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mercoledì 15 novembre 2017

OCCHI DI CIELO E IL SUO ORCO INNAMORATO

OCCHI DI CIELO E IL SUO ORCO INNAMORATO
C'era una volta una ragazza…
Anzi, sarebbe meglio dire che c'era due volte quella ragazza…
Aveva avuto in dono da bimba dei magnifici occhi di cielo.
E oltre ad essere se stessa era anche diventata una donna bellissima. Sempre con gli occhi di cielo… Senza smetter d'essere bambina...
Un orco buono vedendola da bambina era impazzito per i suoi occhi… e per il biancore del suo nudo.
Ma tant'è…!
Da donna viveva nel castello in una collina tra i laghi, per poter ricevere per prima il bacio del sole.
L'orco andava ogni volta che poteva ad assaggiare il nettare e la rugiada della sua corolla…
E voleva andarci anche quando non poteva…
Ma non poteva!
E quando era donna la piccola "occhi di cielo" offriva al suo amore il suo frutto proibito di bambina.
E quando era bambina regalava il suo frutto maturo di donna all'orco buono.
Che ruggiva tenere parole.
Che con lingue infuocate beveva il suo nettare.
Che tremava di desiderio.
Un giorno, la collina tra i laghi, per magia, decise di scivolare a valle.
Con i suoi boschi di foglie gialle e rosse.
La valle, stupita e compiaciuta, fece volare nel cielo stormi di aironi e di cicogne…per farle festa.
L'orco tremava d'amore per la bambina che era donna.
Per la donna che era bambina…
La storia non sarebbe mai finita.
Il finale l'avrebbero inventato insieme tutti e tre:
l’hom salbadg che era maestro degli orchi;
la bambina con il suo cuore di fragole e lamponi;
e la donna che rideva sempre col cuore di bambina…
Perciò, questa storia può solo cominciare.
Perciò questa storia si racconta da sola…

giovedì 9 novembre 2017

RONZARE AMOROSO

RONZARE AMOROSO
ma dai guarda meglio
ronzio smorto battito d'ali lento
estremo
spossato
esangue
e no che non è una vespa
non ne ha il profilo civettuolo
da cocotte provocante
ma un morbido corpo raccolto
intenso
vibrante
ma che ci fai qui sorella ape
terminati i pollini golosi
sfumato di colpo il tepore tardivo
proprio sul mio davanzale
ti sei lasciata cadere
vorrei farti una coccola col dito
ma sai noi umani diffidiamo
sempre
temiamo il pungiglione
ma tu mi guardi con i coni esagonali
dei tuoi infiniti occhi
annebbiato anche l'odore dell'umano
di cui senti la voce a fiuto
sento il tuo amore
i tuoi fratelli ci stanno uccidendo
tutte
alle sorelle dico con le antenne
che mi sto innamorando di te
con gli ultimi istanti vitali
sento l'aroma del nostro miele
nel nero assoluto del tuo caffè
piccina morbida e tenera
stai smettendo ora forse per sempre
ma no dai
di fecondare tutto il mondo
ricevi però
il mio pensiero amoroso
forse
può darsi
che poi ti riprendi
e torni a trovarmi ancora
trova un angolo tiepido per aspettare
un'altra primavera di sole ti aspetto lo sai
facevamo da bambini
piccoli mesti funerali
per gli insetti che stavano morendo
ma la speranza
continua a covare cocciuta
buon riposo piccola ape
tornerai lo so
a trovarmi col tuo ronzio discreto
anche magari nell'anima ronzante
di un'altra sorella
saprò riconoscere lo prometto
l'intimo segreto nostro
chiudo la finestra
per parlarti così
nell'etere incorporeo
muto e orfano per un po' almeno
del tuo volo leggero



martedì 7 novembre 2017

PEMBA

[07/11/2017] NANNI- ARTEMISIA
Ma no, Gioia mia, non ho scritto poesie. E dire che fra poco arrivo al solito posto. Però ho cominciato ad elaborare quello che scriverò sul dio Pemba,  sai quel birbone simpatico che aveva creato tutto il mondo perché si sentiva un po' solo e si era messo a soffiare  con fiato leggero sopra il mare e dalle onde erano usciti tutti gli esseri viventi e inanimati.
Faceva  parte probabilmente della cosmogonia del popolo dei Fulbé, Peuls, Bororo . E mi era simpatico.  Prima racconterò di quell’ esame all'università che mi aveva divertito tra i pochi alla Cattolica di milano, e poi ci farò nascere una invenzione in cui divento io, in carne e in persona, dentro di me il dio Pemba e mi metto a creare tutto e ovviamente, se me lo permetti però, invento e creo anche te amore mio                     
Prendo il messaggio che ti ho mandato sopra, gli tolgo tutti i particolari, lo faccio sembrare un messaggio inventato narrativamente.
Poi ci faccio un pezzetto dialogato in cui una mia vecchia amica di università mi consigliava di fare quell'esame che era bello piacevole per non tirare avanti troppo in lungo e finire il mio percorso universitario.
E infine racconto il pezzetto del dio Pemba.
Per concludere un brano che potrebbe essere poetico,  in cui io divento esattamente il dio,  creo il mondo, creo te e me ne sto in panciolle   a riposarmi compiaciuto. Descriverò quel dio  come un'immensa razza o manta,  sai quei pesci grandiosi, con il mantello immenso tutto nero, che vola nel cielo come una oscura ombra magica.

"Dài, Nanni… C'è un esame su uno studio monografico molto interessante, e credo rientri tra i tuoi gusti e le tue passioni. Si tratta del popolo dei Fulani, Bororo, Peuls. Sono collegati alle pitture rupestri del Tassili. La materia e la disciplina qui in cattolica viene chiamata etnografia, ma corrisponde perfettamente agli studi di tipo antropologico…"
Così mi aveva detto l'amica Laura, e aveva finito per convincermi. Ci avevo scritto sopra una tesina e avevo preso anche un buon voto con quell'esame. Il docente titolare era un omaccione immenso, piramidale, con l'abito talare nero, la voce un po' burbera, ma molto affascinante.
Molti particolari mi sono ora sfuggiti. Mi è rimasto in mente un particolare che aveva stuzzicato molto la mia fantasia. Apparteneva alla cosmogonia di quel popolo. E narrava come, nella loro antica leggenda, fosse stato creato il cosmo la terra e tutti viventi e non viventi.
La  racconto qui perché mi affascina ancora.
Il dio Pemba, come forse molte altre divinità creatrici dell'universo, era immenso potentissimo ma inesorabilmente solo. Si annoiava immensamente. Perciò decise un giorno di portarsi sul mare. Lì, cominciò con fiato leggero e magico a soffiare sul pelo dell'acqua. Dal suo soffio si levarono spruzzi e piccole onde. E da ciascuno di essi prese forma e cominciò ad esistere ogni cosa. Leoni, antilopi, caverne, deserto… e tra tutti gli altri esseri viventi non viventi: l'uomo!
Allora e anche adesso ho provato ad immaginarmelo questo simpatico birbacchione del dio Pemba. Dal nome me lo immaginai e me lo figurai come un manta gigantesco, una razza di dimensioni dilatate al massimo. Di colore scuro. Che volasse sospeso nel cielo muovendo il suo mantello come un'oscura ombra magica. Onnipotente.
Così. Mi era piaciuta l'idea. E mi era piaciuta e mi aveva affascinato questa versione molto naif della nascita di tutto il mondo.
Ora, non ho più il testo della mia tesina. Però il mio amico dio Pemba mi è rimasto in mente. E mi è piaciuta moltissimo la sua facoltà di creare le cose con il semplice soffio sulle acque.
Ho provato ad immaginarmi anche di avere dentro di me tutta la sua essenza, fantastica, potentissima, magica. E allora, mi sono messo a giocare identificandomi con lui.

«EBBENE SÌ.
GUARDATE, SORRIDETE, ASPETTATE.
IL MIO NOME E’ PEMBA, SIGNORE DI TUTTO E DEL NIENTE.
DIO DELLE COSE CHE COMINCERANNO AD ESISTERE.
COME UN TEMPO COMINCIAI A FAR ESISTERE TUTTO, CON IL MIO SOFFIO MAGICO SUL MARE, ORA SOFFIO DI NUOVO.
E CREO.
DAL NULLA.
TUTTO CIÒ CHE NON C'ERA. PERCHÉ MI PIACE FARLO.
SE ALL'INIZIO DEL TEMPO MI SENTIVO UN PO' SOLO E MI ANNOIAVO, ORA LO FACCIO PER DIVERTIRMI. E MI PIACE GIOCARE.
E DENTRO A QUESTO ANTICO CORPO DI UMANO, DO VITA ALLE COSE CHE NON C'ERANO.
E MI PIACE FARLO.
E PERCIÒ LO FACCIO. LEGGETE DUNQUE, ASCOLTATE, VIVENTI E NON VIVENTI, QUESTA CANZONE, QUESTO CARME, E DIVERTITEVI, GODETE, E GIOCATE CON ME, ALLA CREAZIONE.>>

per uscire dalla noia infinita
ora come allora soffiate sull'acqua del mare
del lago del fiume della pozzanghera del canale
questa che invento ora qui è l'allegria
questa è la fata turchina dagli occhi di cielo
questa sorride con sguardo fosforeggiante
artemisia è il suo nome
ed è un nome per gioco
l’ho generata dal nulla della mia coscienza
dal mio sogno antico che viene da prima del tempo
c'era già da sempre ed è anche nata con me
l'ho pensata e ha cominciato ad esistere
si è pensata da se stessa e ha cominciato a danzare
chi mi canta ora è anche lui pemba come me

si reinventa e si crea ogni istante

la danza infinita muove passi garbati
che sono onde e spruzzi e flutti
perché ciascuno può risorgere se lo vuole
nascere e rinascere e sorridere al cielo infinito

io sono pemba
lei è  pemba
e siamo insieme l'essenza della vita
del riso del gaudio e siamo una canzone
e ci cantiamo da noi stessi

soffiate sull'acqua
del mare
del lago
del fiume
della pozzanghera
del canale
il soffio è vita
è parola
e la parola crea
trasforma
rigenera
fa nascere
rinascere
risorgere

il soffio
è vita
è parola
è poesia

parola mia

di pemba
Nanni