TUFFATORE
"… Leggiamo ora a pagina quattro del
messaggero una notizia che pare interessante…"
Il volume è talmente basso, lì in cucina, che lei,
arrivando dalla camera, sentiva solo un indistinto brusio.
È infagottata nella grossa felpa bordò che usa come
giacca da camera. Ha già messo gli occhiali. È stata attirata dall'odore di
caffè…
«Vedo che la
macchina è ancora accesa. Vuoto il filtro e me ne preparo uno anche per me.…»
Dà un'occhiata al tavolo. Alla tazzina vuota
davanti a lui. Al suo sguardo che vaga intorno. Un involto di carta d'alluminio
semiaperto. La sua toma prediletta. Prende dallo sportello a vetri un piattino.
Ci deposita sopra l'involucro col formaggio. Lui la lascia fare.
Con il bordo della mano raccoglie dalla incerata
della tovaglia le briciole di pane. Prima che cadano per terra.
Dopo avere vuotato i fondi del caffè nel biologico,
lo sciacqua velocemente sotto il getto del lavello. Riempie di polvere bruna e
poi pigia con il fondo piatto circolare.
Avvita la manopola con pressione. Il caffè
gorgogliando piano comincia a scendere con la sua schiuma bionda.
Ogni volta che si accinge a queste operazioni, le
viene in mente di quando l'aveva visto fare molti anni prima. Al bar della
stazione.
Arrivava prestissimo col treno. O prendeva il 5 40.
O quando poteva cominciare un po' più tardi il 6:23. Troppo presto comunque. Il
viaggio sulla littorina non terminava mai. Con continue soste sul percorso.
Qualcuno scendeva. Qualcuno saliva. Negli stessi giorni le stesse facce. E
quasi sempre anche gli stessi discorsi. Chi parlava dei figli e delle figlie.
"E lui allora mi ha detto… Ma io gli ho detto così… Ma no che non lo vuoi
capire… Si sa come sono fatti i ragazzi del giorno d'oggi…"
Uno sguardo intenzionale di tacito saluto. Ognuno
andava per la sua strada. Dopo essere venuto ciascuno dalla propria.
Infine la stazione d'arrivo. Il solito cigolio
delle ruote per i freni. Le portiere si aprivano. E si riusciva a respirare
l'aria pulita. Dopo essersi lasciata intossicare dal fumo delle sigarette
puzzolenti di bassa qualità.
"Buongiorno Professoressa… Scommetto che vuole
il solito caffè… Com'è il tempo giù da voi? Anche stamattina nebbia? Qui da
noi, lo vede bene, c'abbiamo sempre il sole…"
Toglieva con forza la manopola della macchina
espresso e la sbatteva rovesciata in giù su una cassetta che raccoglieva tutti
i fondi.
L'odore della sigarettacce era svanito. L'aria era
fresca e pungente. Ma nascondeva un altro odore molto più sottile e difficile
da distinguere e percepire.
Nel tratto di 10 minuti a piedi per arrivare alla
scuola passava davanti agli immensi fabbricati, ai capannoni della fabbrica. La strada e ogni cosa erano coperti da una
leggera polvere rosata. dicevano che avevano smesso la produzione del DDT,
trasferendola in Cina. Il delegato di
fabbrica, con la sua parlata dialettale balbettante, se l'era respirata per
anni quella polvere. Tossiva molto. Ma non solo per le sigarette che fumava, se ne era riempiti polmoni. Di quella polvere rosa. I polmoni ormai erano
andati. Fin quando gli era venuto anche il cancro alla prostata.
Aveva già messo il miele e lo stava mescolando
nella tazzina. La lettura dei quotidiani, a "prima pagina",
continuava.
"Sta ancora dormendo lui?" Un cenno del
capo diceva di sì.
"C'è che torna sempre tardissimo di notte.
Meno male che in genere non fa casino. Ma dove cazzo va fino a tardi? E a fare
che cosa…?"
Al bar a bersi una birra. Lo sapevano benissimo.
Dopo quella giornata squallida che aveva trascorso in giro col motorino e il
giubbotto antipioggia. A portare le pizze e le scatole con i cibi pronti.
Davanti a una birra. Ogni tanto si arrotolava una sigaretta con la cartina. Poi
a turno uscivano a fumarla sul marciapiede. Era l'unico sfogo che si prendeva.
Con la banda dei suoi amici e compagni di chiacchiere. Parlavano di tutto.
Qualche volta lui si permetteva di accennare al suo sogno e al suo gioco
proibito. Delle prove che aveva fatto con il gruppo di teatro. Ma tagliava
corto perché non lo stavano ad ascoltare. Ognuno aveva da raccontare le sue
storie. E soprattutto dopo la seconda birra il clima diventava più acceso. I
discorsi andavano avanti a ruota libera. A chi gliene poteva fregare della
messinscena che stavano preparando lavorando come bestie nel magazzino della
parrocchia che gli davano in prestito per pochi soldi? Ci faceva freddo. Ma lì
era tutta un'altra cosa.
"Lo sai che lui c'ha quella passione lì per il
teatro... Già si passa tutta la giornata in giro col motorino a prendere
freddo. A portare le scatole delle pizze e degli altri cibi. Poi passa delle
ore col gruppo del teatro. Lo sfogo di andare a farsi la birra la sera non si
può proprio dire che non se lo meriti. Riesce anche a ritagliarsi del tempo per
starsene in camera sua, tutto aggobbito e incurvato sui libri per prepararsi
alla specializzazione. Con questa laurea che ha voluto a tutti costi prendersi
e che non gli è servita ancora per trovarsi un lavoro adeguato.
E poi di soldi a noi non ce ne chiede quasi mai…
Vuole bastare a se stesso con quella miseria che gli danno sfruttandolo…
L'altro giorno quasi si vergognava a dirmi che aveva bisogno di un po' di
soldini per pagare la tassa universitaria. Diceva che lo umiliava farlo.…"
Lui assentiva. Avevano un figlio meraviglioso.
Idealista. Aveva scelto un corso di studi inadatto. Almeno in quel momento lì.
Domenica era andato nella Val di Susa. Gli avevano risparmiato le
raccomandazioni di essere prudente.
Chissà che poi, magari forse, terminata la
specializzazione, con voti altissimi come riusciva a fare sempre, l'avrebbero
chiamato al posto giusto. Se lo meritava. E non era tanto per lo stipendio che
avrebbe avuto. Certo più remunerativo del loro. Per la soddisfazione che ne
avrebbe ottenuto.
"La lettura delle prime pagine dei giornali è
terminata. Qualche minuto di pubblicità. Poi gli ascoltatori possono
intervenire telefonando al numero 3355634296. Oppure mandare messaggi in SMS o
anche whatsapp. Scritti o vocali…"
La porta della cucina si aprì. Sbadigliando il loro
figlio primogenito e unico fece il suo ingresso.
Non sentiva il freddo: aveva indosso una maglietta a
mezze maniche e gli slip.
Stropicciandosi gli occhi si sedette sul lato
libero del tavolo.
Il padre riuscì a precedere la moglie con un
anticipo, e si avvicinò alla macchina del caffè.
Lei ci restava ogni volta un po' male. Ma era anche
contenta che il suo uomo si prendesse cura del loro bambino.
A lui piaceva bere il caffè senza zucchero.
Ristretto. Lo sorseggiò lentamente.
Poi il ritmo abituale della giornata andò avanti
per conto suo.
"Cerca di non bagnare tutto in giro… E di
lasciare la doccia un po' pulita… Noi andiamo a fare la spesa…" Un
grugnito sfumato di assenso.
Lui, si svegliava e si alzava sempre molto presto.
Ormai c'aveva fatto l'abitudine. Mentre ancora la moglie e il figlio stavano
dormendo. E gli ronzavano dentro in testa pensieri, parole, discorsi… Li
metteva riposare soltanto per ascoltare la radio alle 7:15.
Quei primi lavori avventizi che aveva fatto tanti
anni prima. Per fortuna che gli avevano versato e messo in regola tutti i
contributi. Non portava in giro le pizze al suo lavoro non era molto più
gratificante o di alto livello. Per circa un anno, sottopagato, naturalmente,
era stato alla ragioneria di Stato. Accanto all'intendenza di finanza. Un
lavoretto precario per mettere al posto delle vecchie pratiche. Una routine
noiosa e monotona.
Poi si era trovato quella sistemazione. Che non era
assolutamente quella che avrebbe desiderato sognato. Ma si era accontentato lo
stesso. Infine il salto di qualità. Quel vecchio compagno di liceo che aveva
incontrato all'Isola del Giglio. I suoi avevano abbastanza disponibilità
economiche. Ed erano riusciti a metter su quella piccola azienda. Indagini di
mercato rispetto al territorio, per il fabbisogno di manodopera qualificata o
meno. Interviste, colloqui, bozze di progetti. Infine il progetto vero e
proprio.
Appena arrivavano le risposte alle indagini per
ricerca di personale, cominciava la serie più interessante. Un mondo strano,
eterogeneo, variegato. Ragazzi e ragazze ancora abbastanza giovani. Che non
avevano mai svolto nessuna attività lavorativa. Erano i più ingenui e naif.
Abbastanza sprovveduti. Alcuni e alcune reticenti. Imbarazzati. Altri più
spigliati con una bella parlantina. Che magari nascondeva aria fritta. In quei
colloqui si trattava di riuscire, attraverso un percorso che lui si era
studiato e progettato su misura, di far emergere eventuali qualità,
predisposizione, talenti nei vari campi per i quali era stata commissionata la
ricerca.
C'erano anche uomini e donne non più giovani.
Avevano perso il lavoro per motivi vari. Erano forse i più difficili da
sistemare e da piazzare. Condizionati dalla precedente esperienza lavorativa,
spesso si aspettavano di trovare qualcosa di analogo. Con poca predisposizione
e elasticità mentale per adattarsi alla eventuale offerta che lui avrebbe
presentato loro.
Era stato un colpo di fortuna l'agenzia per il
lavoro nella quale presto era diventato anche socio. Non gli aveva mai dato
problemi. E poi lo arricchiva molto muoversi, spostarsi sul territorio,
trattare con persone… E soprattutto i colloqui con gli aspiranti.
Comunque anche a quei tempi, i suoi, non era così
facile trovare un'occupazione presto.
Ora però…!
Sua moglie si era preparata. Ed era già scesa a
tirar fuori l'auto dal box. E si mossero per il supermercato galattico nel
quale avrebbero rischiato come sempre di perdersi…
E anche
quella faccenda li, delle maschere o no, andava meditata e risolta. Forse in
qualche scena sarebbero state funzionali… Ma quelle maschere bianche.
Cartapesta. Per dare quel senso di vuoto, di estraneità e insieme di stupore…
Sì, certo, alternare sequenze frammenti di recitazione a viso scoperto, ad
altre più brevi, concentrate, secche e asciutte, con le maschere bianche…
Magari mute… Sì certo ... maschere mute e bianche…
A memorizzare il testo delle battute non ci voleva
troppo… Già, l'aveva scritto quasi tutto lui da solo. Naturale che se lo
ricordasse perfettamente a memoria…
"… Ma perché vanno così piano qui? Poi se mi
infilo tra le altre macchine c'è qualcuno che mi guarda in cagnesco… Ma il
motorino è fatto apposta. Specie per questo lavoro di merda. Con dietro il
bauletto scatolone pieno di puttanate… Settimana scorsa, quando stavamo andando
via stavano menandola con la solfa che non avevano preparato le buste paga… Col
cavolo… Alla fine poi hanno cambiato idea. Pagati male. Poco. Ma in ritardo
proprio no, cazzo!
E poi, con le mani impegnate sul manubrio non
riesco neanche a vedere bene il percorso. Devo studiarmelo prima su Google map
nel telefonino.
I miei vecchi lo dicevano. Che avevo fatto una
scelta del cavolo per l'università. Ma comunque ho la testa dura. E hanno
dovuto riconoscerlo. Mi è sempre piaciuto vederli contenti. E guardarmi tutti e
due con quegli occhi pieni d'ammirazione e di stima. Lui, lo fa solo con lo
sguardo che fa finta di guardare in giro. Però lo so che intanto è contento di
suo figlio. A lei, glielo si vede da lontano un chilometro.
E quando in casa si sente girare odore di cibi, e
l'uno o l'altro si affacciano un secondo con la scusa di salutarmi. Senza
parlare. E se ne vanno zitti zitti come sono venuti. Dopo aver messo secondo la
mano sulla testa…
Ecco! Dev'essere qui. Aspetta che leggo il nome che
mi sono scritto. Quinto piano. Dai muovetevi che c'ho altre consegne da fare…
Andiamo gente… Diamoci una mossa...
«Senti, allora io vado al bancone degli affettati.
Poi compro un po' di pesce. Se non c'è troppa fila però. Tu ti sei scritto sul
telefonino le altre cose da comprare. Ci vediamo magari alla cassa. Fra un
po'…»
Ora sono in coda con i loro due carrelli.
Lei guarda nel carrello di lui. Che la lascia fare.
Poi attacca: «… Che non c'entra proprio niente… Cioè… Quella cosa lì della
facoltà che ha scelto… Io che mi ero laureato in lettere e filosofia… E poi ho
trovato da inventarmi competenze nuove che neppure immaginava di avere. Anche
lui, vedrai, con le capacità che ha in testa, riuscirà a ristrutturare il
campo. A riorganizzarsi e inventarsi la vita e il futuro. C'è un sacco di
personaggi noti che dopo avere studiato una vita medicina o giurisprudenza,
sono riusciti ad affermarsi nel campo musicale, artistico, o comunque a trovare
qualcosa che gli piacesse e li rende se soddisfatti…»
Mentre la cassiera passa con lo scanner i loro
acquisti, con il piccolo squillo della rilevazione del prezzo, ha ascoltato i
loro discorsi…
Guarda i due con uno sguardo dolce di comprensione.
«… Se posso permettermi, la stessa cosa è stata
così per mia figlia… Laurea in economia e commercio. Ora guadagna bene come
capo magazziniere all'Ikea.»
Si guardano reciprocamente con comprensione
solidale.
Appena entrato dalla porta a vetri: «Uehila, eccolo
che arriva l'ingegnere galattico…
È arrivato. Te l'avevamo detto di tenere in fresco
un'altra birretta. Che se la ciuccia lui
subito.
Nei porti un'altra anche a me per favore?»
Gli hanno chiesto come va il suo teatrino… Un poco
l'aria da sfottere. Lui ha accennato a qualcosa. Poi vede che chi gli ha fatto
la domanda ha riattaccato col discorso che faceva prima. Si vede che non gliene
frega niente. "Già. Mica siamo a un cenacolo culturale. Qui. Stiamo un po'
ad ascoltare le loro cazzate. Tanto anch'io ne ho delle altre da raccontar
loro.
La birra, col suo frizzante amaro che prende al
palato e alla gola, un po' alla volta va giù lentamente.
Basta poco e si ritrova a essere davvero come
sempre uno di loro.
Ha tirato fuori la bustina del tabacco Drum, e
comincia a girarsi una sigaretta con la cartina.
Due o tre sono già usciti sul marciapiede a fumarsi
la loro.
Non pensa già più a quel libro che prima di dormire
vuole terminare di studiare. E neppure alle facce dei clienti. Alle loro arie
fin troppo gentili. O a volte anche incazzate perché dicono che ha portato
troppo tardi la cena.
Di fatto non pensa neanche ai suoi due vecchi
pensionati. Anche se li sente vicini con la loro aria un po' brontolona ma
piena d'affetto.
Guarda ogni tanto la porta d'ingresso. I fumatori
sono già rientrati. Ma fra poco, lui ha appena guardato l'ora sul cellulare,
dovrebbe arrivare la sua lei.
Chiacchierando aspetta.
La porta a
vetri si è aperta. Se n'è accorto praticamente solo lui. Anche per la ventata
di aria fredda che è entrata.
Aveva lo sguardo che continuava a vagare. È
Controllando l'orologio del telefonino.
Gli occhi di lei avevano fatto una panoramica nel
locale bar. Rintracciando subito il suo tavolo e il suo profilo.
Poi si erano rintracciate le loro presenze. I loro
fiati, quando lei si era abbassata a baciargli le labbra. Senza dire ancora una
parola nessuno dei due.
Aveva tirato una sedia libera presa da un tavolo
vicino. Accanto alla sua. Sussurri a mezza voce. Gli altri non c'entravano
quasi con loro.
Loro due erano il loro mondo.
Solo noi due siamo noi.
«Ma no. Non mi sono stancata troppo. Come al
solito. Però riescoa non stancarmi di testa. Riesco a pensare a quel che voglio
e intanto vado avanti col lavoro da sbrigare.
E tu, Ciccio? Hai preso tanto freddo oggi col tuo
motorino e il tuo giubbotto giallo? Hai portato in giro i risotti e le
melanzane? Ahahahah. Anche oggi hai avuto dei rompicoglioni che si lamentavano
con te per il ritardo?
Quand'è che ci vai la prossima volta a fare teatro?
Domani? Dopo, quando siamo soli, mi racconti come va avanti.
Vedo già che solo ad accennare al teatro ti si
accendono gli occhi di entusiasmo.
Ma davvero davvero non vuoi proprio che una volta
io venga a vederti? Magari quando avete messo a punto qualche pezzetto completo
e fatte delle prove? Dài! Va bene se ti imbarazza lascio perdere. Tanto quando
tu me lo racconti già ti vedo in mezzo agli altri. In quello spazio immenso con
quelle luci al neon azzurrine e tristi. E tutti voi siete entusiasti. Ti vedo,
vi vedo, tanto prima o poi sarete pronti. E allora…
Ah, senti, ti va se stasera mi fermo a dormire da
te, Ciccio?»
Lui le accarezza la guancia. Le infila le dita tra
i capelli. Poi, anche se ci sono gli altri con le loro birre e con le loro
cazzate da dire, se la tira vicino e le dà un bacio morbido. A pelo di labbra.
Sfiorato ma intenso.
Lei e la sua donna!
Si dimentica anche di andar fuori a fumare il
sigarettino che si è arrotolato. Ogni tanto dice una battuta agli altri. Non può
neanche tenerle la mano, che poi quelli fanno le battute stronze. Sugli
innamoratini. Si vede che loro o non ce l'hanno una donna, oppure ci stanno
insieme solo per limonare e scopare.
Però sono i suoi amici. Dire conoscenti intimi, è
troppo poco? Boh! Sono quelli coi quali va a far banda bevendo la birra. Per
scaricarsi della giornata di merda. Per sentire il calore umano delle loro
presenze. Per sentire la loro vicinanza e la loro estraneità.
Lui è già salito sul terrazzo in mansarda a pozzo.
Ha portato giù un po' d'insalata. Che cresce bene anche così nei cassonetti.
Anche il sedano. E qualche foglia di basilico che comincia seccare o gelare.
Ha sistemato tutto fuori della lavastoviglie, sopra
il tavolo. Ora ripone tutto con cura.
Fra poco lo vedrà salire dalla cantina box, con la
cassetta piena di legna per il camino. È buono l'odore del fumo di legna.
C'è solo l'assillo, rituale, ricorrente monotono:
che cosa facciamo di cena?
Magari come altre volte ci pensa lui. In quattro e
quattr'otto combina tra loro un po' di quello che trova nel frigo. Ci aggiunge
qualcosa portata dalla spesa.
Prima però preferisce lasciarli accendere il
camino. È un altro gioco che gli piace fare.
Poi si laverà le mani. Entrerà in cucina. Si
guarderà intorno pensieroso. Metterà le mani nel frigorifero.
Ecco, dice tra sé, qui ci metto un pochino di
questi legnetti e rametti per preparare il fuoco alla brace. Questi pezzi
grossi e questi tronchetti glieli appoggio sopra dopo quando c'è già una bella
fiamma. Così prendono bene. Tanto è ancora un po' presto prima che torni il mio
ingegnere di teatro.
Con quel lavoro di merda che fa!
Porta su tutto. Dispone la legna sopra gli alari.
Aspetta ancora ad accendere la fiamma. Non sente odori di cibi cucinati. Magari
ci penserà lui questa sera.
Gliel'ho già raccontato tante volte, dice lei tra
sé. Di quando avevano fatto per la prima volta il congresso per costituire il
sindacato scuola. Già.
"
CARI COMPAGNI SARÒ BREVE… MA MICA TANTO! PERCHÉ IL MOMENTO L’È DIFFICILE
….
Ma sì , sarà stato più o meno intorno al 68.
Avevo appena smesso di fare l'insegnante iperprecaria
senza laurea su per le valli.
E aveva avuto il primo incarico. Una supplenza
annuale. Solo più tardi dopo l'abilitazione sarei riuscita ad entrare di ruolo.
Il
sindacato, a cui andavano le mie simpatie, aveva subito, dopo la
liberazione, prima la scissione con la fuoruscita della componente cattolica e
poi quella socialdemocratica che aveva partorito la Uil.
Ma tra i vari comparti sindacali non era ancora
sorto quello della scuola. Esistevano alcuni sindacati scuola autonomi, Tra i compagni circolava la
parola d'ordine di iscriversi al sindacato confederale. Che però per potersi
costituire legittimamente avrebbe dovuto avere una fase congressuale
costitutiva.
Ragion per cui, tra le poche decine di scritti che
eravamo allora, fu scelto qualcuno per andare al seminario congressuale di
Ariccia. Benché fossi abbastanza imbranata allora, non osai rifiutare e ci
andai e io!
Ricordo ancora l'atmosfera della prima riunione
congressuale.
La camera del lavoro aveva designato uno dei nostri
iscritti come segretario provvisorio. Ma per il congresso era necessario che
presiedesse qualche personaggio più significativo.
Ci
ritrovammo in quelle poche decine, in una saletta. E arrivò il compagno
designato a presiedere.
Era una persona abbastanza corpulenta. Abbastanza
avanti negli anni. Con una faccia tonda profondamente buona. E se non ricordo male era il segretario del
sindacato netturbini. Sono forse un po' stronzo ora a ricordare qualche
caratteristica un po' buffa della situazione. Ci saremmo aspettati e io pure un
personaggio più importante. Ma dovemmo accontentarci.
Entrò. Prese posto al tavolo. Noi sulle nostre
seggiole facevano cerchio di fronte a lui.
Posò sul tavolo che aveva davanti un pacchetto
abbastanza consistente di fogli di carta velina battuti a macchina. I suoi
appunti. Con alcuni dei miei vicini, ironicamente, ci guardammo un po'
preoccupati per la mole di fogli.
Non era ancora naturalmente diffusa la modalità di
riprodurre in fotocopie. Ci fece abbastanza tenerezza vedere quei fogli leggeri
di carta velina battuti a macchina.
Mentre
disponeva in ordine i suoi fogli, che aveva estratti con cura da una
cartellina, si diffuse un profondo silenzio pieno d'attesa…
Poi cominciò.
"Cari compagni…", una breve pausa,
"sarò breve…" nuova pausa e nostra attesa…, "Ma mica tanto…
Perché il momento l’è difficile"…
Intuivamo da quel momento che sarebbe cominciata
una carrellata della situazione politica oltre che sindacale di quegli anni.
Non sto ora a ricordare o a ripetere il suo discorso… Anche perché a dir la
verità non me lo ricordo più… Mi soffermavo invece insieme alla mio vicina e
amica, a guardare i particolari, gli spunti, gli atteggiamenti.
In effetti la mole dei fogli che aveva davanti
conteneva un discorso lunghissimo. E la cosa ci preoccupava non poco.
Ma per fortuna ad un certo punto, il compagno
presidente del congresso costitutivo, prese con decisione con le sue mani
robuste un blocco consistente di foglietti, li sollevò, e li girò con cura
mettendoli accanto agli altri di cui aveva già dato lettura. Aggiungendo:
"no… Queste no… Ma andiamo avanti…"
Mi rendo conto che ti sto raccontando aspetti
epidermici. Di facciata. D'ambiente. Di atmosfera.
Dietro quella situazione ci stava il nostro impegno
politico. Il nostro desiderio di far nascere e di dar forza al sindacato scuola
confederale nel quale poi per molti anni avremmo militato.
La situazione era molto impegnativa è molto seria.
Sarebbero iniziate fasi laboriose, faticose molto impegnative che avrebbero
dato i frutti al nostro lavoro.
Eppure, devo confessarlo, forse per frenare e
smorzare l'emozione della serietà del momento, sono riuscita a fissare nella
memoria questi aspetti di colore. Che a volte, con grande nostalgia e
tenerezza, non priva di ironia, ho già raccontato tante volte.
Non potei rifiutare neanche poi l'incarico di far
parte del direttivo sindacale. E neppure delle frequenti riunioni organizzative
e di dibattito.
In quegli anni insieme a molti compagni del
sindacato, ma anche con altri che non erano iscritti con noi, avevo dato vita
al gruppo del movimento di cooperazione educativa. Nel quale mi sarei impegnato
a fondo per qualche decennio.
Non era raro che qualche volta le tematiche di
elaborazione pedagogico didattica prendessero il sopravvento. Creando delle
leggere discrasie perché io ero portata abbastanza a privilegiare quelle della
pratica educativa e di insegnamento, sugli aspetti contrattuali. Ne venni fuori
abbastanza bene comunque. Tanto che, mi rimane un ricordo affettuoso di quel
maturo e massiccio omone del compagno presidente, che ci aveva rassicurato
subito con le sue parole sicure: "cari compagni… sarò breve… ma mica
tanto… perché il momento l'è difficile…!"
Tutti sappiamo che quel momento era molto
difficile. Soprattutto nel mondo sindacale. Nel mondo politico della sinistra.
Il settore
sindacale più forte e più maturo, quello dei metalmeccanici, sarebbe riuscito
solo al proprio interno a ricreare l'unità sindacale dando luogo al F.L.M.,
federazione lavoratori metalmeccanici. Col sindacato scuola rimanemmo uno
sparuto gruppo per un po' di tempo. A contendere il prestigio della massa di
iscritti che il sindacato cattolico aveva per conto suo. Insieme alla sua
competenza innegabile per la consulenza.
Il sindacato
confederale ha purtroppo in tempi recenti raggiunto momenti di difficoltà. Sono
risorti sindacati autonomi da esso. E alcune categorie avrebbero raggiunto di
nuovo la situazione esangue di anni passati.
Come spesso
faccio, riandavo a dei tempi passati, delle atmosfere, a delle situazioni
profondamente umane che ora sono scomparse."
Nella casa stava spandendosi l'odore buono della
legna bruciata. Di lì a poco lui entrò.
Lei fece finta di non accorgersi. Ma aspettava e
intuiva, prevedendole, le sue mosse.
Mise cipolle e aglio sul piano cucina. Insieme a
qualcos'altro.
Senza commentare udire nulla lei lo lasciò fare.
«Ciao. Vi dispiace se lei rimane a cena con noi…?»
La madre e la ragazza si abbracciarono con un bacio
sulle guance. Poi lei abbracciò anche il cuoco fuochista.
Nel camino della sala si sentiva un bel tiepido
caldo del focolare.
Naturalmente non avrebbero cenato in cucina. E
onorarono la presenza graditissima e inaspettata, regalandole le fiamme che
stavano crepitando.
Non riuscirono a impedire a lei di dare una mano a
preparare la tavola in sala.
Mentre della cucina arrivavano odori gradevoli, per
quanto realizzati con ingredienti improvvisati e con rimasugli, i due ragazzi
andarono insieme a fare una doccia.
Il cuoco, rinunciò a far suonare uno dei suoi cd
preferiti. Perciò Paolo Conte rimase silenzioso quella sera.
Sostituito da Albinoni e da Bach.
Non aveva osato andare a frugare nella camera del
figlio per prendere qualche brano musicale dei suoi. D'altra parte riconosceva
di essere assolutamente ignorante in quel campo.
Albinoni, coi suoi violini, legni e clavicembali,
in modo garbato si insinuò nella casa.
Dal cassettone era stata tirata fuori la tovaglia
della nonna con i ricami. E su di essa erano stati disposti i piatti del
servizio buono. E anche le posate, naturalmente. Per quanto di forma e di
aspetto abbastanza datati.
La ragazza aveva sempre mostrato di apprezzarli.
Forse non solo per compiacenza o buon garbo.
«Vedo che sei riuscito a mettere insieme una cena
improvvisata meravigliosa. Complimenti mio uomo!»
Si abbracciarono piano. Lui gustò il suo sguardo
azzurro e intenso. E la baciò sulle labbra. Mentre i ragazzi, di là, facevano
andare in foen e presto sarebbero comparsi.
"Anche questa giornata è finita. Che palle!
Tutto tempo perso per preparare lo spettacolo le prossime sere.
Il libro a casa me lo scucchiaio tranquillamente. I
miei vecchi mi lasciano tranquillo e macino pagine su pagine. Anche se forse
sto girando a vuoto.
E non ho ancora deciso cosa fare da grande…!
Ingegnere specializzato e disoccupato? Ma ingegnere di che?
E quell'altra attività che mi piace da matti… Ma
che non mi farà guadagnare un centesimo per sopravvivere e mantenermi.
Mica posso restare a tempo indefinito e indeterminato
sulle spalle dei miei.
Magari qualche lavoretto avventizio. Oppure
continuare questa menata qui dei pasti a domicilio. Fino a quando lo spettacolo
è pronto. Maturo. Ma certo è un bel casino.
Lascio quest'ultimo scatolone, che contiene risotto
giallo con funghi e spezzatino.
Con buon appetito e buona serata.
Sperando che abbiano i soldi in contanti. Mica me
la danno quelli là la macchinetta per farmi pagare con il bancomat portatile."
L'ultimo semaforo giallo. Aspettare. Che diventi
rosso. Poi al verde si parte.
Lei gli ha detto che è a casa da sola. I suoi sono
andati al cineforum. Gli ha promesso uno spuntino veloce. Ma sicuramente avrà
cucinato qualcosa di speciale. Fa sempre la modesta. Tiene sempre qualche
bottiglia di birra pronta per lui.
«Ma ciaoooo! Ti sei congelato con il tuo giaccone
arancione e il motorino a girare girare girare?
Hai le guance che sembra che le hai tenute nel
frigorifero. Ahahahah.
Sorpresa sorpresa! Tanto tu te l'aspettavi vero?
Guarda che robine buone ho preparato per il mio
amore!»
Si lascia togliere l'arancione del giaccone. Si
leva le scarpe togliendole l'una con l'altra con la punta del piede.
Lei lo segue mentre va a riscaldarsi le mani sotto
l'acqua in bagno.
Non riesce ad individuare la musica che esce dal
DVD.
Gradevole comunque. La premia dandole un bacio
sulle labbra.
«Ma che buone pappe hai fatto per il tuo ciccino!
Cosa mi tocca fare per tirar su qualche soldo e non
farmi mantenere dai miei.
Domani sera i neon azzurrognoli là nella palestra
proveranno brividi di stupore. Entusiasmo. O magari addirittura schifo. Pena.
Sì, gioia. La promessa è promessa. Dopo questa
volta verrai e a vedermi e ad ascoltarmi. Certo che mi fa piacere. Ma insieme
ho anche un pochino paura di deluderti.
Tu non ti stanchi mai di dire che sono il tuo
idolo. Che mi adori. Ma non mi hai mai visto in azione. Quando siamo là tutto
quanto si trasforma. E anch'io divento un'altra persona. Divento quello che sto
impersonando in quel momento. Farai fatica a riconoscermi.
Però, prima o poi, mi devi vedere nudo come sono e
come divento davvero in quei momenti.
I ragazzi, al bar, mentre si ciucciano le loro
birrazze, e a turno vanno fuori a fumare, mi sfottono chiamandomi sempre
ingegnere…
Le rare volte che ho provato a parlare del lavoro
teatrale, rimangono lì, inebetiti. Occhi spalancati. E poi qualcuno attacca a
parlare d'altro.
Per loro sono sempre quello di una volta. Il
vecchio compagno di scuola e di giochi nei cortili.
Di avventure e di cazzate. Di vacanze, con
qualcuno.
E poi ci aggiungono che faccio quel lavoro di merda
a portare il pranzo e la cena per la città.
Secondo me nessuno mi conosce e mi capisce davvero.
Tu mi capisci? Sei sicura? Mi conosci per davvero?
Presto ci sarà la prova del nove!»
Lei gli carezza la mano. Non è più gelata come
prima.
E poi lui riattacca a manetta.
Gli occhi gli si illuminano. La voce si alza di
tono. Infervorato. Ispirato. Quasi profetico…
Lei ha preso di nuovo la mano di lui. Con la mano
libera porta alle labbra la sigarettina. Ha passato la giornata al magazzino. Poche parole da
scambiare. Al massimo convenevoli. Mentre seguiva la routine monotona del
lavoro in automatico, scambiava parole con lui dentro di sé.
E ora, seduti
accanto l'uno all'altra, la conversazione interiore è diventata esplicita. È curiosa
di sentire le sue idee. I suoi ragionamenti. Anche quando diventano bizzarri…
«… Partiamo dal
presupposto che io, ma anche tu, e anche chiunque altro, ci sentiamo quasi sempre quella certa
persona. Cioè, voglio dire, ci vediamo un pochino come gli altri ci vedono coi
loro occhi.…
… Eppure in certi momenti, ci sentiamo
profondamente diversi. La cosa ci meraviglia e ci stupisce un po', ma non più
di tanto. Un pochino il discorso del "uno nessuno centomila".
Quasi sempre ci comportiamo coerentemente con quella
nostra identità che riteniamo prevalente, perché così veniamo visti dagli altri.
Eppure… Ad esempio in questo momento, dopo questa
giornata identica tutte le altre, qui con te da soli, mentre tu mi guardi così
e io ti parlo, so di essere nuovo. Diverso. Pur restando sostanzialmente
identico a me stesso. Non so se rendo l'idea…
Ecco… Noi con il gruppo inventiamo una storia. Una
vicenda. I personaggi che facciamo nascere, sono fatti un pochino così. Come
siamo noi, ciascuno di noi, e un po' diventiamo quell'altro al quale abbiamo
dato vita.
Gli facciamo
fare delle cose. Delle azioni. Dire delle frasi e delle parole. Provare delle
emozioni e dei sentimenti.
E allora, in quel momento lì, ma anche nei
successivi, smettiamo di essere soltanto noi stessi… Quel noi stesso abituale
che gli altri ci conoscono.
E diventiamo anche quell'altra persona.
Quando ride, non ridiamo noi soltanto, ma ride
anche quell'altro lì, ridiamo in lui… E così pure per le altre emozioni.
Sentimenti. Stati d'animo…
Non so se sono riuscito a renderti l'idea, ma per
me fare teatro vuol dire anche proprio questo.
Ma c'è un'altra sfumatura. Normalmente e
abitualmente, nei contesti soliti, c'è una parte di noi che preferiamo tenerci
dentro. Praticamente nascosta.
E facendo teatro, riusciamo a essere tutti i noi
stessi che siamo ciascuno dentro di noi…»
Lei lo ha ascoltato cercando di immedesimarsi nelle
sue parole e nel suo discorso.
Ora si sente profondamente in empatia con lui.
Cerca di collocarsi dentro di lui per vedere se
riesce a provare le stesse impressioni. Le sembra di riuscirci.
Vede la propria mano appoggiata su quella di lui.
Due mani distinte. Due persone distinte. Ciascuna
autonoma dall'altra. Ma insieme in diretta comunione.
Mentre lui continua a parlare, prova ad immaginare
e a vedere se stessa con gli occhi di lui. Dal suo punto di vista.
È difficile separare noi mentre pensiamo dalla
comunione empatica. Eppure molte volte ci riesce. In questo momento per
esempio.
Come quando hanno fatto l'amore. Diventando per
quegli istanti e minuti magici quasi una cosa unica.
E quel tempo, nell'amore, si dilata sempre di più.
Poi si torna ad essere se stessi. Prevalentemente
almeno.
Ma rimane sullo sfondo un alone di quello che si è
stati in comunione totale.
Poi si riprende la vita quotidiana. Ciascuno le
proprie routine. E quell'alone rimane sempre più sullo sfondo.
Tranne nei momenti in cui il pensiero dell'altro
diventa così intenso, da riportare in quell'atmosfera fatata.
Si rende conto di essere la stessa persona. Ma di
assumere connotati e sfumature ogni volta nuove.
Dev'essere questo quello che lui prova quando sta
facendo teatro e che sta descrivendo ora.
Intanto, le preme dentro sempre di più, il
desiderio di partecipare al più presto a quel rito liturgico che lui ha
descritto. Vederlo quando diventa un altro. Cercare di capirlo. Seguirlo. Comprenderlo.
Immedesimarsi in lui.
Un gorgogliio interiore e felice al pensiero che
presto potrà partecipare al rito.
Una nuova giornata grigia attende entrambi.
È rimasto in bocca, nella mente, nel sangue
quell'alone di intimità. Comincerà a sfumare e diminuire d'intensità. Appena
ciascuno dei due sarà uscito. Avrà ripreso il suo solito percorso.
Lui ha già indossato il giaccone arancione.
Lo scooter parte subito al primo colpo.
Il freddo umido e nebbioso lo avvolge.
Ha raccolto la lista delle consegne. Prova a
delineare una mappa mentale dei percorsi. Tanto poi sa che continueranno a
mandargli messaggi in whatsapp sul cellulare. E modificheranno la trama degli
spostamenti che aveva memorizzato.
I gesti abituali. Le parole da dire ritualmente
nelle consegne. I contanti spiccioli nella tasca per dare il resto.
Ma non lo disturba più di tanto. Riesce a
continuare dentro di sé il proprio dialogo interiore. Mette a punto particolari
per le prove serali. Con varie ipotesi. Varianti.
E saltano fuori continuamente idee nuove.
Se ne compiace.
È sicuro che non le perderà per strada.
Dà un ultimo sguardo interiore alla sua donna. E si
lascia trascinare via.
Appena lui è uscito con lo scooter tira fuori
l'auto per andare al magazzino. Era quella vecchia di suo padre che le ha
lasciato quando se n'è procurata una nuova. D'occasione.
Sente di essere quella se stessa che ha fatto
l'amore con il suo lui. Quando lo ascoltava. Quando entrava nella sua anima.
E sa comunque, lei pure, che fra un po' ci sarà lo
scambio di saluti. Convenevoli. Battute quotidiane e abituali. Quelle che le
sue colleghe e compagni di lavoro si aspettano da lei.
Anche lei sta recitando la parte.
Conosce a menadito lo spartito.
Fra qualche giorno proverà l'emozione, il disagio
forse, l'estraneità di conoscere nel suo uomo una persona diversa. Tante
persone diverse, magari.
"Sì, certo. Proprio così. Nei momenti in cui
la vicenda viene recitata in modo normale e quotidiano, nessuna novità.
Poi ci sono quei momenti diversi. Speciali. E i
messaggi che vengono pronunciati non sono dei normali dialoghi. Sono dei
parlati che vengono dal di fuori della narrazione. Ed è per questo che in quei
momenti indossiamo le maschere bianche.
Come essere voci fuori campo.
Extradiegeetiche.
Commenti.
Parlati da qualcun altro che non siamo noi, attori
recitanti.
Ed è molto interessante l'effetto di questi due
diversi piani alternati e giustapposti di recitazione.
Le cose dette dagli attori, personaggi e
protagonisti.
E quelle altre cose che è la scena stessa a
dirle."
È fermo al solito semaforo. Cerca di infilarsi tra
una auto e l'altra. Ma non lo fanno passare.
Dai vetri lo guardano con curiosità. Fastidio.
Estraneità.
Loro dentro al calduccio.
Lui fuori nell'aria fredda.
Loro dentro stanno zitti, o si dicono le solite
loro battute.
Lui fuori. Le mani intirizzite sul manubrio. La
testa piena di quello che sta dicendo a se stesso. E che dirà questa sera
appena arriva.
Gli sembrava che su questo ci fosse accordo.
Sintonia.
Ma può sempre capitare che arrivi qualche idea
nuova da qualcun altro. Nuovi punti di vista.
All'inizio, disorientanti. Disturbanti. Quasi da
infastidire.
Poi si tratta di ascoltare bene. Riflettere.
Farsene una ragione. Mettersi nei panni mentali di chi ha buttato l'idea.
Confrontarsi. Magari essere costretti a perdere
tempo per capirsi bene. Poi arrivare a una mediazione. A un nuovo accordo.
Il semaforo è diventato verde.
Riparte.
Qualcuno deve essere già arrivato. Avvicinandosi si
vedono le vetrate con quella luce fredda azzurrognola. Del neon.
Lega lo scooter con la catena e il lucchetto al
palo del divieto di sosta. Che nessuno tanto rispetta.
Ci sono tanti divieti. Tante trasgressioni. Tanti
messaggi inutili e ridondanti.
Appena dentro, oltre alla luce fredda, anche l'aria
è fredda.
Su un bancone, da un lato, le maschere di
cartapesta tinte di bianco.
Ognuno si è fatto la propria con l'aiuto degli
altri sul proprio volto.
A piedi scalzi tre ragazze compiono rapide corse
sull’impiancito. Per poi arrestarsi di colpo. Nel movimento hanno fatto
turbinare per aria i veli di tulle sintetico. Gialli, verdi, rossi… Svolazzano
per aria. E subito ricadono giù appena le danzatrici, all'improvviso, rimangono
ferme.
Un cenno della mano. «Ehhlà…»
Mentre aspettano gli altri ciascuno dei presenti
butta lì delle idee. È un discorso circolare. Che si avvolge e si riavvolge su
se stesso continuamente. Come i veli colorati nell'aria poco fa.
Una continua messa a punto successiva.
Un po' alla volta arrivano tutti.
Manca solo chi si occupa delle luci e del mixaggio
dei suoni.
Ci si arrangia lo stesso. Lo si può fare a turno.
Anche le luci e il sonoro hanno bisogno di essere
provati e riprovati tante volte…
Hanno spesso parlato di regia collettiva. Anche se
poi in effetti qualcuno assume il ruolo di leader.
Lancia delle idee. Ascolta. Discute. Si confronta.
La decisione definitiva ha bisogno del consenso generale.
C'è una profonda sintonia.
È come un pensiero collettivo. Sono come formiche collegate
con le proprie antennine. L'obiettivo è un obiettivo comune. Comune è il
risultato atteso. Comune e collettiva la rappresentazione nel suo complesso.
Era cominciata così. Da un'idea originaria. Sulla
quale erano arrivati nuovi stimoli e nuovi spunti. Arricchendosi sempre di più.
Ora ciascuno ha in mente tutto il percorso. Tempi. Movimenti. Azioni. Suoni.
Rumori. Luci. Buio.
Mentre muove i propri gesti e le proprie parole,
ciascuno degli attori vede se stesso in tutto il contesto. Si vede con gli occhi
di tutti. All'unisono.
Anche questa volta, come tutte le altre, si è
lasciato andare navigando nell'atmosfera collettiva. Vivendo la
rappresentazione con tutto se stesso.
Gli sguardi di tutti sono soddisfatti. Ci si
scambia rapide occhiate di consenso e di reciproca approvazione.
Qualche spunto. Qualche annotazione. Qualche
commento.
L'affiatamento è forte. Si naviga bene insieme.
Mentre l'azione si svolgeva, si srotolava, si
realizzava, per qualche istante ha provato a guardarsi con gli occhi di lei.
Prefigurandosi il momento. Ponendosi a osservare da
dentro di lei.
Ora si sente abbastanza esausto. Come anche altri
ha cominciato ad arrotolarsi una sigarettina. Anche questo è vietato. Prima di
uscire lasceranno pochino la porta di ferro pesante aperta. Per fare girare
l'aria. Aprendo le vasistas delle vetrate con le manopole che spesso si
bloccano.
Poi, alla spicciolata, ciao ciao ciao… E ognuno
ritorna a essere quell'altro che tutti i momenti e tutti i giorni.
"La specializzazione comunque la finisco. Non
si sa mai. Che magari da grande mi possa servire. Ahahahah !
Ma adesso lo so benissimo.
Non me ne frega un tubo di fare l'ingegnere. E poi,
ingegnere di che cosa?
E neanche di portare i cartoni pieni di cibo nei
vari appartamenti. Ne ho proprio piene le palle.
Chi c'ha voglia può imparare benissimo a cucinare.
Lo fa benissimo mio padre. Mia madre. Io stesso. E anche lei, la mia ciccina…
Mica abbiamo bisogno che qualcuno ci porta il risotto insipido da scaldare nel
microonde. O la zuppa di pesce. O la crema pasticciera e il tiramisù.
Questa che sto facendo è proprio un'altra cosa. Ma
davvero davvero davvero!
E poi chi se ne frega del giovane ingegnere di
belle speranze e delle sue specializzazioni di aria fritta.
Mi vengono in mente le risposte alle numerose mail
che avevo mandato. «La ringraziamo di averci segnalato la sua disponibilità.
Apprezziamo le sue argomentazioni pregevoli. Ne terremo debito conto al momento
opportuno.
Ma in questo momento la nostra azienda sta
attraversando un periodo difficile e di crisi.
Qualora cercassimo nuovo personale, saremo ben
lieti di convocarla per una serie di colloqui preliminari.
Gradisca i nostri migliori saluti…»
E io non so cosa farmene della vostra disponibilità
e compiacenza formale.
Finora sono riuscito essere autosufficiente. Non
navigo nell'oro ma non mi serve niente di più.
Lo so che è come buttarsi e tuffarsi nel vuoto.
Mi sono fatto il culo fino in fondo. Libri libri e
libri. Laboratori ed esercitazioni. Esami orali e prove scritte.
E ora come se non bastasse anche la
specializzazione.
Ma ero certamente fuori registro. Ora ho corretto
il tiro. Credo di sapere un po' di più ci sono, dove voglio andare, e come
voglio vivere…
I miei vecchi mi hanno giurato infinite volte che
si avrà bisogno mi aiuteranno. E questo può essere probabile nei primi tempi.
Trovare una piazza. Un salone teatrale. Farci
conoscere. Ricevere un incarico e una commissione. Qualche soldino prima o poi
almeno per le spese più vive salterà fuori.
Finora quando ci abbiamo provato, pur senza mollare
il lavoro squallido ma sicuro, è andata bene.
L'estate. Le sagre paesane o di quartiere. La pro
loco che aprono la cassettina dei risparmi.
Mica vogliamo diventare tutti Giorgio Strehler o
Paolo Grassi.
Giochiamo la nostra avventura. Facciamo il salto
nel vuoto.
Un po' come il tuffatore di Paestum. Lui si buttava
dalla dimensione vitale a quell'altra sconosciuta. Piena di nebbia grigia e di
silenzio.
Noi facciamo il tuffo al contrario."
IL TUFFATORE.
(Racconto di Nanni Omodeo Zorini)
Immaginiamoci che le organizzazioni sindacali confederali attraverso un loro organismo indicono un concorso per racconti lunghi sulla tematica del lavoro.
Immaginiamoci, anche, che venga presentato un racconto così impostato:
Il protagonista è laureato e ha fatto delle specializzazioni. Si deve accontentare di lavoretti precari portando con il motorino cibi preparati in giro per la città. Immaginiamoci che il giovane abbia la passione per il teatro. Che non sia ancora riuscito a trovare un vero posto di lavoro confacente alla sua formazione. E allora decide con degli amici amanti del teatro, di tuffarsi a capofitto nell'attività teatrale. Rinunciando a portare le pizze e il risotto. E rinunciando a fare quel lavoro che tanto non glielo daranno mai qui in Italia…
Quel racconto è stato scritto. È intitolato: "IL TUFFATORE". È tutto pervaso dai ricordi dei due genitori che sono stati diversamente occupati nel lavoro e nella organizzazione sindacale.
La commissione che ha scelto i testi da premiare, ha preferito ignorare questo racconto.
Perciò l'autore, premia le sue amiche e i suoi amici che lo seguono leggendo su questa piattaforma, regalandolo loro…! In lettura. In godimento. Chiede solo loro come favore, di ricevere in riscontro un giudizio. Critico, naturalmente!
Nanni Omodeo Zorini.