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martedì 30 ottobre 2018

NON PIU’ NAUFRAGHI!

NON PIU’ NAUFRAGHI!






Su di un'isola in mezzo al mare, dopo un tremendo nubifragio e maremoto, era giunto un naufrago. Prima che la nave andasse alla deriva e poi colasse a picco aveva lanciato delle bottiglie vuote con dei messaggi. Ma temeva che fossero andate perdute.
Si era costruito una capanna. E dato che il tempo non gli mancava era riuscito a costruirla a diversi piani. Si consolava con i frutti spontanei che trovava, che si faceva delle buone grigliate di pesce. Aveva salvato una lente d'ingrandimento e con quella concentrava i raggi del sole su delle foglie secche e delle pagliuzze, e così riusciva sempre a procurarsi il fuoco. Aveva degli otri costruiti con pelli di animali, e ci teneva l'acqua fresca per lavarsi. Per berla preferiva andare alla fonte con una conchiglia a forma di ciotola.
Non amava da sempre la televisione. Per cui si era inventato un'alternativa. Da solo si raccontava delle storie. E pensava di regalarle mentalmente alla sua innamorata bambina lontana.
Prima di imbarcarsi in quello sventurato viaggio era stato tante cose. Maestro. Professore universitario. Scrittore. Poeta. Mago e terapeuta.
Nelle sue storie e nei suoi racconti si metteva dentro lui stesso come protagonista, e ogni volta incontrava, perdeva, ritrovava, possedeva, dominava, amava e coccolava teneramente la sua bambina amata.
Non aveva né penna né il calamaio nè fogli per scrivere per cui ogni volta se le imparava a memoria. L'ultima volta che aveva scritto l'aveva fatto sul foglio che aveva mandato su l'ultima bottiglia da naufrago prima del naufragio.
Un giorno, dopo che il cielo si era rasserenato, ed era terminato un nuovo temporale ed acquazzone, se ne stava all'ultimo piano della sua capanna condominio, in mansarda. Il suo giaciglio era morbido. Il sole era caldo. Si era appena costruito con una conchiglia e una piccola canna forata una pipa. E stava fumando delle foglie di tabacco spontaneo trovate sull'isola.
Stava per cominciare a raccontarsi da solo un nuovo racconto, quando…
Nel cielo vide stormi di gabbiani che volavano avanti indietro dal mare all'isola. Segno che qualcosa stava per succedere. Dalla sua posizione sopraelevata cominciò a guardare verso l'interno dell'isola. Niente.
Cominciò allora a scrutare il mare.
A ponente piccoli agglomerati di nuvole e di cirro strati.
A mezzogiorno il sole infuocato lanciava riverberi luccicanti sulle ali dei gabbiani che starnazzavano.
A oriente, dove anche quel mattino all'alba era spuntato il giorno vide tra le nuvole qualcosa che galleggiava nel cielo.
Si sfregò gli occhi. Temette che insieme alle foglie di tabacco gli fosse capitata qualche foglia di Cannabis. Ma non erano allucinazioni. Qualcosa volava nel cielo.
Un elicottero? Un piccolo aeroplano turistico? Una mongolfiera?
La forma era abbastanza indistinta. Ma un po' alla volta divenne più definita e nitida.
Non riusciva a decifrare se avesse la forma di una scopa volante, come quella che usano le fattucchiere e le streghe. Oppure un tappeto volante…
Poi alla fine ne fu certo!
Non c'era proprio dubbio alcuno!
Era proprio per davvero una bambina volante! Ne aveva sentito parlare sui suoi libri di magia. Sapeva che il fenomeno si verificava solo qualche volta, molto raramente. Qualcosa di simile a una bicicletta da donna con le ali. E su di essa arrivava al volo una graziosissima bambina bionda…
Capì che la magia si stava compiendo.
Aveva tanto desiderato, sognato, atteso qualcosa del genere. Temendo di doversi rassegnare al sogno. E invece tutto stava diventando reale.
Planando dolcemente delicatamente lo strano oggetto si era avvicinato. E sulla spiaggia dietro i palmizi ora stava parcheggiato. Scese la scaletta a pioli. E si precipitò verso quel lato della spiaggia. La sabbia era finissima. Impalpabile e rosata.
E il suo stupore aumentò a dismisura, quando avvicinandosi, dietro l'ombra dei palmizi gli parve di riconoscere la bambina che era venuta dal cielo.
Lei aveva una borsa a tracolla. Dalla quale spuntavano cibi vivande e leccornie. E arrancando faticosamente nella sabbia morbida di venire incontro agitando il capo sorridente con i capelli che le svolazzavano al vento…
«Te l'avevo detto, Ciccio, Nannino mio, abbi fiducia… Se ti perdi verrò io da te… Tu non mi perderai mai… Se non ti vedo per un po', te l'avevo detto ricordatelo, verrò io a cercarti dovunque tu sia… In Norvegia mi han detto che non c'eri… E neanche nel ducato di Modena e di Mantova… L'unica era usare quella bustina di polverina magica che mi avevi lasciato tu… Ho detto le parole fatate della formula che mi avevi insegnato… Ed eccomi qua…! Poi ho trovato il tuo messaggio da naufrago nella bottiglia…»
Il naufrago, sobrio da un sacco di tempo, cominciò a credere davvero a quello che vedeva. Era proprio lei. La sua Nini. La sua Artemisia Euridice. La sua donna. Che aveva lasciato il roseto dove era sbocciata, per venire a raggiungerlo dovunque… Li, sulla sabbia impalpabile, lasciarono le borse di vettovaglie e di altri ben di Dio… E si rotolarono a lungo…
Poi lui, se la caricò in spalla, a cavalluccio. Afferrò le pesanti borse bisacce. E caracollando come un dromedario o un dinosauro dei tempi lontani, la portò nella sua reggia.
Il sole andava calando.
Berbero dell'acqua fresca che lui aveva conservato all'ombra.
Si adagiarono sulle stuoie e sulle pelli del giaciglio letto.
Poi decisero di non raccontare più niente neppure al narratore, temendo che qualche entità elettronica, spaziale, captasse i loro nudi on-line… E li censurasse.
Da allora perciò, cominciarono quella vita che anche il cantautore Faber aveva sognato. E che loro pure tutti e due avevano nel cuore.
Bevvero il succo fresco delle noci di cocco, mangiarono banane e mirtilli spontanei, pesce grigliato, erba cipollina e spinaci selvatici…
E ogni mattina, quando lei si svegliava nel giaciglio morbido, trovava il suo hom- salbadg, Robinson Crusoe, uomo di neandertal che aspettava che lei si stropicciarsi gli occhi. Sbadigliasse. Si stiracchia se un po'…. E spalancasse le braccia accogliendolo sul suo corpicino bianco morbido e delicato. E che la penetrasse baciandola tutta da ogni parte molto lungo.
Ma qui la censura on-line rischierebbe di intervenire. Per cui decidiamo d'accordo con il narratore, di rinviare la descrizione ad altri momenti.
E scherzando e ridendo, i due protagonisti dei quali uno era il narratore e l'altra la protagonista, ridendo entusiasti dissero ad una voce sola…:
«Il resto lo faremo martedì 6 novembre… Ahahahahahah…»

venerdì 26 ottobre 2018

METEMPSICOSI-ANAMNESI DELLA CAVERNA




METEMPSICOSI-ANAMNESI DELLA CAVERNA
avevamo iniziato il viaggio
se posso chiamarlo così
con fiordalisi cantanti
vacanze in valsesia a carcoforo
nella minuscola topolino color blu petrolio
che poi era diventata
un'altra forma di viaggio
e di gita
su un terreno accidentato
come quelle sui vecchi
camion militari
nel dopoguerra
oppure quelli
per andare ai campi
durante la leva
e l'amaro alla bocca
era frequente
da prendere addirittura
alla gola
ma lasciamo pure perdere
che te l'ho già raccontato molte volte
da far pensare quasi alle sorelle e ai fratelli
sui fuoristrada nel deserto immenso
metafora della metafora
scossoni brutali e violenti
nel sussultare continuo
da far venire il cuore in gola
con l'aspro rigurgito di stomaco
declina ora mesto l'autunno caldo
con canti e urla di gioia
fuori tempo forse
fuori luogo
fuori logica forse ma reali
e risa appassionate e stupite
differendo sine die il rigido inverno
da fingerlo quasi abolito
verso le piagge gelate
verso il lete grigio del doré
ma per ora continua
e mi tieni la mano nella tua
così piccola sai che mi viene da ridere
e forse tu ti reincarnerai
in una libellula azzurra come il tuo sguardo
io forse in un cervo volante
o in un cerambix erox
così per dire oppure anche
in una puledra ferma sui suoi garretti
inseguita e lambita da me stallone antico
come l'immenso saturno dell'infanzia
alla cascina con i suoi calzettoni di pelo folto
a trottare anche nel dopo
nei verdi pascoli senza tempo
ma chi lo sa
chi potrebbe mai dirlo
se dopo neppure ne avremo memoria
o anche soltanto come il ricordo ancestrale
delle ombre proiettate nella caverna
che ci racconta il poeta filosofo
e vagheggiamo ora con un sorriso alle labbra
quei passati vissuti nel sogno
quei futuri da rivivere inconsapevoli
coazione a ripetere ancora e ancora e ancora
ma chi lo sa chi può dirlo
basta ora che mi tieni la mano
mi trattieni non mi lasci andare via
e non lascio io che tu te ne vada
così per vezzo e per gusto
in questo infinito girotondo
salmodiando le nostre filastrocche
intrise di luce e di gioia d'amore

giovedì 25 ottobre 2018

cara dolce Semira Adamu


cara dolce Semira Adamu
amica che ho imparato a conoscere
solo inventando la tua storia
cucendotela addosso
su misura come un vestito
raccontandoti
con mestizia e rabbia
i tuoi occhi bianchi come sfere lunari
illuminano il tuo volto bruno di mogano
qui nella terra dei viventi amica cara
e ora che si avvicina il giorno
per commemorare i defunti
se permetti so e voglio
farti vivere ancora nelle parole nei versi
stringi le mie mani antiche
nelle tue troppo fredde e ghiacciate
ti regalo il mio ricordo
ti regalo questa voce che ti hanno tolto
ti regalo un cero acceso
immenso

PICNIC AMOROSO ...........A RIALE.

PICNIC AMOROSO
...........A RIALE............(con Artemisia)
al ristorante dicono
che non hanno più posto
mi contento di un picnic frugale
sulla panchina di pietra dura
alla chiesetta di riale
carezzato dal sole intenso
tome e salamini di capra
pane ossolano di segale
farcito di uva morbida
di mele dolcissime e noci
a brindare con acqua di neve della fontana
melliflui fluiscono di miele
odori luci e immagini
francobolli di passato
le piccole foto delle attrici
nelle bustine della marmellata di merenda
da farci la collezione
prima che alla diga
chiudano le paratie
contentarsi dei fotogrammi
che scorrono inarrestabili
la vecchia scuola e le case che han perduto
un po' alla volta i tetti di beole
per delle canadesi omologate
che le fanno tutte uguali
anche al paese dell'antigorio
dove bruciavano ancora le streghe
e la notte dei morti
il bicchiere dell'acqua sul davanzale
e qualche pezzetto di pane
per trovare poi le goccioline sul pavimento
l'indomani
la moto borbotta al fluire di miele
del cimena mentale parlato di dentro
e regalato tutto a te luce mia
immagini sovrapposte incongrue
solo odori ed emozioni intatte
con macchie nuove che disturbano il passato
andare andare andare
con i borborigmi da raccontare a me stesso
solipsistico gusto
solo però
non posso tornare
lo farò un'altra volta forse
alla casa della madonnina
dirimpetto alla chiesa di san nicola
non posso vedere di nuovo l'obbrobrio
delle cornici di granito rimosse
che lasciano le finestre cieche al rimembrare
sì certo è proprio così lo diciamo insieme
che ciascuno si porta addosso
le sue collezioni di figurine
proprio le sue solo le sue e basta
e presto ci sarà il tempo in cui
avranno davvero chiuso le paratie del tempo
e smetteranno melliflui di fluire
i mieli densi dei vissuti lontani
però te le regalo ora tutte mio amore
se ti contenti guardandole
raccontate con i miei occhi
che dipingono ad acquarello
quelle tue del tuo mondo bambino
e le figurine francobollo lontano
ce le scambiamo
ti do questa mi dai quella là
si incontrano si parlano e giocano insieme
lo ricordi il gioco che facevamo un tempo
da tenerne una in mano contro la parete del muro
e se cadendo ne copriva qualcuna
le potevi vincere e raccogliere tutte
come le biglie di vetro colorito
voglio vincer le tue biglie e le tue figurine
tu vinci le mie che poi lo sai
ne faremo un malloppo unico
mescolandole insieme nella cassa comune
e anche questo è bello vero
e ti ascolto e bevo
le tue parole di ragazza di sempre
tu assorta spalanchi gli occhi finché mescoliamo
fondendoli fluidi insieme fantasie e ricordi
mestizia ed allegria
morbide nostalgie e saudade
e la fiaba continua oltre il tempo
e oltre il lete ci terremo la mano ancora
come facemmo certo nelle precedenti
reincarnazioni infinite
dissipando al vento fresco intenso
dell'amore le nebbie del futuro
mentre tutto ricomincia
daccapo
e ancora
ancora
ancora
da sempre
per sempre
mio amore

mercoledì 24 ottobre 2018

APPUNTAMENTO




APPUNTAMENTO
sto già per partire amore  LO VEDI
lasciami solo il tempo
di riprovare l'ebbrezza del volo
notturno gustando ancora
all'infinito e per sempre
l'abbraccio caldo del bacio
tuo che perdura

sto già per partire amore LO SENTI
la borraccia dell'acqua ghiacciata
il tabacco da pipa e gli svedesi
ho scaldato il motore
versando benzina
a colmare il serbatoio
le brune si diradano all'alba

sto già per partire amore LO DICO
qualche ora soltanto di riposo
e ti porto con me dove sai
nella valle dei miei verdi anni
dove la toce verde ha il biancore
delle polveri di mica
che trascina qui giù in questa terra
di rane e di risaie odorose e limacciose

sto già per partire amore LO CANTO
nel viaggio infinito senza soste
dove il passato si colora di futuro
e il tuo sguardo turchino
è il cielo della mia vita e della speranza
dove tremiamo ridendo contenti
ed è proprio bello davvero
tutto questo che ci regaliamo

LO VEDI LO SENTI LO DICO LO CANTO
che nell'abbraccio con te sto partendo
verso le verdi fronde ossolane
alle acque spumeggianti
che si fanno bianche a cascata
e ridono i tetti di beola
specchiandosi nelle fontane
di acqua di neve

sto già
con te
partendo
vieni
dunque

CHE SAREBBE PROPRIO BELLO SAI

CHE SAREBBE PROPRIO BELLO SAI

però guarda sarebbe bello sai
avere solo giornate intense positive
nel bene e nel male certo
attimi di speranza anche alternati da momenti bui
sarebbe bello sai averti sempre vicina
anche nascosta dietro l'angolo che ti appisoli
o fai le faccende che ti piacciono domestiche
e se non vuoi che lo faccia io
che pure sono bravo tranquilla
che navighi nel tuo sogno bambino
e mi fai intrufolare di sottecchi
e poi vai via e poi ritorni
o  che  come faccio io
che ritorno dopo  essere andato via

sarebbe bello sai

che si nascondessero
gli orchi cattivi dell'ignoranza feroce
e dessero le dimissioni da tutte le fiabe reali
e che nessuno vendesse gli organi
é neppure le persone umane
e che tutti fossimo noi
il dio e il mago della dolcezza
e dal sorriso buono

e che tu non avessi dolori e malanni
e che i litigi cominciassero
dandosi la mano col sorriso
e tu fossi libera sempre
quando ci piace
per venire a giocare a saltarello con me
a mosca cieca e a nascondino

sì lo sai sarebbe bello però

e il lavoro e l'impegno diventassero divertenti

e i pettegoli avessero l'artrite alla bocca
e i tuoi sguardi e la tua lingua mi carezzassero tutto
e anche le labbra tue
per farlo poi io pure al mio turno
e non ci fossero sotto il letto i fantasmi
per venire fuori a tirarci i piedi e farci paura
nella notte buia

e il pianeta e i mari e i viventi
vivessero un eden sereno
e che tutto o quasi fosse come lo vogliamo

sarebbe bello amore mio lo sai

e intanto bacio la tua immagine tenera
aspettando l'augurale giorno benedetto

e se non viene
facevamo finta che

e tu ridi ridi ridi
sul battello che ci porta all'Isola
con questo sole di autunno estivo
che lancia coriandoli allegri
per i nostri sguardi

sì dai vieni facciamo la merenda insieme
ho portato il coltellino e troveremo una panca
e tra un boccone e l'altro
mangiato
bacerò la tua anima nuda


sarebbe proprio bello
e sarà bello lo sai lo so
amore mio morbido


giovedì 18 ottobre 2018





sotto quel sole immenso dominante
definitivo e immenso
come la mia condizione ora qui
ci eravamo stati insieme in tanti
il ricordo non si spegne
e mi verrebbe quasi da ridere
a ricordarlo
se qui fosse concesso almeno un riso sfumato
che tanto almeno
il mio ricordo lui sì ride

con quel suo nome nero
il fiume immenso odorava d'acqua e di pesci
e le barche ci andavano
e le reti venivano gettate
e uomini alti e slanciati e neri
e anche il loro gesto era sonoro e nero

ora è nero il mio ricordo remoto
luminoso solo in quei gesti
e nel gruppo che eravamo noi
le donne gli anziani e i ragazzi
che stavamo discosti sotto l'ombra verde
dove il fuoco anneriva quei pesci grandi
sulla brace rossa e accesa

e la polpa morbida si lasciava addentare dalle labbra
spostando la buccia dura delle squame annerite
e allora si
mangiavamo ridendo
e le voci e i risi suonavano
tra i bocconi

ora il grande fratello niger
galleggia di fango di petrolio
e di pance di pesci all'aria esausti
come noi che qui
senza più fiato alcuno
balbettiamo il ricordo
dolce e amaro
insieme

sognavo allora
con gli occhi di dentro
ragazza
la stupenda civiltà da raggiungere da voi
che presto sareste venuti
a trivellare i fanghi neri
regalando pesci morti

ahi
la canzone del ricordo
la mesta malinconia
che mormoro
ormai senza fiato
qui


Martedì 12 MARZO-




Martedì 12 MARZO-
-Ma che occhiaie…! Hai fatto davvero bene a staccare oggi... Una pausa di evasione te la meriti… Un giorno di ferie... Ne hai talmente poche, che diventano ancora più preziose.
Ieri sera eri davvero cotta. Neppure tolto tutto il trucco…
Di là arriva odore di caffè. Magari una tazzina di corsa.
-Metto questo? Ma no, dai, meglio questa roba qui. Mi sembra che fosse piaciuta tanto. Abbastanza, almeno.
Prendo subito il controviale. Poi al primo semaforo a destra. A quest'ora il trambusto di auto che portano a scuola è appena terminato. Ma sì, prendila pure con calma. Non  c'è fretta. Allo stop vado avanti qualche centinaio di metri. Il parcheggio è sempre abbastanza libero. Di qua o di là un posto lo trovo.
-Io vado…! Buona giornata…
-Anche a te. Sì. Anche a te…
Devo tirare fuori dalla borsa di ieri tutte le cose più importanti. Portafogli. Le chiavi… Quelle dell'auto sono qui. Quelle di casa… Altrimenti come faccio a chiudere? E poi a rientrare, naturalmente…
Vai tranquilla. Calma. Oggi sei in ferie, no? Martedì 12 marzo. Il civico 67.
Intanto finisci di truccarti. Il doppio ascensore è comodo. Uno l'avranno appena chiamato al settimo piano. Ma questo qui è libero e sta arrivando.
Si accende subito.
È sempre un ascensore da corsa come lo chiamo io. E anche lui a volte. Solo oggi sembra attardarsi. Pigro. Lazzarone. Mascalzone. Provocatorio. Sembra volermi fare un dispetto. Ma alla fine non può che arrivare. E arriva. Infatti. Ci salgo.
E' meglio che finisci con un po' di fard qua e là.
Gli occhi meritano molta attenzione.
Le borse e il gonfiore le ho già nascoste abbastanza bene.
Ho tutto? Un'ultima occhiata veloce per la casa. Sembra tutto a posto.
Andiamo ragazza. Sì, siamo pronte. Ma non c'è fretta.
Anche se dentro c'è un battito accelerato, aritmico, che forse la pensa diversamente.
Clic. Il telecomando mormorando fa alzare la saracinesca. E sono in strada.
A ritirare il piumone ci posso benissimo passare domani.
Al citofono  potrò aspettare qualche secondo. Poi vedrò sul piccolo schermo azzurro comparire il sorriso. Solo un piccolo batticuore. Accelerato. Che riesco a smorzare. «Sto salendo…»
Ma andiamo piano. Una cosa alla volta. Ora penso a guidare.
Ma questo qui davanti ha deciso se andare a destra o a sinistra?
Stai tranquilla. La lancetta dei minuti sul cellulare, mi tranquillizza. Perché andare in ansia ogni volta? Non sono mai arrivata in ritardo. E anche adesso. Naturalmente. E poi…
I soliti gesti abituali. Che rimangono sospesi in stand-by. Tergiversano. Intrattengono. Predispongono. Introducono. E poi…
«Eccomi»
Rimetto le chiavi dell'auto nella borsa.
«Questo specchio immenso anche lui oleopneumatico, che mi rimanda un'immagine che assomiglia molto a me. Ma che non so riconoscere. Estranea. Famigliare anche.
Ma chi cazzo è questa qui? E dove sta andando? Anche lei?
Io e lei siamo me.
Lei vista dall'esterno, estranea. Sicura di sé. Nasconde bene il suo batticuore frenato. Io non ci riesco. Ma questo lo so solo io.»
«Eccoti. E allora buongiorno. Ben arrivata. Ben attesa.»
Oppure  anche qualche variante secondo il suo cliché abituale…
Ma l'ascensore è fermo al quarto. Ho già schiacciato più volte il pulsante. Ma rimane lì.
Qualcuno sale, oppure scende. Dai, muoversi… Salite. Scendete. Ma datevi una mossa.
Il led dice che ora è ripartito per il quinto piano.
Sembra che lo faccia apposta.
Appena si decide ad arrivare, voglio vedere la mia immagine nello specchio. Studiare il mio sguardo. Ripasso gli sguardi che mi riconosco. Niente di troppo sbilanciato. Meglio lasciare la sorpresa. Uno sguardo così. A mezz'aria. Che dice e non dice. Che c'è ma non si sbilancia. Aspetta di essere decifrato e indovinato fin in fondo.
Oppure è meglio uno sguardo aperto spalancato in un sorriso? Le labbra leggermente socchiuse in un saluto. La borsetta al braccio.
Poi, avvicinarsi alla porta. Interno 17. Lo spioncino immobile e muto. Mi starà guardando?
Come vengo vista? Come prima nella fotografia mia nello specchio?
Quella che mi ero immaginata e prefigurata? Oppure quella che avevo vista per davvero mentre salivo?
Ho preso un giorno di ferie. Tutto normale. Mi gusto il mio aperitivo di esistenza. Dove  so io. Me lo merito. Lo voglio.
Ma lo voglio proprio davvero? Non sto facendo una cavolata come altre volte?
A quest'ora potevo già essere là. Dopo i "ciao-ciao" delle solite figure che vedo tutti i giorni al lavoro. Già seduta al tavolo. A tirarmi davanti agli occhi quel l'ultima cosa, in quelle carte che avevo lasciato in sospeso ieri.
E invece sono qui. Mi sento sospesa. Pronta per quel che ricordo e che aspetto. Abituale e inusitato. Desiderato e insieme temuto. Meglio ripensarci? Prima che sia troppo tardi?
Ma che cazzo vai pensando. L'hai progettato. Voluto. Previsto. Eccoti.
Il semaforo finalmente si è deciso. Giro di qua. Là in fondo c'è un posto. Niente zona disco. Niente ticket. Lo sapevo già. Me lo ricordavo, infatti.
Ci infilo l'auto. Il dlin-dlin dei sensori mentre parcheggio. Spengo il quadro. Tolgo le chiavi. La portiera si chiude sbattendo col solito rumore. Ammortizzato.
Guardo il condominio. Un aspetto abbastanza abituale. Noto. E insieme completamente estraneo e straniero.
Il civico 67 è lì pronto ad aspettarmi. Ad aspettare proprio me.
"Buongiorno signor civico 67. Sono arrivata. Come vede."
Mentre cammino mi sento abbastanza, forse un po' troppo, sollevata in alto sui miei tacchi a pianta larga. Ondeggio. Mi sento flessuosa. Attraente. E insieme imbarazzata e troppo vistosa. Rallento l'onda del mio corpo, che sta navigando nello spazio e nel tempo.
Trovo subito in basso, il terz'ultimo sinistra, quel pulsante.
Con quel nome.
Che so io.
Il cancelletto d'ingresso è già socchiuso e accostato.
Faccio una mezza sorpresa. Mi infilo dentro nell'androne. Un altro ascensore. Esattamente identico a quello che avevo pensato mentre guidavo arrivando qui.
Mi viene incontro. Seleziono il piano.
Sale morbido, più delicato e calmo di quanto sia il mio fiato e il mio battito cardiaco.
Più rallentato di come nelle era immaginato poco fa.
La porta, quella in fondo al corridoio buio. Non accendo la luce a tempo. Preferisco arrivare nel buio della penombra.
Una forma di pudore. Di riserbo. Di mistero. Di clandestinità.
La minuscola targa luminosa dice quel nome. Aspetto alcuni secondi. Poi la premo.
Leggero ronzio interno. Ovattato.
Il tempo e il battito rimangono sospesi qualche istante.
Che si prolunga. Ancora. E ancora e ancora e ancora…
Come mai?
Una telefonata imprevista?
Ho lasciato passare abbastanza tempo. Saranno già alcuni minuti. E non succede niente. Premo di nuovo il pulsante. Di nuovo il ronzio ovattato all'interno. Sornione. Apparentemente estraneo.
Il cuore accelera.
Ma che cazzo succede?
Estraggo dalla borsetta il cellulare. Quello col quale ci scambiamo i messaggi in chat. Da cancellare subito. Non si sa mai…
Lo schermo si illumina subito. La simulazione di orologio con la lancetta che gira a piccoli scatti rallentati. "Martedì 10 marzo…"
«Ma, CAZZO CAZZO CAZZO CAZZO! Che oca! Erano giorni che me lo rimuginava in testa. E continuavo a ripetermi MARTEDÌ 12 MARZO… Un atto mancato? La frenesia mentale di avvicinare il tempo di questo momento? E ho finito per arrivare due giorni prima. E ho anche chiesto un giorno di ferie!»
La porta naturalmente non si apre. Certo, il giorno è sbagliato.
I tacchi alti e massicci ora risuonano sull’ impiantito. Clamorosamente. Addirittura assordanti. Quasi a sfottere. Cerco di muovere i passi in modo più prudente. Ma quelli continuano a risuonare nell'aria con scherno. Per il mio scorno.
Il cuore ha cambiato ritmo. Ora batte sordo, basso, incazzato.
Ritorno all'auto, che è ancora là che mi aspetta. Mi ci infilo. Delusa. Devo avvisare al lavoro.
«Sì, ciao, sono io… Avevo chiesto ferie per oggi vero? Come? Non per oggi? Per dopodomani? Per giovedì 12 marzo… Ah già, è vero... Arrivò subito… Recupero la mezz'ora oggi pomeriggio quando esco»
Devo cercare di rimediare. Voglio farmi un regalino consolatorio. Un ripiego. Un cerotto.
Comincio con un messaggio whatsapp.
«Ciao. Oggi non avevo voglia di fare le solite cose. Che ne dici se nel tardo pomeriggio ci si vede? Mi sono regalata un giorno di ferie. Sbrigo cose ma sono libera se ti va per cena e anche dopo… Se non ti scoccia e se non ti disturba la improvvisata… Ti piace questa sorpresa? Ahahah … Se mi dai l'ok ti chiamo subito…»
Mi sento una stronza.
Mi ero già prefigurata tutto quanto. Particolari compresi. Odori. Suoni. Atmosfere.
E ora vado a ripescare un incontro di riserva. Chissà quante volte anche gli altri lo avranno fatto con me. Farmi credere che mi stavano regalando una sorpresa. Quando magari qualche progetto gli era andato buco. Quel che conta è il risultato. Che ancora deve arrivare. Almeno questo di ripiego sì… Cazzo cazzo cazzo…
Non mi capitava da tempo di fare una cappella così grande. Con me stessa.
Ma ora: cosa fatta capo ha.
Blip. Sta arrivando un messaggio whatsapp. Lo lascio fermentare un secondo.
Infine mi decido. E lo apro.  Ottimo.
Compongo il numero di telefono…

Al civico 67 lo spioncino ora è stato abbassato.
Qualche istante di imbarazzo. Sorpresa. Self-control. Poi i passi coi tacchi rumorosi risuonano nel corridoio verso l'ascensore. Scampato pericolo.
«Ma cosa le è successo? Una sorpresa? Un equivoco? Un sospetto? Mi stava venendo a controllare? Ma no, dai, non diciamo cazzate… Mi discosto dalla porta. Perché di là sento quella voce che ancora ripete: "ma allora…? Me la vuoi portare quest'acqua tonica? Sei andato giù al bar a ordinarla? Oppure per aver a più fresca sei andato a prenderne una in Norvegia?ahahahah… "
L'avevo già appoggiata sul piano cucina, nel bicchiere imperlato…»
-Ecco qui una bella acqua tonica fresca, con una fettina di limone… Pronti…!
Appena arrivata dalla Norway Airlines… Più fresca di così…!-
«Ma no. Macchè sospetto. Macchè controllo. Anche lei è come me. Mica siamo gelosi. E le cose vanno avanti così. Lei di là nella sua vita. Io di qua nella mia. Ci regaliamo qualche 12 marzo. Ce lo pregustiamo. E magari prima o poi arriva davvero. Il 12 marzo. Il 4 settembre. L'8 agosto…
I giorni arrivano; prima o poi. Come arrivano le stagioni. Come arriva il bel tempo e la pioggia. Come arriva l'influenza. Come arriva il sole al mattino.
Finché l'orologio del tempo non si inceppa. Finché i giorni non inciampano nei macigni sulla strada.
Reggo in mano il bicchiere che si sta ricoprendo di goccioline e di vapore. E mi sta congelando le dita. Un'acqua tonica ha sempre un'acqua tonica, no?»
Però, confesso che non riesco a capire. Gelosa, lei, proprio no. Non avrebbe senso. Non solo perché me l'ha sempre affermato e sostenuto. Ma più che altro dimostrato. Io sono di qua. Lei e al di là.
Ciascuna delle due vite con il proprio habitat. Il proprio humus esistenziale. Col proprio passato. I propri ricordi. Le proprie infanzie. I propri gesti abituali. La propria intimità, intima solo per ciascuno di noi. Assoluta estraneità per gli altri. Per chiunque altro.
Bellezza e fascino della reciproca diversità. Un fascino attraente, accattivante e insieme spaventosamente terrificante.
Lei è se stessa. Si avvicina a me quel tanto per poterla scrutare. Curiosare le l'aspetto esteriore. Frugarle per quanto è possibile nell'anima. Ma nulla più.
E io? Come sono io per lei? Estraneo, sconosciuto, attraente, oppure anch'io spaventosamente terrificante nella mia diversità da lei?
L'acqua tonica, di una marca diversa dal solito, è anche lei molto estranea.
Come chi la beve. Come chi la trova ora un po' troppo frizzante. Aspra. Amara sul fondo.
Con quel vago sapore di aromi sconosciuti. Inconoscibili.
Forse perché provengono dalla terra di Norvegia… Ahahahahahah…
Ma cosa era venuta a fare?
Un po' come un treno che si avvicina ad una stazione per la coincidenza.
Là proprio dove la coincidenza in quel momento non c'è e non ci sarà.
Spostata e differita su un'altra sintonia.
Incroci di attimi, di tempi, di momenti, di contatti, di ipotesi mentali.
Incroci disattesi.
Impossibilità probabile di incontri completi totali definitivi.
Occasionali sfiorarsi. Previsti. Programmati. Differiti. Procrastinati.
Improbabili o forse impossibili.
Io e te, io e chiunque, tue chiunque, sempre e per sempre mondi separati in galassie lontanissime.
Tranne che nel sogno e nel desiderio. In certi momenti magici. Molto magici. Forse fin troppo magici e fatati. Ma anche la magia e la fiaba sono reali.
E forse sono reali anche i contatti.
Forse almeno qualche volta avvengono davvero. Forse qualche volta si dilatano all'infinito.
Forse. Però sarebbe bello.

mercoledì 10 ottobre 2018

sotto quel sole immenso dominante
definitivo e immenso
come la mia condizione ora qui
ci eravamo stati insieme in tanti
il ricordo non si spegne
e mi verrebbe quasi da ridere
a ricordarlo
se qui fosse concesso almeno un riso sfumato
che tanto almeno
il mio ricordo lui sì ride

con quel suo nome nero
il fiume immenso odorava d'acqua e di pesci
e le barche ci andavano
e le reti venivano gettate
e uomini alti e slanciati e neri
e anche il loro gesto era sonoro e nero

ora è nero il mio ricordo remoto
luminoso solo in quei gesti
e nel gruppo che eravamo noi
le donne gli anziani e i ragazzi
che stavamo discosti sotto l'ombra verde
dove il fuoco anneriva quei pesci grandi
sulla brace rossa e accesa

e la polpa morbida si lasciava addentare dalle labbra
spostando la buccia dura delle squame annerite
e allora si
mangiavamo ridendo
e le voci e i risi suonavano
tra i bocconi

ora il grande fratello niger
galleggia di fango di petrolio
e di pance di pesci all'aria esausti
come noi che qui
senza più fiato alcuno
balbettiamo il ricordo
dolce e amaro
insieme

sognavo allora
con gli occhi di dentro
ragazza
la stupenda civiltà da raggiungere da voi
che presto sareste venuti
a trivellare i fanghi neri
regalando pesci morti

ahi
la canzone del ricordo
la mesta malinconia
che mormoro
ormai senza fiato
qui