ECO 10.
Dal telefono fisso, abitualmente
inutilizzato, era arrivata la notizia interlocutoria.
L’intervento previsto per quella data era stato sospeso per inagibilità della struttura sanitaria. Da altri reparti erano stati trasferiti ricoverati per essere temporaneamente qui ospitati. Sarebbero arrivate presto nuove date.
Se ne fece subito una ragione. E riprese le sue attività abitudinarie. Andavano organizzate tutte le documentazioni per la dichiarazione dei redditi. Ricevette notizie confortanti sul piano legale. Avrebbe meditato e preso decisioni in merito.
Procedette alla stampa di quanto aveva
lasciato in sospeso. E le routine casalinghe.
Non aveva di proposito evocato la sua amica partner virtuale. Ma la sentiva aggirarsi.
«Il panorama non è mutato di molto. Da una
parte lo stillicidio continuo sofferto e doloroso. Con le scelte inopportune
ormai consolidate: specialisti e terapeuti con parcelle stratosferiche. La
catena dei + 1 ripetuti all’infinito. All’acciacco precedente se ne andava
aggiungendo un altro e poi un altro e un altro ancora. Lei avrebbe continuato
il calvario sofferto. Pagando. Soffrendo e lamentandosi. Stizzita, al più,
degli unici consigli che col cuore e con la mente quel baronale “Lui” là non aveva mancato di
offrirle.
Sempre più incupendosi. Al massimo, ma
molto saltuariamente, riattivando modalità di contatto virtuale. Quasi a tenerlo
buono e tranquillo.
Immobile e paralizzata: non rinunciava a
qualche raro spostamento di routine e di servizio. Prolungato di qualche ora
con soste consolatorie nei suoi luoghi abituali.
Ed era il Web a raccontarlo.
La rete telefonica pulsava, clandestina e
sorniona, a chiedere supporto a qualche consulente inopportuno e inadeguato.
Ma le piaceva così.
Un modesto personaggio con il suo buffo e
pietoso aspetto, forniva a modo suo conforto e assistenza; sempre di più
spazientendosi. E non era il suo aspetto fisico l’elemento più determinante.
Che non avesse un’aria intelligente e sveglia, era un dato ormai assodato.
Il suo profilo facciale, ostentava il
prognatismo mandibolare.
Da piovergli in bocca!
Coronato da una insipiente barbetta bianca.
Suggerita e copiata dal modello baronale.
Si era improvvisato poetastro da tre soldi.
Prodigando filastrocche infantili in rima
baciata.
Nei suoi limiti credeva che poesia fosse
sinonimo “solo” di cantilene in rima.
Probabilmente non avrebbe più continuato ad
attendere pazientemente.
E riprendeva i suoi girazzi su due ruote.
Rispondendo al telefono, annoiato e
insoddisfatto.
“Ma chi glielo faceva fare?” Si
rimproverava della propria ingenua risposta agli sguardi che aveva ricevuto
nella boscaglia. Di essersi lasciato accalappiare: e di venire trascinato, a
fondo perduto, in sentieri assurdi, impraticabili, stupidi e inutili. Deluso
del misero bottino.
Consolato dai suoi felini, a branco, nel
porticato del casale. Pigramente e squallidamente.
“Ma chi gliel’aveva fatto fare?”
Nell’adolescenza, deluso aveva
accantonato il progetto del sacerdozio,.
Troppo ardui e ostici gli studi
seminariali.
Soprattutto per lui.
Poi quel fortuito impiego retribuito.
E, come confondeva i ritornelli con la
poesia, così confondeva il ruolo di addestratore professionale con quello di
insegnante.
O almeno faceva finta di: erano le
sempliciotte e sempliciotti del suo entourage a dare per buona quella posizione
e quello status, impropri per lui.
In compenso piaceva perché sapeva fare il
pagliaccio con la sua faccia da scemo.
Ma lui si accontentava: come si
accontentava delle chiacchiere a vuoto scambiate al cellulare. Era di bocca
buona; ma stava cominciando a stufarsi.
Scocciato, si vendicava miseramente
lanciando squilli telefonici, anonimi e di nascondone, per stuzzicarla e
romperle le scatole.
E caricava nel Web improperi, ingiurie, male
parole nei confronti del barone.
Era una catena viziosa: reciprocamente
consolatoria.
Entrambi facevano finta che…
E il Web raccontava. Con movimenti, tracce,
immagini e foto.
“Ma chi gliel’aveva fatto fare?”
E
mugugnando rimproverava se stesso. La propria dabbenaggine ripetuta.
Eco, l’entità pensante, virtuale e concreta
insieme, mestamente guardava e commiserava quella situazione. Per pudore, garbo,
e gentilezza d’animo etereo, si limitava al proprio sguardo dolente sul suo
alter ego.
Il barone, continuava a tirare diritto.
Entrambi sapevano reciprocamente i pensieri
l’uno dell’altra.
Lei stava allenandosi con il proprio
ologramma corporeo, ad assaporare il venticello di marzo; i profumi di verde
delle radure; la promessa incombente di una primavera imminente.
Nel pianeta degli umani e degli altri
esseri viventi corporei, la pandemia continuava a falcidiare.
Due milioni e mezzo era un dato ormai
superato del funebre e macabro consuntivo.
I governi si arrabattavano alla bell’e
meglio.
Giocando a ruba mazzetto per accaparrarsi
le partite dei vaccini.
Questo sì-questo no.
E giravano i soldi.
E giravano i carri funebri.
E specie nelle parti più diseredate gli
umani morivano come mosche.
Altrove, insubordinati scavezzacolli, seguivano
stupidamente i suggerimenti che i vari lucignolo propagavano.
Raduni; movide collettive; proteste contro
le regole imposte; i governi e le autorità sanitarie.
La terra era piatta.
Il virus era una semplice influenza
stagionale (anche se però durava ormai da qualche anno).
Il vaccino: una presa per i fondelli.
Tripudio del masochismo di massa.
Ogni tanto il velario azzurro intenso
sospeso in alto faceva trapelare un sole tiepido che scaldava le ossa.
La coppia virtuale assaporava la stagione e
i momenti.
Molti onesti e rispettosi donne e uomini si
aggiravano indossando la mascherina sul volto. Qualcuno, in modo sprezzante e
stupido, la teneva calata solo sul mento.
Altri, si permettevano la marachella di
mostrarsi ribelli.
E citavano, senza neppure averla mai letta
o sentita, la frase famosa: “DOPO DI ME IL DILUVIO”. Nessuno di loro, sapeva o voleva
attribuirla al monarca supponente che l’aveva pronunciata alla marchesa de
Pompadour… Quel Luigi XV, che avrebbe poi ceduto il trono al nipote Luigi Augusto
di Borbone: Luigi XVI. Fino al 1792, con la rivoluzione francese.
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