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mercoledì 29 settembre 2021

IL NUOVO BANANO

 IL NUOVO BANANO

Stai lì pronto, anche tu, nuovo compagno verde.
La tua memoria vegetale cerca negli anfratti dei decenni lontani. E ritrova immagini svettanti verso l’alto, di fusti dagli ampi e sventolanti ventagli di foglie. Nel giardino protetto da mura altissime. Nel microclima favorevole. Stoloni e rizomi possenti e avidi giravano intorno al perimetro a regalare e buttare nuovi germogli di vita. Pacifici e buoni serpenti boa vegetali.
Nella casa avita della mia infanzia.
In un tempo remoto ma sempre presente.
Stai lì pronto per essere posto a dimora.
Nel giardino pensile arrampicato verso l’azzurro e le nebbie del cielo.
Altra terra umida e nera ti porto.
(Non c’era ancora, allora, a vagare nei boschi ombrosi, la bassa e tozza faina. Famelica a frugare nell’aria con gli occhi e col fiuto nuove recenti tracce e presenze di grufolanti suini cinghiali.
È ora scomparsa e cancellata anche qui, in questo presente tornato pulito e limpido e sobrio.)
Benvenuto, allora, benvenuto di nuovo, nel piccolo eden.
Amico banano.
Chissà che magari, tra altri vent’anni, butterai al cielo coi tuoi neonati fratelli, altre sagome verdi.
L’occhio nuovo ti guarda ora, piccino mio, e sogna di fantasia il tuo futuro.
E sogna il proprio, di speranza e di attesa.
Gratuita.
Ma sempre molto ebbra di entusiasmo mai stanco.
Mai sazio.
Nanni Omodeo Zorini
Margherita Gionni
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lunedì 27 settembre 2021

A VOLO

 A VOLO

Lasciata l’auto cabrio coupé al grosso parcheggio. La navetta l’aveva condotto a Malpensa 2.
Il bagaglio a mano era sufficiente. Contenuto e poco ingombrante.
La doccia sauna, il caffè ristretto cremoso, dolcificato al miele, i primi tiri di pipa guidando l’auto, una leggera bruma anticipo dell’autunno.
Non troppa ressa per regolarizzare la carta d’imbarco e il check-in.
Occhiate di sfuggita a chi gli stava davanti, o era in coda dietro di lui.
Sfumate reminiscenze. Il primo volo da solo, per Punta Raisi Palermo e la Sicilia. Altre ingombranti e diverse compagnie di viaggio. Quella super truccata che talvolta si portava dietro figli e morosi annessi. Civetta, curiosa e logorroica. E quella timida e impacciata che sembrava sentirsi in colpa. E quelle altre, tante, ancora di altre volte.
Presentò i documenti di viaggio. Gli vennero restituiti regolarizzati.
Poi intruppati, a sciamare verso le porte/gates. E lì attendere ancora un po’. Quindi il tunnel a soffietto sospeso: e l’ingresso nell’aereo mobile. Gentilezze di maniera femminili, delle assistenti di volo hostess. Il colore della loro divisa livrea.
Prese posto verso l’esterno, in quarta fila, nella poltrona destinatagli.
Il rombo vibrante dei motori che venivano avviati.
Poi la rituale sceneggiata della hostess che ripete la procedura, ad alta voce, gesticolando con le mani alzate.
L’invito a disattivare i dispositivi mobili. Allacciare le cinture di sicurezza. Restare fermi nei propri posti fino a nuova disposizione.
Cominciò a provare un ritorno di torpore per il sonno interrotto.
Era stato un volo di linea Alitalia quello col quale aveva raggiunto Punta Raisi. Solo soletto. Soddisfatto, autocompiaciuto, perfettamente a suo agio nel ruolo.
Alla sua destra una figura femminile gradevole. Asciutta. Distaccata. Distinta.
L’aveva sfiorata solo con la coda dell’occhio.
Fino a quando era stata lei, garbatissima, col pretesto di scusarsi perché gli aveva toccato il gomito sul bracciolo.
Presto gli aveva raccontato, a piccole tappe, che raggiungeva periodicamente lo studio da ginecologa. Non aveva parlato di sé e dei propri vissuti. Della sua vita privata. Ma stando sulle sue, in modo abbastanza formale, era poi è arrivata a presentarsi. Nome, cognome, professione, numero di cellulare.
Lui era stato al gioco.
Raggiunto lo scalo palermitano, un sorriso, il recupero del bagaglio. E poi chi s’è visto s’è visto.
In Sardegna, invece, c’era andato con la nave. Stipata l’auto con le altre, là sotto.
Un imbarco di fortuna, senza prenotazione.
Là c’era già chi lo aspettava.
Un rapporto disincantato, intimo e profondo, e insieme molto maturo. Fin troppo, rispetto alle modalità abituali nelle relazioni. Lei sapeva tutto di lui, della sua situazione permanente di scapolo. Dei rapporti che lui aveva in atto o che aveva appena chiuso. Lui pure la trattava perfettamente alla pari. Nessuna curiosità gelosa del partner che lei aveva abitualmente. Ma era una cosa reciproca.
Anche in Corsica era andato con la nave. Raggiunta Savona con il maxiscooter. Aggrappata alla sua schiena con le mani infreddolite, la sua donna di quel momento.
Appena sbarcati, scioccamente lei aveva tardivamente confessato che non trovava troppo agevole o confacente girare su una due ruote. Come quando lui, in altri momenti, dopo aver predisposto e approntato il motore della barca, che aveva acquistato proprio per compiacerla, l’aveva invitata a salire in Liguria. Soffriva il mal di mare e il mal di moto.
Ma gli era stata aggrappata addosso, col corpo, con l’anima, con i sensi tutti. Finché lui aveva ripreso possesso della propria esistenza da solo.
Orio al Serio, di nuovo Malpensa, solo una volta Linate. In queste occasioni la sua compagna del momento si era tirata dietro qualcuno dei figli con i relativi partner.
Non aveva gradito granché tutta quella compagnia. Ma aveva fatto buon viso a cattiva sorte. La multiproprietà di cui disponeva ingolosiva la donna e i suoi giovani congiunti.
Giunti al residence, la giovane civettuola figlia si era fatta subito abbordare da un giovanottone che parlicchiava in inglese. Dimenticando, per l’occasione, il suo moroso danaroso e borghesuccio al quale stava sempre appiccicata abitualmente. Era la stessa, che quando aveva alloggiato in casa di lui per diverso tempo, gironzolava discinta. Tettine al vento. Minuscoli quasi invisibili tanga che regalavano alla vista le piccole paffute natiche praticamente totalmente nude. E aveva chiesto con aria sorniona a lui di non dire niente alla mamma. Sentendosi come risposta: di non dirle niente neanche lei…
Ora la hostess aveva già impartito le sue disposizioni. E muovendosi avanti e indietro nel corridoio centrale recitava la sua pantomima. Dopo l’italiano, ci fu l’inglese, il tedesco e infine il francese.
Aveva girato sulla modalità aereo il proprio tablet. Più tardi l’avrebbe riattivato più che altro per leggere e scrivere.
I motori con rombo vibrante vennero avviati.
Mentre tutta la massa del velivolo si staccava dal suolo, sollevandosi, sentì come sempre nel plesso solare quel senso di mancamento e di vuoto.
Quindi, dall’oblò non particolarmente limpido, cominciò a vedere la mappa sottostante. Strade. Agglomerati urbani. Distese verdi a riquadri.
Si lasciò prendere, per un poco, dal torpore del sonno messo da parte da poche ore.
Il ronzio cullava. In uno stato indefinito somigliante alla veglia che precede il sonno, vide scene filmiche che gli erano abituali. In un pensiero non cosciente, ma abbandonato, autonomo, che pure lo cullava.
Tra la coscienza e la veglia si lasciò visitare da flash.
Quella sua dipendente, molti anni addietro, che gli aveva regalato occhi neri e lucidi. Chiedendogli, diplomaticamente ma con intenzione, se voleva concedergli qualche facilitazione nelle proprie mansioni.
Aveva regalato, allora, tutto ciò che era legittimo e possibile. Ricevendone in cambio devozione, disponibilità, accondiscendenza compiaciuta.
E poi, quella che gli era capitata nell’ufficio. Con la sua eleganza civettuola, colorita, intrigante. Gli aveva confidato con nonchalance che l’aspetto colorito del suo abbigliamento e delle sue pochette, in tinta con i colori del maquillage e del trucco, le veniva scherzosamente rimproverato dalle amiche: indossava gli stessi colori nell’aspetto esterno e nella biancheria intima.
Una profferta di apertura e di disponibilità.
L’amica della Sardegna che era stata ad aspettarlo in un supermercato come pianificato, era stata sua vicina di posto a un convegno interessante di pedagogia, metodologia e didattica. Poi gli aveva passato su un bigliettino il proprio numero di cellulare. Lui non era stato geloso assolutamente o disturbato che lei la notte precedente si fosse fatta fare compagnia nel talamo dal coniuge.
In quel dormiveglia sospeso tra le nuvole, che poteva notare dal finestrino opaco al suo lato, tra i guizzi intensi del sole sospeso in alto, ripercorse e ne fu visitato da tanti racconti di immagini, di ricordi, di odori, di profumi, di colori, di sensazioni e di vissuti.
Non aveva rimpianti. Nostalgie. Si sentiva totalmente libero, autonomo, autosufficiente, padrone della situazione.
E neanche più lo sfiorava, ora, quell’ultima recente esperienza.
Un approccio dal Web. Chiedendogli se si ricordava la ragazzetta che lei era stata, adolescente o poco più, che l’aveva lusingato di sguardi intensi. Diversi anni addietro. Prima del proprio matrimonio. E lui li aveva scritto addirittura dei versi. Li aveva ritrovati, nel proprio netbock. Gliel’aveva mandati. Destando il suo stupore. Quelli su carta dei decenni passati lei li aveva perduti. La madre gliel’aveva frugati dalla borsetta.
Vai e vieni. Ci sono e non ci sono. “Con lui tanto non c’è più niente da un sacco di tempo. Addirittura non mi cerca mai come donna.
Avevo nostalgia di vederti”.
E gli s’era aggrappata al collo, dalla sua bassa statura, appiccicandogli labbra calde e sensuali alle sue. Donandogli tutto e anche di più.
E si era lasciato vivere anche questa esperienza. In buona sostanza abbastanza facendosi e lasciandosi usare da lei per le sue trasgressioni. Piccolo borghesi. Di paese.
La hostess aveva ripreso la parola, raccontando e descrivendo in versione multilingue quale fosse la zona del pianeta che stavano sorvolando.
Ne ebbe conferma con uno sguardo dall’oblò che gli faceva compagnia lì accanto.
Come gli facevano compagnia i filmati mentali che con occhi socchiusi si stava regalando in forma di ricordi sfumati ma insieme luminosi.
Come sempre lupo solitario. Lupo della steppa. “hom slbadg”.
Sapeva, voleva essere libero da pregiudizi conformisti.
Sentiva, gustava, continuava a sottoscrivere la propria differenza e diversità dal resto degli stereotipi diffusi.
Con l’ex adolescente della poesia, c’era stato anche al gioco di proporle di liberarsi anche lei dal marito e dalla famiglia. Ma subito, per fortuna, lei aveva fatto marcia indietro. Prendendo appuntamento prima con un avvocato per consigli. E poi rinviando tutto. Al massimo, diceva, avrebbe potuto metter su casa da sola per essere autonoma da costui. Ma ci stava troppo bene lì. Sotto il tetto comune e con le spalle coperte.
Lui, allora, sarebbe potuto essere la sua evasione temporanea, limitata, a tempo determinato. Prima o poi avrebbe voluto il potuto volar via di nuovo. A cercare nuovi nidi.
L’aveva battuta sul tempo. Appena aveva cominciato essere troppo fastidioso il suo tira e molla. Il suo abituale ci sono e non ci sono. Avrebbe tanto voluto vederlo di frequente, ma non poteva, era troppo condizionata, non era libera dentro di sé.
E via andare!
Mentre il volo continuava, gli tornò in mente un altro flash molto piacevole, seppure lontanissimo e ormai indistinto nella nebbia del tempo.
A Palermo, sguardo, occhi, fascino, passione della giovanissima docente universitaria francese. Approcci visivi. Conclusi poi, a turno, nelle reciproche alcove d’albergo. Si era trattato di due viaggi turistici paralleli, quasi contigui, che avevano regalato contiguità fuggevole, entusiasmante, e a lungo andare provvisoria a quell’incontro.
L’aveva fantasticato, di corsa, per quanto molto improbabile e irreale, di fare puntate a volo o col Tgv nel cuore della Francia. Poi l’ultima telefonata. Nella quale era riuscito a parlare con disinvoltura e scioltezza l’idioma gallico. Come d’altra parte gli era riuscito bene in quella settimana fantastica e volata via per sempre.
Ma, oltre a questi capitoli più duraturi e costanti, altri brevissimi, capoversi, paragrafi, episodi di corsa, meno stabili che si erano lasciati portar via dalle ebbrezze e dal vento. Come foglie autunnali. O come farfalle in volo.
Avevano lasciato piccole tracce. Minuscole. Un’immagine. Il gusto e il sapore di labbra. Il profumo intenso di un corpo e dei suoi recessi più intimi. Fremiti, piaceri convulsi, orgasmi…
Minuscoli e insieme instabili. Pochissimo duraturi. Fuggevoli perciò.
Era la nuova dimensione quella che contava, ora.
Stava sospeso a 9000 m di altitudine.
In una carlinga di aereo pressurizzata, confortevole, comoda.
Con a fianco decine e decine di figure femminili e anche maschili.
Con delle vezzose e manierate assistenti di volo. Stabili comparse nella rappresentazione.
Ma, sostanzialmente, “solitudinario”, più che solo. Seduttivo sempre e con tutte e tutti: mordi e fuggi. Concupito e ambìto come conquista.
E per sua estrema diversità fin troppo schietto e trasparente.
Ora si sentiva, di nuovo ancora, totalmente libero, solo, soddisfatto, autonomo.
E il volo continuava.
Nanni Omodeo Zorini
Eleonora Bellini

sabato 25 settembre 2021

“È VERO QUELLO CHE VIENE DETTO NON QUELLO CHE ESISTE…”

 “È VERO QUELLO CHE VIENE DETTO NON QUELLO CHE ESISTE…”

(Qui lo dico e qui lo nego)
Apprezzo e seguo “prima pagina” Raitre radio ...
Una emittente coraggiosa, colta e seria. Purtroppo con poco ascolto. Quantomeno ci spiattella le notizie senza reticenze ipocrite.
“Ripetere una bugia 100.000 1.000.000 di volte la fa diventare una verità” (frase attribuita a Joseph Goebbless; ma comunque da lui messa in pratica come breviario).
Pongo una domanda ingenua.
In una vicenda o procedura giudiziaria la verità dei fatti è quella concreta reale, oppure è quella definita dalla sentenza?
Dopo più di 10 anni in un procedimento civile giudiziario, io ad esempio, ho ottenuto un parziale (a spanne, il 50%) riconoscimento del debito che qualcuno aveva verso di me.
“Meglio che niente, accontentiamoci…” mi aveva detto con senso molto realistico il mio legale…
E gli altri soldazzi che non ho avuto indietro? Boh?
Diciamo allora, con estrema ironia e sarcasmo che la verità e la realtà non necessariamente sempre riescono a coincidere con le affermazioni, sentenze, proclami.
Solo chi ha fede religiosa crede in assoluto a una verità anche senza averne le prove tangibili.
(E io mi contento della sentenza che mi ha restituito almeno una parte del dovuto!)
Non mi contento, invece, e mi ci incazzo molto di brutto, quando sventolano come vessilli affermazioni farlocche, fasulle, prive di consistenza reale! Per quanto proceduralmente corrette. Negazionismi! Al pari della teoria tolemaica, o delle false stupidotte baggianate dei terrapiattisti o dei novax…
“Nominalismo ontologico”: un fatto, una affermazione, un episodio nel momento stesso in cui vengono dichiarati e detti, diventano reali e autentici; indipendentemente dalla corrispondenza e congruenza con la realtà effettuale.
Al di là delle procedure seguite dalla corte d’assise d’appello di Palermo, e dalla loro corrispondenza e adeguatezza con la norma scritta, la sentenza dice che:
lo Stato, i suoi organi, rappresentanti e suoi poteri, trattarono con la mafia, ma a fin di bene; senza dolo… Quindi la stessa trattativa, confermata e asseverata, ci fu… Ma solo ed esclusivamente per incastrare i boss mafiosi. Senza complicità o connivenza…!
«QUI LO DICO E QUI LO NEGO…»
(Con esultanza, tripudio, entusiasmo delle forze politiche e delle testate : verrebbe da dire: “testate del C….”)
Nanni Omodeo Zorini
Rosalba Bonini
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