LA STORIA DI CICCINA
Un'altra giornata come le altre.
Purtroppo. Stava pensando tra sé. Rannicchiata come d'abitudine nell'unico
angolo morbido. Quasi come le altre… Fra nuovo sorgere del sole avrebbe di
nuovo avvicinato il suo lui. Quello vero. Autentico.
Da troppo tempo ormai, non riusciva neanche più a contarlo il tempo, a
misurarlo, ad avere una visione chiara.
Da sempre l’avevano trattata al ribasso.
Considerandola poco. Al massimo sopportandola. Con sufficienza… Non solo
accanto a lei o tra chi aveva accettato di avere vicino. Solo nelle attività
sociali e nel lavoro non avevano preconcetti e pregiudizi. Anzi era apprezzata.
Benvoluta . Valorizzata. Si era creata la sua nicchia esistenziale. Fino a
quando…
Un giorno era riuscita a guardarsi per
davvero. Non con i propri infiniti occhi soltanto.
Attraverso gli sguardi infiniti che quel
lui le aveva rivolto.
Riempiendola di attenzioni. Colmandola di
doni. Considerazione insomma.
E lui si era spinto oltre ogni limite. E
lei aveva voluto lasciarsi andare e trascinare…
Quasi in un sogno. Ma un sogno di quelli
autentici concreti e reali.
Avevano percorso strade prima ritenute
impraticabili. Con fremiti reciproci di tutto il sistema percettivo centrale.
Inimmaginabili un tempo…
Poi… La catastrofe maledetta… Quella
sostanza tossica che l'aveva invasa tutta quanta. Senza sapere assolutamente
come liberarsene. La speranza a volte vacillava. Compiva ancora fantastiche
fughe. Ma piena di incertezze.
Solo lei in tutto il formicaio era stata
contaminata da quel maledetto anticrittogamico.
Addirittura anche le sorelle e le compagne
la guardavano un po' con sufficienza. Come se lei parlando del morbo se ne
volesse fare uno scudo per non essere una brava lavoratrice. E lei
continuava a fare il possibile. Anche di più a volte.
Un'altra giornata come le altre.
Purtroppo. Stava pensando tra sé. Rannicchiata come d'abitudine nell'unico
angolo morbido. Quasi come le altre… Fra nuovo sorgere del sole avrebbe di
nuovo avvicinato il suo lui. Quello vero. Autentico.
Da troppo tempo ormai, non riusciva
neanche più a contarlo il tempo, a misurarlo, ad avere una visione chiara.
Da sempre l’avevano trattata al ribasso.
Considerandola poco. Al massimo sopportandola. Con sufficienza… Non solo
accanto a lei o tra chi aveva accettato di avere vicino. Solo nelle attività
sociali e nel lavoro non avevano preconcetti e pregiudizi. Anzi era apprezzata.
Benvoluta . Valorizzata. Si era creata la sua nicchia esistenziale. Fino a
quando…
Un giorno era riuscita a guardarsi per
davvero. Non con i propri infiniti occhi soltanto.
Attraverso gli sguardi infiniti che quel
lui le aveva rivolto.
Riempiendola di attenzioni. Colmandola di
doni. Considerazione insomma.
E lui si era spinto oltre ogni limite. E
lei aveva voluto lasciarsi andare e trascinare…
Quasi in un sogno. Ma un sogno di quelli
autentici concreti e reali.
Avevano percorso strade prima ritenute
impraticabili. Con fremiti reciproci di tutto il sistema percettivo centrale.
Inimmaginabili un tempo…
Poi… La catastrofe maledetta… Quella
sostanza tossica che l'aveva invasa tutta quanta. Senza sapere assolutamente
come liberarsene. La speranza a volte vacillava. Compiva ancora fantastiche
fughe. Ma piena di incertezze.
Solo lei in tutto il formicaio era stata
contaminata da quel maledetto anticrittogamico.
Addirittura anche le sorelle e le compagne
la guardavano un po' con sufficienza. Come se lei parlando del morbo se ne
volesse fare uno scudo per non essere una brava lavoratrice. Che lei continuava
a fare il possibile. Anche di più a volte.
I suoi arti, erano diventati doloranti per
ogni spostamento anche da poco.
Sempre lì. In quella nicchia
riparata, lontano da occhi multipli. Da giudizi. Da controlli.
Ma che cosa aveva avuto e aveva di diverso
da tutte le altre? Il suo colore era lucido luminoso come quello di tutte.
Le sue antenne vibravano a comunicare.
Anche se da un po' di tempo trasmettevano
flebili lamenti sofferenti.
Poi, per fortuna almeno ogni tanto, quel
maturo formico maschio, compariva.
Come ora. Arrampicato su uno stelo d'erba.
Sembrava immobile. Ma non stava mai zitto un secondo. Le sue antenne
trasmettevano continuamente messaggi all’infinito.
A volte riusciva addirittura a rifare il
verso alle cicale. Ad altri imenotteri sonori. Avrebbe volendolo saputo anche
volare. Con le ali dei suoi pensieri. Con la sua fantasia preziosa e a lei
graditissima.
L'anticrittogamico… Maledetto veleno. Lei
non poteva muoversi da tempo. Pensava che forse un giorno, nonostante non fosse
ancora anziana, le compagne più adulte di lei, e la stessa regina del
formicaio, avrebbero crudelmente deciso di allontanarla. Ma più lontana di così
da tutto?
Si sa che le formiche non avendo un
sistema neuronale di regola non dovrebbero esser capaci di sognare.
Eppure… Lei sognava continuamente. Sognava
quel solido esemplare. Prima appollaiato su uno stelo d'erba. Che poi
lentamente scendeva. La avvicinava. Le sfiorava le antenne con le proprie. Le
trasmetteva le sue musiche. I suoi lunghi interminabili pensieri. Erano sogni fantastici!
Purtroppo alternati a sogni allucinanti.
Incubi. Disperati e dolorosi quasi quanto il male che le impediva di muoversi e
di andare di qua e di là.
Ora, ne era certa, era proprio lui.
Arrampicato come faceva spesso. I suoi occhi la guardavano. E mandava bagliori
al pari e meglio delle lucciole più luminose.
Nella sua nicchia morbida, cercò con le
zampette di farsi più bella che poteva.
Lui certo già la vedeva bellissima. E
forse lei certo già era la più bella di tutto il bosco. Di tutta la landa.
Eppure era come tutte le sue simili.
Pensava lei. Cosa aveva poi di così eccezionale?
Lui era sceso facendo ondeggiare lo stelo
a cui si era aggrappato.
Si avvicinò. Le parlò. Antenne sfioranti
le antenne.
Lei capì.
Il veleno diserbante si sarebbe attenuato
nei suoi affetti malefici.
Sarebbe tornata a muoversi, spostarsi,
andare di qua e di là. E soprattutto ricevere, seguire, sfiorare intensamente
il suo innamorato.
C'è chi dice che le formiche non hanno
un'anima. E c'è addirittura chi ne è convinto.
Il formichiere le ritiene soltanto
pezzetti di cibo da inghiottire.
Quegli stupidi degli umani le allontanano
dai propri terrazzi e delle proprie cucine.
Però anche nel linguaggio degli stupidi
umani, quelli che buttano i veleni per diserbare, quelli che distruggono la
terra e il pianeta, c'è una parola, pensò Ciccina… E l'hanno ricavata proprio
pensando a lei e i suoi simili.
"Formicolìo”. A significare quel
fremito, quell'impulso, quel piacevole solletico prurito, che tutti i viventi
trovano quando sono in preda al piacere.
La formica Ciccina, anche lei, sentiva
vibrare tutto il suo essere, tutta la natura, tutto il bosco, tutta la landa.
E si accorse che forse, il veleno
diserbante anticrittogamico, un po' alla volta si sarebbe diluito, fino a
sfumare nei suoi affetti dolorosi.
Lui ora le stava vicino. E non erano più
una giovane graziosa formichina accanto ad un grosso massiccio esemplare
adulto.
Lei non era una semplice formica operaia.
Lui non era un semplice maschio di formica. Gli altri esemplari di quel
formicaio e degli altri, che avevano le ali per diffondersi e per la
riproduzione.
Che poi avrebbero perso.
Ciccina e il suo fidanzato erano eccezioni
assolute.
Unici. Speciali. Provavano attrazione
reciprocamente. Vicendevolmente amavano darsi piacere.
Ora stavano strettamente a contatto. E
dopo essersi carezzate le antenne avevano preso a lambire tutti gli angoli dei
propri minuscoli lucenti corpi.
Insomma, l’anticrittogamico o quel cavolo
che fosse, stava smorzando i suoi affetti dolorosi e venefici.
Le sorelle compagne sapevano e avevano
capito tutto.
Anche formichi che avevano creduto di
avere possesso di lei, dormivano ebbri nei loro cunicoli bui.
E un messaggio mutuo scambievole e
reciproco, diceva ripetutamente:
"ECCOMI, ECCOTI, SONO QUI SOLO PER TE… E TU CI SEI SOLO PER ME…" (O qualcosa del genere… Difficile invero tradurre quel linguaggio. Ma i linguaggi amorosi non hanno bisogno di traduzione )
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