GIOCANDO A RACCONTARE STORIE
Era un vezzo pluridecennale.
Partiva da un pretesto, una situazione, un
personaggio… Poi andava avanti come capitava… Scoprendo, durante la scrittura
stessa, le vicende e i particolari che prima aveva solamente delineato a volo d’uccello
senza definirli bene.
Poi, successivamente, a volte addirittura
dopo avere reso pubblico il racconto, ne smontava particolari, sfumature, co-protagonisti.
Gli effetti erano buffi, e talvolta
provocavano una situazione di estraniamento. La struttura restava tale e quale.
Anche gli elementi più salienti. Ma bastava modificare l’ambiente, togliere una
cosa di qua e aggiungerne una di là. E il racconto non era più lo stesso ma era
totalmente diverso.
Talvolta si divertiva a mettere alla
berlina qualcuno che gli stava particolarmente sui coglioni. Poi, ad una prima ho una seconda
lettura, decideva di smorzare alcuni toni, accentuarne altri. Se il
protagonista del narrato, che poteva benissimo essere totalmente inesistente e inventato
di sana pianta, compariva in compagnia di altri, il risultato era di un certo
tipo. Dopo i ritocchi e le modifiche, veniva ribaltata tutta la situazione.
In effetti non ce l’aveva contro qualcuno
per davvero. Ma caricava su qualche personaggio degli aspetti che in generale
non apprezzava, o addirittura voleva cassare, criticare, sfottere.
Capitava spesso che qualcuno si
riconoscesse in quei racconti. E qualcuno glielo diceva anche. Lui si divertiva
ma era anche abbastanza amareggiato. I suoi giochini narrativi gli stavano a
cuore. Talvolta li annullava e li rimuoveva radicalmente.
Il risultato lo vedeva riflesso nei
lettori. Riceveva commenti contestuali sulla piattaforma. O anche attraverso
altri canali. Se l’era presa di recente con i sempliciotti stupidotti che si
autoritenevano “poeti”, solo perché buttavano giù delle filastrocche in versi e
in rima. Aveva scritto diversi componimenti e saggi cercando di illustrare la
problematica artistica. Ma non sempre i lettori coglievano e capivano il
messaggio. Forse leggevano solo di sfuggita. Non arrivavano al nocciolo.
Finivano per credere che lui ce l’avesse personalmente con qualcuno che aveva i
connotati, le caratteristiche che lui aveva delineato nel racconto. Credevano
che lui ce l’avesse con il tal dei tali. E magari ritenevano addirittura che
lui volesse criticare altri personaggi che comparivano di sfuggita, di sfondo e
di contorno.
A volte addirittura si imbarcava in
discussioni, argomentando in un modo e in un altro. Fino a quando preferiva
lasciar perdere. Rinunciava a convincere gli interlocutori riluttanti.
Specie quando gli muovevano critiche
dirette sulla narrazione, sulle argomentazioni sostenute, sul nocciolo e sulla
finalità che lui voleva raggiungere.
Una narrazione contro i poetastri da
strapazzo, da fiera o da cresima, veniva criticata e combattuta partendo da
qualche particolare che lui ci aveva messo dentro e che non era essenziale.
Aveva scritto più e più volte in molte
proprie pagine che riteneva che scrivere fosse un atto d’amore. A volte si rimangiava
la parola. Ma si sa che le situazioni d’amore rischiano di trasformarsi in
conflitti o addirittura di rovesciare l’atteggiamento amoroso in livore e in
odio.
Qualche persona appassionata alla sua
scrittura, si era talmente adombrata, seccata e offesa per alcune sue
narrazioni. Addirittura al punto di rischiare di rompere definitivamente l’amicizia.
Ma, si sa, a volte il tempo è una medicina.
A volte i giorni e le ore finiscono per diventare involontariamente un
lenimento della sofferenza e della ferita che è stata inferta.
Aveva però sempre in mente Quasimodo: “Ognuno
sta sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.”
Differiva ed esorcizzava quella sera, quel
tramonto, quella notte buia incombente e ferale. Raccontando ad ascoltatori e
anche a se stesso che aveva ottenuto una proroga. Sine die.
Però, pur giocando con parole e frasi e
narrazioni, sentiva venire da lontano cupa, luttuosa e dolorosa, la resa dei
conti. E quando chiedeva a qualche persona cara la propria opinione in
proposito, gli veniva risposto, quasi sempre, purtroppo: “vorrei, mi farebbe
piacere, ti augurerei che il sipario venisse calato il più tardi possibile
anche sul tuo spettacolo teatrale. Ma non possiamo saperlo. Perché forse, anche
per te, la vita prima o poi dovrà aver termine”.
Restava ad attendere. Nuove albe. Nuovi
tramonti. Nuove risa da ridere e nuovi sorrisi da godere. Ma a volte l’attesa
era molto lunga. Quasi da rischiare di temere che il treno fosse in ritardo
oppure, addirittura, che fosse stato soppresso definitivamente.
Nessun commento:
Posta un commento