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sabato 26 agosto 2017

CERCO IL TUO SORRISO


Nanni Omodeo Zorini




“CERCO IL TUO SORRISO….”




"Io desidero il mio desiderio, e l'essere amato non è altro che il suo accessorio.”

"Valgono più gli inganni della soggettività che le verità della oggettività. "

" La vita è fatta di piccole solitudini.

Roland Barthes


  1. IL MERCATINO (INTRODUZIONE)
Era stato mentre si faceva il secondo caffè che gli era venuto in mente.
- Sì, dev'essere oggi,- si era detto.- è ben oggi la terza domenica del mese, no?-
Un riempitivo per questa giornata. Da qualche giorno gli sta girando un po' male.
Non ha voglia di vedere gente. E si riduce a girarsi addosso, a volte senza scopo, così...
Tutto funziona bene finché insegue i percorsi obbligati che si è costruito prima, per il lavoro.
A volte sono soltanto delle scalette mentali, degli algoritmi di passaggi concatenati.

"Alle otto e venti versare l'assegno e prelevare col Bancomat. Trecento possono bastare questa volta.
Alle nove raccomandata. Meglio a piedi o in moto; non c'è mai posto per parcheggiare.
Comprare un po' di affettati al mercato; se ci sono, le arance da spremere.
Se ti va anche un'arringa; o dei salami della duja.
Ritirare le giacche estive alla lavanderia. Dove avremo messo lo scontrino?
Se la lavatrice ha già finito, possiamo stendere.
Mentre aspetti, al massimo, portiamo giù la differenziata; il sacco grande azzurro della plastica e anche un sacco di bottigliette accartocciate e contenitori...
Telefonare avvocato; sollecitare.
Riagganciare quel tipo che ci ha cercati settimana scorsa. Lui non sapeva ancora cosa voleva. Ma lo sappiamo noi..... per fargli un sito di una cavolata, no?
Rassicurare la madama di Milano; mercoledì è tutto pronto... Cercarle intanto un template adeguato…"

Aveva fatto fare un quarto di giro alla manopola del filtro, dopo aver riempito la vaschetta di miscela scura di caffè macinato. Appena si era accesa la lucina verde del "pronto" l'aveva premuta. La crema di caffè aveva cominciato a colare lenta sul cucchiaino colmo di miele posato nella tazzina.
Era una tazzina di porcellana translucida leggerissima. Dalla forma elegante da tazza da tè. Solo che era più piccola; molto più piccola. Sul bordo panciuto tre sbuffi delicati di azzurro facevano immaginare un cielo; due costruzioni a pagoda con accanto la ruota a pale di mulino ad acqua; due ciuffi di tratti stilizzati, uno verde acqua e l'altro castano, stavano uno di qua e l'altro di là come due boschetti sospesi; una raggiera di piccoli tratti rosso vivo voleva lasciar immaginare un'alba o un tramonto; un filo dorato stava in equilibrio quasi sull'orlo...
MADE IN JAPAN, diceva il rosso ruggine sul fondo.
Un residuato dell’arredamento e delle suppellettili di sua madre.
La crema di caffè colava densa con il suo colore ambrato, lasciando in sospensione una schiuma soffice e spessa. Stillando lenta andava a mescolarsi col miele che scioglieva.
-Certo, mi pare una buona idea, magari compriamo qualche cazzatina. Oppure può darsi che incontriamo qualcuno. Sì, usciamo un po' da questa tana...-
Si era detto spalmando con la lingua contro il palato il gusto saporoso della sua droga da sveglia. Prima del terzo ed ultimo caffè si era proiettato l'immagine mentale di quel che avrebbe visto di lì a poco; pregustandolo.
Il grosso cetaceo della CX Pallas si era subito risvegliato con leggeri gorgoglii e vibrazioni. Lentamente si andava sollevando alla sua altezza da crociera. Girò la manopola sul gpl. Con un morbido sciacquio silenzioso il capodoglio bianco si mosse.
Piazza Donatello.
Più che una piazza quello era come un immenso parcheggio inutilizzato...
In mezzo passava un'ampia strada. Sul lato verso mezzogiorno un modesto parchetto giochi, e dietro la rete metallica verde di un campo da calcio macchiato da un’alopecia nel fondo erboso...
Sotto l'ampia e alta tettoia di ferro ruggine erano già stati disposti dei banchi. Salumi, capicolli, formaggi tipici (di dove? di qualche non meglio definita località del sud...).
- Avanti! Avanti! Dai che sono gli ultimi...-gridava quel tipo tutto il tempo prima ancora di aver terminato di montare il banco-Avanti che sono gli ultimi!-
Altre bancarelle, formate da tavole di multistrato riciclate, poggiate su cavalletti. Erano un miscuglio fra il rigattiere e il robivecchi, con qualche pretesa di antiquariato.
Per lo più masserizie e paccottiglia di oggetti dismessi…
Molte altre bancarelle, più o meno dello stesso tipo.
Davanti al parchetto giochi stavano cominciando a montare bancarelle di fortuna. Qualche volta sotto ombrelloni quadrati o gazebo di tessuto sintetico bianco e verde.
Attigua alla tettoia ruggine dove i “prodotti tipici” erano sempre sul punto di terminare, c’era la postazione dell’Assopace.
Poco più indietro infatti stava ergendosi e prendendo forma un ampio gazebo bianco.
Alla spicciolata arrivavano auto che si fermavano depositando altre cassette e scatoloni.
Da questi ultimi uscivano, da imballaggi di fortuna di carta di giornale, la paccottiglia che avrebbe riempito i tavolati già posati.
Federico riconosce alcuni compagni: Massimo; Ruggero; Paolo, Emma, Guido, che stanno scaricando dalle proprie macchine.
Qualche volta c’è andato anche lui a dare una mano.
Massimo mette a disposizione un box doppio inutilizzato, dove un po’ alla volta vengono stipati libri, e oggetti vari, recuperati quando si liberano le abitazioni delle cose divenute inservibili. I libri sono una raffinatezza. Si decide di metterli a disposizione per fare un’azione utile e promozionale alla lettura, e insieme, contribuire alla raccolta fondi. Massimo tiene i contatti anche col coordinamento nazionale dell’Associazione, inviando i fondi per una scuola materna nella striscia di Gaza.
Ruggero sta sfogliando alcuni libri, mentre li dispone nelle cassette di plastica della frutta che stanno distese su un telo posato a terra.
Cerca di distribuirli per generi e tipologie.
Ecco, nelle cassette di plastica nere e verdi di diverse forme e colori stanno già esposti alla vista dei libri.
Paolo ed Emma mettono a disposizione un ampio monovolume e sorridono sempre con molta serenità e dolcezza.
Guido è addetto al gazebo. Conosce alla perfezione le complesse modalità per il montaggio. Dove manca un fermino per bloccare i bracci sistema dei mozziconi di matite Ikea. Ha una voce immensa baritonale e vibrante.
La gentilezza e la dolcezza contraddistinguono tutti quelli che fanno volontariato qui; in coerenza con l’appartenenza all’Associazione per la Pace e il Disarmo.
Parcheggiato il flessuoso transatlantico galleggiante, Federico si avvicinò a passi lenti…
Ogni volta veniva colpito dal frastuono e dalla cacofonia delle forme, dei colori e dall’estrema eterogeneità degli oggetti che prendevano posto.
Bicchieri, piatti scompagnati, tazzine, fohn, soprammobili (biciclettina di ottone con orologino, portaconfetti in peltro, …) giacche a vento sformate, vasi kitsch, portatovaglioli, posacenere, cestelli giunco e bamboo, giochi Pokemon, vasi di rame fintoantico, di peltro, terracotte seriali, bamboline in costume, vecchi lettori CD, macchine per la pasta…
Questa variegata oggettistica da sgombero-appartamenti sta sistemata sui banchetti di fortuna.
Elise, una giovane donna africana, si occupa di distribuire con criterio i vari generi.
Federico ci passa occhiate rapide, radenti, panoramiche dissonanti in dissolvenze incrociate a volo d’aquila, che ripartono da capo ogni volta. Per fermarsi con colpi d’occhio ammiccanti, subito spostati più in là, in una ricerca continua di un qualcosa che forse non c’è…
Una brocca di peltro che sembra più vecchia; un cestello di  bambù per cuocere a vapore; un’anfora di creta; uno zaino di cuoio…
Poi, mentalmente, prende degli oggetti per costruirci intorno un contesto abitativo e figurarselo.
Un servizio incompleto di cinque calici con dipinte fanciulle danzanti; immensi piatti da pizza “da Gennaro” dai colori eccessivi; un portacenere di ceramica sbeccato con la riproduzione naif del santuario di Oropa; una bambolina di finto biscuit vestita da Ollie Hobby…
Riesce quasi a vedere la casa che ospita questi oggetti; ce li dispone con cura; li guarda compiaciuto e ne sorride dentro.
Dopo avere prodigato perlopiù occhiate pietose, l’osservatore si sofferma con curiosità su qualche oggetto in particolare, provando a immaginarselo nel proprio contesto abitativo, in mezzo al proprio arredo, oppure inventandogli intorno dei mobili, una casa, con una qualche congruenza.
Ecco, dice, questo candeliere di ottone lo potrei collocare sull’etagère in salotto; i due cestini di giunco li posso appendere sulle pareti della scala che va in mansarda; questi bicchieri verde smeraldo non sono proprio così brutti, li posso aggiungere ai miei anche se sono solo cinque.
Ci sono delle bamboline di ceramica, accanto ad altre di stoffa; non starebbero male insieme a questo orologino di metallo a batteria a forma di bicicletta; e anche questo bruciaincensi… Starebbero bene in una casa di una donna, pensa. E se li fotografa mentalmente. Ci mette un contorno di arredi analoghi e congruenti. Non riesce a vedere il volto della ragazza. Ne percepisce però la consistenza olfattiva, il tono e i modi decisi, un po’ bruschi. È una single. Capelli corti; jeans e maglioni di lana grossa; un giubbottone impermeabile che non contrasta con la sua femminilità. Senza riuscire a definirne ancora i lineamenti, sente, così, a fiuto, che nasconde un’anima molto femminile. Ne riesce quasi ad intravedere le forme, sotto l’abbigliamento casual. Decide che ha un bel nudo, sotto…
- Beh, per questi oggetti, diciamo… dacci cinque euro; va bene? Ti pare troppo? – propone Ruggero.
Elise gli lancia un’occhiataccia. Forse lei avrebbe proposto sette euro. Gli uomini non ci sanno fare, pensa. Ma, ugualmente, sorride a Federico, con i suoi denti bianchissimi e ritira il bigliettino dei cinque euro in un cestinetto.
- Vuol dire che hai fatto un affare- soggiunge scherzosa.
A lui richiama alla mente il tempo ormai lontano dell’insegnamento. Nei corsi Polis.
C’era concentrata lì una strana umanità.
Gruppi maschili ammiccanti al passaggio di qualche figura femminile. Erano di quelli che nel contesto cittadino vengono guardati un po’ con sospetto. Avevano l’aria un po’ malmessa e trascurata. Si capiva, però, dal suono delle loro conversazioni, che avevano un tono bonario.
Brasiliani di colore e africani; amerindi e cinesi. Poi c’erano gli italiani che cercavano di recuperare un diploma. Ragazzi e ragazze esclusi dalla scuola quando l’avevano frequentata; lavoratori studenti.
Una vasta e ricca umanità.
Sulle prime ci si era sentito un po’ a disagio. I preconcetti che aveva creduto di non possedere gli erano ormai entrati nella pelle attraverso i pori e l’aria che respirava. Razionalmente sapeva esorcizzarli e neutralizzarli. Ma, a pelle, percepiva un senso irrazionale di disagio e di sospetto.
Era un fatto “di pancia”. Come i vaniloqui dei politici e dei media xenofobi. Diventavano sempre di più luoghi comuni. Anche dei suoi conoscenti dicevano: -Tu lasceresti la tua casa aperta con gente così? Andresti ad abitare nei quartieri dove ci sono loro? Saresti tranquillo a lasciare giocare i tuoi figli con questi qui? -
Spesso lui si inalberava. Ne nascevano discussioni appassionate. Ci si accalorava. Gli veniva la voce alta che saliva di tono. Ne usciva come dopo un duello, col fiato grosso.
Ma si vede che il tarlo aveva già scavato piccole gallerie minuscole iniettando una dose sottocutanea del morbo. Il virus stava silenzioso in incubazione.
Impercettibilmente creava irriconoscibili predisposizioni. Non te ne accorgevi quasi, eppure eri pervaso anche tu da un vago senso comune. Tu come tutti gli altri, d'altra parte.
Di testa, solo di testa però, te ne sentivi immune. Ma eri immerso anche tu in una logica che altri, altrove, avevano già preconfezionato. Bella pronta. Prêt a porter. Ce l’avevi addosso senza quasi accorgertene.
E c’era un bel lavorarci di testa, per cercare di ripulirsi da quel fango.
Bastava forse sapere che in un remoto passato una specie umana si era formata in Africa migrando poi progressivamente per tutto il mondo? In Etiopia, nel ’74 gli archeologi avevano rinvenuto i resti di un esemplare di femmina adulta, vissuta almeno 3,2 milioni di anni fa. Che venne chiamata Lucy, dal titolo di una canzone dei Beatles.
La nostra progenitrice Lucy è africana; è l’antenata anche di noi italiani; anche di quelli che deridono i “voccumprà” improvvisando improbabili teorie razziali di superiorità del bianco ariano. Quelli che vogliono prender loro le impronte delle mani e dei piedi, che li vogliono ghettizzare in classi speciali a scuola e nei lager dei centri di prima accoglienza. Almeno quelli che sopravvivono alle marce nel deserto, ai campi libici, alle autocisterne e ai gommoni….
Bastava forse sapere che non esiste alcun fondamento alle teorie della predominanza del patrimonio genetico sugli umani, rispetto alle influenze ambientali?
Tutto nasce dalla paura di ciò che è diverso. E questa paura finisce per diventare intolleranza e discriminazione. Un altro passaggio, successivo  è quello di considerare il diverso come inferiore.
L’Associazione Psichiatrica Americana, nel “Manuale diagnostico e statistico dei disordini mentali”, colloca questo comportamento tra le fobie, quelle intense ansie che possono prendere in presenza di immigrati o di persone in qualche modo diverse, e le definisce come delle vere e proprie forme di patologie.
Sì, di testa. Ma bisogna prima avercela una testa e usarla per raccogliere informazioni e conoscere.
Ma di pancia? I sentiti dire, i “tutti pensano/dicono che”, i ”ma cosa mi venite a raccontare”… insieme alla incultura, alla manipolazione della informazione e alla malafede…
“Il silenzio della ragione genera mostri”.





2          IN 25.000!


FEDERICO

<<Non c’è bisogno della sveglia; mi sveglio sempre così, ogni mattina; più o meno alla stessa ora. Alla radio è già iniziata la lettura dei giornali a “Prima pagina”.
Non ne sento notizia. Eppure ho ancora la testa piena della giornata di ieri. Milano pullulava di volti stranieri e sorridenti.
Molti volti dalla pelle scura con caratteri somatici di varie etnie. Capelli ricci, tagliati cortissimi, rasati. Su tutti si stagliava il biancore luminoso degli occhi e dei denti in sorrisi ampi e pieni di speranza.
Capelli nerissimi e lucidi di asiatici e latinoamericani con occhi variamente a mandorla.
Colorito scuro, capelli pure nerissimi e profondi sguardi calmi negli indiani e indonesiani.
Molto simili a quelli mediterranei dei nostri meridionali degli anni cinquanta,con le loro valige di cartone legate, i profili degli arabi.
Sguardi puliti.
Rari gli slogan rituali dei decenni passati, ritmati e cadenzati con la rima.
Su tutti dominava invece una cadenza rituale o tribale dei senegalesi:salsaué-aué-aué-aué;", cadenzava mentre tutti saltavano. Dopo una piccola pausa: "aué-aué", "aué-aué", "aué-aué", ripetuto all'infinito.
Ho ancora nel naso e addosso ai vestiti l'odore forte delle torce e delle nuvole di fumo colorato...
Non è possibile che tutto questo sia sfuggito alle prime pagine dei giornali…
Mi guardo allo specchio ammiccando con intenzione. La lucina azzurra della lampadina a basso consumo mi cade addosso fredda.
Sento ancora un groppo in gola e nel cuore alle parole che in piazza Cairoli accolgono la massa multietnica che vi si sta riversando. È una donna peruviana. Parla con voce accorata e vibrante.
"Da 20 anni lavoro qui; ci abito con la mia famiglia; ci pago le tasse; non è possibile che questa non sia la mia terra; chi come me è venuto da un'altra terra non ha più là la sua patria; la tua patria e dove vivi e lavori. Qui nessuno è senegalese, peruviano, cinese o italiano...
Oppure tutti siamo senegalesi, peruviani, cinesi e italiani...
La nostra diversità e varietà di volti, di lingue, di culture è una ricchezza per tutti. Qui nessuno è immigrato o clandestino; tutte le nostre differenze sono la nostra e la vostra forza... La nostra diversità non è un errore, è una ricchezza".
Poi parla un giovane dalla pelle scura e i capelli ricci. Un leggero accento straniero in un linguaggio forbito e raffinato, pieno di sfumature sapienti e garbate. Ricorda che tempo fa venne accoltellato per la sua diversità... Non condanna e non giudica; prova affetto e pietà...
“Il 31 maggio scorso, alle otto di sera, un giovane senegalese (musicista, attore, mediatore culturale, lavora da anni all'ufficio mondialità del Pime, racconta nel monologo) viene aggredito alla fermata dell'autobus e accoltellato.
"Un colpo dal basso in alto, portato per uccidere. Lui grida, si accascia, tutti sentono, vedono, tutti scappano, nessuno aiuta, nessuno soccorrre -prosegue il monologo-. Invisibile. Abbandonato. Per troppo tempo. Un altro colpo. L'aggressore si allontana indisturbato. Finisce  in ospedale". Racconta la cronaca.
Scrosciano applausi immensi.
Ognuno di questi afflati di umanità tenera e dolce fanno sentire un groppo alla gola; viene voglia di piangere.
Lo specchio del mio bagno rimanda ora la mia immagine che mi osserva.
Insieme a lei ripeto:"salsaué-aué-aué-aué",”salsaué-aué-aué-aué","salsaué-aué-aué-aué"... Poi parte il ritornello: “aaaué-aaaué-aaaué…”
Un giovane africano alto e dinoccolato con il cranio rasato e affusolato alla mia richiesta ha cercato di spiegarmi ieri che la nenia significa qualcosa come: c'è qualcuno che davanti mi fa una faccia atteggiata a gentilezza, ma falsa, e che poi farà il contrario...
Mi accorcio la barba soffiando sul rasoio ogni tanto per far cadere la peluria che vi si accumula. Fra poco dovrò tornarci a Milano per un appuntamento con un cliente.
Immagino i volti che incontrerò in metropolitana; le strade ed il traffico sempre uguali. Sarà rimasta qualche traccia della grande giornata di ieri?
Il caffè con la sua schiuma dorata riempie la tazzina. Mescolo col miele.
Ieri è avvenuto un rito molto importante, carico di significato simbolico, liturgico.
Hanno ancora valore questi rituali forti in quest'epoca di manipolazione strumentale dei fatti e della realtà? Il suadente dittatore mediatico riuscirà di nuovo a raccontare le sue menzogne dagli schermi colorati che domina? Lui che ha esorcizzato il suo ruolo di "grande fratello" attribuendo quell'espressione ad uno squallido gioco per vip in cerca di fama?
I ragazzi e gli anziani miei connazionali che ieri saltavano e scandivano con me riusciranno a restare immuni dal morbo edulcorato che viene elargito a piene mani, frammezzato e intercalato all'ottimismo pubblicitario degli schermi?
Riusciranno a contagiare con la verità autentica dei fatti i loro vicini di strada con cui mescolano i percorsi della loro vita? Riusciremo, tutti, a non diventare anche noi “rinoceronti”?
Chiudo le mandate della serratura e mi immergo nel mondo funambolico che si dipana fuori come sul "filo del rasoio">>.

Federico si è avvicinato all'ascensore oleopneumatico. Preme il pulsante di chiamata. “Din din”, segnala appena è arrivato al piano. L'immenso specchio gli rimanda la sua immagine che sta andando incontro a lui che entra.
Preme il pulsante meno uno.
Infila il casco integrale e i guanti di pelle impermeabili. La porta basculante del box si richiude. Inforca il suo Gran Dink argentato.
Clic, il telecomando accende la luce arancione intermittente e il cancello, vacillando, apre i doppi battenti.
Mentre lo scooter si affaccia alla strada, controlla nella tasca la protuberanza dello smartphone; poi quella del portafogli nella tasca interna del giubbotto di pelle anticata. Mica da averli dimenticati, da dover ritornare a prenderli.
Il piazzale della stazione é invaso da una fittissima selva di biciclette. Ci sono mountain-bike, bike-city, vecchie biciclette dalla vernice graffiata. Stanno dritte o un po' inclinate alle rastrelliere. Legate con catene e lucchetti. Di testa e di coda.
Intervallate, ogni tanto, da qualche carcassa di bici ancora legata, alla quale hanno sottratto le ruote, il sellino, il manubrio…
Poco più in là ciclomotori, scooter e maxi scooter. Qualcuno coperto col telo protettivo.
Trova uno spazio in cui infilarsi. Lega il casco con l'anello sotto il sellino. Infila i guanti nel gavone. La catena semi rigida, ricoperta da una guaina di plastica rossa, infilata tra i raggi della ruota posteriore. Sembra la spina dorsale di un grosso serpente.
All'edicola vorrebbe comprare il manifesto, ma non esce il lunedì.
Come sempre alla ricerca di una obliteratrice che non abbia la scritta "fuori servizio".
Ce n’è una che da un anno e mezzo è perennemente fuori servizio... . È   collegata alla corrente, e ha la scritta accesa. Non funziona abitualmente, sta lì e basta…
Riemerso dal sottopassaggio si avvia a lunghi passi in fondo alla pensilina, al di fuori della tettoia, in direzione di Milano.
Qualche boccata amara di fumo dal cannello della pipa. Soffia via tra le labbra e la lingua un granello di tabacco carbonizzato. Già dopo i primi tiri si accorge di non provare piacere a fumare. Da settembre avrebbe dovuto smettere. Ma erano successe tante altre cose e aveva finito per accantonare il proposito.
Grandiosa la giornata precedente.
Mentre aspetta che la lunga massa verdastra sferragliante mantenga la promessa annunciata dagli altoparlanti, lui passeggia a lunghe falcate fin in fondo alla banchina. Avanti e indietro. Passando accanto alla panchina di granito lucido getta uno sguardo distratto alle persone sedute. Una donna massiccia dalla pelle nerissima e lucida; una ragazza opaca sta accanto ad un'altra molto graziosa, assorta nella lettura di un romanzo, gli auricolari dell'MP4 giustificano il leggero ondulare cadenzato del capo.
Girati nell'altro verso tre giovani che si direbbero balcanici. Uno di loro porta un giubbetto di finta pelle color tabacco, segnato da aloni grigi, tracce evidenti dell'uso prolungato. Gli altri due indossano anonime giacche a vento di colore blu. Qualche folata dei loro discorsi giunge ovattata e incomprensibile. Insieme alle ondate di fumo di sigaretta, acre, amaro, fastidioso.
Un uomo alto, con il cappello a larghe tese passeggia come lui avanti e indietro, in attesa del convoglio. Lo incrocia qualche volta.
Oltre la colonna massiccia e squadrata che regge la pensilina qualcuno sta arrivando a passi lenti, curiosando con gli occhi chi incontra. Con lo sguardo fisso nel vuoto che le sta davanti, una figura femminile slanciata, sta avvicinandosi. Evita accuratamente qualsiasi contatto visivo. Timorosa, riservata, sicura delle onde d'interesse che attira. È unica, esclusiva, sola nel suo microcosmo.
L'annuncio arriva insieme alla massa verdastra, rammentando di non attraversare i binari, di non salire o scendere prima che il treno sia perfettamente fermo.
“Si invitano i signori viaggiatori a non oltrepassare la zona delimitata dalla linea gialla”.
Federico ha in mente gli annunci di quand'era ragazzo che invitavano a non attraversare i binari, a servirsi dei sottopassaggi, a non gettare oggetti dai finestrini...
Nota un'evoluzione nel costume degli italiani di vivere le stazioni e i binari.
Ma è soprattutto nelle parole che il tempo lascia i segni del suo trascorrere. Le "ferrovie dello Stato" sono diventate "Trenitalia", i viaggiatori sono diventati i signori clienti, i treni sono materiale rotabile... Con breve cigolio il materiale rotabile alla fine si ferma e i clienti di Trenitalia, rispettosi, aspettano che si aprano le portiere; prima lasciano scendere chi arriva e infine salgono.
Qui ci sono due posti ma in senso inverso alla marcia. Là un posto sarebbe buono ma non ha voglia di chiedere di spostare la borsa che ci sta appoggiata. Questo va bene.
Lui ha lasciato libero lo spazio verso il finestrino, perché ha notato che ci sta battendo il sole.
-Scusi, è libero?- chiede con tono amorfo una voce femminile.
-Certo, ma c'è il sole.- aggiunge lui cercando occasione di colloquio.
Un leggero mugolio di assenso, che lascia cadere, freddo e distaccato ogni possibile approccio verbale.
Ora la voce femminile ha aperto un libro foderato di plastica trasparente che recita sulla copertina : "neuropsicologia".
Federico ha subito aperto il file mentale sull’argomento.
“La neuropsicologia, nelle neuroscienze si caratterizza per il suo obiettivo di studiare i processi cognitivi e comportamentali correlandoli con i meccanismi anatomo-funzionali che ne sottendono il funzionamento.
Condivide il punto di vista del processamento dell'informazione della mente tipico della psicologia cognitiva (o cognitivismo) e si basa sul metodo scientifico.
La neuropsicologia ha aree di sovrapposizione con la psicologia, la neurologia, la psichiatria e le reti neurali.
Ha compiuto i primi passi sull’onda delle scoperte della neurochirurgia, che metteva in relazione le varie modalità della funzionalità cerebrale con i traumi conseguenti ad incidenti o ad asportazioni per neoplasie.
Aveva poi creato relazioni e connessioni con la cibernetica, la scienza che studia i fenomeni di autoregolazione e comunicazione, sia negli organismi naturali quanto nei sistemi artificiali. A cavallo tra chirurgia, informatica, robotica e scienza della comunicazione.
Poi c’è tutto il discorso sui neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. “
Ora lui è pronto; aspetta solo l’occasione per buttar lì una battuta con noncuranza…
Ma è distratto dalla operatività maniacale della fanciulla. Lei ha ora estratto da un piccolo astuccio a cerniera un segnalibro verde di plastica rigida, delle biro blu, rosse e verdi.
In grembo ha appoggiato anche un piccolo cellulare lucido e colorato.
Accosta il righello-segnalibro alla prima riga e sottolinea in rosso quasi tutto; due parole nella seconda, poi passa alla quarta...
Lui la segue con la coda dell'occhio, cercando di non farsi assolutamente accorgere.
L'operazione è molto lenta e misurata.
Ora il cellulare ha piccoli lampeggi e una impercettibile vibrazione.
La minuziosa e lenta opera di sottolineatura subisce una breve interruzione. Una rapida digitazione sulla tastiera del cellulare; nuovi impercettibili lampeggi; il righello-segnalibro viene ricollocato in quinta riga. Nuovi lampeggi e nuove digitazioni.
Un altro breve tratto rosso, preciso e meticoloso...
Federico ha ora messo da parte le sue reminiscenze. Accantona ogni fantasia di approccio e ogni strumentale sfoggio di cultura sulle neuroscienze.
Al di là del corridoio centrale si sta svolgendo un parlottio confidenziale a mezza voce.
Federico senza volerlo ne coglie alcune battute, finendo per provare interesse.
-Sì, fino a una certa età questo non era mai stato un problema. Beh, qualche volta a tavola, come fanno tutti, ma non era mai stato un problema. Poi, a volte, forse un po' per compensare la fatica del lavoro, qualche bicchiere in più... ma niente di straordinario. Sì, venivo da una famiglia di lavoratori, semplice, di paese. Lavoravo in fabbrica.
È stato forse quando sono andata in pensione che è cominciato diventare un problema. Come tutte le donne di casa facevo un sacco di cose, eh, non mi fermavo mai un momento... Forse era un po' anche per questo che avevo cominciato ad aumentare le dosi. Niente superalcolici, eh, solo vino. Era stato mio marito ad accorgersi. "No, rispondevo, ho usato un po' di vino così, per cucinare". Quando avevo paura che se ne accorgessero mi procuravo quello nei cartoni, così poi non avevo il problema di eliminare le bottiglie vuote.
Fin che andavo a lavorare non avevo avuto molte occasioni per ripensarci. Ma lì, in casa, tutto il giorno da sola a lavorare mi erano tornati in mente quei momenti.
Sì, perché quand'ero ancora una bambina, era successa quella cosa lì, con mio padre...
Con le mie sorelle più grandi lui non ci aveva mai provato, o almeno così credo. Alla domenica io avrei voluto andare con le mie amiche a passeggiare o all'oratorio, ma mio padre mi diceva di star lì con lui, mica potevo lasciarlo in casa da solo, che la mamma era andata ai vespri...
E mi diceva di andare con lui in camera, che ci facevamo un pisolino, e poi.....-
È una donna ormai non più giovane; capelli corti come molte donne di paese; il volto solcato da un lieve percorso di rughe.
Ha smesso di parlare; strizza le labbra; tira su col naso. Infila un dito verso un occhio sotto gli occhiali da sole. La donna che le sta a fianco aspetta che riprenda a parlare.
-È andata avanti così qualche anno. Poi ho cominciato a dire di no e a rifiutarmi. Possibile che mia madre non s'accorgesse di niente? E neanche le mie sorelle? Oppure anche loro avevano subìto e trovavano comodo che ora ci fossi io? Quando sono stata più grande, prima di sposarmi, l'ho raccontato a mia madre. Non ha fatto scenate ma neppure mi è sembrata così tanto disturbata da quello che le avevo raccontato. Ha voluto portarmi dal prete e farmi raccontare tutto anche a lui. Poi tutti e due mi hanno fatto giurare davanti al crocefisso che non avrei mai parlato nessuno. Infatti, poi, non le ho parlato mai neanche a mio marito.
È stato solo quando lui s'è accorto che bevevo che gliel'ho raccontato. C'è rimasto molto male che non mi fossi mai voluta confidare con lui. L'unica scusante che avevo era quel giuramento in chiesa. È stato molto calmo e comprensivo. Ne abbiamo parlato molto e alla fine ho cominciato questo percorso. Sono in terapia di mantenimento da 4 anni. Adesso è un'altra vita.-
Federico ha fatto fatica a stare incollato a quel racconto terribile, di cui ogni tanto perde frammenti, che prova a ricostruire a senso…

Una lunga pausa di silenzio. La sua confidente non dice una parola.
Dietro quel volto scavato dagli anni, quegli occhi nascosti dagli occhiali da sole, una storia segreta e malata. Un percorso di resurrezione doloroso e sofferto. Sullo sfondo un abuso sordido nascosto tra le mura domestiche, una solitaria sofferenza elaborata, a costo di sacrifici immensi, solo nell'età adulta.

-E adesso mio marito vuole ristrutturare la vecchia casa dei genitori, per andarci ad abitare noi, lasciando la nostra a mia figlia. E sono continue battaglie con lui, io non voglio andarci, là c’ho quel ricordo brutto. E lì vicino ci abitano le mie sorelle grandi... Sono discussioni lunghe, penso che finirò per cedere, perché ha ragione anche lui. Però non riesce mai a mettersi nei miei panni.-

Segue un lungo silenzio. Poi un parlottio più sommesso, quasi un bisbiglio.
L’ascolto della confidenza lo ha lasciato turbato. Per il contenuto e per il modo in cui, senza quasi volerlo, ci è entrato. Si sente un po’ in colpa per aver ascoltato quel racconto intimo. Per averlo spiato. Per esserne, ormai, partecipe clandestino. 
Federico butta un'occhiata distratta alle righe rosse perfettamente allineate sul testo di neuropsicologia alla sua destra. Come piccoli capillari paralleli che solcano le file delle catene di lettere che formano le parole. Venuzze insulse e insignificanti, inutilmente ordinate; inspiegabili come i canali di Marte.
Federico ha definitivamente rinunciato ad un approccio con la studentessa che gli sta a fianco.
Sente pulsare alla sua sinistra una sofferenza distesa, ampia, dilatata.
Si trattiene dal guardare direttamente; un terreno minato che qualcuno faticosamente ha iniziato a bonificare da solo. Rimane attonito e perplesso.
In prossimità della Stazione Centrale intravede di nuovo una figura nota che incrociava sul marciapiede prima della partenza. Il maturo e distinto signore di età indefinibile. È tra i 48 e i 75. I capelli mescolano ciuffi argentati ad altri ancora con tracce castane. Alla sommità e verso il retro della nuca si diradano. Porta abitualmente ampi cappelli a larghe tese e mantelle con spalline. O soprabiti di pelle immensi simili alle spolverine da viaggio in diligenza dei western all’italiana.
Occhiali multifocali dalla montatura fine di vibranio. Fotosensibili: alla luce intensa assumono con discrezione l’aspetto di occhiali da sole.
È un assiduo viaggiatore su questa linea, negli orari più diversi.








3          UNA DONNA

TIZIANA

<< - Fra mezz'ora apriamo, diamoci una mossa, neh..! -
Sempre con questa sua aria di dio in terra, sicuro, deciso, arrogante, prepotente...
"Diamoci", "facciamo", "dobbiamo far vedere"... Usa sempre il plurale, lui! Però siamo poi noi povere cretine che dobbiamo sgobbare e farci il culo. Lui e quegli altri come lui si vedono poco in giro fra le corsie, dove noi ci rompiamo la schiena a sistemare la merce negli scaffali, a rimettere a posto le lattine dei pelati finite in mezzo ai biscotti, o la Nutella in mezzo alle birre. A scaricare montagne di roba pesantissima.
E quando passano, sempre con quella loro aria di superiorità pensosa e assorta; preoccupata... Qualche metro più in alto di dove ci siamo noi.
Otto ore sono lunghe. Anche quando vai a pisciare e a dare due tiri alla sigaretta non puoi restare davvero tranquilla.
Ops, mi sta suonando il telefono. Cazzo!
- Sì, pronto, come? ah, sì ciao, no, sono al lavoro, eh sì, sì...- rispondo a bassa voce.
- No, dovevo fare il pomeriggio, ma il capo mi ha chiamato per una sostituzione, eh sì, è proprio una bella stronzata. No, figurati, basta che mi infilo qui dietro e parlo sottovoce...
Ma no, figurati, stai tranquilla,... no, guarda, stai tranquilla, dimmi allora... dài…!
Per due minuti cosa vuoi che sia? Dimmi allora...
Boh, ieri è stata una giornata così..., così come tante altre, niente di speciale, né in bene né in male...
E voi? Sì? La solita storia? Anche ieri è tornato bevuto? Bere birra e farsi le canne? No, a me non sembra che beva tanto; dici?
Beh, almeno lui beve solo la birra e si fa solo le canne... Ma già, è vero, pensa che casino se anche lui il sabato e la domenica sera si prendesse lo sballo anche con le pastiglie...o le altre robe come fanno gli altri.
Ma i genitori non se ne accorgono? No, voglio dire, tu ti accorgi benissimo che tuo figlio è un po' bevuto e che si è fatto le canne... certo, lo sguardo fisso negli occhi dilatati...
Ma te l'immagini che faccia avranno quegli altri quando tornano? Ah beh, sì, d'accordo che tornano al mattino presto e non li vedono. Ma poi quando si alzano all'una o alle due...
Sì, tutti i ragazzi ormai hanno questa mania del computer... lo sento anche dalle mie colleghe qui. Scaricano musica, film, giochi... E stanno un sacco di tempo a mandarsi posta elettronica e a chattare...
È un loro modo di comunicare, con le loro abbreviazioni come nei messaggi dei telefonini, con la loro “neolingua”, le faccine, mandarsi le foto...
Oh, porca miseriaccia... scusa se parlo piano, è passata la caposettore, anche lei è un'altra che te la raccomando...
Senti, restiamo d'accordo così, per sabato io porto una torta salata e i vol au vent; voi fate le tagliatelle al salmone e la torta.
Hai poi saputo se vengono anche gli altri ? No, sai, è solo per regolarmi sulla quantità. Ma va bene, non fa niente, mi organizzo per preparare una quantità un po' abbondante. Se poi non vengono e avanza vuol dire che ce la mangiamo il giorno dopo...
Sì, è meglio che chiuda se no finisce che mi rompono le scatole... No, tu non c'entri, figurati... va bene... sì, anche a te... ciao ciao ciao...-
Cazzo, anche lei ci voleva adesso, che a momenti mi beccavano ancora…
Ah, eccolo di nuovo; il mio maturo ammiratore sta aggirandosi tra le corsie. Gli sta bene quell’immenso cappello da cow-boys. Fra poco mi sfiorerà col suo sguardo, regalandomi un sorriso cortese>>

L'hanno disturbata al mattino presto con una telefonata.
Il telefono di casa si è messo a strillare quel suo motivetto ripetitivo e fastidioso. Era in bagno, seduta, si teneva la testa fra le mani infilando le dita tra i capelli. La sua meditazione mattutina. Navigando a metà tra i fantasmi del sogno e il quotidiano grigiore cercava, a più riprese, di riafferrare un frammento che continuava a sfuggirle. Non riusciva più a mettere a fuoco il volto dell'immagine di quella figura maschile. L'aspetto era quello odioso del suo capo però, stranamente, girava in mutande; sopra indossava una strana camicia di seta, legata in vita, che gli lasciava scoperto il petto villoso. Era molto gentile e aveva un tono dimesso, condiscendente, quasi succube. Il modo di fare poteva ricordarle quello di Alfonso. Cosa ci faceva Alfonso con la faccia di quello stronzo del suo capo? E poi, dove si trovavano? Sia lei che lui giravano a piedi scalzi in un appartamento grande, completamente vuoto, senza tende alle finestre. Stavano girando a vuoto, di qua e di là, senza una meta o uno scopo. E la cosa non li infastidiva per niente, sembrava naturale, così...
Il suo capo solo una volta nel lavoro le era sembrato un po' più umano, quasi gentile, bonario.
Ma si era subito ripreso il suo atteggiamento irritato e irritante. Lei aveva perfino immaginato che avesse usato la faccia buona con l'intenzione di farle poi delle avances.
In realtà, a pensarci bene, tutti al supermercato erano sempre strani con lei. Anche gli altri.
Dovevano sapere che era laureata. E forse pensavano che se la volesse tirare.
Sì, si  era barcamenata per qualche anno tra supplenze e incarichi, fino a quando non ce l'aveva fatta più a restare nella scuola. Prima aveva cominciato a farsi assumere per brevi periodi nella stagione calda.
Così si era rovinata molte vacanze estive. In autunno si era rimessa ad aspettare le supplenze con l'amaro in bocca dell'estate passata a lavorare. Erano stati sempre lavori occasionali e per niente coinvolgenti. Era stata impiegata presso una compagnia di assicurazioni; aveva fatto gli shampi e le mèche da una parrucchiera; aveva massaggiato con creme e unguenti nauseabondi volti e corpi flaccidi di donne e signore benestanti; aveva applicato la ceretta su gambe gonfie di cellulite e vene varicose;... Che schifo e rabbia dare lo strappo finale!
In quei posti doveva sempre sorridere, mostrarsi gentile coi clienti, accondiscendere alle loro richieste, fare conversazione con loro...
Poi aveva cercato qualcosa di più stabile.
Non era stato solo per lo stipendio modesto che le davano e gli orari che si dilatavano all'infinito anche dopo l'ora di chiusura. Non era riuscita più a sopportare quell'ambiente falso, convenzionale, omologato, seriale... saltuariamente aveva fatto la baby-sitter a domicilio o in casa propria.
Anche con i bambini si era trovata a disagio, anche se per altri motivi.
-La mia mamma mi lascia vedere la televisione fin quando ho voglia-
-No, io non rimetto a posto i giochi, se vuoi lo fai tu; ti paghiamo apposta -
-Se non la smetti dico alla mamma che mi hai picchiato... -
Ricattavano, minacciavano, contrattavano.
I loro genitori , nei rari momenti in cui lei li vedeva, facevano mostra di far loro raccomandazioni, ma con tono talmente poco convinto...
Solo una volta aveva trovato un bambino bellissimo e dolce. Aveva degli occhioni verde-azzurro intenso e raccontava sempre tante cose. Degli amici di scuola, dei suoi zii, delle sue fantasticherie... Le piaceva molto stare con lui. Riusciva anche a parlargli come ad un amico più piccolo.
Era come se si fossero entrambi innamorati l'uno dell'altro.
Una volta era stata con lui di sera e l'aveva accompagnato in bagno e a lavarsi i denti. L'aveva aiutato infilarsi il pigiamino . E poi a letto lui l’aveva pregata con i suoi occhi dolci di stargli vicino un pochino, tenendogli la mano. Voleva essere accompagnato nel viaggio verso l’ombra del sonno. Avevano chiacchierato e poi lei gli aveva raccontato una fiaba.

“Un giorno un gallo, mentre andava per la strada, aveva trovato per terra una lettera. L’aveva presa col becco e l’aveva letta:
-Gallo Cristallo, Gallina Cristallina, Oca Contessa, Anatra Badessa, Uccellino Cardellino siete tutti invitati alle nozze di Pollicino…. .Diceva la lettera… “

Ripensare a quegli occhioni verde-azzurri, a quel sorriso dolce le provocava una profonda tenerezza.
Ma perché lei ci pensava proprio ora, seduta sulla tazza nel bagno, con le dita affondate nei capelli? Dopo aver provato a ricostruire il suo sogno nel quale le sembrava di ricordare che lei e uno che assomigliava al suo capo, ma con i modi gentili di Alfonso, giravano a piedi scalzi in una casa sconosciuta è vuota, senza tende alle finestre? Mentre seduta sulla tazza controllava l'arrivo di quel sintomo ematico ciclico che le confermava ogni volta che lei, come tutte le altre donne, avrebbe anche potuto essere madre..?
Alfonso nel sogno aveva perso i suoi modesti connotati, per prendere quelli del suo capo, conservando però la sua dolcezza di sempre.
Si era dunque regalato di sognare un uomo bello e insieme dolce che l'aiutasse a diventare madre?
Ma poi, a quel punto, si era messo a suonare il telefono.
Drin,drin, drindrindrin, drin,drin,drindrindrin…
Si era precipitata per casa a piedi scalzi cercando il cordless.
Non riusciva mai a trovarlo quando le serviva.
Aveva dovuto lasciarlo suonare molto a lungo prima di poter accostarlo all'orecchio dicendo con voce flebile: "Pronto?".
Quasi garbato il suo capo le stava chiedendo, compunto e asciutto, di anticipare il suo turno alle otto per una sostituzione improvvisa. L'aveva pregata usando un tono gentile, ma fermo e deciso. Sempre così: vasellina quando chiedeva collaborazione; muso duro quando dava ordini.
Sapeva che non avrebbe potuto dire di no.
Infatti, rassegnata, aveva risposto che avrebbe fatto di tutto per arrivare puntuale al turno del mattino.
Una doppia delusione. L'improvviso cambio di programma e, insieme, avere smontato e ridicolizzato il suo sogno...
Guardò rassegnata e scocciata i kilim che avrebbe voluto battere passando in giro l'aspirapolvere.
Tornata in bagno fece un sorriso sfottente all'immagine che la guardava nello specchio.
-          Cos'hai tu da guardare con quella faccia?- si era detta.





  1. AL SUPERMAGASTORE

<<Avanti, dai! Continuo a girare fra le corsie,con il carrello pesantissimo a sistemare la merce negli scaffali, a rimettere a posto le lattine della birra finite in mezzo alla carta igienica, e le acque toniche in mezzo ai pelati. Sempre portandomi dietro questa montagna di roba.
Questo turno però è più tranquillo, passa via più in fretta. Però otto ore sono sempre lunghe.
C’è sempre qualcuno che ti guarda storto. O qualche imbranato che non trova mai qualcosa.
Gentile, sempre, mi raccomando; gentile.
Quando esco, anzi, quando uscirò, devo passare a prendere la bicicletta dal ciclista, così mi fermo da Enrica un momento. Deve avere qualche cosa di nuovo da raccontare. Così sembrava dire il suo sms. Speriamo qualcosa di bello. Almeno a lei. Che a me i giorni mi passano via schifosamente monotoni.
“devi farti viva,tizi, l’oroscopo aveva ragione?”>>

Tiziana ha ripreso a spostarsi con il suo carrello stipato di una massa immensa di merci. A volte le fa pensare a un cammello che aveva visto in Marocco, tirato da un omino rugoso in grembiule blu da bidello e scarpe di gomma, per una corda grossa che gli intrappolava il muso sgraziato e rassegnato, stracarico, che sembrava dovesse schiattare a terra da un momento all'altro.
I clienti sono ancora rari.
Qualche corsia più in là c'é un tipo bassetto, con gli occhiali e un velo di barba. Ha i capelli molto corti alle tempie, forse per non stonare con il cranio quasi completamente pelato.
<<La pasta è qui, sì, prendiamo le linguine…
Chissà perché mai, la forma piatta gli da un sapore diverso…
Come se la forma di un oggetto potesse influenzarne il gusto…
Boh; poi… cosa ho scritto qui? Due scatole di pompelmo; ah, eccole qui le acque toniche… poi? Il caffè macinato per fare il caffè espresso. Devo stare attento: non quello per la macchinetta. Lo si riconosce dall’immagine sulla confezione. C’è sopra la manopola con la vaschetta per metterci il caffè. Quell’altro invece ha sopra la moka.
Verdure da cuocere no, non ho voglia di stare a pulirle e cuocerle. Prendo dell'insalata già pronta.
Ma sì, le albicocche le pesche sembrano ancora un po' acerbe, vuol dire che le lascerò fuori dal frigo per farle maturare un po'. La frutta mi conviene prenderla; è comoda perché è pronta da mangiare senza perdere tempo con i fornelli; basta dargli una lavata.
Giusto, giusto, giusto. Eccolo questo qui….Meno male che l'ho visto. Ho finito il detersivo per la lavastoviglie.
In questi immensi supermercati galattici c'è fin troppa roba. Se cerchi un prodotto specifico non lo trovi mai. È confuso, mescolato e nascosto in mezzo a masse infinite di marchi che non ti interessano. In compenso la roba che ti trovi davanti può far venire in mente qualcosa che ti serve e che non ti eri ancora annotato...
Se non cadi nella trappola che ti stanno tendendo, di crearti dei bisogni che non hai…
Ho fatto bene a venire a quest'ora: non c'è quasi nessuno, anche alle casse non dovrei perdere tempo...
C’era qualcosa però che mi stava venendo in mente, proprio poco fa, che non avevo scritto sul bigliettino…
Eppure non riesco a ricordarmene… Finirà che dovrò rinfilarmi in un altro supermercato... Boh, non posso mica fermarmi qui tutto giorno fin che mi torna in mente...
Operazione conclusa; o, almeno, parzialmente conclusa.>>

Federico ora ha svoltato venendo dalla quarta corsia; si è appena infilato nella terza corsia. Scruta per individuare le bibite. In fondo al corridoio è fermo un carrello da cui una donna sta scaricando merci.
Esso si muove lentamente. Dopo poco scompare. Per infilarsi nella quarta corsia. Quella della pasta e del riso.
Tiziana e scomparsa insieme al suo immenso cammello, come se formasse un'unica entità.
Le formiche continuano i loro percorsi….


  1. AL CINEMA VIP

-<<Tutte le volte sono io la prima ad arrivare. Poi mi dicono sempre che è perché io vivo da sola, che loro si perdono in chiacchiere, in particolari, in sfumature: tiri fuori tu la macchina dal garage? Dov'è che ha detto che va questa sera nostro figlio? Hai chiuso la finestra del bagno? Ma vieni fuori con quel maglione li?
O, almeno, così me l'immagino il loro attardarsi...
"Tot capita, tot sententiae". Probabilmente anche a me capitava così, una volta.
Ma non ho nulla da rimproverarmi. Nessun rimpianto. Nessuna voglia di ritornare indietro.
Mi vado bene così, da sola.
Le ultime storie poi sono state davvero deludenti. Discorsi a vuoto; tentativi di approccio malriusciti; voglia di portarmi a letto per una scopata; gente senza sapore né senso.

Dai, ragazzi! Datevi una mossa che qui stanno cominciando ad uscire. Sono già le dieci e cinque. D'accordo che c'è ancora dieci minuti, ma c'è già la coda in fila per i biglietti...
Neanche questa che sta arrivando è la loro macchina... No, è rossa; sì, è la loro; sono loro; finalmente sono arrivati.>>

Tiziana osserva il cartellone del film che sta per andare a vedere.
“Dieci inverni”. Il titolo richiama un meraviglioso Avoledo: “L’anno dei docici inverni”. Ma non ha niente a che fare con esso.
Due foto sono affiancate: un volto maschile e un volto femminile.
Una Clio rossa, sta accostando al marciapiede. Un volto femminile sorride a Tiziana, una mano dalle dita lunghe e affusolate, con le unghie laccate di marrone, fa un cenno delicato di saluto.
Ora Tiziana osserva con un sorriso leggero sulle labbra la portiera che si sta aprendo vicino a lei. Respira calma e distesa; i suoi amici sono arrivati; insieme si metteranno in coda per i biglietti; si diranno qualcosa sorridendo.
Dalle porte di vetro spalancate defluiscono già, a coppie o a piccoli gruppi, gli spettatori dello spettacolo precedente, mormorando pezzetti di commenti. Chi è rimasto indietro raggiunge chi è già uscito.
Non fa commenti e non dice nulla lo spettatore che sta uscendo da solo. Forse li starà rimuginando dentro.
Si passa le dita sulla barba corta. Poi fa un gesto per mettersi a posto i capelli che non ha più sul cranio pelato. Senza motivo. Come fanno, a volte, le persone da sole per darsi un contegno.
Ha appena colto lo sguardo di sfuggita che gli è stato regalato dal gruppo dei tre che stanno entrando.
Lei è una donna abbastanza giovane, avrà una quarantina d’anni. Capelli corti.
Gli altri due,un uomo e una donna, si tengono per mano; sono una coppia.

<< Niente di eccezionale, ma un modo come un altro per passare un paio d'ore piacevolmente disteso. L’essenziale è che il racconto riesca a trascinarti, portarti con sé…
Il trailer pubblicitario cercava di vendere il suo prodotto come un film eccezionale.
Spesso sono montati bene questi brevi collages di sequenze. Riescono a creare l'illusione di situazioni che poi nel film vero e proprio non compaiono.
Pur essendo composti dalle stesse immagini ritagliate dal film.
Sono le anticipazioni verbali delle trame, che compaiono a volte su giornali o quelle richiamate col telecomando di sky, che spesso prendono cantonate solenni.
Io penso che chi le scrive non ha mai visto il film ma si è limitato a leggerne sommariamente un commento di seconda o terza mano.
Spesso si perdono con particolari assolutamente irrilevanti, omettendo invece le uniche notazioni che potrebbero favorire la visione del film ingolosendo lo spettatore.
Mi fanno venire in mente quel pistola del mio amico saggista che mi assicurava che lui riusciva a recensire libri che non aveva mai letto. Gli bastava, assicurava borioso, una "lettura trasversale". Che consisteva, secondo lui, nello spulciare qua e là ad apertura di pagina... Molto probabilmente i risultati non dovevano essere dissimili dai prodotti che mi trovo davanti io quando cerco di conoscere il contenuto di qualche film.
“Dieci inverni” raccontava dieci momenti ambientati in inverno, di dieci anni della storia di due ragazzi, una sorta di educazione sentimentale dei due, dai diciotto ai ventott'anni, una storia d'amore "congelato" (lei studia russo a Mosca).>>

Tiziana con un sorriso sta parlottando a mezza voce con i suoi due amici mentre prepara il contante per comprare il biglietto. È contenta perché sa che potrà continuare ancora per qualche minuto a scambiare qualche chiacchiera con loro prima che inizi la proiezione del film.
Poi , appena nella sala piomberà il magico buio, potrà lasciarsi trascinare dalla storia di immagini e voci, colorata di suoni… Come quelle finte canoe a Eurodisney o a Gardaland che ti portano su un percorso obbligato; studiato apposta per farti provare delle emozioni. È tutto già calcolato. Puoi star al gioco e lasciarti andare, immedesimandoti nel percorso e nella vicenda. Puoi entrarci dentro e sognarla. Il buio della sala te lo permette. Basta non pensare a quando si riaccenderanno le luci e tu ritornerai al tuo tempo e alla tua vita.

Federico, fuori, ha già sganciato dal bagagliaio del sellino della moto il suo casco integrale. Libera il cavalletto e preme il pulsante dell'avviamento. Il buio illuminato della sera in città accoglie anche la luce del suo faro, e lo porta via, ondeggiando con lui e cullando la leggera malinconia del dopo cinema da soli...






  1. 1979


FEDERICO
<< L'ondeggiare dello scooter mi richiama, senza motivo apparente, quello del vespino che serviva, alcuni decenni addietro, per chi svolgeva compiti di staffetta, durante le manifestazioni...
In questo preciso istante, mi ritrovo di colpo a rivedere le sequenze di molti prima...
Avevo appena iniziato a frequentare l'università a Milano. Mi ero da poco iscritto a Informatica. Non erano più gli anni caldi come quelli che mi avevano raccontato amici più grandi, quelli monopolizzati dal Movimento Studentesco di Capanna. Con tutti i gruppi della sinistra "extraparlamentare", armati ideologicamente e con i grossi bastoni che sarebbero dovuti servire per gli striscioni.
Ogni gruppo allora aveva il proprio "servizio d'ordine", i propri striscioni e volantini, i propri slogans e le proprie parole d'ordine... Ricordo che andavano per la maggiore le canzoni di quel compagno di Lotta Continua, di cui tutti sapevamo il nome, ma che firmava "parole e musica del proletariato".

"Signor padrone, questa volta, per te andrà di certo male, siamo stanchi di aspettare, che tu ci faccia ammazzare. E i sindacati ci vengono a dire che bisogna aspettare, ma di lottare non parla mai..."

"È cominciata di nuovo la caccia alle streghe, il governo la stampa, la televisione, in ogni scontento si vede uno sporco cinese, uniamoci tutti a difendere le istituzioni... Ma oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti, le compagne 15 anni, gli operai con gli studenti... Il potere agli operai, no alla scuola del padrone,...."

Quel clima del 68, che avevo mitizzato con i racconti epici, l'ascolto dei 45 giri, quei canti di lotta così caldi e appassionati ma ormai fuori contesto, avevano ormai costituito per me un background culturale, un retroterra emotivo e passionale, un'atmosfera che invano cercavo di ritrovare nelle piazze.
A volte capitavano ancora momenti alti del Movimento, in cui si occupavano scuole e università; si occupavano le case; si occupavano spazi dismessi per dar vita a Centri Sociali, alcuni dei quali sarebbero rimasti famosi e avrebbero fatto storia...
A Milano non mi era mai capitato di notare come funzionassero le "staffette" di collegamento all'interno dei cortei. Ma certo, date le dimensioni e il numero altissimo dei partecipanti, esistevano modalità più complesse ed articolate.
A Novara, ricordo, che c'era un compagno, abbastanza bassetto di statura, che si spostava continuamente avanti e indietro dalla coda alla testa del corteo per portare informazioni e dare indicazioni operative. Si muoveva molto agilmente con un piccolo vespino azzurro. Allora non c'era ancora l'obbligo di indossare il casco guidando motocicli e scooter. Talvolta il casco veniva invece indossato dai "militanti". A Milano e nelle grandi città nel '68 questo abbigliamento era stato privilegio dei servizi d'ordine. I cui membri spesso venivano definiti con l'appellativo di Katanga, desunto dalla popolazione dei katanghesi, dal nome della provincia secessionista congolese dei primi anni '60 . Il servizio d'ordine aveva il compito di far rispettare ai cortei i limiti di percorso imposti dalle forze dell'ordine, evitando eventuali azioni violente e proteggendo i partecipanti ai cortei da aggressioni esterne.
Ricordavo, in parte per averle vissute direttamente, in parte per averne vissuto solamente l'atmosfera attraverso la narrazione, le manifestazioni oceaniche nelle quali il movimento degli studenti, nonostante le polemiche interne e fratricide, aveva imposto la propria visione del mondo e la propria proposta politica all'opinione pubblica.
Era stato forse in uno degli ultimi comizi a Novara del “fucilatore di partigiani”, come lo definivano i fogli di sinistra, e brillante teorico della “difesa della razza” che ricordo degli episodi che mi rimasero abbastanza sgradevoli.
In quell'occasione aveva ottenuto di parlare proprio nella Piazza dei Martiri. Proprio quella in cui vennero trucidati dalle squadracce alcuni partigiani novaresi.
Molti nostalgici dell'orbace e della camicia nera vi si erano riuniti a manifestare inneggiando ai loro lugubri ideali. Gli impianti di amplificazione portavano l'eco della voce stentorea del fascinoso ex gerarca. A cui facevano eco entusiastiche ovazioni ed acclamazioni, con “Eja, Eja, Eja, Alalà! ”.
Transenne e nutriti cordoni di forze di polizia impedivano l'accesso alla piazza. Anche visivamente non era dato vedere quello squallido assembramento; che nei suoi tempi eroici veniva chiamato adunata.
Ricordo che mi ci ero avvicinato provenendo dai portici di via Rosselli, e avevo dovuto arrestarmi all'incrocio con via Ravizza, senza poter proseguire oltre nei portici del Borsa. In quel punto esatto della via Ravizza sostavano molte persone. Era improbabile che quelli fossero dei sostenitori rimasti esclusi dalla partecipazione alla kermesse. Non applaudivano mai per quanto ostentassero abiti eleganti e dignitosi. Ne riconobbi uno, leader di uno dei nostri coloriti gruppi della sinistra extraparlamentare della mia città. Indossava giacca e cravatta e un elegante trence color bèige. Benché il tempo non minacciasse pioggia aveva le mani coperte da eleganti guanti di pelle che reggevano un ombrello.
Quando i rumori dell'adunanza diedero a capire che c'era aria di smobilitazione e di ritorno a casa, vidi l'elegante compagno cercare di scalzare con la punta dell'ombrello sampietrini di cui era formato il fondo stradale. E, con il suo accento toscano, lanciò ai suoi militanti che gli stavano intorno la parola d'ordine: "Disselsciate; disselsciate...!".
Ci fu del trambusto per cui non riuscii a vedere se a quella disposizione avesse o meno tenuto dietro il lancio di cubetti di porfido.
Venni spostato dal movimento di persone verso l'ultimo tratto di via Rosselli antistante il teatro Coccia.
Intanto avevano tolto le transenne e i cordoni di polizia da quel lato di piazza Martiri, dalla quale presero a defluire gruppi rabbiosi di militanti fascisti.
Ebbi appena il tempo di vedere un tafferuglio, un movimento concitato e ondeggiante, uno spintonamento di qua e di là, un muoversi preordinato per una spedizione punitiva. Un notabile fascista locale era stato raggiunto da una squadra di energumeni con e senza barbe.
Questi ultimi impugnavano come clave robusti bastoni porta striscione. L'aggressione fu rapidissima. Ricordo appena di aver intravisto il fascista bassetto e tarchiato che riceveva bastonate sulle schiena e sul capo. Pochi istanti dopo lo vidi raggomitolato a terra che si copriva il capo con le mani e le braccia. Poi un rapido fuggifuggi. Mi allontanai disgustato.
Avevo sentito risuonare il legno dei pesanti bastoni sulle ossa e sul cranio dello sciagurato nostalgico. Come quello di un batticarne massiccio che si usava in quei tempi per ammorbidire le bistecche. Colpi secchi e duri. Come quelli che probabilmente erano echeggiati sui corpi dei socialisti e dei comunisti che difendevano le case del popolo e i circoli operai ai tempi della famosa Battaglia di Novara del 1922. In quell'occasione erano state radunate le "squadracce" del nord Italia facendole tutte confluire nel novarese. La provincia rossa. Erano state distrutte 52 case del popolo e circoli operai. Distribuite infinità di randellate e bicchieri di "olio di ricino".
Ora era in nome di opposti ideali che venivano distribuite bastonate su chi era l'erede della spedizione punitiva del fascismo degli anni 20. Era pur vero che negli scontri di piazza anche i neofascisti bastonavano e sparavano. Oltre a mettere le bombe, come quelle di Piazza Fontana a Milano e Piazza della Loggia a Brescia. E a partecipare ai tentativi di golpe e  colpo di Stato creando focolai di <<strategia della tensione>>.
Non condividevo assolutamente né l'ideologia che era stata celebrata ufficialmente quel giorno nella piazza dei Martiri della Resistenza, violandola e sporcandola, né, tanto meno, l'azione ugualmente squadristica di chi in quell'occasione ed in altre analoghe propugnava ideali antifascisti con metodi analoghi.
In quegli anni era stato conquistato per gli studenti universitari il “presalario”, per garantire il diritto allo studio di chi non aveva alle spalle famiglie ricche e possidenti.
La lotta politica del movimento degli studenti consisteva prevalentemente nello studio e nel dibattito. L'azione prevalente era rappresentata dall'occupazione di strutture universitarie e a volte anche di scuole medie superiori. Il dibattito il confronto vedeva il coinvolgimento del movimento dei lavoratori e delle sue forme di organizzazione: i partiti della sinistra, i gruppi extraparlamentari, i sindacati.
"Studenti, operai uniti nella lotta...", scandiva uno slogan molto ricorrente del movimento del 68. Il massimo di coinvolgimento era avvenuto nei momenti caldi in cui i sindacati dei metalmeccanici, uscendo dagli schieramenti interni ai tre sindacati confederali, avevano dato vita ad una forza unitaria: l'F.L.M., federazione dei lavoratori metalmeccanici.
L'altra modalità di intervento politico era quella delle manifestazioni e dei cortei pubblici, che riuscivano a mobilitare nelle grandi realtà urbane centinaia di migliaia di studenti e lavoratori.
Altra forma di lotta molto significativa, che rientrava nella categoria della "pratica dell'obiettivo", cioè dell'anticipare con la forma di lotta l'obiettivo che si intendeva con la stessa raggiungere, era quella dell'occupazione delle case sfitte che venivano occupate dalle famiglie che non potevano disporne.
Le forze rivoluzionarie della sinistra erano organizzate in un mosaico di piccole unità autonome, definite in senso dispregiativo “gruppuscoli”.
Il mio gruppo faceva riferimento alla testata de il Manifesto,frangia uscita dalla costola del partito comunista italiano nel 1969 con l'espulsione in seguito all'uscita della pubblicazione periodica che portava lo stesso nome. Il “casus belli” era stato determinato dalla presa di posizione assunta dalla rivista che condannò l'invasione sovietica e del Patto di Varsavia della Cecoslovacchia. Da quella espulsione e da quel nucleo sarebbe successivamente nato il quotidiano omonimo e intorno ad esso si sarebbero riuniti ex militanti comunisti e nuove frange provenienti dal movimento cattolico. Ricordo quel quotidiano innovativo in formato tabloid che all'inizio disponeva di una sola pagina. Mi avevano raccontato delle campagne di diffusione davanti alle fabbriche e ad alcune chiese dopo la messa domenicale.
In quegli anni mi ero comprato un'auto che sarebbe stata anche abbastanza simbolica di quell'epoca. Era l'erede della gloriosa "due cavalli" della Cytroen, la vecchia "deux chevaux". Con la mia Dyane 4 e i suoi modesti 402 di cilindrata, avevo raggiunto l'oceano indiano nel porto di Bandar-e- Abbas, nell'estremo sud dell'Iran allora ancora dominato dallo Shah di Persia Reza Pahlavi e dai suoi temibili servizi segreti. Nella nostra pattuglia vi era anche una Renault 4, che con i suoi 800 di cilindrata era stata quasi una ammiraglia quando, superata l'interminabile strada che percorreva il nord della Turchia, con le sue devastanti buche, avevamo raggiunto la catena dei monti Alborz, coronati dal temibile Monte Damavand con i suoi 5671 metri.
In quel viaggio, in poco più di un mese, avevamo macinato più di 20.000 km! Io ero partito che pesavo 85 chili; al ritorno ero 70! La madre della mia compagna di allora, quando mi aveva rivisto abbronzato e smagrito, mi aveva detto: "ma t'é magar me n' pic!", ma sei magro come la cima di una montagna. La mia modesta superutilitaria decappottabile e molto molleggiata era tornata decisamente sfiancata da quell'estenuante viaggio. Appena accendevo il motore si sentiva una vibrazione metallica interna, come di valvole che stessero staccandosi. O almeno così io credetti. Fui costretto a cambiarla.
In compenso invece, i compagni di viaggio che con la loro lussuosa e potente 800 di cilindrata avevano potuto salire la catena degli Alborz comodamente usando anche la seconda e la terza marcia, ritennero che io avevo voluto snobbarli, poiché sostenevo che ero stato costretto a seguirli sempre con la prima innestata. Anche per quel motivo, credo, dopo che al ritorno ci perdemmo in prossimità di Istanbul, finimmo per perdersi di vista.
Fu un viaggio terribile e affascinante insieme.
Compivamo tappe forzate di 400 /600 km negli immensi deserti di sale e nel devastante panorama ruggine delle alture iraniane. Tale era infatti la distanza che separava tra loro i centri abitati. Nonostante il basso consumo della mia dyane azzurra ero costretto a portarmi a bordo diverse taniche di benzina oltre a due ruote di scorta aggiuntive. Queste ultime mi erano servite nell'attraversamento lunghissimo della strada della Turchia, devastata da buche immense dai bordi taglienti, percorse insieme a noi soltanto da immensi tir coloriti, luccicanti di lucine, che si annunciavano con spaventosi suoni di trombe e clacson multitonali...
Viaggiavamo fino a 12/16 ore al giorno. La sera ci buttavamo disperati in ristoranti all'occidentale, dove ci veniva ammannito ogni volta un piatto unico di filetto di montone alla griglia, adagiato su piatti di focaccia bruciacchiata. Tali piade, mi facevano venire in mente la fame che racconta Virgilio nell'Eneide, quando i suoi eroi furono costretti a mangiarsi le “mense”. Anche noi, affamati, mangiavamo voracemente i nostri piatti di pane. Erano decorati con foglioline verdi, che solo successivamente riconobbi come foglie di ravanello. Mi stupivo che si venissero servite le foglie lasciando il ravanello nella terra.
Eravamo, poi, talmente disidratati, che riuscivamo a bere infiniti boccali di acqua ghiacciata.
Un'oasi era stato il campeggio di Teheran, in una periferia sconosciuta, immerso in una selva di alberi altissimi, in cui l'ombra verde rinfrescava l'atmosfera in modo consistente.
Bandar-e-Abbas era un abitato squallido e deserto; la temperatura superava di molto il 52°; il tasso di umidità era altissimo; sul mare grigio e informe stagnava permanentemente una bruma di caldo... Le guarnizioni di plastica rigida mi si erano fuse dopo un parcheggio prolungato Le avevo strappate via come nastri mollicci e pendenti.
L'autista della Renault, vantava di essere un ottimo sub. Era venuto anche con l'intenzione di fare pesca subacquea.  Nonostante  i nostri rari e occasionali interlocutori, incontrati durante il viaggio, avessero tentato di dissuaderlo, parlando in inglese, con risa sarcastiche accompagnate da gesti della mano a taglio, che mimava colpi d'ascia su braccia e gambe...
Raggiungemmo una spiaggia desolata e vuota; il caldo era decisamente insopportabile; entrammo in un'acqua torbida e calda; mentre tornavamo alla spiaggia io scorsi a qualche centinaio di metri emergere dal pelo dell'acqua il tipico triangolo della coda del pescecane...
Ciccio, così si chiamava il privilegiato autista della Renault, non fece commento. E neppure ripropose immersioni subacquee.
Preferimmo puntare su una "gita turistica" per raggiungere l'immensa isola di Qeshm, nello stretto di Ormuz, di fronte alla costa meridionale dell'Iran.
E' l'isola più grande dell'Iran e del Golfo Persico, rocciosa e arida, separata dalla terraferma da uno stretto di mare.
Toccò a Ciccio che conosceva molto bene l'inglese, lingua esperanto in molti paesi del mondo, informarsi sugli orari dei mezzi nautici a disposizione. Trovammo solo un barcone panciuto di legno, senza alberatura, con un motore asmatico a nafta.
Fummo guardati con molto stupore dalla popolazione locale che percorreva quel tratto di mare insieme a noi. Il centro del ponte era stipato di una montagna di pacchi imballati con canapa e tela di juta, che sostituiva l'albero e il corpo centrale della modesta imbarcazione. Tutto intorno una trentina di uomini magrissimi dai volti scavati dal sole e dalla salsedine e donne misteriose. Queste ultime avevano il colorito della pelle quasi nero, il volto coperto da mascherine di legno e stoffa nera, dalle quali sgorgavano sguardi nerissimi luminosi.
Da buon turista armai la macchina fotografica accingendomi con un sorriso a immortalare le loro immagini. Un mormorio indispettito, dinieghi con le mani, e con i volti scontrosamente girati dalla parte opposta, mi convinsero che non potevo rubare le loro immagini.
Il gozzo, molto simile nel mio ricordo all'immagine stilizzata delle caravelle di Colombo, a metà dell'attraversamento era costretto da immensi cavalloni alti alcuni metri a salire in alto per poi ripiombare giù. Il coro dei nostri compagni di viaggio accompagnava questo altalenante ondeggiamento con degli: "oh oh oh oh oh..."; cui faceva seguito un soddisfatto "Ooooh!" quando il barcone ripiombava giù.
Il cantilenante " oh oh oh oh; Ooooh!" aveva insieme un sapore rituale ma anche propiziatorio. Ebbe anche funzione di socializzazione. I nostri sguardi si incrociarono diverse volte con sorrisi insieme solidali, spaventati e complici. In prossimità dell'isola molte donne mi sorrisero indicando la mia macchina fotografica che portavo al collo; annuendo quando videro che mi accingevo a riprenderle.
Seppi poi che si trattava di una popolazione di cui ora non ricordo il nome. Scattai un'infinità di istantanee.
Nell'isola la temperatura sembrava ancora più alta, come pure più alta la percentuale di umidità. Non c'era un filo d'aria. Ci restammo inutilmente un paio di giorni durante i quali nessuno di noi quattro riuscì a espellere un goccio di urina. Per quanto assumessimo ettolitri di acqua ghiacciata.
Durante il viaggio di ritorno, chissà perché, mi convinsi che la mia fotocamera non aveva scattato nulla, perché non avevo ancora imparato a distinguere le due posizioni di un comando relative alla regolazione automatica del tempo di esposizione. Credetti pertanto che il rullino di diapositive avesse girato inutilmente e a vuoto. Lo usai per qualche giorno per tenere aperto uno spiraglio nel tettuccio di telone della mia auto. Infine, decisi di buttarlo via...
Insieme all'abbronzatura e alla perdita notevole di peso, mi riportai a casa solo diapositive molto più comuni di bazar, deserti di sale e montagne ruggini, ma nessuno di quei magici volti spaventosi e affascinanti.
Per via della prolungata diuresi insufficiente, mi riportai anche un calcolo renale di ossalato di calcio grande come una mandorla, ma questa è un'altra storia...
Dalla moto ondeggiante che mi riportava dal film dei 10 inverni, mi ero così rivisto il “film” mentale del ricordo di quel viaggio assurdo e fantastico.>>



TIZIANA
<< Il freddo intenso di quella Mosca congelata, come quella storia d'amore inconclusa e inconcludente. Il tempo dei miei studi all'università. Un salto ancora più all'indietro fino a quando ero alle elementari. Chissà perché proprio le elementari.
Forse anche perché, proprio adesso, guardando l'ora, mi sono accorta che questo orologio che porto ora al polso, assomiglia in qualche modo a quello che mettevo quand'ero bambina per andare a scuola.
Alcune delle mie compagne che potevano si mettevano già al polso un orologio con aria molto civettuola. Erano regali degli zii o dei nonni, oppure era l'orologio che la mamma o il papà o qualche fratello maggiore non usavano più. Loro potevano ostentare un orologio “vero”!
Io, invece, non potevo disporre di simili lussi. In compenso avevo trovato fra le vecchie cose di mio padre o di mia madre un buffo orologino-giocattolo. Disponeva di cinturino, cassa e vetro; il pulsante zigrinato per la carica e per spostare le sfere delle ore dei minuti, invece, le muoveva tutte e due insieme. Le due sfere infatti erano saldate insieme e nel farle muovere si spostavano entrambe, in blocco.
Mi faceva tenerezza che loro avessero voluto indossare quel finto orologio, che andava continuamente rimesso a posto per simulare la realtà. E per solidarietà con la loro infanzia povera come la mia, me l'ero voluto mettere. Fin quando qualche compagna non aveva cominciato a fare dell'ironia crudele.
Eppure quel vecchio giocattolo, che non era in grado di segnare il tempo se non per gioco, assomigliava molto a quello che portavo ora.
Non so per quale motivo, se per il ricordo degli studi universitari o per l'orologio da bambina, comunque mi sono ritrovata a ripercorrere quei giorni e quel periodo. Magari con la speranza involontaria di tornare ad una dimensione temporale che era stata immune dalla misurazione delle "macchine del tempo".
Così ora mi tornano in mente quei giorni sereni e distesi.
Avevo avuto la fortuna di essere accolta in una classe a tempo pieno. Andavamo a scuola sia al mattino che al pomeriggio. Avevamo due maestri che si alternavano tra loro. In certi momenti della giornata si fermavano tutti e due con noi, o per formare gruppi più piccoli oppure lavoravamo tutti insieme guidati da loro.
I miei maestri erano un uomo e una donna e andavano molto d'accordo tra loro.
Lui era un ometto abbastanza basso, né giovane né vecchio, dal volto abbastanza pallido e dagli occhi azzurri. Non l'ho mai sentito gridare o alzare la voce o minacciare, come invece facevano in genere molti insegnanti dei miei compagni. Quando uscivamo per andare in bagno, a volte si sentivano urla tremende uscire dalle aule che quasi sempre tenevano la porta chiusa. Volavano anche parolacce qualche volta. Il maestro Carlo invece era sempre calmo e gentile. Non che non si arrabbiasse mai, ma era controllato, non dava mai in escandescenze. Insomma non ci faceva mai paura. Delle amiche di altre classi mi raccontavano invece che a volte avevano rischiato di farsi la pipì addosso, tanto erano spaventate nelle proprie classi.
Anche le maestre donne a volte strillavano in modo isterico spaventando i loro bambini.
Carlo, se si arrabbiava restava zitto e ci guardava; quando riprendeva a parlare usava un tono di voce molto basso; se per caso facevamo un po' chiasso in quel modo eravamo costretti a starcene tutti zitti, altrimenti non avremmo sentito nulla di quel che stava dicendo.
Invece di parlare per ore come facevano altri insegnanti, lui parlava pochissimo, l'essenziale, presentava alcune situazioni e poi faceva parlare noi. Lui si limitava per un po' a porre delle domande, a guidarci, a fare il regista della nostra discussione. Qualche volta ci aveva anche spiegato che per imparare davvero non bastava ascoltare e ripetere infinite volte delle lezioni. Era molto convincente. A volte riusciva a farci vedere come dai nostri errori o dalle risposte errate alle sue domande, riuscivamo da soli a raggiungere la scoperta...
Avevamo in classe una gabbietta con dei criceti e un'altra con delle tortore. Avevamo dei turni che seguivamo per accudire i nostri animaletti, pulire le gabbiette, cambiare l'acqua, portare cibo fresco. Naturalmente le bidelle non erano contente.
Non lo chiamavamo maestro, ma Carlo, e gli davamo del tu. Come facevamo d'altra parte anche con i nostri genitori.
Su un vecchio tavolo posto in un angolo avevamo anche un limografo, che consisteva in due telai di legno incernierati l'uno con l'altro. Su uno era attesa una reticella di seta. Quando lo chiudevamo mettevamo un foglio sotto la reticella, poi con un rullo spargevamo dell'inchiostro grasso che prendevamo da un grosso tubo come di dentifricio, e sul foglio si stampava una pagina. Ah, bisogna dire che sotto la reticella veniva posta una matrice che avevamo inciso battendo a macchina senza il nastro, oppure sulla quale avevamo scritto con una penna speciale, o disegnato.
Quei fogli servivano per il nostro giornalino e per i libri che stampavamo noi. Gli articoli del giornalino erano delle specie di temi che chiamavamo testi liberi. Con discussione e votazione sceglievamo i migliori e ne curavamo sia la correzione che la messa a punto. Poi vendevamo le copie agli alunni delle altre classi e alla gente che conoscevamo fuori della scuola. I soldi che raccoglievamo ci servivano per comprare la carta, le matrici, l'inchiostro e delle cose nuove e la contabilità la tenevamo noi controllati dal maestro Carlo.
Era un uomo calmo e dolcissimo, severo e amichevole insieme. Come avrei voluto fosse così anche mio padre!
L'altra maestra era cambiata diverse volte nel corso degli anni della scuola elementare. Mi ricordo quella degli ultimi due anni, quarta e quinta. Si chiamava Matilde, mi pare che venisse da Catania. Aveva un accento diverso dal nostro e a volte non capivamo bene le parole. Lei stessa si scusava, si diceva da sola che era una terrona, poi scherzava anche sui difetti di pronuncia della nostra parlata novarese e piemontese. Con lei facevamo matematica e scienze, attività motorie e musicali. Aveva una voce bellissima e molto acuta.
La nostra canzone preferita era: "vento sottile".
Diceva: vento sottile, vento del mattino, vento che scuoti la cima del mio pino, vento che canti, che danzi , la gioia tu ci porti, vento sottile.
La cantavamo a canone, appena un gruppo terminava una strofa, attaccava l'altro e così via. L'effetto era magnifico!
Poi cantavamo altre canzoni molto belle e semplici che non ho mai dimenticato e che canterò ai miei figli quando ne avrò.
Nel mezzogiorno c'era il servizio mensa; il cibo era abbastanza scotto e insipido, ma lo mangiavamo lo stesso e intanto chiacchieravamo a bassa voce con la maestra o il maestro. Specialmente con Matilda poi facevamo degli studi sull'educazione alimentare, con letture, esperimenti e reazioni, compilazione di tabelle...
Insomma lavoravamo tantissimo ed eravamo sempre molto entusiasti. Raramente qualcuno di noi doveva venire rimproverato. In quel caso non erano solo i maestri a doverlo fare, ma un po' tutti, e alla fine anche il malcapitato riconosceva i propri errori e si scusava con tutti.
Una volta ricordo che Carlo arrivò al mattino trafelato all'inizio delle lezioni. Aveva la faccia pallida e stanchissima, gli occhi cerchiati. Gli chiedemmo se era malato.
Ci raccontò che era appena sceso dal treno, tornando da un convegno a Roma con altri maestri.
Eravamo molto incuriositi e preoccupati per lui, per cui lo invitammo a raccontarci tutto.
Col suo tono calmo e pacato ci raccontò che il modo di far scuola che usava lui e anche Matilda, non erano merito loro. Ci raccontò di un maestro francese che più di cinquant'anni prima aveva inventato quel metodo di scuola attiva, che ora veniva seguito in tutto il mondo. I maestri si trovavano periodicamente a proprie spese per discutere, imparare e studiare. Alcune riunioni erano a livello europeo o mondiale. Mi pare che la loro organizzazione si chiamasse Mouvement d'école moderne, e in Italia Movimento di Cooperazione Educativa.
Eravamo affascinati ed entusiasti di avere dei maestri che ci facessero divertire a studiare, aiutandoci a capire perché lo facevano.
Nelle supplenze che ho fatto poi alle medie, qualcosa del genere mi era capitato di incontrarlo, nelle classi a tempo prolungato. Anche lì avevo incontrato insegnanti entusiasti e metodi di insegnamento apprendimento improntati alla scuola attiva.
Di recente ho letto sul quotidiano e sentito in qualche programma radiofonico o televisivo che tutta la scuola ha appena subito una radicale riforma.
L'impressione che ne ho avuto è stata quella di uno smantellamento di tutte le innovazioni che c'erano state nei decenni precedenti, con una riduzione del tempo scuola, il ritorno al maestro unico. Il ritorno alla scuola che avevano avuto forse i miei genitori o i miei nonni...
La mia esperienza di insegnante supplente precario nella scuola media è stata abbastanza deludente e triste. Per moltissimi anni non ci sono stati i concorsi per assumere nuovo personale. Ci fu una notevole contrazione degli organici, con forte riduzione del numero di insegnanti. In un'epoca di estrema precarietà del lavoro per tutti, quel periodo da precaria nella scuola mi aveva lasciato la bocca amara. Essere assunta in ruolo e a tempo indeterminato era anche il mio interesse.
Ma oltre e al di là dell'interesse personale sono sempre stata convinta che la stabilità nel corpo docente, l'investimento nella sua formazione, la consistenza del tempo scuola siano fattori essenziali per il miglioramento della sua qualità.
E credo che il migliore investimento per l'economia, per la società e per la qualità della vita del domani dipenda molto da un forte investimento nella formazione e nella scuola.
Non penso che queste mie considerazioni siano troppo influenzate anche dalla mia deludente carriera di insegnante. La scelta che avevo fatto nell'iniziare il mio percorso universitario di scienze dell'educazione andava proprio in questo senso.
Sono delusa e amareggiata profondamente dall'aver dovuto rinunciare ai miei ideali e al sogno che avevo sempre avuto di poter ricreare un'esperienza simile a quella che avevo vissuto con i miei maestri Carlo e Matilda.
Chissà perché, a queste riflessioni mi ha portato questa sera la visione dei "10 inverni", con gli studi universitari dei due protagonisti.
Ora io faccio la commessa in un iperstore galattico, grande cattedrale dei consumi e della solitudine. Non vedo l'ora che termini la mia giornata di lavoro. Che prosegue eterna, monotona e tediosa.
Tranne i rari raggi di sole di quando faccio qualche incontro o scambio due parole. Uno di essi è rappresentato dall'apparire tra le corsie del mio bizzarro vecchio profeta, con la sua aria da artista e da professore...







- Enchanté – sapevo che le avrei detto stringendole la mano – che piacere incontrarla!-Oppure anche uno sguardo sorpreso immobile, in sur-place, in attesa della riconferma nel suo della mia spettativa. Oppure
- Encantado! Come va? – non avevo ancora deciso se le avrei dato del tu o del lei.
Poi il discorso si sarebbe dipanato via, speravo, senza intoppi. Senza mostrare le extrasistole impazzite che mi costavano.
Mi ritrovavo a inseguire sequenze di molto successive. Ciascuna di esse aveva ormai già preso una strada diversa.…
Se il clima emotivo avesse avuto la temperatura che mi attendevo potevo arrivare molto oltre…
-Scende a Magenta? Le avrei chiesto?che ne dice se venissi a rapirla (o a rapirti?), diciamo tra un paio d’ore per portarla in un ristorante favoloso…
Sì, ne ho una serie molto ricca, c’è solo da scegliere, in base ai gusti…
Questa è la mia casa; ci passo qui il tempo a scrivere, a fare congetture, a inventare la realtà, a sognare il mondo possibile, a seguire le mie allucinazioni raccontandole…
Mi avrebbe detto con gli occhi che avrebbe preferito fermarsi la notte con me? Fare un atto trasgressivo, come capita nelle storie d’amore? Avrei insistito per riportarla a casa, per non sciupare il momento, per differire l’attesa prolungandola, per ingigantire all’infinito la magia…?
Molte volte era avvenuto così. Si viaggiava sospesi a mezz'aria, nell’infinita magia estraniante. Diventando all’improvviso un’altra persona che stavamo a guardare dal di fuori mentre recitava la sua pièce, alla perfezione. Quante donne mi avevano poi detto che gli approcci e i primi momenti erano stati perfetti, stregati e magnetici…?”




  1. PENDOLARI

“Si invitano i signori viaggiatori a non oltrepassare la zona delimitata dalla linea gialla”. L’abbiamo capito, è inutile che tu lo ripeta come uno spot pubblicitario. Ed ecco che Trenitalia, dopo poco depone con breve cigolio il materiale rotante sulla banchina del binario quattro.
Mi accingo quindi a salire con gli altri signori clienti.
Qui c’è un posto nel senso di marcia. Mi siedo.
Non ho ancora tirato fuori il manifesto e scorgo che sulla poltrona di fronte a me c’è una figura famigliare.
Da mesi avevo notato quella figura apparire, saltuariamente, nei miei viaggi. Ma mai così in primissimo piano.
Una delle prime volte doveva essere stato a dicembre.
Rivedo la sequenza come fosse ora.

La sua massa immensa domina lo scompartimento, mentre cerca con lo sguardo un posto adatto a sedersi. Con leggere occhiate indaga chi occupa gli altri posti. Sembra voglia scegliere qualche volto o qualche tipologia di viaggiatore in particolare.
Indossa una immensa mantella nera, fermata al collo con alamari e ganci metallici. Una mantellina ricopre le spalle del nero mantello, scendendo fino a sotto le scapole.
Porta un cappello a larghe tese color grigio-fumo. Ricorda i cavalieri misteriosi dei western all’italiana.
Ha uno sguardo attento come quello di un entomologo che studia i particolari più minuti. Lo muove intorno con discrezione e garbo. Se incontra altri sguardi non mostra spudoratezza o insistenza, spostando altrove l’attenzione, con una traccia appena percettibile di sorriso.
Ha occhiali finissimi con lenti fotosensibili. Appena salito erano scure come quelle di occhiali da sole. Ora hanno già perso completamente il colore e hanno solo lievi riverberi iridescenti.
È un gentiluomo d'altri tempi, sopravvissuto ad altre catastrofi. Mostra un'età difficilmente definibile, tra i quarantasette e i settant'anni.
Cerco di non farmi sorprendere mentre lo osservo.
Si è tolto il copricapo che ha posato su un ginocchio, infilandocelo, come su un portacappelli.
Tiene il mantello ripiegato come un immenso playd nel posto libero accanto a sé.
Le perlustrazioni periscopiche compiute con estrema discrezione hanno lasciato il posto ad una pensosità quasi assorta.
Guarda fisso per brevi periodi in punti fermi, per poi spostare il fuoco un po’ più in là. Segue certamente un suo percorso mentale interiore, che mescola e sovrappone alla realtà circostante.
Cerco di scoprire quali sono gli oggetti della sua attenzione. Di frequente noto che osserva chi gli sta di fronte.
Quando ci accingeremo a scendere potrò vedere che ci stava una persona comunissima,una donna molto magra. Gli zigomi pronunciati sorreggono uno sguardo immenso e vuoto. Proteso verso una galleggiante malinconia.
Nel corridoio finisco per sfiorarlo mentre rindossa il suo abbigliamento. I nostri occhi si incrociano di sfuggita. Il leggero sorriso che leggo sembra intenzionale. Lo ricambio.
Ho sentito che qualcuno come me l’ha notato da tempo; ne percepisco sfumati e sordi commenti cauti. Lo chiamano “il professore”.
Così ho preso l'abitudine ogni volta che salgo sul treno per Milano di curiosare se c'è anche il professore.

Oggi porta una giacca sahariana color panna e un cappello di panama. Siede proprio di fronte a me.
Ci siamo ormai abituati a scambiarci leggeri e sfumati sorrisi d’intesa. Come saluti.
Anche oggi gli ho visto estrarre uno smartphone argentato, sullo schermo del quale scrive con rapidi colpi di scalpello con una pennina nera.
Ogni tanto, nelle pause di scrittura, rimane fisso a guardare oltre la realtà trasparente con aria assorta.
Dopo avere a lungo digitato, ad un certo punto ha riposto la pennina nell'apposita guaina del suo smartphone.
Ha mosso lentamente lo sguardo intorno a sé. Poi, con un accenno di sorriso negli occhi, mi ha rivolto la parola. Come continuando un suo discorso interiore, ha soggiunto:

“… la lettura e la scrittura possono assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore.
… Scrivere può anche essere un grande atto d’amore.”

- Cosa ne pensa di queste affermazioni? -
E’ la prima volta che mi rivolge direttamente la parola. Sinora avevamo comunicato soltanto a cenni d'intesa e a sguardi.
Sono rimasto leggermente imbarazzato. Preso alla sprovvista.
Mi sono limitato ad un cenno di assenso compiaciuto.
- Magari la prossima volta che c'incontriamo potremo scambiare due chiacchiere sull'argomento non le pare?- Ha aggiunto.

Anche oggi, Federico e il professore si sono scambiati un sorriso d’intesa, accomiatandosi mentre scendono dal treno. Ma più caloroso del solito. Si sono addirittura parlati e salutati.
Sotto l’immenso hangar della stazione Centrale.
Anche dopo la pulizia che è stata fatta alle lastre di vetro essa conserva una penombra da orto botanico e da giardino d’inverno.
Le banchine sono pullulanti di schermi che diffondono assillanti e inascoltabili messaggi pubblicitari. È tutto un brulicare di presenze che scorrono via dilagando ciascuna verso una sua destinazione, una sua fretta da soddisfare, un suo scopo e una sua meta da raggiungere.
Con falcate lente ma possenti, il gigante molleggiato si allontana deciso verso le scale mobili e i tapis-roulant che sprofondano nel gorgo verso la metropolitana.
È come trovarsi su ampie e irregolari dune di sabbia dove siano scavate voragini, pronte ad inghiottire verso il centro della tana del formicaleone, la metropolitana, che attende con i suoi vagoni intermittenti le formiche sciamanti a passi rapidi.
Federico lo ha subito perso di vista e raggiunge il suo treno della linea rossa che ha appena spalancato le porte, fagocitandolo insieme ad altre presenze assenti, che si stanno disperdendo sotto il tessuto connettivo sotterraneo della metropoli leghista.
E rimangono nella testa a turbinare e a ronzare le parole un po' strane, ma affascinanti che ha appena ascoltato:

" …scrivere è come una cena succulenta, un sonno meraviglioso, un sogno infinito…. può anche essere un grande atto d’amore….”

Gli risuonano con la voce baritonale che ha appena ascoltato, con quella inflessione cadenzata abituale nella sua città.
Gli rimbalzano dentro come quelle frasi musicali che continuano ad echeggiare nella memoria, reiterate e insistenti.... sentite per caso e che continuano a fare i loro ritornelli nel nostro cervello…
Un po' per volta ne intuisce e ne sente il senso e il significato. Prima ancora di aver formulato pensieri logici.



  1. PERDERSI TRA GLI SCAFFALI
<< Si, devo proprio riprendere ad andare in piscina. È proprio un'idea magnifica. Era un po' di tempo che mi sta rimuginando in testa . E invece ho continuato ad accantonarla e a metterla da parte.
Metto il costume intero, è meglio.
Il tempo solo di passare da casa a prendere la sacca, l'accappatoio e le ciabatte. Il costume me lo infilo sotto e porto il cambio di biancheria nella sacca.
Non ho per niente fame.
Al massimo posso andare a mangiare una pizza quando esco, no?
Oppure può andar bene uno yogurt e un po' di frutta prima di andare a dormire.
Si, forse è meglio così.
Queste scatole di candeggina per adesso le appoggio qui, devo prima far un po' di posto ...
Ecco fatto.
Toh, chi si vede! Il cavaliere dell'apocalisse! Con la sua spolverina di pelle scamosciata e il cappello da cowboy. Ogni tanto ricompare...
Ogni tanto chiede aiuto per cercare qualcosa...
Mi sa che anche questa volta sta venendo proprio da me...
Non mi è antipatico; è un personaggio strano ma affascinante...
Lo lascio curiosare tra gli scaffali...>>

- Sarebbe così gentile, la prego, di indicarmi dove posso trovare il lievito di birra, quello in panetti, non quello liofilizzato in polvere... Mi scusi se la disturbo...-
-Ma si figuri, certamente…dunque... solo che non è qui, in questa corsia, è... diciamo... tre corsie più in là, vede? Allora, il lievito di birra in panetti dovrebbe trovarlo circa a metà, sulla sinistra...-
- L'avevo quasi immaginato che non dovesse trovarsi qui in mezzo ai detersivi..., ci sarebbe stato molto a disagio, credo; sa, io mi trovo meglio con il lievito in panetti che con quello in polvere per fare il pane... Ma esistono diverse scuole di pensiero... non vorrei entrare in conflitto con la sua opinione personale... -
- Ah, io non ho proprio idee in proposito, non ho mai fatto il pane in casa. Anzi, le confesso che di pane non è consumo quasi mai. Qualche cracker... -
- Certamente, anche se non credo proprio che lei abbia bisogno di stare a dieta... Chissà perché ma tutte le donne sono sempre a dieta... tranne quelle che ne avrebbero bisogno... alcune addirittura stanno per cominciare una dieta da... settembre... Mi permetta un'opinione personale: lei sta già meravigliosamente così.
Perdoni la confidenza, ma a volte mi piace scambiare due parole con qualcuno che mi ispira... Anche su argomenti così poco profondi come il lievito di birra…-
- Non è assolutamente un problema! Sapesse che noia passare otto ore qui; spesso con gente polemica o sgarbata; è un piacere anche per me scambiare due chiacchiere con persone che lo meritano...E poi non è la prima volta, mi pare, che lei mi chiede qualche consiglio… -
- È vero, lei è proprio la mia guida… La mia Beatrice in questa bolgia di scaffali e di prodotti sconosciuti ed autoreplicantesi... Mi sento proprio in obbligo con lei… Se non si offende le confesso che avevo in serbo una proposta, pudica e castigata, stia sicura. Non mi mandi al diavolo, ma avevo in mente che qualcuna delle sere prossime… cioè voglio dire che darò una cena a casa mia. Non una di quelle cose galattiche tipo party, poche persone significative… magari con una sorpresa… Io gliela butto lì, così… Veda lei…. Non intendo farle delle avances, vedrà lei stessa... -

Tiziana sorride sorpresa e compiaciuta.
Parlottano ancora un poco a mezza voce. Lui la rassicura che non si tratta di una cena intima, a due...
- Peccato - soggiunge lei volendo mostrarsi gentile e per nulla disturbata dalla bizzarra proposta.
Poi lei svuota la scatola che aveva posato a terra, sistemando negli scaffali le bottiglie di plastica verde della candeggina gentile. Gentile un cazzo, borbotta dentro. Mentre la palandrana svolazzante in stile Sergio Leone si allontana lentamente sormontata dal cappello a larghe tese , dal quale escono arricciati ciuffi grigio-argentati.
Ancora per poco lei potrà vederlo aggirarsi nel labirinto di corsie e scaffali. Trascinandosi dietro il cestino con il manico lungo e le rotelle, nel quale butta alla rinfusa qualcosa ogni tanto. Guardandosi intorno con circospezione e interesse.
Alla cassa potrà manifestare solidarietà ad una immensa cassiera matronale per il suo noioso lavoro, strappandole un sorriso da conservare sino a fine turno...









- Ma buonasera!- dicevo prendendo delicatamente una sua mano nelle mie – lo sa come fanno in Giappone le presentazioni?- e le avrei fatto scivolare nella mano morbida il rigido cartoncino rosso verticale. Che avevo tenuto pronto, con i sui angoli acuminati e taglienti…
- Ah, certo – mi avrebbe sorriso imbarazzata – io non ce l’ho. Posso chiamare il suo cellulare così le rimane il mio numero?
- Perdoni la mia invadenza, ma credo di aver proprio bisogno di parlarle. Ho intenzione di usare la sua immagine per un mio racconto, sempre che lo permetta, naturalmente. Gliela posso prendere in prestito? Sarò delicato e discreto, non dubiti.-
Avrei anche potuto convincerla a venire fino a Novara, promettendole di riportarla a casa con la mia auto.-
(O stavo già correndo troppo?)


  1. IL SEGRETO DEL PROFESSORE.
Federico è salito. Il professore ha appena preso posto. Appena lo vede gli fa cenno con uno sguardo perché si sieda accanto a lui.
Per qualche secondo nessuno dei due dice niente.
- Erano di Daniel Pennac quelle espressioni dell'altro giorno sullo scrivere e il leggere.. Ma immagino che le avrà riconosciute... -
Poi è Federico che con voce leggermente titubante butta fuori la domanda sulla quale ormai rimugina da mesi.
-  Forse potrò sembrare indiscreto, e in tal caso la prego di non rispondermi. Le ho già raccontato, mi pare, qualche volta, che tipo di lavoro io faccio e perché due o tre volte la settimana sono costretto ad andare a Milano. Lo so, non è un lavoro come un altro. Preparo siti e blog, addestro a fare l’amministratore e insegno le regole del gioco: come si fa a postare inviando messaggi, come aprire delle thread di discussione, su vari topic, come guardarsi dai troll che disturbano il blog, bloccare le (o gli?) spam….
Devo andare a contattare personalmente i miei clienti, portando con me il mio prodotto, che sto confezionando, e che tengo qui dentro nel mio portatile.
Qualche volta mi sono domandato cosa ci facciano altre persone sul mio treno. Mi facevo delle fantasie, così. A volte era anche facile indovinare. A volte le mie fantasie e congetture mi appagavano abbastanza. Voglio dire che poteva non fregarmene nulla delle storie personali di qualcuno.
Ma, confesso, che non sono mai riuscito ad appagarmi delle ipotesi che riuscivo a formulare sul conto di qualche personaggio speciale.
Non voglio farla ridere raccontandole le fantasie che a volte mi sono raccontato quando vedevo lei. Sì, lei. Può darsi che possa stupirsi di queste mie confidenze e di questo mio gioco mentale. Ma non escludo che anche lei ci si possa essere divertito a fare questo gioco...

Il professore guarda in modo attento il suo interlocutore. Per niente disturbato o indispettito. Piacevolmente sorpreso e incuriosito forse. Poi, senza convenevoli, entra subito nel merito della domanda. Come se l'avesse aspettata da tempo. Come se si fosse già interiormente preparato alla risposta. Come se avesse un grande bisogno di rispondere.
-  Beh, è una storia lunga da raccontare. Se ha pazienza e se non arriviamo a destinazione prima…
Tutto è cominciato diverso tempo fa. Una sera stavo tornando da Milano. Intendevo prendere il treno delle 17.50 da Porta Garibaldi.
Abitualmente i tabelloni tardavano ad annunciarlo fino all’ultimo momento;  pochi minuti prima che arrivasse sul binario.
Invece, stranamente, rispetto al solito, il treno era già pronto al binario sette.
Però nell'ampio spazio aperto alla testata dei binari, sotto agli immensi tabelloni neri che annunciavano i treni in partenza, indugiava ancora una nutrita massa di persone in attesa.
Stranamente nessuno si affrettava a salire, nessuno si assiepava lungo il binario…
Attraversai quella folla perplessa e parlottante ascoltando frammenti di conversazione.

-... perché c'è un'interruzione a Magenta...-
-... pare che qualcuno sia andato sotto il treno, devono aspettare il procuratore della Repubblica... –
- ... ma, non si è capito se si tratta di un incidente o se qualcuno ci si è buttato apposta...-
-... coi tempi che corrono niente di strano che possa essersi trattato di un suicidio...-

Lì per lì non fui particolarmente toccato da quello che sentivo. Ero ancora tutto dentro nei miei pensieri precedenti, a cose dette e sentite che mi avevano arricchito, fatto star bene.
In genere ho sempre avuto come una difesa nei confronti di episodi di violenza e di morte in cui mi sono imbattuto. Una forma di autodifesa, di corazza protettiva. Uno scafandro contro il dolore e la sofferenza.
Un'immagine mentale sfocata mi mostrava divise blu e azzurre di poliziotti che tenevano a distanza uomini e donne curiosi che allungavano il collo per guardare morbosamente più in basso tra i binari.
Al binario sette, sentivo il brulicare dei commenti dei pendolari in attesa. Sentivo il serpeggiare dei lampi elettrici delle loro scosse emotive. Sentivo la preoccupazione, il disappunto, il disagio, il turbamento, la paura...
Ma non ne venivo contagiato; passeggiavo come sempre in mezzo alla folla oggi più irrequieta del solito.
Un nuovo annuncio borbottò qualcosa e l'onda pendolare si orientò verso il binario. Dapprima solo qualche persona isolata, poi come per contagio, tutti vennero trascinati e ci fu un formicolio di passi affrettati, di mani con borse, di parole e di sguardi...
Mancavano pochi minuti alle 17. 50. Anch'io mi determinai a raggiungere l'onda prendendo posto su una carrozza. Come sempre era uno di quei treni Vivialto a due piani; mi sedetti in un posto libero nella corsia di destra nel senso della marcia.
Ero immerso più di prima nel parlottio generale, percependo soprattutto il disagio per il probabile ritardo.
Alle 18.15 circa un altro annuncio invitò i passeggeri di quella corsa a raggiungere il passante ferroviario dove un altro treno in ritardo ci avrebbe permesso di raggiungere prima Novara e Vercelli.
Nuovo formicolio brulicante che si spostava e raggiungeva la banchina del binario uno della sotterranea. Come anche lei certo sa il percorso dalla stazione ferroviaria ai binari del passante è abbastanza tortuoso. La massa si spostò con passi affrettati e rapidi.
Una guardia giurata intratteneva con spiegazioni gruppi di persone accanto al marciapiede, dove era fermo un treno.
Seguii le poche persone che si affrettavano a salire e mi sedetti nuovamente sul lato destro dove era ancora libero un posto. Per un meccanismo di automatismo ripresi lo stesso posto circa che avevo occupato poco prima sull’altro treno.
Di fronte a me una donna magrissima, quasi anoressica, parlava di ricette di cucina con tono confidenziale con un uomo sulla quarantina, basso e con il volto largo. Si scambiarono pareri e consigli quasi ad esorcizzare il ritardo e quella persona che giaceva ancora disfatta tra i binari.
Sentivo i loro discorsi in sordina mescolati e confusi con frammenti di altri.
Provai a curiosare le notizie asciutte e stringate dal quotidiano generalista a diffusione gratuita che avevo appena raccolto dal contenitore. Poi, come ero solito fare, estrassi il mio smartphone, lo avviai e mi accinsi a scrivere con la pennina nera di plastica rigida.
Buttavo giù in fretta degli appunti che avevo immagazzinato mentalmente, prima di perderli del tutto, come a volte mi capitava.
Come era spesso mia abitudine, mi bloccavo ogni tanto nella ricerca della parola o dell'espressione più appropriata. E lo facevo tenendo lo sguardo fermo nel vuoto.
In uno di questi miei sur-place linguistici notai con la coda dell'occhio e sulla corsia di sinistra, due posti più avanti: una giovane donna guardava nella mia direzione.
Trattenni pochi secondi lo sguardo su di lei, tanto da fotografarne l'immagine. Aveva i capelli biondi corti, un ovale armonioso con due occhi a mandorla che sembravano proprio guardare verso di me.
Più volte distolsi lo sguardo. Appena mi sollevavo dal piccolo monitor percorso dal mio pennino, ritrovavo quello sguardo puntato, fisso, dolcemente provocatore, gentilmente offerente la luce del suo guardare.
Mi accertai con noncuranza che non fosse rivolto a qualcuno alle mie spalle.
Mi venne in mente la scena di Chaplin. Sa, quella in cui una donna bellissima sorride all'omino in bombetta e canna di bamboo. E lui ringalluzzito e ottimista ricambia il sorriso mentre lei sembra andargli incontro... fin quando scopre che lei sorrideva a qualcun altro che stava dietro di lui..
Ma nessun volto o persona emergeva dietro la mia poltrona.
Ci fu una lunga sosta. Borbottii diffusi di insofferenza. Lo sguardo di mandorla mi lanciò una nuova gradevole sciabolata con un sorriso ampio, profondo, compiaciuto, complice. Cercava la mia complicità per lamentare la nostra comune impazienza, ma dicendo, nel contempo, che avevamo qualcosa in comune oltre quell'impazienza: i nostri sguardi e quel sorriso ampio, profondo, infinito, pudico e sensuale insieme, dal quale riuscii a strapparmi solo a fatica.
Mi riimmersi negli appunti che stavo compitando; forse per non sembrare invadente. Ma quello sguardo continuava a lambirmi, lo sentivo con i sensi e me lo ritrovavo davanti ogni volta, anche se riuscivo a sfuggirgli. Ne percepivo il profumo intenso e gradevole, come un regalo immeritato. Era troppo dolce e piacevole per rischiare di perderlo a causa della mia improntitudine o sfacciataggine nel ricambiarlo troppo intensamente. Preferivo lasciarmi ogni volta riconquistare correndo subito via. Era sempre avvenuto così nella mia vita: le esperienze significative di incontri con donne importanti mi avevano visto predato anziché predatore. Anzi, le volte in cui avevo cercato di catturare interesse femminile, avevo sentito come un sordo fastidio di rimando; era come se i miei approcci risultassero maldestri, inficiati da un inespresso "bisogno" che finiva per influenzare negativamente l'oggetto dei miei desideri.
Sentivo nell'aria qualcosa di magico provenirmi da quello sguardo a mandorla, sentivo vibrarmi dentro un bordone monofonico, un basso continuo che faceva da sostegno armonico di accompagnamento al mio stato d’animo. Era una dimensione che avevo già provato altre volte ed ero magicamente influenzato da quell'aspettativa che presentivo soltanto, con l'intuito. Era una nota lunga, persistente che prendeva giusto sotto lo sterno, che fluttuava, dominante, che sentivi destinata a durare. Che determinava il tempo e lo spazio. Che avrebbe condizionato, modificandolo, il flusso dei giorni...
Me ne restavo pertanto come inamidato, sospeso e perplesso, incerto.
Per lunghe sequenze di brevi istanti cercai di sfuggire intenzionalmente quello sguardo, ma lo sentivo là pronto a carezzare. A carezzare me, proprio me, solo me; ma me l'ero forse meritato?
Cercai di esorcizzare la speranza accostando quell'impressione a esperienze precedenti. A quando mi ero lasciato trascinare nel gorgo seduttivo da altri magici sguardi. Alle amare esperienze che ne erano susseguite. All'amara delusione di essere stato oggetto di concupiscenza interessata.
In un flash mi raccontai la storia di quell'architetto settantenne che aveva lasciato la moglie per una giovane polacca che gli aveva fatto credere di essere innamorata di lui. E che lui poi aveva anche sposato. Dalla quale aveva avuto una figlia. Per la quale aveva comprato una casa in Polonia.
Quando lui, diversi tempo più avanti, aveva suonato alla porta di quella casa, non riuscendo ad aprire con le proprie chiavi, ci aveva trovato inquilini abusivi della famiglia di lei.
Alle sue rimostranze l'aut-aut della sua bella sposa: "Se ti va è così; altrimenti la bambina rimane con me e non la vedrai mai più!" Gli aveva sibilato quella giovanissima e affascinante moglie dagli occhi di ghiaccio.
Il tempo, intanto, si stava arrotolando su se stesso impercettibile e rapido. In una manciata di attimi lunghissimi e brevi il treno si stava ormai avvicinando alla prossima fermata di Magenta. Lo sguardo intenso si era alzato, girato verso di me, lo sentivo, l'aspettavo.
Cercai di nuovo il suo volto: mi fece un sorriso profondo, intenzionale, ricco di significati, sospeso nell'aria come una nota fissa persistente.
-Salve! Buona sera!-
-Buonasera, ciao...-avevo ribattuto attonito e spaventato, affascinato e perduto.
Ma era dunque possibile che quegli occhi cercassero proprio me, in quel giorno e in quel momento, me che non avevo niente da regalare, se non l'attesa di una speranza extrasistole?
La stazione di Magenta con il suo sangue e il suo lutto, era sfilata via indifferente, assente e improbabile.

Partenze sincopate
e arresti a singhiozzo
le milonghe ritmate,
tachicardioniria

extrasistolizzate
nel carosello pazzo
di avvii e fermate
coazione a sognare.

Sul velario mentale
un sorriso









... Fin quando riuscivo a scorgere la sua figura alta, coi capelli biondi corti, l'ovale ampio, gli occhi allungati a mandorla...
E tutto si fermava, restava sospeso in sur-place per alcuni infiniti e interminabili secondi surgelati, immobili come l'eternità. Come il fermo immagine in moviola. Come soffermarsi soprappensiero su un'idea improvvisamente arrivata. Come morire per qualche istante.
E tutto poi riprendeva a muoversi normalmente, con la naturalezza che solo il pensiero e il cinema possono regalare. Un improvviso arresto cardiaco che precedeva il battito disordinato extrasistole, e un frenetico tamburellare cadenzato, con accelerazioni impossibili.
La gente fluiva dalla piccola brutta stazione, come l'acqua di un torrente sfiorando un masso immobile posto lì davanti. Cercavo di uscire dalla mia immobilità, formulavo pensieri balbettatati, che cercavo di riordinare e ricomporre. Il torrente fluiva sfiorandomi mentre la mandorla di uno sguardo mi si avvicinava inesorabilmente. Quando il suo sguardo era a pochi passi mise a fuoco la mia presenza con aria compiaciuta. (E se fosse stato con aria irritata e con disappunto?).
La mano che frugava nella tasca della stessa giacca di fustagno, afferrava il bigliettino da visita rosso dagli angoli pungenti. Si allungava invitando la sua, accogliendola, trattenendola con dolcezza e garbo, gustandone il tepore.
"Ah, abita qui?"
"Sì, sono di Magenta, io. Eeeh ..." senza finire di chiedere che cosa ci facevo io lì.
"Vedevo che qui avete un discreto parcheggio; a Novara è impossibile lasciare la macchina. Sono costretto ad andare alla stazione a piedi o in moto... e non sempre è la cosa migliore..."
(ma stava in piedi una cazzata del genere?)
"Che piacere ..." avrebbe potuto dire mentre insieme ci saremmo scostati verso le auto parcheggiate.
"E sono venuto... per accompagnarla a casa... naturalmente"”

  1. SOSPESO A MEZZ’ARIA

Fino a Novara ero rimasto sospeso a mezz'aria sospinto da soffi di venti opposti.
Da quando ero salito nella carrozza quegli occhi mi avevano carezzato, cercato, sorriso, salutato... Ma perché? Che senso aveva tutto quello? Era una donna giovane e attraente, bellissima, perché aveva dovuto poter guardare e cercare me? Da troppo tempo non ero avvezzo a quelle situazioni. Spesso mi era venuto a volte all'improvviso di attaccare discorso, così, senza intenzione, con qualcuno che in quel momento mi ispirava. Erano donne massicce di mezza età; uomini e donne di colore; qualche volta anche ragazze o donne giovani e piacenti. Ma era capitato così, per caso, senza intenzione; senza un dopo preventivato o previsto o atteso.
Socchiudendo gli occhi provai a riguardare l’aspetto che dovevo avere in quel momento. A riguardarmi con gli occhi di lei. Indossavo una giacca tipo sahariana di fustagno, su calzoni color tabacco con i tasconi applicati. Quel giorno non portavo i miei soliti cappelli a larghe tese. I miei capelli mescolavano ancora all’argento ampie macchie castane. La barba corta brizzolata che avevo appena spuntato quella mattina. Gli anni non hanno ancora invaso il mio volto con profondi solchi di rughe, mi rassicurai.
È sufficiente il mio aspetto per meritare un regalo così piacevole?
L'ultima compagna dalla quale mi ero di recente appena liberato mi aveva voluto far credere di essere rimasta affascinata da me.
Che parole grosse e impegnative!
Per più di un anno avevo mostrato di non volerci credere.
Infine la lusinga narcisistica aveva finito per avere il sopravvento.
Poi gli interessi economici, di potere e di dominio avevano presto avuto il sopravvento. Mi aveva invaso la casa e la vita con la sua presenza civettuola e accattivante. Dominatrice e padroncina.
Mi aveva trascinato in vacanze assurde giocando a far la signora; a fare acquisti in svendite infinite; negli outlet sterminati dei suoi paradisi consumistici; a cercare sempre nuove case di vacanza nelle riviere possibili! In una vacanza di due settimane in Costa Brava  mi aveva praticamente obbligato a farmi scarrozzare, insieme a lei, da operatori turistici ed immobiliari, a visionare finti paradisi in residence esclusivi. Talvolta ancora in costruzione, con piscine, campi da tennis e da golf…

Aveva cercato di spendere al meglio la moneta sonante delle sue chance.
Fin quando io non avevo deciso di uscire da quella palude in cui mi ero impantanato. Rinunciando al suo profumo di donna e al ricatto costante col quale sapeva farmene dono.
Riconquistando la libertà del mio tempo e dei miei gesti; sentendomi alla fine più pulito.
Mi ero strappato di dosso gli inutili orpelli della sua grazia civettuola e seduttiva. Le sue moine accattivanti e morbose con le quali aveva creduto di manipolarmi facendomi giocare al suo gioco. Avevo deciso risolutamente di non giocare più!
Non riusciva a raccapezzarsi, riprovando tutte le sue armi e tattiche: pianti, erotismo, sensualità, urla di rabbia e di rancore furioso. All'improvviso mi si mostrava nuda, fingendo di stupirsi. Quando la raggiungevo nel letto matrimoniale, dove ancora trascorrevamo insieme le notti, si faceva trovare prona, con la corta camiciola da notte casualmente scivolata troppo in alto, a mostrare i suoi glutei formosi e invitanti. Una profonda e scurrile profferta amorosa; di prestazioni borderline, trasgressive con perversione procace. Ogni nuovo stratagemma sconfessava il precedente, contraddicendolo. L'offerta di sesso faceva a pugni con le espressioni volgari e i rinfacciamenti; la disponibilità a giochi amorosi molto spinti con gli aspri giudizi sulle mie prestazioni commisurate alla mia età. E poi aveva solo vent'anni meno di me, e non era una giovane polacca di ghiaccio!

Era dunque un’altra analoga situazione quella che stavo vivendo? Ma la stavo davvero vivendo o non me l’ero piuttosto sognata?
Mi stavo auto-ingannando perché ne avevo bisogno? Era dunque una coazione a ripetere? Il vizio assurdo della speranza?
Eppure sapevo che era possibile che una donna giovane potesse anche provare interesse per un uomo più maturo, anche anziano, magari per un desiderio inconscio di protezione, di ritrovare una figura paterna, di realizzare un Edipo non risolto. Teresa Batista si era ben innamorata del suo liberatore molto più anziano di lei, ricco ma pieno di umanità e di dolcezza nei suoi confronti.
Forse, era anche possibile che la mia precedente inquilina avesse provato interesse e passione per me; per quanto la storia fosse poi degenerata assumendo la dominante dell’interesse e del dominio.
Era dunque possibile, forse, che mi venisse concessa e regalata una ulteriore primavera di allegria e di entusiasmo?
Volli in quell’occasione risolvermi a pensare che la situazione andasse approfondita fino in fondo, per scoprire la felicità o il disinganno.
Detti per scontato che certamente la fanciulla fosse, come altre persone che spesso incontravo in viaggio e che mi sembrava di riconoscere vagamente, una pendolare.
Sarebbe bastato riprendere il giorno dopo lo stesso treno e quasi certamente avrei potuto rincontrarla.
Sì, certo, probabilmente anche lei l’avevo già vista altre volte sul 17.50 per Vercelli dalla stazione di Porta Garibaldi.
E cominciai a prefigurarmi l’incontro.

-    Enchanté - le avrei detto stringendole la mano – che piacere incontrarla!-Oppure   anche
- Encantado! Come va? – ma le avrei dato del tu o del lei? Avrei potuto anche usare quella forma di discorso diretto che evita sia la seconda che la terza persona.
Mi ero raccontato tante volte i colloqui progettati. Ad un certo punto prima che scendesse dal treno le avrei di nuovo stretto la mano. Ma prima le avrei domandato: - Sa come ci si presenta in Giappone? - Al suo silenzio interrogativo le avrei allungato la mia mano, stringendo la sua e lasciandole uno dei miei piccoli biglietti da visita rossi…
Per accattivare il suo interesse avrei potuto spiegarle che mi interessava conoscerla meglio perché volevo farne uno dei miei personaggi…

E questa fantasia si arricchiva all'infinito di variazioni, con tonalità e sfumature diverse.
Il giorno successivo presi il 16.16 per Porta Garibaldi. Sarebbe arrivato alle 17.14. Tutto il tempo dunque per studiare la situazione.
Arrivai con molto anticipo e attraversai in lungo e in largo Porta Garibaldi; feci anche il diversivo di una piccola spedizione sotterranea per verificare gli orari esatti del passante ferroviario.
Stranamente, allora, in superficie i tabelloni cartacei e a led luminosi mostravano solo gli orari dei treni di superficie. Quelli della suburbana erano consultabili soltanto scendendo direttamente sottoterra.
Congetturai e verificai che quel giorno famoso avrebbe anche potuto essere salita prima delle 17.50 in una precedente stazione del passante ferroviario.
Rimasi a fumare la pipa sulla banchina del binario 7, tenendo d’occhio i viaggiatori provenienti dall’atrio e anche quelli che salivano dalla scala in fondo al binario.
Ma l’apparizione non ebbe a verificarsi.
Non volli comunque darmi per vinto.
Il giorno successivo, avendo più tempo a disposizione, partii addirittura alle 15 e 46.
Non mi facevo eccessive illusioni, anche se ero pervaso da una soffusa speranza.
Quando ero quasi arrivato a destinazione, sentii dietro di me una voce femminile chiedere se mancava molto per Garibaldi. Una voce maschile le rispose che eravamo a Certosa. Mi sporsi indietro e: siamo a Villapizzone, corressi.
Era una ragazza abbastanza fine anche se non bellissima come la mia mandorla.
- E ci vuole molto per Garibaldi?-
- Ci scendo anch'io - le dissi.
- Porta Garibaldi, tutta per lei!-le dissi dopo poco, un po' platealmente.
Scendemmo insieme sulla banchina del passante ferroviario. Le spiegai che anche Parigi aveva il sistema integrato Metropolitana-Ferrovie Regionali, le RER. Mi chiese se andavo spesso a Parigi e poi domandò come poteva raggiungere la metropolitana. Ce l'accompagnai. Mi volle confidare che era un po' disorientata; faceva un corso da infermiera a Novara e veniva da Omegna. Non era mai venuta a Milano. Mi chiese se io ci abitavo o ci venivo spesso. Dissi che ogni tanto ci venivo a parlare con degli editori per pubblicare un mio libro. Lei veniva a trovare degli amici che doveva incontrare in piazza del Duomo. Le indicai la linea da prendere. Mi sorrise riconoscente.
Quando mi congedai mi strinse la mano, grata.
- Piacere- mi disse con un sorriso dolce- Sara...-
Si fece ripetere due volte il mio nome. Come volesse memorizzarlo bene.
Ritornato sui miei passi ritenni opportuno evitare il 17.50 e ritornai prendendo il passante ferroviario delle 17.46 da Porta Garibaldi.
Purtroppo anche questo tentativo andò a vuoto.
Ma ormai ero lanciato.
Ci avrei riprovato il giorno successivo con il passante ferroviario delle 18.16.
Avrei tentato di osservare minuziosamente tutti coloro che salivano alle varie stazioni.
Una massa infinita di persone riempiva le carrozze. I posti a sedere erano tutti occupati; i corridoi stipati di persone all’inverosimile; le piattaforme in cima e in fondo le carrozze e addirittura le scalette per l’accesso al piano alto erano una ressa indicibile. Dovetti dolorosamente rassegnarmi a non perlustrare il treno. A Magenta scese una fiumana indescrivibile nella quale non riuscii a scorgere l’immagine desiderata.
                                  



"Che piacere ..." avrebbe potuto dire mentre insieme ci saremmo scostati verso le auto parcheggiate.
"E sono venuto... per accompagnarla a casa... naturalmente"”
A meno che possa avere il piacere di cenare con una bella ragazza..."
"Oh, credo sia venuto mio padre e a prendermi... sì, è laggiù che mi aspetta" avrebbe potuto dire facendo un cenno con lo sguardo e con la mano. Assentendo col capo.
"Vuol dire allora che sarà per un'altra volta... Mi sono permesso di lasciare il mio numero. Quando l'ho vista ho pensato che avrei voluto “raccontarla” nel mio prossimo romanzo.
Qualche briciola di conoscenza in più sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Hai già dimenticato il mio volto maturo al quale hai regalato il tuo sguardo? Temevo già di esser costretto a ricordare a memoria o a cercare su tutti i treni possibili... Naturalmente se non sono troppo invadente o indiscreto. E se ho il tuo consenso vorrei conoscere qualche frammento della tua storia …
Qui comparivano diverse ipotesi.
Un nuovo sorriso compiaciuto, leggermente trattenuto per non sembrare sfacciato, di assenso garbato. Una divertita compiacenza. Mentre muoveva dei passi costringendomi a seguirla verso l'auto del padre. Dalla quale mi sarei allontanato in fretta.
O mi avrebbe addirittura regalato una maggiore disponibilità, intrattenendosi con domande circa il fatto che io scrivessi, mostrando interesse, confermando l'intenzionalità degli sguardi che mi aveva prodigato.
Ipotesi troppo azzardate? Erano tutte gratuite. Sono tutte gratis."

  1. CAROSELLO

Sempre ostinato e cocciuto però l’indomani ripartii alle 15.46 raggiungendo Porta Vittoria.
Il paragone del passante ferroviario con le RER che avevo fatto a Sara il giorno prima era fin troppo positivo ed ottimistico. Lo scarto era decisamente eccessivo.
La stazione di Porta Vittoria ricordava piuttosto certi film di fantascienza con situazioni allucinanti, la desolazione di luoghi immensi e totalmente vuoti. Gli ultimi giorni di qualcosa; il “ day after” di una catastrofe spaventosa; l’epidemia degli ultracorpi; il collasso delle fonti di energia.
Avevo un discreto margine di tempo. Decisi di riemergere in superficie ( se esisteva ancora un qualcosa di simile) per dare due tiri alla mia pipa.
Il primo tentativo andò a vuoto. Ampie rampe di scaloni portavano solo a spazi dilatati e vuoti. Nessun esercizio commerciale, nessuna presenza umana. Avvicinandomi ad inutili scale mobili riuscivo ad attivarne l’avvio. La macchina si metteva in movimento, con il nastro metallico gradinato che spostava verso l’alto solo il proprio vuoto. Stavo per affacciarmi verso l’esterno, ma scopersi che erano state calate immense saracinesche traforate…
Di nuovo marciapiedi immensi; nessun passeggero; ai piedi o in cima delle scale mobili qualche isolata figura di vigilante privato in divisa. Spesso immigrati neri si incontravano in quelle mansioni, gentilissimi e protettivi. Di aspetto rassicurante e gradevole ( probabile motivo della scelta).
Con uno di loro mi permisi di descrivere l’angoscia di quella immensa desolazione. Quel posto grande e vuoto sembrava il posto più adatto per compiere o subire assassinii od omicidi; scippi o rapine… Un africano alto e imponente mi rispose con un ampio sorriso: è proprio per questo che ci mettevano lui e quegli altri, per vigilare su quell’incubo, per favorire l’accesso ai viaggiatori…
Lì però io ce ne vedevo pochissimi di viaggiatori. Regnava solo un vuoto dilatato e spettrale. Sembrava di essere nel museo del trasporto, di una città fantasma.
Mi indicò la direzione giusta: prima mi ero diretto verso il retro della stazione… Una stazione immensa e vuota, con un retro inutilizzato!
Emersi dal sottosuolo dopo aver percorso centinaia di passi nella luce spettrale e angosciante.
Un campo vasto di erbe incolte era cintato con pali e transennato con reti di plastica rossa. Sul lato opposto un’ampia strada di scorrimento a doppia corsia. Passavano auto arrabbiate e cicliste donne in fuga velocissime, con lo sguardo proteso verso un lontanissimo traguardo; verso il ritorno alla realtà e alle presenze vive.
Non amo particolarmente la folla galleggiante nella musica pervasiva degli outlet, né le luci sconvolte dei megastore galattici. Eppure avrei sentito volentieri la sensazione di presenze vive in quel cimitero desolato.
A malincuore rinfoderai la pipa ancora calda e accesa nella borsa portatabacco e ridiscesi dopo aver obliterato il biglietto del ritorno.
Prima dell’arrivo del treno arrivò qualcuno trafelato. Le poche donne non guardavano volentieri in faccia.
Il 17.38 mi permise di tentare di osservare coloro che salivano alle varie stazioni. Una massa infinita di persone. Erano sempre vagoni Vivialto. Percorsi entrambi i piani di ogni singola carrozza. Riprovavo le impressioni di quando, anni addietro, avevo pedinato le mie donne, per accertarmi delle loro reali destinazioni, quando mi dicevano che avevano da sbrigare delle commissioni. Dopo essersi accuratamente agghindate e truccate. Le seguivo trattenendomi un istante dietro le curve, quando svoltavano. Non avevo mai scoperto niente se non il loro inutile girare a vuoto.
Con l’aria assorta di chi distrattamente cerca un posto a sedere o qualche persona che non trova, mi aggirai a lungo, fiondando sguardi indagatori. Niente.
Solo allora mi colse un dubbio mostruoso: e se non fosse stata una pendolare abituale? Se si fosse trattato di una passeggera occasionale? Oppure ancora: se non seguiva orari di lavoro e quindi di viaggio sempre identici?
Eppure quella microscopica esperienza era pur esistita; il profumo di quel sorriso l’avevo sentito, respirato profondamente, ne avevo gioito fin in fondo, mi aveva ridato linfa vitale …
Mi ero anche accorto che avevo incontrato tanti volti sconosciuti, ascoltato segmenti di frasi e di discorsi, avevo sfiorato sequenze frammentarie di vite, sperimentato il disagio di quel carosello di viaggi avanti e indietro, all’infinito, di chi ci è costretto per lavorare e vivere …
Il tempo certo non mi mancava. Avrei potuto sostituire il mio smartphone con un microcomputer portatile, raccontare frammenti di vita, fantasticarli e immaginarli …
Così, per cercare la bella sconosciuta,sono diventato pendolare ferroviario spontaneo, a tempo indeterminato.
Dopo i primi giorni ho smesso di prendere regolarmente il biglietto di andata è quello di ritorno.
A volte faccio l’abbonamento settimanale; altre volte quello mensile, nei momenti di più intensa ricerca. Ogni giorno non spendo di più che ad andare al bar o al cinema.
Certo, può risultare faticoso, stancante, assurdo forse…
Eppure ci ho fatto incontri favolosi, ho intravisto e conosciuto storie minime e semplici, le ho prese e ritagliate per costruire un puzzle infinito, per scriverci i miei romanzi…
Questo è diventato il mio carosello professionale di scrittore.
Franz Kafka racconta: "in quel tempo andavo spesso in una certa chiesa perché speravo di incontrare una giovane donna che là vi avevo visto...".
E poi, anche se non avevo più rivisto quel mio oggetto del desiderio, quella pulsione originaria mi aveva permesso di sublimare quell'immagine femminile per farla diventare spunto, pretesto e oggetto di narrazione artistica. Ero riuscito a trasformare una mia maniacale ricerca in pulsione creativa perpetua.
Quando lei era scesa a Magenta non avevo sentito l'odore di morte che vi aleggiava intorno.
Forse da quel giorno era rinata l'attesa della speranza, propagando intorno effluvi di ormoni adeguati.
Potevano forse quei nuovi sguardi femminili che ricevevo di continuo essere conferma degli effetti positivi della convinzione, della speranza, dell'illusione...
C'era stato dunque un ulteriore rinvio della vecchiaia incombente? Potevo differire ancora un poco la malinconica scena del ” Prèlude à l’après midi d'un faune" che Bruno Bozzetto raccontava un tempo col suo “Allegro non troppo”? Oppure l’amaro disinganno della realtà stava per stracciare definitivamente il velario sognante che l’accorato flauto con cui Claude Debussy aveva contribuito a raccontare?
Per quanto ancora potrò mettere da parte la scena che ho più volte immaginato e gustato, quell'incontro da vivere col batticuore celato sotto uno sguardo indifferente? L'extrasistole zoppicante dissimulata nel mostrarmi calmo e distaccato mentre uso la verghetta nera sul touch screen?
Conservo per momenti migliori l'abituale tachicardia delle situazioni di alta emotività affettiva.



12. . 1990  


Federico lo ha ascoltato tutto il tempo senza perdere nessun particolare della narrazione. Ha una leggera sfumatura di sorriso sulle labbra. Ma non riesce a dire neanche una parola. Dai finestrini si intravedono gli spazi amorfi e grigi che annunciano l'ingresso nella caverna della stazione centrale. Rimane assorto sulle parole e le immagini che ha appena bevuto.

La storia del professore è avvincente e affascinante, come il suo sogno che sta sognando mentre lo racconta.
Chissà poi perché lo chiamo tra me "professore". Lui, d'altra parte, non mi ha mai confidato di aver insegnato...Mi viene naturale, però.
Non necessariamente però me lo vedo come un'insegnante di scuola media o superiore. Piuttosto come un docente universitario; uno scrittore che ha anche la libera docenza; uno che è "professore e basta", senza dover specificare in che cosa dove quando... Avevo deciso che era “professore ad honorem”...
Io invece per un po' di tempo il professore lo avevo fatto, si fa per dire. Appena dopo la laurea. Qualche supplenza lunga, di diversi mesi, fino a quando mi avevano dato un incarico annuale... Nel frattempo non era stato bandito alcuna abilitazione né alcun concorso a ruolo, per cui stavi sempre nell'incertezza che potessero non rinnovarti più l'incarico. Per le supplenze temporanee brevi c'era sempre il rischio di non venire pagato d'estate se non avevi accumulato un certo numero di mesi... E la supplenza o l'incarico annuale potevano essere estemporanei...
E così era poi andata a finire! Sulla cattedra di matematica in quel magistrale c'era venuta una donna da Bari. Era la moglie di un ufficiale dei carabinieri.
Quando l'avevo conosciuta l'anno dopo mentre ancora accettavo supplenze brevi, mi aveva guardato con un'aria strana, ambivalente. Da una parte sembrava volersi scusare per avermi portato via il posto. Dall'altra aveva una certa aria di sufficienza: per una donna del sud io ero un uomo mediocre poiché non ero neppure di ruolo!
Lei, seppi più tardi, era riuscita ad entrare in ruolo dopo anni che era stata inclusa nella graduatoria permanente. Nella quale era entrata dopo anni di incarichi annuali ottenuti proprio per merito della sua condizione di moglie di un ufficiale!
Erano sempre, comunque, guerre tra poveri. Guardarsi con rivalità o invidia per aver acquisito qualche piccolo privilegio.
Insomma, dopo alcuni mesi di supplenze brevi, non ricordo se prima o dopo le vacanze di Natale, avevo deciso di mollare quella palude che non mi garantiva la certezza di un posto di lavoro stabile.
Il professore precario dimissionario si riconcilia con il proprio passato. La militanza dell'attività del sindacato; prima nella Cgil, poi, per protesta nei Cobas. I coordinamenti cittadini regionali, le mobilitazioni, il proselitismo...

Il professore onorario,invece, si avvia a concludere il suo racconto....







13. LA FARFALLA

- Un tempo dicevamo: “ogni mancata è perduta”.
Ogni storia non realizzata rimane sublime e perfetta, per sempre.
Ma esiste solo nel pensiero, nel desiderio, nel sogno …
E anche la vita non è che un immenso sogno, a volte spaventoso, a volte piatto e banale, a volte calmo, a volte leggiadro.
Io vivo il mio sogno così, vivo così la mia vita, in questo carosello infinito di immagini, di sensazioni, di incontri, di odori.
A volte mentre percorro per l’ennesima volta questo viaggio interminabile intravedo, dal finestrino, canali colmi d’acqua. Come in quel mio sogno ricorrente dell’infanzia, con una superficie vasta percorsa da una miriade di canali in cui nuoto a pelo d’acqua.
Nuotiamo in un sogno senza fine.

Chuang Tzu e la farfalla

Chuang Tzu ha sognato di esser diventato una farfalla,
Ma da sveglio gli pareva di esser la farfalla diventata Chuang Tzu.
Quale è la realtà per la farfalla o l'uomo?
Chi può dire la fine delle modifiche infinita delle cose?
L'acqua che scorre nella profondità del mare lontano
Consegna in tempo le sue risorse per le secche di un flusso trasparente.
L'uomo, che raccoglie meloni fuori del cancello verde della città,
Era una volta il Principe della Collina Est.
Così avviene che rango e ricchezze svaniscono.
Voi lo sapete mai per fare cosa tanto travaglio e fatica,?”
(Li Po-Poeta cinese della dinastia Tang- Chuang Tzu, è stato un filosofo cinese tao)
NOTA-Il sogno di Zhuangzi Un racconto molto significativo è comunemente chiamato Zhuangzi sognò di essere una farfalla. Esso racconta che una notte, Zhuangzi, sognò di essere una farfalla che volava leggera e spensierata. Dopo essersi svegliato era confuso, si domandò come potesse determinare se era veramente Zhuangzi quando aveva appena finito di sognare di essere una farfalla o una farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere Zhuangzi. Ci fa pensare che esiste una dimensione dove gli opposti sembrano non esserci, dove i contorni non sono nitidi e un'altra dove bisogna dare i nomi alle cose affinché non ci si senta perduti. Il primo piano è quello del sogno e il secondo è quello della veglia. Il fatto che esista un piano di non distinzione, riesce a risolvere problemi come quello della paura della morte.

Comunque, alcuni giorni dopo quelle mie prime peregrinazioni ferroviarie, dovetti recarmi in auto proprio a Magenta. Sulla strada principale dalla quale c'è l'uscita per entrare in città esiste da molti anni un immenso meganegozio di piante e generi vari da giardinaggio e da terrazze. Di recente ha cambiato nome, ma ricordo che ci andavo già da molti anni perché aveva un vasto assortimento e prezzi abbastanza contenuti. E poi lì vicino si trova anche uno dei più grandi supermercati che io abbia mai incontrato. Insomma, tante ottime ragioni, o pretesti, o alibi perché io ci andassi, così, per fare un giro...
Mi capitò di arrivarci circa un'oretta prima dell'arrivo del primo treno da Milano...

Mi raccontai che avrei potuto dare un'occhiata alla stazione per studiare in che condizione fosse il parcheggio che avevo visto segnato sulla mappa di google earth.
In effetti, poteva anche essere che volevo valutare l'opportunità, per quando mi dovevo recare a Milano, di andare fin lì con la mia auto, considerato che alla stazione di Novara è assolutamente impossibile parcheggiare se non a pagamento...
Senza che debba stare a ripetere la sequela dei vari treni nella tratta Milano Porta Garibaldi-Magenta, tra le 17 e le 18.30 li vidi arrivare tutti! Tra l'uno e l'altro avevo spesso un margine di un quarto d'ora ,venti  minuti circa, ma mi ingegnai con stratagemmi che avevo già avuto modo di sperimentare in altre precedenti occasioni.
Innanzitutto diedi un'occhiata occasionale ai dintorni, peraltro squallidi, della zona. Casualmente in un negozio di informatica vidi alcuni modelli di net-book e di micro notebook abbastanza simili, per prezzi e caratteristiche, a quelli che avevo da tempo meditato di acquistare per scrivere in viaggio.
Dovetti, però, più volte ricordarmi che non ero in vacanza o in escursione turistica o di shopping. Mi risolvetti, pertanto, per assumere un contegno, alla tecnica delle "telefonate in olandese".
Dopo una cena equilibrata, giocata sul filo del rasoio, in una conversazione tenuta sul tono di quella vibrazione che si sente appena sotto lo sterno e più su verso la laringe, che ci fa tremare tutta l'anima, che recitiamo come in un sogno o in un film, con battute pensate fuori campo, una schermaglia galante e garbata. Sempre attenti a non calare mai di tono, a non fare stonature, mentre il cuore rallenta il suo pulsare tachicardico continuando i suoi colpi sostenuti sullo xilofono, metronomo del nostro stupore compiaciuto e soddisfatto.
Dopo una cena, senza smettere di parlare, buttar lì una battuta come per caso: "io abito proprio lì dietro, quella là in alto è la mia mansarda...".
Sperare alto che dica: "potresti almeno farmela vedere, no?".
È poi? Il dopo? Insistere con la scusa di non volere sembrare indiscreto nel proporle di riportarla a casa? E se lei si facesse così tanto pregare quasi confessando di volersi fermare? Così, all'improvviso? Di brutto?
Qui mi trovavo un po' a disagio.
Ma, in totale, la portiamo a casa o no?"


14. . TELEFONATE IN OLANDESE

Diversi anni fa avevo inseguito una donna che desideravo fino in Sardegna.
Lei ci era andata in aereo col marito e figli; io mi ero imbarcato col mio scooter e l'avevo raggiunta. Avevo affittato un micro bungalow sul mare. Il  campeggio dove io facevo base era separato da rete metallica e altissima siepe da un villaggio turistico a dodici stelle...
Il primo giorno attesi la mia amica dall'ingresso principale; poi imparai che, dove terminava la mia spiaggia, alcuni grossi massi, a mo' di scogli, erano l'unica barriera che poteva impedire l'accesso alla spiaggia riservata del paradiso artificiale che ospitava la famigliola...
Lei mi aveva poi fornito uno zainetto che portava ben evidente la scritta della compagnia di vacanze che gestiva il villaggio ipersontuoso ...
Mi bastò qualche volta avvicinarmici per scoprire che era molto semplice ingannare i sorveglianti... La mia amante mi aveva suggerito, appena li avessi incontrati, di anticiparli chiedendo loro se per caso avessero visto fra le sdraio e gli ombrelloni richiusi un costumino giallo da bambina... I tipi, che se ne stavano appollaiati in cima ha degli eleganti trabiccoli da bagnino per avvistamento, scendevano servili e gentili, mi aiutavano a cercare il costumino giallo da bambina, finendo per confessarmi scusandosi che purtroppo non l'avevano proprio visto...
Io riuscivo a mostrare estrema padronanza e sicurezza, anche se il cuore mi batteva all'impazzata.
Mi perseguitava l’incubo di essere sorpreso e fermato; di dover mostrare le mie generalità, dimostrando di essere del tutto estraneo a quel bengodi fasullo. Immaginavo la notizia raccontata sui media locali e nazionali.

Maturo e distinto laureato, sorpreso nel ridente ed ospitale villaggio di Sa Prama, con zainetto omaggio della compagnia di vacanze sulle spalle, del quale non è ospite. Le autorità di polizia stanno cercando di ottenere dall’elegante e attempato dandy una spiegazione della sua presenza nel posto. A quanto risulta da fonti attendibili, il suddetto non è stato in grado di fornire spiegazioni plausibili, limitandosi a sostenere con disinvoltura che si è trovato lì assolutamente per caso.”
Appena dentro sapevo che avrei potuto scegliere uno dei sette ristoranti tipici, riservati agli ospiti regolari, nel quale la mia scaltra complice aveva già prenotato la cena a nome di suo marito. Naturalmente, quella sera, la sua famigliola avrebbe cenato da tutt'altra parte... Beh, raccontarlo così sembra una cosa semplice, vero? Eppure a me provocava sempre, tutte le sante sere e cene, un livello d'ansia altissimo! Dopo aver passato la prova della "frontiera" dei costumini dimenticati, mi aggiravo con grande noncuranza ostentata, per quei viali ricchi di fitta vegetazione lussureggiante, costeggiando infinite piscine, vasche e fontane sgorganti zampilli. Quanta acqua veniva sciupata in quella terra brulla ed arida. Quindi mi dirigevo deciso e sicuro verso uno dei tanti ristoranti, quello dove era stato prenotato per me... Spesso però le spiegazioni che mi erano state fornite non erano sufficienti e mi perdevo miseramente. Incazzato nero con me stesso per aver accettato quello squallido gioco rischioso, ma anche attratto dai piatti prelibati che mi attendevano, procedevo con determinazione e spigliatezza, nell'abbigliamento che avevo voluto indossare adeguato alla situazione. Dissimulata l'ansia e l'estremo disagio, riuscivo ogni volta comunque a raggiungere la mia cena. I locali, in stile Disneyland o Gardaland, erano ispirati al tipo di cucina che ammannivano. C'erano taverne del pescatore alla greca, finte strutture nuragiche diroccate, insomma il meglio del repertorio kitsch disponibile in quelle isole di felicità a settimane...
Il tutto era collocato in un ambiente ricostruito ed artificiale che doveva far sognare i clienti turisti. Dato lo stato di estremo disagio emotivo nel quale mi trovavo, ero costretto quasi sempre a trangugiare immense caraffe di Cannonau o di altri micidiali vini ad altissima gradazione...
Terminata questa prima fase della mia serata, mentre l'allegra famigliola altrove consumata i suoi appetiti gastronomici, in attesa di poter incontrare la tipa per qualche momento, non mi restava che aggirarmi in quell'immenso parco, dalle luci soffuse come le musiche che uscivano da ogni cespuglio, e non mi restava che un'alternativa per darmi un contegno. Estraevo di tasca il mio smartphone spento, lo accostavo all'orecchio destro e simulavo una conversazione. Stufo, ad un certo punto, dei continui monosillabi: "no, sì, ma...", o di insulsi mozziconi di frasi tipo: "... be', sì, certo,... non so, vedi tu, può darsi... ah, va bene, certo... no, qui non l'ho visto, diglielo tu...” , passavo decisamente al linguaggio magico della mia infanzia e adolescenza. Quello che usavo con i miei compagni e complici di avventura nelle vacanze al mare. Un linguaggio inesistente che, almeno nelle intenzioni, cercava di rifare il verso al suono di qualche parlata straniera. Allora ci eravamo accordati che fosse una imitazione sonora dell'olandese; faceva il verso al tedesco, ma era infarcito di suoni più morbidi e dolci. Allora le nostre conoscenze glottolinguistiche ritenevano accettabile quel risultato. In quel modo ci sembrava di darci un apparenza speciale, conferendoci un’aria stravagante ed esotica.

A Magenta, davanti alla brutta stazione, passeggiavo parlottando impugnando lo smartphone spento e mormorando pezzetti di frasi pronte senza capo né coda. Se fosse stato il caso, anche lì avrei usato le telefonate in olandese.
Molte auto arrivavano, ci facevano manovra in modo confuso e disordinato, disturbandosi a vicenda, caricavano qualche passeggero appena arrivato e con fatica se ne ripartivano...
E se qualcuno di quei signori che stavano ad aspettare in auto fosse stato il compagno, il fratello, il padre della mia diletta inutilmente attesa? Come avrebbe reagito appena io avessi incontrato "per caso" la fanciulla, mi ci fossi intrattenuto qualche istante, le avessi dato la mano col mio bigliettino rosso... ? Essendo uno sconosciuto in quel posto, avrebbero domandato chi ero, al che lei avrebbe risposto che mi aveva incontrato lì per caso, ero venuto solo per dare un'occhiata al parcheggio... Eppure mi vedevano lì da tempo a passeggiare avanti e indietro fumando la pipa... Non ricorsi a Cannonau di sorta, riuscendo a controllare il mio disagio e la mia emozione... D'altro canto il vero batticuore con feroce tachicardia extrasistole mi fu risparmiata: infatti anche in quest'occasione non la vidi.
Tornai a casa un po’ dispiaciuto, ma molto più sereno che se l’avessi incontrata …
Era certo un fatto a quel punto: aveva preso quel treno occasionalmente solo quel giorno e, per un caso fortuito e disperato, io avevo incontrato il suo sguardo celestiale che ora mi procurava un inferno tremendo.
Mi venne però in mente che quando giravo in metropolitana avevo più volte avuto tra le mani quotidiani generalisti a diffusione gratuita, nei quali, spesso, comparivano messaggi di ricerca persone.




15. FRUGANDO NEL WEB-“CERCO IL TUO SORRISO…”

Nel WEB ne trovai alcune.

Era un’intera antologia di messaggi nella bottiglia di vetro, lanciati nell’oceano dei naufragi. Di appelli rabbiosi o accorati. Di S.O.S. buttati alla deriva.

Decisi di prepararne uno anch’io e di inserirlo nella pagina Web del periodico:
Eri il 03 maggio sul MI-P.G. x Novara partito alle 18 circa in ritardo x un incidente a Magenta; il tuo sorriso assoluto è sospeso nell'aria. Devo proprio parlarti. Sarai protagonista del mio nuovo romanzo.
Gradirei il tuo consenso e conoscere qualche frammento della tua storia; solo se vorrai e se mi leggerai …- Wormhole10
Poi lo perfezionai così:
Cerco il tuo sorriso
Ci siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; eravamo in ritardo x 1 incidente a Magenta. Eri stufa del ritardo. Tu sei scesa lì dopo avermi salutato con 1 sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Ti voglio "raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Hai già dimenticato il mio volto maturo al quale hai regalato il tuo sguardo? Sarò costretto a ricordarti a memoria...?  Wormhole10
Pochi minuti dopo nel sito un messaggio veniva inserito subito dopo il mio, da un username danalosat, di Napoli; diceva:
SPIEGATIMEGLIO!
Ma cerca di descriverti meglio, così lei ti può riconoscere! Lo dico nel tuo interesse…scusami, sai…
           10/05/10 danalosat

Più tardi provvidi a migliorarlo così:
Cerco il tuo sorriso!
Ci siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; eri stufa del ritardo; c'era stato 1 incidente a Magenta. Tu sei scesa lì dopo avermi salutato con 1 sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Ti voglio "raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Hai già dimenticato il mio volto maturo al quale hai regalato il tuo sguardo? Stavo scrivendo sullo smartphone e mi carezzavo la barba. No? niente? Sarò costretto a ricordarti a memoria e a scrivere di te senza averti conosciuta meglio? Ti cerco su tutti i treni possibili...
10/05/10 Wormhole10


Il/la gentile suggeritore/trice fece scomparire dalla bacheca il suo suggerimento; doveva ritenersi soddisfatto/a.

Non arrivava nessuna risposta, per cui mi attardai ad analizzare quei messaggi. Stavo accorgendomi che ciascuno di essi aveva dietro una storia.




16. PICCOLE STORIE QUOTIDIANE

Alcune erano storie di brutale caccia all’uomo ritenuto o considerato potente, benestante, ricco; anche anziano, “italiano” precisavano ingenuamente ad indicare la sicurezza economica. Dolce, protettivo e rassicurante, però, niente ricerca di sesso; “devono stare alle mie condizioni” dicevano categoriche le inserzioniste.

Cerco uomo                          
cerco un uomo serio sui 60 anni in poi - MUSERcasz
cerco un uomo serio da sposare italiano
cerco un uomo serio da sposare italiano io ò 45 anni sonno singol non sonno stata mai sposata mi piacerebe trovare una persona grande di etta en la qual mi senta proteta grazie- MALORY

Veniva categoricamente commissionato un "uomo", con tanto di definizione delle caratteristiche che avrebbe dovuto avere. Serio. Italiano. Dai 60 anni in su. Grande di età. Nel e con il quale potersi sentire protetta. Da sposare.
Dall'username non era possibile dedurne un nome o una nazionalità.

bella donna
vorrei conoscere 1 uomo ke senta il bisogno di avere 1 donna molto carina 39 enne giovanilissima con dei veri valori nn banale, dolce forte anke se in questo periodo bisognosa di sostegno morale e affetivo di coccole! esigente romantica odio l'ipocrisia le persone non coerenti ke parlano molto ma fanno poki fatti ! l'uomo ke cerko deve avere le mie caratteristike ke trovo siano basilari per il mio modo di essere, pensare. per quanto riguarda l'aspetto fisiko nn ho 1 standard ma piacciono uomini robusti possenti anke se nn alti come sono io.adoro gli okki scuri! GLI UOMINI KE NN SI RICONOSCONO NELLA MIA DESCRIZIONE MI STIANO ALLA LARGA ! GRADITA FOTO E DESCRIZIONE DETTAGLIATA ! NON SCIVETEMI SENZA DESCRIZIONE E FOTO TANTO CESTINO SUBITO SENZA LEGGERE LA RISPOSTA !!!!!!!!!!!!!!! IL MIO ANNUNCIO è SERIO STUPIDI KE CERKANO SESSO VADANO ALLA RUBRICA APPOSITA PER LORO!!!!!!!! - xNCzA44

Qui oltre alla determinazione e al tono categorico si poteva leggere anche la paura di fare di nuovo un buco nell'acqua. Descriveva proprie caratteristiche che sperava appetibili: bella donna, non banale, dolce, forte... Ma che attraversava un brutto momento, nel quale aveva un grande bisogno di coccole e di sostegno morale e affettivo.
Si definiva esigente e romantica.
Odiava l'ipocrisia.
Ma che stessero alla larga decisamente quelli che cercavano solo di far sesso.
Paura di essere confusa con una di quelle donne che mettono annunci solo per avere incontri a pagamento? Oppure aveva di recente vissuto un'esperienza deludente, con violenze e persecuzioni?
Eppure l'annuncio conteneva, comunque, un messaggio ambivalente, contraddittorio.
Sono una bella donna e ho tantissime belle qualità.
Non cercatemi solo in quanto io sono una bella donna.
Mi ricordava alcune storie vissute.
Di donne che avevano fatto di tutto per sedurmi, con atteggiamenti civettuoli e da cocotte, mostrando di voler solo sapere dai miei gusti che tipo di donna e di prestazioni mi sarei aspettato da lei.
Qualcuna aggiungendo subito dopo che lei amava solo la vita di coppia, la fedeltà, la famiglia, i lavori domestici...
Diverse situazioni ma stili di approccio e tecniche di seduzione analoghe.
Esistevano forse in circolazione manuali specializzati? Ne avevo spesso parlato con Pippo; se il manuale non esisteva ancora, dicevamo, l’avremmo scritto noi, descrivendoci le varie tecniche di seduzione che avevano usato con noi.




17. LETTERE D’AMORE NELLA BOTTIGLIA

Più sotto comparivano quadretti intimi e teneri; velati di malinconia e di timidezza.

Sono il ragazzo che hai visto oggi 14 aprile sulla metro rossa da loreto a porta venezia, avevo un portatile a tracolla e una cassa grigia abbastanza ingombrante..ci eravamo già visti mi pare..ci siamo guardati..tu avevi stivali neri coi tacchi.. Ragazza mora dagli occhi chiari che eri su quel tratto della metro loreto-porta venezia.
Ti prego, scrivimi”

Pare quasi di vederlo, con la sua cassa grigia, abbastanza ingombrante e un portatile a tracolla! Che s’infila nel vagone della metropolitana e incontra lo sguardo di lei. Doveva sentirsi davvero un po’ a disagio. Ma l’aveva subito riconosciuta (non ne è del tutto sicuro; forse bluffa?), lei aveva stivali neri, coi tacchi… Che voglia di rivederla. Lo sguardo di lei doveva averlo rassicurato, protetto, coccolato; forse c’era stato anche un mezzo sorriso comprensivo: - ma dove vai con il portatile a tracolla e quella cassa ingombrante? Ma va là!- Diceva lo sguardo dagli occhi chiari di quella ragazza mora…
E c’era la morettina, carinissima, piccolina, capelli neri cortissimi, jeans e giubbotto nero di pelle, … Un quadretto che era una istantanea scattata col telefonino: cli-clik!

morettina- Di fronte a me sul treno (l'Alessandria), carinissima, piccolina, capelli neri cortissimi, jeans e giubbotto nero di pelle, peccato gli occhiali da sole che nascondevano i tuoi occhi. Riuscivo solo ad intravederli quando li socchiudevi mentre cercavi di dormire... poi sei scesa davanti a me a lampugnano avrei voluto fermarti... Me li faresti vedere ?

Diceva Klippos

Purtroppo non era riuscito a vederle gli occhi, nascosti dagli occhiali da sole. Solo ad intravederli quando li socchiudeva, cercando di dormire...
Ma davvero la morettina carinissima cercava di dormire? Oppure era un trucco per farsi osservare da Klippos? O, piuttosto, era infastidita dagli sguardi insistenti di lui e cercava di evitarlo ed isolarsi?
Era infine scesa davanti a lui a Lampugnano… Non se ne ricorda più? Cosa poteva mai fare lui? Con quella timidezza mostruosa che si ritrovava addosso? Avrebbe forse potuto fermarla... Fatto sta che non l’ha fatto… Ora le chiede se glieli farebbe vedere quegli occhi che nascondeva dietro gli occhiali da sole. Chissà perché non l’ha fatto invece quando ce l’aveva davanti…
Lei veniva da Alessandria.
Chissà cosa ci avrebbe raccontato lei…
Com’è terribile però rischiare, sbilanciarsi, farsi avanti per primi. Col rischio di sputtanarsi , di destare fastidio o indifferenza. Val la pena di pagare questo prezzo?O è meglio starsene zitti nel proprio brodo. Magari poi pentendosi, provando rimpianto e rimproverandosi?

Prezzo equo-Esporsi alla delusione, è un prezzo equo per comprendere realmente
chi ci sta a cuore – malinconia

Un prof rubacuori viene visto, desiderato, sollecitato:

Almeno ciao - Prof, se fingi di non vedermi mi sento ferita come essere umano. Ci diciamo almeno ciao?-- hope2000
Incantesimo d'amore - Prof, ci vuole un incantesimo per farti ritornare in biblioteca? Ho ricevuto gli sms... - La tua fatina Alice- Fata Alice

Magari anche la morettina fingeva di dormire e pensava al prof (sarà stato poi sempre lo stesso? Un gran seduttore; oppure è il ruolo e la posizione che finiscono per sedurre le allieve…?).
Ma quello forse aveva in mente altro: un’altra allieva, un saggio di cui aveva perso i riferimenti bibliografici, il morbillo della sua bambina con le efelidi, la moglie giovane che forse se l’intendeva con un altro… ?
Fata Alice è pronta a fare un incantesimo per rincontrarlo, si sente forte e quasi sicura: ha ricevuto i suoi sms. Ma vorrebbe qualcosa di più.
Come quella volta in biblioteca, dove lui le aveva sfiorato i seni sfogliando con noncuranza quel vecchio incunabolo… O l’aveva baciata appena si erano chiuse le porte scorrevoli dell’ascensore?
A questo pensava la morettina carinissima di Alessandria, mentre mostrava di voler dormire, nascondendo i suoi occhi sotto gli occhiali da sole? Ignorando il povero Klippos che era sceso dietro di lei a Lampugnano e che aveva il tremito nel fiato mentre varcava la porta del vagone…

Jeppyfriend si era perso dietro alla mora alta e bellissima che fa sempre colazione al bar autogrill del mezzanino del metrò di Porta Garibaldi…

MORA ALTA BELLISSIMA... -TUTTE LE MATTINE FAI COLAZIONE ALLE 7.30 AL BAR AUTOGRILL DEL MEZZANINO DEL METRO' PORTA GARIBALDI... NON POSSO FARE A MENO DI GUARDARTI..

Lei pensava ai fatti suoi, alla sua brioche e al cappuccio caldo e fumante, alla storia col suo capo che era arrivata ad una impasse. Lui da mesi continuava a incontrarla in quell’alberghetto dietro l’angolo, con le lenzuola ruvide e fredde, raccontandole che con sua moglie non c’era più niente ormai già da troppo tempo … Ma che non era ancora giunto il momento per metterla di fronte al fatto compiuto …
E che magari,  invece,  la mogliettina se la coccolava nel residence di Bardonecchia,  sfiorandole con le labbra la  peluria bionda e quasi invisibile che le ricopriva il fondo schiena, appena sopra i glutei …
Jeppyfriend si mostrava spavaldo: puntava decisamente e risolutamente alla mora-alta-bellissima, che invece inseguiva il suo destino di bellissimo oggetto di concupiscienza, di splendido animale che deve apparire il più possibile, che vorrebbe anche essere, ma non riesce ancora, che magari…Crepax1 ha individuato una ragazza sfortunata, che si lamenta al cellulare con l’amica, dicendole che non riesce a trovare un bravo ragazzo ….

Sulla 74 verso S. Rita -Sabato sei salita sulla 74 vicino al coin in Papiniano. Parlavi al cell con un'amica e dicevi che non trovi un bravo ragazzo e che saresti andata a casa e la tua giornata finiva così, con tua mamma. Sei scesa vicino S.Rita. Eccomi mi hai trovato se vuoi...- crepax1

Questa ragazza che desta attenzioni così delicate, invece, è probabilmente sempre invischiata con quella tresca col cognato, sposato con sua sorella, che si rasa a zero i capelli e si depila tutto, per mostrare meglio i tatuaggi; specie quello con la svastica che ha sul braccio …? Guardia giurata e stronzo. La prende sempre con violenza, brutalmente. La vuol sempre possedere anche da dietro, tenendola afferrata per il collo, come una gallina; le si svuota dentro ogni volta dopo averla strapazzata, facendole anche un po’ male … Ma lei ne è quasi contenta; sa di meritarsi l’epiteto di “troiettina bella” che lui le mugugna con voce gutturale, mentre l’incula selvaggiamente … Lei che poi sorride dolce alla sorella e coccola il bambino che le grida “Ciao, ziissima …”.
Lei vorrebbe tanto trovare un bravo ragazzo, per farci un figlio, aprire un mutuo e farsi una casa…. Conoscere i suoceri e andare al mare nei villaggi turistici …
Ma come farebbe col suo sadico nazi?
Con l’amica al cellulare certi particolari li deve evitare; però è delusa di non aver trovato ancora quel “bravoragazzo” e di doversene stare in casa con la mamma. E magari andare a trovar la sorella e il nipotino, sperando di imbattersi negli occhi assatanati del suo animale da monta …
Ora scende a S.Rita. Crepax1, ignaro dei torbidi retroscena si offre, ingenuamente: son io, se vuoi, il tuo “bravoragazzo”…

Michele85 ha vissuto un’esperienza emozionalmente intensa: mentre faceva acquisti al supermercato l’ha vista. Lei: ballerine blu ben intonate al maglione azzurro traforato; frangetta e capelli corti. Stava pagando un acquisto piccolissimo: delle mozzarelline … Si accontenta di poco; mangia come un uccellino. Nel frattempo c’è stata anche una rapina. L’atmosfera si è fatta più intensa e vibrante. I cuori battevano a tutti all’impazzata. I volti dei ladri nascosti dalla calza collant, per confondere i lineamenti. Pronuncia forzatamente slavoide… per sviare le tracce e scaricare sui soliti immigrati dall’est europeo  …

Al supermercato durante la rapina- Ieri eravamo al supermercato insieme ..mentre c'era la rapina..avevi un maglione traforato azzurro e delle ballerine blu..capelli corti e frangetta...eri alla cassa con delle mozzarelline in mano..eri bellissima..! Chissà mai quando ti rivedrò!

Michele deve aver appena 25 anni. 85 dev’essere infatti l’anno di nascita. È rimasto trascinato nell’atmosfera intensa. La rapina avrebbe dovuto commissionarla lui, apposta, se non fosse stata già pianificata …
Guarda le mozzarelline che lei sta per pagare; cerca di scrutare i suoi occhi sotto la frangetta …
Chissà se e quando la rivedrà …
E l’attimo fuggente perduto da Elitron che guarda affascinata il braccialetto giallo di gomma che il ragazzo porta al polso … Quant’è carino, pensa, mentre nota il quotidiano che lui ha in mano. E se fosse quello con gli inserti cercapersone? Speriamo, pensa Elitron. E intanto si dimentica di far lei il primo passo, di sbilanciarsi lei per prima, di cogliere lei l’attimo fuggente … Ma lui scompare via … Val la pena di fare un annuncio?

braccialetto giallo- Ieri, ore 20.15 circa, metro rossa direzione Rho-Fiera, ultima carrozza.
Jeans, occhiali e avevi al polso un braccialetto di gomma giallo. Negata per il carpe diem ho pensato solamente dopo a quanto tu fossi carino.
Avevi in mano un quotidiano, non so quale.
A questo punto spero che sia City e che tu legga Ti Vedo Tutte le Mattine...- elitron

E com’è poi questa Elitorn? Una giovane ragazza ingenua e impacciata? Oppure un maturo signore che guarda con impudicizia e concupiscenza  il braccialetto di gomma gialla al polso del ragazzo, mentre lo spoglia con gli occhi interiori, tenendolo afferrato per i polsi, toccando la gomma sfuggente del braccialetto giallo?




La suoneria del mio cellulare: <<con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così…>che dice che mi sta arrivando una telefonata…-Prontooo - con l’ultima o allungata - oh, sì, certo… sì, sei proprio stata di parola…-
-ti ringrazio di avere chiamato… Quando ti ho incontrata, l’altro giorno, mi ha colpito il tuo sguardo intenso che è rimasto sospeso nell'aria, quando ti ho vista scendere.
 Ti volevo "raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Buttavo giù delle idee sullo smartphone .
Ero soprappensiero. Appena sei scomparsa mi sono reso conto che avevo avuto una apparizione celestiale. E che eri scomparsa. E non sapevo come rimediare. Avrei voluto riavvolgere la pellicola all'indietro. Chiederti il permesso di rubare la tua immagine il tuo sorriso per metterli nelle mie pagine.
Sarei stato costretto a ricordarti a memoria e a scrivere di te senza averti conosciuta meglio. Ti avrei cercato su tutti i treni possibili...
Grazie davvero di avere chiamato-
(Ma dove avrebbe potuto trovare il mio numero telefonico?)

18 . PICCOLI ROMANZI D’AMORE IMPOSSIBILE

Disperato, questo Sergio, al punto da citare parafrasandolo il titolo di un film:

CERCASI LAURA DISPERATAMENTE!!! -Cerco LAURA !!!
Mi chiamo Sergio, ha viaggiato con me, seduti accanto, l' 11/02/2010 sul volo Easyjet 417 delle 13.50 -Roma.-Milano.  E' originaria di Pordenone ma vive e lavora a Milano da circa 10 anni.
Abita in zona Rogoredo...e se sapessi dove....
E' grafica pubblicitaria ma non so in quale azienda lavori.
Mi ha detto anche il suo cognome ma non riesco a ricordarlo.
Vestiva in jeans, t-shirt con stampa James Dean, gilet grigio scarpe Converse All Star.   Non chiedetemi del perchè non gli abbia lasciato il mio numero di telefono.... so che Lei avrebbe voluto.
Chiunque la conosca è pregato di scrivere a: 6grsoo@yahoo.it
E ora...il miracolo!!!!
Grazie 1000- sergiosoltanto

Addirittura è convinto che lei avrebbe voluto il suo numero telefonico; ma lui non ha osato darglielo. Hanno chiacchierato. Lei gli ha detto anche il proprio lavoro, la zona in cui abita e persino il cognome. Lui era troppo emozionato: ha dimenticato tutti quei particolari essenziali. E ora aspetta il miracolo dalla magica rubrica telematica di cuori solitari….
C’era Federica che temeva di esser stata già dimenticata:

Mi hai dimenticato?- Mi hai già dimenticato? Sono dispiaciuta... ma tu fa quello che senti. FedericaSeVuoi

Che però poteva ricevere questa risposta:

a Federica Se Vuoi - No, non ti ho dimenticata, mai; sono solo arrabbiato per alcune situazioni.
Ma quando riusciamo a parlarci ..........
Aspettami davanti al bar all'uscita della metro, al mattino.
Ciao Federica- mariodevyl

Alcuni messaggi poi nascondevano da soli interi romanzi d’amore e di lontananza.

Cerco Sguardo - Università Statale Milano -
Ciao, Sto cercando uomo, alto occhi chiari,.... ci siamo sempre scambiati sguardi d'intesa al settore didattico di via Celoria negli anni tra il 1995-2000.
Ho perso le tracce.... possibile riallacciare i rapporti?
Frequentavo la facoltà di Fisica e viaggiavo tra Brescia e Milano, lui frequentava la facoltà di informatica (?) e spesso ci vedevamo in aule studio o al bar a bere caffè....A presto! E55

Quanti anni sono passati,10? , 15? Eppure solo oggi, quel raptus monta alla gola, in un desiderio irreprimibile. Troppo a lungo covato dentro. Coccolato nelle fantasie represse, rivisitato spesso nei sogni.
Come questo slancio disperato ed eccessivo; addirittura fuori misura.

ciao ragioniera rosella del morazzi via demetrio martelli - bologna- sono piu di 30 anni che non ci vediamo e sono piu di 30 anni che ti amo. mi dispiace moltissimo che ci siamo persi e che folgorato dal tuo amore non ho trovato nessuna parola per dirti che ti voglio bene . sono il tuo corrispondente ,amico di penna attilio, a steday boy se leggi questa mia inserzione non ti dico di sposarmi, ma per lo meno scrivimi a grepal@tele2.it telefonami allo 02930344807 va bene principessa' ti amo- franz48

Altri 30 anni di amore inespresso, nascosto come un peccato; che finalmente prorompe, erutta fuori violento, dilaga come una valanga senza che l’oggetto del desiderio se ne possa accorgere o rendere conto. Ormai e certamente fuori sintonia, fuori campo.
Messaggi nella bottiglia di vetro di naufraghi di altre epoche, perduti per sempre nel silenzio …. Annegati in altre vite e in altre dimensioni …










19. . APPARIZIONE

Alla fine decisi di riformulare il mio annuncio, in modo da poterlo rivolgere a molte frequentatrici di quella bacheca virtuale, senza apparire un cercatore di avventure facili, e spiegando i motivi reali della mia affannosa e disperata ricerca.

cerco il suo sorriso- Cerco una donna bellissima che ho incontrato e che era già scomparsa quando ho deciso di avvicinarla. SEI TU? Hai i capelli biondi corti e uno sguardo di mandorla? Se non ti riconosci nella apparizione scusami.
Cerco il suo sorriso! Ci siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; era stufa del ritardo; c'era stato 1 incidente a Magenta. Ad un tratto è scesa lì dopo avermi salutato con un sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Voglio "raccontare" quella ragazza nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di lei mi sarebbe essenziale. Sa sorridere meravigliosamente. Ha già dimenticato il mio volto maturo al quale ha regalato il suo sguardo? Stavo scrivendo sullo smartphone e mi carezzavo la barba. No? niente? Sarò costretto a ricordarla a memoria e a scrivere di lei senza averla conosciuta meglio? La cerco su tutti i treni possibili...”

Da allora son diventato un frequentatore abituale dei treni di quel percorso.
Una mezza larvata speranza lievita ancora a mezz’aria nell’immaginario che mi accompagna.
Sono già riuscito a incontrarla mentalmente migliaia di volte. Le ho già rivolto infinite volte discorsi teneri.
Forse, a questo punto, non è neppure più necessario che la incontri e che la ritrovi davvero.
Forse quella iniziale gradevole e sensuale fascinazione è stata sufficiente per accendere la lampadina dell'entusiasmo della speranza. Per risvegliare la mia produzione testosteronica. Il mio metabolismo ha ripreso a lanciare effluvi ormonali di richiamo. Forse da allora ho ripreso essere davvero vivo.
Mi tornano in mente le pagine de "Il diario del seduttore" di S.Kirkegaard.
In esse il filosofo danese analizzava diverse fasi e stadi di evoluzione dell’amore. Prendendo spunto da Mozart.
Papageno, ne: “Il Flauto magico” rappresenta la fase dell’”innamorato dell’amore”. L’amore come ricerca dell’amore e dell’amato. È innamorato ma non ha ancora individuato l'oggetto del suo amore.
Don Giovanni, impersona quella dell’amore come smania constante e come appetito da consumare subito, ma eternamente insaziabile. Amore anche carnale ed erotico, ma soprattutto amore come conquista, possesso, dominio...
Nelle Nozze di Figaro, si può leggere una metafora delle diverse fasi dell'amore:Cherubino e Barbarina rappresentano l'amore acerbo, Susanna e Figaro l'amore che sboccia, il Conte e la Contessa l'amore logorato e senza più alcuna passione, Marcellina e don Bartolo l'amore maturo.
Io credo di aver finalmente raggiunto un equilibrio tra la costante ricerca dell’amore, il suo consumo insaziabile e una profonda pace nel godimento interiore perdurante e nella narrazione. Anche in assenza assoluta dell’oggetto da amare. Una folle mentalizzazione dell’amore.











20. L’ANGOLO DELLE ORE

-          Oh, ma che piacere vederla!- e le porge la mano.
Lei gliela stringe compiaciuta: di non trovarsi ora in quello schifoso supermercato; di non indossare quell’orribile grembiule verde; di essere invece appena uscita dalla parrucchiera, di essere presentabile. Di potersi mostrare come è davvero: se stessa.
Ricambia con piacere il sorriso gentile e garbato che il professore le sta regalando.
E dell’invito a cena? Se ne sarà già dimenticato? E la sorpresa?
“ Se non si offende le confesso che avevo in serbo una proposta…qualcuna delle sere prossime darò una cena a casa mia. ..magari con una sorpresa…” le aveva detto…
Lei non è per niente disturbata da quell’aria sorniona del gentiluomo galante. È piacevolmente sorpresa di quell’incontro. Ora l’ha invitata ad entrare con lui nel caffè la brasiliana e le sta dicendo qualche cortese convenevole, mentre sogguarda diagonalmente la cassiera che gli sta consegnando lo scontrino.
- Ma lei è sempre così galante? Fa sempre così con tutte le donne?- chiede ritualmente Tiziana con tono faceto.
- Oh,certo che no! – risponde subito lui - Solo con le donne giovani e attraenti come lei! A proposito, mi stavo giusto domandando, … presumo lei abbia anche un nome… se non è una cosa troppo riservata… Sa, è per via di quell’invito a cena del quale le avevo accennato… Anzi, temo di essere costretto a violare ancora più in profondo la sua privacy, chiedendole anche il numero telefonico… Sa credo che potrebbe essere funzionale averlo. Ne conviene? -
Poi, mentre lo annota con la pennina sul suo smartphone, le accenna qualche particolare in più.
– C'è qualcuno che le vorrei far conoscere. Sa, non si può dire che io sia troppo socievole... raramente infatti trovo persone che meritino di essere conosciute... e allora, quando mi capita, mi diverte abbastanza ritrovarle insieme.
E poi, le confesso anche che ho incontrato una persona veramente eccezionale, o almeno così mi sembra. A volte mi fido molto dell'intuito, spesso con ottimi risultati. Non saprei neppure dire; è una giovane donna che mi ha particolarmente colpito, anche se ritengo di non saper nulla di lei. Uno sguardo, un cenno d'intesa, un sorriso... a volte può essere sufficiente per ritenere di aver incontrato qualcuno che era importante incontrare...
Ma non c'è nulla di certo ancora. Sto cercando di contattarla.
Staremo un po' a vedere.
Comunque non saremo in troppi: tre, quattro persone al massimo.-

Tiziana è piacevolmente intrigata da quanto le sta dicendo il professore. Dalla prospettiva di conoscere gente nuova che promette di essere interessante. E di scoprire chi è la giovane donna misteriosa che ha affascinato questo buffo e gradevole gentiluomo.
Aspetterà la sua telefonata, la cena e l’eventuale sorpresa…
Mentre si allontana prova ad immaginare l’evento che l’aspetta.






21. INVITO A CENA

Tiziana è davanti al guardaroba e sceglie, uno dopo l'altro, capi di abbigliamento che potrebbero essere adatti alla situazione.
Accosta ogni volta magliette o camicette al proprio busto, tenendole con i pugni stretti contro le clavicole
Ogni volta guarda l'effetto che fa, nella grande specchiera di mezzo. Fa lo stesso anche con gonne, minigonne e shorts. E' contenta di stare lì così, ad occuparsi solo di se stessa, del proprio aspetto e del proprio benessere, a dedicarsi a un lato più frivolo della vita.

" Tu non sei normale, ragazza! Ti è bastato che ti parlasse quel vecchio marpione; che ti dicesse qualche gentilezza; che recitasse il suo show e... sei lì che ti pisci addosso... come una stupida...
Viviamo troppo da sole, ragazza!
Eppure è tutto quanto così piacevole. Nessuno più usa toni così garbati e gentili, anche se è evidente che se ne compiace lui stesso... però è bello sentirsi trattare così; sono sempre stata una inguaribile romantica
Insomma, cazzo, io mi ci trovo bene in questa situazione qui... È indubbio che non me la sta "battendo". Sta certamente giocando il suo gioco, che gli piace, ma gioca pulito...
Chissà chi vorrà farmi incontrare? Un'altra single come me, per farci diventare amiche, per creare una specie di harem di sue confidenti... ? Oppure qualche single un po' simpatico e bizzarro come lui, oppure qualche banda di bizzarri smandrappati...”

Questo abbinamento potrebbe andar bene, pensa, mentre si guarda di nuovo nello specchio lungo, ammirandosi tutta. Non sei una brutta donna, si dice, anche se stai vivendo come un’eremita da un po' di tempo...
Era stato dopo quell'ultima storia dolorosa e sciagurata. Non voleva ripeterne neanche il nome nella propria mente. Le era partita via la testa. Lui aveva fatto di tutto per farle credere di essere unica, eccezionale, meravigliosa. E forse poteva anche essere vero, d'altra parte, ma il fatto era che lui aveva usato quella modalità in modo strumentale, l'aveva usata come un amo per pescare chi era disponibile lì, a non aspettare altro, chi ne aveva bisogno... Poi si era entrati nella routine, fino al graduale crescendo di screzi, conflitti, sempre più accesi e disturbanti. Fino a raggiungere l'apice. Il punto in cui si è raggiunto un bivio nel quale l'alternativa sembra non esistere più. Non è più possibile sopportare quel livello di sofferenza e di tensione. E, d'altro canto, pare di non avere il coraggio e la forza di arrivare al taglio netto, alla separazione, alla rottura. E così, si cade in un incubo, nel quale si succedono inferni di insulti, pianti, rancore..., alternati a parziali e provvisori momenti di riconciliazione, che paiono splendidi come il refrigerio di un oasi nella calura insopportabile.
Ogni donna, ma forse anche ogni uomo, ha bisogno ogni tanto di sentirsi dire di essere eccezionale, unico, meraviglioso... Di finire perfino per crederlo. Ma ci sono dei periodi della vita in cui qualcuno ne ha particolarmente bisogno, non aspetta altro, deve riempire un vuoto immenso che gli si è creato dentro l'anima, deve colmare il proprio vuoto, la propria solitudine, la propria insoddisfazione ...
È allora che possono capitare i colpi di fulmine o le batoste che ti lasciano a terra boccheggiante, e per un po' non ce la fai più a tirarti su.
Come molte altre storie, anche sentite raccontare da amiche e amici, tra lei e quel lui tutto era andato in modo magico, come da manuale, senza un errore o una virgola fuori posto...
Nessun passo sbagliato né da parte di lui, né da parte di lei. Calibrato al millesimo, giocato con sapiente maestria. Quelle leggere e delicate premesse che creavano le condizioni per una aspettativa indefinita, per un crescendo prevedibile ed auspicabile, per lievi accelerazioni tachicardiche, per uno stato paradisiaco prolungato, per farti camminare e muovere e vivere come in un sogno...
Questo, poi, era un altro elemento ricorrente della sua vita sentimentale. Gli inizi e gli approcci magici e meravigliosi. Il crescendo continuo, sino allo spasimo, sino ad uno stato cristallizzato e statico oltre il quale non si può andare. Oltre il quale sta cominciando la routine, la quotidianità e la piattezza che distruggono ogni rapporto.
Poi, lentamente, il riflusso. La regressione verso situazioni sgradevoli, prima rare, poi sempre più frequenti e intense. La caduta in un inferno doloroso e malato. Un "cul de sac" dal quale è impossibile uscire: non si può più star dentro quella relazione divenuta insopportabile; non si ha il coraggio di afferrarsi da soli per le spalle, e tirarsi fuori, andarsene via... Paura di sentirsi soli, di soffrirne, di andare in paranoia...
Finalmente, infine, ci era riuscita. Aveva dato un taglio a quella storia. Aveva ricominciato a vivere con se stessa e con la propria singolarità. Aveva ritrovato una dimensione di calma e di silenzio. Di tranquillità monotona e piatta. Di non dolore pure. Di assenza di ferite aperte e sanguinanti.
Aveva iniziato ad elaborare il lutto della separazione, aveva imparato a volersi bene, a star bene con se stessa, a frequentare solo chi la faceva star bene. A vivere con calma e dolcezza la propria solitudine.
Ma era ora di nuovo in quella fase in cui si aspetta il rifiorire della primavera di speranza. Si ha bisogno di credere che qualcosa stia balenando nell'aria. Un frullare di brezza di risveglio e di rinascita.
Tiziana è ora intrigata e ingolosita dalla situazione che le si sta aprendo davanti. Dalla prospettiva di qualcosa di nuovo, persone e situazioni. Non pensa quasi al bizzarro personaggio che l'ha invitata e neppure alla storia della giovane donna misteriosa che l'ha affascinato. E' presa tutta dalla atmosfera dalla quale si sente pervasa; dalla situazione assolutamente nuova che ha davanti e che sta vivendo...
Ha ricevuto la sua telefonata, che senza scendere in particolari le ha precisato il giorno e l'ora del tardo pomeriggio, la via e il piano...
Più che una cena deve essere un aperitivo con spuntino, ci andrà verso le cinque, curiosa per l’eventuale sorpresa…
Prova ad immaginare l’evento che l’aspetta.

“Il vecchio profeta mi apre la porta; a fianco a lui una bella donna, non giovanissima ma certo più giovane di me. Mi guarda accogliente facendomi sentire subito a mio agio. Sono dominata dall'idea che anche lei sia rimasta affascinata da questo antico dinosauro piacevole e buono. Provo a entrare nel suo stato d'animo, a immaginarmi le emozioni che ha provato e che prova, a intuire i suoi pensieri...”

La macchina posso parcheggiarla qui, c'è ombra mi sembra un posto tranquillo. Il numero è quello. Mi avvicino alla videocamera del videocitofono. Chi ti guarda da dentro vede il tuo volto deformato, ovalizzato, in bianco e azzurro...
Sento la voce che suona metallica dentro l'apparecchiatura, buffamente in contrasto con il tono caldo e piacevolmente demodé che mi invita a salire. Prendo la porta a vetri; l'ascensore oleopneumatico è lì pronto; arrivo al piano; si accende la luce nel corridoio; si apre una porta ed ecco il mio anfitrione.
Indossa un completo di tela indiana bordeaux; calzoni che cadono larghi e mollicci, senza cintura, trattenuti da un cordoncino; un camicione-blusa dello stesso colore gli cade addosso, senza colletto, i primi bottoni slacciati...
Porta dei sandali con cordoncini di cuoio, che mi ricordano le mie vacanze in Grecia di tanti anni fa.
Ha una massa di capelli argentati con ancora qualche sprazzo castano; corti e un po' radi alla sommità, più lunghi dietro che gli cadono sul collo, arricciandosi disordinati...
Il suo sorriso abituale, ha come una intonazione nuova, sintonizzata con l'abbigliamento e con la situazione; assume sfumature più distese e aperte, pervade quell'atrio e mi segue mentre entro stringendogli la mano calda e ampia.
C'è un'atmosfera esotica. Un etagère stile secondo impero con a fianco un tavolo coevo dal contorno a saponetta; un salotto in pelle bordeaux; una madia e alcuni piccoli buffet stile etnico. Quadri antichi, quasi tutti di marine o corsi d'acqua. Con cornici scure di legno intarsiato color bronzo, che probabilmente avevano una volta una doratura...
Un impianto hi-fi anni 68, con le sue casse nere e immense; un glorioso Tecnhics col piatto per i dischi in vinile, il sintonizzatore, un vecchio desueto ricevitore per filodiffusione; che coabita con una modem ADSL wireless che gli è stato appoggiato sopra, con le sue lucine verdi...
Da una porta intravede l'accesso a un bagno con una strana struttura di legno perlinato; sembra un bagno turco o una sauna. Poi potrebbe esserci la zona notte con la camera...
Da un'altra porta alla destra della prima, si intravede un'ampia cucina dove sono mescolati arredi moderni, bizzarri tavoli ikea, mobili etnici.
Sull'altro lato una scala interna porta al piano superiore, una mansarda.
Una cameretta degli ospiti; uno studio con computer, casse, quadretti con vecchi occhiali pince-nez e vecchie monete romane, scaffali bordeaux ricolmi di libri...
Davanti a un tavolo scrivania a libretto una sedia ergonomica stocke, con imbottitura rossa. Sul tavolo diversi porta-pipa; appesa accanto ai quadretti una rastrelliera da cui pendono svariate. pipe..
Nell'ultima stanza, attigua ad un secondo bagno, molto più luminosa delle altre per la presenza di una porta finestra che dà un terrazzo a pozzo, alcuni attrezzi da ginnastica una cyclette-steep, una panchetta bordeaux per gli addominali, una macchina gym multifunzione, un pride sacco boxe da pavimento, un tappeto a terra.
Studio, bagno e camera degli ospiti hanno solo finestre a velux sui soffitti obliqui; le persiane sono abbassate per via del sole; la penombra conferisce ulteriore fascino all'ambiente.
L'atmosfera è pervasa da una musica soffusa, a volume bassissimo, dolce e melodiosa, morbida e accattivante.
Mi spiega che sono dei lieder di Brahams : una voce femminile di contralto racconta in tedesco di nubi, natura, vento, boschi. Appoggiandosi su delicati arpeggi di pianoforte. Tutto segnala nel canto la presenza della persona amata.
Lui mi racconta che ambienta queste melodie in un ricordo della sua infanzia e adolescenza nella vecchia casa dei suoi nell'Ossola. Era senza telefono, né TV, né suoni.
Anche il mobilio era affine a quella musica... Me lo descrive, facendomelo quasi vedere.
Una vecchia scrivania di noce, con la superficie lucidata a cera, col piano di lavoro coperto di una pegamoide verde scuro, che lasciava intravedere i segni dei tarli. Un vecchio pianoforte verticale nero con la cassa armonica di legno. Un buffet-libreria metà 800, una dormeuse di noce lucido e consunto, il soffitto e le pareti decorati con semplici e ingenui motivi ricorrenti impressi a rullo.
Il lieder di Brahms, che prosegue accorato, l'ha riportato là. Mi comunica questo magico contesto con la sua atmosfera.
Lo seguo ora, qui, per la casa, in uno stato d'animo misto di ammirazione, dolcezza, calma e serenità profonde. Le atmosfere che la musica e le  parole evocano, si mescolano e confondono con questa che c'è qui. Ha qualcosa di magico quest'uomo, o forse è solo il fatto che non ci sono abituata a stare con persone così, ricche di dentro che vivono secondo uno stile proprio. Senza comportamenti seriali; senza i rituali omologati dei media più banali.
In cucina un tavolo ribaltabile di legno chiaro, sta aperto, coperto da una tovaglia incerata a riquadri rossi e bianchi, e sopra sono disposti piatti di portata coloriti e attraenti.
Una vibrazione sonora avverte che il videocitofono attende risposta.
Sul piccolo schermo azzurroso una figura maschile guarda verso l'alto e sorride. Ha una leggera barba cortissima, i capelli alle tempie corti e il cranio lucido di incipiente calvizie.
Non è alto come il professore, e non sembra neppure che abbia giocato a biglie con lui. Dev'essere sui 40/50 anni e sembra avere uno sguardo luminoso e un sorriso gradevole.
Per quanto possa raccontarmi il monitor del videocitofono.
Anche la voce abbastanza gradevole. So che lui non ci può vedere, ma ci saluta ammiccando.

Ora che è salito noto che è appena più alto di me. Mi dà la mano con una stretta sicura e subito passiamo a darci del tu. Al Professore invece continueremo entrambi a dare del lei. Mi sembra naturale in questa meravigliosa recita a soggetto.
Ma dove l'ho già visto? Non è una faccia nuova! Oppure ha qualcosa di famigliare comunque; non mi trovo davanti a un estraneo.









22. L'INCONTRO

Tiziana indossa una gonna-pantalone di colore verde militare che le arriva a metà coscia, dopo aver messo in rilievo, in modo sobrio e garbato, le sue rotondità posteriori.
Sopra indossa un leggero scamiciato aderente che le fascia il seno minuscolo e compatto.
Porta sandali-stivaletti, che lasciano scoperte le dita e il tallone.

Federico ha fatto il suo ingresso percorrendo con un sorriso ampio lentamente tutto l'arredamento , per fermarsi sulla donna che gli sta davanti e che lo guarda compiaciuta e in sur-place.
Indossa una camicia stazzonata di lino azzurro tenue, su jeans stinti.
Si tendono la mano, si guardano come riconoscendosi, come confermando le reciproche proiezioni fantastiche. Lui si sofferma sul caschetto di capelli corti neri di lei; sui ciuffi lunghi a virgola delle basette; sul vago sorriso sospeso a mezz'aria di lei; sulla sua figura asciutta e soda. Lei sente ancora nella mano la stretta accogliente e viva; negli occhi sente il suo sguardo aperto e pulito.
Ciascuno confronta quel che ha davanti con l'immaginario che si era prefigurato; la sorpresa è reciproca e piacevole.
Ricca di conferme grate.

Qualcosa del genere me l'ero aspettata, qualcosa come ritrovarsi tra vecchi amici... come continuare un discorso già iniziato... le conversazioni sul treno...
Un clima di confidenza sereno e piacevole, una dimensione magica in cui stanno per dipanarsi situazioni distese, conversazioni gradevolmente prevedibili, atmosfere naturali...Sì, mi trovo perfettamente a mio agio, era proprio quello che mi ero aspettato; questa casa, questo ambiente, questo clima, questo modo calmo di stare con delle persone. Mi viene subito naturale dare del tu a questa donna, ascoltare quel che dice e dirle con naturalezza spontanea a mia volta quello che penso...
L'aria è fresca; c'è una leggera brezza che viene dal condizionatore; ci siamo seduti sul salotto di pelle bordeaux; il nostro anfitrione ci ha portato due calici di brut cava spagnolo...
Poi è scomparso di nuovo in cucina. Ha un abbigliamento da revival anni 70. Mi aspetto da un momento all'altro di vederlo ricomparire in compagnia. Se quest'occasione ci riserva quella sorpresa che mi aveva anticipato.
Mi immagino la donna dei suoi sogni, quella che lui ha cercato con ostinazione sui suoi treni. Quella dell'annuncio: "cerco il tuo sorriso..." di cui mi ha tanto parlato.
Tra i trenta e i quarant'anni; capelli biondi abbastanza corti; occhi verdi e luminosi; volto a mandorla; sguardo intenso... Intanto mi guardo in giro.
Il pavimento di parquet è ricoperto di kilim dai colori intensi, in cui domina il rosso scuro. In un angolo un vecchio Technics vicino a un telefono di inizio 900, a parete, in legno.
In sordina una voce di contralto canta in tedesco...
La sua musa, invece, non compare. La sorpresa deve essere rinviata a più tardi, forse.
Lui ci ha portato dei flute nei quali ha versato del cava da una bottiglia imperlata, con l'etichetta dorata. E’ nientemeno che un “CARTA NEVADA”!
Finisco per distrarmi e non pensare alla mancata apparizione. Sono immerso in un mare fresco e profumato, la bocca e la gola sono pervase dal gusto aspro e aromatico, le parole mi escono da sole, senza coordinarle, e mi lascio trascinare. Questa donna che mi sta davanti ha un modo naturale e morbido di stare e di parlare. Non dimentico la presenza del nostro ospite, perché pervade tutto. Rimane come la musica di sottofondo e i gorgheggi del lieder che la soprano continua a regalarci con voce accorata. A piccoli passi io e lei finiamo per raccontarci le nostre provenienze culturali e lavorative.

-          ... avrei voluto fare lettere, ma poi ho finito per iscrivermi a scienze dell'educazione. A Torino. Ero uscita dall'istituto magistrale, sì quello già riformato, voglio dire sperimentale, con l'anno integrativo. Avevo seguito l'indirizzo, appunto, del liceo pedagogico. Non mi sarebbe dispiaciuto, poi, diventare maestra elementare. O, come viene chiamato adesso, un insegnante di scuola primaria. Avevo avuto un buon imprinting. Ero stata in una scuola a tempo pieno a dir poco favolosa. Sai, quelle classi nelle quali si stampava il giornalino, si facevano vivere animaletti, si studiava la clorofilla con delle piantine da tenere al buio e alla luce..., si discuteva tanto, ci si allenava a ragionare e a vivere...-
Federico ridacchia fra sé, guardando in basso, come rimediti qualcosa...

-          Al magistrale ci ho fatto scuola qualche anno... sempre supplenze brevi, o al massimo supplenze o incarichi annuali... Mi era venuta in mente una cosa..., magari poi te la racconto...-

-          Beh, così mi ero decisa per scienze dell'educazione. Decisa, si fa per dire... Sai, sono quelle scelte obbligate: o di qua o di là... non è che puoi sbizzarrirti poi tanto...
Quel periodo me lo ricordo abbastanza volentieri. Sì, lo definirei un periodo bello, interessante... studiare, preparare esami, andare alle lezioni, prendere appunti,... Poi c'era l'attività politica, nei collettivi... Discussioni, dibattiti, prese di posizione, manifestazioni...
C'erano delle storie, niente di impegnativo, o di definitivo... Si facevano delle conoscenze, si allargavano le amicizie, qualche amicizia maschile tendeva a trasformarsi in relazione... Poi tutto finiva, senza traumi, pianti, addii...
I primi tempi avevo una mezza idea di fermarmi lì, avevo anche trovato delle altre ragazze con le quali dividere degli alloggi... Avevo portato le mie cose, biancheria, lenzuola, coperte, stoviglie, cibi vari... Pensavo che la frequenza avrebbe facilitato.
Avevo cambiato diversi alloggi; diverse compagne di coabitazione; diverse situazioni. Ogni volta per brevi periodi. Le occasioni non mancavano. Ma poi avevo cominciato a stufarmi di quella strana promiscuità. Di quelle conoscenze sempre superficiali, mascherate sotto delle routine di confidenza conviviale con persone profondamente estranee a me. Aveva prevalso il gusto e il piacere della intimità della mia cameretta, nella mia squallida città, delle persone che mi conoscevano e che conoscevo bene... Mi ero stufata di quei continui traslochi seguiti da nuovi sradicamenti. Di quelle temporanee fasi di soggiorno...
Avevo ripreso a viaggiare.
Nel frattempo avevo fatto domanda per entrare in graduatoria per le supplenze nella scuola elementare. Niente di eccezionale; brevissimi periodi di contatto con una realtà sconosciuta; in classi radicalmente diverse ed estranee alla mia esperienza e al mio ricordo. Sentivo che dietro quelle brevi pause con la maestra supplente, con la quale i bambini si scatenavano nel casino e nella confusione,... sentivo insomma che restava sempre presente la loro insegnante di classe, con la sua impostazione distaccata e fredda, con le urlate e i castighi, con i dettati e i riassunti, le pagine da ripetere a pappagallo; con le delazioni e la piaggeria...
Per fortuna le occasioni furono molto limitate. I guadagni furono modestissimi. Lasciai perdere. Finii per avere più tempo per i miei esami e la tesi. Dicevi delle  tue supplenze al magistrale... ? –

-          Ah, sì. Avevo fatto informatica a Milano. Allora sembrava ancora un campo aperto a prospettive di lavoro. Mi ci ero anche molto appassionato. Dopo la tesi anch'io mi ero iscritto in graduatoria per le supplenze. Corsi abilitanti o concorsi a ruolo neanche per idea! E così avevo cominciato anch'io a starmene a casa ad aspettare al telefono per qualche supplenza. C'erano periodi lunghissimi, specie all'inizio, in cui mi precipitavo inutilmente a rispondere appena squillava. Ogni volta cercavano i miei o comunque chi chiamava non c'entrava niente con la scuola.
Poi erano cominciate le prime nomine. Un mese di qua, due mesi di là...
Si trattava quasi sempre di incarichi per matematica e scienze. Così prima o poi venni chiamato al magistrale.
All'inizio ero abbastanza intrigato dall'idea di trovarmi in classi quasi esclusivamente femminili. C'è da dire che di problemi disciplinari non ce n'era mai.
Mi accorsi, però, che i problemi potevano venire da un'altra parte.
Mi ero accorto presto del modo in cui alcune ragazze mi guardavano, scambiandosi poi occhiate tra loro e ammiccamenti. Qualcuna prendeva l'abitudine e il vezzo di chiedere qualcosa, di fare domande. Io stesso, d'altra parte, avevo sempre stimolato gli allievi affinché chiedessero spiegazioni.
Però, lì. mi accorgevo, ogni tanto, che qualcuna lo faceva per farsi notare, con aria civettuola, con sorrisi fuori misura, fissandomi intensamente...
Quasi sempre riuscivo a smorzare quegli eccessi di entusiasmo, contenendo quei tentativi di avances mascherati da zelo per lo studio. Riuscivo a tamponare quegli approcci; rimettendo le fanciulle al loro posto.
Ricordo che in una quarta, c'era una ragazza biondina molto graziosa. Seguiva le mie lezioni con molto interesse guardandomi sempre con un leggero sorriso. Non l'avevo mai confusa con quelle scioccherelle che giocavano a simulare approcci. Era garbata, misurata e attenta. Non interveniva mai a sproposito.
Finita la supplenza e terminato l'anno scolastico, trovai una sorpresa nella cassetta delle lettere.

"Caro professore, solo ora che è finito l'anno scolastico, mi rendo conto di quanto sia stata importante l'esperienza che abbiamo insieme condotto. Non avevo mai, prima d'ora, imparato così bene le materie scientifiche e la matematica. Ero sempre stata convinta di non esserci tagliata. La devo ringraziare per la sua comprensione e per la competenza delle sue spiegazioni.
L'estate mi ha tolto il piacere di frequentare la scuola, le compagne e tutte le persone che stimo e che ammiro. In particolare, mi dispiace molto di non poterla vedere. Sarei molto contenta di scambiare qualche discorso con lei. Anche fuori del campo della matematica e delle scienze. Credo proprio che potremmo fare insieme delle belle chiacchierate. Se vuole può chiamarmi a questo numero telefonico di casa .........; oppure, se preferisce, anche sul cellulare......... …"

Ti confesso ora qui che quella lettera mi colpì e mi disturbò abbastanza.
Conoscevo superficialmente il fratello della mia allieva. Era militante in un gruppuscolo tardo maoista, che faceva opera di proselitismo davanti ai supermercati e all'Upim, vendendo uno stucchevole giornale e distribuendo volantini. Era abbastanza ingenuo al punto di voler suggerire, con la sua parlata dalla erre moscia, la lettura approfondita di qualche particolare articolo che, ovviamente, doveva essersi imparato già a memoria.
Lo trattavo abbastanza con sufficienza, un po' come trattavo in quel tempo i missionari dei testimoni di Geova o dei mormoni. Arrivai perfino qualche volta a provare a far credere al ragazzo che avevo già comprato il suo giornale e che apprezzavo l'articolo da lui segnalatomi...
I genitori erano industriali lombardi che dovevano avere fornito ai loro figli un'educazione abbastanza libertaria. Ora saranno diventati della lega.
La graziosa biondina di quarta magistrale, doveva avere in comune con il fratello uno spirito molto naif. Aveva provato simpatia per un suo insegnante e aveva deciso di scrivergli nel cuore dell'estate per invitarlo a scambiare quattro chiacchiere...
Meditai a lungo sulla questione: da un lato il mio spirito di gallo era inorgoglito; dall'altro mi sentivo come un possibile pedofilo che cedeva alle provocazioni di una fanciulla indifesa.
Non mi venne neppure da pensare che era la fanciulla, per nulla indifesa, che tentava spudoratamente di adescarmi. Nonostante la differenza d'età di una decina d'anni.
Pertanto scrissi una lettera di questo tono:

"Cara........., mi ha fatto immensamente piacere ricevere la tua lettera. È molto bello per un insegnante sapere che qualcuno dei suoi allievi lo considera una persona amica alla quale rivolgersi per chiacchierare, confrontarsi, confidarsi... Specie nel cuore dell'estate! Non sei ancora andata in vacanza?
Purtroppo la situazione nella quale mi hai conosciuto, vede me nel ruolo di insegnante, e pertanto riterrei scorretto approfittare della simpatia che posso aver suscitato in te, per intraprendere una relazione di comunicazione e di amicizia. Credimi, sono profondamente lusingato della stima che mi attribuisci, quanto anche della proposta di amicizia. Temo, però, che la differenza d'età e di ruoli che abbiamo, possa influenzare negativamente, e certo a tuo svantaggio, un approfondimento.
Mi farà profondamente piacere ritrovarti in classe il prossimo anno e scambiare con te e con le tue compagne interessanti conversazioni.......”.

Finivo poi per consigliarla di frequentare i suoi coetanei, che senz'altro avrebbe trovato meno noiosi del suo vecchio insegnante.... -
Mentre lui racconta, Tiziana lo ascolta con attenzione. È compiaciuta del livello di confidenza che lui le ha appena regalato. E insieme intenerita del pudore manifestato.

Ha cercato di immedesimarsi nella situazione che le ha fatto rivivere. In fin dei conti la differenza d'età fra insegnante e alunna non doveva essere dissimile da quella che c'è tra lei e il suo interlocutore. Per qualche istante si è sentita nei panni di quella ragazza. Ne ha capito l'attrazione per questo uomo e per la sua profonda gentilezza d'animo e umanità.
Ha rivissuto il fascino che a volte anche su lei hanno esercitato uomini più grandi. Crede di ricordare di aver vissuto qualcosa di simile. Apprezza profondamente l'estrema correttezza che lui ha avuto. E insieme a lui rimpiange quell'occasione mancata...
Nel frattempo il professore è ricomparso e se ne sta appoggiato con la schiena alla madia che divide la sala dal salotto. Li sta guardando con un leggero sorriso assorto. Ma preferisce non interromperli. Deve avere ripercorso anche lui qualche situazione simile; o forse è dolcemente pervaso dall'immagine della sua giovane musa che sembra debba restare ancora assente.
La conversazione si sposta sulle controversie e le vicissitudini che entrambi hanno vissuto da insegnanti precari. Sui tagli del personale che l'attuale politica scolastica sta sciaguratamente operando a discapito della qualità. Sulla scelta dolorosa che hanno dovuto e voluto compiere di uscire dal mondo della scuola. Sulle generali manovre di golpe mediatico, di peronismo edulcorato, di profonda illiberalità.
La pervasiva commistione tra politica e malavita organizzata, la battaglia in difesa della libertà dell'acqua, il rilancio suicida dell'energia nucleare, la condizione della donna...

- Ho aspettato tanto, inutilmente, che bandissero un concorso; che indicessero un corso abilitante per materie letterarie nelle scuole medie o per i bienni delle superiori. Niente!
Per mesi e poi per anni ho passato anch'io le mattinate in casa, pronta, già vestita, con le chiavi della macchina in mano , aspettando una telefonata che mi attribuisse una supplenza. La delusione amara di quando non arrivava niente. La frenesia dell'entusiasmo imprevedibile quando invece arrivava. Entrambe emozioni immotivate. Fuori registro, eccessive, disumane.
È mai possibile restare per anni a fare una professione che ti vede lì, tutte le mattine, ad aspettare che ti facciano lavorare..? Oppure che un certo punto ti accorgi che nella tua vita professionale compare all'improvviso un buco di qualche mese senza lavoro e senza stipendio..? Oppure che tu, che sei l'ultima arrivata e che quindi non dovresti essere la più esperta nel mondo dell'insegnamento e nella gestione di gruppi educativi e di apprendimento, devi essere precipitata e scagliata in situazioni insopportabili, dalle quali titolari sono scappati vigliaccamente, a cercare di risolvere e salvare realtà impossibili?
No, era insostenibile a lungo termine... Non ho retto. Prima ho cominciato a cercare qualche lavoretto temporaneo per riempire i periodi senza nomina. Ma anche quelli non erano certo lì dietro l'angolo che mi aspettavano... Poi ho dovuto risolvere il problema del periodo estivo senza nomine senza stipendio...! Sì, perché nel frattempo ero andata via di casa dai miei, per delle storie che avevo avuto e che avevo voluto vivere per conto mio. Con uno stipendio incerto avevo cominciato a sobbarcarmi anche le spese per vitto e alloggio. La macchina, che mi aveva lasciato mio padre quando l'aveva cambiata, era diventata un catorcio di cui non potevo più fidarmi.
Sì, d'estate si trovavano dei lavoretti, tipo sostituire qualcuno in qualche altro lavoro. Di nuovo facendo il tappabuchi.
Ho fatto anche la baby-sitter. Anche lì, a parte qualche rara eccezione, un'esperienza demoralizzante stressante. Diventavi la tappabuchi di famiglie inesistenti o che volevano andare a cena dagli amici o al cinema per conto proprio. Bambini e bambine dall'aria angelica davanti ai loro genitori, diventavano di colpo dei piccoli despoti che ti tiranneggiavano e ti ricattavano: "se mi sgridi dico a mia madre che mi hai picchiato... (che hai passato il tempo al cellulare; a guardare la televisione; a fare telefonate interurbane..; a guardare programmi porno...)".
È infine ho trovato la soluzione. Non me ne vergogno: un posto stabile, la commessa in un supermegastor del cavolo.
La mia laurea in scienze dell'educazione è come se l'avessi buttata nel cesso. Ma non me ne frega niente. Con un po' di delusioni finalmente ho raggiunto la mia autonomia economica. Posso pagare tranquillamente le mie bollette del telefono del gas, mettere a posto la macchina, andare in vacanza se e quando mi va...-

Ha fatto un discorso tutto d'un fiato, accalorandosi un po'. Ha buttato fuori il rospo. Si sente meglio. Non teme di essere giudicata.
Lui nel frattempo l'ha guardata con comprensione e solidarietà. Le loro storie sono un po' simili.
È solidale anche lo sguardo antico che le regala con tenerezza il professore.

- La tua storia non è molto diversa dalla mia. Ho dovuto ripiegare su un lavoro del cavolo: preparare siti e blog, stare tutto il giorno sul computer a smanettare. Confezionare pubblicità, banner, “template”. Andare a cercarmi clienti a casa loro, contrattare sui prezzi, stargli dietro, cercare sempre di accontentarli...
In compenso sono contento di riuscire a staccare il lavoro dalla mia vita autentica e personale. Sì, è pur vero che lavoro a casa mia sul PC, ma quando decido di staccare ho finito. Tiro giù la clèer, la sarcinesca, e ci do un taglio netto. Posso navigare nella rete per conto mio, sbrigare posta elettronica personale, scrivere un diario... é sempre sul computer ma non sto lavorando per gli altri!
È poi posso leggere quel che voglio quando voglio e se mi va andarmene dove mi pare. Posso darci dentro a testa bassa quindici ore al giorno per quanto mi pare; poi, quando decido di staccare, stacco veramente e me ne vado dove cavolo voglio io...-

Dalla cucina, intanto , é appena ricomparso il professore con la bottiglia di cava ghiacciato. Indossa un grembiule bianco il quale appare la scritta ricamata in rosa: “ S.O.S. Uomo disperato, cerca aiuto in cucina”.
-          Non vi spaventate per questo abbigliamento buffo; è un regalo che mi fecero in occasione di una cena da me un gruppo di simpatiche mie collaboratrici...
Vi assicuro che non vi ho invitati solo per farvi fare autocoscienza tra voi. Forse manca qualche particolare nel quale avevo sperato... ma comunque spero di non aver sbagliato nelle mie intuizioni... Ma lasciamo perdere queste considerazioni. Permettetemi di inserire in appendice all'episodio che ho sentito raccontare, una analoga vicenda occorsami.
Alcuni anni fa mi è capitato di fare uno strano e imprevisto incontro su un social networking , Facebook.
Passo molte ore al giorno davanti al monitor  a scrivere. Per cui a volte riposo seguendo altri percorsi.
Era stata un'amica, una giovane e attraente donna con la quale avevo avuto rapporti di lavoro, che in qualche modo mi aveva trascinato a iscrivermi.
Avevo precisato nel mio profilo nome e cognome, gusti letterari musicali e cinematografici, giorno di nascita. Avevo selezionato tra le immagini digitali che avevo, una nella quale avevo un'aria abbastanza presentabile. Avevo un poco faticato ad imparare le regole di funzionamento, ma in breve il nuovo giochino aveva finito addirittura per stufarmi.
Solo ogni tanto andavo a curiosare se era arrivato qualcosa di nuovo: messaggi, notizie, foto...
Ed era stato lì che avevo fatto un incontro. Avevo trovato nei messaggi una richiesta di amicizia di una ragazza. Era una novità, per cui senza pensarci sopra risposi affermativamente.
Trovai presto dei link di collegamento a delle foto.
Ci misi un po' prima di contestualizzare. Poi le riconobbi. Erano quelle di una manifestazione contro gli F35, svoltasi di recente a Novara proprio perché quella sarebbe stata la sede per l'assemblaggio dei micidiali e costosissimi aerei da guerra.
Era stata, mi ricordavo, una iniziativa grandiosa, diversa dalle altre manifestazioni politiche che avevano caratterizzato la nostra provinciale e pigra città. Colorita e grandiosa raccoglieva contributi e presenze da tutto il nord Italia e dal resto d'Europa.
Le immagini ritraevano alcuni momenti salienti, striscioni, pupazzi animati, e moltissimi primi piani.
Diversi di quei primi piani erano stati taggati perché ritraevano me.
Cercai nel profilo della ragazza. Stentai a riconoscerla nell'immagine che compariva . Aveva un ciuffo di capelli bordeaux sopra una fronte ampia di un volto da ragazzina.
Era la fanciullina che aveva fatto le fatto le foto. Era stata lei a chiedermi di amicalizzare su FaceBook.
Le avevo detto durante il corteo che anch’io mi sarei fatto i ciuffi colorati di verde o viola e i rasta, se solo avessi avuto anche i capelli. La battuta le era piaciuta e l’aveva colpita. Mi aveva detto che le foto le avrei potute trovare sul socialnetwork.
Le avevo poi viste infatti.
Nel suo profilo aveva collocato delle note in forma di versi. Mi sembravano interessanti.
L'avevo messaggiata in bacheca:

- Poi mi spieghi per favore come faccio a scaricarre le tue foto? Complimenti; sono davvero molto belle.-
- Grazie mille! Non saprei dirti come si scaricano le foto, mi spiace! Non basta selezionarle e copiarle? Ah,sì, confermo! Se le selezioni in modo che diventino tutte blu e poi le copi su word il risultato è ottimo!-
-.Perfetto. Ci voleva la tua mano fotografica a Milano il mese scorso. A me ne son venute solo di molto scadenti: puro documento... Di versi ne scrivi anche altri?-
- Al momento sono impegnata nella scrittura di un libro e nel mio primo progetto cantautorale!
Ti piacciono i miei versi?-
- Sì, li trovo interessanti. Mi ricordano percorsi esistenziali... "Davanti a me tutta la mia infanzia..." (J.Joice-Ulisse). C'é speranza se qualcuno ama ancora la poesia e ne scrive... Se ti va di parteciparne qualche saggio, puoi trovare la mia mail al mio profilo. Io, per esempio, non rendo pubbliche le cose che scrivo (almeno fin quando un editore non me le avrà presto stampate...). Sai cosa diceva D.Pennac quando é venuto a Novara dello "scrivere"?
- Io pubblico poco in giro, anche perchè mi è successo, in campo artistico, di dire troppo e ritrovare le mie idee addosso a qualcun altro...
Purtroppo non sono riuscita a venire a sentire Pennac, è uno dei miei scrittori preferiti! Cosa diceva?... -
- Ho provato a chattarti scrivendo una frase ma non succede niente -

Poi mi ero messo a chattare con lei:
- riprova
- sto provando (sono 1 po' imbranato...)
- :)
-ora ho capito, bastava scrivere e poi cliccare enter... cosa vuol dire ql faccina perplessa che m hai inviato?
- è un sorriso
- ah!sob! emaileggiami qlk poesia se ti va; (dove si prendono le faccine?) qs é proprio in bel giochino, specie poi se serve anche a comunicare pensieri, parole, idee...
- non sono vere e proprie poesie, diciamo che sono pensieri- appena ho tempo di scriverle al computer te le mando!
- per fare le faccine devi usare i due punti e la parentesi in questo modo:
sorriso : )
triste : (
occhiolino ; )
-grazie; ora posso usare anke questa neolingua oltre a quella ufficiale, alle mail, agli sms... ; aspetto i tuoi versi; vuol dire che ne sceglierò qualcuna mia adeguata e te la mando se nn ti faccio perdere tempo allo studio... Cos'é che stavi cercando di studiare e il tuo cervello rifiutava? la cultura nozionistica solo raccontata e non agita? vai avanti cmq a testa bassa. Hai la maturità quest'anno? :)
- no ho già finito da un pezzo, vado a Brera. cercavo di studiare storia dell'arte. se mi mandi qualche mail sono molto contenta
- ah scusa la tua mail é "gigliosonante@gmail.com "? posso usarla? mi è più funzionale
- si certamente!
- poi m spieghi la cantautoralità (sei anche musicista?che strumento?? sono un po' indiscreto?...)
- si, diciamo che gioco anche con la musica, per diventare musicista mi manca ancora qualche anno di studio- suono l'oboe - però il nuovo progetto è basato sullo scrivere dei testi musicandoli completamente da sola lo chiamo canzoni solitarie - io registro voce chitarra basso e percussioni da sola
-- qnd avevo la tua età suonicchiavo il violoncello, prima della rivoluzione francese, voglio dire; ma ora son capace solo a cantare i canti popolari (politici, mondine, resistenza, anarchia, quelli dei "dischi del sole"; sempre archeologia per te, lo so; ma ci sono dei prodotti culturali ed artistici che sono universali e non dovranno mai esser fatti morire...). Potrò permettermi di esser curioso anche della t produzione e ricerca musicale..? Tot secoli fa' ho fatto una presentazione in pubblico di una mia raccolta di testi poetici (mai stampata perché non mi interessava), con un amico jazzista e suoi colleghi che facevano e fanno ricerca nel jazz.
- bello il jazz; i canti popolari li so anch'io
- loro mi accompagnavano e io leggevo/recitavo poesie... Era il tempo delle fragole... Ci sono canti popolari che possono ancora far piangere (es."El poer Luisin").
- ho un amico contrabbassista jazz che fa sempre progetti voce-musica
- voi giovani siete una miniera di sorprese e di speranza per il futuro; nonostante i tempi bui che respiriamo oggi "la speranza sarà sempre l'ultima a morire...". E' piacevolissimo conversare con te se non ti faccio trascurare troppo la storia dl arte ...
- non c'è problema però tra un po' riprendo a studiare!…
grazie mille! a presto

Ero rimasto piacevolmente turbato e come in sur-place esistenziale. Lei non era una mia allieva. Era una donna grande e autonoma.
Quindi le ho mandato due mail di questo tenore:

La prima diceva:
Comincio con la "teoria della narrazione" che traggo da un mio pseudoromanzo che amo abbastanza, al contrario degli editori.

"...E pure nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare. Anzi, è proprio il sogno a modificare la successione degli eventi della sua “narrazione”, mescolandoli secondo meccanismi e dinamiche sue proprie.
Tanto sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi seguono un percorso simile,sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui, ma… pochi istanti dopo è già passato…          
Ecco, diciamo che questa narrazione cerca di imitare il pensiero, le fantasie, il sogno. Per ricreare un ambiente dal di dentro. Con la discontinuità tra il prima e il dopo, come nel ricordo e
nell’immaginazione.
Questa narrazione è dunque malata: non è una rappresentazione fotogramma dopo fotogramma degli avvenimenti.
Sarebbe una noia mortale, altrimenti.
Si è costretti ad operare dei continui salti avanti e indietro.
Si sceglie ad un certo punto di interrompere la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato. Poi si ritorna ad un presente leggermente successivo; poi interviene un ricordo; salta fuori una fantasia; quando non compare un vecchio scritto, una lettera, una pagina di diario, una poesia….
Questo salto temporale, o analessi, è uno scombussolamento della struttura lineare in cui si sono svolti i fatti (secondo sequenza logica e cronologica) .
Attraverso questa deformazione malata della realtà dei fatti, la narrazione vorrebbe cercare di mostrarsi più autentica. Un artificio, dunque, per cercare di creare la realtà.
Se il meccanismo funzionerà avremo un risultato di effetto.
A questo punto ci buttiamo dentro pezzetti di vita e li facciamo reagire tra loro. Vediamo cosa ne verrà fuori!" ...
"Sarebbe, infatti intenzione comune, fondamentalmente, di provocare piacere in chi si avventurerà in queste pagine. Non già quella di creare disorientamento e confusione.
L’utopia che avremmo è quella, magari, di permettere quel che propone Daniel Pennac al lettore.
Che la lettura possa assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore.
Buon appetito e buon sogno, dunque!" (stanno parlando i personaggi che nelle prime pagine a mo' di introduzione si presentano ai probabili/ipotetici lettori...)
(da Xxxxxxxxx. Edizioni  Xxxxxxxxxxxxxxxxxx)

Poi le allegai un testo poetico: Spero possa piacerti; non conosco i tuoi gusti; ci tengo molto a conoscere un tuo parere; se vuoi

SPECCHI

Fuggivo per le valli del mio passato
Cavalcando il Super Dink color argento,
ricordi?
Quando effluvi di fiori d’acacia, come un velluto
carezzavano l’aria afosa di giugno,
vero?
Di costa una chiesina minuta, arrampicata, annegata
nel verde fresco, che c’era da dissetarsi guardando,
lo sai?
Il lago di Morasco aveva come un gorgo più chiaro
d’un verde tenero, sembrava malato anche lui,
ricordi?
Strappavano ancora, di nuovo, brandelli d’anima
con separazioni devastanti e nuovi lutti da elaborare.
Non puoi ricordare, già, perché stavi cercando
nello specchio di ritrovare l’amore che avevi partorito.
Flauti morbidi e archi di violini provavano a lenire
le ferite lancinanti, che tardavano a cicatrizzare.
Non puoi più ricordare, perché eri dentro ad un’altra storia,
dove c’era un altro lago Morasco, un’altra Ossola, un’altra
arsura da annegare con altro verde, in un’altra dimensione
simile, sì, ma un’altra. Il gioco dello specchio!
E’ bastato
inclinarlo un poco ed eccoci decisamente estranei.”

Era passata una settimana circa. Stavo quasi rinunciando ad aspettare una risposta. A chiudere quel capitolo di stage on-line di formazione letteraria. Quando nella posta ordinaria trovai questa mail.

“Ciao, scusa il ritardo, ma ho avuto solo ora il tempo di leggere il tutto con calma. Purtroppo non ho lo stesso tempo per risponderti, ma prometto di scriverti una nuova mail il prima possibile. I tuoi scritti mi piacciono molto, il primo lo trovo del tutto geniale, il secondo rimanda ad immagini sbiadite, dolci e profumate allo stesso tempo.
Spero di riuscire al più presto a inviarti qualche mio sprazzo di scrittura.
Grazie di tutto.”

Quando riuscii le risposi più o meno così:
“ La tua preziosa mail mi piace molto. Conferma la sensibilità artistica che avevo già intuito. Grazie per aver letto e risposto. Segui certo i tuoi tempi e ritmi.
Quando avrai voglia e tempo di mandarmeli leggerò i tuoi sprazzi e studierò con molto interesse i frammenti di realtà che mi farai conoscere …
Sei anche un “personaggio” interessante per nuove narrazioni (se mi presti la tua immagine umana ti farò viaggiare … con i connotati che ho colto, col nome che mi suggerirai; ma non sentirti obbligata…).
Se, poi, ancora non ti spaventa e se ti diverte leggere, quando avrai tempo e voglia ti proporrò da leggere il romanzo intero… (ho sentito, hai detto: "che palle!")
Nell’introduzione del “romanzo” il protagonista dice all’autore:<<Se qualche lettore avrà l’occasione di ritrovare in me o in qualche mio compagno di questo viaggio elementi di autenticità, sarà solo merito tuo; e della vita che qui viene simulata e sognata.
Noi ora viviamo in un sogno.
Fin quando qualche anima buona, leggendoci, ci vorrà far vivere dentro di sé.
Per noi ora la vita é solo sogno. Dacci linfa vitale; infondi il fiato caldo del dio Pemba che soffiando sull’oceano mare creava il mondo; metti sangue nelle nostre vene virtuali; regala un sorriso ai librofagi che vorranno vivere con noi questo sogno…
Scrivere può anche essere un grande atto d’amore. …
Ma potremmo anche desiderare uscire da questa prigione narrativa; entrare, così come tu ci hai disegnato, nel vostro mondo di viventi.
Mescolarci con voi definitivamente e vivere la nostra vita in mezzo a voi....”
Se ti ho annoiato, scusami.
A presto. Se vuoi.
Un saluto affettuoso.”
Poche ore dopo la sua replica.

”Non riuscirò mai ad esclamare "che palle!" davanti a mail del genere, la mia immagine umana può essere prestata a chiunque sappia usarla, il problema fondamentale è l'inesistenza di "istruzioni per l'uso".
Sarei molto contenta di poter sfogliare un tuo romanzo!!! :)
Ora ti saluto.
Buongiorno, buonanotte, buonpomeriggio o buonasera rispetto al momento in cui finirai di leggere!
- Allora b.notte. Bacioni e coccole (hai preso l’orsacchiotto?)
-  Ce l’ho sempre con me.”

-  Come vedete non mi posi scrupoli rigidamente moralistici. C'è da dire però che la fanciulla era abbastanza più grande rispetto alla biondina che si approcciava al suo professore. E poi non era mai stata mia allieva, o qualcosa di simile. Se pure sembrava volersi instaurare un rapporto maestro/allieva, esso aveva un carattere non istituzionale e quindi finiva per connotarsi come un rapporto tra pari. Nonostante la differenza d'età e di genere.
Non posso escludere che potesse anche determinarsi o instaurarsi una relazione di comunicazione non perfettamente paritaria. Del tipo di quella che lega spesso il discepolo al suo maestro, specie quando da parte del primo esiste un atteggiamento di stima e ammirazione nei confronti del secondo. Che viene perciò riguardato in un'aura di superiorità e di eccezionalità. Non escludo nemmeno che si potesse dire che in quel contesto aleggiasse un'atmosfera riconducibile a qualcosa di simile a quella che circonda la vicenda di Abelardo ed Eloisa.
Certo nulla a che vedere con il rapporto morboso del professor Humbert-Humbert e la sua diletta Lolita.
Il carattere della mia giovane amica era teso ad ostentare trasgressività, bizzarria, atteggiamento estremamente libertario e anarco-comunista. Come potevo facilmente rilevare dai materiali che aveva pubblicato sotto il suo profilo, dal linguaggio e dalle conversazioni presenti, dal suo atteggiamento sbarazzino e per nulla succube.
Forse sempre il rapporto maestro/discepolo sarà pervaso e permeato da implicazioni ambivalenti di dominio/dipendenza. Con alternanze di reciprocità e ambigue ciclicità.-

-Mi sembra che lei voglia dire che il mio scrupolo quando ricevetti la lettera potrebbe essere considerato eccessivo? Che il problema del rapporto squilibrato che mi sembrava stesse per determinarsi era fondamentalmente un problema mio? Che avrei anche potuto benissimo scambiare due chiacchiere con quella ragazza, pur mantenendola a distanza per le sue probabili aspettative esagerate?
Sì, riconosco che effettivamente anche nel caso mio la persona che mi faceva quelle garbate avances era maggiorenne e cosciente, e che era compito solo mio gestire la relazione educativa in modo equilibrato... Forse mi sono fatto eccessivamente influenzare dal rapporto istituzionale che esisteva... Forse le mie paure e i miei tabù nascondevano l'inconscio desiderio di trasgredire la norma deontologica di rispettare quella Eloisa che mi era stata affidata dall'istituzione scuola. Immagino che il prosieguo della sua storia rientri nell'alveo della privacy sua e della sua giovane bizzarra ammiratrice...-
- Ma no, per niente... ma non vorrei a questo punto monopolizzare la vostra conversazione. Ho solamente voluto illustrare un punto di osservazione diverso da quello che era stato considerato.
Credo che spesso nella vita tendano ad instaurarsi rapporti di sudditanza o di subalternità. Ma una cosa è volere intenzionalmente dipendere da qualcuno per scelta equilibrata e cosciente: decido coscientemente di guardare a te, per competenze che ritengo tu abbia, come a mio mentore, mia guida, fino a quando, liberamente, non deciderò il contrario. Altra cosa è, invece, subire la suggestione di qualcuno senza avere coscienza di ciò. Si tratterebbe allora di plagio... concetto peraltro molto contorto e confuso.
È forse quello che avviene spesso in politica. O nelle religioni. O in presenza di sette che della religione hanno solo la maschera e mirano sostanzialmente ad un rapporto di sudditanza per scopi economici o di altro genere più squallidi e meschini.
Comunque vi posso anticipare che è quasi pronta la cena. Spero sia di vostro gradimento.
Non posso negare che il suo comportamento sia stato estremamente corretto. Forse anch'io, al suo posto, avrei agito così. Volevo solo spostare l'attenzione su un piano più generale. Quello dei rapporti e delle relazioni nelle quali l'uno o l'altro, o tutti e due, tendono ad usare l'altro. Dominarlo. Magari per esserne a propria volta dominati su altri versanti...
La manipolazione...
…Oh, grazie, le posso affidare questo piatto di portata?...-

- Posso collaborare anch'io, anche se sono un uomo... –

-                     Certo,certo, le assegnerei il compito dei vini... Ne ho messi alcuni sul tavolo in cucina... E nel frigorifero può trovare dei bianchi vivaci. A lei il compito di scegliere il più adatto... naturalmente in base ai cibi che vede... -
-                     Ma... é una cena in grande stile...non era il caso... -
-                     Era il caso, era il caso... anche se, ripeto, manca qualche elemento che sarebbe potuto essere essenziale, o comunque che avrei auspicato... Ma … Sì, lo metta pure su quel carrello …
-                     Ma quante cose ha preparato... bastava uno spuntino, così, per chiacchierare...- dice la ragazza mentre si affretta a prendergli dalle mani i piatti di portata.
Su un ampio piatto ovale di maiolica bianca finissima, sono distese fette bordeaux scuro di tonno affumicato. Nel mezzo una ciotola bianca di maiolica col manico contiene gamberetti in salsa rosa. A fianco ad essa un'altra ciotola con polpi in insalata con olive taggiasche e pinoli.
-                     Davvero, non so come farò a ricambiare quando dovrò invitarvi io casa mia... Non sono certo un cuoco raffinato come lei!- aggiunge Federico.
-                     Aiuto a portare in tavola le leccornie meravigliose che ha preparato... Ma lei è proprio un cuoco raffinatissimo... Chissà quanto lavoro le sarà costato... - Si associa subito lei.
-                     Ma cosa dite mai! Per me preparare dei cibi è molto simile al divertimento che credo provi chi svolge attività artistiche.
Quando assaggio un cibo speciale o nuovo, cerco di individuare quali siano gli ingredienti che lo compongono, le spezie, gli aromi, i vini. Cerco anche di ipotizzare i tempi di cottura, di lavorazione...
Sono riuscito a ricreare un “cacciucco” molto verosimile e credibile. Magari qualche volta ve lo preparo. Lo conoscete, vero, è una zuppa di mare livornese abbastanza piccante di peperoncino.
Procedimento abbastanza analogo ho seguito per realizzare il “rabo de toro”, una variante della nostra “coda alla vaccinara”, ma senza il pomodoro e molto caricata di spezie aromatiche tipo finocchio, aneto, coriandolo, zenzero... Ne ero rimasto affascinato a Valencia o a Cordova... Mi ero dimenticato di farmi segnare la ricetta, ma mi ero arrangiato con il fai-da-te.
Molti anni fa, ricordo che volli provare a fare delle meringhe. Confesso che un minimo di ricetta e di procedura me la feci dire.
Il risultato fu assolutamente sorprendente! Ricordo che quella che era la mia compagna in quel momento ne rimase stupita. Era stata lei la mia maestra in quell'occasione. Mi guardava con estremo rispetto e meraviglia.
La seconda, la terza, la quarta volta furono un fiasco completo. Uscivano dal forno delle patacche appiccicose, in parte mollicce e in parte dure come dei lecca-lecca.
Non ho mai più provato a cimentarmi con le meringhe. Semplicemente sostenendo che non mi piaceva prepararle e quanto meno mangiarle.
Non ho mai seguito la procedura indicata dai ricettari, tranne in casi eccezionali... È il caso, per esempio, del "sushi" e del "sashimi", per i quali mi sono dovuto procurare un sobrio manualetto...
Sì, mi diverto a creare, come credo faccia il compositore che seleziona strumenti, suoni, note, accordi,  armonie e melodie, tempi e silenzi... O come credo faccia chi vuole realizzare un'opera pittorica o plastica, che seleziona materiali e tecniche... O come cerco di fare anche quando voglio scrivere un testo poetico o narrativo...
Tanto in cucina quanto nella scrittura mi capitano di nuovo aborti schifosi come quelli con le meringhe pappocciose...
- Ma hai visto che razza di menù..? -Esclama Federico mentre passa davanti a lei con la zuppiera ricolma di riso freddo in insalata - Con cozze, vongole, gamberetti, olive taggiasche e pinoli- aggiunge sorridendo compiaciuto e lusingato...
-          E questa grigliata mista di gamberoni, capesante e... cosa sono queste? Ah, sì, fette di calamaro gigante, guarnite con erbe profumate... - Sta al gioco dei complimenti lei, facendogli il verso...
-          Dicevo, giorni fa ad un'amica che sono proprio autosufficiente. Lei tirò fuori il solito luogo comune che ero un uomo da sposare. Certo, le risposi, quasi quasi mi sposo (con me stesso!).
... menta, origano, salvia, basilico... Spero che questi aromi non vi dispiacciano? Mi sembra che mitighino un po' l'odore forte del pesce...- Soggiunge garbato l'anfitrione.-

Per un po' è un andirivieni di tutti e tre che portano piatti di portata e ciotole che vengono depositate un carrello di legno con con rotelle.

- Il menù consiste in:
·         antipasto- tonno e halibut affumicati affettati- gamberetti in salsa rosa- polpi in insalata con olive taggiasche e pinoli
·         primo-orzo freddo in insalata con cozze, vongole, gamberetti, olive taggiasche, pinoli
·         secondo- capesante, gamberoni, fette di calamaro gigante alla griglia con origano, menta, salvia e basilico-

Federico ha intanto assunto l'incarico di aprire una bottiglia di Muller Turgau che ha preso in frigorifero. Ne versa nel proprio bicchiere e in quello della ragazza; mentre sta per riempire quello del cuoco, questi pone la mano sul proprio con un leggero cenno di diniego del capo.
Nessuno chiede niente o fa domande in merito.
Prendono posto e cominciano a servirsi e intanto continuano a scambiarsi alcune battute meno formali. Nell'aria c'è un po' di aspettativa da parte di Federico e Tiziana che sperano di sapere qualcosa di più rispetto alla convitata assente. Spiegazioni e informazioni che, per il momento, rimangono sospese per aria. Frasi smozzicate e interruzioni; sovraccavallamenti intercalati da brevi interruzioni e pause, in sur-place, lunghi appena il tempo di introdurre cibo in bocca e iniziarne la masticazione. Brevissime apnee dedicate all'assaporamento del gusto, compiaciuto e intenso, alla deglutizione favorita dall'aroma fruttato del vino trentino.

-                     A dire la verità- butta lì Federico infilandosi in una pausa dei parlari- stiamo constatando la sua assenza, sui treni, da un po' di tempo... –

L'interpellato si intrattiene mentalmente su una riflessione interiore,. Cerca le parole e le immagini più adatte, mentre accarezza l'ultimo boccone con un rimescolamento di sensi e di papille gustative.

-  Come ebbi modo di raccontarle, fu un'occasione fortuita e magica a farmi assumere la vocazione di pendolare. Ma preferirei che fosse lei a delucidare nel merito la nostra gentile commensale... non credo che sia il caso che mi dilunghi di nuovo in quel percorso accidentato col quale finii per assillare il suo viaggio... Sì, gliene sarei grato, racconti lei, come le sembra meglio, quella bizzarra storia... –

Dopo avere deglutito ed essersi schiarito la voce, lui, con un leggero sorriso imbarazzato, si mette a raccontare.

-                     Beh, in un viaggio di ritorno da Milano, avvenne una miracolosa e sconvolgente apparizione. Uno sguardo bellissimo e affascinante le regalò un sorriso, gratuitamente, sparendo poi nella stazione di Magenta. Da quel momento iniziò per lei un turbinoso carosello, su tutti i possibili treni, per reincontrare quel volto... Spero di non aver troppo banalizzato suo racconto...

-                     La ringrazio per l'efficacia e per la sintesi... Sì, dopo quella sfolgorante e luminosa visione, iniziai un'estenuante pellegrinaggio. Come la giovane Soubirous ripercorsi più e più volte il cammino che m'aveva portato a quella visione. Come i pastorelli di Fatima cercai con ansia di riprovare quell'emozione entusiasmante. Con immenso afflato emozionale ritornai più e più volte sui miei passi, meglio sarebbe dire sulle mie rotaie, purtroppo invano! Nel mio viaggio per la mia Santiago de Compostela, la meta finì per diventare un miraggio... Ma niente di mistico, s'intende. Ho rinunciato da tempo ad aspettare le stigmate (temo possano indurre infezioni). E di camminare sulle acque, non se ne parla, a meno di sapere già prima dove sono i sassi...

-       Pensi- aggiunge inspirato guardando la ragazza negli occhi-che arrivai persino a pubblicare un annuncio, sulla pagina Web di un quotidiano generalista di quelli che si trovano gratis entrando in metropolitana, che diceva, anzi, urlava a squarciagola: "Cerco il tuo sorriso...".

La lettura del quotidiano e, ancor più, la vista che feci al sito, fu un'esperienza abbastanza interessante... Mi imbattei in storie meravigliose che altri, come me e insieme a me, vi avevano pubblicato... Meravigliose quanto disperate; luminose e folgoranti e insieme assurde e oniriche...

Solo per farle capire l'intensità disperata di quei messaggi... in uno di essi una giovane donna cercava di contattare l'uomo che le sorrideva decenni prima in una facoltà universitaria...; in un altro un uomo dichiarava a una donna che l'aveva pensata sempre negli ultimi trent'anni e che l'amava ancora...; in altri ancora ragazzi e ragazze balbettavano timidamente di non aver osato chiedere o dire qualcosa a qualcuno che li aveva immensamente e piacevolmente turbati, che ne erano pentiti, che avrebbero voluto tornare indietro per rimediare,... Mi accorsi di quanto possa divenire assurda e inebriante la speranza, e di quanto la fantasia ci possa aiutare a costruire meravigliose avventure oniriche, di quanto possa essere divertente e appassionante la ricerca e l'attesa, insieme al raccontarsi i propri sogni...
Al di là degli stati allucinatori, possiamo inseguire e colorare i nostri desideri, costruendoci fiabe meravigliose, racconti fantastici, inventarci una realtà consolatoria, non meno autentica di quella concreta e quotidiana, eppure più entusiasmante e splendida.

“Io sogno che sono qui imprigionato e ho sognato di stare in un altra realtà, più felice . Ma che cos'è allora la vita? Un delirio. Un'illusione. Un'ombra. Una finzione. Tutta la vita non è altro che un sogno. E i sogni che vi facciamo non son altro, semplicemente, che sogni nei sogni" - fa dire Calderon De La Barca al suo Segismundo.”


Quel sogno e quella fantasia sono state una luce che mi brillava dentro, che mi stava accesa. Una lampadina che non si spegneva. Mi sentivo sempre pervaso dal profumo di quell’immagine che dava colore alle mie giornate. Anche quando cominciò la corsa compulsiva al carosello ferroviario. Andavo tornavo cercavo. Poi, piano piano, ad un certo punto, cominciai a rasserenarmi; forse successe qualcosa che mi fece bene. Credo dovette esserci qualcosa come una piccola leggera stonatura, un suono dissonante che mal si concilia con il resto, non capivo cosa fosse ma sentivo che qualcosa stava trasformandosi. I miei pensieri cominciarono a distendersi, cominciai ad assumere un atteggiamento più tranquillo più pacato e più riflessivo. Nel pensare a quell'avvenimento che aveva di fatto scombussolato la mia vita, cominciai anche a riflettere e a raccontarmelo. Me lo raccontavo dentro di me e qualche volta in qualche modo avevo cominciato anche a raccontarlo sulla carta. Da lì all'idea di mettermi a scrivere una storia su questo avvenimento il passo fu abbastanza semplice e breve. Durante l'esperienza, infatti, avevo spesso preso appunti, annotato momenti e emozioni. Cominciai a capire che quella storia, quell'esperienza e quell'immagine potevano diventare definitivi solamente fissandoli per sempre sulla carta e nella parola.
La narrazione e la scrittura di storie come sublimazione di pulsioni intense.
Credo che stia nascendo un racconto su questa esperienza e credo che la persona che l'ha illuminato, che l'ha fatto nascere, che ha dato il la a quel concerto che mi ha riempito le orecchie e il cuore dell'anima, i pensieri e i sogni, la persona dico, non ha assolutamente importanza che ci sia realmente, che ci sia davvero stata, che ci sia ancora e che io possa rincontrarla e conoscerla. Dal momento che è diventata oggetto di narrazione ha cominciato a entrare in una dimensione indefinita e infinita, non terminerà mai cioè.



  1. VERSO QUELL'ALTRA DIMENSIONE


Dopo essersi intrattenuto ancora un po' a rigovernare la casa, appena i due ospiti se ne furono andati, il professore si predispose per i rituali serali che seguiva sempre per andarsene a dormire.
Appoggiò i suoi calzoni e la camicia sulla sedia che aveva in camera, poi se ne andò in bagno e rimase qualche momento a guardarsi nello specchio. Prese a lavarsi i denti con molta cura.
Diverse volte si passò le mani tra i capelli un po' radi del capo, e tra quelli un pochino più folti delle tempie e sulla nuca. Con quell'altro che dentro allo specchio lo guardava con un'aria strana, stranita forse. Quella cena aveva avuto lo scopo principale di potere presentare il suo sogno ad un pubblico che non fosse formato solo da se stesso.  A provare a riguardare ed osservare dal di fuori il sogno-racconto.
Le persone le aveva scelte nel modo più oculato. Da tempo teneva d'occhio quei due personaggi che gli piacevano abbastanza. Avrebbe potuto anche invitare altra gente, ma avrebbe rischiato di trasformare la serata in un blà-blà-blà dove tutti dicevano tutto e dove nessuno parlava veramente a nessuno. Come si usa fare nelle coppie sposate con gli “amici”. Più che di veri amici, infatti, si tratta di conoscenti comuni, con i quali si è instaurata una certa confidenza.
Gli amici di lui e quelli di lei, in genere, ciascuno se li vede per proprio conto, nelle rare occasioni residuali di tempo a propria esclusiva disposizione. Oppure si finisce per perderli di vista. Quando li si rincontra, ci si scopre quasi estranei, diversi, trasformati. “vediamoci, qualche volta”, si dice alla fine. Anche se si è quasi certi che ciò non avverrà. Che al massimo capiterà così, di nuovo, per caso. Con analoga estraneità.
- Devo riconoscere che ho avuto davvero fiuto nel scegliere queste due persone. - si disse - Lui è abbastanza diverso da me, fisicamente voglio dire, ma è una persona che mi piace. E anche lei è una persona interessante, graziosa e gentile. Trovo entrambi abbastanza omogenei a me e al mio modo di essere e di pensare. Ma sì, anche così non è stata una serata vuota e sciupata. La cena è stata meravigliosa e anche le chiacchiere che abbiamo fatto sono state interessanti, reciprocamente. Voglio dire non soltanto per aver “utilizzato” quelle due persone così gradevoli come mio uditorio. Certo che lo scopo primario della serata era quello da me previsto, di poter presentare quella persona... ma quella persona non c'era più ... ; non l'ho più incontrata; s'è persa per strada...
È anche così, d'altra parte, non posso certo lamentarmi. È stata come una luce. La lampadina che ha acceso un meccanismo interessante. Sì. La narrazione alla quale sto lavorando mi sembra abbastanza interessante. Da qualche mese sto lavorando molto intensamente, con molto interesse e molta passione.-

E gli tornò vivido davanti quello sguardo che continuava a lambire il suo; ancora ora lo sentiva con i sensi e non riusciva a sfuggirgli. Ne percepiva ancora il profumo intenso e gradevole, come un regalo immeritato. Sentiva ancora nell'aria qualcosa di magico provenirgli da quello sguardo a mandorla; sentiva vibrare dentro un bordone monofonico, un basso continuo che faceva da sostegno armonico di accompagnamento al suo stato d’animo. Era una nota lunga, persistente che prendeva giusto sotto lo sterno, che fluttuava, dominante, che sentivi destinata a durare. Che determinava il tempo e lo spazio. Che avrebbe condizionato, modificandolo, il flusso dei giorni...
Era rimasto come inamidato, sospeso e perplesso, incerto.
Aveva invano cercato di sfuggire intenzionalmente quello sguardo, ma l'aveva sentito ogni volta là pronto a carezzare. A carezzare lui, proprio lui, solo lui; ma se l'era forse meritato?
Aveva cercato di esorcizzare la speranza.
Ora ripercorreva le sue fantasie.

- Enchanté (o Encantado ?)– avrebbe potuto averle detto stringendole la mano – Con uno sguardo sorpreso immobile, in sur-place, in attesa della riconferma - le avrebbe dato del tu o del lei?
A inseguire sequenze di molto successive. Ciascuna di esse avrebbe potuto prendere una strada diversa.…
- Ma buonasera!- avrebbe potuto aver detto prendendole delicatamente una mano nelle sue – lo sa come fanno in Giappone le presentazioni?- e le avrebbe fatto scivolare nella mano morbida il rigido cartoncino rosso verticale. Che aveva tenuto pronto, con i sui angoli acuminati e taglienti…
- Ah, certo – avrebbe sorriso lei  imbarazzata – io non ce l’ho. Posso chiamare il suo cellulare così le rimane il mio numero?

- Perdoni la mia invadenza, ma credo di aver proprio bisogno di parlarle. Ho intenzione di usare la sua immagine per un mio racconto, sempre che lo permetta, naturalmente. Gliela posso prendere in prestito? Sarò delicato e discreto, non dubiti.- Avrebbe detto col cuore in extrasistole impazzita.
Avrebbe anche potuto convincerla a venire fino a Novara, promettendole di riportarla a casa con la sua auto.- (O stava già correndo troppo?)

Alla piccola brutta stazione la gente sarebbe fluita in massa. Il suo sguardo a pochi passi – metteva a fuoco la sua presenza con aria compiaciuta. (oppure con aria irritata e con disappunto?).
La mano che frugava nella tasca della giacca di fustagno, afferrava il bigliettino da visita rosso dagli angoli pungenti. Si allungava invitando la sua, accogliendola, trattenendola con dolcezza e garbo, gustandone il tepore.
"Ah, abita qui?"
Sì, sono di Magenta...”

"Sono venuto... per accompagnarla a casa... naturalmente"”
A meno che possa avere il piacere di cenare con una bella ragazza..."
Qui comparivano diverse ipotesi.
Un nuovo sorriso compiaciuto, leggermente trattenuto per non sembrare sfacciato, di assenso garbato. Una divertita compiacenza. Mentre muoveva dei passi costringendolo a seguirla verso l'auto che l'aspettava (del padre? Per forza, mica del suo compagno,no...?).
O gli avrebbe addirittura regalato una maggiore disponibilità, intrattenendosi con domande circa il fatto che lui scrivesse, mostrando interesse, confermando l'intenzionalità degli sguardi che gli aveva prodigato.
Ipotesi troppo azzardate? Erano tutte gratuite. Tutte gratis."

Una cena equilibrata, giocata sul filo del rasoio, in una conversazione tenuta sul tono di quella vibrazione che si sente appena sotto lo sterno e più su verso la laringe, che ci fa tremare tutta l'anima, che recitiamo come in un sogno o in un film, con battute pensate fuori campo, una schermaglia galante e garbata. Sempre attenti a non calare mai di tono, a non fare stonature, mentre il cuore rallenta il suo pulsare tachicardico continuando i suoi colpi sostenuti sullo xilofono, metronomo del nostro stupore compiaciuto e soddisfatto.

Dopo la cena, senza smettere di parlare, buttar lì una battuta come per caso: "io abito proprio lì dietro, quella là in alto è la mia mansarda...".
Sperare alto che dicesse: "potresti almeno farmela vedere, no?".
È poi? Il dopo? Insistere con la scusa di non volere sembrare indiscreto nel proporle di riportarla a casa? E se lei si fosse fatta così tanto pregare quasi confessando di volersi fermare? Così, all'improvviso? Di brutto?
A questo punto della fantasia finiva sempre per trovarsi un po' a disagio.

Oppure, un altro percorso. La suoneria del suo cellulare: “con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così…”che dice che sta arrivando una telefonata…-Pronto oh, sì, certo… sì, sei proprio stata di parola…-.
- Ti ringrazio di avere chiamato… Quando ti ho incontrata, l’altro giorno, mi ha colpito il tuo sguardo intenso che è rimasto sospeso nell'aria, quando ti ho vista scendere. . Ti volevo "raccontare" nel mio prossimo romanzo. (ma l'aveva già usata quella strategia...). Qualche briciola in più su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Buttavo giù delle idee sullo smartphone .
Ero soprappensiero. Appena sei scomparsa mi sono reso conto che avevo avuto una apparizione celestiale. E che eri scomparsa. E non sapevo come rimediare. Avrei voluto riavvolgere la pellicola all'indietro. Chiederti il permesso di rubare la tua immagine, il tuo sorriso per metterli nelle mie pagine.
Sarei stato costretto a ricordarti a memoria e a scrivere di te senza averti conosciuta meglio. Ti avrei cercato su tutti i treni possibili...
Grazie davvero di avere chiamato-
Ma dove avrebbe potuto trovare il suo numero telefonico?Con l'espediente del bigliettino da visita infilatole nelle meni alla nipponica?

Si era poi domandato se gli oggetti mentali che stava maneggiando fossero reali o fantastici. Se quel film aveva qualche sperduta possibilità di venir mai proiettato... Oppure se andasse solamente sognato . O raccontato. Sì, raccontato. Il racconto, almeno, era reale.
Era poi passato dalla sua palestrina. Si era sdraiato sulla panchetta facendo venti piegamenti. Di più non se la sentiva, visto che era sera ed era abbastanza stanco.
Montò poi sullo steep e si mise pedalare per circa dodici minuti. Intanto pensava continuamente alle stesse cose, alla cena, ai colloqui che aveva avuto, alle cose che avevano detto i suoi ospiti, alla loro piacevolezza e gradevolezza, alle cose che non aveva potuto né vedere né dire perché mancava l'interlocutore privilegiato previsto per quella serata.
Niente esercizi coi pesi. No. Meglio rimandarli a domattina.
Si era poi sdraiato in camera sul suo letto, come faceva tutte le sere, tenendo le mani sotto la testa e guardando in alto, verso il soffitto, dove si proiettava l'ora : l'1.35. I pensieri,un po’ alla volta, avevano cominciato ad andare insieme e a mescolarsi. Ritornava spesso sulle stesse battute dette da lui. In particolare gli erano molto piaciute quelle sulla religiosità. Non saranno troppo dissacranti? Si era domandato.
-                 E chi se ne frega!- si era detto a quel punto. - Tanto gli editori se vogliono farsi pregare lo fanno lo stesso. -
Aveva ripensato poi anche alle sue teorie, enunciate quella sera, sulla cucina e sul modo di mescolare gli ingredienti con intelligenza e indovinandone le componenti e le modalità.
E mentre la mente ormai si stava appannando e gli si presentavano quelle particolari situazioni che vengono spesso definiti pre-sogno, era riapparsa quell'immagine di tanti anni prima, quando era stato militare. Si ricordava che quand'era stato alla polveriera come sottufficiale di servizio, vicino a Cremona, aveva avuto una discussione con il cuoco.
Più che di una discussione si era trattato di uno scambio di idee abbastanza buffo e divertente. Lui aveva l'incarico, in quell'occasione, di sottufficiale che comandava il presidio di una ventina di uomini. I rituali noiosissimi ripetitivi che vi si svolgevano non meritavano di essere ricordati.
Il luogo, essendo da moltissimi anni assolutamente isolato ed essendone impedito l'ingresso da parte di chiunque, aveva permesso a dei conigli selvatici di popolarsi molto diffusamente.
Trenta, cinquant’ anni? In tutto quel tempo qualche coniglio selvatico era tornato allo stato libero. Oppure si era trattato di qualche lepre, che ci si era rintanata. Come in un'oasi; una zona protetta. Specialmente nella parte interna, quella che conteneva i depositi di bombe armi e munizioni.
Era diventata un'abituale consuetudine, l'aveva scoperto in quel caso, da parte di alcuni soldati, di nascosto dal sottufficiale di servizio, di introdursi al di sotto della rete spinata nella parte interna dove c'era l'erba altissima, e conigli a volontà. Ci entravano a cacciare con la baionetta, non potevano certo usare armi da fuoco; e con dei lacciuoli, delle trappole. Oppure facevano ricorso alla stessa la loro abilità e velocità; spesso riuscivano a catturare qualche esemplare.
Anche in quel caso, il sottufficiale-professore si era trovato di fronte il soldato che svolgeva le funzioni di cuoco, che gli chiedeva il permesso di cucinare un paio di bellissimi conigli, che teneva nelle mani reggendoli per le orecchie. Disse che alcuni soldati li avevano catturati, ma che volevano conservare sulla propria identità l'assoluto anonimato, temendo rappresaglie e rimproveri.
Il cuoco era un omettino con i capelli abbastanza lunghi e disordinati. Svolgeva spesso continuativamente servizi alla polveriera. Ci si era talmente abituato che era diventato, di fatto, il cuoco abituale della polveriera. Era basso di statura, aveva una faccia larga con un sorriso ebete e un po' stupido, abbastanza buono. Indossava costantemente e sempre una brutta e trasandata tuta da meccanico. Di quelle che venivano usate, normalmente, per i servizi al carro o ai mezzi militari per far la pulizia, manutenzione, lubrificazione. Spesso aveva un'aria puzzolente e sudaticcia. Teneva sempre quella tuta semi slacciata fino sotto l'ombelico, che in questo modo gli si intravedevano i peli sullo stomaco. E  quell'aria sudaticcia.
Era abbastanza brutto da vedere. Aveva le mani corte e  le dita tozze.
- Sergé - gli aveva detto- ci stanno queste bellissime lepri, o conigli, che ne so io. Che ne dite? Qui si usa sempre fare così. Le prendono e le portano a me che ho fatto sempre il cuoco, che gliele preparo. Naturalmente se siete d'accordo.-
Dava del voi come ancora si usava e forse si usa anche adesso in alcune zone del sud. Doveva essere della Basilicata o di qualche altro posto del genere.
In quei periodi lunghissimi e noiosissimi alla polveriera, si fumava sempre tantissimo. Mentre gli parlava  lui stava fumando una delle sue ennesime Gitanes o con Gauloises, e lo guardava con aria distaccata e abbastanza divertita.
- Ma lo sai che è un reato quello che avete fatto?-
- Ma sergé, quello l'abbiamo sempre fatto, non vi preoccupate. Nessuno lo fa mai sapere ai superiori.-
- Ma ragazzo, ti rendi conto che il superiore c'è davanti a te in questo momento?-
- Ma sergé, lasciate perdere, chi volete che se la prenda per questa causa. La naja è naja! Beh, facciamo così, seregé, io li cucino, e se poi non vi piace vuol dire che non lo mangiate; che ne dite?-
Lui aveva deciso di lasciarlo fare, non aveva alcuna intenzione di sollevare dei problemi di tipo disciplinare in quel posto, in quelle condizioni, in quel punto disperso e sperduto del mondo.
Ricordava, però,  il professore, che il cibo che preparava il suo cuoco, che doveva chiamarsi Marcellino, aveva sempre uno strano sapore, qualcosa di confuso.
Il servizio alla polveriera gli era toccato in piena estate, con il caldo, le zanzare micidiali, il fumo degli zampironi che non riusciva, in alcun modo, a tenere lontani quei fastidiosi insetti. Appetito e voglia di mangiare, in quelle condizioni, non ne aveva quasi mai. Ma, d'altra parte, anche il poco cibo che riusciva ad assumere, aveva uno strano sapore, al palato. Quindi, in un'occasione diversa da quella delle lepri, o  conigli che si volessero chiamare, si era permesso, chiacchierando, e sempre fumando a volontà, di chiedere  a Marcellino informazioni e delucidazioni sulle sue tecniche di cuoco
- Marcellino, cos'è quel gusto un po' strano che c'è nei cibi che tu prepari? C'è qualcosa di un po' dolce, mescolato con qualcosa di salato! Come mai?-
-    Ah , voi non lo sapete, sergé, ma io prima di fare il militare, facevo il “bianchino”. E allora, avevo imparato, che quando facevo una pittura e mi veniva un po' più scuro ci mettevo un po' di chiaro. E quando veniva troppo chiaro, ci mettevo il scuro. Certe volte, quando cucino, capita che il mangiare è venuto troppo salato, e allora, da “bianchino”, nella pignatta ci metto un po' il zucchero. Quando invece è venuto un po' troppo dolce, ci metto il salato. Capito?-
- Ma tu allora, metti lo zucchero nei cibi salati?-
-                      Ma certo, ve l'ho spiegato, quando il mangiare è venuto troppo salato, no, ci mettono il zucchero, così viene un pochino meno salato, no?-
-                      Ma sei davvero un genio, Marcellino. Chi l'avrebbe mai pensata una cosa così. Bravo. -
Lui rimaneva fisso a guardare gongolante, sorridendo col suo sguardo beota.
Chissà perché, al professore, quei ricordi di cucina abbastanza rozza e primitiva, gli tornavano in mente adesso in quel momento, e si rivedeva davanti Marcellino con la sua tuta. Puzzolente. Gli veniva da sorridere pensando a quel ricordo e coccolandoselo.
Era stato un periodo terribile quello del militare, con l'inutilità, la vuotezza, una realtà di tipo inane, senza scopo. Aveva imparato a passare il tempo a sfogliare anche i fotoromanzi. I giornali porno.
Era proprio stata la struttura organizzativa di quel posto, nel quale era impossibile leggere regolarmente e alla luce del sole qualsiasi cosa. Neanche un giornale o una rivista, un libro. Ma le ore erano lunghissime da far a passare. E qualche soldato gli aveva passato qualche volta qualcuno di quei giornali porno, c'era “ABC” a quei tempi e alcuni altri. Aveva cominciato a sfogliare anche i fumetti pornografici con linguaggio scurrile, scene volgarissime. Alcuni di essi erano fatti con fotografie, erano dei fotoromanzi. Si notavano i soggetti e le figure delle "attrici". Se ne intuiva facilmente la reale e ufficiale professione originaria.
D'altronde anche il linguaggio parlato, nella vita di caserma, specie quello degli alti ufficiali, era improntato alla massima volgarità. Ricordava di quando un tenente colonnello, nel mettere in parata una fila di alcune centinaia di soldati, con sottufficiali e ufficiali e sottotenenti, di cui molti padri di famiglia o seri professionisti nella vita civile, si era lasciato andare, credendo di farsi bello in quel modo, a espressioni del tipo: "quando siete voi e la vostra ragazza, e siete al buio, non dovete mica guardare per infilarglielo dentro, no? E allora perché adesso guardate mentre infilate la baionetta sulla vostra arma per effettuare il presentat-arm?". Era un tripudio di volgarità e di espressioni di bassissimo livello: "cazzo,vaffanculo,…” eccetera eccetera .
Ma perché  proprio adesso dovevano venirgli in mente questi ricordi?. Ah sì il ricordo di Marcellino, delle sue tecniche di cucina, del "zucchero" per rendere meno salato il mangiare!.
Si girò sull'altro lato, cercando il sonno, lasciando perdere Marcellino, il “zucchero” e tutte le altre cose della polveriera vicino a Cremona.
Fu in quel momento, però, che gli tornò in mente, sempre a livello di pre-sogno, un'immagine che credeva di aver dimenticato. O che forse si inventata lì per lì, che nasceva in quel momento. E rivide la scena di se stesso che guardava fuori dai finestrini, nel suo peregrinare continuo, nel suo carosello Milano-Novara, Novara-Milano. Ricordava o credeva di ricordare, di aver guardato fuori del finestrino in una delle soste alla stazione di Magenta, e di aver visto una massa di persone appena scese che sciamavano.
Credeva, in quel momento, di aver visto il volto di quella ragazza che l'aveva tanto sconvolto e affascinato. È lì che aspetta, che parla con un'altra figura femminile. Non è sicuro che sia lei. Poi, mentre lei parla con l'altra, si gira un pezzettino di fianco. Allora lui la riconosce. Ne ha avuto un'impressione modesta, deludente, non all'altezza della sua folgorazione, del sogno meraviglioso che si era costruito. Che si era voluto costruire. Ha avuto un ridimensionamento. Non ne valeva certo la pena...
È un ricordo reale, è una fantasia di questo momento? È una giustificazione per il fatto di non averla incontrata? O un ricordo rimosso?
Così, mentre si addormenta, la sera dopo la cena, il professore crede di ricordare. O si sta facendo una ragione della delusione, costruendosi un'ipotesi consolatoria.... Quel grappolo d'uva saporita non era proprio maturo. Meglio così. Meglio non rincontrarla. Meglio averla perduta. Sublimandone il sapore con una creazione letteraria...
A questo punto sentiva ancora l'odore della tuta bisunta di Marcellino. E il rullare delle ruote del treno... all'infinito... E piano piano sentiva che stava entrando in un'altra dimensione, diversa dal ricordo e dalle fantasie. Un'altra realtà, più illogica e confusa, però più riposante...




24. LA VITA E' SOGNO?

Aveva obliterato il biglietto e si era avviato a prendere posto. Sul 9.00 da Milano Centrale. Alle 11.59 era previsto l'arrivo a Roma Termini. Non aveva faticato a trovare il suo posto prenotato. Degli steward gentilissimi l'avevano accompagnato, con complimenti formali.
Un po' sfumati e di tono dimesso, appena aveva precisato che no, non aveva prenotato un posto di prima classe, ma di seconda.
In 1a classe avrebbe potuto disporre di prese di corrente al posto per poter lavorare con il pc, vedere film, ascoltare musica;con impianto di diffusione sonora. Di Welcome drink e, al mattino, un quotidiano. e servizio Ristorante Gourmet con prodotti italiani di alta qualità “.
Aveva precisato il suo accompagnatore, come in uno spot pubblicitario.
Sui depliant aveva appreso che il Frecciarossa utilizza:

ETR 500, treni a composizione fissa progettati per raggiungere i 360 km/h, che viaggiano a 300 km/h sulle linee Alta Velocità.
Le vetture di 1a e 2a classe, sono: climatizzate e insonorizzate; dotate di poltrone ergonomiche per offrire massimo comfort; dotate di spazi per bagagli di grandi dimensioni nei vestiboli delle vetture.
Nelle 4 vetture di prima classe: 195 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura. Nella vettura numero 3 sono disponibili: 2 salottini business (8 posti); un’area e una toilette attrezzata per viaggiatori disabili che viaggiano su sedia a rotelle.
Nelle 6 vetture di seconda classe: 408 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura.
Il servizio di ristorazione a bordo è offerto nella speciale vettura risto-bar.

La batteria del suo netbook avrebbe retto benissimo per le tre ore del viaggio. Gli altri lussi decantati non li riteneva indispensabili.
Pensò alle condizioni in cui si è spesso costretti a viaggiare sui treni normali. Questi lussi sono decisamente impensabili. Fossero almeno puntuali, con riscaldamento o condizionamento funzionanti, con adeguati posti a sedere...!
Era combattuto da un atteggiamento ambivalente: di polemica per questo inutile sfoggio di comfort; e di compiacimento narcisistico per essere ora seduto in una comoda ed elegante poltrona, in un'atmosfera di lusso e di “classe”.
Presto sentì un impercettibile ronzio e si accorse che il gioiello viaggiante era in movimento.
Preferì per il momento non accendere il netbook. Sentiva un forte torpore che lo stava invadendo. Appoggiò il capo ai comodi poggiatesta e, lentamente, entrò in un tunnel piacevole...
Il film mentale gli stava proiettando un episodio di molti decenni prima.
Il suo amico Carbone. Il pittore.
Mario Carbone era davvero un personaggio abbastanza strano. Di statura abbastanza alto, camminava abbastanza aggobbito. Si muoveva con un incedere marcatamente pesante e claudicante da una parte. Indossava sempre un impermeabile bianco panna mediamente sporco che una volta chiamavano trench. Aveva i capelli nerissimi e una barba immensa pure nerissima che gli sembrava cadere addosso sul petto come un bavagliolo. Quando parlava la sua voce era molto affascinante. Aveva delle risonanze molto basse che andavano quasi nelle tonalità del silenzio. Anche il suo modo di esprimersi e il suo vocabolario avevano qualcosa di esoterico e di magico. "La estemporaneità estrinseca della formalità esteriore nella misura in cui raggiunge un'essenzialità effimera.....".
Si trattava di in genere di frasi strutturate apposta per essere indecifrabili e quindi magiche e quindi particolarmente attraenti e affascinanti. Le usava per crearsi attorno un alone misterioso e iniziatico, da addetti ai lavori. Per creare un’atmosfera boemienne. 
Lo conosceva perché l'aveva incontrato in qualcuno dei bar della sinistra che frequentava allora.
Lui che era rimasto molto affascinato da questo personaggio, non capiva bene ancora, allora, quanto ci fosse dietro. Lo zoppicamento che presentava  Mario veniva da lui attribuito a una ferita subita durante la guerra partigiana. Ma in genere preferiva non entrare in particolari, come quello della sua data di nascita, al massimo si limitava a dire che lui veniva da Verbania.
Venne a sapere, solo anni dopo, che era nato nel 1939.
“I valori essenziali dell'estemporaneità effimera...”  e così andava avanti sempre nel parlare e chi ci credeva restava a pendere dalle sue labbra.
Una volta   ricordava che dopo una di quelle chiacchierate guardandolo negli occhi vedendo la sua barba svolazzante aveva intuito il suo disagio profondo.
Era stato anche nel suo studio, una stamberga al quarto piano, che si raggiungeva dopo essersi arrampicati su rampe infinite di scale sbrecciate e disadorne. Senza riscaldamento; un sottotetto a dire la  verità. Appoggiate alle pareti o sdraiati per terra stavano degli immensi quadri senza nessuna forma definita. Aveva spiegato in quell'occasione che stava facendo una ricerca sulla struttura puntiforme.
“ … la ricerca della spazialità indecifrabile e asincrona, come topos dell’assenza di spiritualità degli oggetti e dell’esistenza…”.
Realizzava quei quadri immergendo un pennello o più pennelli in colori diversi,  facendo dei leggeri sgocciolamenti e  lasciando cadere delle gocce che poi andavano fatte  seccare e asciugare. L'effetto non era male; non si capiva bene quali intenzioni avesse chi  produceva quelle nebulose di colori puntiformi. ma chi guardava in genere restava zitto perché altrimenti gli sarebbero arrivate quelle spiegazioni incomprensibili, “la ricerca dei valori spaziali si basa sulla struttura equivoca e inesatta della realtà...”
La casa, se così poteva chiamarla, non aveva quasi arredo; qualche mobiletto malconcio appoggiato alle pareti, un  tavolaccio ingombro di mozziconi di sigaretta, di piatti avanzati accumulati l'uno sull'altro, con vicino sacchetti e bottiglie vuote...
Da una porta si intravedeva un letto malmesso e tutto disordinato con lenzuola e coperte arruffate. Una finestra era aperta per far cambiare l'aria. Mentre Mario parlava era apparsa dalla porta da cui erano entrati una ragazza né bella né brutta. Era mediamente alta, abbastanza robusta col volto pieno di efelidi. Si era messa a dire alcune cose, aveva appoggiato un sacchetto di carta sul tavolo e se n'era andata nell'altra stanza dove c'era il letto, chiudendo la porta. Probabilmente era stanca e andava a riposarsi .
Mario aveva continuato a lungo la sua spiegazione e lui e qualche altro amico ascoltavano i suoi discorsi nebulosi e criptici, turbati  e confusi e col timore di non capire nulla, di essere degli idioti.
Gli era venuta allora l'idea, tipica dei giovani come lui di quel tempo,o di ogni tempo,  che Mario e anche la sua compagna facessero abbastanza fatica a vivere; che facessero addirittura la fame. Affascinato e insieme turbato da quella dimensione da boehème, aveva deciso allora di uscire insieme a lui a gironzolare per la città e quando gli amici con i quali si trovava se ne erano andati ognuno per conto suo, aveva fatto in modo di trovarsi, come per caso, vicino alla propria abitazione.
Come se fosse un problema proprio aveva suggerito a Mario di salire un momento a fare uno spuntino. Era giustappunto   metà pomeriggio e l'idea non era male. Mario accettò molto volentieri fingendo di essere superiore a certi problemi materiali, e sempre continuando la sua logorrea verbale un quarto di tono al di sotto della soglia dell’umana comprensibilità…
Appena arrivati la madre si era avvicinata a quello strano personaggio e si era complimentata del fatto che fosse un'artista dicendo qualcosa e andandosene subito via appena lui aveva cominciato con i suoi discorsi sull'esteriorità  estrinseca della spazialità difforme.
Lui allora aveva buttato lì con nonchalance l'idea di fare uno spuntino.
La madre era venuta subito con un cestino colmo di pane, con un piatto con dei salami della duja, dei formaggi e un  bottiglione di vino rosso. Aveva quindi fatto mostra di aver fame lui, per potere offrire anche all'amico,  il quale non si era certo tirato indietro , pur continuando la sua infinita cantilena salmodiante. Alla fine i salami, il pane e anche il vino erano totalmente volatilizzati. Tranne qualche grossa briciola di pane che parcheggiava clandestina sopra quell'immensa tovaglia che era la barba nera del maestro.
Molti anni dopo  lui aveva riconosciuto, in quella sceneggiata e in quella voce, un’imitazione del famoso pittore Vedova.
Quando infine se n'era andato aveva lasciato dietro di sé un alone magico;  chiunque fosse stato ad ascoltarlo avrebbe pensato in quel momento di essere decisamente una merda, di non valere niente, di non essere neppure capace a capire i valori essenziali della pittura e della spazialità.
Era stato soltanto molto più tardi che sua madre, che non aveva certo avuto una grandissima simpatia per quel personaggio così bizzarro e tenebroso, nel momento in cui aveva voluto apparecchiare la tavola per la cena, aveva ritenuto che qualcosa mancasse. Naturalmente aveva attribuito la mancanza al personaggio strano che aveva fatto la sua incursione sul posto.
Non trovava più, sua madre, il cestino del pane. Disse allora con aria preoccupata e sospettosa: "Vuoi vedere che il cestino del pane se l'è portato via quello là? Certo poteva benissimo nasconderselo sotto l'impermeabile no! Con quella fame che aveva…!”  
Si era trovata una soluzione poi; il cestino era sempre stato sul tavolo della cucina , ma questo al professore veniva  in mente ora mentre  stava addormentandosi e si mescolava con le immagini confuse che aveva davanti in quel dormiveglia. Anche le immagini che gli apparivano avevano carattere confuso nebuloso come gli spruzzi di colore difforme buttati su quelle tele immense che magari qualcuno avrebbe potuto anche comprare.
Fu a quel punto che si accorse che nel dormiveglia gli stava venendo un pochino freddo; probabilmente si trattava del condizionamento dell'aria sul Frecciarossa.
Ma la cosa non fece che favorire il passaggio ad altre immagini.
Il professore si posò le mani  sulle braccia per cercare di tenersi stretto,  tenersi caldo.
La sensazione di freddo non era molto diversa da quella che aveva provato tantissimi anni prima, forse in tempi di Mario Carbone, o in altri tempi più remoti ancora.
Insieme a dei suoi amici si era reso disponibile durante l’estate, finite le scuole medie superiori, per andare a Milano a svolgere un'attività presso quelli che si sarebbero chiamati al giorno d'oggi centri estivi. Un tempo si chiamavano colonie elioterapiche. Dove si praticava la terapia fondata sull'esposizione del corpo ai raggi solari. Le scuole più fortunate dal punto di vista strutturale, cioè quelle che disponevano di un parco,  alcune addirittura di piscine,  di belle palestre e di locali ampi e spaziosi, venivano utilizzate a quel tempo dall'amministrazione comunale per svolgervi delle attività ricreative e ludiche per i ragazzi meno abbienti che non potevano andare in vacanza con le proprie famiglie.
Dentro, non avendo pratica con i bambini e con i ragazzi, si era trovato in estrema difficoltà. I ragazzi diventavano disperati, urlavano facevano chiasso ed erano aggressivi.  L'unico modo era farli cantare e farli giocare, mettersi a raccontar loro delle storie… Insomma, gli stratagemmi non erano mancati. Non ricordava queste esperienze con grande piacere. Anche i colleghi con i quali si era trovato non erano persone particolarmente simpatiche o piacevoli. Soprattutto lo chiamavano maestro…
In particolare ve n'era una che aveva l'incarico di aiuto della direttrice e di passare da tutti quanti gli operatori/animatori a raccogliere i versamenti di denaro che i ragazzi avrebbero dovuto consegnare. Era un  particolare contributo alle spese che l'amministrazione comunale faceva raccogliere direttamente dai propri animatori.
La tipa era abbastanza bassa, con i capelli corti,  sgradevole, con una voce stridula, robustotta e con gli occhi un po' strabici.
Aveva il vezzo di fingere di mostrarsi simpatica e passando salutava tutti quanti con l'espressione di  - Ciao, caro collega, - aggiungendoci il nome. Alla fine di ogni settimana aveva un altro rituale:
- Ciao caro collega, come va? Ah,  dimmi caro,  c’hai le quote? -  
Le quote erano appunto i versamenti a contributo che i ragazzi avrebbero dovuto portare.
Questa amabile,  strabica collega aveva deciso a un certo punto, verso la fine del mese di centro elioterapico, di fare una festa a casa sua. Probabilmente, non essendo né sposata né fidanzata, né rassegnata allo zitellaggio, che oggi si chiamerebbe vita da single, sperava di trovare qualcuno che le si attaccasse addosso.
Naturalmente anche il giovane professore che non era ancora professore per niente, c'era andato per non deludere la collega.
La "festa" era stata una cosa addirittura terribile. Persone stucchevoli, noiose quasi tutte con voci cantilenanti o lagnose come quella di "c’hai le quote?". Come si usava a quei tempi, lei aveva fatto intervenire alla festa la vecchia madre, che doveva probabilmente essere vedova; la nonna, e una zia. Il professore e qualche altro ignaro giovane suo coetaneo si erano guardati allibiti, ma avevano dovuto ingurgitare i dolcini, i  salatini, le schifezze e le bibite. Andavano molto, allora, aranciata e chinotto; e uno strano vino dolce e quasi analcolico; forse un moscato.  
Al termine della tortura si stava accingendo insieme ad uno dei suoi  compagni di sventura, ad andare verso la stazione centrale per raggiungere la sua città.
Entrambi erano stati colpiti, appena usciti da quella casa, dal grandissimo silenzio che regnava intorno. Oltre che alla mancanza delle musiche e delle canzoni lagnose che erano state fatte girare sui 33/45 giri in quell'appartamento, s'accorsero che non c'era quasi assolutamente traffico.
Milano a  quei tempi era poco nottambula. Si accorsero però con spavento a un certo punto, mentre si dirigevano verso la fermata, che anche i tram non passavano da un po'. Si accorsero lì alla pensilina, leggendo gli orari, che l'ultima corsa era passata da circa 45 minuti.
Si guardarono in faccia interdetti: quella serata era veramente una sciagura!
Fecero rapidamente un calcolo di quanto tempo avrebbero ripiegato a raggiungere a piedi la stazione Centrale.
Fu a quel punto che alla sciagura della sciagura se ne aggiunse un'altra.
Era ormai passata la mezzanotte, anzi era esattamente mezzanotte  e tre quarti. Anche i treni probabilmente avevano smesso di viaggiare da un pezzo! I primi sarebbero partiti soltanto alle quattro o alle cinque del mattino!
I due disperati compagni di sventura, nei panni miserevoli e impropri di festaioli sprovveduti,  si guardarono in faccia e si avviarono lentamente con poche parole e uno sguardo di tristezza e di amarezza verso alcune panchine dei giardinetti lì vicino.
Doveva trattarsi della zona vicino al cimitero monumentale.
C'erano diverse panchine. Nessuno passava e delle rotaie inutilmente curve disegnavano con i loro serpenti neri il selciato. Si scelsero due panchine abbastanza vicine l'una all'altra; guardarono attorno ancora con rassegnazione e tristezza, e si sdraiarono in quella terribile e scomoda posizione. Dormire sarebbe stato quasi impossibile.
Cominciò ad un certo punto a venire un freddo glaciale nelle ossa.
All’aperto il clima è sempre molto più freddo. Anche se era il mese di luglio.
Indossavano solo delle giacchette leggerissime di tela. Prima l'uno poi l'altro si tirarono la propria sopra il corpo e sopra la testa, cercando di coprirsi almeno il capo e il volto. Al mattino prestissimo appena l'uno dei due fece un movimento anche l'altro si rizzò a sedere; si guardarono e si dissero quasi all'unisono: - Io non ho dormito niente- con voce roca e impastata. Si diressero lentamente stanchi e con le ossa  indolenzite per la scomoda posizione e per il duro del loro letto provvisorio, verso un bar.
Lì vicino un uomo alzava la saracinesca; probabilmente stava per aprire. Bevvero entrambi diverse volte dei caffè e alla fine ne presero un altro corretto grappa. Poi, dolorosamente, sia l'uno che l'altro si diressero verso la colonia elioterapica,  per un'altra giornata di massacrante lavoro, con  i  “piacevoli” incontri con la loro collega “c’hai le quote…?”
Alla quale avrebbero dovuto dire che erano grati moltissimo con lei per la meravigliosa festa della sera precedente...

Il  professore, ora,  si strinse un pochino di più ancora con le mani sulle braccia sentendo il freddo dell'aria condizionata e intanto le sue immagini continuavano ad andare avanti, in quel sopore vago nel quale cercava inutilmente di distinguere i rumori che c'erano intorno, ovattati e nebbiosi.
I colori, a piccole macchiette , diffusi come nebbia si erano ormai dispersi da molto tempo.
Il freddo alle braccia e allo stomaco per l’aria condizionata si era un pochino attutito. Lo stupendo treno aveva preso molta velocità e faceva un movimento come di ondeggiamento, come a trovarsi sopra una barca, come trovarsi sul mare...
Fu a quel punto che il professore ebbe un'immagine d’acqua, ampia,  distesa... Rivide, a colpo d'occhio, la piscina di cemento dove andava da ragazzo, con la squadra dei suoi compagni di orfanotrofio. Era una struttura abbastanza brutta, grigia, e come detto completamente di cemento. Doveva essere stata costruita o durante gli ultimi anni del regime fascista o appena dopo. In mezzo a un modesto spazio lastricato di piastrelle di cemento zigrinato e, antiscivolo, una vasca da trentare virgola trentatre  metri,  per venti. Per farsi a nuoto i 100 metri bisognava percorrerla tre volte trovandosi poi dal lato opposto a quello da cui si era partiti.
Sul  lato ovest c'erano due bocche immense, anch’esse di cemento, con delle aperture orizzontali dalle quali usciva una fascia di acqua azzurra che si riversava nel catino anch’esso  di cemento azzurrognolo, mescendosi nell’altra acqua azzurra.
Spesso erano tirate delle corde galleggianti di sughero  e di legno rosse per permettere a chi veniva dalla Novara-nuoto di allenarsi la sera quando fossero usciti tutti quanti i bagnanti.
I ragazzi dell’orfanotrofio ci venivano  nell'orario in cui non erano ancora entrati gli utenti normali. Doveva essere tra le 10  e le 12, l'orario nel quale l'acqua era gelida terribilmente e più fredda che mai, dopo il fresco notturno.
Eppure ricordava ancora l'attesa magica dalla sera prima che prendeva lui e i suoi compagni.
Tutti quanti usavano guardare il cielo per notare qualche nuvola e la sera precedente, prima di andare a dormire  prestissimo alle nove, potevano fare le loro considerazioni e i loro pronostici:
-          Meno  male, forse domani non è coperto. Se non viene il vento che porta nuove nuvole, forse domani ci andiamo, in piscina...- e gli tremava la voce, per la speranza e l’emozione.
Il mattino si ripeteva lo stesso rituale di guardare il cielo e scrutare all’orizzonte. Qualche volta qualche piccolo gruppo di cirrostrati velava il  cielo azzurrognolo, coprendo parzialmente il sole, spaventando i cuoricini di quei  ragazzi con la testa pelata e i piedi scalzi che giravano in quei cortili. Il più delle volte, forse, il tempo incerto o quasi bello permetteva comunque loro di raggiungere l'agognato luogo di vacanza balneare in città. Dovevano vestirsi, naturalmente,  lavarsi i piedi infilandoli nelle calze e nelle scarpe. Si mettevano la giacca, la cravattina , i calzoni,  il berretto con la visiera. Poi  passavano da un assistente, che affidava loro un costume e una specie di asciugamano. I costumi erano vecchissimi, stinti, sbiaditi, a boxer anche se allora non erano affatto di moda i costumi di quella foggia. Gli asciugamani poi erano qualcosa di addirittura osceno. Avevano il colore grigio smunto dei pigiami e delle divise dei carcerati.
Azzurrini a strisce grigiastre. Colore dei lager.
Erano grossi lenzuoloni molli che facilmente si strappavano, tanto erano consunti dal tempo. Venivano ripiegati molte volte e in mezzo, nel rotolo, ci si metteva il costume.
Poi, quando tutti erano pronti, ci si muoveva all’unisono e non bisognava parlare, non bisognava andar troppo in fretta, non bisognava rallentare, altrimenti, l'assistente, che nella piscina non ci sarebbe entrato, li avrebbe fatti ritornare indietro, per castigo.
La maggioranza dei suoi compagni di sciagura e di orfanotrofio si sarebbe divertita  a saltare dentro-fuori dell’acqua, a giocare, a  farsi tenere a galla, a spruzzarsi, a  ridere e a strillare. Lui aveva avuto la fortuna di avere qualcuno che gli consigliasse come fare a imparare a nuotare. Aveva imparato da solo, ricordandosi le immagini che aveva visto forse in qualche film in bianco e nero nel quale John Weismuller  faceva il Tarzan, che  si tuffava nell'acqua e nuotava.
Aveva imparato, faticosamente, a dare bracciate a rana e stile libero (che poi aveva imparato più tardi si dovesse chiamare crawl).
Si metteva, allora, a fare delle vasche avanti indietro, contando mentalmente, mentre gli occhi gli si arrossavano, per la presenza altissima  di cloro.
Il cloro infatti, veniva messo nella vasca proprio al mattino. I bagnini,  dopo aver fatto pulizia dell'acqua con delle lunghe pertiche con attaccate delle reticelle, lo versavano con dei grossi  imbuti  dalle grandi tanniche, per mescolarlo con l'acqua.
In quella fascia oraria, tra le dieci e le dodici, quando c'andavano gli orfanelli dalla testa pelata, la concentrazione di cloro era altissima. Poco ancora era già evaporato.
Lui aveva imparato, faticosamente, a tenersi sul pelo dell'acqua, facendo le sue infinite vasche  avanti e  indietro, avanti e indietro. Contandole. E facendo anche i calcoli mentali di quanti metri e chilometri avesse ormai percorso. Non era una cosa poi così difficile. Bastava soltanto calcolare che ogni tre vasche aveva fatto 100 metri. Si rese conto, dopo qualche volta che lo faceva che una certa formula matematica gli permetteva di capire quanto avesse fatto. Dividere il numero delle vasche per tre e moltiplicare per cento. In genere in quell'ora e mezza circa che trascorreva nell'acqua nuotando avanti indietro riusciva fare circa due chilometri. Lo diceva con fare compiaciuto a compagni di sventura, i quali lo guardavano strano e non capivano perché non giocasse a divertirsi e a fare gli spruzzi come tutti loro. E invece si divertisse a fare le vasche per contare i chilometri. Quando il tempo stava per scadere, l'assistente mandava un sonoro sibilo con   in un suo fischietto, e per gli ultimi, quelli che non ascoltavano il fischietto, batteva le mani, li chiamava uno per uno, minacciandoli:
-Ehi, te…-  chiamandoli per numero - guarda che vai alla colonna..!-.
Si doveva scattare fuori in fretta, andare sotto la doccia per lavarsi via l'acqua piena di cloro, con gli occhi arrossati che faticavano a  restare aperti e a mettere a fuoco.
Riusciva a vestirsi molto lentamente. E alla fine di nuovo tutti in fila, nelle divise nere, con le polacchine nere che facevano un gran rumore per via delle suole coperte di borchie di metallo sui marciapiedi, si ritornava nel luogo della loro contenzione, nella loro prigione, per aspettare,un'altra volta, il paradiso, cielo permettendo, della piscina....!
Al professore pareva, appunto, nella situazione in cui gli sembrava di trovarsi ora, di fare delle vasche, le stava contando, diciassette, diciotto... e ogni volta provava a fare il calcolo: diciotto diviso tre, fai sei; ho già fatto seicento metri pensava. Ma  apparivano, sullo sfondo, anziché i muri grigi di cemento della piscina comunale di via dei Mille, delle immense distese biancastre, tutte puntinate di colori, doveva essere passato di lì Mario Carbone, a rappresentare la sua ideologia cromatica e spaziale… ma quanti anni dopo…?
Nonostante il sole, il freddo accumulato in quelle due ore nell'acqua gelida, gli restava nelle ossa. Come ora, in quel vagone di lusso, che andava, freddissimo, verso la sua destinazione...
Il professore  provò, faticosamente, ad aprire gli occhi... Ma era un'operazione molto, molto faticosa... Non riusciva a capire perché, ma ogni volta gli occhi gli si chiudevano, le palpebre cadevano pesanti, non riusciva a scorgere quello che gli sta intorno.
Gli era parso di incrociare le figure di Federico e Tiziana, che chiacchieravano tra loro con aria complice; guardandosi negli occhi. Anche loro, dunque, stavano andando a Roma? Al Museo di arte contemporanea, al Museo delle Arti del XXI secolo…?
Ma no, doveva esserci anche quella mobilitazione immensa…
Era previsto almeno un milione di persone…  Già, forse stavano andandoci…  
Gli pareva di sentire ancora gli occhi brucianti, per il cloro, e non vedeva bene le immagini distinte.
Sì, come allora, usciti dall'acqua, non riusciva a vedere l'immagine della città sfiorata a passo di marcia con le scarpe che sonoramente battevano il selciato come zoccoli di cavalli.
E gli pareva di provare ancora la trepidazione prima di andarci, in piscina; l'atmosfera magica e di aspettativa; e riprendeva la distribuzione dei costumi e dei vecchi lenzuoloni a strisce bianche e grigie; il continuo scrutare il cielo col timore di nubi; il prepararsi; il trasferimento là; la fascia d'acqua che scende a cascata; la massa d'acqua distesa e azzurra nel vuoto di quel grande catino ruvido di cemento; l'odore che emanava dall'acqua di cloro, mescolato a quello del detersivo industriale degli "asciugamani", al sole sul cemento e sui corpi...
C’era un odore diverso quando ci era ritornato poi per conto suo, anni dopo: juke-box, bar, focaccine, bibite, odore di donne e di oli abbronzanti e facce di bulletti..
Ora il professore aveva ripreso a  nuotare.... o forse a volare, sgambando nell’aria per tenersi a galla, per salire più in alto…
Di nuovo, ancora, doveva aver riprovato ad aprire gli occhi, uscendo dal torpore piacevole nel quale galleggiava. Gli pareva di sentire ancora gli occhi pesanti, per il cloro, e non vedeva bene le immagini distinte.
Sì, come allora, appena usciti dall'acqua, non riusciva a vedere.
E infine quando si risvegliava (o gli sembrava di risvegliarsi!)“Alessia” gli sorrideva sul sedile di fronte... Col suo volto a mandorla.
Era proprio lei?
Era già entrato già in un altro sogno dentro il sogno precedente?
Aveva deciso di chiamarla Alessia, dunque?... Il nome le stava bene…
Rimase  sospeso con gli occhi di nuovo richiusi. Era  lei, Alessia, la ragazza dal sorriso a mandorla, che aveva tanto cercato su tutti i treni possibili? Ed  era davvero venuta sul Frecciarossa con lui? Era un caso?
Era compiaciuto e frastornato insieme.
Intanto gli pareva di sentire una voce di donna che cantava calda e stentorea:

“Grazie alla vita che mi ha dato tanto
mi ha dato il sorriso e mi ha dato il pianto…”.

La voce magica di Violeta Parra. Sembrava un consuntivo.
Poi apparvero immagini flash di quella volta alla clinica S,Gaudenzio. Intervento improvviso, d’emergenza, per un calcolo nell’uretere. A metà pomeriggio. Anestesia veloce; cocktail di vari allucinogeni. Nella perdita di coscienza  vedeva solo colori vibranti, suoni sfumati e indecifrabili. Non esisteva più nulla di reale.
Non c'erano più nemmeno le parole.
Che fatica  pensare senza nemmeno le parole...
Non esisteva più nulla. Era dunque così l’aldilà?
Deve salvare almeno le parole, prima che, poi, non ci sia più nulla, nemmeno loro...
Ma come fare?
Risveglio. Con la flebo infilata nel braccio, parlando impastato va al cesso a fumarsi la pipa, scandalizzando la compagna che lo sta assistendo..
E ancora,  ora, gli pareva di sentire quella voce calda e stentorea:
“Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la risa y me ha dado el llanto…”
Poi, piano piano, la canzone si è ora trasformata in un’altra. Sempre una voce femminile, ma un’altra, sonora e luminosa; immensa…
“ Non! Rien de rien
Non! Je ne regrette rien“
Si rivede seduto su una panchina ai giardinetti, al  mare. Dev’essere in Liguria.  Ascolta un disco della  Piaff  che canta. “Non! Rien de rien. Non! Je ne regrette rien!”
Gli pare ora di pensare: ma dove l’ha sentita la prima volta? Nei giardinetti vicino al petit Trianon, a Parigi, qualche millenio fa’…?
Le voci e le canzoni si mescolano insieme.
No, non rimpiango niente. E ancora grazie alla vita, che mi ha dato tanto…
« Ni le bien qu’on m’a fait-Ni le mal tout ça  m’est égal! »

Ora ritorna a quelle parole di Segismondo.
“Io sogno che sono qui imprigionato …”
È imprigionato in questa realtà qui, in questa dimensione, su questo treno vellutato ed elegante, che lo trascina via volando…
“… e ho sognato di stare in un altra realtà, più felice ...”
Lì ci aveva visto il sorriso a mandorla di Alessia (poteva ormai chiamarla così?), che l’aveva magicamente stregato. E ora ricompariva, qui, in questa nuova dimensione galleggiante, nella piscina gelida di cemento ruvido, …
- Quel sogno e quella fantasia sono state una luce che mi brillava dentro, che mi stava accesa- balbetta di nuovo dentro il proprio sogno...

“...Ma che cos'è allora la vita? Un delirio. Un'illusione. Un'ombra. Una finzione. Tutta la vita non è altro che un sogno...”
Come il principe polacco, si domanda turbato, frastornato, confuso…
“ ….E i sogni che vi facciamo non son altro, semplicemente, che sogni nei sogni" ...-
La vita è un sogno dal quale solo la morte ci risveglia “,....

Alla clinica sotto l’effetto di quell’anestesia, di quel cocktail di vari allucinogeni. Nella perdita di coscienza  erano rimasti solo macchie mutevoli di colori vibranti, suoni sfumati e indecifrabili. Non erano rimaste più nemmeno le parole per pensare. Che fatica  pensare senza nemmeno le parole... Non esisteva più nulla di reale. Non esisteva più nulla. Si era affacciato sull’aldilà?
Al risveglio con la flebo infilata nel braccio, l’aveva raccontato con voce impastata alla compagna che lo stava assistendo…

Nel torpore, ora, fu preso da una determinazione categorica e assoluta: doveva salvare almeno le parole, prima che non ci fosse più nulla del tutto... Doveva a tutti i costi aprire gli occhi, uscire dal sogno.
Doveva  salvare almeno le parole, salvare la realtà, narrandola con le parole...
Doveva provare a fatica a riaprire gli occhi, come capita a volte nei sogni in cui si cerca ma non ci si riesce.
Uno sforzo mostruoso, ma era possibile.
Alla fine ci riuscì.
Accese il netbook, senza guardarsi intorno. Dimenticandosi di verificare chi c’era seduto di fronte a lui. Senza controllare se i fantasmi che gli erano apparsi fossero ancora presenti.
Entrò risoluto nel file che aspettava una versione definitiva.

“Cerco il tuo sorriso…..”
INTRODUZIONE

1. IL MERCATINO

Era stato mentre si faceva il secondo caffè che gli era venuto in mente.
- Sì, dev'essere oggi,- si era detto.- è ben oggi la terza domenica del mese, no?...

E si mise a scrivere...
Un altro sogno nel sogno? Era ritornato nel reale o nell’onirico?
Le parole avevano una loro consistenza calda e gustosa. Ci affondò le mani e gli occhi. Lo stavano attendendo.  Si mise ad impastarle con affetto. A plasmarle. A dar loro vita. A soffiargli dentro il soffio vitale…




Indice
1. Il mercatino  ......................................................................................................  0
2. In 25.000 ...........................................................................................................  0
3. Una donna  ........................................................................................................  0
4. Al supermegastore .............................................................................................  0
5. al Cinema VIP  ...................................................................................................  0
6. 1979-
     Federico   .........................................................................................................  0
     Tiziana  ............................................................................................................  0
7   Pendolari  .........................................................................................................  0
8. Perdersi tra gli scaffali .......................................................................................  0
9. Il segreto del Professore  ...................................................................................  0
10. Sospeso a mezz’aria ........................................................................................  0
11. Carosello  ........................................................................................................  0
12. 1990 ................................................................................................................  0
13.La farfalla  ........................................................................................................  0
14. Telefonate in olandese...................................................................................... 0
15. Frugando nel WEB- “Cerco il tuo sorriso….”
16. Piccole storie quotidiane
17. Lettere d’amore nella bottiglia
18. Piccoli romanzi d’amore impossibile
19. Apparizione...................................................................................................... 0
20. L’angolo delle ore  ...........................................................................................  0
21. Invito a cena..................................................................................................... 0
22. L’incontro
23. Verso quell’altra dimensione
24. La vita è sogno?