IL COLLOQUIO-1-2-3-4-5
Si era preparata a puntino. Aveva indossato
uno degli abiti migliori, elegante, ma anche abbastanza sobrio e non troppo
vistoso.
Non aveva detto niente in casa. Si teneva
tutto dentro e ci pensava.
Passando dal centro si fermò, visto che aveva un buon margine di anticipo, a guardare delle vetrine. Una camicetta come piaceva a lei. E anche una borsa anzi due…! Ma per il momento finché non aveva il nuovo lavoro, avrebbe dovuto aspettare.Arrivo nell’edificio con un discreto margine.
Il personale che la accolse fu abbastanza
formale, gentile, ma distaccato.
Già guardando le vetrine le era venuto in
mente quello che le avevano raccontato Fabiana e le altre amiche.
In situazioni occasioni simili.
La prima aveva dovuto aspettare circa
un’ora. C’era sempre un andirivieni: gente che entrava e usciva. E aveva visto
là in fondo la porta dove sarebbe dovuta entrare per il colloquio.
Poi.… Miseriaccia…
Un ometto piccolo tarchiato con la faccia
inespressiva che continuava a chiacchierare al telefono e neanche le faceva
segno di sedersi davanti a lui.
Poi… Una serie di predicozzi squallidi. “E
si ricordi questo e quest’altro… Il suo dovere è quello di… E non le venga
neanche per l’anticamera del cervello di…”
Fabiana era tornata a casa con un grande
disagio interiore. Ricordava ancora la mano che l’ometto le aveva dato, e con
la quale aveva tenuto la sua, per qualche minuto, reggendola con tutte e due
guardandola negli occhi con aria poco raccomandabile…
Anita aveva avuto un’esperienza all’inizio
apparentemente migliore.
Il tipo le era subito venuto incontro sulla
porta. Le aveva sfiorato la mano e intanto con l’altra la accompagnava
appoggiandogliela sul braccio. Aveva voluto fare il simpatico con battute di
spirito. Non aveva parlato affatto dell’impegno del lavoro. Ma lei aveva notato
che aveva chiuso a chiave la porta d’ingresso.
Poi la sua mano era scesa dal braccio fino
al polso. Glielo aveva accarezzato.
Lei era molto imbarazzata. Sarebbe stato
praticamente anche per lei il primo impiego, se l’avesse ottenuto. Non si era
preparata e non aveva previsto quel comportamento.
Un po’ a malincuore, ma pensando al
probabile risultato che avrebbe ottenuto, lo lasciò fare.
Le mani dai polsi cominciarono a frugare il
suo petto. Lei continuava a sorridere imbarazzata e bloccata.
Era abbastanza massiccio e con un po’ di
pancia.
Poi, avvenne tutto il resto… Tornando a
casa si sentiva un pochino schifata, ma insieme anche abbastanza compiaciuta.
Il tipo aveva gradito la sua presenza e il suo aspetto. E s’era messo a farle
delle cose che a casa quello là non le proponeva e non le faceva mai.
Arrossì ancora dentro di sé.
E poi a Marina: quel tipo piccoletto,
pelato, con la faccia un po’ da stronzo, che continuava a fare battute tra il
lusco e il brusco. Spesso allusive. Al momento era rimasta in contropiede. Poi
si era divertita.
Naturalmente anche lei a casa non aveva
raccontato niente. E trovava divertente avere quella storia trasgressiva
segreta anche se abbastanza squallida.
Come pure Sandra.
Alle altre era andata con piccole varianti.
Cinzia anziché il predicozzo sugli obblighi
professionali, aveva subìto e ascoltato strani discorsi ambigui e ambivalenti.
Apparentemente parlava del lavoro ma alludeva a qualcos’altro. Circa essere
obbediente e ottemperare a tutto…
Per fortuna che poi aveva trovato lavoro
altrove.
A qualcuna era andato invece pulita e alla
grande. Richiesta di informazioni sulle loro competenze; informazioni sul
mansionario; e anche sulle regole relative agli orari e alle eventuali assenze…
Ci aveva ripensato mentre guardava i negozi
delle borsette. E ci stava ripensando ora. Che cosa le sarebbe capitato?
Ripensò che il giorno dopo aveva
appuntamento dalla parrucchiera. Peccato: avrebbe preferito andare al suo primo
colloquio di lavoro coi capelli molto in ordine. Ma non era stato possibile.
Avevano già un sacco di prenotazioni. E poi la telefonata era arrivata
all’ultimo momento.
Non aveva detto niente: anche perché in
casa spesso si dimenticavano dei suoi impegni. Bastava che lei si occupasse
delle faccende quotidiane. Per il resto era solo una presenza. Ciao, ciao. Ci
vediamo più tardi. Arrivederci…
In effetti, ora, stava sulle spine.
Dietro la porta là in fondo, da dove usciva
quel profumo intenso di tabacco da pipa, con aroma di incenso, sentiva una voce
forte e vibrante stentorea che parlava con qualcuno oppure stava conversando al
telefono.
Non sapeva se avere paura o essere
confortata da quella voce baritonale che ogni tanto si lasciava andare in
risate col tono di voce più alto.
Infine, una addetta, che era stata
avvertita dal citofono, le si avvicinò, in modo sempre formale, e la accompagnò
alla porta.
Gliela aperse, e le fece segno di entrare…
Era un salone immenso.
In fondo, sulla sinistra un tavolo da
lavoro ingombro di documenti e carte.
A fianco un tavolinetto con un grosso
computer e la sua tastiera.
Da un altro lato un altro tavolo di
rappresentanza, in stile fratino. E sull’altro lato della stanza un salotto con
divano e due poltrone e un piccolo tavolino.
Al tavolo da lavoro, in modo assolutamente
opposto e diversissimo rispetto alle sue amiche, stava seduto un uomo
abbastanza attraente, abbastanza giovane…
Teneva in bocca la pipa che provocava e
spandeva quel profumo gradevole e piacevole.
Indossava una giacca verde di loden a un
solo bottone.
Aveva i capelli molto folti e molto fitti
ricciuti color castano.
Occhi scuri luminosi intensi che la
guardavano in modo aperto e attraente.
Si alzò, le andò incontro, le strinse la
mano con calore…
Poi si spostò dal tavolo da lavoro e la
invitò ad accomodarsi al salotto…
Forse le chiese nome cognome e tante altre
cose rispetto alla sua formazione…
Ripensandoci, a posteriori, non si ricordò
più nessun particolare.
Fu gentilissimo. Garbato. Seducente e
seduttivo.
Ma per niente invadente come era avvenuto
per le sue amiche.
Non voleva sembrare indiscreto e l’aveva
chiamata di volta in volta: “gentil signorina… Oppure gentile signora ma non
voglio sapere i fatti suoi…”
Quando uscì dall’immenso salone era ancora
tutta impregnata di quel profumo intenso di fumo di pipa.
E sentiva ancora risuonare nella sua
memoria e nelle sue orecchie: “gentil signorina… O gentile signora …”
E non ricordava assolutamente il contenuto
del colloquio.
Era andato comunque decisamente bene.
Avrebbe dovuto cominciare il giorno tal dei
tali.
Ma lei aveva in mente altro cui pensare…
Certo, ripassando davanti alla vetrina
oltre alla camicetta e alla borsa vide delle scarpe addirittura meravigliose.
E messi da parte il racconto dei ricordi
del colloquio delle sue amiche, nella situazione totalmente nuova e diversa che
era capitata a lei, si inventò mentalmente degli sviluppi di quell’incontro
favoloso…
Forse lui un giorno l’avrebbe chiamata per
chiederle come andava il lavoro. Lei sarebbe stata molto timida e impacciata. Lui l’avrebbe rincuorata con la
sua voce calda.
Poi magari le avrebbe detto che voleva
presentarle alcune situazioni speciali relative ai suoi compiti e mansioni. E
che facesse pure con comodo e gli facesse sapere tramite il telefono del
centralino quando le fosse più opportuno.
Ripensava a quel salottino che il tipo
aveva allestito nel suo salone ufficio.
Lui non aveva affatto chiuso la porta
quando lei era entrata.
Ma magari avrebbe potuto anche farlo. Una
prossima volta. E sorrise tra sé…Oppure il personale di quel posto non osava
assolutamente entrare senza avere prima bussato e averne avuto il consenso.
Oppure… Oppure… Oppure ancora…
La borsetta e le scarpe non le
interessavano più in quel momento.
A casa non avrebbe assolutamente descritto
il suo nuovo capo dirigente.
Anche perché quasi senz’altro quello là non
gliel’avrebbe chiesto.
E mica avrebbe potuto dire che era un uomo
che l’aveva affascinata.
Che aveva circa il doppio dell’età di lei.
E che…
Si tenne dentro di sé le sue fantasie…
Chissà… Magari un giorno…
Intanto segnò sulla sua agenda personale la
data dell’inizio lavoro.
Magari
il primo giorno sarebbe venuto personalmente il gentiluomo con la giacca
di loden verde a darle il benvenuto?
Ripensò con fastidio alle esperienze delle
amiche. E anche ad altri approcci che qualche conoscente aveva tentato e
azzardato con lei.
Il dirigente gentiluomo sarebbe stato
tutt’un’altra cosa…
E continuò a pensarci mentre rigovernava la
casa…
Il cuore però le batteva forte…
Il nuovo lavoro…! E quel personaggio fascinoso…!
Ma diamo tempo al tempo…
2
RACCONTO IL COLLOQUIO 2. E poi…
Quanto tempo era passato?
Provò ora, come altre volte aveva fatto, a
srotolare all’indietro la moviola dei propri ricordi.
Proprio in questo particolare momento qui.
Che si navigava e si galleggiava vista per il malessere diffuso dovunque. E
soprattutto per il disagio della sofferenza che la stavano incatenando e
soffocando.
Proprio ora, che guardava a quel tempo
passato con un cannocchiale rovesciato, come se si fosse trattato dei ricordi
di un’altra.
Coprì con un velo malinconico quell’ultimo
amaro periodo. Tutto quello che le era successo. Trascorreva le giornate
praticamente in stand by. Non usciva quasi più se non per impegni sanitari.
Però, stimolata dalle parole di lui nella
videotelefonata ultima che le aveva fatto il giorno prima, diede uno sguardo
all’indietro…
Saltò
a pié pari l’amarezza che aveva vissuto. E molto a fatica riuscì a
mettere da parte gli aspetti più fastidiosi, dolorosi e pesanti dal punto di
vista fisico.
Aveva rinunciato alle lunghe camminate. E
anche quel salto dovette farlo solo metaforicamente con la fantasia…
Però…
Sarà stato qualche anno fa, due o tre,
probabilmente, si disse.
Avevo ancora quell’altra auto. Allora, è tre anni fa concluse…
L’inverno aveva appena smesso di
attanagliare con il freddo e il gelo. Le strade non erano più innevate da molto
tempo.
In mattinata dopo la colazione e il tè coi
biscotti, gli aveva mandato un messaggio.
«Se ce la faccio, credo di partire appena
dopo pranzo. Sarò da te dopo le 14… Ti va bene Ciccio? Non stare a preparare
cibi speciali. Non troppo tardi, appena avremo mangiato un boccone qualsiasi,
stasera, magari un panino e basta, voglio tornare a casa prima che sia troppo
buio… Comunque poi vediamo…»
Aveva un sacco di cose in ballo da
terminare. Raccolse il bucato che ormai era asciutto. Diede una stirata veloce
ad alcune camice e ad una tovaglia.
Prima di pranzo si fece una doccia.
L’acqua calda scivolava sul suo corpo con
una piacevole carezza.
Impiegò più tempo per farsi uno shampo.
C’era da mettere le creme e le lozioni.
Mentre asciugava i capelli trovò che erano
ancora abbastanza in ordine, luminosi, con quel colore dorato che tendeva
all’argento.
Incrociò di sfuggita mentre ancora era in
accappatoio, quell’altro che si aggirava in cucina con i suoi affettati. Non la
degnò quasi di una parola. Ma c’era abituata.
Non doveva neanche fare il pieno del
serbatoio. L’aveva fatto il giorno precedente e le sarebbe durato per un po’ il
gpl.
Quando salì sull’auto le venne da
sorridere. L’auto aveva quel colore metallizzato dorato, che il suo poeta
letterato definiva sempre un disco volante.
Chiuse la serranda del box.
Traffico non ce n’era quasi.
E il piccolo disco volante sfiorava
l’asfalto con dolcezza delicata.
Appena era partita gli aveva mandato come
d’abitudine un messaggio: «sto partendo».
Dopo pochi secondi ricevette un messaggio
lunghissimo com’era d’abitudine del suo lui.
«Allora buon viaggio, Gigetta… Il mio cuore
sta già cominciando a fare tu-tum- tu-tum-tu-tum… Allora calcolo che fra 50
minuti circa sarei qui potrò abbracciarti, vederti, ammirarti e tremare di
gioia… Buon viaggio Cucciola…»
Sorrise tra sé. Poi mise il cellulare nella
borsetta.
Non si vedevano da poco più di una
settimana. Sapeva che lui ci teneva tantissimo. Ma lei aveva tante cose da
fare. In casa. Fuori. Al lavoro… Per la domenica avevano invitato quegli amici.
La casa era in ordine. E aveva già preparato qualcosa da offrir loro.
Quasi quasi lo invidiava: vivendo da solo
aveva tutto il tempo a disposizione per fare qualsiasi cosa o addirittura per
non fare assolutamente niente. Le scriveva dei lunghi messaggi. Graziose
garbate poesie. Racconti di vario genere. Fantastici. Dove lei era sempre la
protagonista. E le mandava anche dei racconti a sfondo amoroso erotico …
E messaggi chilometrici che non finivano
più…
Mentre guidava se lo immaginava… Le sarebbe
venuto incontro giù in strada, magari con il cappello e vestito nei suoi modi
bizzarri…
Poi sarebbero saliti in ascensore.
Appena dentro lei si sarebbe tolto il
giaccone e avrebbe appoggiato la borsetta.
Poi si sarebbero messi sul divano rosso.
Lui le avrebbe regalato qualche momento di proprio silenzio. Lei avrebbe potuto
raccontare di questo e quest’altro… Le piaceva che lui l’ascoltasse bevendo
golosamente le sue parole…
Avrebbe appoggiato la testa sui cuscini
damascati. Tolte le scarpe avrebbe messo i piedi e le gambe sulle sue
ginocchia. Lui le avrebbe cominciato a carezzare morbidamente i piedi.
Carezzare massaggiare perché le aveva i piedi un po’ freddi in quei casi…
Gli avrebbe raccontato qualcosa relativa al
lavoro. O relativa alla sua famiglia… A
volte riusciva anche a tirar fuori dei ricordi di quando era bambina ragazza
adolescente che lui stava ad ascoltare e pendeva dalle sue labbra…
Poi, ad un certo punto sarebbe stata lei a
tirarlo vicino. A fargli capire che voleva essere baciata. Ricambiando
intensamente il bacio che sapeva di fumo di pipa.
Si sarebbero coccolati un pochino. Poi lei
gli avrebbe detto: «senti… Che ne dici se andiamo di là…»
E andava all’indietro. A quando aveva avuto
a livello fantastico che diventava più reale del reale, quel colloquio. Nel
racconto… Probabilmente mai avvenuto. E lui sarebbe stato il suo capo nel
lavoro. E sempre mentre guidava, immaginava gli sviluppi, anche lei aveva buona
fantasia come lui…
Dopo quel primo incontro colloquio, se
l’era davvero trovato il primo giorno di lavoro ad accoglierla. Gentile.
Garbato. Mostrandole molto interesse.
Ma non l’interesse animale che nel racconto
era capitato alle sue amiche e conoscenti. O
delle attenzioni beceramente assatanate di squallidi maschi
insoddisfatti della propria vita sessuale, alle quali le donne a volte non
osano dire di no, tirandosi indietro. E loro si sfogano, dando loro quel
piacere puramente bestiale ma di basso livello…
Lui, invece, non si sbilanciava più di
tanto. Diceva e non diceva. Allusivo alludeva. E lei lo guardava trasognata.
Neanche più imbarazzata a fantasticare una storia d’amore trasgressiva,
bizzarra, scatenata e vulcanica, con il suo principale…
E si sarebbe subito dedicata dichiarandosi
devota in tutto. Nel lavoro ma anche negli altri aspetti più piacevoli. E poi
si sa, da cosa nasce cosa… Lei gli avrebbe chiesto di ordinarle qualche
dopolavoro. Qualche incontro extra eccezionale straordinario. Lei avrebbe
accettato volentieri… Ma non sapeva ancora adesso, perché nel racconto sul
colloquio non se ne parlava, di quale fosse il lavoro che avrebbe avuto con
lui. Provò a pensare al mondo della scuola. Oppure a quello della sanità…
Oppure, oppure, oppure…
Il suo maestro le stava insegnando bene.
Anche lei stava cominciando a imparare a raccontarsi le storie da sola come
aveva sempre fatto lui. E come faceva bene anche con lei.
Lui era già andato di là nel frattempo.
Aveva acceso tutti gli incensi. I lumini
e le candele.
E l’aveva accolta nell’ampio letto, nella
penombra con le luci tremolanti delle candele, che si riflettevano negli
specchi messi da tutte le parti… E quando lei si era coricata molto nuda
accanto a lui nudissimo, come preliminare amoroso, mentre l’accarezzava qua e
là, le aveva regalato un raccontino erotico…
«… E il maestro le aveva detto: piccina,
certo, fermati nell’aula a darmi una mano quando le tue compagne saranno
uscite. Ho tanto bisogno del tuo aiuto… E poi, lo sai, che dopo avere sistemato
la cattedra, tolti i quaderni e libri, ti ci farò sedere… Ti solleverò la
gonnellina. Ti sfilerò le mutandine se
le avrai ancora indosso. Ti bacerò molto a lungo la tua patatina e quando sarà
bella umida e molto ben goduta e divertita, ti entrerò nella carne prima
davanti e poi di dietro… Sai com’è la storia… Te la racconto sempre ma non
cambia mai ed è sempre più bella…»
Lo ascoltava ridendo. Poi gli chiese:
«mi porteresti un bicchiere di acqua o
di acqua tonica amore?»
3
Da tempo, ormai, lui non glielo chiedeva più… Oppure lo faceva
così di corsa, alla sfuggita prima di chiudere la telefonata video… Nei loro colloqui era come se fosse
sorto un pudore riservato e nuovo. Lui parlava di tutto. Fatti politici.
Aspetti di costume sulla pandemia. Reazioni della gente stupida. Che affermava,
talvolta, di rispettare le regole imposte, quasi soltanto o prevalentemente per
timore delle sanzioni. Dimostrando di non avere capito assolutamente la gravità
che stava dilagando. Negozianti, bottegai, funzionari di vario genere,
personale sanitario, gentuccia comune: il timore delle multe salate che
sarebbero arrivate ai trasgressori. Sembrava essere l’aspetto dominante. Come
se si trattasse di qualcosa che capitava ad altri, tutto quello sfacelo,
quell’ammalarsi, e i lutti… Talvolta qualcuno affermava, con una dose di
incoscienza egocentrica, che capitava solo agli altri. Che lui o lei ne erano
immuni.
Poi le raccontava dei vari contatti
on-line. Le varie videoconferenze dei gruppi e delle associazioni. E le sue
passioni del momento. Da ultimo le aveva raccontato di aver cominciato a
frequentare una piattaforma che si occupava delle origini etimologiche delle
parole. Era stata sempre una sua passione: dentro le parole spesso permangono
residui e tracce di avvenimenti recenti o molto lontani.
Ma anche il gruppo l’aveva abbastanza
annoiato: raramente gli arrivavano notizie nuove, informazioni che non aveva.
Più che altro si trattava di curiosi che domandavano gli altri spesso senza
averne risposte…
Ma da tempo, ormai, lui non glielo chiedevano di più, come stava.
A entrambi sembrava superfluo. Lei lo sapeva e lo soffriva nella sua carne e
nella sua esistenza. Lui al massimo partecipava, con battute rapide e veloci,
facendole capire che le era vicino, che sentiva la sua sofferenza umana. Che
era profondamente solidale con lei.
Qualche volta si dilungava nei messaggi o
nei racconti: cercando di distrarla. Di farle pensare ad altro. Riprendeva la
storia immaginaria, fantasiosa, improbabile eppure bellissima, di
quell’incontro che non era mai davvero avvenuto nel tempo. E non solo dal punto
di vista del suo approccio all’attività lavorativa, nella quale ipotizzare che
lui avesse potuto essere il suo principale e il suo capo.
Ma anche altre sfumature e particolari. E
le buttava lì come fossero realtà.
Guidava, come fosse stato un giostraio dei
baracconi, la ruota che andava su e giù. O che girava di qua e di là.
Le aveva regalato a posteriori la fantasia
di una convivenza familiare. E allora attribuiva a quelle nozze mai celebrate,
la nascita dei figli di lui e di lei… Mettendoli insieme. Rispettando i dati
anagrafici e cronologici…
Aggiungendo variazioni. L’aveva fatta
viaggiare con lui, sul camper, su piroscafi che andavano alle isole
mediterranee, su aerei che solcavano le nubi e portavano lei e i ragazzi nei
luoghi favolosi che lui aveva visitato. L’Iran. Parigi. La Danimarca. Le isole
greche.
Lei ascoltava, leggeva, assorta e a volte
un po’ malinconica.
In tali occasioni, di propria iniziativa, ripercorreva
i reali viaggi in cui l’aveva condotta con sé.
Tra le calli e i canali della moribonda
città di Venezia. Con il suo fascino. Il suo odore stantio di acqua ferma.
Oppure anche appena dopo il confine tra
Liguria ed Emilia-Romagna.
Al festival della mente di Sarzana. E lì
c’erano stati davvero. Le tornava in mente quel piccolo alloggio su due piani.
I giochi amorosi che si erano reciprocamente regalati.
Le sveglie inaspettate e improvvise
all’alba…
E quando guidando un po’ all’impazzata
nelle stradine aveva tagliato uno pneumatico della propria auto. Era solo era
tornato a cambiare la gomma…
I gamberoni i funghi e pesci fritti nel
ristorante all’aperto…
Le tensostrutture bianche sulle quali
batteva il sole e si aspettava golosamente che ne alzassero lateralmente i
teloni per avere qualche soffio rinfrescante.
O quelle gite alle isole dei loro laghi.
Nei primissimi tempi della loro vicenda stupenda.
Ci ripensava. Malinconicamente carezzava
quei ricordi.
I rari viaggi reali oltre a quelli che lui
inventava per regalarglieli: insieme a quelli reali a parziale ricompensa per
addolcire la mancanza assoluta di vacanze che la sua vita quotidiana le aveva
propinato.
Lui dopo tutte le esperienze compiute era
decisamente contrario alla vita coniugale e al matrimonio. E lei, pure,
amaramente ripensando a se stessa era dello stesso parere…
Eppure, seppure per gioco, lei gli diceva
che lui era l’uomo della sua vita, il suo unico vero sposo, marito, compagno… E
lui diceva altrettanto… Anche lui consolandosi delle tristi esperienze che le
donne gli avevano finora regalato.
E nel racconto che lui probabilmente stava
confezionando su misura per lei, probabilmente ci sarebbe potuto essere un
viaggio…
Sognato. Un regalo a distanza…
«Beh, poi, il suo nuovo capo, divenuto suo
compagno di vita, le aveva fatto vedere dei biglietti aerei… Stupita aveva
curiosato la destinazione. Il Magreb…
15 giorni di sogno! Partire in pieno
inverno, lasciando nell’auto parcheggiata all’aeroporto gli abiti invernali e
le giacche a vento. E nella borsa da viaggio estrarre camicie leggeri di seta.
Sandali. Mini shorts…
Nell’inverno europeo l’Africa ha un clima
più mite.
Tiepido e caldo quel tanto che basta da
essere sopportabile.
Le sgroppate nelle piste dure di
sabbia. O a dorso di cammello…Gli
arabeschi e i colori ricchi di lapislazzuli delle regge imperiali nordafricane.
E magari anche, con un rapido spostamento interno, una puntata alla Valle dei
Templi, alle piramidi di Giza, alla sfinge… Tutti allineati verso il cielo dove
una volta compariva la costellazione di Orione.
E di nuovo parole.
Racconti.
Ricordi…
Di 3000 e più anni prima.
A curiosare Luxor.
A fare piccoli spostamenti sugli immensi
barconi del Nilo a discendere verso il sud…
E le aveva chiesto se era di suo
gradimento.
Lei lo guardava estasiata. Non gli mancava
la fantasia per farle ogni volta doni speciali e sublimi…
E dopo i biglietti dei voli immaginari, se
la teneva vicina, senza niente addosso, a raccontarle di nuovo del maestro/barone
e della sua bambina alunna prediletta…
Lei ascoltava. E in parte ricordava perché erano racconti non
nuovi come atmosfera…»
Ma ora, amaramente e dolorosamente c’era il
presente. Ripensava a quanto le mancavano le camminate tra gli alberi e nei
boschi. Da sola o in compagnia.
Lui le prometteva ora nelle video
telefonate, che magari, usando le cautele del caso e la prudenza, e delle
guaine elastiche di rinforzo alle caviglie, appoggiandosi al braccio di lui,
avrebbe magari potuto riprendere a farne qualcuna…
O magari anche più di qualcuna.
Di lontano gli echi e le statistiche della
sciagura colossale che invadeva il pianeta.
Ogni tanto, il regalo di qualche telefonata
che faceva o che riceveva…
Pensò, nel presente vero attuale e
concreto, che stava ricevendo in quel momento così brutto un regalo d’amore
immenso.
Il barone, maestro, poeta bizzarro un po’
assurdo, sceglieva ancora, sempre, di nuovo, intimamente e fino nel profondo
della mente e della carne, lei come sua compagna.
E la derideva quando lei si autodefiniva
un’invalida, e le regalava continuamente sprazzi di azzurro cielo e di sole
radioso.
Le donava la primavera e il risveglio la resurrezione dal disagio e
dalla sofferenza.
Lui sapeva, voleva, pretendeva, ingiungeva
di essere lui l’unico uomo della sua vita. Suo salvatore. Anche se finora non
aveva compiuto miracoli tangibili.
Perché considerava come miracolo più grande
e possibile la forza dell’affetto e dell’amore.
4
E intanto, non avendo di meglio da fare, il
tempo aveva guardato il calendario e si era messo le mani nei capelli…
Meravigliandosi addirittura di essere arrivato fino al 1° dicembre senza avervi
fatto ricorso: era ora di mettersi a nevicare…
Si guardò in giro, il cielo era grigio
abbastanza.
Sia in pianura, che sulle colline, che sul
lago…
Perciò, abbassate le mani dai capelli, se
le fregò l’una con l’altra quasi per riscaldarsele e si decise:
“potremmo cominciare a fare una prima
spruzzatina di neve, buona idea…”
Tanto, pensò tra sé, mica c’è il rischio di
impedire in questo modo alla Cipolletta di andare a trovare il suo barone…
Lei, poverina e tenerella, se ne stava
rannicchiata nel suo letto. Da un po’ di giorni a dire il vero…
Non potendo andare a fare le sue camminate,
per quanto le piacesse molto, per via del dolore che non la lasciava un attimo
in pace, se ne stava così. Ore e ore. Non solo la notte ma anche molte ore del
giorno.
Aveva seguito le sue solite routine.
Qualche scambio di messaggi.
Qualche telefonata. E poi quando non ce la
faceva più se ne stava sul divano a guardare la tele. Oppure ascoltava le sue
musichine nelle cuffie.
Aveva rimeditato anche le storielle,
racconti, fantasie probabili e anche improbabili che il suo barone narratore
maestro innamorato le mandava ogni tanto.
E un po’ per consolarsi, c’aveva aggiunto
dei particolari…
«Ma sì, che lei fosse o no stata assunta
alle dipendenze del barone dirigente, che lei lo avesse incontrato e avessero
incominciato una vita in comune, oppure anche no…
Poco importava…
Ragionando all’indietro aveva deciso
proprio quel giorno, che era il 1 dicembre, di dichiararsi perfettamente
d’accordo con la legge appena approvata pochi anni addietro. Che tutti gli
altri ritenessero una cosa bella piacevole opportuna sposarsi, riflettendoci
bene, aveva concluso di preferire una vita da single. Chissà a cosa sarebbe
andata incontro sposandosi… Sì, d’accordo, si poteva metter su famiglia, avere
una casa in comune, avere dei figli da seguire e accudire…
Ma con chi poi?
Non certo con quel tale omuncolo che le
aveva gironzolato intorno e col quale
aveva avuto una storiella di recente. Non prometteva nulla di buono.
Disponibile, addirittura attraente, come riusciva a voler sembrare, ma poi? Si
sarebbe ricordata di lei in tutti i momenti? Oppure l’avrebbe lasciata nel suo brodo
a far la casalinga, la madre, la badante della casa… Trascurandola poi e non
portandola neanche a fare viaggetti e vacanze?
Sì, l’idea del focolare caldo, dell’usare
il plurale “noi”, i “nostri amici”, nostri parenti, e cose del genere era
abbastanza allettante… Ma poi?
E neanche era conveniente e opportuno
aspettarsi o desiderare che fosse il barone dai capelli arruffati a “convolare
a giuste nozze con lei”… Insomma a sposarla.
E poi? Sarebbe stato lui nella realtà della
vita quotidiana per il quale avrebbe dovuto tutta la vita accudire la casa?
Sbrigare le faccende domestiche? Magari ricevendo in cambio soltanto
indifferenza, fastidio, freddezza…? Fino a quando magari lui avesse poi deciso
di occuparsi di altro… Altre donne… O peggio ancora: invece che altre donne il
suo altro “niente” … Indifferenza magari consolata con qualche birretta ad alta
gradazione… L’uomo verso il quale provare soltanto fastidio, dipendenza,
reverente rispetto, frustrazione insoddisfatta…?
Certo il barone non sembrava promettere
questo. Ma, come si fa a dirlo preventivamente? Magari il barone da grande,
avanti negli anni futuri avrebbe desiderato fare il saltafossi, cercare altre
donne, altre convivenze più o meno coniugali…
E magari anche a lei, come aveva sentito
raccontare da amiche intime, sarebbe poi magari venuta la voglia di guardare
con desiderio qualche altro maschio.
Che le ricordasse in qualche modo come
aspetto come tono di voce come modi il suo amante compagno…
Con il rischio di trovare soltanto altri
omuncoli modesti, squallidi, assatanati perché annoiati e stufati della propria
attuale compagna.
Per avventurette meschine, arruffate, “usa
e getta”…
Vissute e gestite in posti improbabili… In
case estranee… Scomodamente nell’auto…
Ma no…! Molto meglio, per quel racconto che
lui le aveva regalato e che lei si regalava da sola ripensandoci, considerarlo
il suo uomo ideale. Amante segreto. Senza nessun desiderio da parte propria o
da parte di lui di trasgredire o di avere altre storie… Lei non avrebbe mai
desiderato avere un altro oltre lui perché lui l’aveva sempre considerata
libera, schiava sì ma una schiava libera… E una schiava libera non ha bisogno
di allontanarsi dal suo padrone se è lei che lo sceglie, se è lei che lo vuole,
se è lei che non desidera di meglio…
Da coniugata a una donna è possibile
probabile che desideri avere qualcun altro. Che si faccia delle fantasie
affettive, visive, magari anche erotiche. Ma una donna libera proprio perché
libera non ha nessun bisogno di interesse o volontà di liberarsi ulteriormente…
Già… Ma per avere i figli insieme? Avrebbe
potuto come avevano fatto molte altre persone che lei conosceva, convivere e
basta. Senza bisogno di dover imbarcarsi nell’impresa del divorzio che da poco
permetteva la separazione di tutto.
Due persone che si scelgono e convivono
liberamente molto probabilmente sono più capaci come han deciso di mettersi
insieme, nel caso malaugurato, anche di separarsi…
Ma lei pensava che non avrebbe mai fatto…
Anche perché quella era una storia
puramente pensata…
Magari fosse stata vera…»
Sorrideva compiaciuta, ora, di avere
imparato anche lei questo gioco che le aveva insegnato il suo maestro e amante
innamorato: raccontarsi le storie.
E dopo l’inizio continuare, continuare,
continuare…
L’unica evasione e trasgressione che
desiderava davvero, era quella con lui, il barone, il folle bizzarro poeta don
chisciotte, il suo vero totale compagno amante padrone tiranno dolcissimo…
Non sapeva assolutamente cosa farsene di
altre fantasie, di altre storie…
Aveva appena sentito la sua voce nella
videotelefonata.
E
aveva visto il suo volto.
E aveva riso per le sue battute…
Sorriso…
E si era divertita!
Il suo barone, che non vedeva da un sacco
di tempo ormai, quello che l’aveva accompagnata volentieri nei giri alle isole…
A ridere e scherzare sul santo imbalsamato nella teca sotto il santuario. O in
quell’altra isola in quell’altro lago, quando gli aveva involontariamente per
sbaglio pestato un piede, girandosi di scatto… Ridendo e scusandosi. E per
farsi perdonare si era alzata sulla punta dei piedi baciandolo intensamente
sulla bocca.
Fregandosene della gente che c’era intorno
a fare da sfondo.
Fino a qualche tempo prima, quando ancora
non era obbligata a starsene tutto il giorno a letto da sola, erano andati
insieme al teatro sull’altra riva.
Erano andati insieme a nuotare nel blu
verde cupo del lago.
Erano dati di qua e di là…
Si strinse nelle spalle. La magnetoterapia
continuava con le sue leggere vibrazioni alle sue estremità..
E un pezzetto del racconto non fantastico,
ma reale, probabile e certo ormai vicino, le suggeriva che bastava aspettare
ancora un po’. Almeno quel tanto che le permettesse di muoversi con l’auto e
arrivare fino alla sua casa disordinata, piena di fiammelline di candele e di
profumo d’incenso.
E provò a ripensarci.
Non era più soltanto un racconto, una
fantasia, un sogno…
Lei lo voleva…
Quella era la medicina migliore…
Sia per lei che per lui…
Sì, certo, si disse tra sé.
Diamo tempo al tempo.
O come dice lui: “LA SPERANZA È SEMPRE
L’ULTIMA A MORIRE…”
IL COLLOQUIO 5…
In effetti “il colloquio” era stato
concluso da tempo. Circoscritto in quell’ambito narrativo a ritroso. Ora i
colloqui avvenivano con video telefonate…
E non erano fantasiose ipotesi retrospettive
di approcci mai avvenuti, nei quali lei si trovasse di fronte proprio lui, nel
passato di entrambi, per un’assunzione in un’attività professionale che non
veniva definita. Ma lasciata lì in sospeso…
Lui le aveva detto, molto scherzosamente
sperando di non offenderla, che presto le avrebbe fatto un elenco di tutti i
suoi malanni…
Sì, perché adesso si è raggiunto anche un
forte mal di schiena. Tipo lombalgia. Avevano riso insieme della cosa.
A lui piaceva scherzarci. Metterla sul
buffo e sul ridicolo. Per sdrammatizzare.
Perché da così lontano, non aveva altro
modo per mandarle carezze, farle sentire il proprio affetto profondo,
coccolarla come a lei faceva bene… E quel giorno ci si era messa anche la
spruzzatina di neve. Era stata anticipata il giorno prima narrativamente. Là
era il “signor tempo”, stupefatto per non averlo ancora realizzato: ai primi di
dicembre un po’ di neve ci andava giusto a puntino.
Ma tutto si era risolto un po’ alla buona.
Una spruzzatina di nevischio subito sciolta da una pioggerella senza impegno.
Quel tanto che bastava per far venire alla sua principessa, baronessa, alunna,
bambina e donna, un’ulteriore fastidioso malanno.
A onor del vero, il narratore barone poeta
amante innamorato e quant’altro, non aveva nessuna responsabilità di ciò. Se
non quella sua capacità divinatoria di prevedere anzitempo i fenomeni e i
fatti. Mista a quell’altra di leggere nel pensiero anche a distanza. Nella
conversazione video aveva interpretato i pensieri che la fanciulla aveva
proprio in quel momento dopo una sua battuta.… E lei ci aveva riso.
Confermando.
Più che di colloqui ora era il caso di
occuparsi, disse tra sé il poeta barone, della maratona poetica alla quale era
stato invitato e coinvolto.
Un’amica stimata l’aveva trascinato in uno
di quei giochini abbastanza diffusi nei social media. Invitare qualcuno a far
qualcosa. Il quale qualcuno avrebbe a sua volta dovuto invitare degli altri
creando delle specie di catene di Sant’Antonio…
Lui in genere aveva sempre evitato cose di
quel tipo. Ma in questo caso non aveva osato rifiutare l’invito. Anche perché
sarebbe stata un’occasione per buttare al vento, agli occhi e alla lettura
delle sue composizioni poetiche.
Aveva però un dubbio e una perplessità.
Dovendo pubblicare per otto giorni consecutivi quotidianamente un testo
poetico, ogni volta avrebbe dovuto invitare qualche altro poeta o poetessa nel
gioco… Fece i suoi conti. Alcune persone che aveva contattato nel passato a
proposito della poesia le aveva assolutamente tolte dal proprio repertorio per
alcune carognate che gli avevano fatto. Ma contando bene riuscì a mettere
insieme un numero sufficiente di persone che ricordava e considerava con
simpatia e stima.
Quel giorno stesso, all’alba, anzi molto
prima dell’alba e prima che il cielo facesse cadere i suoi modesti striminziti
e stitici fiocchi di neve, aveva buttato giù un testo appassionato. Pieno di
sangue e di lacrime. In tutto il mondo
partivano appelli per fermare una esecuzione capitale. Per un mite e
probabilmente buono ricercatore medico nell’ambito dei disastri ambientali. E
allora si era scatenato. L’esecuzione dopo quattro anni di torture e di
reclusione stava per essere realizzata nel paese che lui aveva visitato circa
45 anni prima con la sua piccola molleggiatissima Citroën… 402 di cilindrata…!
Andava pianissimo…! Ma con quella che aveva fatto circa 30.000 km raggiungendo
l’oceano indiano torbido, caldo, infrequentato, se non dalla pinna triangolare
degli squali. Nelle spiagge di Bandar Abbas…
Aveva aderito all’iniziativa della maratona
poetica, rilanciando un testo che aveva scritto nell’81. Quando la involuzione
khomeinista aveva scosso quel paese erede dell’impero persiano, e veniva
condannato a morte un poeta… Reo di dissentire dal regime degli “ayatollah
pirati” come lui li aveva definiti.
Come sempre ne aveva dato notizia alla sua
diletta che aveva gentilmente schermito e dileggiato poco prima nella
videotelefonata.
E mentre le raccontava quelle cose, mentre
vedeva il suo volto che riusciva come sempre a fare sorridere e distendere,
aveva fatto di nuovo mente locale.
Lei stava a letto. Ridendo da se stessa
verso il nuovo malanno insortole. E lui era riuscito con le proprie parole,
pensieri, immagini battute ironiche e quant’altro, a ,carezzarla e a riempirla
di coccole. E la guardava oltre che nel monitor del suo tablet, la guardava
mentalmente, spiritualmente, fisicamente… La guardava tutta da lontano e
insieme da vicino.
Ma incapace a rassegnarsi alle sventure
proprie e soprattutto a quelle delle persone (pochissime peraltro) che amava,
le aveva buttato una ventata di speranza e di entusiasmo.
Come faceva nei videomessaggi e nei
massaggi vocali che tutte le sere le mandava.
E non era un complimento un regalo gratuito
e basta.
Lui sapeva, credeva, ne era profondamente
convinto, che passata la bufera galattica del virus maledetto, sarebbero
passati gradualmente anche gli aspetti più brutali, violenti e dolorosi della
sofferenza di lei. Di quella fisica soprattutto. Ma fondamentalmente di quella
morale spirituale emotiva.
Lei sorrideva dentro di sé incredula. E non
riusciva fino in fondo a convincersene… Ma ogni volta un barlume ottimistico di
speranza le si accendeva dentro. Come i lumini che lui faceva brillare diffusi
in ogni angolo della casa e soprattutto della camera. Come le candele che
ardevano nei candelabri di ottone di cui faceva incetta al mercatino
dell’Assopace.
Non lo ammetteva con lui, ma almeno un
briciolo dentro di sé faceva presa.
Perché lei voleva, anelava, pretendeva di
tornare ad una vita un po’ più umana. Magari anche senza riprendere le lunghe
camminate. Ne avrebbe fatta soltanto qualcuna nei dintorni della sua terra. Nei
posti che conosceva bene. Nelle piccole frazioni che erano familiari ormai
anche a lui. E questa volta avrebbe sempre avuto il braccio di lui a cui
aggrapparsi. Materialmente ma soprattutto mentalmente.
Lui gliel’aveva detto e ripetuto:
«poche palle! Non sarà una questione di
settimane o di mesi, magari ci vorrà un po’ di più, ma verrai di nuovo a
camminare nelle campagne nei boschi e sulle colline. Sulle stradicciole che
rasentano i torrentelli di acqua limpida. E ti aggrapperai al mio braccio… E i viaggi che non hai mai
fatto tranne quei pochi che hai regalato alla mia compagnia, allora davvero li
faremo. Stanne pur certa…!»
Lei si era riassestata l’apparecchiatura
della magnetoterapia. E si era preparata per andare a fare gli altri esercizi
che un po’ alla volta lentamente avaramente pigramente sarebbero comunque
riusciti a rimetterla in sesto…
Almeno quel tanto che bastava per potersi
regalare di nuovo tutta quanta fin in fondo all’uomo della sua vita. Quello
vero.
Si guardò nello specchio. Diede alcuni
tocchi al trucco per migliorare il proprio aspetto.
Poi, conservando nelle orecchie la voce di
lui che parlava parlava parlava all’infinito, si apprestò a partire.
Nessun commento:
Posta un commento