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giovedì 29 novembre 2018

MANI

MANI
Nel paese che forse c'è, un mattino di un giorno probabile, per caso si erano incontrate due mani. Insomma due mani così: una mano maschile, allungata, ampia, dura e legnosa; e una mano morbida di fanciulla. Niente di eccezionale in questo. Naturalmente. Si erano trovate a passare di lì, dove la collina si traveste da pianura. E dove i prati e boschi quatton quattoni, senza dir niente a nessuno si divertono a sembrare altura.
Si erano sentite da lontano. Provando entrambe un desiderio e un impulso forte di incontrarsi, di sfiorarsi, magari addirittura di stringersi…
Eh, ma già! Così? Tra il lusco e il brusco? Andiamoci piano! Ci vuole cautela. Discrezione. Riserbo!
Aveva mosso i primi passi la mano fanciulla. Con nonchalance e noncuranza, si era abbassata a raccogliere nel prato uno stelo che appariva trifoglio, ma che invece, incredibile ma vero, era proprio un quadrifoglio!
Sulle prime non credeva al proprio tatto. Sì, forse le era capitato qualche volta quand'era bambina… Ma quel giorno, proprio non se l'aspettava! Aveva avuto quasi timore e titubanza nel raccogliere quello stelo. Ma poi l'aveva staccato dal terreno, garbatamente, con delicatezza. Regalandolo allo sguardo che lo ammirava entusiasta.
Li vicino, per un puro caso fortuito, una mano non più giovanissima maschile, aveva raccolto una "castagna matta". Il frutto dell'ippocastano. Chiamato così perché si diceva da sempre che tenendolo in tasca avrebbe portato fortuna.
Gli sguardi di quelle due mani si erano imbattute l'una nell'altra. Senza intenzione. Quasi timorose di sorprendersi vicendevolmente. Ma intanto la pompa cardiaca nella gabbia toracica di ciascuno dei due aveva cominciato a tamburellare. Prima in modo morbido e sommesso: tu-tum.…… tu-tum…. Tu-tum….
Ma, è noto a chiunque, che quando comincia questo mormorio interiore, è destinato al crescendo continuo.
La bianca mano color di latte, aveva sistemato tra i capelli biondi, il quadrifoglio. Dopo avere girato uno sguardo agli alberi e rami d'intorno quasi a scusarsi. Ma gli alberi erano rimasti zitti.
La castagna matta, si faceva sentire con il suo corpo compatto e consistente. Il lucido della sua buccia la faceva scivolare e saltare di qua e di là.
Può anche darsi che nel frattempo un chiurlo, o un'allodola, o magari anche una capinera, avessero regalato all'aria azzurra circostante un volo radente. È certo comunque che gli uccelli che stavano volandoli intorno avessero emesso dei saluti augurali.
A onor del vero, va precisato subito che lì intorno c'era una sola panchina. Di quelle verdi a listelli di legno. Dalla vernice verde un po' consunta. Per la pioggia e il maltempo, certo.
Per completare il quadro non può essere omesso un particolare. All'angolo della stradina di sterrato, vicino a un caseggiato in disuso, c'era una fontanella di quelle di ghisa di una volta. Anch'essa, purtroppo, ahimè, aveva tutta la vernice consumate consunta. Appariva ora grigia. Anche se avrebbe voluto sfoggiare ancora il verde per mostrarsi amica della panchina a listelli li vicino.
Per farla breve, se possibile, la panchina venne presto occupata.
Non prima che delle labbra si fossero vicendevolmente accostate al getto d'acqua abbastanza fresco della fontana per dissetarsi.
Labbra, per quanto è dato sapere, tra loro in quel momento ancora sconosciute reciprocamente.
Le mani, entrambe, quasi contemporaneamente, erano passate sulle rispettive labbra a cui appartenevano, per asciugarle delle gocce d'acqua rimaste.
Ma, fin qui, nulla di eccezionale.
Eccezionale, forse, potrebbe e dovrebbe essere definita la situazione vista dall'esterno.
Ponendosi a distanza, e guardando con una zoomata garbata la situazione.
Una ragazza bianca sta seduta all'estremità di una panchina comunissima di listelli verdi di legno.
Sul lato estremo, cercando di darsi un contegno, una sagoma d'uomo. Dinoccolato. Che si guarda in giro, di qua e di là, con apparente noncuranza.
L'uomo è spavaldo, abitualmente. Ma preferisce restar sulle sue. Non osa forse.
È lei che per prima fa vibrare l'aria della sua voce…
«Sono stata proprio fortunata… A colpo d'occhio ho riconosciuto nel prato un autentico trifoglio! Da bambine, facevamo per finta, di raccogliere un trifoglio, e di aggiungervi per gioco una fogliolina. Ma subito vedevamo scoperte e derise… Ma questo qui…»
E con la mano delicatamente tolse dai propri capelli biondi il magico fortunato simbolo, mostrandolo al suo interlocutore…
«… Questo qui è un quadrifoglio per davvero… Provi a guardare anche lei… Posso dire anche tu?… Non ho mica truffato questa volta…»
Lo sguardo dell'uomo si sporse contento: raccogliendo entusiasta la provocazione…
«Non c'è che dire… Un signor quadrifoglio direi! Proprio fortunata… Posso darle anch'io del tu?… E guardi cos'ho trovato io invece… Anzi, correggo, guarda cosa ho qui nella tasca…»
Frugò nella saccoccia e mostrò il suo vegetale porta fortuna.
Nelle mani bianche della ragazza il luccicore bruno della scorza, parve vibrare compiaciuto quasi fosse divenuto un gioiello…
Finalmente si permisero reciprocamente di regalarsi uno sguardo. Che subito smise di essere riservato e scontroso, titubante e timido… E divenne in entrambi i volti gradualmente un sorriso… Ma non di quei sorrisi di maniera. Formali. Di circostanza.
In entrambi gli sguardi e volti il sorriso divenne sempre più dilatato. Espandendosi all'infinito come in un volo etereo…
Fin quando, all'unisono, quasi l'avessero sincronizzato intenzionalmente, divenne una risata sonora… A onor del vero, due rispettive risate sonore… Baritonale, di petto, vibrante e calda quella di lui… Argentina come l'acqua della fontana alla quale avevano appena bevuto, la risata di lei…
Chiurlo, capinera, o allodola, quello che fossero i volatili che gironzolavano intorno nell'aria, fecero subito eco. Regalando le loro risate sonore e squillanti.
E mentre le risate si intrecciavano nel loro girotondo, quasi per caso, involontariamente, così, di propria iniziativa, ciascuna delle due mani si allungò verso l'altra.
Potrebbe apparire una storia banale. Certo. Ma va tenuto conto della situazione eccezionale. I reciproci rispettivi porta fortuna. Le sorsate d'acqua fresca alla fontana. Lo stare seduti sulla stessa panchina. Le risate che avevano preso a intrecciarsi e a giocare tra loro a girotondo… Pronte magari più tardi a giocare anche a mosca cieca… Chi lo può dire…
Eh no…! Non c'era nulla di banale.
Le mani si tennero un po' compagnia. Aumentando garbatamente e discretamente la pressione. Era successo qualcosa di molto eccezionale. Straordinario. Unico forse!
Solo più tardi, quando la brezza aveva cominciato a spirare sorniona e complice, le dita della mano maschile avevano sfiorato la guancia candida… Addirittura avvicinandosi alle labbra di lei.
Dopo avere riposto di nuovo lo stelo di trifoglio nell’oro dei suoi capelli, la mano fanciulla aveva risposto carezzando la barba corta corta della guancia di lui.
Il pudore, il riserbo, la discrezione impedisce di raccontare il seguito della vicenda. D'altra parte facilmente intuibile a chi legge queste parole…
È possibile soltanto, ora e qui, dire, che in un certo giorno probabile, diverso tempo fa, in un luogo che forse c'è, due mani si erano incontrate. Si erano conosciute. Corredate dei rispettivi sguardi, fiati, respiri, battito di ciglia, mormorio sorridente, batticuore…
Con il crescendo sempre più intenso del tamburellare del tu-tum tu-tum tu-tum tu-tum…
Chi lo ricorda, anche ora, non può negare di provare un'immensa emozione.
Qualcosa di eccezionale, irreversibile, magico, fantastico, irrevocabile era avvenuto.
E per essere più precisi: qualcosa è davvero avvenuto. E sarebbe banale definirlo soltanto qualcosa. Molto di più. Moltissimo di più. Solo raccontarlo e ricordandolo viene ancora il cuore in gola!
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web

lunedì 26 novembre 2018

AVANTI UN' ALTRA!

AVANTI UN' ALTRA!
«Ma si, va beh, però… Le pare proprio il caso di stare a pubblicare immagini in cui una mano maschile maltratta una donna? Non le pare che in questo modo invece di criticare un comportamento negativo, finisce per dare la zappa sui piedi al suo messaggio, invitando a fare il contrario? E poi, come mai le donne non si decidono per tempo a rendere pubblica denunciandola la violenza subita? Vuol forse dire che ci si trovano bene in quella situazione?…»
«Mi dispiace se con l'immagine che ho pubblicato ho turbato e disturbato la sua visione…
Provo a risponderle con qualche considerazione…
STANDARD, PUDORE E SCIOCCHEZZE
Lascio a chi gestisce questo giochino qui di fare mostra di credere alle regole che impone…
Ieri ritualmente si DENUNCIAVA LA VIOLENZA CONTRO LA DONNA. C'è stato chi ha lamentato che mostrare immagini che la descrivessero era un invito a farlo… Come se mostrare foto di bombardamenti, di gente che affonda dai barconi, di gente denutrita che muore di fame o di stenti nei lager vecchi e nuovi, fosse un invito A RIPETERE QUESTE IGNOMINIE… Forse varrebbe la pena di ricordare che il racconto verbale o con immagini di cose orribili È DECISAMENTE DIVERSO DAL COMMETTERLE…
Ma stiamo scherzando? Mostrare sul pacchetto di sigarette che il fumo uccide diventa quasi simile alla pubblicità del tabacco?
Invito al buon senso... E come se scrivere sciocchezzuole e definirle "POESIE" fosse un atto poetico? Oppure anche giocare al rischiatutto nei cosiddetti slam poetici corrispondesse a fare letteratura…!? AHAHAHAHAH
Ma provo ad immaginarmi, naturalmente solo per ipotesi e non in questo contesto qui, una situazione tipo.
Ieri: giornata mondiale contro la violenza alla donna!
C' è la giornata dell'ambiente, quella sugli animali abbandoonati, contro la caccia...
Ritualissime... Per i 364 giorni successivi il problema è rimosso...
Per i migranti: la voce prosegue... Magari rischiando di infognarsi in ritualità periodiche, ricorrenti, con girotondi, recita di poesie., autocompiacimento...e diventa essa stessa l'evento: foto, video... E poi...morta lì...
Immaginiamoci che proprio oggi, giorno successivo alla ricorrenza, una donna, adesso, per caso, ("facevamo finta che"…), l'apertura del processo di difesa... E insieme di accusa per i maltrattamenti psicologici fisici subiti … Ma non qui, in questa città qui… Diciamo magari a Mantova? O Crotone? O magari anche a Genova?
Ecco immaginiamoci questa donna. Ha subito, anni fa, violenza mentale, verbale, psicologica e magari anche fisica… E contrariamente all'affermazione da lei fatta sopra, ha deciso proprio di voler ricorrere alla giustizia. Con tutto quello che comporta...
Buttare in piazza, rendere pubblica, spiattellare davanti a tutti la situazione d'inferno che ha vissuto.
Col rischio probabile che i pettegoli voyeurs , dandosi gomitate e sorridendo con sguardi malevoli e maliziosi, abbiano a dire: ma va là, certamente anche questa se l'era andata a cercare ... a me ad esempio che sono donna non è mai capitato… (Magari dimenticandosi di guardarsi allo specchio…)
E se la data prevista per l'inizio fosse stata proprio oggi, possiamo certo immaginare che patemi d'animo abbia avuto da tempo. Soprattutto negli ultimi giorni. Soprattutto stamattina.
Ma immaginiamoci anche un altro particolare non infrequente. Se l'episodio e la denuncia risalgono a qualche anno fa, non è da escludere che già un'altra volta possano averla convocata per un ipotetico inizio e apertura del procedimento… Stessi patemi, stesso inferno rivissuto, stessa amara delusione di non vedere mai cominciare l'occasione in cui provare a ottenere un riscatto…
Ma di già che ci siamo, potremo anche ipotizzare che dopo il primo rinvio, ce ne sia stato anche un altro… Eh già. E non solo per procedimenti giudiziari di questo tipo.
Chissà mai, potrebbe essere stato che il giudice preposto si fosse trovato in una situazione di salute che gli impediva l'avvio… Oppure anche, poverino lui, che essendo residente altrove, avesse da tempo tempestivamente chiesto il trasferimento ad altra sede. E, guarda caso, proprio adesso l'avesse ottenuto… E magari anche per il secondo rinvio: oltre agli eventuali problemi di salute e al trasferimento, potremo immaginarci che so: se fosse stata una donna poteva benissimo essere in procinto di diventare felicemente madre…
Insomma: è giusto tutelare i diritti di tutti i lavoratori e anche di questo tipo.
Ma, se in questo contesto andiamo a ripensare alla tapina: stalking, persecuzioni psicologica, maltrattamenti verbali offese ingiurie, botte… dopo diverse tappe di rinvii non da lei dipendenti o a lei imputabili, per l'ennesima volta, dopo notti in bianco, sofferenza interiore e inferno rivissuto nel ricordo, le dicono che anche questa volta non se ne fa niente… RINVIATO!
Sconforto. Incazzatura. Richieste di chiarimenti…
E dire che questa aveva davvero avuto il coraggio di denunciare! Non era stata connivente e complice con il suo aguzzino. Era una delle poche punte dall’ iceberg emergente dal mare magno della violenza sulla donna…
Con che stato d'animo si appresterà ad aspettare il tempo che le hanno prospettato? Se la sentirà ancora di tener duro? Le cascheranno le braccia?
E altre donne maltrattate, facilmente venendo a conoscenza di episodi ripetuti di questo tipo, avranno il coraggio di imbarcarsi in questa terribile avventura di redenzione e di riscatto? O non verrà loro da dire: "ma chi te lo fa fare? Sarà poi possibile arrivare davvero ad una conclusione equa che ti dia almeno in parte soddisfazione e giustizia della violenza che hai subito?"
Per fortuna che questa vicenda non si svolge qui, da noi, ma nelle città ipotetiche di fantasia immaginate sopra…
Ma intanto, si è celebrata LA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA LA DONNA. Nei canali di comunicazione, media, o Web, saranno comparse le rituali fotografie di paia di scarpe rosse col tacco alto abbandonate sul terreno…
E saranno piovute frasi di esecrazione: basta con la violenza alle donne… non possiamo più permetterlo… a nessun'altra più deve succedere… non una di più…
Frasi ed espressione naturalmente encomiabili. Ma se il problema è alla radice, chi ci pensa davvero ad andare ad analizzarlo fin in fondo, per provare a trovare soluzioni?
La sanità è con l'acqua la gola, vengono tagliati i fondi letti di degenza e personale.
L'istruzione pubblica ha l'edilizia fatiscente e pericolosa e anche qui il personale viene ridotto e soppresso.
E se si aumentassero gli organici e le risorse da dare alla giustizia? Magari sottraendo le spese inutili, come ad esempio l'acquisto di aerei da guerra costosissime e giudicati assolutamente insicuri inefficaci e inefficienti; eliminare costruzioni e scavi di trafori che garantiscono l'alta velocità, su percorsi ferroviari o automobilistici che non hanno assolutamente sofferenza ed esigenza di questo tipo…
Vede, cara signora, anche sistemi e servizi oggi abbastanza criticabili hanno nella loro esperienza storica avuto soluzioni di rimedio. Ad esempio molti decenni fa, per evitare che le piccole scuole uniche di montagna fossero poco ambite dagli insegnanti, che perciò non le sceglievano, veniva dato un incentivo in termini di progressione di carriera.
È la solita scoperta dell'acqua calda. Nessuno ha mai pensato che per garantire a chi svolge compiti così importanti come questi di cui parliamo ora, oppure della sanità, si potrebbe garantire che chi assicura di portare a termine quanto ha iniziato, e si impegna a restare in quella sede un certo numero di anni, verrà incentivato nella carriera o economicamente…
Già, perché anche nella giustizia, come nella scuola, come nella sanità, o come anche in altri servizi molto importanti per il benessere della popolazione, alcune sedi sono considerate poco gradevoli, disagevoli e perciò poco ambite.
Ma queste che stiamo facendo io e lei, qui, sono considerazioni che competono e devono essere effettuate oltre che da noi utenti dei servizi, da chi si è candidato, ottenendo quanto chiedeva come amministratore della cosa pubblica.
È facile, molto comune molto diffuso, ascoltare i programmi e la propaganda di chi si propone come salvatore del mondo. Sia esso un comico, un venditore di aspirapolvere, un populista che gioca sulla ingenuità di chi lo ascolta, ma che poi avrà poca memoria…
Ora, qualche anno fa, molti decenni fa… Urlando e strepitando nella simulazione di un attacco isterico, oppure con voce dolce e suadente al burro per convincere tutti agitando qualche spauracchio inesistente che si è già autoazzerato, o anche col tono pacato e rassicurante di chi assicura che finalmente lui è l'uomo giusto, la donna giusta, insomma le persone mandate dal destino…
Mi permetta pertanto cara signora, di usare ancora queste immagini che l'hanno disturbata. La violenza di genere esiste. E non basta alzare la voce un giorno all'anno ritualmente. Per lavarsi la coscienza. Va progettato, programmato, studiato e ipotizzato un metodo effettivo di risoluzione del problema.
Per fortuna, che quelle che io ho presentato sono solo ipotesi, che magari non esistono neanche nelle città fantomatiche che io ho preso in prestito… "Facciamo finta che, tutto va ben, tutto va ben…"
E se c'è davvero qualche meschina che ha osato venire allo scoperto, saranno un po' ben cavoli suoi… Perché magari come lei pensa se l'era cercato… E perché poi è comodo chiedere di avere tutto bello a posto, e avere la pappa pronta…
Gli apparati burocratici, dal termine: "bureau" ufficio, sono macchine apparentemente perfette, pignole, complicatissime… Ma nelle loro procedure non prevedono un aspetto essenziale: raggiungere l'obiettivo che formalmente dichiarano di volere perseguire!
Perciò mi permetta, di ripetere come ho aperto questo intervento:
"AVANTI UN'ALTRA".
Un'altra vittima? Un'altra aspirante all’ottenimento della giustizia? Un'altra che se le va bene se la può cavare seppellendo come riesce nella sua memoria l'inferno subito? O un'altra come le 106 vittime donne al giorno d'oggi nel nostro paese di quello che un neologismo definisce "femminicidio".
E se esiste davvero una povera donna nella situazione ipotetica sopra narrata, può contentarsi e consolarsi dicendo: "meno male che sono ancora viva e che non sono stata ammazzata!"?

RISCATTO

RISCATTO
sfumato il progetto intravisto
di un vivere comune sociale
con madri decane a guidare il branco
che la discendenza dal padre 
era forza di potere e possesso
alla progenie e spade da guerra
e confini e recinti e schiavi e servi
sfumato il sogno degli uguali
dei beni tutti in comune
ahi ahi ahi
la femmina dell'uomo
a raccogliere frutti
e legna da fuoco
e a conciare le pelli coi denti
allattare e pulire con le frasche
il frutto di caccia recato
con albagia regale
da padre padrone tiranno
e taci tu che sei donna
il modello contagia
violento brutale
gli occhi
femminei posson solo
blandire accudire materni
muti alla saggezza di genere
ahi ahi ahi
fattucchiere streghe puttane
o sante e angeli casti da riproduzione
negato quel sogno di essere
compagni diversi
amanti complici sodali
e taci tu che sei donna
ahi ahi ahi
voglio guardare il mondo a due
non amazzone dai seni tagliati
non demone o preda di piacere
itaca al navigare
compagna di viaggio meta bramata
da cercare per tornare
a ricompore l'uno perfetto
ti aspetto donna sorella amante
voglio il tuo femminile
per completarmi
voglio i tuoi sogni
per farli pulsare coi miei
voglio dei sabba sfrenati
danzati insieme con piede fermo
dona canti di lussuria assoluta
porgi la tua mano femmina
e lacera a brandelli
kimono da geisha odalisca
il tuo sguardo fiero consola
e da forza
rovesciamòlo
insieme
il tavolo




venerdì 23 novembre 2018

POLVERE D'AMORE MAGICA

POLVERE D'AMORE MAGICA

minuscoli cristalli 
di luce di latte di luna 
tu tum tu tum tu tum 
batte il pestello nel mortaio

 mescolati e pestati 
con la polvere grigia 
dei crateri di selene 
tu tum tu tum tu tum

a farne polvere minuta sai
battiburro di essenza soffice

e metterne poi 
un cucchiaino 
solo una punta 
di cucchiaino
su un'ostia farmaceutica 
umida bagnata 
d'acqua stesa sul palmo 
della mano 

avvolgerla a pacchettino 
e deglutire con un sorso 
di acqua di fonte di montagna
prodigioso
magico

io ne faccio merenda
con te
amore

mercoledì 21 novembre 2018

Racconto per Artemisia fantasie serali

RACCONTO PER ARTEMISIA
FANTASIE SERALI
Sulla riva del fiume da molti anni stava coricato un vecchio tronco di abete. La scorza ruvida e spugnosa come sughero aveva conservato un po' del suo morbido.
Il cavaliere, che ormai viaggiava piedi da tempo, ci si era seduto. A pelo dell'acqua galleggiavano foglie gialle, brune e rossicce. Il tramonto era stato da tempo rinviato. Rimanendo in sospeso per aria.
La brezza a quell'ora stava diventando pungente. Gli dava un pizzicorino gelido sul volto. Il cavaliere appiedato si mise a frugare tra i propri pensieri e i propri ricordi. Mentre una canzone a mezza voce gli ronzava di dentro.
Molte volte era stata già rovesciata la clessidra per contare nuove ore di sabbia fine.
Era stato molte clessidre prima.
Su una barca seguendo il lento fluire dell'acqua, scendeva piano una ragazza vestita di tulle bianco. Si era alzato dal suo scranno di legno per scrutarne il profilo e i lineamenti.
«Aiutami, se puoi cavaliere… Navigo senza meta e senza sosta da millenni… Solo una formula magica potrà farmi interrompere questo vagare infinito…
La formula è fatta di due metà. La prima la conosco a memoria da sempre. L'altra deve dirmela chi vuole aiutarmi salvandomi…
Tu mi sei sconosciuto come volto ma mentre mi avvicino sento che sei proprio quello che doveva incontrare il mio scorrere lento.
Per poter fermare e annullare l'incantesimo, io ti dirò una parola. Tu me ne  dirai un'altra. Se le due parole saranno quelle giuste potrà iniziare il rito…»
Lui ripose nella bisaccia la sua pipa di schiuma bianca, dopo avere vuotato il cammino della cenere ormai spenta.
Sorpreso era sorpreso.
Ma da sempre sentiva il sapeva che qualcosa di nuovo stava maturando nell'aria e nel tempo. Serrò i pugni con forza. Strinse le labbra. Aguzzò lo sguardo. Il fiato divenne sempre più accelerato.
Di nuovo una prova. Avrebbe potuto anche rinunciare. Muovere i passi negli stivali alti calpestando il tappeto di foglie autunnali. Ritrovare il sentiero bianco di sabbia e di ghiaia.
Ma per andare dove? Aveva compiuto molte azioni e molte imprese. Ma di nessuna gli restava il gusto soddisfatto per averla compiuta.
Aveva incontrato uomini e donne, persone. Aveva scambiato parole. Aveva sorriso. Cantato. Ma i sorrisi e la voce erano lentamente sfumati via portati dal vento.
Mentre serrava i pugni che teneva infilati nelle tasche del cappotto, sentì che sotto le dita non aveva niente da stringere. Tanto valeva accettare la sfida che il fiume gli stava offrendo.
«Pronuncia dunque la parola e apri l'incantesimo. Accetto la sfida che il fiume mi propone.»
La brezza era diventato un venticello fresco e pungente. Faceva volare le ultime foglie. E si metteva a sibilare tra i rami. Come uno zufolo magico.
«Sussurra…»
Ma quale parola poteva fare amicizia e sposarsi bene con quella? Che cosa sussurra? Che cosa sussurra ora qui per me  e per la ragazza vestita di bianco?
1000 e 17 pensieri… 421 immagini… 46 parole… Gli turbinavano in mente ma nessuna riusciva a essere adatta… Nessun legava bene con quella pronunciata dalla ragazza dagli occhi di cielo… Mentre la barca si avvicinava sempre più…
Sussurra la canzone? Sussurra una favola? Sussurra il silenzio? Sussurra il mare?
Poi, d'improvviso, senza averla meditata, una parola gli sgorgò dal sangue, dal cuore, dagli occhi… E venne fuori da sola pronunciandosi da se stessa ...
«… La tua voce!»
SUSSURRA… LA TUA VOCE…!
Venature di lampi come piccole scosse elettriche e magnetiche fecero dei ghirigori e dei ricami nei cirro-strati e nei cumuli del cielo. Una soffusa luce arancione rimase per qualche istante sospesa nell'aria. Poi tutto tornò fermo.
La barca si era accostata alla riva. Il fondo della chiglia aveva raschiato morbido il bordo sabbioso del fiume.
La ragazza bianca di carnagione e avvolta in tulle candido allungò una mano. Lui le si accostò e l'aiutò a scendere.
Le due parti di parole si erano sposate. Ora cominciava il rito dell'incantesimo.
Reggendo la mano tiepida di lei mossero insieme alcuni passi verso il sedile rugoso di legno e di corteccia.
Sedettero a fianco. Silenziosi. Mentre il cuore pulsava ad entrambi nel petto e nelle tempie.
Lei tremava perché aveva sentito e intuito che forse era giunto il momento che attendeva da sempre.
Lui temeva che non sarebbe stato all'altezza. Troppe volte aveva commesso errori irreparabili. Sentiva venirgli da dentro all'altezza della giugulare dei fremiti che suggerivano la speranza. Cercò di essere coraggioso. Temerario. O quella volta, o mai più…
Il silenzio risuonava intorno e dilagava attento e insieme incerto e vacillante. Lo sguardo della ragazza era regale, principesco, sovrano… Azzurro più del cielo di primavera…
Quello del cavaliere buio e caldo come il più remoti recessi del bosco e dell'ombra.
Ciascuno dei due aspettava che l'altro cominciasse a inventare e a buttar fuori la formula magica.
Che infine risuonò all'unisono…
«Canta la canzone del sangue nelle vene…» Fu la prima metà che la ragazza profferì… E all'unisono mentre lei la diceva il cavaliere stava declamando:
«… E il canto non s'arresta mai perché è canto di vita!»
La mano bianca strinse ancora più forte afferrando quella mano robusta, forte e legnosa che aveva impugnato le armi della vita. Delle battaglie. Delle vittorie. Delle sconfitte.
La mano di legno accolse la piccola morbida tiepida mano fanciulla ...
Non  si sa, non è dato saperlo… O anche sapendolo non lo si può non lo si vuole dire cosa avvenne dopo…
La barca rimase arenata sulla sabbia e la ghiaia. Le foglie continuarono a galleggiare lentamente sul pelo dell'acqua verde. Il bosco si aperse per farli passare... C'è chi dice che trovarono subito una casina di legno e di tronchi d'albero. Che nel camino già stava crepitando la fiamma con un profumo di fumo di larice. Che rimasero lì per sempre… Oppure che poi ripresero il cammino.
Ma cosa importa mai? Ciò che era avvenuto prima si era disperso nella nebbia del passato.
Ciò che doveva succedere era accaduto.
Era cominciato il tempo.
Ogni istante presente muoveva piccoli passi per diventare lentamente il futuro…
La vita si era distesa. Ed era come una canzone infinita. Inarrestabile. Di sorrisi. Di silenzi. Di parole. Di fruscii sommessi. Di sfumati mugolii di piacere ...


«Gli ultimi popoli isolati, incontattati e sconosciuti.»CONFERENZA DI MAURIZIO l LEIGHEB

A PROPOSITO DELLA CONFERENZA DI MAURIZIO l LEIGHEB - martedì 20 novembre 2018. Fondazione Faraggiana. Novara.
«Gli ultimi popoli isolati, incontattati e sconosciuti.»
Una narrazione serrata, incisiva, molto ricca.
Mi è tornato in mente di quando avevo frequentato l'università cattolica di Milano: la l'antropologia culturale allora, là, si chiamava ancora etnografia. E non si trattava solo di un gioco di parole o di sfumature di significati. Il docente, che era un ecclesiastico exi missionario, guardava la disciplina per descrivere. Mi attraeva comunque la tematica. Ma riuscìi ad evitare di chiedere la tesi in quella materia. A un primo approccio mi rifilarono dei tomi immensi voluminosi, scritti in un francese arcaico… Descrittivi della vita e della cultura dei nativi americani nei secoli successivi alla conquista. (Che non era mai stata una scoperta dell'America ma una vera e propria brutale devastazione; impossessamento; sconvolgimento).
(Mi allontanai poi dalla etnografia di quella università cattolica, preferendo l'università statale di Torino, che usava l'approccio antropologico!)
Alcuni termini usati nella conferenza, li guardavo ancora abbastanza intimorito e con sospetto. "Conoscenza" di popoli che non hanno avuto assolutamente nessun contatto o pochissimi con il nostro mondo occidentale, malato, brutale e omologato… Il desiderio di conoscenza è in sé e per sé stupendo ed apprezzabile. Ma per conoscere chi preferisce non essere conosciuto e starsene tranquillo nel suo mondo in equilibrio, occorre probabilmente fare un atto di violenza. Quantomeno quello di costringerlo ad aprirti le porte. A farti entrare… E poi dopo la conoscenza c'è rischio che arrivi la conquista lo sfruttamento e il furto di territorio e di risorse. Molta narrativa ci aveva raccontato dei primi nativi di quel continente portati alle regge europee. Per essere guardate nei circhi!
Un altro termine: "pericolosi". Alcuni popoli possono apparire pericolosi all'occhio dell'esploratore, anche se quest'ultimo può risultare in buona fede. E tale pericolosità è intenzionale. Chi non vuole essere invaso, conquistato, soggiogato, messo in ginocchio, con tutti i mezzi che ha a disposizione cerca di apparire pericoloso. Anche se le frecce avvelenate, o la pratica dell'imbalsamazione e riduzione delle teste, o i bastoni per spaccare il cranio agli invasori, sono un'arma debole quando l'invasore arriva con i suoi mezzi militari terribili. Possono al massimo dissuadere l'esploratore.
Altre idee che mi sono venute in mente ascoltando l'amico Maurizio Leigheb.
La fascinazione che avevo avuto leggendo Malonowsky, che aveva scoperto nelle isole Trobriand nella Melanesia, un modello di società di tipo matriarcale… Senza la proprietà privata e perciò in una dimensione di tipo comunistico Che aveva fatto formulare una ipotesi a Backofen. Che probabilmente i nostri progenitori erano tutti passati da una società matriarcale. Divenuta poi a gestione maschile, con la introduzione della proprietà privata. Per garantire la stessa proprietà alla discendenza paterna. La disciplina non ha confermato il sogno che anche a me aveva molto affascinato.
Perciò a mio modo di vedere sie il termine conoscere, che quello di pericolosità, sono molto relativi e soprattutto hanno significato calibrati sull'osservatore e su chi li utilizza.
Un altro aspetto molto interessante, implicito nel meraviglioso panorama che Maurizio ci ha presentato, e che io allargo abbastanza ad una visione più ampia su tutto il pianeta.
Recentemente sentivo un archeologo, affermare che rispetto ai criteri passati, quando si scopre qualcosa si attende molto a lungo prima di andare a "esplorare e conoscere". Per il dubbio e il timore sacrosanto di rischiare di distruggere segni che non sarebbe più possibile in futuro magari con mezzi più sofisticati leggere e scoprire.
Collegato con questo ragionamento, quest'altro. Cancellate, rimosse, distrutte irreparabilmente, le sopravvivenze ancora presenti nei pochi isolati e rari casi civiltà ancora non studiate, potrebbero ad un'attenta analisi rivelare elementi essenziali per capire il nostro mondo la nostra realtà. Ogni elemento di conoscenza su rappresentanti del genere umano, come pure su qualsiasi soggetto vivente, è essenziale per capire quello che siamo noi oggi, qui, in questo mondo… Sia esso un dato relativo alle modalità di organizzare quella società. Sia pure ogni elemento antropologicamente culturale, come la struttura del linguaggio. E rimando, allo stupendo lavoro effettuato anni fa da Noam Chomsky, che sulla linea condotta precedentemente da Jan Piaget, per quanto riguardava gli elementi essenziali del pensiero umano e della sua genesi, teso a scoprire e a ritrovare gli universali linguistici.
Mi scuso, qui, con l'amico, meraviglioso esploratore e studioso Maurizio Leigheb, se mi sono permesso queste notazioni. Penso sempre che ogni forma di comunicazione, compresa quella che lui ci ha regalato ieri sera e ci ha offerto, possa e debba essere sempre una occasione di riflessione per ulteriore conoscenza.
Solo qualche notazione conclusiva.
Ho apprezzato particolarmente l'approccio epistemologico e disciplinare seguito.
La diversità è ricchezza. Non anomalia o devianza.
La xenofobia invece è devianza patologica.
I popoli che ancora posseggono segreti di conoscenza per noi, vanno assolutamente preservati, protetti, non invasi da una curiosità consumistica… Hanno nella loro struttura sociale umana e culturale, una estrema ricchezza, originalità, autosufficienza. Che va salvata. Protetta. Custodita come un bene prezioso. Difesa dalla massificazione del pensiero omologato dominante. La speranza, come sempre, è l'ultima a morire. Voglio sperare insieme agli uomini e alle donne di buona volontà, e di cultura, che dallo studio del passato, del costume, e dell'esistente possono venire lezioni significative!
Grazie a Maurizio Leigheb e alla fondazione Faraggiana.
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web

sabato 17 novembre 2018

Recensione "QUEL CHE L'ACQUA NASCONDE".


Recensione allo spettacolo di ieri sera a San Maurizio d'Opaglio.

Non te l'aspetteresti forse…! Eppure, in un piccolo teatro di un paese del lago d'Orta, San Maurizio d'Opaglio, io continuo ad assistere sempre più a spettacoli di altissimo livello.
È di ieri sera: "QUEL CHE L'ACQUA NASCONDE".
Un racconto teatrale molto serrato, senza pause, che non ti lascia tirare il fiato, trascinandoti all'indietro, negli anni 70.
Con la struttura del thriller, ma che non vuole e non può essere assolutamente fine a se stesso.
Rimando per la trama, a quanto in modo esaustivo compare nel Web.
Ho inutilmente cercato tre miei scritti anche quelli pubblicati in passato da me qui in FB: non ho trovato riflessioni che già avevo buttato giù. Tanto vale quindi riscriverle daccapo.
A cavallo dell'esperienza politica del gruppo di "il manifesto" di Novara, si intreccia quella del "Circolo Rosa Luxemburg". Io allora ero un giovane insegnante molto precario, e mi arrampicavo nelle valli dell'Ossola con treni e altri mezzi per fare il professore…
Il pendolarismo, per quanto molto pesante faticoso, mi permetteva di frequentare il circolo.
I ricchi e vivaci fermenti che vi taglieggiavano allora la vita culturale e politica, anche nella piccola città di provincia di Novara, avevano permesso di affondare l'attenzione sulla realtà manicomiale. Mi limito a raccontare flashes ed episodi.
Con competenza meticolosa, come pure stava avvenendo in molte parti del paese, e nella vicina Torino, era venuto alla luce la realtà del lager di viale Roma. Gran parte dei pazienti ivi reclusi, era risultata non affetta da patologie mentali tali da giustificare la detenzione pseudo curativa. Dal racconto che ne sentii in situazioni pubbliche, non era raro ma molto frequente che molte e molti ricoverati ci si fossero trovati senza motivo. Fin da bambini a volte. O per lievi disturbi comportamentali. Con le motivazioni allora narrate, di secondi fini… Motivi economici, beghe familiari, interessi legati all'eredità…
Il fenomeno emergente di quel tempo di cui parlo, era quello legato alla terapia del lavoro. "Ergo terapia". Lavoretti seriali venivano imposti come forma di cura, spesso a tempo pieno, senza quasi nessuna retribuzione. Giustificando ciò con il mantenimento nel nosocomio.
Per farla breve, ricordo in particolare una serata pubblica nel salone dell'arengo cittadino del Broletto. Moltissimi, serrati, appassionati e sofferte interventi. Di chi forniva dati, argomentazioni, o narrava i propri vissuti personali subìti là.
Al termine della serata, un nutrito e consistente gruppo di aderenti al circolo, decise di muovere nel cuore della notte, verso il manicomio. Il percorso fu in gran parte compiuto correndo, e scandendo lo slogan: "ERGO TERAPIA-CARNE UMANA".
Una delegazione riuscì a farsi ricevere dal primario e direttore.
Poi gli eventi portarono alla legge Basaglia. Innovativa è rivoluzionaria quanto castrata e orfana. L'abolizione e la chiusura delle strutture manicomiali, non ebbe seguito con quanto necessario, opportuno, indispensabile: creazione sul territorio di supporti, ambulatori, consultori o case famiglia adeguati. In ciò, nulla di diverso da quello che avveniva nel resto del paese.
Unica voce che si levò nel dibattito serale, fu quella di un insigne psichiatra. Ora affermato e brillante curatore di testi non solo specialistici. Ricordo le sue parole, pronunciate con voce stentorea, non certo a contrastare il caso che la protesta, ma piuttosto a proporre di non fare di tutta l'erba un fascio.
"Signori, badate bene, nonostante la grande verità che ora emerge, non dimentichiamo che: LA SOFFERENZA PSICHICA ESISTE!"
Già da ragazzo, ero stato alcune volte nei rari momenti in cui trascorrevo qualche giorno a casa rispetto alla istituzione in cui vivevo in quanto orfano di padre, ad accompagnare mia madre. Brillante soprano per cinque anni al Teatro alla Scala, rimasta vedova, dava lezioni private al pianoforte di casa nostra, di "bel canto". Aiutando gli appassionati della lirica a sviluppare la propria passione e le proprie doti, con l'impostare la voce sui fiati secondo il metodo Garcia.
Ogni tanto, quando poteva, gratuitamente, andava al manicomio di Novara a trovare "quei ragazzi". Con i quali faceva musica. Musicoterapia.
Qualche volta mi aveva portato con lei.
Al confronto con l'orfanotrofio dove vivevo, e che già mi sembrava terribile, quel luogo che doveva essere di cura mi spaventò!
Su un'ampia area sorgevano palazzine che ricordavano molto la disposizione delle baracche nei lager di sterminio nazisti. Fortunatamente in muratura. I soffitti bassi dei locali. Imponenti e massicce inferriate a tutte le finestre. Volti miserevoli, profondamente onesti e tristi. Frutto delle cure prevalenti che sentivo descrivere, per l'elettroshock. E per le iniezioni di zolfo come dicevano i poverini. Ricordo in particolare uno di loro. Lo chiamavano Nicolino. Abitualmente vestiva con giacche malandate, ostentando però al collo un numero infinito di cravatte… Appena mia madre arrivava le andava incontro. "Ciao, professoressa, che ho portato un regalo…" E pronunciava “poesoressa”, con voce tremante e sguardo che navigava intorno. E metteva nelle sue mani fogli di carta su cui aveva vergato grafemi incomprensibili…
L'ambiente di questi incontri veniva sorvegliato da massicci infermieri armadio, che alla cintola,  sopra il grembiule bianco, avevano una cintura con appesi sonanti e minacciose mazzi di chiavi.
Più di una volta avevano rivolto un rimprovero burbero anche a Nicolino: "stai attento tu… Non avvicinarti troppo…"
Mia madre dolce, gentile e accogliente, cercava di tranquillizzare il severo guardiano…
Ieri sera, al TEATRO DELLE SELVE, di San Maurizio d'Opaglio, ho rivissuto mentalmente quei ricordi… Soprattutto quando nella narrazione teatrale venivano descritti gli spazi, gli ambienti, la contenzione, i corpi ignudi, bambini e bambine legati ai termosifoni o ai letti…
Dentro gli episodi che venivano dolorosamente portati alla luce, riuscivo a vedere dei flashes che avevo già vissuto. Per quanto io avessi avuto da ragazzo la fortuna di vederli nei momenti ufficiali, di rappresentanza, formali… Ma le brutalità le avevo intuite, immaginate, temute…
Non ho appurato se il romanzo di Alessandro Perissinotto da cui venne tratto il lavoro teatrale si basava su un particolare oggettivamente localizzabile. Parlava di "villa azzurra" nel manicomio di Collegno…
Spesso nella narrazione i connotati i nomi e i luoghi vengono intenzionalmente modificati. Lasciando viva autentica profondamente vera la sostanza narrata!
Noi del circolo Rosa Luxemburg ci eravamo limitati al dibattito pubblico, acceso, appassionato, seguito poi dalla marcia a passo di corsa urlando lo slogan… Al colloquio col primario… Al volantinaggio della città sulla vergogna manicomiale…
Non ricordo di aver ascoltato situazioni analoghe a quelle che lo pièce teatrale ha portato alla luce ieri sera. Il che non significa assolutamente che non esistessero, che non ci fossero, che fosse un piccolo eden dove al massimo venivano sfruttati i pazienti…
Nella vicenda ambientata a Torino, alcune vittime, si erano organizzate in una vendetta… Mescolando la propria giusta protesta alle modalità dei brigatisti rossi.
"LA SOFFERENZA PSICHICA ESISTE"!
Ma forse non bisogna dimenticare che anche la sofferenza, i maltrattamenti, le brutalità nei confronti dei sottoposti, adulti o meno che fossero, ESSA PURE ESISTE!
È esistita. Ha lasciato le sue ferite e le sue cicatrici. E anche nel nostro bel paese, sommersa, nascosta, celata e clandestina, forse sta ancora covando, chissà dove.
Prima o poi emergerà!
Un grazie sentito a Franco Acquaviva per avere offerto questo stupendo spaccato di quasi cinquant'anni fa. Agli attori meravigliosi. Alla regista Ivana Ferri.
A tutti noi che ci siamo stati. Abbiamo assistito. Abbiamo partecipato.
Una vera autentica opera d'arte, sia essa poesia, narrazione, pièce teatrale, composizione musicale, grafica o figurativa, perché possa a ragione e con diritto definirsi tale, deve riuscire a farvi vivere profonde autentiche emozioni!
In un piccolo teatro di un piccolo paese del piccolo lago d'Orta, in provincia di Novara, tutto questo è avvenuto ieri sera. E avviene frequentemente.
Non basta a definire teatro, poesia, narrazione, un qualcosa… Non basta l'aspetto formale esteriore. Quello è solo un contenitore! Ieri sera il contenitore era impeccabile, stupendo, è perfettamente adeguato al contenuto! GRAZIE!