico.
«Venite, prego! Allora,...; dunque
immagino che la signorina Florio l’abbia già informata circa i nuovi elementi.
Il quadro, a dire la verità, è tuttora abbastanza confuso. Ma sembrerebbero,...
ripeto sembrerebbero, apparire segnali e indizi... che potrebbero... suggerire
che tra la malcapitata e un qualcuno, di cui non sappiamo nulla, possa esserci
stata una conoscenza abbastanza confidenziale.... Di qui la supposizione di una
ipotetica relazione. Che potrebbe essere poi degenerata... malamente.... Il
condizionale, come si suol dire in queste situazioni, è davvero d'obbligo...!
Ma io..., in questo momento, vi confesso
che ho la testa un po' troppo piena.... Come immaginerete, non seguo solo
questo caso…!
Lei, signor Bignardi...» rimase perplessa
e interdetta qualche secondo «spero di non avere sbagliato il suo cognome, come
mi capita talvolta...»
«Berardi, Berardi, sì, ma non fa
niente... se vuole può chiamarmi anche più semplicemente Orazio...o anche
Bignardi, se le fa piacere…», aggiunse guardando Clara.
«... Orazio, certo va benissimo il nome
soltanto... e anche voi, chiamatemi pure semplicemente Matilde.... Lei, Orazio,
è certamente molto meno condizionato di me, in questo contesto spiacevole....
E, se vogliamo, anche di Clara..., che si occupa prevalentemente di questa
aberrante "tratta".... Voglio dire, cioè,...che lei ha soltanto quella breve e fugace
conoscenza..., e ora il testo di questa serie di messaggi telefonici.... Ha,
intendo dire, la mente più sgombra...; è probabilmente meno influenzabile di
me...; di noi..., non le pare?...»
Mentre la donna parlava, lui stava
riorganizzando le idee che aveva formulato la sera prima in pizzeria.
«Ma sì.... Direi proprio di sì.... Dal
contenuto degli SMS di cui ho conoscenza, sembra di intravedere una
evoluzione..., anzi, direi meglio, una involuzione.... Gentilezza,
corteggiamento, incontri galanti; poi un tono più brusco, categorico, che non
ammette replica. Infine minacce aperte....
L'ipotesi che lei ha formulato a Clara ha
discreti elementi di supporto. Il
"qualcuno" sembrerebbe roso dal tarlo del sospetto. La fa pedinare da qualcuno. Le intima di non fare
di nuovo di testa sua, di essere puntuale e obbediente. Se no lui gliela farà
pagare....
Però subito mi sorgono
dei dubbi: un partner/amante che ha a disposizione qualcuno che poi gli
riferirà i comportamenti di lei; e lei che deve stare ad aspettare finché lo
deciderà lui all'ingresso..., (ma all'ingresso di dove? ); e lei che non deve
parlare con “certi tipi” di persone...
Non
sembrano certo espressioni e comportamenti da amante geloso.... Sembra
di notare una componente persecutoria..., vessatoria; ambiguamente protettiva
nel vietarle di parlare con qualcuno di particolare; di poco raccomandabile? O
al contrario, come se fosse in vacanza, le vieta di conoscere qualche persona
normale..., con cui entrare in amicizia o in confidenza...?
Ma, come dicevo ieri sera, a Clara, non
ho assolutamente competenze dal punto di vista di indagini. Le mie sono pure
congetture..., basate su buon senso...; o su non so che cosa...»
Matilde aveva mosso la testa, alle sue
parole, come assentendo o condividendo. Con perplessità.
«Sì. Ieri sera, quando ne abbiamo parlato
con Orazio, l'ipotesi comoda e funzionale della pura gelosia morbosa, ha
cominciato anche per me ad incrinarsi. Era
come se quelle espressioni, in quella lingua straniera che c'è stata
tradotta, stessero assumendo il carattere di una sirena d'allarme. Guai a
conoscenze ed amicizie; non stai divertendoti; fai così e non cosà; rimani lì
ferma ad aspettare; obbedisci. Altrimenti è peggio per te!...»
«Certo, certo.... Che poi quelle
espressioni, a parziale giustificazione di omicidi di donne, che parlano di
"delitto passionale..."… Ma
che passione e passione! La passione, l'abbiamo ben provata tutti, no? La
passione un'altra cosa!...
Guarda...», e si corresse subito,
«guardi, per cercare di capire le situazioni, specie quelle complicate come
questa, bisogna metterci tutta la propria anima, le proprie esperienze... i
propri vissuti...
E non me ne frega niente, a questo
punto..., tanto voi siete fuori del mio ambiente professionale, vi voglio
raccontare una mia esperienza..., ma proprio mia..., che ho vissuto sulla mia
pelle...»
Si
erano, a quel punto, guardati in faccia tutt’e tre. Con una sempre maggiore confidenza.
Quasi complicità.
«Di già che ci siamo, possiamo fare che
darci del tu tutti e tre,... se non lo ritiene una cosa sconveniente...!»
«M certo… E allora vi dico questa cosa,
ragazzi miei. Non sono più giovanissima. Non mi vedete l'anello nuziale. Ma
sono stata sposata. Anche se, forse, non
è il termine più appropriato.
Lui era un mio superiore. Un gran
bell'uomo. Con una decina d’anni più di me. Ero appena uscita dalla scuola di
polizia. Dove m'avevano indottrinata di tutte le loro cazzate..., passatemi il
termine...; l’arma…, il fascino del capo..!
Abbiamo cominciato una relazione. Di
nascosto dai colleghi, naturalmente. Per
evitare pettegolezzi, nel limite del possibile. In poco tempo ero
innamorata pazzamente di lui. Come una cretinetta. Avevo l'età per esserlo!
Aveva cominciato a farmi anche dei favori. Benché io non glieli chiedessi e in
tutti modi cercassi di dirgli che non è volevo sapere. Finii , addirittura, per
non accorgermene neanche più. Per credere che si trattasse solo dei miei meriti
professionali ed investigativi….
Quando cominciarono a parlare le
malelingue, lui fu d'accordo con me: e ci sposammo.
Non vi sto a raccontare la routine della
vita coniugale....
Insomma, per farla breve, in capo a
qualche anno tutto era diventato un inferno. Figli lui non ne voleva. Avrebbero
intralciato la carriera sua e anche la mia. Diceva.
Non eravamo per niente una coppia alla
pari. Dava gli ordini anche in casa. Li urlava.
Ma ho anch'io il mio carattere abbastanza
tosto. Passata la fase dell'infatuazione per il capo-padrone, cominciai a
puntare i piedi. Anche sul lavoro,eh…? Ci
tenevo a tutti costi a far passare il mio punto di vista. E poi, come
donna, in casa e nella vita a due, volevo essere trattata come una persona! Lo
esigevo... ca…volacci…!
E fu allora che i diverbi divennero
sempre più aspri e duri. Molte volte arrivammo addirittura alle mani..! E
picchiava duro, lui..! Era abituato da poliziotto...! Non ho vergogna a dirlo:
tanti, troppi nel nostro lavoro picchiano intenzionalmente, con
determinazione..., con livore.... Con sadismo in qualche caso! Gli piace farlo…
Perdonatemi questo sfogo..! Non sono solo
ed esclusivamente un tutore dell'ordine.... Sono, e mi ritengo di essere, una
persona. Una donna, per essere più precisa!
Tutto questo..., per dire che conosco,
per averlo vissuto direttamente, quanto e come un uomo possa essere brutale e
crudele. E poi saltano fuori, come pretesto, ma anche perché all'uomo-padrone
comincia a vacillare il trono della sicurezza sulla quale credeva di essere
seduto...; voglio dire, saltano fuori le
gelosie.... "Lo bell’e che capito, ormai non mi ami più, non te ne frega
più un bel niente di me, senz'altro c'è qualcuno che te la batte.... Siete
tutte così, voi donne..!" Vi risparmio le parolacce di cui faceva
abitualmente uso…
Anch'io, a modo mio, le conosco e le
capisco queste cose.
Ma, Orazio, tu Orazio, se mi permetti,
stai ponendo il dubbio: ma è davvero gelosia quella che trapela da quegli SMS ?
Nella gelosia maniacale tu vieni
controllata, ti frugano nella borsetta, ti curiosano nel il cellulare; ascoltano
i tuoi colloqui; e scrutano il modo in cui tu ti comporti con gli altri
uomini.... Ma non ho mai sentito, che vengano dati ordini di quel tipo....
Forse hai ragione, … oltre e insieme ad
un atteggiamento di gelosia, sembra di notare un comportamento rivolto... a una
dipendente, una subordinata.... Una che lavora per te...!»
Si era instaurata una sintonia,
abbastanza inusuale per il contesto.
I tre, nel breve silenzio successivo, si
scambiavano intensi sguardi di intesa.
Sempre più stavano diventando "complici",
alleati, sodali.
«Ma adesso sono stufa di stare qui
dentro. Quei ricordi che vi ho confidato mi hanno risvegliato quel senso di
autocritica.... Quella parziale antipatia.... È il mio lavoro, d'accordo; lo
faccio e continuerò a farlo. Con il massimo
della serietà e della correttezza.... Ma, ogni tanto, mi viene un po' a nausea,
questo ambiente qui....»
Aveva concluso quelle parole con una
risata; di autoironia. Aveva messo un braccio intorno alle spalle di Clara; e posato una mano su quella di
Orazio.
«Ormai, il servizio bello è stato
rotto.... Nessuno può impedirmi qualche critica su questo mondo qui.... E,
tanto più, nessuno può vietarmi di invitarvi a bere qualcosa a casa mia.... Se
vi va..., naturalmente; e se non avete impegni.... Soprattutto!»
Poi, prima che i due potessero
ripensarci, li sospinse delicatamente verso la porta: «Dài, fatemi andar via un
po' da questo tanfo di mozziconi di sigaretta e di deodorante scadente....
Stavo per dirla grossa: da questo puzzo di soldatacci.... Ma, per fortuna, non
l'ho detto... vero?»
Ridevano insieme, mentre scendevano gli
squallidi e lugubri scaloni; come amici.
Il piantone all'ingresso, alzò il braccio
destro, la mano nell'impugnatura del mitra, all'altezza della spalla. Battè i
tacchi, irrigidendosi, e disse: "Comandi!... Dottoressa!".
Egregio
professore,... innanzitutto mi voglio scusare.... Beh, lei avrà certamente già
capito a cosa mi voglio riferire....
Ma è stata un po'
la situazione, il contesto, voglio dire,....
Come si sarà
accorto, ero già imbarazzatissima quando
sono venuta nel suo studio quel giorno. Sì, è vero, ci ero già venuta, ma
questa volta la situazione era decisamente diversa. Prima, sapevo che lei mi
avrebbe fatto tante gentilezze e tanti complimenti.... Ma potevo avere le mie difese!
Quando lei mi prendeva la mano, guardandomi negli occhi..., potevo sempre
abbassare lo sguardo,... togliere la mano con un pretesto, di mettermi a posto
una ciocca di capelli...,per esempio;
scusarmi che dovevo scappar via subito che ero in ritardo....
Ma l'altro
giorno, no, la situazione era molto diversa. Io venivo a chiederle un favore!
Lei si era dichiarato molto disponibile...., appena le avevo accennato che
volevo lasciare l'università e cercare di venire in Europa....
Avevo molto
bisogno del suo aiuto. Lei mi stava dicendo che suo nipote Vasile aveva molti
contatti in Europa..;, in Italia per la precisione. Che conosceva molte
famiglie agiate, che avrebbero potuto volentieri farsi carico di ospitarmi...,
di offrirmi qualche lavoretto da fare in casa, di aiutarmi economicamente....
Addirittura di permettermi di frequentare l'università per gli esami....
Mi creda,
professore, in quel momento ero al settimo cielo. Lei mi aveva mostrato la foto
di suo nipote.... Già nella foto io potevo notare che erauna persona fine; e
anche un uomo bellissimo. Molto
attraente, voglio dire.... Ho poi potuto verificare che nella realtà, oltre al
suo aspetto, aveva anche modi molto gentili, signorili, pieni di garbo e
delicatezze. Che era una persona coltissima ed eccezionale....
Sapevo che in
quel momento e dipendevo completamente da lei. Dalla sua disponibilità e
compiacenza. Dalla sua generosità a farsi in quattro per aiutare una
studentessa del suo corso....
La guardavo,
perciò, con grande ammirazione. Sorridevo contenta, prefigurandomi il futuro
che mi veniva spalancato per merito suo.
Sì, credo proprio
sia stato per colpa dei miei sorrisi..., del mio sguardo pieno di gratitudine e
di riconoscenza.... Forse, avrei dovuto contenermi un po'. E invece sono stata
così ingenua e sciocca, troppo spontanea,
forse.... Mi sono alzata e ho voluto abbracciarla. Era, glielo posso
giurare, un abbraccio affettuoso, di tipo filiale....
Ma, in quel
momento, devo avere sottovalutato, o dimenticato del tutto, in preda
all'entusiasmo..., che lei aveva molte volte accennato gesti e approcci nei
miei confronti.... Manifestando attrazione e interesse per me... come donna.
Per quanto molto più giovane di lei. Non me ne voglia, la prego, per questa
notazione; peraltro oggettiva.
Il suo sguardo,
ricordo, si è profondamente illuminato. Ha contraccambiato l'abbraccio con
ancora maggiore calore..., entusiasmo.... Mi ha stretta a sé con entrambe le
braccia. Ha preso ad accarezzarmi le guance... mi ha baciato sulla fronte e
sugli occhi....
È stato soltanto
quando ho sentito le sue labbra contro le mie, che mi sono resa conto di quanto
la situazione fosse equivoca.... Intendo dire che i nostri gesti, i miei e i
suoi, avevano contenuti e significati molto diversi tra loro....
Ricorderà che ho
serrato le labbra. Che ho cercato lentamente di divincolarmi dal suo abbraccio, di uscire da quella
situazione malintesa.... Le assicuro che non era assolutamente mia intenzione
farle uno sgarbo. Ho sempre avuto profonda stima di lei come insegnante. Ho
apprezzato molto le sue lezioni; le idee che esponeva; i suoi punti di vista.
Che sempre condividevo appieno.
Soltanto che...,
mi perdoni questa confidenza, da quand'ero ragazzina mio padre non è più stato
accanto a me.... Voglio dire che mi è sempre mancata una figura paterna. Se non
nel ricordo. Non me ne voglia pertanto, se le confesso che ho sempre visto in
lei una figura positiva dal punto di vista professionale; e dal punto di vista
relazionale ed emotivo l'ho sempre vista... come un padre!
Sono ancora mortificata,
molto, del mio stesso comportamento... Del mio divincolarmi frenetico.... Delle
gomitate e degli spintoni con i quali ho reagito. Della foga con cui mi sono
buttata sulla porta.... E, trovandola chiusa, ho trafficato qualche istante per
aprire girando la chiave....
Mi scuso, in
sostanza, del mio comportamento impacciato e goffo.
È stato con
infinito piacere che poi l’ho incontrata
di nuovo. Quando ormai il rossore delle mie guance se n'era andato.... E lei mi
ha guardato sorridendo rassicurante: "Tranquilla, ragazza... le cose
stanno andando per il meglio. Vasile, mia nipote, ti vuole incontrare uno di
questi giorni per accordarsi con te. Non devi assolutamente preoccuparti per le
spese del viaggio e della prima sistemazione. Penserà a tutto lui, anche con la
mia collaborazione economica; eventualmente. Non abbiamo alcun dubbio che
senz'altro presto potrai saldare iltsuo debito... se così lo possiamo
chiamare".
In quel momento
le giuro che mi sono sentita completamente una cretina.
Vasile mi ha detto
che domattina partiremo. Mi ha già fatto vedere il biglietto del volo aereo.
Era raggiante di tornare in Italia, dove abitualmente soggiorna. Credo,
anche, di tornare al suo lavoro. Alla
sua occupazione. Che ritengo senz'altro degna e adeguata alla sua personalità.
Di nuovo
scusandomi della confidenza che mi prendo con questa mia... mi dichiaro
profondamente riconoscente verso di lei. Per quanto ha fatto e per quanto ha
promesso che ancora vorrà e potrà fare. Perdoni la sua sciocca alunna..., e le
sue rozze paure e fughe.
Di nuovo, con
profonda stima. I miei ringraziamenti più sentiti.
Olga.
9.
Nel salotto dove li aveva fatti
accomodare, l'atmosfera era decisamente diversa da quella dell’uffici,o
inutilmente appariscente e grandioso.
Divani e poltrone erano di bambù
imbottito.
Sul piano di vetro del tavolinetto erano
state sistemate diverse bottiglie.
Birre scure a doppio malto, dal vetro
delle bottiglie imperlato di vapore.
Rum e grappa.
Era stato aperto un rosso del Salento.
Delle fette di pane pugliese. Un piatto
di prosciutto crudo. Delle olive nere di Capri.
«... il matrimonio,... voglio dire la
vita di coppia stabile..., se lo possono permettere solamente persone molto
mature.... Che si conoscono profondamente, si stimano e si apprezzano. Sanno
accettare pregi e difetti del proprio partner. Sanno voler bene anche a questi ultimi....
Scusami, tu che sei l'unico
rappresentante del tuo sesso.... Ma mi sembra che molti, troppi uomini ancora,
siano profondamente fragili e immaturi. Nella compagna cercano insieme
l'amante, l'amica, la complice, la madre....
Quando scoprono, o credono, che tutte
queste componenti non riescano a coesistere nella propria donna..., allora,
spesso, finiscono per andare in crisi...
E decidono di accontentarsi della sorella/madre,
da stimare e rispettare. Che accudisca
la casa, si occupi dei figli....
L'amante, per trasgredire e farci le
porcate, passatemi il termine..., per farci solo il sesso, se la troveranno
fuori. Tradimenti e amanti sono spesso diffusi. Ma anche la soluzione comoda,
per chi non ha troppa autostima da reinventarsi un rapporto, spesso, sembra
loro quella del sesso a pagamento.
Ma anche una vera prostituta, non si
lascia facilmente mettere sotto i piedi. Intendo dire una professionista che ha
deliberatamente scelto quel tipo di attività per sbarcare il lunario.
E allora, come ci insegnano Clara e
Liberazione e Speranza, ecco che salta fuori una nuova figura. Apparentemente
simile a quella della prostituta. Ma che è stata forzata con la violenza,
l'inganno, il ricatto e la paura. Che è stata comprata e venduta. Una
"cosa" da usare e maltrattare a proprio piacimento. Più funzionale e adeguata al proprio immaginario erotico e
alle proprie perversioni. "Usa e getta". E così nasce il commercio e
la tratta delle nuove schiave....»
Clara ha sinora assentito.
Matilde si era alzata, aggiungendo
qualcosa sul tavolo dello spuntino. Poi aveva fatto partire un CD.
Gli accordi vibranti di Goran Bregovic.
Violini stridenti all'impazzata si inseguivano in una danza frenetica. Rincorsi
dagli aghi pungenti di fiati e ottoni vari. Raggiunti, si intrecciavano, si
mescolavano, si abbracciavano in girotondi euforici ed ubriachi. Cantando, si
richiamavano i motivi zigani, in un tripudio di sonorità maghrebine, islamiche
e balcaniche. Passi di tango facevano il verso ai flamenco, con rapide toccate
e fughe, intorno ai falò….
Quei
gorgheggi andavano celebrando la fratellanza dei popoli e delle culture
del Mediterraneo. Come proposta di cordialità amicale e definitiva. Fin su all'Ungheria, alla Polonia, alla
Romania,.... Fino a lanciarsi, nel ballo pazzo e sfrenato, dei gesti cantanti
di ghirigori zingari, in un'ipotesi di fratellanza totale....
Era come essere invasi da una ventata
primaverile. Da una fontana sprizzante vini vivaci e gorgoglianti. Da un
fremito contagioso e trascinante....
Poi, di colpo, il fraseggio euforico ed
ubriaco si era arrestato. Lasciando la sua eco a risuonare. E il silenzio per
appoggiarci dentro e sopra delle altre parole.
«In termini generali, resta abbastanza
poco da aggiungere. Questo commercio, un po’ come nei secoli in cui la tratta
degli schiavi era più fiorente, si rifornisce prevalentemente nei paesi più
poveri del globo. L'Africa, e in particolare la Nigeria, hanno il triste
primato per questa "materia prima".
Ma i nuovi schiavisti non usano le armi
per reclutare le proprie vittime. Almeno nelle prime fasi del percorso, uomini
e donne dall'apparenza molto rispettabile, spesso addirittura parenti o
congiunti prossimi, individuano le prede.
La grande penuria di mezzi economici.
L'assoluta mancanza di risorse. Il vuoto spesso totale di sbocchi professionali
e di occupazione. L'ingannevole chimera del "bengodi”, promesso dai paesi
cosiddetti benestanti, offerto dalle reti televisive satellitari, o più
semplicemente i sentito dire…, preparano il bisogno. Predispongono il terreno
di coltura perché il morbo possa svilupparsi.
Una rete molto diffusa, organica e
capillare. E spesso si appoggia sulle macchie locali o su quelli
internazionali. Per l'Africa e per l'America Latina, spesso si aggiunge, come
strumento di coercizione psicologica, il ricatto conseguente alla pratica del
voodoo. O meglio, di una versione di basso livello di esso. Con pratiche di
stregoneria terroristica. Il rito serve a spaventare. Le vittime temono
sciagure per sé e per i propri cari, se non pagheranno il debito contratto.
Che, sulla piazza in cui verranno collocate, aumenterà in modo esponenziale.
Verranno conteggiate, aumentate all'inverosimile, le spese per il viaggio, per
il mantenimento, per l'alloggio, per pagarsi la "postazione",
addirittura per i preservativi.... Gli schiavisti uomini, nelle tappe finali,
consegneranno le "schiave terrorizzate" alle colleghe donne. Le
"madame", che sapranno brutalizzare con ripetuti ricatti e botte le
malcapitate. Le quali saranno, così,
pronte per essere vendute ai consumatori finali. Gli squallidi maschi che
Matilde descritto poco fa.»
«Credo, di avere da aggiungere qualcosa,
dal mio punto di osservazione maschile.
Il panorama, infatti, dal mio punto di
vista, si complica ancora di più.
Ricordo un'esperienza che ho avuto con
una donna, che definirei, con il linguaggio corrente "normale".
Dopo una fuggevole conoscenza, fu lei,
sostanzialmente a conquistarmi.
Usava, con grande capacità e destrezza,
un ricco repertorio abbastanza diffuso, nell’immaginario non solo maschile.
Ripeto che era una persona che poteva
apparire molto comune. Pur non essendo particolarmente bella di aspetto, usava
un abbigliamento molto studiato e civettuolo. Niente di così appariscente da
ricordare il marciapiede.... Ma molto più sottile e seduttivo. Trucco,
abbigliamento intimo, linguaggio. Indossava dei finti reggiseni, con coppe
potenziate che spingevano quella parte del corpo molto in su; spesso lasciando
intravedere l’areola o addirittura tutto il capezzolo. Tanga millimetrici; in
cui la parte posteriore era costituita da un nastro filiforme che scompariva
nell'incavo tra i glutei. La parte anteriore era un microscopico triangolino
che copriva a malapena i peli pubici. Anche questi spesso erano completamente
rasati. A simulare una preadolescente. Le prime volte che ci trovammo per i
primi approcci amorosi, mi chiese, con voce suadente se la preferivo bambina,
schiava, o gheisha.... Durante i
rapporti, poi, mi proponeva di legarla, di picchiarla....
Durante gli amplessi, o prima di essi,
cercava di eccitarmi mentalmente raccontandomi la parte che stava impersonando.
Sperava e voleva risvegliare in me componenti pedofile, sadiche ,di dominio o
addirittura di abuso. Simulava e recitava la parte della ragazzina sedotta,
della donna violentata, della schiava posseduta....
Quella modalità perversa, che voleva
essere seduttiva, finì per apparirmi brutalmente per quello che era. Cercai di farla recedere da tali comportamenti,
che ritenevo completamente squallidi. Di impostare un menage di normali
approcci. Mi parve delusa. Sosteneva che la trasgressione costituisse il sale e
il sapore della sessualità e dell'erotismo.
Preferii lasciar perdere!
Ma, al di là di questa mia esperienza che
racconto, mi viene da domandarmi: forse il quadro è un pochino più complesso di
come l'abbiamo fin qui analizzato. Ed è
un po’ più complicato il circolo vizioso, nel quale siamo immersi.
L'immaginario diffuso si arricchisce di ulteriori elementi. Dei quali è
abbastanza difficile riuscire a riconoscere l'origine. Fin dove, cioè,
l'immaginario erotico si limita a giocare sulle fantasie di perversione. E dove
invece si trasforma. E i comportamenti raggiungono quello che in psicoterapia
si definisce il "passare all'atto". »
«Beh..., la persona dalla quale tu ci hai
appena parlato, non è, forse, poi così singolare.... Intendo dire che ho
sentito abbastanza raccontare storie del genere.... Tu ci stai ora raccontando
di una donna condizionata da quelle che ritiene le aspettative dell'immaginario
erotico maschile....»
«Ho omesso sin qui qualche altro
particolare. Che io volli utilizzare per cercare di darmi una spiegazione. Una
parziale giustificazione. Forse un'attenuante....
Credendo di farmi piacere e di
ingolosirmi, di adattarmi e di adeguarmi alle sue aspettative (perché confesso
di essere convinto che a lei realmente quelle modalità piacessero molto!),
volle raccontarmi alcune sue esperienze infantili.
Mi diceva che quand'era ancora una
ragazzina, di dodici o tredici anni, la madre la portò dal vecchio medico di
famiglia. Del quale aveva profonda stima e conoscenza. La ragazza soffriva di problemi di stitichezza.
Disse che il medico, le effettuò la
visita su di un lettino, che era collocato dietro un paravento. La madre perciò
non vedeva direttamente nulla. Raccontò compiaciuta e con un sorriso malizioso,
che il medico l'aveva fatta mettere nuda ginocchioni. Diverse volte le aveva toccato l'orifizio anale, penetrandolo
con le dita o con qualche cos'altro. Aveva alternato tali manipolazioni anali,
con altri toccamenti alla vagina e alle grandi labbra.
"Ma tu non potevi lamentarti?
Bastava che chiamassi tua madre! Era appena lì dietro quel paravento. Non ti davano fastidio quei maneggiamenti ?"
Le dissi.
"Ma no, non mi faceva male. Solo che
mi vergognavo molto che mi stesse toccando in quel modo. A dirla verità non era
né bello né brutto. Quando mi toccava dentro di dietro mi piaceva quasi un po'.
Ma mi vergognavo tantissimo a dirlo a mia madre. Sia durante la visita, che
specialmente dopo. Penso che non mi avrebbe assolutamente creduto. Avrebbe
pensato e detto che mi ero inventata tutto. E così, per molte volte, ha
continuato a portarmi da quel medico. Quel che mi faceva era schifoso. Ma non
l'ho mai detto a nessuno. Solo a te, ora."
Con quei toccamenti licenziosi era stata
ovviamente abusata. Diceva di provare schifo e ribrezzo per quegli episodi.
Eppure li ricordava con piacere morboso.
In seguito, aveva preso a giocare con i
suoi coetanei maschi al dottore. La facevano spogliare nuda, e la toccavano
penetrandola con le dita. Sosteneva, addirittura, che a volte si divertivano ad
introdurre dei piccoli sassolini lisci sia davanti che dietro. E a carezzarle i
piccoli capezzoli.
Tutto
questo lo raccontava con un sorriso malizioso. Probabilmente credeva di
divertirmi e di eccitarmi.
Chissà quante donne, da bambine o da
ragazze, senza subire vera e propria violenza, sono state abusate in questo
modo. E hanno conservato un gusto morboso nel ricordo. Forse, le loro fantasie
erotiche si nutrono, deformandole e ingigantendole, di quelle situazioni e di
quei giochi perversi....
Sarà riuscita, prima o poi, quella donna
ad "addestrare ed educare" qualche suo partner per rivivere da adulta
quelle esperienze? Per realizzare quel suo sogno malato? Per divenire, di
fatto, oggetto di manipolazione e di dominio totale?...
O credete che queste mie congetture siano
soltanto delle ipotesi astruse? Che io ora stia facendo dello
"psicologismo"?»
Lo avevano ascoltato entrambe assorte.
Con aria curiosa e perplessa.
«Credo di aver letto qualcosa in
proposito. Anche se mi pare abbastanza difficile e forzato attribuire solo a
donne abusate da bambine il fenomeno. Quante ce ne dovrebbero essere in giro
per aver a tal punto condizionato la mentalità di gran parte del genere
maschile?
L'immaginario erotico. Certo.
Forse le fantasie di perversione e
trasgressione nascono nella mente delle persone anche in altri modi.
Ho avuto una relazione, qualche anno fa,
con un uomo col quale mi trovavo abbastanza bene. Avevamo una grande
confidenza. Lo stimavo moltissimo. Facevamo splendide conversazioni e
discussioni. Ci scambiavamo libri e ne parlavamo. Quando ci decidemmo ad avere
dei rapporti intimi, scopersi una sua grandissima fragilità. Dopo i primi baci e toccamenti, lui non riusciva a
resistere.... Insomma,… eiaculava immediatamente. Forse non riusciva a reggere
la forte reazione emotiva. Credo si chiami "eiaculatio precox".
Insomma ..., non riuscimmo mai ad avere rapporti completi. Non riuscì mai a
penetrarmi.
Eravamo poi andati in vacanza insieme in
campeggio. Lui stava nella tenda a riposare. Quando tornai dopo avere lavato le
stoviglie, scopersi una cosa che mi disgustò e mi agghiacciò. Dalla cerniera
socchiusa della tenda, vidi che stava leggendo una rivista.... E stava
masturbandosi...! Quando, il giorno dopo, frugai un po' in giro, rimase ancora
più stordita. Era un miscuglio di fotografie e di disegni decisamente squallidi
e volgari. Atti sessuali multipli.... Torture. Donne legate e violentate....»
A pezzetti e frammenti, andava un po'
alla volta delineandosi un quadro più ampio, complesso, contorto e complicato.
Malato, fondamentalmente.
Matilde, a quel punto, preferì spostare
la discussione su altri argomenti più leggeri. Parlarono di vacanze. Di viaggi.
Di escursioni. Lo spuntino andò consumandosi fin in fondo.
Nell'aria, intanto, restava sospesa
quella tematica scabrosa che avevano toccato.
Forse, dentro quel groviglio, si
sarebbero potute cavar fuori interpretazioni e spiegazioni.
Anche se, rispetto alla vicenda che li
aveva coinvolti ed accomunati, stavano ancora soltanto girando intorno. Erano
ancora alla periferia di quella storia.
SMS di Olga
A (Rada)
viaggio massacrante ☹ . Niente aereo… bus…!Vasile però è gentile
<3 . Abito con lui in una mansarda.
Mi lascia tranquilla e mi rispetta. Però mi piace <3
Trovato qualche lavoretto. Metto insieme
qualche €. Non voglio però pesare su di lui. Lui ride ;-)) e dice che tanto è un prestito £$€. E che
gli restituirò tutto. La famiglia che doveva ospitarmi non c'è. Lui dice di
aspettare ☹
Da qualche giorno non sento Nadia. Doveva
andare a Verbania. Scomparsa ☹. Andava presso
una famiglia sul Lago Maggiore. Vasile dice che forse sul lago non c'è campo
per il cellulare! Come faremo a studiare
insieme?
Vasile da giorni non viene più dove vivo
io. Ho scoperto che è sposato ☹. Dice che
penserà sempre a me e mi verrà a trovare appena può. E sempre più brusco e
sbrigativo, però. Ho conosciuto un italiano: una persona splendida. Tipo noi!!!
Magari qualche volta gli telefono
V.: sta pensando ad un'altra soluzione.
Dice che me la dirà fra qualche giorno. Non ha mai provato a farmi delle
avances. Ieri xò all'improvviso mi ha buttata sul letto e stava per
violentarmi! Ho reagito in tutti i modi. Ha ridacchiato un po' scocciato.
Dicendo che voleva solo fare la lotta. Non so!
È arrivato in casa all'improvviso. Ero in
mutande e maglietta. Ci ha provato di nuovo. Ha anche cominciato a picchiarmi
quando ha visto che reagivo. Poi però ha di nuovo rinunciato dicendo che io ho
un brutto carattere.
Il bastardo c'è riuscito! Ha cominciato
con gentilezza, tenendomi le mani. Poi me le ha legate con un filo elettric!!!.
È riuscito a spogliarmi e ha fatto tutto con grande brutalità... è un vero stronzo.
Ha detto che devo darmi una mossa. E devo abituarmi... (?)
Questa volta erano in due. Mi hanno
violentata in tutti modi e da tutte le parti. Dopo avermi legata. Poi hanno
cominciato a picchiarmi. Tutti e due. Dove sono finita? continuano a parlare dei
soldi che gli devo restituire. Dicono
che presto avrò il mio lavoro (?!?). E ridono
Credo di essere caduta dalla padella
nella brace. Sono finita in un immenso buco nero che mi sta inghiottendo e
distruggendo. Devo continuamente
nascondere il cellulare e il carica batterie. Spero che non li trovino! Ho
mandato gli stessi messaggi anche a Nadia.
Avuto sms da Nadia: anche lei una storia
simile!!! Questi stronzi sono dei veri criminali! Se non avrai mie notizie
cerca di contattare lei. Il suo numero è:
xxxxxxxxxxx
SMS a Nadia
Ho provato a chiamarti ma non rispondi
mai. ☹
Dove sei finita? Sto da un tipo che potrebbe anche piacermi. Ma lui sta sulle sue e mi rispetta.
Che fine hai fatto? Qui la situazione per
me è cambiata. Lui deve essere sposato
ed è tornato alla sua casa. Continua a cercare di violentarmi ogni volta che
viene!!! A te come va??
Stronzo bastardo! È riuscito a legarmi le
mani e a violentarmi! Un male tremendo, e sangue…A te cosa succede? sono sempre
più spaventata e preoccupata. Ma dove siamo finite? Scappare…!!!Digitare l'equazione qui.
Mi hanno violentata in due in tutti i
modi e da tutte le parti. Poi si sono divertiti a picchiarmi. Continuano a
parlare del debito e degli euro che gli dobbiamo. Parlano di una cifra
spaventosa! € 58.000! E per ciascuna! Dicono che presto comincerò a lavorare !?
10.
Appena era entrata Clara, gli aveva
rivolto uno sguardo desolato. Guardandolo di sotto in su. Aveva lasciato cadere
a terra la borsa che aveva a tracolla. E gli si era aggrappata con le mani alle
spalle. Mettendogli la testa sul petto e cominciando a piangere piano. Con
leggeri mugolii. Brevi singhiozzi, che la squassavano, con scatti improvvisi. A
lungo lui non aveva potuto far altro che passarle una mano sulle spalle e sulla
schiena. Massaggiando e carezzando quella sofferenza.
Poi era riuscito a trascinarla,
dolcemente, verso il divano facendola sedere.
Infine lei aveva ripreso a guardarlo,
fissandolo con occhi cerchiati e disperati.
«Abbiamo..., hanno decifrato dei suoi
messaggi..., che vengono ormai dal passato e dalla sua nuova dimensione....»
Ancora qualche singulto, che le faceva scattare tutto il volto in su.
Mentre cercava di tirar su col naso...
«... ha seminato tracce del suo
percorso....
Comincia con sorrisi di speranza.
Addirittura riesce a provare attrazione e
affetto per quello che diventerà il suo carnefice. Si stupisce che lui
non le faccia delle avances.... Che non ammiri la sua bellezza di donna.
Ottimista e radiosa, attende, fiduciosa....
Ingenua. Poi la maschera, un po' alla volta viene calata.... Lui non ha
interesse per lei perché è già sposato e ha un'altra donna, altrove.... E salta
fuori l'aguzzino: cerca ripetute volte di violentarla. Non riuscendoci, finge
di scherzare: voleva solo giocare a fare la lotta..! Le prende le mani con
dolcezza, un'altra volta..., ma per legargliele insieme, a tradimento, con del filo elettrico... e infine
violentarla...! Di nuovo la violenterà con l'aiuto di un complice. Non cerca un
atto sessuale: insieme la picchiano selvaggiamente.... Vogliono piegare la sua
volontà.... Le stanno passando il messaggio di quale sarà il lavoro a cui è destinata...: fare ripetutamente l'atto
sessuale contro la propria volontà..!»
Orazio è rimasto ad ascoltare. Vede
mentalmente le scene che lei descrive. Legge sul foglio, che lei gli ha
passato, la traduzione degli SMS. Assiste, impotente e pieno di rabbia muta e
silenziosa, allo scempio che avviene in quelle parole. Che è stato perpetrato
nei fatti in un passato abbastanza recente. Che ha martoriato un'esistenza. Che
ha vilipeso, brutalizzato, umiliato e ridotto all'impotenza una bella persona.
Che cercava il sorriso della vita.
Che è caduta in un immenso buco nero
senza fondo, nel quale sta sprofondando.
La sua compagna di viaggio e di disavventura
non dà notizie. Poi lei scopre che anche Nadia ha una situazione parallela.
Cercano di sottrarle il cellulare.
Glielo sfasceranno scagliandolo sul
pavimento. L'ultimo messaggio stenta a partire, dal cellulare tenuto insieme
con il nastro adesivo; che fa fatica a fare contatto.
Quel cellulare è un'ultima metafora di
una vita che sta per essere troncata e annullata per sempre. Il telefono
distrutto potrà finire in un cassonetto della differenziata. La bella persona
massacrata, in una culla d'acciaio.
Ibernata per sempre con le sue speranze i suoi sogni. Con l'ultimo
contatto elettrico e l'ultimo guizzo di vita. Ma qualcosa riesce a sopravvivere
a quello scempio. Il telefonino comunica ancora…. Lei, la sua presenza….
aleggia… intorno…, garbata, discreta…., nello stupore indignato…. Nell’orrore
per quello sgarbo estremo…. Lo sguardo
annichilito…., freddo e devastato…. Da quell’offesa disumana….
Lui legge le parole sul foglio. Vede
scorrere, in moviola, i brevi segmenti ripetuti. Non parla.
Lo sguardo bagnato di lei assiste muto
quel percorso mentale. Con profonda tenerezza sofferta.
Insieme hanno sbocconcellato qualche
tarallo. Sorseggiando la schiuma amara e
bianca di una birra.
Sono rimasti a lungo abbracciati sul
letto, nella sua camera. Hanno preso, dolcemente, a consolarsi reciprocamente.
Con carezze e baci umidi di pianto. Sullo sfondo di quel dolore, che prende
sempre più le distanze della prospettiva. Hanno mescolato le reciproche
emozioni. Esplorato con i sensi e con il corpo, vicendevolmente, gli altrui
umori. Un doloroso, consolatorio, atto di conoscenza e d'amore.
I capelli di lei sono sulla sua spalla.
Come la sua guancia. Il silenzio è riuscito a dominare, diffuso, singhiozzi
soffocati e respiri concitati. E cerca conforto nel vuoto.
Ora lei si infilata una camicia di lui
per consolare, almeno, il freddo della pelle.
«Forse, abbiamo anche fatto bene a
regalarle questa nostra tenerezza intima. Grazie a te per avermela regalata. Grazie ad entrambi per
esserci incontrati....»
Lui la carezza con sguardi dolci. Che
risuonano, in lontananza, di echi amari.
«Quel che non riesco a capire...,
soprattutto..., ora è qui... è proprio lo scarto mostruoso che esiste tra quel
che ci siamo ora regalati, … Inequivocabilmente
un atto d'amore... E, invece, la
gestualità compulsiva, frenetica e consumistica, di quel che nel linguaggio
corrente viene definito il "fare l'amore". E non voglio assolutamente
sembrare bigotto e bacchettone. Se vuoi ci possiamo anche mettere dentro, a
metà strada, … una dimensione di sessualità un po' più spicciola. Senza legami
intimi emotivi profondi, voglio dire….
Quel reciproco darsi piacere, per il gusto di darselo. Il piacere sessuale
puro, anche svincolato da vincoli affettivi.... E, da tutt'altra parte ancora,
l'acquisto e il consumo materiale di un corpo... da usare, senza coinvolgimento
reciproco, dove una delle due parti è oggetto, in balia dell'altra....
Eppure, tutte queste tre dimensioni della
sessualità vengono impropriamente accomunate nella stessa espressione: "fare
l'amore". Dove il termine “fare”, finisce per violentare il termine
“amore”.
Forse noi, possiamo dire di avere vissuto
un atto d'amore. Anche come scoperta, conoscenza, esplorazione della profonda
diversità dell'altro, conforto e consolazione....
Poi, c'è l'atto sessuale, pur piacevole e
reciprocamente soddisfacente, ma fine a se stesso. Bello e gradevole in sé; che
regala altruisticamente gioie e godimento anche all'altro. Oltre che a se stessi.
E, infine, questa ginnastica rabbiosa di
dominio e penetrazione; cui corrisponde una totale sudditanza. Una passività
che esclude la partecipazione reale. Ma che ne pretende una fittizia e
simulata. E il partner-oggetto, la vittima, è quasi sempre una donna. Costretta
a subire. A fingere piacere. E allora si può anche comprare la sudditanza di
una schiava.... Dopo avere violentato e brutalizzato la sua persona, la sua
essenza, la sua volontà.
Esistono anche subdole vie intermedie tra
l'atto d'amore, il gioco sessuale e l’ "usare della donna" (come ho
letto in un testo del 1500! Espressione mostruosa!).
E tutte hanno come connotato
caratterizzante lo svilimento della sessualità e del corpo a "merce di
scambio". L'immagine omologata del proprio corpo, offerta da usare e
possedere, in cambio di favori. Carriera politica? Professionale? Successo?
Per esempio quella candidata
"gheisha", di cui avevo raccontato l'altra sera a casa di Matilde.
Che vantava di essersi fatta intestare una casa,… in cambio dei propri
favori.... E di aver ottenuto un posto di prestigio sul lavoro usando le
proprie moine, indossando biancheria intima quasi inesistente, trucco
provocante....»
Clara aveva ascoltato e bevuto le sue
parole in silenzio. Col suo sguardo lucido e ancora bagnato.
«Ma te li immagini quegli idioti che
"comprano" il corpo di una donna, non libera, schiavizzata, per
soddisfare le proprie fantasie erotiche malate..? Passando dalla masturbazione, come gioco di
simulazione sterile, in cui un individuo fa sesso con se stesso, alla "realizzazione"
delle proprie paranoie e dei propri fantasmi..!
Avranno mai quel minimo di coscienza per
rendersi conto dell'abominio che essi stessi rappresentano?
Noi, siamo qui ora, vicini. In
un'intimità profonda che ancora perdura. Ne siamo compiaciuti, e insieme
addolorati per quella presenza fredda che aleggia sullo sfondo.... Pensa,
invece, a quanto si devono sentire profondamente delle merde, i fruitori
terminali di qualcosa che viene spacciato per merce, ma che assolutamente merce
non è..!»
Orazio le sta ora passando una mano sui
capelli scomposti. Carezza il cotone della propria camicia che nascondeva
l'involucro intimo, tenero e caldo che aveva appena incontrato. E imparato a
esplorare. Sconosciuto fino ad allora. Un regalo inaspettato e immeritato. Come
era stata anche la sciagura recente.
«Domani ci vediamo da Matilde?»
La funzionaria di polizia aveva
indossato, di nuovo, il piglio e l'atteggiamento professionale che aveva nel
primo incontro.
Solo dopo che i due furono entrati e si
furono seduti, smorzò e attenuò un poco quella maschera.
Aveva guardato prima l'uno e poi l'altro.
Finì per addolcirsi. Sentiva che i due
viaggiavano abbastanza in sintonia. Leggeva e intuiva qualcosa, nel tono degli
sguardi che si scambiavano tra loro. Ne parve compiaciuta.
«Questo lavoro è abbastanza monotono e
lento.... Lungaggini, procedure, formalità... Ma quando si riesce ad
imprimergli sistematicità e metodo...un po' alla volta i risultati arrivano....
Soprattutto... quando trovi gente che
capisce quello che sta facendo... e dove vuoi arrivare.... Ma l'autocritica al
sistema l'ho già fatta, mi pare, o no?
Beh,... i messaggini sul cellulare
rattoppato..., li conoscete, no? un pezzetto di ricostruzione ci hanno permesso
di compierla....»
Aveva fatto una breve pausa, tirando
fuori dei fogli stampati al computer.
«Questa è la traduzione del rapporto
della polizia moldava sul professore e sul suo nipote Vasile .... Che aveva
anche un altro nome a quello che risulta....
... ecco qui...
"Il giorno... presso il comando
della polizia municipale di... è stato sentito il sedicente signor Vasile... il
cui vero nome risulta essere...
Ma dov'è che comincia ad arrivare al
dunque..?
... Sì, dev'essere qui... dichiaro
assolutamente di non aver mai conosciuto la menzionata signorina Olga... È pur
vero che mi sono impegnato per favorire l'espatrio di una giovane studentessa
di mio zio... professore presso l'Università di... Il cui nome è Oana.... la
quale è giunta, per il mio interessamento, in Italia e precisamente nella
località di Novara... a far capo dal giorno... La detta allieva di mio zio,
Oana....., ha stabilito il proprio domicilio presso.... Io disponevo di un suo
contatto telefonico rispondente al numero xxxxxxxxx. Dichiaro, in fede, di non
aver nulla preteso per il favore compiuto a vantaggio della detta persona...,
in quanto a tutto aveva voluto provvedere il professore mio zio..."
Dunque, abbiamo potuto verificare che a
quell'indirizzo, e a quella utenza telefonica mobile corrisponde per l'appunto
certa Oana.... Donna di mezza età, non studentessa, che risulta svolgere
attività di "maitresse"...,una "madama", una sfruttatrice
di proprie connazionali, che aveva precedentemente "comprato".... Nel
suo alloggio, infatti, furono trovate tre giovani moldave. Quando fu fatta
l'irruzione nell'alloggio cercarono inutilmente di fuggire. Fermate,
risultarono prive di documenti di identità e di passaporto, oltre che di
regolare permesso di soggiorno.
Non ho qui davanti ora i verbali degli
interrogatori. Ma mi pare di ricordare che solo una di queste, messa alle
strette, confessò che in un alloggio attiguo, ma da quello separato, era stata reclusa una
connazionale che le sembrava rispondere al nome di Olga.... Confessò che alcune
settimane fa, e per diversi giorni, aveva sentito forti rumori e urla in tale alloggio....
Quindi, il finto Vasile, e si era
sbagliato e involontariamente aveva dato nome a utenza telefonica di una sua
complice, schiavista e sfruttatrice.... Oppure, cosa forse più probabile, aveva
intenzionalmente cercato di fare incastrare la maitresse.... Per togliersela di
mezzo? Per qualche vendetta?»
Aveva, a quel punto, guardato negli occhi
i suoi interlocutori. Poi aveva ripreso, pescando delle altre carte.
«E questo, invece, é quanto risulta …
circa il brillante docente universitario....
"... il menzionato... insegnante
presso l'Università di..., risulta essere stato oggetto di denunce da parte di
svariate sue studentesse, per via di suoi tentativi di approccio..., di
atteggiamenti intimidatori e ricattatori nei loro confronti..., Poiché aveva promesso, in svariate occasioni,
a diverse di loro, il conseguimento fittizio e fraudolento di buone
votazioni..., in cambio di prestazioni sessuali.... Una di tali denunce venne
presentata dal padre della studentessa...; che in seguito, preferì ritirare la
denuncia.... Nel corpo di polizia era più volte circolata la voce che il
docente disponeva di ingenti somme di denaro, con le quali, talvolta, riusciva
a tacitare le vittime dei suoi approcci e, insieme, anche i loro genitori e
congiunti..."
Come vedi, Clara, un altro elemento
costante che abbiamo potuto ritrovare in altri diversi contesti geografici:
Nigeria, Somalia, Albania.... Una rete molto organica e ben strutturata. Che ha
come primo terminale di adescamento persone dall'apparente grande
"rispettabilità". Alle quali giunge una più o meno cospicua fetta del
ricavato dell'impresa criminosa. Presumo, anche se non ne ho assolutamente le
prove, né sono in grado di fornirmele i colleghi di quel paese dell'est, ripeto
presumo... che il primo, che ha “venduto” Olga, sia stato il professore. Che
l'ha barattata, per denaro, al suo finto nipote … che si faceva chiamare
Vasile. Questi, alla fine, deve averla venduta alla maitresse Oana. Dopo averle fatto subire il trattamento
violento che abbiamo in parte ricostruito.
Ma Olga scriveva : "Ma dove siamo finite? Scappare…!!!
Dove? Come?". Deve averci provato. Oppure ha continuato a ribellarsi....
Il trattamento punitivo e coercitivo deve essersi alzato di tono, … oltre i limiti della
sopportabilità.... Ad opera del Vasile? Della Oana? Di entrambi? Di qualche
altro loro complice?
Ah….Mi è giunta anche notizia che sia
stata rintracciata Nadia dalla polizia di Verbania.
Attendo
il loro verbali.
Da
anticipazioni telefoniche, che mi hanno fatto i colleghi, pare che Nadia
abbia descritto il viaggio con particolari sinora inediti.
Vi
potrò far conoscere anche frammenti
di interrogatori di altre donne moldave.
Domani, o al massimo doman l’altro
cercheremo di effettuare una telefonata a Rada, un'amica di Olga molto
intima. Il mediatore linguistico le
parlerà dal mio ufficio.
...
mi chiamo Adela
xxxxxxxx, e sono nata a Hîncesti, in Moldavia, il....
Mia madre
Ecaterina.... e mio padre Dumitru ..... svolgevano il lavoro di operai in una
fabbrica chimica... fino a quando vennero licenziati ... e riducendosi infine a
sopravvivere con i prodotti agricoli di un campo di proprietà di mia madre... e
allevando qualche capretta e alcune galline...
Ho dovuto
interrompere gli studi presso l'istituto d'arte.... Insieme ad una amica, Vera,
che era stata mia compagna di scuola, eravamo rimaste colpite da alcuni
manifestini dei quali una associazione turistica prometteva lavoro sicuro in
Italia.... Non ci eravamo mai decise fino a quando la zia di Vera ci fece
incontrare un suo conoscente... tale xxxxxxxx dell'apparente età di anni 56...
che ci assicurò di interessarsi personalmente a farci arrivare in quel paese
d'Europa, dove avremmo trovato un lavoro sicuro.... Noi finimmo per fidarci
perché sembrava una persona molto perbene... era ricco ed elegante...
.... Il predetto
xxxxxx dell'apparente età di anni 35, che parlava in lingua albanese, disse a
me e a Vera che gli dovevamo € 78.000... e che ci aveva "comprate"...
e avremmo potuto restituirgli tale somma concedendo i nostri favori a pagamento
in un appartamento alla periferia di Novara... O, sulla strada.... Dipendeva da
come ci saremmo comportate. Ci spiegò che dovevamo pretendere € 50 per ogni
rapporto... della durata massima di 10 minuti... Alle nostre proteste e urla,
aiutato da due suoi complici, cominciò a picchiarci tutte e due selvaggiamente,
con pugni e calci.... Mentre ancora eravamo piangenti e insanguinate, tutti e
tre si violentarono ripetutamente....
Ci spaventarono
dicendo che, se avessimo provato a fuggire, avrebbero informato le nostre
famiglie che eravamo delle prostitute.... Una volta, dal mio telefono cellulare
chiamarono, e forse finsero soltanto di chiamare, la mia famiglia.... Urlai,
spaventata e disperata, per farle smettere....
Una notte mentre
mi trovavo al "lavoro" si avvicinò alla mia postazione una giovane
donna... che mi chiese se volevo smettere quell'attività.... In seguito chiamai
il numero di cellulare che mi aveva lasciato.... Ci fu una retata della
polizia.... La donna che ci aveva salvate ci ospitò in una comunità...
...
...
... il giorno...
alle ore... presso il comando di polizia di Pallanza-Verbania, compare, Nadia
xxxxxx, di nazionalità moldava, nata a..., il...
La suddetta,
intercettata mentre si trovava in atteggiamento ed abbigliamento equivoco in località
Fondotoce, bivio per Mergozzo, risultava priva di documenti di identità, di
passaporto e tantomeno di permesso di soggiorno.... Interrogata con l'aiuto
della mediatrice linguistica ….. raccontò quanto segue:
... alcuni mesi
or sono, insieme alla mia amica Olga ...., più giovane di un anno di me, che
avevo conosciuto alle scuole superiori,
e avevo ripreso a frequentare all'università... progettammo di venire a cercare
fortuna e lavoro in Italia. Ero a conoscenza di una mia lontana parente ucraina
che, come molte altre donne di quel paese, aveva trovato lavoro in Italia per
curare persone anziane, come "badante". Olga venne consigliata da un
suo professore, che le fece incontrare un certo Vasile, che diceva essere suo
nipote.... L'aspetto di questo signore era certamente molto rassicurante:
gentile, elegante e premuroso.... Si assicurava di conoscere molte famiglie
benestanti nel Nord Italia; dove lui si trovava spesso per lavoro. No. Non so
quale fosse la sua professione. Non l'ha mai detto né a me né alla mia amica.
Aveva già assicurato di aver comperato i biglietti da Chisinau per Milano. Ma
il giorno prima della partenza ci disse che c'erano stati dei contrattempi per
via dei nostri passaporti e per i permessi di soggiorno.
Il viaggio
avvenne con un furgone di marca Peugeot, scomodissimo. Oltre a lui, e a noi due
viaggiavano altre quattro ragazze. Due di loro dovevano essere molto più
giovani di noi. ... il giorno... alle ore... presso il comando di polizia di
Pallanza-Verbania, compare, Nadia xxxxxx, di nazionalità moldava, nata a...,
il...
La suddetta,
intercettata mentre si trovava in atteggiamento ed abbigliamento equivoco in
località Fondotoce, bivio per Mergozzo, risultava priva di documenti di
identità, di passaporto e tantomeno di permesso di soggiorno.... Interrogata
con l'aiuto della mediatrice linguistica ….. raccontò quanto segue:
... alcuni mesi
or sono, insieme alla mia amica Olga ...., più giovane di un anno di me, che
avevo conosciuto alle scuole superiori,
e avevo ripreso a frequentare all'università... progettammo di venire a cercare
fortuna e lavoro in Italia. Ero a conoscenza di una mia lontana parente ucraina
che, come molte altre donne di quel paese, aveva trovato lavoro in Italia per
curare persone anziane, come "badante". Olga venne consigliata da un
suo professore, che le fece incontrare un certo Vasile, che diceva essere suo
nipote.... L'aspetto di questo signore era certamente molto rassicurante:
gentile, elegante e premuroso.... Si assicurava di conoscere molte famiglie benestanti
nel Nord Italia; dove lui si trovava spesso per lavoro. No. Non so quale fosse
la sua professione. Non l'ha mai detto né a me né alla mia amica. Aveva già
assicurato di aver comperato i biglietti da Chisinau per Milano. Ma il giorno
prima della partenza ci disse che c'erano stati dei contrattempi per via dei
nostri passaporti e per i permessi di soggiorno.
Il viaggio
avvenne con un furgone di marca Peugeot, scomodissimo. Oltre a lui, e a noi due
viaggiavano altre quattro ragazze. Due di loro dovevano essere molto più
giovani di noi.
Percorremmo in
una sola tirata circa 700 KM e ci fermammo in un casolare vicino a Marghita,
che si trova quasi al confine tra Romania e Ungheria.
Ci fermammo in Ungheria a Nagykanizsa
vicino al confine con la Slovenia , per circa altri 500 KM.
Poi cambiammo il
percorso e dalla Slovenia scendemmo giù in Croazia, sulla costa. Non ricordo in
che località. E lì ci fermammo 4 giorni…
Poi riprendemmo
il percorso verso Trieste, dopo che Vasile ebbe ricevuto alcune telefonate. Non
capii che cosa dicessero. Parlavano serbo e albanese, lingue che non
conoscevamo.
Credo che in
tutto, compresa la deviazione in Croazia, abbiamo compiuto circa 2500 KM.
Arrivati a
Novara, Olga si fermo lì con Vasile. Che aveva un piccolo appartamentino in una
mansarda. Io continuai il viaggio con il Peugeot sino a Verbania; dove l’amico
di Vasile disse che mi stavano aspettando nella famiglia che mi avrebbe
ospitato. Ero molto dispiaciuta di lasciare Olga. Avevo saputo infatti che
saremmo state alla distanza di circa 80 KM
l’una dall’altra. Vasile e il suo amico mi rassicurarono: avrei comunque
potuto frequentare l’università a Milano con Olga, andandoci direttamente con
il treno; distava poco più di un’ora. Olga, da Novara, ci avrebbe impiegato
poco meno di un’ora. Ci abbracciammo e ci baciammo …
11.
Stava suonando il cellulare.
«Ciao, sono Clara... sarò rapidissima. Mi
ha appena telefonato Matilde... hanno trovato quel bastardo... sì, insomma,
quello che si faceva chiamare Vasile... il finto nipote.... L’ha trovato, per
caso, la polizia rumena... era appena entrato dall'Ungheria. Probabilmente era
stato segnalato il numero della sua targa... da Nadia, non so.... L'hanno
tenuto in stato di fermo.... Ne chiedono l'estradizione.... Con tutte le
lentezze e i ritardi... dovranno vedere cosa dicono le leggi internazionali...
e gli accordi tra i due paesi....
... ah sì? Stai cercando sul tuo
cellulare? Chiamate perse..? SMS?... sì, dài, fammi sapere... ciao ciao ciao, a
presto...»
Orazio stava segnando in un file aperto
date e orari di chiamate che aveva trovato sul proprio cellulare. Un certo
numero di essere era concentrato in un determinato periodo. Corrispondevano al
numero che Olga gli aveva dato... in un tempo ormai lontanissimo....
Ci aveva trovato anche un SMS,
proveniente da quel numero.... Doveva essergli sfuggito, allora.
"Scusa l'invadenza. Se ti ricordi
ancora chi sono... potrebbe essere importante per me poterti vedere e
parlare...".
Un messaggio dimenticato e perso.
Proveniente da un'altra dimensione. Da un ricordo. Da un fantasma....
Tolse dall'elenco che stava scrivendo i
numeri delle utenze sconosciute.
La lista si componeva di sette chiamate
da lei non risposte. Più quel messaggio sibillino. Allora, …se l'avesse
guardato. Ora, invece, dolorosamente chiaro ed esplicito. Un appello disperato.
Anche se formulato con linguaggio discreto e schivo.
Troppo tardi! Terribilmente troppo tardi!
Da collocare insieme alle immagini devastate che aveva sistemato, a fatica, in
un cassetto doloroso della memoria.
"Trovato sette chiamate non
risposte. Settimana precedente scomparsa. + un SMS non letto. POTREBBE ESSERE
IMPORTANTE PER ME POTERTI VEDERE E PARLARE... lo era. Troppo tardi...! Mando
mail a Matilde. A presto".
La mail e di risposta della poliziotta diceva:
"non colpevolizzarti. arrivate copie di lettere ad amica sorella e madre.
Appena tradotte ve ne condivido il contenuto. Promesso la spedizione anche di diario personale"
SMS Rada
Complicato il bel tenebroso. Vedrai che
tutto si sistemerà. Fin troppo generoso con il prestito. Peccato per il
viaggio, che immagino lunghissimo! Vedrai che l'Italia sarà la tua fortuna...
qui da noi la solita vita piatta e
monotona. Quasi quasi ti invidio
Tutti uguali gli uomini. Se è sposato non
fidarti troppo. Magari avrà davvero
scherzato e voleva giocare a far la lotta. E l'italiano splendido? Dài,
telefonagli. Un bacio e... in bocca al lupo!
Eh…? Ma
è terribile. Molla tutto e vai altrove. Telefona subito all'italiano! Se
è il caso va alla polizia... al massimo ti danno il foglio di via! Avverti
Nadia: trovate insieme un'altra soluzione. Fai sapere.
Circolavano storie del genere... ma non poteva capitare
proprio a te! Nadia non risponde al telefono
SMS di Nadia
Il mio autista, invece non è molto
timido! Si dà da fare anche se è un po' violento... del lavoro non so ancora
nulla. Sto in un monolocale. Baci. A presto
È troppo violento..! Cerca continuamente
di prendermi con la forza. Dice che prima o poi ci sarà il lavoro. Che devo
imparare il mestiere... mi viene un sospetto ma è troppo tremendo! Ciao
Olga..! Ma questi sono dei criminali!
Picchia e non da solo. Dice che dovrò restituirgli i soldi andando a fare la
puttana.... Che non sono qui in vacanza sul suo Lago Maggiore! Ho paura che mi
rubino cellulare e il passaporto.
Mettiamoci d'accordo per scappare al più
presto
Pagine dal diario di Olga, spedite da Alessia
all'ispettorato di polizia.
"Ormai è
deciso. Ho cercato di essere gentile con il professore, anche se ha cercato di
fare il porco con me; per non inimicarmi il nipote. Lui invece è carino e forse un po' timido. ha una
faccia che ispira abbastanza fiducia. La partenza è imminente. Sembra ci sia un
volo da Chisinau. Staremo a vedere....
... mi sono
rassegnata a partire senza andare a salutare mamma e Alessia. Forse è meglio
così. Però mi dispiace molto. Sto per fare il salto nel vuoto. Come sarà
quest'Italia? Qui da noi si sta male. Il totale fallimento di quello che
chiamavano "il socialismo reale" i tovarish della vecchia grande
famiglia della stella rossa sovietica. E quest'Italia? Là governa un ometto
squallido ricchissimo e potentissimo. Si è fatto trapiantare capelli... e forse
qualcos'altro! Si è attorniato di una harem che ha portato anche nel governo e
nel parlamento. Però economicamente stanno
meglio che qui da noi. Forse non saranno tutte rose e fiori.... Ma qualche
lavoretto da infermiera e da badante forse potrò trovarlo. Magari anche
riprendendo a studiare seppure con immensi sacrifici....
Sono molto decisa
e determinata. Ma anche e insieme disperata e spaventata!...
... Vasile via
fatto vedere il passaporto e il biglietto aereo. Dice che preferisce
conservarlo lui. Per sicurezza. Forse è meglio così. La partenza è fissata per
dopodomani. Ho messo le cose essenziali in una borsa non troppo grande. Qui
nell'alloggio universitario cercherò di non lasciare nulla. Ho preparato degli
scatoloni con i libri e tutte le altre mie cose. Prima di chiuderlo ci infilano
anche questo diario. Ho dato l'incarico al custode di farlo spedire con la corriera
a casa, perché lo custodisca Alessia....
... Addio! Terra
di Moldavia. Dove ho trascorso tutta la mia vita. I miei affetti, i miei
ricordi, i miei studi, le mie esperienze.... Li lascio qui. Resteranno ad
aspettarmi per quando potrò ritornare. Amo la mia terra povera. La mia gente.
Spero di tornare presto ad abbracciarti.
12.
Con il presidente di LIBERAZIONE e
SPERANZA, Clara aveva organizzato una
fiaccolata per la città; per Olga.
Una
iniziativa simile si era tenuta poco più di un anno prima, dopo
l'omicidio della transessuale brasiliana.
In
quell'occasione molte centinaia di persone silenziose avevano sfilato
per la città. A mo' di preghiera, era stato letto l'elenco delle vittime dell'ultimo anno in Italia. Una litania
dolorosa e composta. Laica.
Per Olga avevano selezionato dei brani
delle sue lettere, del suo diario, dei messaggini del suo telefonino. Anche
questa volta si sarebbe trattato di una preghiera laica. Una manifestazione
accorata di solidarietà. Un abbraccio doloroso all'ultima vittima.
Un annuncio dell'iniziativa era comparso
sulla stampa locale. Che riportava anche la cronaca degli atti giudiziari e
dell'inizio della procedura per direttissima nei confronti del cittadino
moldavo. Accusato di [riduzione in schiavitù, avvio alla prostituzione,
maltrattamenti e malversazioni violente e prolungate, sospetto omicidio].
«La cosa è organizzata per la settimana
prossima. Venerdì sera alle 21.
Peccato solo per una cosa. Che, molto
probabilmente, tra i partecipanti non ci sarà nessuno di quelli che vengono
definiti i "clienti". Quei maschi fragili e immaturi, umanamente e
sessualmente. Che fanno ricorso al sesso a pagamento. Che realizzano le loro
masturbazioni mentali, "usando" il corpo di queste "schiave
sessuali". Come vedi, ho usato il termine che tu avevi citato, del
"cinquecento". "Usare della donna". Credo che, comunque,
siano molto importanti queste azioni collettive. Queste manifestazioni di
solidarietà e di sdegno.»
Orazio aveva assentito. Vergognoso di far
parte di quella categoria..., di quel "genere" a cui appartenevano i
consumatori terminali del sesso a pagamento. Su donne schiavizzate e ricattate.
«Sì. Anche il rito è molto importante.
Noi laici, atei, agnostici e non credenti, dobbiamo sempre di più ricordarcene.
Del rito. Oltre alle modalità abituali delle manifestazioni di lotta per il
lavoro, per la difesa della costituzione repubblicana, della resistenza e
dell'antifascismo.... Mi ha colpito molto la ritualità della fiaccolata
dell'anno scorso. Quelle fiammelle portate in silenzio. Quelle parole scandite.
Quei nomi pronunciati.»
« Per la nostra Olga abbiamo preso le sue
frasi. Dalle lettere, gli SMS, i diari.
Pronunceremo le sue parole. Parleremo con la sua voce.
Anzi, ti voglio far vedere i brani che
abbiamo messo insieme. È importante il tuo parere e la tua collaborazione. Poi
le trascriveremo e le stamperemo. Perché vengano scandite.
Ci ho pensato anch'io, sai, all'effetto
del rito. Ai nuovi modi di manifestare in pubblico. Degli "Indignados”
iberici, di quelli greci.... Delle migliaia che occupano le piazze in America.
Dei nuovi linguaggi per professare la pace e il disarmo. Il no al nucleare. La
difesa dell'acqua e del suolo. Del mare. Del rifiuto di inutili imprese
faraoniche.»
Lui le aveva stretto il braccio, tenendolo
con la mano calda. E le aveva sfiorato la guancia.
Clara aveva distribuito i fogli stampati.
Ora stavano nelle mani di una decina di donne. Alcune erano sue colleghe
mediatrici; altre, ragazze che la speranza e l'impegno avevano già liberato.
Un collage da pronunciare, a turno. Con
un microfono che si sarebbero passate l'un l'altra. Altre due di loro reggevano
le casse di un altoparlante.
Vennero accese le fiaccole.
Alla luce della fiammella tremolante la prima ragazza della fila prese
a leggere. Con voci diverse Olga cominciò a raccontare frammenti della sua
vita.
«Diceva … devi
andare all'università, continuare gli studi, laurearti.... e io …mi impegno più
che posso, …
… La borsa di
studio non è stata sufficiente a coprire tutte le spese. Mia madre deve
rimetterci ancora qualcosa …
….alla fine, avrò
finalmente il diploma di laurea, … poi la trafila lunga e faticosa per trovare
un posto fisso di lavoro….
Ma diamo tempo al
tempo! A presto. … quando torno, voglio fare ancora quelle belle e lunghe
chiacchierate ….
…Saprò ben
bastare a me stessa..., almeno adesso.... riusciremo a sistemare anche
questa...
…lascio
l'università …trovo la soluzione e basta! … ti bacio, mammuccia cara ma .., ti
prego, non ti mettere anche piangere.... Lo so, siamo state molto disgraziate e
sfortunate.... Ma la soluzione ci deve pur essere e allora la troveremo!
…ma lui ora dice di essere sicuro che potrà
aiutarmi... a venire in Europa...! Pare abbia delle conoscenze importanti in
Italia… è sicuro che troverà qualche famiglia per bene che mi tenga a vivere da
loro …occuparmi dei bambini, tenere pulita la casa e fare i lavori domestici,
accudire gli anziani.... mi aiuteranno economicamente...., in quel momento ero
al settimo cielo.…
… ci sarà soprattutto il problema della lingua.
Quel poco di italiano che io conosco… mi basterà a malapena per farmi capire e
arrangiarmi i primi tempi.... non mi arrendo facilmente. …
… una parente
ucraina è andata per anni in Italia a lavorare. Si occupava delle persone
anziane. Là le chiamano "badanti"; …si occupano, di persone anziane o
malate. … mandava quasi tutti i soldi in a casa … due o tre volte all'anno….
organizzavano dei pulmini per tornare a trovare la famiglia. Un viaggio
massacrante ….
…Certo, si tratta di lasciare tutto quanto, di
fare un viaggio lunghissimo in un mondo che è per me, ora, sconosciuto. Il
grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno che è ancora pieno di
incognite. ..potrà rivelarsi molto migliore della realtà che viviamo qui nel
nostro paese…che porti miglioramenti e felicità anche a voi …
…la situazione….
non è per niente disperata. Anzi …si stanno aprendo prospettive ancora
migliori. Io sto inventando in un modo nuovo il mio futuro.
… possono nascere prospettive nuove e
addirittura migliori..!… non mi arrenderò mai .. andrò in quel paese, studierò, prenderò una
laurea che vale molto, troverò un lavoro stabile e ben retribuito….
…Ormai è
deciso.... mi sono rassegnata a partire senza andare a salutare mamma … mi dispiace
molto. Sto per fare il salto nel vuoto. Come sarà quest'Italia? Qui … si sta
male…. E quest'Italia… …non saranno tutte rose e fiori....ma qualche lavoretto da infermiera o da badante
forse potrò trovarlo. Magari anche riprendendo a studiare seppure con immensi
sacrifici....
…però sono anche
molto … disperata e spaventata!..
... Addio! Terra
di Moldavia. Dove ho trascorso tutta la mia vita. I miei affetti, i miei
ricordi, i miei studi, le mie esperienze.... Li lascio qui. Resterai ad
aspettarmi per quando potrò ritornare. Amo la mia terra povera. La mia gente.
Spero di tornare presto ad abbracciarti.
… domattina
partiremo.
…
viaggio massacrante . Niente
aereo… bus…!...
….Trovato qualche lavoretto. Metto
insieme qualche euro. …
Era una litania in cui Orazio sentiva
parlare quella persona.
Le frasi venivano pronunciate
inframmezzate da pause di silenzio, ampie, significative; che echeggiavano il
loro vuoto nell'aria della città. Fluttuante di fiammelle.
Lasciò che la cantilena mesta si
depositasse sullo sfondo. E ripercorse, a passi rapidi e veloci, le sequenze
del suo viaggio. Quasi un pellegrinaggio.
Il volo Meridiana IG 271 era partito da
Malpensa alle otto. Alle 5.40 parcheggiava l'auto. Il check in era stato
abbastanza sbrigativo. Nessuno che facesse la fila. Si era portato solo un
piccolo zaino come bagaglio a mano. La partenza era stata annunciata diverse
volte. Ma di fatto partì soltanto alle 8.35.
Si muoveva impacciato. Sentendosi fuori
posto. Estraneo a quel viaggio. A quel volo. A quella vicenda.
«Ma dove cazzo stai andando? Cosa vai
cercando? Cosa centri tu, con questa storia?
Con questo
zainetto quasi vuoto sulle spalle. Con dentro agli occhi quel volto sfigurato.
Sotto quel lenzuolo di ghiaccio. Con l'anima piena di freddo.
Ora resetto
l'immagine. Con quell'altra di quel sorriso lontano. Sfocato. Estraneo e intimo
insieme.
Per un assurdo
pellegrinaggio essenziale.
Ma tu lo
permetti? Posso? Mi lasci venire a frugare le atmosfere e la terra che ti hanno
conosciuta? Non è ormai troppo tardi? Perdona l'invadenza. Ma devo venire fin
in fondo. Devo contagiarmi l'anima con il tuo mondo. Stammi vicino, se vuoi.
Parlami, anche tu, come faccio io.
Porto con me la
testimonianza per tutti gli altri. Per chi non vuole saper nulla. Per chi non
guarda così in basso. Ignora queste tenebre, per non sporcarsene. Per chi é
indifferente a tutte le miserie. Perché cammina sempre un po' al di sopra di
tutto.
Dammi la tua mano
fredda da tenere. Da scaldare, se posso, con il ricordo del sorriso luminoso
che mi hai prodigato. Che ho lasciato a fermentare in un cassetto della mia
memoria." Non omnis moriar"; non tutta sei morta. Riporto a casa tua
il profumo della tua giovane bellezza martoriata. Scrutando con amarezza le
ombre dei tuoi ricordi.»
Aveva allacciato la cintura di sicurezza,
quando gliel'avevano detto. Reclinando il capo sul poggiatesta scomodo.
Ondate di tepore primaverile lottavano
per risvegliare un gelo rappreso. Riusciva quasi a sentire quella mano
pensata....riprendere consistenza. Risvegliava dal torpore di quel sonno
freddo. Che a stento e a fatica emergeva nel vento ronzante che emettevano le
bocche dell'aria condizionata.
«È tardi, lo so. Ma dovevo. Volevo,
anche. Voglio.
Tu sei fuori del
tempo, ormai. E dalle terre e dai luoghi che ti hanno conosciuta bambina. E
questo è forse, soltanto, un viaggio interiore. E la memoria si distende,
all'infinito. Per un'eternità ingannevolmente promessa. Che vogliamo regalarci
con pensieri e parole. Cancellando l'indifferenza e il cinismo feroce. Per
inventare una dimensione nuova. Di sogno e di speranza. Di tenera dolcezza
diffusa.»
Nel piazzale antistante l'aeroporto di
Chisinau, scelse la prima auto in servizio di taxi. Una vecchia
"lada" grigio fumo. Dallo scappamento vapori della benzina povera di
ottani. L'autista del taxi aveva mormorato qualcosa leggendo il bigliettino che
lui gli aveva passato. In una lingua che era un miscuglio di suoni latini e
slavi. Non aveva saputo né potuto ribattere.
Si era bevuto e sorbito le immagini che
sfioravano la strada. Come in un vecchio documentario.
Ritrovandosi, infine, con i borborigmi
del motore acceso. L'auto si era fermata davanti ad un palazzone di cinque
piani. Indefinibile. Gli euro con cui aveva pagato erano stati accolti senza
commento. Un breve suo cenno del capo aveva negato ogni calcolo di cambio per
il resto.
Si era avvicinato al numero indicato sul
foglietto che teneva in mano. Ai campanelli mancavano i nomi. In compenso il
portone era soltanto accostato.
Al quarto piano una targhetta di cartone
recava il cognome di lei. Scritto a mano con pennarello. In caratteri cirillici
e latini.
Sollevò il battacchio e lo fece vibrare
alcune volte sulla base.
Quando la porta si aperse, uscì un flusso
di vapore di cucina. Con aromi di aglio e di cavolo. Estranei per lui; e
insieme familiari.
La donna lo guardò con occhi fermi e
indagatori. Poi si tirò indietro facendolo entrare.
«Alessia...», disse, appoggiando una mano
magra sul proprio petto...
L'aveva fatto accomodare nella cucina.
Confidenzialmente. O, anche, per penuria estrema di spazio. Si era seduta di
fronte a lui, su una sedia impagliata simile alla sua.
Fu un colloquio silenzioso. Fatto di
sguardi significativi.
Quella visita era stata annunciata. E le
parole non servivano. Gli sguardi erano invece molto eloquenti. Quelli di lei
partivano da due occhi nerissimi e lucidi. Contornati da un alone mesto di
lacrime accumulate.
Si era alzata e da una piccola madia,
verniciata di verde, aveva estratto una bottiglia di colore scuro e due piccoli
bicchieri. Aveva pronunciato il nome del liquore di prugne. A più riprese,
entrambi, ne avevano inghiottito boccate aromatiche.
La conversazione di sguardi si era
conclusa quando gli aveva fatto cenno di seguirlo in un'altra stanza. Una donna
più anziana stava seduta su un piccolo divano di tessuto stinto. L'aveva
inquadrato con uno sguardo obliquo. Che sembrava non interrompersi mai.
Di nuovo le parole erano state inutili.
Si era ritrovato a discendere le scale.
Con la pressione di quelle dita scarne che gli avevano tenuto la mano.
Il rito si stava concludendo. Le parole
superflue.
Un'auto simile alla prima aveva
contaminato l'aria con il suo scappamento.
Il Boeing era partito vibrando.
Strappandolo da quell'estraneità con la quale aveva iniziato a familiarizzare.
2000 km circa. Altrettanti al ritorno.
Non sapeva neppure più se si era fermato
no una notte a dormire, almeno.
Ora stava di nuovo camminando a fianco a
Clara. Reggevano entrambi la propria fiaccola. Lei gli aveva rivolto degli
sguardi rapidi. Quasi cogliendo la fatica di quel viaggio interiore, che aveva
ripercorso, da solo.
Le
voci femminili, stentoree e asettiche, continuavano a scandire le parole
di Olga...
… poi, però ha … cominciato a picchiarmi
quando ha visto che reagivo….
…Mi hanno violentata in tutti modi e da
tutte le parti. ….. Poi hanno ricominciato a picchiarmi. Tutti e due. Dove sono
finita? continuano a parlare dei soldi che gli devo restituire. Dicono che presto avrò il mio lavoro (?!?). E ridono
…Credo di essere caduta dalla padella nella
brace. Sono finita in un immenso buco nero che mi sta inghiottendo e
distruggendo. Devo continuamente
nascondere il cellulare e il carica batterie. Spero che non li trovino!
… Questi … sono dei veri criminali
“…Se ti ricordi
ancora chi sono... … potrebbe essere importante per me poterti vedere e
parlare...".
Le ultime battute erano state pronunciate
nella piazza, dove alcune centinaia di persone si erano assiepate con le loro
fiammelle tremolanti. Avevano scorto entrambi il cenno di saluto della loro
amica ispettrice capo. La dottoressa Matilde Ragusa stava accanto ad alcuni
agenti di polizia. Poco discosto dal punto in cui si erano raccolte le donne
che avevano dato voce al ricordo. Col microfono e gli altoparlanti. In mezzo a
loro un uomo brizzolato con la barba corta e gli occhiali.
Il silenzio era di nuovo rimasto sospeso
nell'aria. Eloquente e pieno di significati.
Poi, lentamente, compostamente, la piazza
aveva cominciato a vuotarsi.
"... il giorno... alle ore...
davanti alla sezione penale del tribunale…., avrà luogo l'udienza preliminare
per il processo contro......, cittadino moldavo... Accusato di riduzione in
schiavitù, avvio alla prostituzione, maltrattamenti e malversazioni violente e
prolungate, sospetto omicidio. ... ai danni della connazionale ... Olga...
... dalle risultanze delle indagini della
polizia, pare che l'uomo, in combutta con altri complici, abbia raggirato la
vittima, studentessa universitaria presso la facoltà di,… dell'università di…
... Sembrerebbe che nell'operazione sia
coinvolto un docente della sventurata studentessa moldava ... Da indiscrezioni
pare che la polizia di quel paese lo ritenga responsabile anche di ulteriori
altri reati nei confronti delle sue allieve... Alle quali avrebbe in più
occasioni richiesto prestazioni sessuali in cambio di votazioni favorevoli....
Insieme alla vittima, il menzionato
cittadino moldavo, avrebbe favorito l'espatrio di un'altra giovane studentessa
amica intima della vittima. Quest'ultima sarebbe stata rintracciata in
provincia di Verbania... e avrebbe fornito elementi utili per l'indagine e per
la ricostruzione dell'abominevole operazione.
A quanto risulta veniva promesso il
viaggio e il trasferimento, e la collocazione presso famiglie abbienti, nelle
abitazioni delle quali avrebbero svolto compiti di collaborazione domestica. In
cambio di vitto e alloggio e del fabbisogno per la prosecuzione degli studi.
Gli intermediari, nelle fasi finali,
erano soliti abusare sessualmente delle proprie vittime, costringendole con
ricatti e violenze di ogni genere, ad esercitare la prostituzione.
Il fenomeno si ricollega a quello molto
più vasto che riguarda donne provenienti da molte parti del mondo. In
particolare dall'Africa: Nigeria, Somalia. Ma anche da paesi dell'America
Latina e dalla penisola balcanica.
La consistenza del fenomeno viene
definita "nuova tratta delle schiave". Da informazioni fornite dalla
associazione Liberazione e Speranza, che cerca di contrastare il fenomeno
aiutando le vittime a liberarsi riportando le ad una vita dignitosa e decorosa,
questo squallido commercio di vite umane produce immense ricchezze. Le
associazioni criminali coinvolte dispongono di una rete, che si avvale di
collaborazioni mafiose nei territori di vari paesi. Nella madre patria di
provenienza sono attivi personaggi, dall'apparenza molto rispettabile , che si
occupano del reclutamento e delle prime operazioni di raggiro.
Nei territori dove vengono costrette al
meretricio, donne e uomini, spesso connazionali delle malcapitate le
"comprano”..! Le organizzazioni criminali e schiavistiche dispongono di
ingenti quantità di denaro che proviene, oltre che da questo squallido mercato,
anche dallo spaccio di droga.
Venerdì... sera alle ore 21, si è svolta
per le vie della città una mesta e significativa manifestazione. Centinaia di
concittadini hanno partecipato alla fiaccolata. Nel corso della quale sono
stati letti a turno, da giovani donne, brani delle lettere, dei diari e degli
SMS della sventurata Olga.
Un richiamo accorato è stato rivolto,
anche in questa occasione, dal presidente di Liberazione e Speranza, a quanti
"fruiscono" delle prestazioni forzate di queste giovani schiave...
La
fine terribile della giovane universitaria moldava è l'epilogo di una
faticosa battaglia che spesso le stesse vittime conducono, in solitudine, per ribellarsi e liberarsi dal giogo!
Anche la nostra testata rivolge un
pensiero mesto e solidale verso questa ennesima vittima. Che ci ricorda
analoghi episodi non troppo lontani. E invita coloro che si riducono a pagare
per avere i favori di una donna, a rifletterci a lungo. Essi sono di fatto
corresponsabili di queste oscene brutture, diventandone complici.
I funerali si sono già svolti in forma
riservata, a cura della associazione onlus. A cui va tutta la gratitudine della
cittadinanza civile!....”
13.
WORDCLOUD
- nuvola di parole wordcloud
"... senza
un dove, sai... e neanche un prima e un dopo... senza tutto, insomma, ma con
tutto dentro... lo so che è difficile da dire... e lo penso dicendolo...
... per fartelo
capire, sai... di quando avevo letto dello sciame di farfalle,… a Petaloudes
…nell'oasi della valle di Rodi... ecco,
sì, quella leggerezza, sfumata...
... nella soffice
brezza... galleggiare sospesa... sfiorando e carezzando tutto...
... il tuo nome,
poi, Orazio, mi aveva fatto tornare in
mente quel seminario di filologia romanza... con i primi rudimenti della tua
lingua... e quei versi latini leggeri e soavi che dicevano...
"vides ut alta stet- nive candidum Soracte- nec iam sustineant
onus- flumine constiterint acuto..."... parole che aleggiavano soavi... come in
questa dimensione qui, di ora... e la lingua rumena, che noi chiamavamo il
moldavo, si intrecciava, giocando a nascondino con la tua lingua italiana, con
la madre comune latina... e ti sentivo profondamente vicino... sai?...
intrecciavo pensieri con parole... ed emozioni pulite e terse... come sentivo
essere anche le tue... lo sai, vero?...
... e stava sullo sfondo del rimosso la paura per le
minacce appena subite... obnubilata dal vento leggero di speranza che spirava,
gentile e melodioso... e già mi raccontavo quel sogno di fuga, dall'incubo che
aveva iniziato ad incatenarmi... uscire dalla palude gelata di fuoco, per
entrare nel tuo mondo, camminando a passi leggeri... perché, ne ero certa, non
potevo ingannarmi, quella brezza avvolgeva anche te... con la speranza che
volava, libera, nell'aria...
... e lo racconto
per tutti e per sempre... per chi sa ascoltare e sentire davvero...
... che non so
neppure come definirlo, sai? Forse, calmo e cauto innamoramento... o pacato
stupore e compiacimento... nella totale assenza di affanno... liberata ormai
dall'ansia che mi aveva attanagliato l'anima... panteistica partecipazione...
onnipresente... immediatezza nella lenta velocità... presente e diffusa
dovunque.... Lo so che mi senti, Orazio, in questo distacco partecipato... che
era un po' quello che abbiamo provato sfiorando le nostre esistenze... quando
ancora era possibile... quando il tempo non si era ancora chiuso su se
stesso... e c’era un dopo probabile suggerito e promesso da quel distacco
partecipato... che spirava confortante e seducente...
... e ti
raccontavo pezzetti della mia
infanzia... della mensa del collettivo di caseggiato...
... e di quando
avrò avuto otto anni, non so, … a letto con l'influenza..., la febbre molto
forte... e frammenti di delirio e incubi,... sentivo tutti gli odori diversi,
... e una immensa spossatezza, sai? ... ma era qualcosa di simile a questa cosa
qui... a questo racconto... e anche la guarigione... galleggiando in un mondo
nuovo... prova a capire...
... o quando a 12
anni, ci perdevamo il senso del tempo e del mondo a giocare, nel parco, con le
compagne... credo lo facciate anche
voi... al gioco della campana... disegnando col gesso per terra la casa della
settimana... a buttarci il sasso... e saltare su un piede solo...
... era la mamma
poi... a venirci a chiamare... disperata... per riportarci nelle case e nel
mondo reale... e ci faceva uscire da quel mondo magico, dove era bello
smarrirsi …. e perdersi...
... le sto riprovando ora quelle forti emozioni, vere... mentre
lasciavamo intrecciare pensieri e parole... nella magica sintonia... ti sentivo
profondamente vicino... sai?... intrecciavo pensieri con parole... ed emozioni
pulite e terse... come sentivo essere anche le tue... lo sai questo, vero?...
... e sto sognando il sogno... che
sogniamo... e quasi non mi meraviglio... che le parole che parlo sognando sono
quelle della tua lingua italiana... che è diventata così tanto mia... da
sembrarmi quasi il moldavo... cioè il rumeno... voglio dire... o anche... pure
i linguaggi sanno diventare così assoluti... definitivi... universali... dopo
il salto improvviso che si compie...
... ma senza
rancore e rabbia... sai?... solo un pacato stupore ...
... e diceva quel
vostro poeta che ha cesellato la tua bellissima lingua "e il modo ancor
m'offende..."... meravigliata e frastornata di quella violenza inaudita e
assoluta... e subito ero già entrata
nella nuvola... nel cloud... nella nuvola di parole... nel cloudword...
se così posso dire... lasciamelo dire, ti prego!... e mi distendo all'infinito
in questa atmosfera magica e assorta... per giocare a campana... con te e con
tutti i ricordi dolci e saporosi...
... col
compiacimento ... di questa ultima... estrema consolazione...
... mentre tu e
altri parlate... anche di me... e mi sentite presente... lo sono...
... la speranza
profonda... di liberazione definitiva... cautamente si è trasformata... in un
caparbio desiderio...
... risoluto e
determinato... che riesce a distendere il velario immenso di questo nuovo
stato... di questa dimensione mentale... colorita di ricordi ed emozioni
intense... che sconfigge la sciagura... e prova a cantare leggiadra un tempo
senza minuti né orologi...
... in questo
sogno infinito che esisterà finché vorrò sentirlo e crederlo... come tutti...
d'altronde... o no?
... nelle luci
tremanti della fiaccolata... pronunciavo con voi le stesse parole che venivano
lette... le ho pronunciate con te... sconosciuto amico di un istante...
prolungandolo all'infinito...
... in questo
"ora" che non ha prima né dopo... mi distendo... galleggiando nelle
parole... aggrappata ad esse... a cavalcioni dei ricordi e dei pensieri...
perché le parole non possono essere spente...”
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