E POI… E POI… E POI…
Le
colline erano rimaste in sur-place a guardare. La piccola sagoma azzurra
dell'auto era partita… Verso un batticuore intenso che stava ad attendere. Ed
era stato un risveglio da un incubo. Il batticuore si era vestito di bianco
candido. Gli sguardi, le intense carezze tra le mani. Sguardi reciproci
scandagliavano sguardi. Le lancette degli orologi digitali dell'anima erano
rimaste sospese con la sabbia delle clessidre. Le parole rincorrevano le
parole. Un torrentello scrosciante dissetava l'ascolto. Tutta una vita in una
carrellata veloce. Conferme con la voce azzurra vibrante. L'incontro magico e
il miracoloso era avvenuto. L'acciottolato era stato carezzato dai passi. I
motoscafi sciabordanti per andare a chiacchierare con luna dorata che donava il
sorriso muto sotto la maschera d'argento. E poi, e poi, e poi… La carrellata
andava all'indietro. Dall'infanzia primissima di bambina. Agli altri giorni ed
incontri. Alla tana del lupo evitata per un pelo. All'incontro che aveva
incatenato quella giovane donna. Che sperava di aver davanti il compagno
ideale. Che lentamente si era sbriciolato come fango secco. A piccole tappe
deludenti. Fino allo zombie, all'agonia umana, mentre la donna non cercata
languiva. E poi l'uomo della sua vita. Che ostinatamente non si rassegnava
invecchiare e faceva mostra di sé vestito di bianco candido. Ragazzo in età
eternamente. Il percorso e il cammino tortuoso. Il lento distacco definitivo
dalla delusione giovanile. Imparando e studiando a fare la madre donna. Non
cercata e non voluta. Non stimata. E neppure amata neanche una briciola.
Sospesa nel vuoto ad aspettare… E l'incontro che si ripeteva a ondate cicliche.
Inferno-paradiso. E l'eden che restava nascosto nell'anima. Per essere
rivisitato ogni volta con urli orgiastici di piacere. Vita/non vita. Figli.
Vacanze da sola. Piccole gioie da sola. E poi, e poi, e poi… Il
""DUE"" che tornava a essere l’'UNO"" assoluto
totale primigenio. Reinventando il passato e sognandolo… Se ti avessi
incontrato prima… E non c'era neppure un prima o un dopo. C'era un tutto
totale. E che era stato il farmaco maledetto. La disperazione accorata. Lenita
e curata facendo l'amore. Non ho più emozioni e speranza… Ma la speranza covava
sempre sotto. Nei sogni buoni e gentili. Dove un volto preso a prestito qua e
là recitava la parte dell'uomo vero della sua vita. Ragazzo maturo in età. Che
regalava piaceri intensi. E meritava di essere continuamente cercato, voluto,
sedotto, conquistato… Mentre attendeva, sul ciglio della strada, la donna,
ragazza, bambina, schiava puttanella amorosa, che ogni volta riusciva ad
emergere dal mare torbido senza speranza del suo soffrire, e raggiungeva
raggiante il suo unico vero grande uomo amore totale padrone demiurgo ragazzo
folle e poeta… E poi, e poi, e poi… Che ascoltava le parole centellinandole
goloso. Regalava la sua lingua di parole, fiato, turbamenti di lingua e di
carne. Il forno a microonde del luglio. Temperato dal fresco pungente delle
sorgenti d'alta quota. Dal soffio frusciante del condizionatore. Incontrarsi.
Perdersi di vista temporaneamente. Ritrovarsi. Avanti e indietro. Come lo
stantuffo erotico. Come il vecchio gioco inferno-paradiso. Mentre lui si beava
adorando quel corpo bianco di donna ragazza bambina. Le morbide curve da
baciare, far risuonare con le mani, far risvegliare e infuocare. Sempre sempre
sempre. E per sempre. Grazie che mi fai vivere. Che mi fai esistere. Che lavi
via sensi di colpa sciocchini. Che mi
incoroni ogni volta con parole e con lingua ardente, regina baronessina totale.
Le colline rimaste ad attendere. Vedevano la piccola auto azzurra tornare col
suo tesoro rinvigorito ogni volta. ""Per qualche giorno non mi
vedrai… Ma poi di nuovo mi rivedrai tutta… Tanto… Lo voglio… Ne ho bisogno… Ti
regalo l'anima. Il corpo. I sensi e gli sguardi. Perché sono la tua libera
schiava. La tua angelica puttanella golosa. Continua a cercarmi. Ora mi preparo
di nuovo. Per ripartire e tornare alla vita che mi regali e che hai in serbo per
me."" Le colline incuranti guardavano dall'alto quei due. I loro
andirivieni ripetuti. Dentro e fuori dal paradiso. Che il paradiso non poteva
certo attendere. Che era la condizione dell'anima. Che era il soffio vitale.
""… Da te non eri dacchè
io ti posi in essere creatura mia fatta
di me ad esistere Stagione mia. Lo spirito ti volle e fu in te, creatura d'angoscia E fu come fossi sempre stata. E la terra ti
ebbe; la notte stillò rugiada La mimosa pudica ti avvolse. E se mi specchio in te, mi sai di ricordi e
giorni stati: tu sei della mia preistoria il ricordo più
grato."" Sorrisero di nuovo le
colline verdi. Compiaciute. La loro principessa risaliva la china a raggiungere
di nuovo il suo sogno reale e concreto. Sospesa nell'acqua lei ritemprava il
suo corpo allontanando il dolore. Sospesa nel nudo morbido e bianco nuotava nel
suo amante innamorato e bizzarro. Sospesa nel tempo guardava il calendario e
l'orologio per correre nella piccola auto blu verso il suo destino. Agognato.
Regalato. Scelto. Lui la stava aspettando. Per godere di lei e in lei. Lui la
seduceva. Conquistava. La afferrava e la gustava. Lei era proprietà sua. Quei
due, guardati da fuori, con sorriso, nella loro unicità rara e preziosa,
sapevano bene esistere. L'un l'altro regalandosi il fiato vitale. Fiato caldo e
lingua rovente per gli inguini preziosi. Per risalire nell'empireo dei sensi e
del piacere. Lui attendeva il vulcano di lava da infonderle dentro. Che stava
già fluttuando per inondarla tutta con urla selvagge di piacere. Le colline
continuavano a sorridere. Compiaciute. Sornione. Solidali. Complici… I sensi di
colpa sciocchini ogni volta gettati col non riciclabile. Lei continuava a
risvegliarsi. Per entrare nel nuovo sogno antico ed eterno. E dissero le
colline: quei due erano proprio destinati a incontrarsi. Erano fatti l'uno per
l'altra. E lo diciamo sottovoce: quei due si amano come di più non si potrebbe.
Poi lei si alzò. Poi lei si fece un tè coi cracker. Poi lei fece delle altre
cose... Poi lei, lesse queste parole d'amore infinito e assoluto. Poi lei provò
un profondo piacevole turbamento. Poi lei finalmente disse dentro se stessa: TI
AMO DAVVERO TANTO. Mio signore, mio padrone, mio amante unico e definitivo…
Le
colline erano rimaste in sur-place a guardare. La piccola sagoma azzurra
dell'auto era partita… Verso un batticuore intenso che stava ad attendere. Ed
era stato un risveglio da un incubo. Il batticuore si era vestito di bianco
candido. Gli sguardi, le intense carezze tra le mani. Sguardi reciproci
scandagliavano sguardi. Le lancette degli orologi digitali dell'anima erano
rimaste sospese con la sabbia delle clessidre. Le parole rincorrevano le
parole. Un torrentello scrosciante dissetava l'ascolto. Tutta una vita in una
carrellata veloce. Conferme con la voce azzurra vibrante. L'incontro magico e
il miracoloso era avvenuto. L'acciottolato era stato carezzato dai passi. I
motoscafi sciabordanti per andare a chiacchierare con luna dorata che donava il
sorriso muto sotto la maschera d'argento. E poi, e poi, e poi… La carrellata
andava all'indietro. Dall'infanzia primissima di bambina. Agli altri giorni ed
incontri. Alla tana del lupo evitata per un pelo. All'incontro che aveva
incatenato quella giovane donna. Che sperava di aver davanti il compagno
ideale. Che lentamente si era sbriciolato come fango secco. A piccole tappe
deludenti. Fino allo zombie, all'agonia umana, mentre la donna non cercata
languiva. E poi l'uomo della sua vita. Che ostinatamente non si rassegnava
invecchiare e faceva mostra di sé vestito di bianco candido. Ragazzo in età
eternamente. Il percorso e il cammino tortuoso. Il lento distacco definitivo
dalla delusione giovanile. Imparando e studiando a fare la madre donna. Non
cercata e non voluta. Non stimata. E neppure amata neanche una briciola. Sospesa
nel vuoto ad aspettare… E l'incontro che si ripeteva a ondate cicliche.
Inferno-paradiso. E l'eden che restava nascosto nell'anima. Per essere
rivisitato ogni volta con urli orgiastici di piacere. Vita/non vita. Figli.
Vacanze da sola. Piccole gioie da sola. E poi, e poi, e poi… Il
""DUE"" che tornava a essere l’'UNO"" assoluto
totale primigenio. Reinventando il passato e sognandolo… Se ti avessi
incontrato prima… E non c'era neppure un prima o un dopo. C'era un tutto totale.
E che era stato il farmaco maledetto. La disperazione accorata. Lenita e curata
facendo l'amore. Non ho più emozioni e speranza… Ma la speranza covava sempre
sotto. Nei sogni buoni e gentili. Dove un volto preso a prestito qua e là
recitava la parte dell'uomo vero della sua vita. Ragazzo maturo in età. Che
regalava piaceri intensi. E meritava di essere continuamente cercato, voluto,
sedotto, conquistato… Mentre attendeva, sul ciglio della strada, la donna,
ragazza, bambina, schiava puttanella amorosa, che ogni volta riusciva ad emergere
dal mare torbido senza speranza del suo soffrire, e raggiungeva raggiante il
suo unico vero grande uomo amore totale padrone demiurgo ragazzo folle e poeta…
E poi, e poi, e poi… Che ascoltava le parole centellinandole goloso. Regalava
la sua lingua di parole, fiato, turbamenti di lingua e di carne. Il forno a
microonde del luglio. Temperato dal fresco pungente delle sorgenti d'alta
quota. Dal soffio frusciante del condizionatore. Incontrarsi. Perdersi di vista
temporaneamente. Ritrovarsi. Avanti e indietro. Come lo stantuffo erotico. Come
il vecchio gioco inferno-paradiso. Mentre lui si beava adorando quel corpo
bianco di donna ragazza bambina. Le morbide curve da baciare, far risuonare con
le mani, far risvegliare e infuocare. Sempre sempre sempre. E per sempre.
Grazie che mi fai vivere. Che mi fai esistere. Che lavi via sensi di colpa
sciocchini. Che mi incoroni ogni volta
con parole e con lingua ardente, regina baronessina totale. Le colline rimaste
ad attendere. Vedevano la piccola auto azzurra tornare col suo tesoro
rinvigorito ogni volta. ""Per qualche giorno non mi vedrai… Ma poi di
nuovo mi rivedrai tutta… Tanto… Lo voglio… Ne ho bisogno… Ti regalo l'anima. Il
corpo. I sensi e gli sguardi. Perché sono la tua libera schiava. La tua angelica
puttanella golosa. Continua a cercarmi. Ora mi preparo di nuovo. Per ripartire
e tornare alla vita che mi regali e che hai in serbo per me."" Le
colline incuranti guardavano dall'alto quei due. I loro andirivieni ripetuti.
Dentro e fuori dal paradiso. Che il paradiso non poteva certo attendere. Che
era la condizione dell'anima. Che era il soffio vitale. ""… Da te non
eri dacchè io ti posi in essere creatura mia fatta di me ad
esistere Stagione mia. Lo spirito ti volle e fu in te, creatura d'angoscia E fu come fossi sempre stata. E la terra ti
ebbe; la notte stillò rugiada La mimosa pudica ti avvolse. E se mi specchio in te, mi sai di ricordi e
giorni stati: tu sei della mia preistoria il ricordo più grato."" Sorrisero di nuovo le colline verdi.
Compiaciute. La loro principessa risaliva la china a raggiungere di nuovo il
suo sogno reale e concreto. Sospesa nell'acqua lei ritemprava il suo corpo
allontanando il dolore. Sospesa nel nudo morbido e bianco nuotava nel suo
amante innamorato e bizzarro. Sospesa nel tempo guardava il calendario e
l'orologio per correre nella piccola auto blu verso il suo destino. Agognato.
Regalato. Scelto. Lui la stava aspettando. Per godere di lei e in lei. Lui la
seduceva. Conquistava. La afferrava e la gustava. Lei era proprietà sua. Quei
due, guardati da fuori, con sorriso, nella loro unicità rara e preziosa,
sapevano bene esistere. L'un l'altro regalandosi il fiato vitale. Fiato caldo e
lingua rovente per gli inguini preziosi. Per risalire nell'empireo dei sensi e
del piacere. Lui attendeva il vulcano di lava da infonderle dentro. Che stava
già fluttuando per inondarla tutta con urla selvagge di piacere. Le colline
continuavano a sorridere. Compiaciute. Sornione. Solidali. Complici… I sensi di
colpa sciocchini ogni volta gettati col non riciclabile. Lei continuava a
risvegliarsi. Per entrare nel nuovo sogno antico ed eterno. E dissero le
colline: quei due erano proprio destinati a incontrarsi. Erano fatti l'uno per
l'altra. E lo diciamo sottovoce: quei due si amano come di più non si potrebbe.
Poi lei si alzò. Poi lei si fece un tè coi cracker. Poi lei fece delle altre
cose... Poi lei, lesse queste parole d'amore infinito e assoluto. Poi lei provò
un profondo piacevole turbamento. Poi lei finalmente disse dentro se stessa: TI
AMO DAVVERO TANTO. Mio signore, mio padrone, mio amante unico e definitivo…
Le colline erano rimaste in sur-place a guardare.
La piccola sagoma azzurra dell'auto era
partita… Verso un batticuore intenso che stava ad attendere.
Ed era stato un risveglio da un incubo. Il
batticuore si era vestito di bianco candido.
Gli sguardi, le intense carezze tra le
mani. Sguardi reciproci scandagliavano sguardi. Le lancette degli orologi
digitali dell'anima erano rimaste sospese con la sabbia delle clessidre. Le
parole rincorrevano le parole. Un torrentello scrosciante dissetava l'ascolto.
Tutta una vita in una carrellata veloce.
Conferme con la voce azzurra vibrante.
L'incontro magico e miracoloso era
avvenuto.
L'acciottolato era stato carezzato dai
passi. I motoscafi sciabordanti per andare a chiacchierare con luna dorata che
donava il sorriso muto sotto la maschera d'argento.
E poi, e poi, e poi…
La carrellata andava all'indietro.
Dall'infanzia primissima di bambina. Agli altri giorni ed incontri. Alla tana
del lupo evitata per un pelo. All'incontro che aveva incatenato quella giovane
donna. Che sperava di aver davanti il compagno ideale. Che lentamente si era
sbriciolato come fango secco. A piccole tappe deludenti. Fino allo zombie,
all'agonia umana, mentre la donna non cercata languiva.
E poi l'uomo della sua vita. Che
ostinatamente non si rassegnava invecchiare e faceva mostra di sé vestito di
bianco candido. Ragazzo in età eternamente.
Il percorso e il cammino tortuoso. Il lento
distacco definitivo dalla delusione giovanile. Imparando e studiando a fare la
madre donna.
Non cercata e non voluta. Non stimata. E
neppure amata neanche una briciola. Sospesa nel vuoto ad aspettare…
E l'incontro che si ripeteva a ondate
cicliche. Inferno-paradiso. E l'eden che restava nascosto nell'anima. Per
essere rivisitato ogni volta con urli orgiastici di piacere.
Vita/non vita.
Figli. Vacanze da sola. Piccole gioie da
sola.
E poi, e poi, e poi…
Il "DUE" che tornava a essere l’'UNO"
assoluto totale primigenio.
Reinventando il passato e sognandolo… Se ti
avessi incontrato prima…
E non c'era neppure un prima o un dopo.
C'era un tutto totale. E c’era stato il
farmaco maledetto. La disperazione accorata. Lenita e curata facendo l'amore.
Non ho più emozioni e speranza… Ma la
speranza covava sempre sotto. Nei sogni buoni e gentili. Dove un volto preso a
prestito qua e là recitava la parte dell'uomo vero della sua vita. Ragazzo
maturo in età. Che regalava piaceri intensi. E meritava di essere continuamente
cercato, voluto, sedotto, conquistato…
Mentre attendeva, sul ciglio della strada,
la donna, ragazza, bambina, schiava puttanella amorosa, che ogni volta riusciva
ad emergere dal mare torbido senza speranza del suo soffrire, e raggiungeva raggiante
il suo unico vero grande uomo amore totale padrone demiurgo ragazzo folle e
poeta…
E poi, e poi, e poi…
E ascoltava le parole centellinandole goloso.
Regalava la sua lingua di parole, fiato,
turbamenti di lingua e di carne.
Il forno a microonde del luglio. Temperato
dal fresco pungente delle sorgenti d'alta quota. Dal soffio frusciante del
condizionatore.
Incontrarsi. Perdersi di vista
temporaneamente. Ritrovarsi.
Avanti e indietro. Come lo stantuffo
erotico. Come il vecchio gioco inferno-paradiso.
Mentre lui si beava adorando quel corpo
bianco di donna ragazza bambina. Le morbide curve da baciare, far risuonare con
le mani, far risvegliare e infuocare. Sempre sempre sempre.
E per sempre.
Grazie che mi fai vivere. Che mi fai
esistere. Che lavi via sensi di colpa sciocchini.
Che mi incoroni ogni volta con parole e con
lingua ardente, regina baronessina totale.
Le colline rimaste ad attendere. Vedevano
la piccola auto azzurra tornare col suo tesoro rinvigorito ogni volta.
"Per qualche giorno non mi vedrai… Ma
poi di nuovo mi rivedrai tutta… Tanto… Lo voglio… Ne ho bisogno… Ti regalo
l'anima. Il corpo. I sensi e gli sguardi. Perché sono la tua libera schiava. La
tua angelica puttanella golosa. Continua a cercarmi. Ora mi preparo di nuovo.
Per ripartire e tornare alla vita che mi regali e che hai in serbo per me."
Le colline incuranti guardavano dall'alto
quei due.
I loro andirivieni ripetuti. Dentro e fuori
dal paradiso. Che il paradiso non poteva certo attendere. Che era la condizione
dell'anima. Che era il soffio vitale.
"… Da te non eri
dacchè io ti posi in essere
creatura mia
fatta di me ad esistere
Stagione mia.
Lo spirito ti volle e fu in te,
creatura
d'angoscia
E fu come fossi sempre stata.
E la terra ti ebbe;
la notte stillò rugiada
La mimosa pudica ti avvolse.
E
se mi specchio in te,
mi sai
di ricordi e giorni stati:
tu sei
della mia preistoria
il ricordo più grato."
Sorrisero di nuovo le colline verdi.
Compiaciute.
La loro principessa risaliva la china a
raggiungere di nuovo il suo sogno reale e concreto.
Sospesa nell'acqua lei ritemprava il suo
corpo allontanando il dolore.
Sospesa nel nudo morbido e bianco nuotava
nel suo amante innamorato e bizzarro.
Sospesa nel tempo guardava il calendario e
l'orologio per correre nella piccola auto blu verso il suo destino. Agognato.
Regalato. Scelto.
Lui la stava aspettando. Per godere di lei
e in lei.
Lui la seduceva. Conquistava. La afferrava
e la gustava.
Lei era proprietà sua.
Quei due, guardati da fuori, con sorriso,
nella loro unicità rara e preziosa, sapevano bene esistere. L'un l'altro regalandosi
il fiato vitale. Fiato caldo e lingua rovente per gli inguini preziosi. Per
risalire nell'empireo dei sensi e del piacere.
Lui attendeva il vulcano di lava da
infonderle dentro.
Che stava già fluttuando per inondarla
tutta con urla selvagge di piacere.
Le colline continuavano a sorridere.
Compiaciute. Sornione. Solidali. Complici…
I sensi di colpa sciocchini ogni volta
gettati ne
l non riciclabile.
Lei continuava a risvegliarsi. Per entrare
nel nuovo sogno antico ed eterno.
E dissero le colline: quei due erano
proprio destinati a incontrarsi. Erano fatti l'uno per l'altra.
E lo diciamo sottovoce: quei due si amano
come di più non si potrebbe.
Poi lei si alzò. Poi lei si fece un tè coi
cracker. Poi lei fece delle altre cose...
Poi lei, lesse queste parole d'amore infinito
e assoluto.
Poi lei provò un profondo piacevole
turbamento.
Poi lei finalmente disse dentro se stessa: TI
AMO DAVVERO TANTO. Mio signore, mio padrone, mio amante unico e definitivo…
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