Nanni Omodeo Zorini
“CERCO IL TUO SORRISO….”
"Io
desidero il mio desiderio, e l'essere amato non è altro che il suo accessorio.”
"Valgono più gli
inganni della soggettività che le verità della oggettività. "
" La
vita è fatta di piccole solitudini.
Roland
Barthes
- IL MERCATINO (INTRODUZIONE)
Era
stato mentre si faceva il secondo caffè che gli era venuto in mente.
-
Sì, dev'essere oggi,- si era detto.- è ben oggi la terza domenica del mese, no?-
Un
riempitivo per questa giornata. Da qualche giorno gli sta girando un po' male.
Non
ha voglia di vedere gente. E si riduce a girarsi addosso, a volte senza scopo,
così...
A
volte sono soltanto delle scalette mentali, degli algoritmi di passaggi
concatenati.
"Alle otto e venti versare l'assegno e prelevare col
Bancomat. Trecento possono bastare questa volta.
Alle nove raccomandata. Meglio a piedi o in moto; non c'è mai
posto per parcheggiare.
Comprare un po' di affettati al mercato; se ci sono, le
arance da spremere.
Se ti va anche un'arringa; o dei salami della duja.
Ritirare le giacche estive alla lavanderia. Dove avremo messo
lo scontrino?
Se la lavatrice ha già finito, possiamo stendere.
Mentre aspetti, al massimo, portiamo giù la differenziata; il
sacco grande azzurro della plastica e anche un sacco di bottigliette
accartocciate e contenitori...
Telefonare avvocato; sollecitare.
Riagganciare quel tipo che ci ha cercati settimana scorsa.
Lui non sapeva ancora cosa voleva. Ma lo sappiamo noi..... per fargli un sito
di una cavolata, no?
Rassicurare la madama di
Milano; mercoledì è tutto pronto... Cercarle intanto un template adeguato…"
Aveva fatto fare un quarto di giro alla manopola del
filtro, dopo aver riempito la vaschetta di miscela scura di caffè macinato.
Appena si era accesa la lucina verde del "pronto" l'aveva premuta. La
crema di caffè aveva cominciato a colare lenta sul cucchiaino colmo di miele posato
nella tazzina.
Era
una tazzina di porcellana translucida leggerissima. Dalla forma elegante da
tazza da tè. Solo che era più piccola; molto più piccola. Sul bordo panciuto
tre sbuffi delicati di azzurro facevano immaginare un cielo; due costruzioni a pagoda
con accanto la ruota a pale di mulino ad acqua; due ciuffi di tratti stilizzati,
uno verde acqua e l'altro castano, stavano uno di qua e l'altro di là come due
boschetti sospesi; una raggiera di piccoli tratti rosso vivo voleva lasciar
immaginare un'alba o un tramonto; un filo dorato stava in equilibrio quasi
sull'orlo...
MADE
IN JAPAN, diceva il rosso ruggine sul fondo.
Un
residuato dell’arredamento e delle suppellettili di sua madre.
La
crema di caffè colava densa con il suo colore ambrato, lasciando in sospensione
una schiuma soffice e spessa. Stillando lenta andava a mescolarsi col miele che
scioglieva.
-Certo,
mi pare una buona idea, magari compriamo qualche cazzatina. Oppure può darsi
che incontriamo qualcuno. Sì, usciamo un po' da questa tana...-
Si
era detto spalmando con la lingua contro il palato il gusto saporoso della sua
droga da sveglia. Prima del terzo ed ultimo caffè si era proiettato l'immagine
mentale di quel che avrebbe visto di lì a poco; pregustandolo.
Il
grosso cetaceo della CX Pallas si era subito risvegliato con leggeri gorgoglii
e vibrazioni. Lentamente si andava sollevando alla sua altezza da crociera.
Girò la manopola sul gpl. Con un morbido sciacquio silenzioso il capodoglio
bianco si mosse.
Piazza
Donatello.
Più
che una piazza quello era come un immenso parcheggio inutilizzato...
In
mezzo passava un'ampia strada. Sul lato verso mezzogiorno un modesto parchetto
giochi, e dietro la rete metallica verde di un campo da calcio macchiato da un’alopecia
nel fondo erboso...
Sotto
l'ampia e alta tettoia di ferro ruggine erano già stati disposti dei banchi.
Salumi, capicolli, formaggi tipici (di dove? di qualche non meglio definita
località del sud...).
-
Avanti! Avanti! Dai che sono gli ultimi...-gridava quel tipo tutto il tempo
prima ancora di aver terminato di montare il banco-Avanti che sono gli ultimi!-
Altre
bancarelle, formate da tavole di multistrato riciclate, poggiate su cavalletti.
Erano un miscuglio fra il rigattiere e il robivecchi, con qualche pretesa di
antiquariato.
Per
lo più masserizie e paccottiglia di oggetti dismessi…
Davanti
al parchetto giochi stavano cominciando a montare bancarelle di fortuna.
Qualche volta sotto ombrelloni quadrati o gazebo di tessuto sintetico bianco e
verde.
Attigua
alla tettoia ruggine dove i “prodotti tipici” erano sempre sul punto di
terminare, c’era la postazione dell’Assopace.
Poco
più indietro infatti stava ergendosi e prendendo forma un ampio gazebo bianco.
Alla
spicciolata arrivavano auto che si fermavano depositando altre cassette e
scatoloni.
Da
questi ultimi uscivano, da imballaggi di fortuna di carta di giornale, la
paccottiglia che avrebbe riempito i tavolati già posati.
Federico
riconosce alcuni compagni: Massimo; Ruggero; Paolo, Emma, Guido, che stanno
scaricando dalle proprie macchine.
Qualche
volta c’è andato anche lui a dare una mano.
Massimo
mette a disposizione un box doppio inutilizzato, dove un po’ alla volta vengono
stipati libri, e oggetti vari, recuperati quando si liberano le abitazioni delle
cose divenute inservibili. I libri sono una raffinatezza. Si decide di metterli
a disposizione per fare un’azione utile e promozionale alla lettura, e insieme,
contribuire alla raccolta fondi. Massimo tiene i contatti anche col
coordinamento nazionale dell’Associazione, inviando i fondi per una scuola
materna nella striscia di Gaza.
Ruggero
sta sfogliando alcuni libri, mentre li dispone nelle cassette di plastica della
frutta che stanno distese su un telo posato a terra.
Cerca
di distribuirli per generi e tipologie.
Ecco,
nelle cassette di plastica nere e verdi di diverse forme e colori stanno già esposti
alla vista dei libri.
Paolo
ed Emma mettono a disposizione un ampio monovolume e sorridono sempre con molta
serenità e dolcezza.
Guido
è addetto al gazebo. Conosce alla perfezione le complesse modalità per il
montaggio. Dove manca un fermino per bloccare i bracci sistema dei mozziconi di
matite Ikea. Ha una voce immensa baritonale e vibrante.
La
gentilezza e la dolcezza contraddistinguono tutti quelli che fanno volontariato
qui; in coerenza con l’appartenenza all’Associazione per la Pace e il Disarmo.
Parcheggiato
il flessuoso transatlantico galleggiante, Federico si avvicinò a passi lenti…
Ogni
volta veniva colpito dal frastuono e dalla cacofonia delle forme, dei colori e
dall’estrema eterogeneità degli oggetti che prendevano posto.
Bicchieri,
piatti scompagnati, tazzine, fohn, soprammobili (biciclettina di ottone con
orologino, portaconfetti in peltro, …) giacche a vento sformate, vasi kitsch,
portatovaglioli, posacenere, cestelli giunco e bamboo, giochi Pokemon, vasi di
rame fintoantico, di peltro, terracotte seriali, bamboline in costume, vecchi
lettori CD, macchine per la pasta…
Questa
variegata oggettistica da sgombero-appartamenti sta sistemata sui banchetti di
fortuna.
Elise,
una giovane donna africana, si occupa di distribuire con criterio i vari
generi.
Federico
ci passa occhiate rapide, radenti, panoramiche dissonanti in dissolvenze
incrociate a volo d’aquila, che ripartono da capo ogni volta. Per fermarsi con
colpi d’occhio ammiccanti, subito spostati più in là, in una ricerca continua
di un qualcosa che forse non c’è…
Una
brocca di peltro che sembra più vecchia; un cestello di bambù per cuocere a vapore; un’anfora di
creta; uno zaino di cuoio…
Poi,
mentalmente, prende degli oggetti per costruirci intorno un contesto abitativo
e figurarselo.
Un
servizio incompleto di cinque calici con dipinte fanciulle danzanti; immensi
piatti da pizza “da Gennaro” dai colori eccessivi; un portacenere di ceramica
sbeccato con la riproduzione naif del santuario di Oropa; una bambolina di
finto biscuit vestita da Ollie Hobby…
Riesce
quasi a vedere la casa che ospita questi oggetti; ce li dispone con cura; li
guarda compiaciuto e ne sorride dentro.
Dopo
avere prodigato perlopiù occhiate pietose, l’osservatore si sofferma con
curiosità su qualche oggetto in particolare, provando a immaginarselo nel
proprio contesto abitativo, in mezzo al proprio arredo, oppure inventandogli
intorno dei mobili, una casa, con una qualche congruenza.
Ecco,
dice, questo candeliere di ottone lo potrei collocare sull’etagère in salotto;
i due cestini di giunco li posso appendere sulle pareti della scala che va in
mansarda; questi bicchieri verde smeraldo non sono proprio così brutti, li
posso aggiungere ai miei anche se sono solo cinque.
Ci
sono delle bamboline di ceramica, accanto ad altre di stoffa; non starebbero
male insieme a questo orologino di metallo a batteria a forma di bicicletta; e
anche questo bruciaincensi… Starebbero bene in una casa di una donna, pensa. E
se li fotografa mentalmente. Ci mette un contorno di arredi analoghi e
congruenti. Non riesce a vedere il volto della ragazza. Ne percepisce però la
consistenza olfattiva, il tono e i modi decisi, un po’ bruschi. È una single.
Capelli corti; jeans e maglioni di lana grossa; un giubbottone impermeabile che
non contrasta con la sua femminilità. Senza riuscire a definirne ancora i
lineamenti, sente, così, a fiuto, che nasconde un’anima molto femminile. Ne
riesce quasi ad intravedere le forme, sotto l’abbigliamento casual. Decide che
ha un bel nudo, sotto…
-
Beh, per questi oggetti, diciamo… dacci cinque euro; va bene? Ti pare troppo? –
propone Ruggero.
Elise
gli lancia un’occhiataccia. Forse lei avrebbe proposto sette euro. Gli uomini
non ci sanno fare, pensa. Ma, ugualmente, sorride a Federico, con i suoi denti
bianchissimi e ritira il bigliettino dei cinque euro in un cestinetto.
-
Vuol dire che hai fatto un affare- soggiunge scherzosa.
A
lui richiama alla mente il tempo ormai lontano dell’insegnamento. Nei corsi
Polis.
C’era
concentrata lì una strana umanità.
Gruppi
maschili ammiccanti al passaggio di qualche figura femminile. Erano di quelli
che nel contesto cittadino vengono guardati un po’ con sospetto. Avevano l’aria
un po’ malmessa e trascurata. Si capiva, però, dal suono delle loro
conversazioni, che avevano un tono bonario.
Brasiliani
di colore e africani; amerindi e cinesi. Poi c’erano gli italiani che cercavano
di recuperare un diploma. Ragazzi e ragazze esclusi dalla scuola quando
l’avevano frequentata; lavoratori studenti.
Una
vasta e ricca umanità.
Sulle
prime ci si era sentito un po’ a disagio. I preconcetti che aveva creduto di
non possedere gli erano ormai entrati nella pelle attraverso i pori e l’aria
che respirava. Razionalmente sapeva esorcizzarli e neutralizzarli. Ma, a pelle,
percepiva un senso irrazionale di disagio e di sospetto.
Era
un fatto “di pancia”. Come i vaniloqui dei politici e dei media xenofobi.
Diventavano sempre di più luoghi comuni. Anche dei suoi conoscenti dicevano:
-Tu lasceresti la tua casa aperta con gente così? Andresti ad abitare nei
quartieri dove ci sono loro? Saresti tranquillo a lasciare giocare i tuoi figli
con questi qui? -
Spesso
lui si inalberava. Ne nascevano discussioni appassionate. Ci si accalorava. Gli
veniva la voce alta che saliva di tono. Ne usciva come dopo un duello, col
fiato grosso.
Ma
si vede che il tarlo aveva già scavato piccole gallerie minuscole iniettando
una dose sottocutanea del morbo. Il virus stava silenzioso in incubazione.
Impercettibilmente
creava irriconoscibili predisposizioni. Non te ne accorgevi quasi, eppure eri
pervaso anche tu da un vago senso comune. Tu come tutti gli altri, d'altra
parte.
Di
testa, solo di testa però, te ne sentivi immune. Ma eri immerso anche tu in una
logica che altri, altrove, avevano già preconfezionato. Bella pronta. Prêt a
porter. Ce l’avevi addosso senza quasi accorgertene.
E
c’era un bel lavorarci di testa, per cercare di ripulirsi da quel fango.
Bastava
forse sapere che in un remoto passato una specie umana si era formata in Africa
migrando poi progressivamente per tutto il mondo? In Etiopia, nel ’74 gli
archeologi avevano rinvenuto i resti di un esemplare di femmina adulta, vissuta
almeno 3,2 milioni di anni fa. Che venne chiamata Lucy, dal titolo di
una canzone dei Beatles.
La
nostra progenitrice Lucy è africana; è l’antenata anche di noi italiani; anche
di quelli che deridono i “voccumprà” improvvisando improbabili teorie razziali
di superiorità del bianco ariano. Quelli che vogliono prender loro le impronte
delle mani e dei piedi, che li vogliono ghettizzare in classi speciali a scuola
e nei lager dei centri di prima accoglienza. Almeno quelli che sopravvivono
alle marce nel deserto, ai campi libici, alle autocisterne e ai gommoni….
Bastava
forse sapere che non esiste alcun fondamento alle teorie della predominanza del
patrimonio genetico sugli umani, rispetto alle influenze ambientali?
Tutto
nasce dalla paura di ciò che è diverso. E questa paura finisce per diventare
intolleranza e discriminazione. Un altro passaggio, successivo è quello di considerare il diverso come
inferiore.
L’Associazione
Psichiatrica Americana, nel “Manuale diagnostico e statistico dei disordini
mentali”, colloca questo comportamento tra le fobie, quelle intense ansie che
possono prendere in presenza di immigrati o di persone in qualche modo diverse,
e le definisce come delle vere e proprie forme di patologie.
Sì,
di testa. Ma bisogna prima avercela una testa e usarla per raccogliere
informazioni e conoscere.
Ma
di pancia? I sentiti dire, i “tutti pensano/dicono che”, i ”ma cosa mi venite a
raccontare”… insieme alla incultura, alla manipolazione della informazione e
alla malafede…
“Il
silenzio della ragione genera mostri”.
2 IN 25.000!
FEDERICO
<<Non c’è bisogno della sveglia; mi sveglio sempre
così, ogni mattina; più o meno alla stessa ora. Alla radio è già iniziata la
lettura dei giornali a “Prima pagina”.
Non ne sento notizia. Eppure ho ancora la testa piena della
giornata di ieri. Milano pullulava di volti stranieri e sorridenti.
Molti volti dalla pelle scura con caratteri somatici di varie
etnie. Capelli ricci, tagliati cortissimi, rasati. Su tutti si stagliava il
biancore luminoso degli occhi e dei denti in sorrisi ampi e pieni di speranza.
Capelli nerissimi e lucidi di asiatici e latinoamericani con
occhi variamente a mandorla.
Colorito scuro, capelli pure nerissimi e profondi sguardi
calmi negli indiani e indonesiani.
Molto simili a quelli mediterranei dei nostri meridionali
degli anni cinquanta,con le loro valige di cartone legate, i profili degli
arabi.
Sguardi puliti.
Rari gli slogan rituali dei decenni passati, ritmati e
cadenzati con la rima.
Su tutti dominava invece una cadenza rituale o tribale dei
senegalesi:salsaué-aué-aué-aué;", cadenzava mentre tutti saltavano. Dopo
una piccola pausa: "aué-aué", "aué-aué",
"aué-aué", ripetuto all'infinito.
Ho ancora nel naso e addosso ai vestiti l'odore forte delle
torce e delle nuvole di fumo colorato...
Non è possibile che tutto questo sia sfuggito alle prime
pagine dei giornali…
Mi guardo allo specchio ammiccando con intenzione. La lucina
azzurra della lampadina a basso consumo mi cade addosso fredda.
Sento ancora un groppo in gola e nel cuore alle parole che in
piazza Cairoli accolgono la massa multietnica che vi si sta riversando. È una
donna peruviana. Parla con voce accorata e vibrante.
"Da 20 anni lavoro qui; ci abito con la mia famiglia; ci
pago le tasse; non è possibile che questa non sia la mia terra; chi come me è
venuto da un'altra terra non ha più là la sua patria; la tua patria e dove vivi
e lavori. Qui nessuno è senegalese, peruviano, cinese o italiano...
Oppure tutti siamo senegalesi, peruviani, cinesi e
italiani...
La nostra diversità e varietà di volti, di lingue, di culture
è una ricchezza per tutti. Qui nessuno è immigrato o clandestino; tutte le
nostre differenze sono la nostra e la vostra forza... La nostra diversità non è
un errore, è una ricchezza".
Poi parla un giovane dalla pelle scura e i capelli ricci. Un
leggero accento straniero in un linguaggio forbito e raffinato, pieno di
sfumature sapienti e garbate. Ricorda che tempo fa venne accoltellato per la
sua diversità... Non condanna e non giudica; prova affetto e pietà...
“Il 31 maggio scorso, alle otto di sera, un giovane senegalese
(musicista, attore, mediatore culturale, lavora da anni all'ufficio mondialità
del Pime, racconta nel monologo) viene aggredito alla fermata dell'autobus e
accoltellato.
"Un colpo dal basso in alto, portato per uccidere. Lui
grida, si accascia, tutti sentono, vedono, tutti scappano, nessuno aiuta,
nessuno soccorrre -prosegue il monologo-. Invisibile. Abbandonato. Per troppo
tempo. Un altro colpo. L'aggressore si allontana indisturbato. Finisce in ospedale". Racconta la cronaca.
Scrosciano applausi immensi.
Ognuno di questi afflati di umanità tenera e dolce fanno
sentire un groppo alla gola; viene voglia di piangere.
Lo specchio del mio bagno rimanda ora la mia immagine che mi
osserva.
Insieme a lei ripeto:"salsaué-aué-aué-aué",”salsaué-aué-aué-aué","salsaué-aué-aué-aué"...
Poi parte il ritornello: “aaaué-aaaué-aaaué…”
Un giovane africano alto e dinoccolato con il cranio rasato e
affusolato alla mia richiesta ha cercato di spiegarmi ieri che la nenia significa
qualcosa come: c'è qualcuno che davanti mi fa una faccia atteggiata a
gentilezza, ma falsa, e che poi farà il contrario...
Mi accorcio la barba soffiando sul rasoio ogni tanto per far
cadere la peluria che vi si accumula. Fra poco dovrò tornarci a Milano per un
appuntamento con un cliente.
Immagino i volti che incontrerò in metropolitana; le strade
ed il traffico sempre uguali. Sarà rimasta qualche traccia della grande
giornata di ieri?
Il caffè con la sua schiuma dorata riempie la tazzina. Mescolo
col miele.
Ieri è avvenuto un rito molto importante, carico di
significato simbolico, liturgico.
Hanno ancora valore questi rituali forti in quest'epoca di
manipolazione strumentale dei fatti e della realtà? Il suadente dittatore
mediatico riuscirà di nuovo a raccontare le sue menzogne dagli schermi colorati
che domina? Lui che ha esorcizzato il suo ruolo di "grande fratello"
attribuendo quell'espressione ad uno squallido gioco per vip in cerca di fama?
I ragazzi e gli anziani miei connazionali che ieri saltavano
e scandivano con me riusciranno a restare immuni dal morbo edulcorato che viene
elargito a piene mani, frammezzato e intercalato all'ottimismo pubblicitario
degli schermi?
Riusciranno a contagiare con la verità autentica dei fatti i
loro vicini di strada con cui mescolano i percorsi della loro vita? Riusciremo,
tutti, a non diventare anche noi “rinoceronti”?
Chiudo le mandate della serratura e mi immergo nel mondo
funambolico che si dipana fuori come sul "filo del rasoio">>.
Federico
si è avvicinato all'ascensore oleopneumatico. Preme il pulsante di chiamata.
“Din din”, segnala appena è arrivato al piano. L'immenso specchio gli rimanda
la sua immagine che sta andando incontro a lui che entra.
Preme
il pulsante meno uno.
Infila
il casco integrale e i guanti di pelle impermeabili. La porta basculante del
box si richiude. Inforca il suo Gran Dink argentato.
Clic,
il telecomando accende la luce arancione intermittente e il cancello,
vacillando, apre i doppi battenti.
Mentre
lo scooter si affaccia alla strada, controlla nella tasca la protuberanza dello
smartphone; poi quella del portafogli nella tasca interna del giubbotto di
pelle anticata. Mica da averli dimenticati, da dover ritornare a prenderli.
Il
piazzale della stazione é invaso da una fittissima selva di biciclette. Ci sono
mountain-bike, bike-city, vecchie biciclette dalla vernice graffiata. Stanno
dritte o un po' inclinate alle rastrelliere. Legate con catene e lucchetti. Di
testa e di coda.
Intervallate,
ogni tanto, da qualche carcassa di bici ancora legata, alla quale hanno
sottratto le ruote, il sellino, il manubrio…
Poco
più in là ciclomotori, scooter e maxi scooter. Qualcuno coperto col telo
protettivo.
Trova
uno spazio in cui infilarsi. Lega il casco con l'anello sotto il sellino. Infila
i guanti nel gavone. La catena semi rigida, ricoperta da una guaina di plastica
rossa, infilata tra i raggi della ruota posteriore. Sembra la spina dorsale di
un grosso serpente.
All'edicola
vorrebbe comprare il manifesto, ma non esce il lunedì.
Come
sempre alla ricerca di una obliteratrice che non abbia la scritta "fuori
servizio".
Ce
n’è una che da un anno e mezzo è perennemente fuori servizio... . È collegata alla corrente, e ha la scritta
accesa. Non funziona abitualmente, sta lì e basta…
Riemerso
dal sottopassaggio si avvia a lunghi passi in fondo alla pensilina, al di fuori
della tettoia, in direzione di Milano.
Qualche
boccata amara di fumo dal cannello della pipa. Soffia via tra le labbra e la
lingua un granello di tabacco carbonizzato. Già dopo i primi tiri si accorge di
non provare piacere a fumare. Da settembre avrebbe dovuto smettere. Ma erano
successe tante altre cose e aveva finito per accantonare il proposito.
Grandiosa
la giornata precedente.
Mentre
aspetta che la lunga massa verdastra sferragliante mantenga la promessa
annunciata dagli altoparlanti, lui passeggia a lunghe falcate fin in fondo alla
banchina. Avanti e indietro. Passando accanto alla panchina di granito lucido
getta uno sguardo distratto alle persone sedute. Una donna massiccia dalla
pelle nerissima e lucida; una ragazza opaca sta accanto ad un'altra molto
graziosa, assorta nella lettura di un romanzo, gli auricolari dell'MP4
giustificano il leggero ondulare cadenzato del capo.
Girati
nell'altro verso tre giovani che si direbbero balcanici. Uno di loro porta un
giubbetto di finta pelle color tabacco, segnato da aloni grigi, tracce evidenti
dell'uso prolungato. Gli altri due indossano anonime giacche a vento di colore
blu. Qualche folata dei loro discorsi giunge ovattata e incomprensibile.
Insieme alle ondate di fumo di sigaretta, acre, amaro, fastidioso.
Un
uomo alto, con il cappello a larghe tese passeggia come lui avanti e indietro,
in attesa del convoglio. Lo incrocia qualche volta.
Oltre
la colonna massiccia e squadrata che regge la pensilina qualcuno sta arrivando
a passi lenti, curiosando con gli occhi chi incontra. Con lo sguardo fisso nel
vuoto che le sta davanti, una figura femminile slanciata, sta avvicinandosi.
Evita accuratamente qualsiasi contatto visivo. Timorosa, riservata, sicura
delle onde d'interesse che attira. È unica, esclusiva, sola nel suo microcosmo.
L'annuncio
arriva insieme alla massa verdastra, rammentando di non attraversare i binari,
di non salire o scendere prima che il treno sia perfettamente fermo.
“Si
invitano i signori viaggiatori a non oltrepassare la zona delimitata dalla
linea gialla”.
Federico
ha in mente gli annunci di quand'era ragazzo che invitavano a non attraversare
i binari, a servirsi dei sottopassaggi, a non gettare oggetti dai finestrini...
Nota
un'evoluzione nel costume degli italiani di vivere le stazioni e i binari.
Ma è
soprattutto nelle parole che il tempo lascia i segni del suo trascorrere. Le
"ferrovie dello Stato" sono diventate "Trenitalia", i
viaggiatori sono diventati i signori clienti, i treni sono materiale
rotabile... Con breve cigolio il materiale rotabile alla fine si ferma e i
clienti di Trenitalia, rispettosi, aspettano che si aprano le portiere; prima
lasciano scendere chi arriva e infine salgono.
Qui
ci sono due posti ma in senso inverso alla marcia. Là un posto sarebbe buono ma
non ha voglia di chiedere di spostare la borsa che ci sta appoggiata. Questo va
bene.
Lui
ha lasciato libero lo spazio verso il finestrino, perché ha notato che ci sta
battendo il sole.
-Scusi,
è libero?- chiede con tono amorfo una voce femminile.
-Certo,
ma c'è il sole.- aggiunge lui cercando occasione di colloquio.
Un
leggero mugolio di assenso, che lascia cadere, freddo e distaccato ogni
possibile approccio verbale.
Ora
la voce femminile ha aperto un libro foderato di plastica trasparente che
recita sulla copertina : "neuropsicologia".
Federico
ha subito aperto il file mentale sull’argomento.
“La
neuropsicologia, nelle neuroscienze si caratterizza per il suo
obiettivo di studiare i processi cognitivi e comportamentali correlandoli con i
meccanismi anatomo-funzionali che ne sottendono il funzionamento.
Condivide
il punto di vista del processamento dell'informazione della mente tipico della psicologia cognitiva (o cognitivismo) e si basa sul metodo
scientifico.
La
neuropsicologia ha aree di sovrapposizione con la psicologia, la neurologia, la psichiatria e le reti
neurali.
Ha
compiuto i primi passi sull’onda delle scoperte della neurochirurgia, che
metteva in relazione le varie modalità della funzionalità cerebrale con i
traumi conseguenti ad incidenti o ad asportazioni per neoplasie.
Aveva
poi creato relazioni e connessioni con la cibernetica, la scienza che studia i fenomeni di
autoregolazione e comunicazione, sia negli organismi naturali quanto nei sistemi
artificiali. A cavallo tra chirurgia, informatica, robotica e scienza della
comunicazione.
Poi
c’è tutto il discorso sui neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. “
Ora
lui è pronto; aspetta solo l’occasione per buttar lì una battuta con
noncuranza…
Ma è
distratto dalla operatività maniacale della fanciulla. Lei ha ora estratto da
un piccolo astuccio a cerniera un segnalibro verde di plastica rigida, delle
biro blu, rosse e verdi.
In
grembo ha appoggiato anche un piccolo cellulare lucido e colorato.
Accosta
il righello-segnalibro alla prima riga e sottolinea in rosso quasi tutto; due
parole nella seconda, poi passa alla quarta...
Lui
la segue con la coda dell'occhio, cercando di non farsi assolutamente
accorgere.
L'operazione
è molto lenta e misurata.
Ora
il cellulare ha piccoli lampeggi e una impercettibile vibrazione.
La
minuziosa e lenta opera di sottolineatura subisce una breve interruzione. Una
rapida digitazione sulla tastiera del cellulare; nuovi impercettibili lampeggi;
il righello-segnalibro viene ricollocato in quinta riga. Nuovi lampeggi e nuove
digitazioni.
Un
altro breve tratto rosso, preciso e meticoloso...
Federico
ha ora messo da parte le sue reminiscenze. Accantona ogni fantasia di approccio
e ogni strumentale sfoggio di cultura sulle neuroscienze.
Al
di là del corridoio centrale si sta svolgendo un parlottio confidenziale a
mezza voce.
Federico
senza volerlo ne coglie alcune battute, finendo per provare interesse.
-Sì,
fino a una certa età questo non era mai stato un problema. Beh, qualche volta a
tavola, come fanno tutti, ma non era mai stato un problema. Poi, a volte, forse
un po' per compensare la fatica del lavoro, qualche bicchiere in più... ma
niente di straordinario. Sì, venivo da una famiglia di lavoratori, semplice, di
paese. Lavoravo in fabbrica.
È
stato forse quando sono andata in pensione che è cominciato diventare un
problema. Come tutte le donne di casa facevo un sacco di cose, eh, non mi
fermavo mai un momento... Forse era un po' anche per questo che avevo
cominciato ad aumentare le dosi. Niente superalcolici, eh, solo vino. Era stato
mio marito ad accorgersi. "No, rispondevo, ho usato un po' di vino così,
per cucinare". Quando avevo paura che se ne accorgessero mi procuravo
quello nei cartoni, così poi non avevo il problema di eliminare le bottiglie
vuote.
Fin
che andavo a lavorare non avevo avuto molte occasioni per ripensarci. Ma lì, in
casa, tutto il giorno da sola a lavorare mi erano tornati in mente quei
momenti.
Sì,
perché quand'ero ancora una bambina, era successa quella cosa lì, con mio
padre...
Con
le mie sorelle più grandi lui non ci aveva mai provato, o almeno così credo.
Alla domenica io avrei voluto andare con le mie amiche a passeggiare o
all'oratorio, ma mio padre mi diceva di star lì con lui, mica potevo lasciarlo
in casa da solo, che la mamma era andata ai vespri...
E mi
diceva di andare con lui in camera, che ci facevamo un pisolino, e poi.....-
È
una donna ormai non più giovane; capelli corti come molte donne di paese; il
volto solcato da un lieve percorso di rughe.
Ha
smesso di parlare; strizza le labbra; tira su col naso. Infila un dito verso un
occhio sotto gli occhiali da sole. La donna che le sta a fianco aspetta che
riprenda a parlare.
-È
andata avanti così qualche anno. Poi ho cominciato a dire di no e a rifiutarmi.
Possibile che mia madre non s'accorgesse di niente? E neanche le mie sorelle?
Oppure anche loro avevano subìto e trovavano comodo che ora ci fossi io? Quando
sono stata più grande, prima di sposarmi, l'ho raccontato a mia madre. Non ha
fatto scenate ma neppure mi è sembrata così tanto disturbata da quello che le
avevo raccontato. Ha voluto portarmi dal prete e farmi raccontare tutto anche a
lui. Poi tutti e due mi hanno fatto giurare davanti al crocefisso che non avrei
mai parlato nessuno. Infatti, poi, non le ho parlato mai neanche a mio marito.
È
stato solo quando lui s'è accorto che bevevo che gliel'ho raccontato. C'è
rimasto molto male che non mi fossi mai voluta confidare con lui. L'unica
scusante che avevo era quel giuramento in chiesa. È stato molto calmo e
comprensivo. Ne abbiamo parlato molto e alla fine ho cominciato questo
percorso. Sono in terapia di mantenimento da 4 anni. Adesso è un'altra vita.-
Federico
ha fatto fatica a stare incollato a quel racconto terribile, di cui ogni tanto
perde frammenti, che prova a ricostruire a senso…
Una
lunga pausa di silenzio. La sua confidente non dice una parola.
Dietro
quel volto scavato dagli anni, quegli occhi nascosti dagli occhiali da sole,
una storia segreta e malata. Un percorso di resurrezione doloroso e sofferto.
Sullo sfondo un abuso sordido nascosto tra le mura domestiche, una solitaria
sofferenza elaborata, a costo di sacrifici immensi, solo nell'età adulta.
-E
adesso mio marito vuole ristrutturare la vecchia casa dei genitori, per andarci
ad abitare noi, lasciando la nostra a mia figlia. E sono continue battaglie con
lui, io non voglio andarci, là c’ho quel ricordo brutto. E lì vicino ci abitano
le mie sorelle grandi... Sono discussioni lunghe, penso che finirò per cedere,
perché ha ragione anche lui. Però non riesce mai a mettersi nei miei panni.-
Segue
un lungo silenzio. Poi un parlottio più sommesso, quasi un bisbiglio.
L’ascolto
della confidenza lo ha lasciato turbato. Per il contenuto e per il modo in cui,
senza quasi volerlo, ci è entrato. Si sente un po’ in colpa per aver ascoltato
quel racconto intimo. Per averlo spiato. Per esserne, ormai, partecipe
clandestino.
Federico
butta un'occhiata distratta alle righe rosse perfettamente allineate sul testo
di neuropsicologia alla sua destra. Come piccoli capillari paralleli che
solcano le file delle catene di lettere che formano le parole. Venuzze insulse
e insignificanti, inutilmente ordinate; inspiegabili come i canali di Marte.
Federico
ha definitivamente rinunciato ad un approccio con la studentessa che gli sta a
fianco.
Sente
pulsare alla sua sinistra una sofferenza distesa, ampia, dilatata.
Si
trattiene dal guardare direttamente; un terreno minato che qualcuno
faticosamente ha iniziato a bonificare da solo. Rimane attonito e perplesso.
In
prossimità della Stazione Centrale intravede di nuovo una figura nota che
incrociava sul marciapiede prima della partenza. Il maturo e distinto signore
di età indefinibile. È tra i 48 e i 75. I capelli mescolano ciuffi argentati ad
altri ancora con tracce castane. Alla sommità e verso il retro della nuca si
diradano. Porta abitualmente ampi cappelli a larghe tese e mantelle con
spalline. O soprabiti di pelle immensi simili alle spolverine da viaggio in
diligenza dei western all’italiana.
Occhiali
multifocali dalla montatura fine di vibranio. Fotosensibili: alla luce intensa
assumono con discrezione l’aspetto di occhiali da sole.
È un
assiduo viaggiatore su questa linea, negli orari più diversi.
3 UNA DONNA
TIZIANA
<< - Fra mezz'ora apriamo, diamoci una mossa, neh..! -
Sempre con questa sua aria di dio in terra, sicuro, deciso,
arrogante, prepotente...
"Diamoci",
"facciamo", "dobbiamo far vedere"... Usa sempre il plurale,
lui! Però siamo poi noi povere cretine che dobbiamo sgobbare e farci il culo.
Lui e quegli altri come lui si vedono poco in giro fra le corsie, dove noi ci
rompiamo la schiena a sistemare la merce negli scaffali, a rimettere a posto le
lattine dei pelati finite in mezzo ai biscotti, o la Nutella in mezzo alle
birre. A scaricare montagne di roba pesantissima.
E quando passano, sempre con quella loro aria di superiorità
pensosa e assorta; preoccupata... Qualche metro più in alto di dove ci siamo
noi.
Otto ore sono lunghe. Anche quando vai a pisciare e a dare
due tiri alla sigaretta non puoi restare davvero tranquilla.
Ops, mi sta suonando il telefono. Cazzo!
- Sì, pronto, come? ah, sì ciao, no, sono al lavoro, eh sì,
sì...- rispondo a bassa voce.
- No, dovevo fare il pomeriggio, ma il capo mi ha chiamato
per una sostituzione, eh sì, è proprio una bella stronzata. No, figurati, basta
che mi infilo qui dietro e parlo sottovoce...
Ma no, figurati, stai tranquilla,... no, guarda, stai
tranquilla, dimmi allora... dài…!
Per due minuti cosa vuoi che sia? Dimmi allora...
Boh, ieri è stata una giornata così..., così come tante
altre, niente di speciale, né in bene né in male...
E voi? Sì? La solita storia? Anche ieri è tornato bevuto?
Bere birra e farsi le canne? No, a me non sembra che beva tanto; dici?
Beh, almeno lui beve solo la birra e si fa solo le canne...
Ma già, è vero, pensa che casino se anche lui il sabato e la domenica sera si
prendesse lo sballo anche con le pastiglie...o le altre robe come fanno gli
altri.
Ma i genitori non se ne accorgono? No, voglio dire, tu ti
accorgi benissimo che tuo figlio è un po' bevuto e che si è fatto le canne...
certo, lo sguardo fisso negli occhi dilatati...
Ma te l'immagini che faccia avranno quegli altri quando
tornano? Ah beh, sì, d'accordo che tornano al mattino presto e non li vedono.
Ma poi quando si alzano all'una o alle due...
Sì, tutti i ragazzi ormai hanno questa mania del computer...
lo sento anche dalle mie colleghe qui. Scaricano musica, film, giochi... E
stanno un sacco di tempo a mandarsi posta elettronica e a chattare...
È un loro modo di comunicare, con le loro abbreviazioni come
nei messaggi dei telefonini, con la loro “neolingua”, le faccine, mandarsi le
foto...
Oh, porca miseriaccia... scusa se parlo piano, è passata la
caposettore, anche lei è un'altra che te la raccomando...
Senti, restiamo d'accordo così, per sabato io porto una torta
salata e i vol au vent; voi fate le tagliatelle al salmone e la torta.
Hai poi saputo se vengono anche gli altri ? No, sai, è solo
per regolarmi sulla quantità. Ma va bene, non fa niente, mi organizzo per
preparare una quantità un po' abbondante. Se poi non vengono e avanza vuol dire
che ce la mangiamo il giorno dopo...
Sì, è meglio che chiuda se no finisce che mi rompono le
scatole... No, tu non c'entri, figurati... va bene... sì, anche a te... ciao
ciao ciao...-
Cazzo, anche lei ci voleva adesso, che a momenti mi beccavano
ancora…
Ah, eccolo di nuovo; il mio maturo ammiratore sta aggirandosi
tra le corsie. Gli sta bene quell’immenso cappello da cow-boys. Fra poco mi
sfiorerà col suo sguardo, regalandomi un sorriso cortese>>
L'hanno
disturbata al mattino presto con una telefonata.
Il
telefono di casa si è messo a strillare quel suo motivetto ripetitivo e
fastidioso. Era in bagno, seduta, si teneva la testa fra le mani infilando le
dita tra i capelli. La sua meditazione mattutina. Navigando a metà tra i
fantasmi del sogno e il quotidiano grigiore cercava, a più riprese, di
riafferrare un frammento che continuava a sfuggirle. Non riusciva più a mettere
a fuoco il volto dell'immagine di quella figura maschile. L'aspetto era quello
odioso del suo capo però, stranamente, girava in mutande; sopra indossava una
strana camicia di seta, legata in vita, che gli lasciava scoperto il petto
villoso. Era molto gentile e aveva un tono dimesso, condiscendente, quasi
succube. Il modo di fare poteva ricordarle quello di Alfonso. Cosa ci faceva
Alfonso con la faccia di quello stronzo del suo capo? E poi, dove si trovavano?
Sia lei che lui giravano a piedi scalzi in un appartamento grande,
completamente vuoto, senza tende alle finestre. Stavano girando a vuoto, di qua
e di là, senza una meta o uno scopo. E la cosa non li infastidiva per niente,
sembrava naturale, così...
Il
suo capo solo una volta nel lavoro le era sembrato un po' più umano, quasi
gentile, bonario.
Ma
si era subito ripreso il suo atteggiamento irritato e irritante. Lei aveva
perfino immaginato che avesse usato la faccia buona con l'intenzione di farle
poi delle avances.
In
realtà, a pensarci bene, tutti al supermercato erano sempre strani con lei.
Anche gli altri.
Dovevano
sapere che era laureata. E forse pensavano che se la volesse tirare.
Sì,
si era barcamenata per qualche anno tra
supplenze e incarichi, fino a quando non ce l'aveva fatta più a restare nella
scuola. Prima aveva cominciato a farsi assumere per brevi periodi nella
stagione calda.
Così
si era rovinata molte vacanze estive. In autunno si era rimessa ad aspettare le
supplenze con l'amaro in bocca dell'estate passata a lavorare. Erano stati
sempre lavori occasionali e per niente coinvolgenti. Era stata impiegata presso
una compagnia di assicurazioni; aveva fatto gli shampi e le mèche da una
parrucchiera; aveva massaggiato con creme e unguenti nauseabondi volti e corpi
flaccidi di donne e signore benestanti; aveva applicato la ceretta su gambe
gonfie di cellulite e vene varicose;... Che schifo e rabbia dare lo strappo
finale!
In
quei posti doveva sempre sorridere, mostrarsi gentile coi clienti, accondiscendere
alle loro richieste, fare conversazione con loro...
Poi
aveva cercato qualcosa di più stabile.
Non
era stato solo per lo stipendio modesto che le davano e gli orari che si
dilatavano all'infinito anche dopo l'ora di chiusura. Non era riuscita più a
sopportare quell'ambiente falso, convenzionale, omologato, seriale...
saltuariamente aveva fatto la baby-sitter a domicilio o in casa propria.
Anche
con i bambini si era trovata a disagio, anche se per altri motivi.
-La
mia mamma mi lascia vedere la televisione fin quando ho voglia-
-No,
io non rimetto a posto i giochi, se vuoi lo fai tu; ti paghiamo apposta -
-Se
non la smetti dico alla mamma che mi hai picchiato... -
Ricattavano,
minacciavano, contrattavano.
I
loro genitori , nei rari momenti in cui lei li vedeva, facevano mostra di far
loro raccomandazioni, ma con tono talmente poco convinto...
Solo
una volta aveva trovato un bambino bellissimo e dolce. Aveva degli occhioni
verde-azzurro intenso e raccontava sempre tante cose. Degli amici di scuola,
dei suoi zii, delle sue fantasticherie... Le piaceva molto stare con lui.
Riusciva anche a parlargli come ad un amico più piccolo.
Era
come se si fossero entrambi innamorati l'uno dell'altro.
Una
volta era stata con lui di sera e l'aveva accompagnato in bagno e a lavarsi i
denti. L'aveva aiutato infilarsi il pigiamino . E poi a letto lui l’aveva
pregata con i suoi occhi dolci di stargli vicino un pochino, tenendogli la
mano. Voleva essere accompagnato nel viaggio verso l’ombra del sonno. Avevano
chiacchierato e poi lei gli aveva raccontato una fiaba.
“Un giorno un gallo, mentre
andava per la strada, aveva trovato per terra una lettera. L’aveva presa col
becco e l’aveva letta:
-Gallo Cristallo, Gallina
Cristallina, Oca Contessa, Anatra Badessa, Uccellino Cardellino siete tutti
invitati alle nozze di Pollicino…. .Diceva la lettera… “
Ripensare
a quegli occhioni verde-azzurri, a quel sorriso dolce le provocava una profonda
tenerezza.
Ma
perché lei ci pensava proprio ora, seduta sulla tazza nel bagno, con le dita
affondate nei capelli? Dopo aver provato a ricostruire il suo sogno nel quale
le sembrava di ricordare che lei e uno che assomigliava al suo capo, ma con i
modi gentili di Alfonso, giravano a piedi scalzi in una casa sconosciuta è
vuota, senza tende alle finestre? Mentre seduta sulla tazza controllava
l'arrivo di quel sintomo ematico ciclico che le confermava ogni volta che lei,
come tutte le altre donne, avrebbe anche potuto essere madre..?
Alfonso
nel sogno aveva perso i suoi modesti connotati, per prendere quelli del suo
capo, conservando però la sua dolcezza di sempre.
Si
era dunque regalato di sognare un uomo bello e insieme dolce che l'aiutasse a
diventare madre?
Ma
poi, a quel punto, si era messo a suonare il telefono.
Drin,drin, drindrindrin, drin,drin,drindrindrin…
Si
era precipitata per casa a piedi scalzi cercando il cordless.
Non
riusciva mai a trovarlo quando le serviva.
Aveva
dovuto lasciarlo suonare molto a lungo prima di poter accostarlo all'orecchio
dicendo con voce flebile: "Pronto?".
Quasi
garbato il suo capo le stava chiedendo, compunto e asciutto, di anticipare il
suo turno alle otto per una sostituzione improvvisa. L'aveva pregata usando un
tono gentile, ma fermo e deciso. Sempre così: vasellina quando chiedeva
collaborazione; muso duro quando dava ordini.
Sapeva
che non avrebbe potuto dire di no.
Infatti,
rassegnata, aveva risposto che avrebbe fatto di tutto per arrivare puntuale al
turno del mattino.
Una
doppia delusione. L'improvviso cambio di programma e, insieme, avere smontato e
ridicolizzato il suo sogno...
Guardò
rassegnata e scocciata i kilim che avrebbe voluto battere passando in giro
l'aspirapolvere.
Tornata
in bagno fece un sorriso sfottente all'immagine che la guardava nello specchio.
-
Cos'hai tu da
guardare con quella faccia?- si era detta.
- AL SUPERMAGASTORE
<<Avanti, dai! Continuo a girare fra le corsie,con il
carrello pesantissimo a sistemare la merce negli scaffali, a rimettere a posto
le lattine della birra finite in mezzo alla carta igienica, e le acque toniche
in mezzo ai pelati. Sempre portandomi dietro questa montagna di roba.
Questo turno però è più tranquillo, passa via più in
fretta. Però otto ore sono sempre lunghe.
C’è sempre qualcuno che ti guarda storto. O qualche
imbranato che non trova mai qualcosa.
Gentile, sempre, mi raccomando; gentile.
Quando esco, anzi, quando uscirò, devo passare a
prendere la bicicletta dal ciclista, così mi fermo da Enrica un momento. Deve
avere qualche cosa di nuovo da raccontare. Così sembrava dire il suo sms.
Speriamo qualcosa di bello. Almeno a lei. Che a me i giorni mi passano via
schifosamente monotoni.
“devi farti viva,tizi, l’oroscopo aveva
ragione?”>>
Tiziana
ha ripreso a spostarsi con il suo carrello stipato di una massa immensa di
merci. A volte le fa pensare a un cammello che aveva visto in Marocco, tirato
da un omino rugoso in grembiule blu da bidello e scarpe di gomma, per una corda
grossa che gli intrappolava il muso sgraziato e rassegnato, stracarico, che
sembrava dovesse schiattare a terra da un momento all'altro.
I
clienti sono ancora rari.
Qualche corsia più in là c'é un tipo bassetto, con gli
occhiali e un velo di barba. Ha i capelli molto corti alle tempie, forse per
non stonare con il cranio quasi completamente pelato.
<<La pasta è qui, sì, prendiamo le linguine…
Chissà perché mai, la forma piatta gli da un sapore diverso…
Come se la forma di un oggetto potesse influenzarne il gusto…
Boh; poi… cosa ho scritto qui? Due scatole di pompelmo; ah,
eccole qui le acque toniche… poi? Il caffè macinato per fare il caffè espresso.
Devo stare attento: non quello per la macchinetta. Lo si riconosce
dall’immagine sulla confezione. C’è sopra la manopola con la vaschetta per
metterci il caffè. Quell’altro invece ha sopra la moka.
Verdure da cuocere no, non ho voglia di stare a pulirle e
cuocerle. Prendo dell'insalata già pronta.
Ma sì, le albicocche le pesche sembrano ancora un po' acerbe,
vuol dire che le lascerò fuori dal frigo per farle maturare un po'. La frutta
mi conviene prenderla; è comoda perché è pronta da mangiare senza perdere tempo
con i fornelli; basta dargli una lavata.
Giusto, giusto, giusto. Eccolo questo qui….Meno male che l'ho
visto. Ho finito il detersivo per la lavastoviglie.
In questi immensi supermercati galattici c'è fin troppa roba.
Se cerchi un prodotto specifico non lo trovi mai. È confuso, mescolato e
nascosto in mezzo a masse infinite di marchi che non ti interessano. In
compenso la roba che ti trovi davanti può far venire in mente qualcosa che ti
serve e che non ti eri ancora annotato...
Se non cadi nella trappola che ti stanno tendendo, di crearti
dei bisogni che non hai…
Ho fatto bene a venire a quest'ora: non c'è quasi nessuno,
anche alle casse non dovrei perdere tempo...
C’era qualcosa però che mi stava venendo in mente, proprio
poco fa, che non avevo scritto sul bigliettino…
Eppure non riesco a ricordarmene… Finirà che dovrò rinfilarmi
in un altro supermercato... Boh, non posso mica fermarmi qui tutto giorno fin
che mi torna in mente...
Operazione conclusa; o, almeno, parzialmente
conclusa.>>
Federico
ora ha svoltato venendo dalla quarta corsia; si è appena infilato nella terza
corsia. Scruta per individuare le bibite. In fondo al corridoio è fermo un
carrello da cui una donna sta scaricando merci.
Esso
si muove lentamente. Dopo poco scompare. Per infilarsi nella quarta corsia.
Quella della pasta e del riso.
Tiziana
e scomparsa insieme al suo immenso cammello, come se formasse un'unica entità.
Le
formiche continuano i loro percorsi….
- AL CINEMA VIP
-<<Tutte le volte sono io la prima ad arrivare.
Poi mi dicono sempre che è perché io vivo da sola, che loro si perdono in
chiacchiere, in particolari, in sfumature: tiri fuori tu la macchina dal
garage? Dov'è che ha detto che va questa sera nostro figlio? Hai chiuso la
finestra del bagno? Ma vieni fuori con quel maglione li?
O, almeno, così me l'immagino il loro attardarsi...
"Tot capita, tot sententiae". Probabilmente
anche a me capitava così, una volta.
Ma non ho nulla da rimproverarmi. Nessun rimpianto.
Nessuna voglia di ritornare indietro.
Mi vado bene così, da sola.
Le ultime storie poi sono state davvero deludenti.
Discorsi a vuoto; tentativi di approccio malriusciti; voglia di portarmi a
letto per una scopata; gente senza sapore né senso.
Dai, ragazzi! Datevi una mossa che qui stanno
cominciando ad uscire. Sono già le dieci e cinque. D'accordo che c'è ancora
dieci minuti, ma c'è già la coda in fila per i biglietti...
Neanche questa che sta arrivando è la loro macchina...
No, è rossa; sì, è la loro; sono loro; finalmente sono arrivati.>>
Tiziana
osserva il cartellone del film che sta per andare a vedere.
“Dieci
inverni”. Il titolo richiama un meraviglioso Avoledo: “L’anno dei docici
inverni”. Ma non ha niente a che fare con esso.
Due
foto sono affiancate: un volto maschile e un volto femminile.
Una
Clio rossa, sta accostando al marciapiede. Un volto femminile sorride a
Tiziana, una mano dalle dita lunghe e affusolate, con le unghie laccate di
marrone, fa un cenno delicato di saluto.
Ora Tiziana osserva con un
sorriso leggero sulle labbra la portiera che si sta aprendo vicino a lei.
Respira calma e distesa; i suoi amici sono arrivati; insieme si metteranno in
coda per i biglietti; si diranno qualcosa sorridendo.
Dalle
porte di vetro spalancate defluiscono già, a coppie o a piccoli gruppi, gli
spettatori dello spettacolo precedente, mormorando pezzetti di commenti. Chi è
rimasto indietro raggiunge chi è già uscito.
Non
fa commenti e non dice nulla lo spettatore che sta uscendo da solo. Forse li
starà rimuginando dentro.
Si
passa le dita sulla barba corta. Poi fa un gesto per mettersi a posto i capelli
che non ha più sul cranio pelato. Senza motivo. Come fanno, a volte, le persone
da sole per darsi un contegno.
Ha
appena colto lo sguardo di sfuggita che gli è stato regalato dal gruppo dei tre
che stanno entrando.
Lei
è una donna abbastanza giovane, avrà una quarantina d’anni. Capelli corti.
Gli
altri due,un uomo e una donna, si tengono per mano; sono una coppia.
<< Niente di eccezionale, ma un modo come un altro per
passare un paio d'ore piacevolmente disteso. L’essenziale è che il racconto riesca
a trascinarti, portarti con sé…
Il trailer pubblicitario cercava di vendere il suo prodotto
come un film eccezionale.
Spesso sono montati bene questi brevi collages di sequenze.
Riescono a creare l'illusione di situazioni che poi nel film vero e proprio non
compaiono.
Pur essendo composti dalle stesse immagini ritagliate dal
film.
Sono le anticipazioni verbali delle trame, che compaiono a
volte su giornali o quelle richiamate col telecomando di sky, che spesso
prendono cantonate solenni.
Io penso che chi le scrive non ha mai visto il film ma si è
limitato a leggerne sommariamente un commento di seconda o terza mano.
Spesso si perdono con particolari assolutamente irrilevanti,
omettendo invece le uniche notazioni che potrebbero favorire la visione del
film ingolosendo lo spettatore.
Mi fanno venire in mente quel pistola del mio amico saggista
che mi assicurava che lui riusciva a recensire libri che non aveva mai letto.
Gli bastava, assicurava borioso, una "lettura trasversale". Che
consisteva, secondo lui, nello spulciare qua e là ad apertura di pagina...
Molto probabilmente i risultati non dovevano essere dissimili dai prodotti che
mi trovo davanti io quando cerco di conoscere il contenuto di qualche film.
“Dieci inverni” raccontava dieci momenti ambientati in
inverno, di dieci anni della storia di due ragazzi, una sorta di educazione
sentimentale dei due, dai diciotto ai ventott'anni, una storia d'amore
"congelato" (lei studia russo a Mosca).>>
Tiziana
con un sorriso sta parlottando a mezza voce con i suoi due amici mentre prepara
il contante per comprare il biglietto. È contenta perché sa che potrà
continuare ancora per qualche minuto a scambiare qualche chiacchiera con loro
prima che inizi la proiezione del film.
Poi
, appena nella sala piomberà il magico buio, potrà lasciarsi trascinare dalla
storia di immagini e voci, colorata di suoni… Come quelle finte canoe a
Eurodisney o a Gardaland che ti portano su un percorso obbligato; studiato
apposta per farti provare delle emozioni. È tutto già calcolato. Puoi star al
gioco e lasciarti andare, immedesimandoti nel percorso e nella vicenda. Puoi
entrarci dentro e sognarla. Il buio della sala te lo permette. Basta non
pensare a quando si riaccenderanno le luci e tu ritornerai al tuo tempo e alla
tua vita.
Federico,
fuori, ha già sganciato dal bagagliaio del sellino della moto il suo casco
integrale. Libera il cavalletto e preme il pulsante dell'avviamento. Il buio
illuminato della sera in città accoglie anche la luce del suo faro, e lo porta
via, ondeggiando con lui e cullando la leggera malinconia del dopo cinema da
soli...
- 1979
FEDERICO
<< L'ondeggiare dello scooter mi richiama, senza motivo
apparente, quello del vespino che serviva, alcuni decenni addietro, per chi
svolgeva compiti di staffetta, durante le manifestazioni...
In questo preciso istante, mi ritrovo di colpo a rivedere le
sequenze di molti prima...
Avevo appena iniziato a frequentare l'università a Milano. Mi
ero da poco iscritto a Informatica. Non erano più gli anni caldi come quelli
che mi avevano raccontato amici più grandi, quelli monopolizzati dal Movimento
Studentesco di Capanna. Con tutti i gruppi della sinistra
"extraparlamentare", armati ideologicamente e con i grossi bastoni
che sarebbero dovuti servire per gli striscioni.
Ogni gruppo allora aveva il proprio "servizio
d'ordine", i propri striscioni e volantini, i propri slogans e le proprie
parole d'ordine... Ricordo che andavano per la maggiore le canzoni di quel
compagno di Lotta Continua, di cui tutti sapevamo il nome, ma che firmava
"parole e musica del proletariato".
"Signor padrone, questa
volta, per te andrà di certo male, siamo stanchi di aspettare, che tu ci faccia
ammazzare. E i sindacati ci vengono a dire che bisogna aspettare, ma di lottare
non parla mai..."
"È cominciata di nuovo
la caccia alle streghe, il governo la stampa, la televisione, in ogni scontento
si vede uno sporco cinese, uniamoci tutti a difendere le istituzioni... Ma oggi
ho visto nel corteo tante facce sorridenti, le compagne 15 anni, gli operai con
gli studenti... Il potere agli operai, no alla scuola del padrone,...."
Quel clima del 68, che avevo mitizzato con i racconti epici,
l'ascolto dei 45 giri, quei canti di lotta così caldi e appassionati ma ormai
fuori contesto, avevano ormai costituito per me un background culturale, un
retroterra emotivo e passionale, un'atmosfera che invano cercavo di ritrovare
nelle piazze.
A volte capitavano ancora momenti alti del Movimento, in cui
si occupavano scuole e università; si occupavano le case; si occupavano spazi
dismessi per dar vita a Centri Sociali, alcuni dei quali sarebbero rimasti
famosi e avrebbero fatto storia...
A Milano non mi era mai capitato di notare come funzionassero
le "staffette" di collegamento all'interno dei cortei. Ma certo, date
le dimensioni e il numero altissimo dei partecipanti, esistevano modalità più
complesse ed articolate.
A Novara, ricordo, che c'era un compagno, abbastanza bassetto
di statura, che si spostava continuamente avanti e indietro dalla coda alla
testa del corteo per portare informazioni e dare indicazioni operative. Si
muoveva molto agilmente con un piccolo vespino azzurro. Allora non c'era ancora
l'obbligo di indossare il casco guidando motocicli e scooter. Talvolta il casco
veniva invece indossato dai "militanti". A Milano e nelle grandi
città nel '68 questo abbigliamento era stato privilegio dei servizi d'ordine. I
cui membri spesso venivano definiti con l'appellativo di Katanga, desunto dalla
popolazione dei katanghesi, dal nome della provincia
secessionista congolese dei primi anni '60 . Il servizio d'ordine aveva il
compito di far rispettare ai cortei i limiti di percorso imposti dalle forze
dell'ordine, evitando eventuali azioni violente e proteggendo i partecipanti ai
cortei da aggressioni esterne.
Ricordavo, in parte per averle vissute direttamente, in parte
per averne vissuto solamente l'atmosfera attraverso la narrazione, le
manifestazioni oceaniche nelle quali il movimento degli studenti, nonostante le
polemiche interne e fratricide, aveva imposto la propria visione del mondo e la
propria proposta politica all'opinione pubblica.
Era stato forse in uno degli ultimi comizi a Novara del
“fucilatore di partigiani”, come lo definivano i fogli di sinistra, e brillante
teorico della “difesa della razza” che ricordo degli episodi che mi rimasero
abbastanza sgradevoli.
In quell'occasione aveva ottenuto di parlare proprio nella
Piazza dei Martiri. Proprio quella in cui vennero trucidati dalle squadracce
alcuni partigiani novaresi.
Molti nostalgici dell'orbace e della camicia nera vi si erano
riuniti a manifestare inneggiando ai loro lugubri ideali. Gli impianti di
amplificazione portavano l'eco della voce stentorea del fascinoso ex gerarca. A
cui facevano eco entusiastiche ovazioni ed acclamazioni, con “Eja, Eja, Eja,
Alalà! ”.
Transenne e nutriti cordoni di forze di polizia impedivano
l'accesso alla piazza. Anche visivamente non era dato vedere quello squallido
assembramento; che nei suoi tempi eroici veniva chiamato adunata.
Ricordo che mi ci ero avvicinato provenendo dai portici di
via Rosselli, e avevo dovuto arrestarmi all'incrocio con via Ravizza, senza
poter proseguire oltre nei portici del Borsa. In quel punto esatto della via
Ravizza sostavano molte persone. Era improbabile che quelli fossero dei
sostenitori rimasti esclusi dalla partecipazione alla kermesse. Non
applaudivano mai per quanto ostentassero abiti eleganti e dignitosi. Ne
riconobbi uno, leader di uno dei nostri coloriti gruppi della sinistra
extraparlamentare della mia città. Indossava giacca e cravatta e un elegante
trence color bèige. Benché il tempo non minacciasse pioggia aveva le mani
coperte da eleganti guanti di pelle che reggevano un ombrello.
Quando i rumori dell'adunanza diedero a capire che c'era aria
di smobilitazione e di ritorno a casa, vidi l'elegante compagno cercare di
scalzare con la punta dell'ombrello sampietrini di cui era formato il fondo
stradale. E, con il suo accento toscano, lanciò ai suoi militanti che gli
stavano intorno la parola d'ordine: "Disselsciate; disselsciate...!".
Ci fu del trambusto per cui non riuscii a vedere se a quella
disposizione avesse o meno tenuto dietro il lancio di cubetti di porfido.
Venni spostato dal movimento di persone verso l'ultimo tratto
di via Rosselli antistante il teatro Coccia.
Intanto avevano tolto le transenne e i cordoni di polizia da
quel lato di piazza Martiri, dalla quale presero a defluire gruppi rabbiosi di
militanti fascisti.
Ebbi appena il tempo di vedere un tafferuglio, un movimento
concitato e ondeggiante, uno spintonamento di qua e di là, un muoversi
preordinato per una spedizione punitiva. Un notabile fascista locale era stato
raggiunto da una squadra di energumeni con e senza barbe.
Questi ultimi impugnavano come clave robusti bastoni porta
striscione. L'aggressione fu rapidissima. Ricordo appena di aver intravisto il
fascista bassetto e tarchiato che riceveva bastonate sulle schiena e sul capo.
Pochi istanti dopo lo vidi raggomitolato a terra che si copriva il capo con le
mani e le braccia. Poi un rapido fuggifuggi. Mi allontanai disgustato.
Avevo sentito risuonare il legno dei pesanti bastoni sulle
ossa e sul cranio dello sciagurato nostalgico. Come quello di un batticarne massiccio
che si usava in quei tempi per ammorbidire le bistecche. Colpi secchi e duri.
Come quelli che probabilmente erano echeggiati sui corpi dei socialisti e dei
comunisti che difendevano le case del popolo e i circoli operai ai tempi della
famosa Battaglia di Novara del 1922. In quell'occasione erano state radunate le
"squadracce" del nord Italia facendole tutte confluire nel novarese.
La provincia rossa. Erano state distrutte 52 case del popolo e circoli operai.
Distribuite infinità di randellate e bicchieri di "olio di ricino".
Ora era in nome di opposti ideali che venivano distribuite
bastonate su chi era l'erede della spedizione punitiva del fascismo degli anni
20. Era pur vero che negli scontri di piazza anche i neofascisti bastonavano e
sparavano. Oltre a mettere le bombe, come quelle di Piazza Fontana a Milano e
Piazza della Loggia a Brescia. E a partecipare ai tentativi di golpe e colpo di Stato creando focolai di <<strategia
della tensione>>.
Non condividevo assolutamente né l'ideologia che era stata
celebrata ufficialmente quel giorno nella piazza dei Martiri della Resistenza,
violandola e sporcandola, né, tanto meno, l'azione ugualmente squadristica di
chi in quell'occasione ed in altre analoghe propugnava ideali antifascisti con
metodi analoghi.
In quegli anni era stato conquistato per gli studenti
universitari il “presalario”, per garantire il diritto allo studio di chi non
aveva alle spalle famiglie ricche e possidenti.
La lotta politica del movimento degli studenti
consisteva prevalentemente nello studio e nel dibattito. L'azione prevalente
era rappresentata dall'occupazione di strutture universitarie e a volte anche
di scuole medie superiori. Il dibattito il confronto vedeva il coinvolgimento
del movimento dei lavoratori e delle sue forme di organizzazione: i partiti
della sinistra, i gruppi extraparlamentari, i sindacati.
"Studenti, operai uniti nella
lotta...", scandiva uno slogan molto ricorrente del movimento del 68. Il
massimo di coinvolgimento era avvenuto nei momenti caldi in cui i sindacati dei
metalmeccanici, uscendo dagli schieramenti interni ai tre sindacati
confederali, avevano dato vita ad una forza unitaria: l'F.L.M., federazione dei
lavoratori metalmeccanici.
L'altra modalità di intervento politico era
quella delle manifestazioni e dei cortei pubblici, che riuscivano a mobilitare
nelle grandi realtà urbane centinaia di migliaia di studenti e lavoratori.
Altra forma di lotta molto significativa, che
rientrava nella categoria della "pratica dell'obiettivo", cioè
dell'anticipare con la forma di lotta l'obiettivo che si intendeva con la
stessa raggiungere, era quella dell'occupazione delle case sfitte che venivano
occupate dalle famiglie che non potevano disporne.
Le forze rivoluzionarie della sinistra erano
organizzate in un mosaico di piccole unità autonome, definite in senso
dispregiativo “gruppuscoli”.
Il mio gruppo faceva riferimento alla testata de
il Manifesto,frangia uscita dalla costola del partito comunista italiano nel
1969 con l'espulsione in seguito all'uscita della pubblicazione periodica che
portava lo stesso nome. Il “casus belli” era stato determinato dalla presa di
posizione assunta dalla rivista che condannò l'invasione sovietica e del Patto
di Varsavia della Cecoslovacchia. Da quella espulsione e da quel nucleo sarebbe
successivamente nato il quotidiano omonimo e intorno ad esso si sarebbero
riuniti ex militanti comunisti e nuove frange provenienti dal movimento
cattolico. Ricordo quel quotidiano innovativo in formato tabloid che all'inizio
disponeva di una sola pagina. Mi avevano raccontato delle campagne di
diffusione davanti alle fabbriche e ad alcune chiese dopo la messa domenicale.
In quegli anni mi ero comprato un'auto che
sarebbe stata anche abbastanza simbolica di quell'epoca. Era l'erede della
gloriosa "due cavalli" della Cytroen, la vecchia "deux
chevaux". Con la mia Dyane 4 e i suoi modesti 402 di cilindrata, avevo
raggiunto l'oceano indiano nel porto di Bandar-e- Abbas, nell'estremo sud
dell'Iran allora ancora dominato dallo Shah di Persia Reza Pahlavi e dai suoi
temibili servizi segreti. Nella nostra pattuglia vi era anche una Renault 4,
che con i suoi 800 di cilindrata era stata quasi una ammiraglia quando,
superata l'interminabile strada che percorreva il nord della Turchia, con le
sue devastanti buche, avevamo raggiunto la catena dei monti Alborz, coronati
dal temibile Monte Damavand con i suoi 5671 metri.
In quel viaggio, in poco più di un mese, avevamo
macinato più di 20.000 km! Io ero partito che pesavo 85 chili; al ritorno ero
70! La madre della mia compagna di allora, quando mi aveva rivisto abbronzato e
smagrito, mi aveva detto: "ma t'é magar me n' pic!", ma sei magro
come la cima di una montagna. La mia modesta superutilitaria decappottabile e
molto molleggiata era tornata decisamente sfiancata da quell'estenuante
viaggio. Appena accendevo il motore si sentiva una vibrazione metallica
interna, come di valvole che stessero staccandosi. O almeno così io credetti.
Fui costretto a cambiarla.
In compenso invece, i compagni di viaggio che con
la loro lussuosa e potente 800 di cilindrata avevano potuto salire la catena
degli Alborz comodamente usando anche la seconda e la terza marcia, ritennero
che io avevo voluto snobbarli, poiché sostenevo che ero stato costretto a
seguirli sempre con la prima innestata. Anche per quel motivo, credo, dopo che
al ritorno ci perdemmo in prossimità di Istanbul, finimmo per perdersi di
vista.
Fu un viaggio terribile e affascinante insieme.
Compivamo tappe forzate di 400 /600 km negli
immensi deserti di sale e nel devastante panorama ruggine delle alture
iraniane. Tale era infatti la distanza che separava tra loro i centri abitati.
Nonostante il basso consumo della mia dyane azzurra ero costretto a portarmi a
bordo diverse taniche di benzina oltre a due ruote di scorta aggiuntive. Queste
ultime mi erano servite nell'attraversamento lunghissimo della strada della
Turchia, devastata da buche immense dai bordi taglienti, percorse insieme a noi
soltanto da immensi tir coloriti, luccicanti di lucine, che si annunciavano con
spaventosi suoni di trombe e clacson multitonali...
Viaggiavamo fino a 12/16 ore al giorno. La sera
ci buttavamo disperati in ristoranti all'occidentale, dove ci veniva ammannito
ogni volta un piatto unico di filetto di montone alla griglia, adagiato su
piatti di focaccia bruciacchiata. Tali piade, mi facevano venire in mente la
fame che racconta Virgilio nell'Eneide, quando i suoi eroi furono costretti a
mangiarsi le “mense”. Anche noi, affamati, mangiavamo voracemente i nostri
piatti di pane. Erano decorati con foglioline verdi, che solo successivamente
riconobbi come foglie di ravanello. Mi stupivo che si venissero servite le
foglie lasciando il ravanello nella terra.
Eravamo, poi, talmente disidratati, che
riuscivamo a bere infiniti boccali di acqua ghiacciata.
Un'oasi era stato il campeggio di Teheran, in una
periferia sconosciuta, immerso in una selva di alberi altissimi, in cui l'ombra
verde rinfrescava l'atmosfera in modo consistente.
Bandar-e-Abbas era un abitato squallido e
deserto; la temperatura superava di molto il 52°; il tasso di umidità era
altissimo; sul mare grigio e informe stagnava permanentemente una bruma di
caldo... Le guarnizioni di plastica rigida mi si erano fuse dopo un parcheggio
prolungato Le avevo strappate via come nastri mollicci e pendenti.
L'autista della Renault, vantava di essere un
ottimo sub. Era venuto anche con l'intenzione di fare pesca subacquea. Nonostante i nostri rari e occasionali interlocutori, incontrati
durante il viaggio, avessero tentato di dissuaderlo, parlando in inglese, con
risa sarcastiche accompagnate da gesti della mano a taglio, che mimava colpi
d'ascia su braccia e gambe...
Raggiungemmo una spiaggia desolata e vuota; il
caldo era decisamente insopportabile; entrammo in un'acqua torbida e calda; mentre
tornavamo alla spiaggia io scorsi a qualche centinaio di metri emergere dal
pelo dell'acqua il tipico triangolo della coda del pescecane...
Ciccio, così si chiamava il privilegiato autista
della Renault, non fece commento. E neppure ripropose immersioni subacquee.
Preferimmo puntare su una "gita
turistica" per raggiungere l'immensa isola di Qeshm, nello stretto di
Ormuz, di fronte alla costa meridionale dell'Iran.
E' l'isola più grande dell'Iran e del Golfo
Persico, rocciosa e arida, separata dalla terraferma da uno stretto di mare.
Toccò a Ciccio che conosceva molto bene
l'inglese, lingua esperanto in molti paesi del mondo, informarsi sugli orari
dei mezzi nautici a disposizione. Trovammo solo un barcone panciuto di legno,
senza alberatura, con un motore asmatico a nafta.
Fummo guardati con molto stupore dalla
popolazione locale che percorreva quel tratto di mare insieme a noi. Il centro
del ponte era stipato di una montagna di pacchi imballati con canapa e tela di
juta, che sostituiva l'albero e il corpo centrale della modesta imbarcazione.
Tutto intorno una trentina di uomini magrissimi dai volti scavati dal sole e
dalla salsedine e donne misteriose. Queste ultime avevano il colorito della
pelle quasi nero, il volto coperto da mascherine di legno e stoffa nera, dalle
quali sgorgavano sguardi nerissimi luminosi.
Da buon turista armai la macchina fotografica
accingendomi con un sorriso a immortalare le loro immagini. Un mormorio
indispettito, dinieghi con le mani, e con i volti scontrosamente girati dalla
parte opposta, mi convinsero che non potevo rubare le loro immagini.
Il gozzo, molto simile nel mio ricordo
all'immagine stilizzata delle caravelle di Colombo, a metà dell'attraversamento
era costretto da immensi cavalloni alti alcuni metri a salire in alto per poi
ripiombare giù. Il coro dei nostri compagni di viaggio accompagnava questo
altalenante ondeggiamento con degli: "oh oh oh oh oh..."; cui faceva
seguito un soddisfatto "Ooooh!" quando il barcone ripiombava giù.
Il cantilenante " oh oh oh oh; Ooooh!"
aveva insieme un sapore rituale ma anche propiziatorio. Ebbe anche funzione di
socializzazione. I nostri sguardi si incrociarono diverse volte con sorrisi
insieme solidali, spaventati e complici. In prossimità dell'isola molte donne
mi sorrisero indicando la mia macchina fotografica che portavo al collo;
annuendo quando videro che mi accingevo a riprenderle.
Seppi poi che si trattava di una popolazione di
cui ora non ricordo il nome. Scattai un'infinità di istantanee.
Nell'isola la temperatura sembrava ancora più
alta, come pure più alta la percentuale di umidità. Non c'era un filo d'aria.
Ci restammo inutilmente un paio di giorni durante i quali nessuno di noi
quattro riuscì a espellere un goccio di urina. Per quanto assumessimo ettolitri
di acqua ghiacciata.
Durante il viaggio di ritorno, chissà perché, mi
convinsi che la mia fotocamera non aveva scattato nulla, perché non avevo
ancora imparato a distinguere le due posizioni di un comando relative alla
regolazione automatica del tempo di esposizione. Credetti pertanto che il
rullino di diapositive avesse girato inutilmente e a vuoto. Lo usai per qualche
giorno per tenere aperto uno spiraglio nel tettuccio di telone della mia auto.
Infine, decisi di buttarlo via...
Insieme all'abbronzatura e alla perdita notevole
di peso, mi riportai a casa solo diapositive molto più comuni di bazar, deserti
di sale e montagne ruggini, ma nessuno di quei magici volti spaventosi e
affascinanti.
Per via della prolungata diuresi insufficiente,
mi riportai anche un calcolo renale di ossalato di calcio grande come una
mandorla, ma questa è un'altra storia...
Dalla moto ondeggiante che mi riportava dal film
dei 10 inverni, mi ero così rivisto il “film” mentale del ricordo di quel
viaggio assurdo e fantastico.>>
TIZIANA
<< Il freddo intenso di quella Mosca
congelata, come quella storia d'amore inconclusa e inconcludente. Il tempo dei
miei studi all'università. Un salto ancora più all'indietro fino a quando ero
alle elementari. Chissà perché proprio le elementari.
Forse anche perché, proprio adesso, guardando
l'ora, mi sono accorta che questo orologio che porto ora al polso, assomiglia
in qualche modo a quello che mettevo quand'ero bambina per andare a scuola.
Alcune delle mie compagne che potevano si
mettevano già al polso un orologio con aria molto civettuola. Erano regali
degli zii o dei nonni, oppure era l'orologio che la mamma o il papà o qualche
fratello maggiore non usavano più. Loro potevano ostentare un orologio “vero”!
Io, invece, non potevo disporre di simili lussi.
In compenso avevo trovato fra le vecchie cose di mio padre o di mia madre un
buffo orologino-giocattolo. Disponeva di cinturino, cassa e vetro; il pulsante
zigrinato per la carica e per spostare le sfere delle ore dei minuti, invece,
le muoveva tutte e due insieme. Le due sfere infatti erano saldate insieme e
nel farle muovere si spostavano entrambe, in blocco.
Mi faceva tenerezza che loro avessero voluto
indossare quel finto orologio, che andava continuamente rimesso a posto per
simulare la realtà. E per solidarietà con la loro infanzia povera come la mia,
me l'ero voluto mettere. Fin quando qualche compagna non aveva cominciato a
fare dell'ironia crudele.
Eppure quel vecchio giocattolo, che non era in
grado di segnare il tempo se non per gioco, assomigliava molto a quello che
portavo ora.
Non so per quale motivo, se per il ricordo degli
studi universitari o per l'orologio da bambina, comunque mi sono ritrovata a
ripercorrere quei giorni e quel periodo. Magari con la speranza involontaria di
tornare ad una dimensione temporale che era stata immune dalla misurazione
delle "macchine del tempo".
Così ora mi tornano in mente quei giorni sereni e
distesi.
Avevo avuto la fortuna di essere accolta in una
classe a tempo pieno. Andavamo a scuola sia al mattino che al pomeriggio.
Avevamo due maestri che si alternavano tra loro. In certi momenti della
giornata si fermavano tutti e due con noi, o per formare gruppi più piccoli
oppure lavoravamo tutti insieme guidati da loro.
I miei maestri erano un uomo e una donna e
andavano molto d'accordo tra loro.
Lui era un ometto abbastanza basso, né giovane né
vecchio, dal volto abbastanza pallido e dagli occhi azzurri. Non l'ho mai
sentito gridare o alzare la voce o minacciare, come invece facevano in genere
molti insegnanti dei miei compagni. Quando uscivamo per andare in bagno, a
volte si sentivano urla tremende uscire dalle aule che quasi sempre tenevano la
porta chiusa. Volavano anche parolacce qualche volta. Il maestro Carlo invece
era sempre calmo e gentile. Non che non si arrabbiasse mai, ma era controllato,
non dava mai in escandescenze. Insomma non ci faceva mai paura. Delle amiche di
altre classi mi raccontavano invece che a volte avevano rischiato di farsi la
pipì addosso, tanto erano spaventate nelle proprie classi.
Anche le maestre donne a volte strillavano in
modo isterico spaventando i loro bambini.
Carlo, se si arrabbiava restava zitto e ci
guardava; quando riprendeva a parlare usava un tono di voce molto basso; se per
caso facevamo un po' chiasso in quel modo eravamo costretti a starcene tutti
zitti, altrimenti non avremmo sentito nulla di quel che stava dicendo.
Invece di parlare per ore come facevano altri
insegnanti, lui parlava pochissimo, l'essenziale, presentava alcune situazioni
e poi faceva parlare noi. Lui si limitava per un po' a porre delle domande, a
guidarci, a fare il regista della nostra discussione. Qualche volta ci aveva
anche spiegato che per imparare davvero non bastava ascoltare e ripetere
infinite volte delle lezioni. Era molto convincente. A volte riusciva a farci
vedere come dai nostri errori o dalle risposte errate alle sue domande,
riuscivamo da soli a raggiungere la scoperta...
Avevamo in classe una gabbietta con dei criceti e
un'altra con delle tortore. Avevamo dei turni che seguivamo per accudire i
nostri animaletti, pulire le gabbiette, cambiare l'acqua, portare cibo fresco.
Naturalmente le bidelle non erano contente.
Non lo chiamavamo maestro, ma Carlo, e gli davamo
del tu. Come facevamo d'altra parte anche con i nostri genitori.
Su un vecchio tavolo posto in un angolo avevamo
anche un limografo, che consisteva in due telai di legno incernierati l'uno con
l'altro. Su uno era attesa una reticella di seta. Quando lo chiudevamo
mettevamo un foglio sotto la reticella, poi con un rullo spargevamo
dell'inchiostro grasso che prendevamo da un grosso tubo come di dentifricio, e
sul foglio si stampava una pagina. Ah, bisogna dire che sotto la reticella
veniva posta una matrice che avevamo inciso battendo a macchina senza il nastro,
oppure sulla quale avevamo scritto con una penna speciale, o disegnato.
Quei fogli servivano per il nostro giornalino e
per i libri che stampavamo noi. Gli articoli del giornalino erano delle specie
di temi che chiamavamo testi liberi. Con discussione e votazione sceglievamo i
migliori e ne curavamo sia la correzione che la messa a punto. Poi vendevamo le
copie agli alunni delle altre classi e alla gente che conoscevamo fuori della
scuola. I soldi che raccoglievamo ci servivano per comprare la carta, le
matrici, l'inchiostro e delle cose nuove e la contabilità la tenevamo noi controllati
dal maestro Carlo.
Era un uomo calmo e dolcissimo, severo e
amichevole insieme. Come avrei voluto fosse così anche mio padre!
L'altra maestra era cambiata diverse volte nel
corso degli anni della scuola elementare. Mi ricordo quella degli ultimi due
anni, quarta e quinta. Si chiamava Matilde, mi pare che venisse da Catania.
Aveva un accento diverso dal nostro e a volte non capivamo bene le parole. Lei
stessa si scusava, si diceva da sola che era una terrona, poi scherzava anche
sui difetti di pronuncia della nostra parlata novarese e piemontese. Con lei
facevamo matematica e scienze, attività motorie e musicali. Aveva una voce
bellissima e molto acuta.
La nostra canzone preferita era: "vento
sottile".
Diceva: vento sottile, vento del mattino, vento che
scuoti la cima del mio pino, vento che canti, che danzi , la gioia tu ci porti,
vento sottile.
La cantavamo a canone, appena un gruppo terminava
una strofa, attaccava l'altro e così via. L'effetto era magnifico!
Poi cantavamo altre canzoni molto belle e
semplici che non ho mai dimenticato e che canterò ai miei figli quando ne avrò.
Nel mezzogiorno c'era il servizio mensa; il cibo
era abbastanza scotto e insipido, ma lo mangiavamo lo stesso e intanto
chiacchieravamo a bassa voce con la maestra o il maestro. Specialmente con
Matilda poi facevamo degli studi sull'educazione alimentare, con letture,
esperimenti e reazioni, compilazione di tabelle...
Insomma lavoravamo tantissimo ed eravamo sempre
molto entusiasti. Raramente qualcuno di noi doveva venire rimproverato. In quel
caso non erano solo i maestri a doverlo fare, ma un po' tutti, e alla fine
anche il malcapitato riconosceva i propri errori e si scusava con tutti.
Una volta ricordo che Carlo arrivò al mattino
trafelato all'inizio delle lezioni. Aveva la faccia pallida e stanchissima, gli
occhi cerchiati. Gli chiedemmo se era malato.
Ci raccontò che era appena sceso dal treno,
tornando da un convegno a Roma con altri maestri.
Eravamo molto incuriositi e preoccupati per lui,
per cui lo invitammo a raccontarci tutto.
Col suo tono calmo e pacato ci raccontò che il
modo di far scuola che usava lui e anche Matilda, non erano merito loro. Ci
raccontò di un maestro francese che più di cinquant'anni prima aveva inventato
quel metodo di scuola attiva, che ora veniva seguito in tutto il mondo. I
maestri si trovavano periodicamente a proprie spese per discutere, imparare e
studiare. Alcune riunioni erano a livello europeo o mondiale. Mi pare che la
loro organizzazione si chiamasse Mouvement d'école moderne, e in Italia
Movimento di Cooperazione Educativa.
Eravamo affascinati ed entusiasti di avere dei
maestri che ci facessero divertire a studiare, aiutandoci a capire perché lo
facevano.
Nelle supplenze che ho fatto poi alle medie,
qualcosa del genere mi era capitato di incontrarlo, nelle classi a tempo
prolungato. Anche lì avevo incontrato insegnanti entusiasti e metodi di insegnamento
apprendimento improntati alla scuola attiva.
Di recente ho letto sul quotidiano e sentito in
qualche programma radiofonico o televisivo che tutta la scuola ha appena subito
una radicale riforma.
L'impressione che ne ho avuto è stata quella di
uno smantellamento di tutte le innovazioni che c'erano state nei decenni
precedenti, con una riduzione del tempo scuola, il ritorno al maestro unico. Il
ritorno alla scuola che avevano avuto forse i miei genitori o i miei nonni...
La mia esperienza di insegnante supplente
precario nella scuola media è stata abbastanza deludente e triste. Per
moltissimi anni non ci sono stati i concorsi per assumere nuovo personale. Ci
fu una notevole contrazione degli organici, con forte riduzione del numero di
insegnanti. In un'epoca di estrema precarietà del lavoro per tutti, quel
periodo da precaria nella scuola mi aveva lasciato la bocca amara. Essere
assunta in ruolo e a tempo indeterminato era anche il mio interesse.
Ma oltre e al di là dell'interesse personale sono
sempre stata convinta che la stabilità nel corpo docente, l'investimento nella
sua formazione, la consistenza del tempo scuola siano fattori essenziali per il
miglioramento della sua qualità.
E credo che il migliore investimento per
l'economia, per la società e per la qualità della vita del domani dipenda molto
da un forte investimento nella formazione e nella scuola.
Non penso che queste mie considerazioni siano
troppo influenzate anche dalla mia deludente carriera di insegnante. La scelta
che avevo fatto nell'iniziare il mio percorso universitario di scienze
dell'educazione andava proprio in questo senso.
Sono delusa e amareggiata profondamente dall'aver
dovuto rinunciare ai miei ideali e al sogno che avevo sempre avuto di poter
ricreare un'esperienza simile a quella che avevo vissuto con i miei maestri
Carlo e Matilda.
Chissà perché, a queste riflessioni mi ha portato
questa sera la visione dei "10 inverni", con gli studi universitari
dei due protagonisti.
Ora io faccio la commessa in un iperstore
galattico, grande cattedrale dei consumi e della solitudine. Non vedo l'ora che
termini la mia giornata di lavoro. Che prosegue eterna, monotona e tediosa.
Tranne i rari raggi di sole di quando faccio
qualche incontro o scambio due parole. Uno di essi è rappresentato
dall'apparire tra le corsie del mio bizzarro vecchio profeta, con la sua aria
da artista e da professore...
“- Enchanté – sapevo che
le avrei detto stringendole la mano – che piacere incontrarla!-Oppure anche uno
sguardo sorpreso immobile, in sur-place, in attesa della riconferma nel suo
della mia spettativa. Oppure
- Encantado! Come va? – non avevo ancora deciso se le avrei
dato del tu o del lei.
Poi il discorso si sarebbe dipanato via, speravo, senza
intoppi. Senza mostrare le extrasistole impazzite che mi costavano.
Mi ritrovavo a inseguire sequenze di molto successive.
Ciascuna di esse aveva ormai già preso una strada diversa.…
Se il clima emotivo avesse avuto la temperatura che mi
attendevo potevo arrivare molto oltre…
-Scende a Magenta? Le avrei chiesto?che ne dice se venissi a
rapirla (o a rapirti?), diciamo tra un paio d’ore per portarla in un ristorante
favoloso…
… Sì, ne ho una serie molto ricca, c’è solo da scegliere,
in base ai gusti…
… Questa è la mia casa; ci passo qui il tempo a scrivere,
a fare congetture, a inventare la realtà, a sognare il mondo possibile, a
seguire le mie allucinazioni raccontandole…
Mi avrebbe detto con gli occhi che avrebbe preferito fermarsi
la notte con me? Fare un atto trasgressivo, come capita nelle storie d’amore?
Avrei insistito per riportarla a casa, per non sciupare il momento, per
differire l’attesa prolungandola, per ingigantire all’infinito la magia…?
Molte volte era avvenuto così. Si viaggiava sospesi a
mezz'aria, nell’infinita magia estraniante. Diventando all’improvviso un’altra
persona che stavamo a guardare dal di fuori mentre recitava la sua pièce, alla
perfezione. Quante donne mi avevano poi detto che gli approcci e i primi
momenti erano stati perfetti, stregati e magnetici…?”
- PENDOLARI
“Si invitano i signori viaggiatori a non oltrepassare la zona
delimitata dalla linea gialla”. L’abbiamo capito, è inutile che tu lo ripeta
come uno spot pubblicitario. Ed ecco che Trenitalia, dopo poco depone con breve
cigolio il materiale rotante sulla banchina del binario quattro.
Mi accingo quindi a salire con gli altri signori clienti.
Qui c’è un posto nel senso di marcia. Mi siedo.
Non ho ancora tirato fuori il manifesto e scorgo che sulla
poltrona di fronte a me c’è una figura famigliare.
Da mesi avevo notato quella figura apparire, saltuariamente,
nei miei viaggi. Ma mai così in primissimo piano.
Una delle prime volte doveva essere stato a dicembre.
Rivedo la sequenza come fosse ora.
La sua massa immensa domina lo scompartimento, mentre cerca
con lo sguardo un posto adatto a sedersi. Con leggere occhiate indaga chi
occupa gli altri posti. Sembra voglia scegliere qualche volto o qualche
tipologia di viaggiatore in particolare.
Indossa una immensa mantella nera, fermata al collo con
alamari e ganci metallici. Una mantellina ricopre le spalle del nero mantello,
scendendo fino a sotto le scapole.
Porta un cappello a larghe tese color grigio-fumo. Ricorda i
cavalieri misteriosi dei western all’italiana.
Ha uno sguardo attento come quello di un entomologo che
studia i particolari più minuti. Lo muove intorno con discrezione e garbo. Se
incontra altri sguardi non mostra spudoratezza o insistenza, spostando altrove
l’attenzione, con una traccia appena percettibile di sorriso.
Ha occhiali finissimi con lenti fotosensibili. Appena salito
erano scure come quelle di occhiali da sole. Ora hanno già perso completamente
il colore e hanno solo lievi riverberi iridescenti.
È un gentiluomo d'altri tempi, sopravvissuto ad altre
catastrofi. Mostra un'età difficilmente definibile, tra i quarantasette e i
settant'anni.
Cerco di non farmi sorprendere mentre lo osservo.
Si è tolto il copricapo che ha posato su un ginocchio,
infilandocelo, come su un portacappelli.
Tiene il mantello ripiegato come un immenso playd nel posto
libero accanto a sé.
Le perlustrazioni periscopiche compiute con estrema
discrezione hanno lasciato il posto ad una pensosità quasi assorta.
Guarda fisso per brevi periodi in punti fermi, per poi
spostare il fuoco un po’ più in là. Segue certamente un suo percorso mentale
interiore, che mescola e sovrappone alla realtà circostante.
Cerco di scoprire quali sono gli oggetti della sua
attenzione. Di frequente noto che osserva chi gli sta di fronte.
Quando ci accingeremo a scendere potrò vedere che ci stava
una persona comunissima,una donna molto magra. Gli zigomi pronunciati
sorreggono uno sguardo immenso e vuoto. Proteso verso una galleggiante
malinconia.
Nel corridoio finisco per sfiorarlo mentre rindossa il suo
abbigliamento. I nostri occhi si incrociano di sfuggita. Il leggero sorriso che
leggo sembra intenzionale. Lo ricambio.
Ho sentito che qualcuno come me l’ha notato da tempo; ne
percepisco sfumati e sordi commenti cauti. Lo chiamano “il professore”.
Così ho preso l'abitudine ogni volta che salgo sul treno per
Milano di curiosare se c'è anche il professore.
Oggi porta una giacca sahariana color panna e un cappello di
panama. Siede proprio di fronte a me.
Ci siamo ormai abituati a scambiarci leggeri e sfumati
sorrisi d’intesa. Come saluti.
Anche oggi gli ho visto estrarre uno smartphone argentato,
sullo schermo del quale scrive con rapidi colpi di scalpello con una pennina
nera.
Ogni tanto, nelle pause di scrittura, rimane fisso a guardare
oltre la realtà trasparente con aria assorta.
Dopo avere a lungo digitato, ad un certo punto ha riposto la
pennina nell'apposita guaina del suo smartphone.
Ha mosso lentamente lo sguardo intorno a sé. Poi, con un
accenno di sorriso negli occhi, mi ha rivolto la parola. Come continuando un
suo discorso interiore, ha soggiunto:
“… la lettura
e la scrittura possono assomigliare a una cena succulenta, a un sonno
meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore.
… Scrivere può anche essere
un grande atto d’amore.”
- Cosa ne pensa di queste affermazioni? -
E’ la prima volta che mi rivolge direttamente la parola.
Sinora avevamo comunicato soltanto a cenni d'intesa e a sguardi.
Sono rimasto leggermente imbarazzato. Preso alla sprovvista.
Mi sono limitato ad un cenno di assenso compiaciuto.
- Magari la prossima volta che c'incontriamo potremo
scambiare due chiacchiere sull'argomento non le pare?- Ha aggiunto.
Anche
oggi, Federico e il professore si sono scambiati un sorriso d’intesa,
accomiatandosi mentre scendono dal treno. Ma più caloroso del solito. Si sono
addirittura parlati e salutati.
Sotto
l’immenso hangar della stazione Centrale.
Anche
dopo la pulizia che è stata fatta alle lastre di vetro essa conserva una
penombra da orto botanico e da giardino d’inverno.
Le
banchine sono pullulanti di schermi che diffondono assillanti e inascoltabili
messaggi pubblicitari. È tutto un brulicare di presenze che scorrono via
dilagando ciascuna verso una sua destinazione, una sua fretta da soddisfare, un
suo scopo e una sua meta da raggiungere.
Con
falcate lente ma possenti, il gigante molleggiato si allontana deciso verso le
scale mobili e i tapis-roulant che sprofondano nel gorgo verso la
metropolitana.
È
come trovarsi su ampie e irregolari dune di sabbia dove siano scavate voragini,
pronte ad inghiottire verso il centro della tana del formicaleone, la
metropolitana, che attende con i suoi vagoni intermittenti le formiche
sciamanti a passi rapidi.
Federico
lo ha subito perso di vista e raggiunge il suo treno della linea rossa che ha
appena spalancato le porte, fagocitandolo insieme ad altre presenze assenti,
che si stanno disperdendo sotto il tessuto connettivo sotterraneo della
metropoli leghista.
E rimangono
nella testa a turbinare e a ronzare le parole un po' strane, ma affascinanti
che ha appena ascoltato:
" …scrivere è come una cena succulenta, un sonno
meraviglioso, un sogno infinito…. può anche essere un grande atto d’amore….”
Gli
risuonano con la voce baritonale che ha appena ascoltato, con quella
inflessione cadenzata abituale nella sua città.
Gli
rimbalzano dentro come quelle frasi musicali che continuano ad echeggiare nella
memoria, reiterate e insistenti.... sentite per caso e che continuano a fare i
loro ritornelli nel nostro cervello…
Un
po' per volta ne intuisce e ne sente il senso e il significato. Prima ancora di
aver formulato pensieri logici.
- PERDERSI TRA GLI
SCAFFALI
<< Si, devo proprio riprendere ad andare in piscina. È
proprio un'idea magnifica. Era un po' di tempo che mi sta rimuginando in testa
. E invece ho continuato ad accantonarla e a metterla da parte.
Metto il costume intero, è meglio.
Il tempo solo di passare da casa a prendere la sacca,
l'accappatoio e le ciabatte. Il costume me lo infilo sotto e porto il cambio di
biancheria nella sacca.
Non ho per niente fame.
Al massimo posso andare a mangiare una pizza quando esco, no?
Oppure può andar bene uno yogurt e un po' di frutta prima di
andare a dormire.
Si, forse è meglio così.
Queste scatole di candeggina per adesso le appoggio qui, devo
prima far un po' di posto ...
Ecco fatto.
Toh, chi si vede! Il cavaliere dell'apocalisse! Con la sua
spolverina di pelle scamosciata e il cappello da cowboy. Ogni tanto
ricompare...
Ogni tanto chiede aiuto per cercare qualcosa...
Mi sa che anche questa volta sta venendo proprio da me...
Non mi è antipatico; è un personaggio strano ma
affascinante...
Lo lascio curiosare tra gli scaffali...>>
-
Sarebbe così gentile, la prego, di indicarmi dove posso trovare il lievito di
birra, quello in panetti, non quello liofilizzato in polvere... Mi scusi se la
disturbo...-
-Ma
si figuri, certamente…dunque... solo che non è qui, in questa corsia, è...
diciamo... tre corsie più in là, vede? Allora, il lievito di birra in panetti
dovrebbe trovarlo circa a metà, sulla sinistra...-
-
L'avevo quasi immaginato che non dovesse trovarsi qui in mezzo ai detersivi...,
ci sarebbe stato molto a disagio, credo; sa, io mi trovo meglio con il lievito
in panetti che con quello in polvere per fare il pane... Ma esistono diverse
scuole di pensiero... non vorrei entrare in conflitto con la sua opinione
personale... -
-
Ah, io non ho proprio idee in proposito, non ho mai fatto il pane in casa.
Anzi, le confesso che di pane non è consumo quasi mai. Qualche cracker... -
-
Certamente, anche se non credo proprio che lei abbia bisogno di stare a
dieta... Chissà perché ma tutte le donne sono sempre a dieta... tranne quelle
che ne avrebbero bisogno... alcune addirittura stanno per cominciare una dieta
da... settembre... Mi permetta un'opinione personale: lei sta già meravigliosamente
così.
Perdoni
la confidenza, ma a volte mi piace scambiare due parole con qualcuno che mi
ispira... Anche su argomenti così poco profondi come il lievito di birra…-
-
Non è assolutamente un problema! Sapesse che noia passare otto ore qui; spesso
con gente polemica o sgarbata; è un piacere anche per me scambiare due
chiacchiere con persone che lo meritano...E poi non è la prima volta, mi pare,
che lei mi chiede qualche consiglio… -
- È
vero, lei è proprio la mia guida… La mia Beatrice in questa bolgia di scaffali
e di prodotti sconosciuti ed autoreplicantesi... Mi sento proprio in obbligo
con lei… Se non si offende le confesso che avevo in serbo una proposta, pudica
e castigata, stia sicura. Non mi mandi al diavolo, ma avevo in mente che
qualcuna delle sere prossime… cioè voglio dire che darò una cena a casa mia.
Non una di quelle cose galattiche tipo party, poche persone significative…
magari con una sorpresa… Io gliela butto lì, così… Veda lei…. Non intendo farle
delle avances, vedrà lei stessa... -
Tiziana
sorride sorpresa e compiaciuta.
Parlottano
ancora un poco a mezza voce. Lui la rassicura che non si tratta di una cena
intima, a due...
-
Peccato - soggiunge lei volendo mostrarsi gentile e per nulla disturbata dalla
bizzarra proposta.
Poi
lei svuota la scatola che aveva posato a terra, sistemando negli scaffali le
bottiglie di plastica verde della candeggina gentile. Gentile un cazzo,
borbotta dentro. Mentre la palandrana svolazzante in stile Sergio Leone si
allontana lentamente sormontata dal cappello a larghe tese , dal quale escono
arricciati ciuffi grigio-argentati.
Ancora
per poco lei potrà vederlo aggirarsi nel labirinto di corsie e scaffali.
Trascinandosi dietro il cestino con il manico lungo e le rotelle, nel quale
butta alla rinfusa qualcosa ogni tanto. Guardandosi intorno con circospezione e
interesse.
Alla
cassa potrà manifestare solidarietà ad una immensa cassiera matronale per il
suo noioso lavoro, strappandole un sorriso da conservare sino a fine turno...
“- Ma buonasera!- dicevo
prendendo delicatamente una sua mano nelle mie – lo sa come fanno in Giappone
le presentazioni?- e le avrei fatto scivolare nella mano morbida il rigido
cartoncino rosso verticale. Che avevo tenuto pronto, con i sui angoli acuminati
e taglienti…
- Ah, certo – mi avrebbe sorriso imbarazzata – io non ce
l’ho. Posso chiamare il suo cellulare così le rimane il mio numero?
- Perdoni la mia invadenza, ma credo di aver proprio bisogno
di parlarle. Ho intenzione di usare la sua immagine per un mio racconto, sempre
che lo permetta, naturalmente. Gliela posso prendere in prestito? Sarò delicato
e discreto, non dubiti.-
Avrei anche potuto convincerla a venire fino a Novara,
promettendole di riportarla a casa con la mia auto.-
(O stavo già correndo troppo?)
- IL SEGRETO DEL PROFESSORE.
Federico
è salito. Il professore ha appena preso posto. Appena lo vede gli fa cenno con
uno sguardo perché si sieda accanto a lui.
Per
qualche secondo nessuno dei due dice niente.
-
Erano di Daniel Pennac quelle espressioni dell'altro giorno sullo scrivere e il
leggere.. Ma immagino che le avrà riconosciute... -
Poi
è Federico che con voce leggermente titubante butta fuori la domanda sulla
quale ormai rimugina da mesi.
- Forse potrò sembrare indiscreto, e in tal
caso la prego di non rispondermi. Le ho già raccontato, mi pare, qualche volta,
che tipo di lavoro io faccio e perché due o tre volte la settimana sono
costretto ad andare a Milano. Lo so, non è un lavoro come un altro. Preparo
siti e blog, addestro a fare l’amministratore e insegno le regole del gioco:
come si fa a
postare inviando messaggi, come aprire delle thread di discussione, su
vari topic, come guardarsi dai troll che disturbano il blog, bloccare le (o
gli?) spam….
Devo
andare a contattare personalmente i miei clienti, portando con me il mio
prodotto, che sto confezionando, e che tengo qui dentro nel mio portatile.
Qualche
volta mi sono domandato cosa ci facciano altre persone sul mio treno. Mi facevo
delle fantasie, così. A volte era anche facile indovinare. A volte le mie
fantasie e congetture mi appagavano abbastanza. Voglio dire che poteva non
fregarmene nulla delle storie personali di qualcuno.
Ma,
confesso, che non sono mai riuscito ad appagarmi delle ipotesi che riuscivo a
formulare sul conto di qualche personaggio speciale.
Non
voglio farla ridere raccontandole le fantasie che a volte mi sono raccontato
quando vedevo lei. Sì, lei. Può darsi che possa stupirsi di queste mie
confidenze e di questo mio gioco mentale. Ma non escludo che anche lei ci si
possa essere divertito a fare questo gioco...
Il
professore guarda in modo attento il suo interlocutore. Per niente disturbato o
indispettito. Piacevolmente sorpreso e incuriosito forse. Poi, senza
convenevoli, entra subito nel merito della domanda. Come se l'avesse aspettata
da tempo. Come se si fosse già interiormente preparato alla risposta. Come se
avesse un grande bisogno di rispondere.
-
Beh, è una
storia lunga da raccontare. Se ha pazienza e se non arriviamo a destinazione
prima…
Tutto è cominciato diverso tempo fa. Una sera stavo tornando
da Milano. Intendevo prendere il treno delle 17.50 da Porta Garibaldi.
Abitualmente i tabelloni tardavano ad annunciarlo fino
all’ultimo momento; pochi minuti prima
che arrivasse sul binario.
Invece, stranamente, rispetto al solito, il treno era già
pronto al binario sette.
Però nell'ampio spazio aperto alla testata dei binari, sotto
agli immensi tabelloni neri che annunciavano i treni in partenza, indugiava
ancora una nutrita massa di persone in attesa.
Stranamente nessuno si affrettava a salire, nessuno si
assiepava lungo il binario…
Attraversai quella folla perplessa e parlottante ascoltando
frammenti di conversazione.
-... perché c'è un'interruzione a Magenta...-
-... pare che qualcuno sia andato sotto il treno, devono
aspettare il procuratore della Repubblica... –
- ... ma, non si è capito se si tratta di un incidente o se
qualcuno ci si è buttato apposta...-
-... coi tempi che corrono niente di strano che possa essersi
trattato di un suicidio...-
Lì per lì non fui particolarmente toccato da quello che
sentivo. Ero ancora tutto dentro nei miei pensieri precedenti, a cose dette e
sentite che mi avevano arricchito, fatto star bene.
In genere ho sempre avuto come una difesa nei confronti di
episodi di violenza e di morte in cui mi sono imbattuto. Una forma di
autodifesa, di corazza protettiva. Uno scafandro contro il dolore e la
sofferenza.
Un'immagine mentale sfocata mi mostrava divise blu e azzurre
di poliziotti che tenevano a distanza uomini e donne curiosi che allungavano il
collo per guardare morbosamente più in basso tra i binari.
Al binario sette, sentivo il brulicare dei commenti dei
pendolari in attesa. Sentivo il serpeggiare dei lampi elettrici delle loro
scosse emotive. Sentivo la preoccupazione, il disappunto, il disagio, il
turbamento, la paura...
Ma non ne venivo contagiato; passeggiavo come sempre in mezzo
alla folla oggi più irrequieta del solito.
Un nuovo annuncio borbottò qualcosa e l'onda pendolare si
orientò verso il binario. Dapprima solo qualche persona isolata, poi come per
contagio, tutti vennero trascinati e ci fu un formicolio di passi affrettati,
di mani con borse, di parole e di sguardi...
Mancavano pochi minuti alle 17. 50. Anch'io mi determinai a
raggiungere l'onda prendendo posto su una carrozza. Come sempre era uno di quei
treni Vivialto a due piani; mi sedetti in un posto libero nella corsia di
destra nel senso della marcia.
Ero immerso più di prima nel parlottio generale, percependo
soprattutto il disagio per il probabile ritardo.
Alle 18.15 circa un altro annuncio invitò i passeggeri di
quella corsa a raggiungere il passante ferroviario dove un altro treno in
ritardo ci avrebbe permesso di raggiungere prima Novara e Vercelli.
Nuovo formicolio brulicante che si spostava e raggiungeva la
banchina del binario uno della sotterranea. Come anche lei certo sa il percorso
dalla stazione ferroviaria ai binari del passante è abbastanza tortuoso. La
massa si spostò con passi affrettati e rapidi.
Una guardia giurata intratteneva con spiegazioni gruppi di
persone accanto al marciapiede, dove era fermo un treno.
Seguii le poche persone che si affrettavano a salire e mi
sedetti nuovamente sul lato destro dove era ancora libero un posto. Per un
meccanismo di automatismo ripresi lo stesso posto circa che avevo occupato poco
prima sull’altro treno.
Di fronte a me una donna magrissima, quasi anoressica,
parlava di ricette di cucina con tono confidenziale con un uomo sulla
quarantina, basso e con il volto largo. Si scambiarono pareri e consigli quasi
ad esorcizzare il ritardo e quella persona che giaceva ancora disfatta tra i
binari.
Sentivo i loro discorsi in sordina mescolati e confusi con
frammenti di altri.
Provai a curiosare le notizie asciutte e stringate dal
quotidiano generalista a diffusione gratuita che avevo appena raccolto dal
contenitore. Poi, come ero solito fare, estrassi il mio smartphone, lo avviai e
mi accinsi a scrivere con la pennina nera di plastica rigida.
Buttavo giù in fretta degli appunti che avevo immagazzinato
mentalmente, prima di perderli del tutto, come a volte mi capitava.
Come era spesso mia abitudine, mi bloccavo ogni tanto nella
ricerca della parola o dell'espressione più appropriata. E lo facevo tenendo lo
sguardo fermo nel vuoto.
In uno di questi miei sur-place linguistici notai con la coda
dell'occhio e sulla corsia di sinistra, due posti più avanti: una giovane donna
guardava nella mia direzione.
Trattenni pochi secondi lo sguardo su di lei, tanto da
fotografarne l'immagine. Aveva i capelli biondi corti, un ovale armonioso con
due occhi a mandorla che sembravano proprio guardare verso di me.
Più volte distolsi lo sguardo. Appena mi sollevavo dal
piccolo monitor percorso dal mio pennino, ritrovavo quello sguardo puntato,
fisso, dolcemente provocatore, gentilmente offerente la luce del suo guardare.
Mi accertai con noncuranza che non fosse rivolto a qualcuno
alle mie spalle.
Mi venne in mente la scena di Chaplin. Sa, quella in cui una
donna bellissima sorride all'omino in bombetta e canna di bamboo. E lui
ringalluzzito e ottimista ricambia il sorriso mentre lei sembra andargli
incontro... fin quando scopre che lei sorrideva a qualcun altro che stava
dietro di lui..
Ma nessun volto o persona emergeva dietro la mia poltrona.
Ci fu una lunga sosta. Borbottii diffusi di insofferenza. Lo
sguardo di mandorla mi lanciò una nuova gradevole sciabolata con un sorriso
ampio, profondo, compiaciuto, complice. Cercava la mia complicità per lamentare
la nostra comune impazienza, ma dicendo, nel contempo, che avevamo qualcosa in
comune oltre quell'impazienza: i nostri sguardi e quel sorriso ampio, profondo,
infinito, pudico e sensuale insieme, dal quale riuscii a strapparmi solo a
fatica.
Mi riimmersi negli appunti che stavo compitando; forse per
non sembrare invadente. Ma quello sguardo continuava a lambirmi, lo sentivo con
i sensi e me lo ritrovavo davanti ogni volta, anche se riuscivo a sfuggirgli.
Ne percepivo il profumo intenso e gradevole, come un regalo immeritato. Era
troppo dolce e piacevole per rischiare di perderlo a causa della mia
improntitudine o sfacciataggine nel ricambiarlo troppo intensamente. Preferivo
lasciarmi ogni volta riconquistare correndo subito via. Era sempre avvenuto
così nella mia vita: le esperienze significative di incontri con donne
importanti mi avevano visto predato anziché predatore. Anzi, le volte in cui
avevo cercato di catturare interesse femminile, avevo sentito come un sordo
fastidio di rimando; era come se i miei approcci risultassero maldestri,
inficiati da un inespresso "bisogno" che finiva per influenzare
negativamente l'oggetto dei miei desideri.
Sentivo nell'aria qualcosa di magico provenirmi da quello
sguardo a mandorla, sentivo vibrarmi dentro un bordone monofonico, un basso continuo che faceva da sostegno armonico di
accompagnamento al mio stato d’animo. Era una dimensione che avevo
già provato altre volte ed ero magicamente influenzato da quell'aspettativa che
presentivo soltanto, con l'intuito. Era una nota lunga, persistente che
prendeva giusto sotto lo sterno, che fluttuava, dominante, che sentivi
destinata a durare. Che determinava il tempo e lo spazio. Che avrebbe
condizionato, modificandolo, il flusso dei giorni...
Me ne restavo pertanto come inamidato, sospeso e perplesso,
incerto.
Per lunghe sequenze di brevi istanti cercai di sfuggire
intenzionalmente quello sguardo, ma lo sentivo là pronto a carezzare. A
carezzare me, proprio me, solo me; ma me l'ero forse meritato?
Cercai di esorcizzare la speranza accostando
quell'impressione a esperienze precedenti. A quando mi ero lasciato trascinare
nel gorgo seduttivo da altri magici sguardi. Alle amare esperienze che ne erano
susseguite. All'amara delusione di essere stato oggetto di concupiscenza
interessata.
In un flash mi raccontai la storia di quell'architetto
settantenne che aveva lasciato la moglie per una giovane polacca che gli aveva
fatto credere di essere innamorata di lui. E che lui poi aveva anche sposato.
Dalla quale aveva avuto una figlia. Per la quale aveva comprato una casa in
Polonia.
Quando lui, diversi tempo più avanti, aveva suonato alla
porta di quella casa, non riuscendo ad aprire con le proprie chiavi, ci aveva
trovato inquilini abusivi della famiglia di lei.
Alle sue rimostranze l'aut-aut della sua bella sposa:
"Se ti va è così; altrimenti la bambina rimane con me e non la vedrai mai
più!" Gli aveva sibilato quella giovanissima e affascinante moglie dagli
occhi di ghiaccio.
Il tempo, intanto, si stava arrotolando su se stesso
impercettibile e rapido. In una manciata di attimi lunghissimi e brevi il treno
si stava ormai avvicinando alla prossima fermata di Magenta. Lo sguardo intenso
si era alzato, girato verso di me, lo sentivo, l'aspettavo.
Cercai di nuovo il suo volto: mi fece un sorriso profondo,
intenzionale, ricco di significati, sospeso nell'aria come una nota fissa
persistente.
-Salve! Buona sera!-
-Buonasera, ciao...-avevo ribattuto attonito e spaventato,
affascinato e perduto.
Ma era dunque possibile che quegli occhi cercassero proprio
me, in quel giorno e in quel momento, me che non avevo niente da regalare, se
non l'attesa di una speranza extrasistole?
La stazione di Magenta con il suo sangue e il suo lutto, era
sfilata via indifferente, assente e improbabile.
Partenze sincopate
e arresti a singhiozzo
le milonghe ritmate,
tachicardioniria
extrasistolizzate
nel carosello pazzo
di avvii e fermate
coazione a sognare.
Sul velario mentale
un sorriso
” ... Fin quando riuscivo
a scorgere la sua figura alta, coi capelli biondi corti, l'ovale ampio, gli
occhi allungati a mandorla...
E tutto si fermava, restava sospeso in sur-place per alcuni
infiniti e interminabili secondi surgelati, immobili come l'eternità. Come il
fermo immagine in moviola. Come soffermarsi soprappensiero su un'idea
improvvisamente arrivata. Come morire per qualche istante.
E tutto poi riprendeva a muoversi normalmente, con la
naturalezza che solo il pensiero e il cinema possono regalare. Un improvviso
arresto cardiaco che precedeva il battito disordinato extrasistole, e un
frenetico tamburellare cadenzato, con accelerazioni impossibili.
La gente fluiva dalla piccola brutta stazione, come l'acqua
di un torrente sfiorando un masso immobile posto lì davanti. Cercavo di uscire
dalla mia immobilità, formulavo pensieri balbettatati, che cercavo di
riordinare e ricomporre. Il torrente fluiva sfiorandomi mentre la mandorla di
uno sguardo mi si avvicinava inesorabilmente. Quando il suo sguardo era a pochi
passi mise a fuoco la mia presenza con aria compiaciuta. (E se fosse stato con
aria irritata e con disappunto?).
La mano che frugava nella tasca della stessa giacca di
fustagno, afferrava il bigliettino da visita rosso dagli angoli pungenti. Si
allungava invitando la sua, accogliendola, trattenendola con dolcezza e garbo,
gustandone il tepore.
"Ah, abita qui?"
"Sì, sono di Magenta, io. Eeeh ..." senza finire di
chiedere che cosa ci facevo io lì.
"Vedevo che qui avete un discreto parcheggio; a Novara è
impossibile lasciare la macchina. Sono costretto ad andare alla stazione a
piedi o in moto... e non sempre è la cosa migliore..."
(ma stava in piedi una cazzata del genere?)
"Che piacere ..." avrebbe potuto dire mentre
insieme ci saremmo scostati verso le auto parcheggiate.
"E sono venuto... per accompagnarla a casa...
naturalmente"”
- SOSPESO A MEZZ’ARIA
Fino a Novara ero rimasto sospeso a mezz'aria sospinto da
soffi di venti opposti.
Da quando ero salito nella carrozza quegli occhi mi avevano
carezzato, cercato, sorriso, salutato... Ma perché? Che senso aveva tutto
quello? Era una donna giovane e attraente, bellissima, perché aveva dovuto
poter guardare e cercare me? Da troppo tempo non ero avvezzo a quelle
situazioni. Spesso mi era venuto a volte all'improvviso di attaccare discorso,
così, senza intenzione, con qualcuno che in quel momento mi ispirava. Erano
donne massicce di mezza età; uomini e donne di colore; qualche volta anche
ragazze o donne giovani e piacenti. Ma era capitato così, per caso, senza
intenzione; senza un dopo preventivato o previsto o atteso.
Socchiudendo gli occhi provai a riguardare l’aspetto che
dovevo avere in quel momento. A riguardarmi con gli occhi di lei. Indossavo una
giacca tipo sahariana di fustagno, su calzoni color tabacco con i tasconi
applicati. Quel giorno non portavo i miei soliti cappelli a larghe tese. I miei
capelli mescolavano ancora all’argento ampie macchie castane. La barba corta
brizzolata che avevo appena spuntato quella mattina. Gli anni non hanno ancora
invaso il mio volto con profondi solchi di rughe, mi rassicurai.
È sufficiente il mio aspetto per meritare un regalo così
piacevole?
L'ultima compagna dalla quale mi ero di recente appena
liberato mi aveva voluto far credere di essere rimasta affascinata da me.
Che parole grosse e impegnative!
Per più di un anno avevo mostrato di non volerci credere.
Infine la lusinga narcisistica aveva finito per avere il
sopravvento.
Poi gli interessi economici, di potere e di dominio avevano
presto avuto il sopravvento. Mi aveva invaso la casa e la vita con la sua
presenza civettuola e accattivante. Dominatrice e padroncina.
Mi aveva trascinato in vacanze assurde giocando a far la
signora; a fare acquisti in svendite infinite; negli outlet sterminati dei suoi
paradisi consumistici; a cercare sempre nuove case di vacanza nelle riviere
possibili! In una vacanza di due settimane in Costa Brava mi aveva praticamente obbligato a farmi
scarrozzare, insieme a lei, da operatori turistici ed immobiliari, a visionare
finti paradisi in residence esclusivi. Talvolta ancora in costruzione, con
piscine, campi da tennis e da golf…
Aveva cercato di spendere al meglio la moneta sonante delle
sue chance.
Fin quando io non avevo deciso di uscire da quella palude in
cui mi ero impantanato. Rinunciando al suo profumo di donna e al ricatto
costante col quale sapeva farmene dono.
Riconquistando la libertà del mio tempo e dei miei gesti;
sentendomi alla fine più pulito.
Mi ero strappato di dosso gli inutili orpelli della sua
grazia civettuola e seduttiva. Le sue moine accattivanti e morbose con le quali
aveva creduto di manipolarmi facendomi giocare al suo gioco. Avevo deciso
risolutamente di non giocare più!
Non riusciva a raccapezzarsi, riprovando tutte le sue armi e
tattiche: pianti, erotismo, sensualità, urla di rabbia e di rancore furioso.
All'improvviso mi si mostrava nuda, fingendo di stupirsi. Quando la raggiungevo
nel letto matrimoniale, dove ancora trascorrevamo insieme le notti, si faceva
trovare prona, con la corta camiciola da notte casualmente scivolata troppo in
alto, a mostrare i suoi glutei formosi e invitanti. Una profonda e scurrile
profferta amorosa; di prestazioni borderline, trasgressive con perversione
procace. Ogni nuovo stratagemma sconfessava il precedente, contraddicendolo.
L'offerta di sesso faceva a pugni con le espressioni volgari e i
rinfacciamenti; la disponibilità a giochi amorosi molto spinti con gli aspri
giudizi sulle mie prestazioni commisurate alla mia età. E poi aveva solo vent'anni
meno di me, e non era una giovane polacca di ghiaccio!
Era dunque un’altra analoga situazione quella che stavo
vivendo? Ma la stavo davvero vivendo o non me l’ero piuttosto sognata?
Mi stavo auto-ingannando perché ne avevo bisogno? Era dunque
una coazione a ripetere? Il vizio assurdo della speranza?
Eppure sapevo che era possibile che una donna giovane potesse
anche provare interesse per un uomo più maturo, anche anziano, magari per un
desiderio inconscio di protezione, di ritrovare una figura paterna, di
realizzare un Edipo non risolto. Teresa Batista si era ben innamorata del suo
liberatore molto più anziano di lei, ricco ma pieno di umanità e di dolcezza
nei suoi confronti.
Forse, era anche possibile che la mia precedente inquilina
avesse provato interesse e passione per me; per quanto la storia fosse poi
degenerata assumendo la dominante dell’interesse e del dominio.
Era dunque possibile, forse, che mi venisse concessa e
regalata una ulteriore primavera di allegria e di entusiasmo?
Volli in quell’occasione risolvermi a pensare che la
situazione andasse approfondita fino in fondo, per scoprire la felicità o il
disinganno.
Detti per scontato che certamente la fanciulla fosse, come
altre persone che spesso incontravo in viaggio e che mi sembrava di riconoscere
vagamente, una pendolare.
Sarebbe bastato riprendere il giorno dopo lo stesso treno e
quasi certamente avrei potuto rincontrarla.
Sì, certo, probabilmente anche lei l’avevo già vista altre
volte sul 17.50 per Vercelli dalla stazione di Porta Garibaldi.
E cominciai a prefigurarmi l’incontro.
- Enchanté - le
avrei detto stringendole la mano – che piacere incontrarla!-Oppure anche
- Encantado! Come va? – ma le avrei dato del tu o del lei?
Avrei potuto anche usare quella forma di discorso diretto che evita sia la
seconda che la terza persona.
Mi ero raccontato tante volte i colloqui progettati. Ad un
certo punto prima che scendesse dal treno le avrei di nuovo stretto la mano. Ma
prima le avrei domandato: - Sa come ci si presenta in Giappone? - Al suo
silenzio interrogativo le avrei allungato la mia mano, stringendo la sua e
lasciandole uno dei miei piccoli biglietti da visita rossi…
Per accattivare il suo interesse avrei potuto spiegarle che
mi interessava conoscerla meglio perché volevo farne uno dei miei personaggi…
E questa fantasia si arricchiva all'infinito di variazioni,
con tonalità e sfumature diverse.
Il giorno successivo presi il 16.16 per Porta Garibaldi.
Sarebbe arrivato alle 17.14. Tutto il tempo dunque per studiare la situazione.
Arrivai con molto anticipo e attraversai in lungo e in largo
Porta Garibaldi; feci anche il diversivo di una piccola spedizione sotterranea
per verificare gli orari esatti del passante ferroviario.
Stranamente, allora, in superficie i tabelloni cartacei e a
led luminosi mostravano solo gli orari dei treni di superficie. Quelli della
suburbana erano consultabili soltanto scendendo direttamente sottoterra.
Congetturai e verificai che quel giorno famoso avrebbe anche
potuto essere salita prima delle 17.50 in una precedente stazione del passante
ferroviario.
Rimasi a fumare la pipa sulla banchina del binario 7, tenendo
d’occhio i viaggiatori provenienti dall’atrio e anche quelli che salivano dalla
scala in fondo al binario.
Ma l’apparizione non ebbe a verificarsi.
Non volli comunque darmi per vinto.
Il giorno successivo, avendo più tempo a disposizione, partii
addirittura alle 15 e 46.
Non mi facevo eccessive illusioni, anche se ero pervaso da
una soffusa speranza.
Quando ero quasi arrivato a destinazione, sentii dietro di me
una voce femminile chiedere se mancava molto per Garibaldi. Una voce maschile
le rispose che eravamo a Certosa. Mi sporsi indietro e: siamo a Villapizzone,
corressi.
Era una ragazza abbastanza fine anche se non bellissima come
la mia mandorla.
- E ci vuole molto per Garibaldi?-
- Ci scendo anch'io - le dissi.
- Porta Garibaldi, tutta per lei!-le dissi dopo poco, un po'
platealmente.
Scendemmo insieme sulla banchina del passante ferroviario. Le
spiegai che anche Parigi aveva il sistema integrato Metropolitana-Ferrovie
Regionali, le RER. Mi chiese se andavo spesso a Parigi e poi domandò come
poteva raggiungere la metropolitana. Ce l'accompagnai. Mi volle confidare che
era un po' disorientata; faceva un corso da infermiera a Novara e veniva da
Omegna. Non era mai venuta a Milano. Mi chiese se io ci abitavo o ci venivo
spesso. Dissi che ogni tanto ci venivo a parlare con degli editori per pubblicare
un mio libro. Lei veniva a trovare degli amici che doveva incontrare in piazza
del Duomo. Le indicai la linea da prendere. Mi sorrise riconoscente.
Quando mi congedai mi strinse la mano, grata.
- Piacere- mi disse con un sorriso dolce- Sara...-
Si fece ripetere due volte il mio nome. Come volesse
memorizzarlo bene.
Ritornato sui miei passi ritenni opportuno evitare il 17.50 e
ritornai prendendo il passante ferroviario delle 17.46 da Porta Garibaldi.
Purtroppo anche questo tentativo andò a vuoto.
Ma ormai ero lanciato.
Ci avrei riprovato il giorno successivo con il passante
ferroviario delle 18.16.
Avrei tentato di osservare minuziosamente tutti coloro che
salivano alle varie stazioni.
Una massa infinita di persone riempiva le carrozze. I posti a
sedere erano tutti occupati; i corridoi stipati di persone all’inverosimile; le
piattaforme in cima e in fondo le carrozze e addirittura le scalette per
l’accesso al piano alto erano una ressa indicibile. Dovetti dolorosamente
rassegnarmi a non perlustrare il treno. A Magenta scese una fiumana
indescrivibile nella quale non riuscii a scorgere l’immagine desiderata.
"Che piacere ..."
avrebbe potuto dire mentre insieme ci saremmo scostati verso le auto
parcheggiate.
"E sono venuto... per accompagnarla a casa...
naturalmente"”
“A meno che possa avere il piacere di cenare con una bella
ragazza..."
"Oh, credo sia venuto mio padre e a prendermi... sì, è
laggiù che mi aspetta" avrebbe potuto dire facendo un cenno con lo sguardo
e con la mano. Assentendo col capo.
"Vuol dire allora che sarà per un'altra volta... Mi sono
permesso di lasciare il mio numero. Quando l'ho vista ho pensato che avrei
voluto “raccontarla” nel mio prossimo romanzo.
Qualche briciola di conoscenza in più sarebbe essenziale. Sai
sorridere meravigliosamente. Hai già dimenticato il mio volto maturo al quale
hai regalato il tuo sguardo? Temevo già di esser costretto a ricordare a
memoria o a cercare su tutti i treni possibili... Naturalmente se non sono
troppo invadente o indiscreto. E se ho il tuo consenso vorrei conoscere qualche
frammento della tua storia …
Qui comparivano diverse ipotesi.
Un nuovo sorriso compiaciuto, leggermente trattenuto per non
sembrare sfacciato, di assenso garbato. Una divertita compiacenza. Mentre
muoveva dei passi costringendomi a seguirla verso l'auto del padre. Dalla quale
mi sarei allontanato in fretta.
O mi avrebbe addirittura regalato una maggiore disponibilità,
intrattenendosi con domande circa il fatto che io scrivessi, mostrando
interesse, confermando l'intenzionalità degli sguardi che mi aveva prodigato.
Ipotesi troppo azzardate? Erano tutte gratuite. Sono tutte
gratis."
- CAROSELLO
Sempre ostinato e cocciuto però l’indomani ripartii alle
15.46 raggiungendo Porta Vittoria.
Il paragone del passante ferroviario con le RER che avevo
fatto a Sara il giorno prima era fin troppo positivo ed ottimistico. Lo scarto
era decisamente eccessivo.
La stazione di Porta Vittoria ricordava piuttosto certi film
di fantascienza con situazioni allucinanti, la desolazione di luoghi immensi e
totalmente vuoti. Gli ultimi giorni di qualcosa; il “ day after” di una
catastrofe spaventosa; l’epidemia degli ultracorpi; il collasso delle fonti di
energia.
Avevo un discreto margine di tempo. Decisi di riemergere in
superficie ( se esisteva ancora un qualcosa di simile) per dare due tiri alla
mia pipa.
Il primo tentativo andò a vuoto. Ampie rampe di scaloni
portavano solo a spazi dilatati e vuoti. Nessun esercizio commerciale, nessuna
presenza umana. Avvicinandomi ad inutili scale mobili riuscivo ad attivarne
l’avvio. La macchina si metteva in movimento, con il nastro metallico gradinato
che spostava verso l’alto solo il proprio vuoto. Stavo per affacciarmi verso
l’esterno, ma scopersi che erano state calate immense saracinesche traforate…
Di nuovo marciapiedi immensi; nessun passeggero; ai piedi o
in cima delle scale mobili qualche isolata figura di vigilante privato in
divisa. Spesso immigrati neri si incontravano in quelle mansioni, gentilissimi
e protettivi. Di aspetto rassicurante e gradevole ( probabile motivo della
scelta).
Con uno di loro mi permisi di descrivere l’angoscia di quella
immensa desolazione. Quel posto grande e vuoto sembrava il posto più adatto per
compiere o subire assassinii od omicidi; scippi o rapine… Un africano alto e
imponente mi rispose con un ampio sorriso: è proprio per questo che ci
mettevano lui e quegli altri, per vigilare su quell’incubo, per favorire
l’accesso ai viaggiatori…
Lì però io ce ne vedevo pochissimi di viaggiatori. Regnava
solo un vuoto dilatato e spettrale. Sembrava di essere nel museo del trasporto,
di una città fantasma.
Mi indicò la direzione giusta: prima mi ero diretto verso il
retro della stazione… Una stazione immensa e vuota, con un retro inutilizzato!
Emersi dal sottosuolo dopo aver percorso centinaia di passi
nella luce spettrale e angosciante.
Un campo vasto di erbe incolte era cintato con pali e
transennato con reti di plastica rossa. Sul lato opposto un’ampia strada di
scorrimento a doppia corsia. Passavano auto arrabbiate e cicliste donne in fuga
velocissime, con lo sguardo proteso verso un lontanissimo traguardo; verso il
ritorno alla realtà e alle presenze vive.
Non amo particolarmente la folla galleggiante nella musica
pervasiva degli outlet, né le luci sconvolte dei megastore galattici. Eppure
avrei sentito volentieri la sensazione di presenze vive in quel cimitero
desolato.
A malincuore rinfoderai la pipa ancora calda e accesa nella
borsa portatabacco e ridiscesi dopo aver obliterato il biglietto del ritorno.
Prima dell’arrivo del treno arrivò qualcuno trafelato. Le
poche donne non guardavano volentieri in faccia.
Il 17.38 mi permise di
tentare di osservare coloro che salivano alle varie stazioni. Una massa
infinita di persone. Erano sempre vagoni Vivialto. Percorsi entrambi i piani di
ogni singola carrozza. Riprovavo le impressioni di quando, anni addietro, avevo
pedinato le mie donne, per accertarmi delle loro reali destinazioni, quando mi
dicevano che avevano da sbrigare delle commissioni. Dopo essersi accuratamente
agghindate e truccate. Le seguivo trattenendomi un istante dietro le curve,
quando svoltavano. Non avevo mai scoperto niente se non il loro inutile girare
a vuoto.
Con l’aria assorta di chi distrattamente cerca un posto a
sedere o qualche persona che non trova, mi aggirai a lungo, fiondando sguardi
indagatori. Niente.
Solo allora mi colse un dubbio mostruoso: e se non fosse
stata una pendolare abituale? Se si fosse trattato di una passeggera
occasionale? Oppure ancora: se non seguiva orari di lavoro e quindi di viaggio
sempre identici?
Eppure quella microscopica esperienza era pur esistita; il
profumo di quel sorriso l’avevo sentito, respirato profondamente, ne avevo
gioito fin in fondo, mi aveva ridato linfa vitale …
Mi ero anche accorto che avevo incontrato tanti volti
sconosciuti, ascoltato segmenti di frasi e di discorsi, avevo sfiorato sequenze
frammentarie di vite, sperimentato il disagio di quel carosello di viaggi
avanti e indietro, all’infinito, di chi ci è costretto per lavorare e vivere …
Il tempo certo non mi mancava. Avrei potuto sostituire il mio
smartphone con un microcomputer portatile, raccontare frammenti di vita,
fantasticarli e immaginarli …
Così, per cercare la bella sconosciuta,sono diventato
pendolare ferroviario spontaneo, a tempo indeterminato.
Dopo i primi giorni ho smesso di prendere regolarmente il
biglietto di andata è quello di ritorno.
A volte faccio l’abbonamento settimanale; altre volte quello
mensile, nei momenti di più intensa ricerca. Ogni giorno non spendo di più che
ad andare al bar o al cinema.
Certo, può risultare faticoso, stancante, assurdo forse…
Eppure ci ho fatto incontri favolosi, ho intravisto e
conosciuto storie minime e semplici, le ho prese e ritagliate per costruire un
puzzle infinito, per scriverci i miei romanzi…
Questo è diventato il mio carosello professionale di
scrittore.
Franz Kafka racconta: "in quel tempo andavo spesso in
una certa chiesa perché speravo di incontrare una giovane donna che là vi avevo
visto...".
E poi, anche se non avevo più rivisto quel mio oggetto del
desiderio, quella pulsione originaria mi aveva permesso di sublimare
quell'immagine femminile per farla diventare spunto, pretesto e oggetto di
narrazione artistica. Ero riuscito a trasformare una mia maniacale ricerca in
pulsione creativa perpetua.
Quando lei era scesa a Magenta non avevo sentito l'odore di
morte che vi aleggiava intorno.
Forse da quel giorno era rinata l'attesa della speranza,
propagando intorno effluvi di ormoni adeguati.
Potevano forse quei nuovi sguardi femminili che ricevevo di
continuo essere conferma degli effetti positivi della convinzione, della
speranza, dell'illusione...
C'era stato dunque un ulteriore rinvio della vecchiaia
incombente? Potevo differire ancora un poco la malinconica scena del ” Prèlude
à l’après midi d'un faune" che Bruno Bozzetto raccontava un tempo col suo
“Allegro non troppo”? Oppure l’amaro disinganno della realtà stava per
stracciare definitivamente il velario sognante che l’accorato flauto con cui
Claude Debussy aveva contribuito a raccontare?
Per quanto ancora potrò mettere da parte la scena che ho più
volte immaginato e gustato, quell'incontro da vivere col batticuore celato
sotto uno sguardo indifferente? L'extrasistole zoppicante dissimulata nel
mostrarmi calmo e distaccato mentre uso la verghetta nera sul touch screen?
Conservo per momenti migliori l'abituale tachicardia delle
situazioni di alta emotività affettiva.
12. . 1990
Federico lo ha ascoltato tutto il tempo senza perdere nessun
particolare della narrazione. Ha una leggera sfumatura di sorriso sulle labbra.
Ma non riesce a dire neanche una parola. Dai finestrini si intravedono gli
spazi amorfi e grigi che annunciano l'ingresso nella caverna della stazione
centrale. Rimane assorto sulle parole e le immagini che ha appena bevuto.
La storia del professore è avvincente e
affascinante, come il suo sogno che sta sognando mentre lo racconta.
Chissà poi perché lo chiamo tra me
"professore". Lui, d'altra parte, non mi ha mai confidato di aver
insegnato...Mi viene naturale, però.
Non necessariamente però me lo vedo come
un'insegnante di scuola media o superiore. Piuttosto come un docente
universitario; uno scrittore che ha anche la libera docenza; uno che è
"professore e basta", senza dover specificare in che cosa dove quando...
Avevo deciso che era “professore ad honorem”...
Io invece per un po' di tempo il professore lo
avevo fatto, si fa per dire. Appena dopo la laurea. Qualche supplenza lunga, di
diversi mesi, fino a quando mi avevano dato un incarico annuale... Nel
frattempo non era stato bandito alcuna abilitazione né alcun concorso a ruolo,
per cui stavi sempre nell'incertezza che potessero non rinnovarti più
l'incarico. Per le supplenze temporanee brevi c'era sempre il rischio di non
venire pagato d'estate se non avevi accumulato un certo numero di mesi... E la
supplenza o l'incarico annuale potevano essere estemporanei...
E così era poi andata a finire! Sulla cattedra di
matematica in quel magistrale c'era venuta una donna da Bari. Era la moglie di
un ufficiale dei carabinieri.
Quando l'avevo conosciuta l'anno dopo mentre
ancora accettavo supplenze brevi, mi aveva guardato con un'aria strana,
ambivalente. Da una parte sembrava volersi scusare per avermi portato via il
posto. Dall'altra aveva una certa aria di sufficienza: per una donna del sud io
ero un uomo mediocre poiché non ero neppure di ruolo!
Lei, seppi più tardi, era riuscita ad entrare in
ruolo dopo anni che era stata inclusa nella graduatoria permanente. Nella quale
era entrata dopo anni di incarichi annuali ottenuti proprio per merito della
sua condizione di moglie di un ufficiale!
Erano sempre, comunque, guerre tra poveri.
Guardarsi con rivalità o invidia per aver acquisito qualche piccolo privilegio.
Insomma, dopo alcuni mesi di supplenze brevi, non
ricordo se prima o dopo le vacanze di Natale, avevo deciso di mollare quella
palude che non mi garantiva la certezza di un posto di lavoro stabile.
Il professore precario dimissionario si riconcilia con il proprio
passato. La militanza dell'attività del sindacato; prima nella Cgil, poi, per
protesta nei Cobas. I coordinamenti cittadini regionali, le mobilitazioni, il
proselitismo...
Il professore onorario,invece, si avvia a concludere il suo
racconto....
13. LA FARFALLA
- Un tempo dicevamo: “ogni mancata è perduta”.
Ogni storia non realizzata rimane sublime e perfetta,
per sempre.
Ma esiste solo nel pensiero, nel desiderio, nel sogno …
E anche la vita non è che un immenso sogno, a volte
spaventoso, a volte piatto e banale, a volte calmo, a volte leggiadro.
Io vivo il mio sogno così, vivo così la mia vita, in
questo carosello infinito di immagini, di sensazioni, di incontri, di odori.
A volte mentre percorro per l’ennesima volta questo
viaggio interminabile intravedo, dal finestrino, canali colmi d’acqua. Come in
quel mio sogno ricorrente dell’infanzia, con una superficie vasta percorsa da
una miriade di canali in cui nuoto a pelo d’acqua.
Nuotiamo in un sogno senza fine.
“Chuang Tzu e la farfalla
Chuang Tzu ha sognato di esser diventato
una farfalla,
Ma da sveglio gli pareva di esser la
farfalla diventata Chuang Tzu.
Quale è la realtà per la farfalla o
l'uomo?
Chi può dire la fine delle modifiche
infinita delle cose?
L'acqua che scorre nella profondità del
mare lontano
Consegna in tempo le sue risorse per le
secche di un flusso trasparente.
L'uomo, che raccoglie meloni fuori del
cancello verde della città,
Era una volta il Principe della Collina
Est.
Così avviene che rango e ricchezze
svaniscono.
Voi lo sapete mai per fare cosa tanto
travaglio e fatica,?”
NOTA-Il sogno di Zhuangzi Un racconto molto significativo è comunemente
chiamato Zhuangzi sognò di essere una farfalla. Esso racconta che una notte, Zhuangzi,
sognò di essere una farfalla che volava leggera e spensierata. Dopo essersi
svegliato era confuso, si domandò come potesse determinare se era veramente
Zhuangzi quando aveva appena finito di sognare di essere una farfalla o una
farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere Zhuangzi. Ci fa pensare
che esiste una dimensione dove gli opposti sembrano non esserci, dove i
contorni non sono nitidi e un'altra dove bisogna dare i nomi alle cose affinché
non ci si senta perduti. Il primo piano è quello del sogno e il secondo è quello della veglia.
Il fatto che esista un piano di non distinzione, riesce a risolvere problemi
come quello della paura della morte.
Comunque, alcuni giorni dopo quelle mie prime peregrinazioni
ferroviarie, dovetti recarmi in auto proprio a Magenta. Sulla strada principale
dalla quale c'è l'uscita per entrare in città esiste da molti anni un immenso
meganegozio di piante e generi vari da giardinaggio e da terrazze. Di recente
ha cambiato nome, ma ricordo che ci andavo già da molti anni perché aveva un
vasto assortimento e prezzi abbastanza contenuti. E poi lì vicino si trova
anche uno dei più grandi supermercati che io abbia mai incontrato. Insomma,
tante ottime ragioni, o pretesti, o alibi perché io ci andassi, così, per fare
un giro...
Mi capitò di arrivarci circa un'oretta prima dell'arrivo del
primo treno da Milano...
Mi raccontai che avrei potuto dare un'occhiata alla stazione
per studiare in che condizione fosse il parcheggio che avevo visto segnato
sulla mappa di google earth.
In effetti, poteva anche essere che volevo valutare
l'opportunità, per quando mi dovevo recare a Milano, di andare fin lì con la
mia auto, considerato che alla stazione di Novara è assolutamente impossibile
parcheggiare se non a pagamento...
Senza che debba stare a ripetere la sequela dei vari treni
nella tratta Milano Porta Garibaldi-Magenta, tra le 17 e le 18.30 li vidi
arrivare tutti! Tra l'uno e l'altro avevo spesso un margine di un quarto d'ora
,venti minuti circa, ma mi ingegnai con
stratagemmi che avevo già avuto modo di sperimentare in altre precedenti
occasioni.
Innanzitutto diedi un'occhiata occasionale ai dintorni,
peraltro squallidi, della zona. Casualmente in un negozio di informatica vidi
alcuni modelli di net-book e di micro notebook abbastanza simili, per prezzi e
caratteristiche, a quelli che avevo da tempo meditato di acquistare per
scrivere in viaggio.
Dovetti, però, più volte ricordarmi che non ero in vacanza o
in escursione turistica o di shopping. Mi risolvetti, pertanto, per assumere un
contegno, alla tecnica delle "telefonate in olandese".
” Dopo una cena
equilibrata, giocata sul filo del rasoio, in una conversazione tenuta sul tono
di quella vibrazione che si sente appena sotto lo sterno e più su verso la
laringe, che ci fa tremare tutta l'anima, che recitiamo come in un sogno o in
un film, con battute pensate fuori campo, una schermaglia galante e garbata.
Sempre attenti a non calare mai di tono, a non fare stonature, mentre il cuore
rallenta il suo pulsare tachicardico continuando i suoi colpi sostenuti sullo
xilofono, metronomo del nostro stupore compiaciuto e soddisfatto.
Dopo una cena, senza smettere di parlare, buttar lì una
battuta come per caso: "io abito proprio lì dietro, quella là in alto è la
mia mansarda...".
Sperare alto che dica: "potresti almeno farmela vedere,
no?".
È poi? Il dopo? Insistere con la scusa di non volere sembrare
indiscreto nel proporle di riportarla a casa? E se lei si facesse così tanto
pregare quasi confessando di volersi fermare? Così, all'improvviso? Di brutto?
Qui mi trovavo un po' a disagio.
Ma, in totale, la portiamo a casa o no?"
14. . TELEFONATE IN OLANDESE
Diversi anni fa avevo inseguito una donna che desideravo fino
in Sardegna.
Lei ci era andata in aereo col marito e figli; io mi ero
imbarcato col mio scooter e l'avevo raggiunta. Avevo affittato un micro
bungalow sul mare. Il campeggio dove io
facevo base era separato da rete metallica e altissima siepe da un villaggio
turistico a dodici stelle...
Il primo giorno attesi la mia amica dall'ingresso principale;
poi imparai che, dove terminava la mia spiaggia, alcuni grossi massi, a mo' di
scogli, erano l'unica barriera che poteva impedire l'accesso alla spiaggia
riservata del paradiso artificiale che ospitava la famigliola...
Lei mi aveva poi fornito uno zainetto che portava ben
evidente la scritta della compagnia di vacanze che gestiva il villaggio
ipersontuoso ...
Mi bastò qualche volta avvicinarmici per scoprire che era
molto semplice ingannare i sorveglianti... La mia amante mi aveva suggerito,
appena li avessi incontrati, di anticiparli chiedendo loro se per caso avessero
visto fra le sdraio e gli ombrelloni richiusi un costumino giallo da bambina...
I tipi, che se ne stavano appollaiati in cima ha degli eleganti trabiccoli da
bagnino per avvistamento, scendevano servili e gentili, mi aiutavano a cercare
il costumino giallo da bambina, finendo per confessarmi scusandosi che
purtroppo non l'avevano proprio visto...
Io riuscivo a mostrare estrema padronanza e sicurezza, anche
se il cuore mi batteva all'impazzata.
Mi perseguitava l’incubo di essere sorpreso e fermato; di
dover mostrare le mie generalità, dimostrando di essere del tutto estraneo a
quel bengodi fasullo. Immaginavo la notizia raccontata sui media locali e
nazionali.
“Maturo e distinto laureato, sorpreso nel ridente ed
ospitale villaggio di Sa Prama, con zainetto omaggio della compagnia di vacanze
sulle spalle, del quale non è ospite. Le autorità di polizia stanno cercando di
ottenere dall’elegante e attempato dandy una spiegazione della sua presenza nel
posto. A quanto risulta da fonti attendibili, il suddetto non è stato in grado
di fornire spiegazioni plausibili, limitandosi a sostenere con disinvoltura che
si è trovato lì assolutamente per caso.”
Appena
dentro sapevo che avrei potuto scegliere uno dei sette ristoranti tipici,
riservati agli ospiti regolari, nel quale la mia scaltra complice aveva già
prenotato la cena a nome di suo marito. Naturalmente, quella sera, la sua famigliola
avrebbe cenato da tutt'altra parte... Beh, raccontarlo così sembra una cosa
semplice, vero? Eppure a me provocava sempre, tutte le sante sere e cene, un
livello d'ansia altissimo! Dopo aver passato la prova della
"frontiera" dei costumini dimenticati, mi aggiravo con grande
noncuranza ostentata, per quei viali ricchi di fitta vegetazione
lussureggiante, costeggiando infinite piscine, vasche e fontane sgorganti
zampilli. Quanta acqua veniva sciupata in quella terra brulla ed arida. Quindi
mi dirigevo deciso e sicuro verso uno dei tanti ristoranti, quello dove era
stato prenotato per me... Spesso però le spiegazioni che mi erano state fornite
non erano sufficienti e mi perdevo miseramente. Incazzato nero con me stesso
per aver accettato quello squallido gioco rischioso, ma anche attratto dai
piatti prelibati che mi attendevano, procedevo con determinazione e
spigliatezza, nell'abbigliamento che avevo voluto indossare adeguato alla
situazione. Dissimulata l'ansia e l'estremo disagio, riuscivo ogni volta comunque
a raggiungere la mia cena. I locali, in stile Disneyland o Gardaland, erano
ispirati al tipo di cucina che ammannivano. C'erano taverne del pescatore alla
greca, finte strutture nuragiche diroccate, insomma il meglio del repertorio
kitsch disponibile in quelle isole di felicità a settimane...
Il
tutto era collocato in un ambiente ricostruito ed artificiale che doveva far
sognare i clienti turisti. Dato lo stato di estremo disagio emotivo nel quale
mi trovavo, ero costretto quasi sempre a trangugiare immense caraffe di
Cannonau o di altri micidiali vini ad altissima gradazione...
Terminata
questa prima fase della mia serata, mentre l'allegra famigliola altrove
consumata i suoi appetiti gastronomici, in attesa di poter incontrare la tipa
per qualche momento, non mi restava che aggirarmi in quell'immenso parco, dalle
luci soffuse come le musiche che uscivano da ogni cespuglio, e non mi restava
che un'alternativa per darmi un contegno. Estraevo di tasca il mio smartphone
spento, lo accostavo all'orecchio destro e simulavo una conversazione. Stufo,
ad un certo punto, dei continui monosillabi: "no, sì, ma...", o di
insulsi mozziconi di frasi tipo: "... be', sì, certo,... non so, vedi tu,
può darsi... ah, va bene, certo... no, qui non l'ho visto, diglielo tu...” ,
passavo decisamente al linguaggio magico della mia infanzia e adolescenza.
Quello che usavo con i miei compagni e complici di avventura nelle vacanze al
mare. Un linguaggio inesistente che, almeno nelle intenzioni, cercava di rifare
il verso al suono di qualche parlata straniera. Allora ci eravamo accordati che
fosse una imitazione sonora dell'olandese; faceva il verso al tedesco, ma era
infarcito di suoni più morbidi e dolci. Allora le nostre conoscenze
glottolinguistiche ritenevano accettabile quel risultato. In quel modo ci
sembrava di darci un apparenza speciale, conferendoci un’aria stravagante ed
esotica.
A
Magenta, davanti alla brutta stazione, passeggiavo parlottando impugnando lo
smartphone spento e mormorando pezzetti di frasi pronte senza capo né coda. Se
fosse stato il caso, anche lì avrei usato le telefonate in olandese.
Molte
auto arrivavano, ci facevano manovra in modo confuso e disordinato,
disturbandosi a vicenda, caricavano qualche passeggero appena arrivato e con
fatica se ne ripartivano...
E se
qualcuno di quei signori che stavano ad aspettare in auto fosse stato il
compagno, il fratello, il padre della mia diletta inutilmente attesa? Come
avrebbe reagito appena io avessi incontrato "per caso" la fanciulla,
mi ci fossi intrattenuto qualche istante, le avessi dato la mano col mio
bigliettino rosso... ? Essendo uno sconosciuto in quel posto, avrebbero
domandato chi ero, al che lei avrebbe risposto che mi aveva incontrato lì per
caso, ero venuto solo per dare un'occhiata al parcheggio... Eppure mi vedevano
lì da tempo a passeggiare avanti e indietro fumando la pipa... Non ricorsi a
Cannonau di sorta, riuscendo a controllare il mio disagio e la mia emozione... D'altro
canto il vero batticuore con feroce tachicardia extrasistole mi fu risparmiata:
infatti anche in quest'occasione non la vidi.
Tornai
a casa un po’ dispiaciuto, ma molto più sereno che se l’avessi incontrata …
Era
certo un fatto a quel punto: aveva preso quel treno occasionalmente solo quel
giorno e, per un caso fortuito e disperato, io avevo incontrato il suo sguardo
celestiale che ora mi procurava un inferno tremendo.
Mi
venne però in mente che quando giravo in metropolitana avevo più volte avuto
tra le mani quotidiani generalisti a diffusione gratuita, nei quali, spesso,
comparivano messaggi di ricerca persone.
15. FRUGANDO NEL WEB-“CERCO
IL TUO SORRISO…”
Nel
WEB ne trovai alcune.
Era
un’intera antologia di messaggi nella bottiglia di vetro, lanciati nell’oceano
dei naufragi. Di appelli rabbiosi o accorati. Di S.O.S. buttati alla deriva.
Decisi di prepararne uno anch’io e di inserirlo nella pagina
Web del periodico:
Eri
il 03 maggio sul MI-P.G. x Novara partito alle 18 circa in ritardo x un
incidente a Magenta; il tuo sorriso assoluto è sospeso nell'aria. Devo proprio
parlarti. Sarai protagonista del mio nuovo romanzo.
Gradirei il tuo consenso e conoscere qualche frammento della tua storia; solo se vorrai e se mi leggerai …- Wormhole10
Gradirei il tuo consenso e conoscere qualche frammento della tua storia; solo se vorrai e se mi leggerai …- Wormhole10
Poi lo perfezionai così:
Cerco il tuo
sorriso
Ci siamo sorrisi sul regionale
da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; eravamo in ritardo x 1 incidente
a Magenta. Eri stufa del ritardo. Tu sei scesa lì dopo avermi salutato con 1
sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Ti voglio
"raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di
te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Hai già dimenticato il
mio volto maturo al quale hai regalato il tuo sguardo? Sarò costretto a
ricordarti a memoria...? Wormhole10
Pochi minuti dopo nel sito un messaggio veniva
inserito subito dopo il mio, da un username danalosat, di Napoli; diceva:
SPIEGATIMEGLIO!
Ma cerca di descriverti meglio,
così lei ti può riconoscere! Lo dico nel tuo interesse…scusami, sai…
10/05/10 danalosat
Più tardi provvidi a migliorarlo così:
Cerco il tuo
sorriso!
Ci
siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; eri
stufa del ritardo; c'era stato 1 incidente a Magenta. Tu sei scesa lì dopo
avermi salutato con 1 sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Ti
voglio "raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più
su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Hai già
dimenticato il mio volto maturo al quale hai regalato il tuo sguardo? Stavo
scrivendo sullo smartphone e mi carezzavo la barba. No? niente? Sarò costretto
a ricordarti a memoria e a scrivere di te senza averti conosciuta meglio? Ti
cerco su tutti i treni possibili...
10/05/10 Wormhole10
Il/la gentile suggeritore/trice fece scomparire dalla bacheca
il suo suggerimento; doveva ritenersi soddisfatto/a.
Non arrivava nessuna risposta, per cui mi attardai ad
analizzare quei messaggi. Stavo accorgendomi che ciascuno di essi aveva dietro
una storia.
16. PICCOLE STORIE
QUOTIDIANE
Alcune
erano storie di brutale caccia all’uomo ritenuto o considerato potente,
benestante, ricco; anche anziano, “italiano” precisavano ingenuamente ad
indicare la sicurezza economica. Dolce, protettivo e rassicurante, però, niente
ricerca di sesso; “devono stare alle mie condizioni” dicevano categoriche le
inserzioniste.
Cerco uomo
cerco un uomo serio sui 60 anni
in poi - MUSERcasz
cerco un uomo serio da sposare
italiano
cerco un uomo serio da sposare
italiano io ò 45 anni sonno singol non sonno stata mai sposata mi piacerebe
trovare una persona grande di etta en la qual mi senta proteta grazie- MALORY
Veniva
categoricamente commissionato un "uomo", con tanto di definizione
delle caratteristiche che avrebbe dovuto avere. Serio. Italiano. Dai 60 anni in
su. Grande di età. Nel e con il quale potersi sentire protetta. Da sposare.
Dall'username
non era possibile dedurne un nome o una nazionalità.
bella donna
vorrei conoscere 1 uomo ke
senta il bisogno di avere 1 donna molto carina 39 enne giovanilissima con dei
veri valori nn banale, dolce forte anke se in questo periodo bisognosa di
sostegno morale e affetivo di coccole! esigente romantica odio l'ipocrisia le
persone non coerenti ke parlano molto ma fanno poki fatti ! l'uomo ke cerko
deve avere le mie caratteristike ke trovo siano basilari per il mio modo di
essere, pensare. per quanto riguarda l'aspetto fisiko nn ho 1 standard ma
piacciono uomini robusti possenti anke se nn alti come sono io.adoro gli okki
scuri! GLI UOMINI KE NN SI RICONOSCONO NELLA MIA DESCRIZIONE MI STIANO ALLA
LARGA ! GRADITA FOTO E DESCRIZIONE DETTAGLIATA ! NON SCIVETEMI SENZA
DESCRIZIONE E FOTO TANTO CESTINO SUBITO SENZA LEGGERE LA RISPOSTA
!!!!!!!!!!!!!!! IL MIO ANNUNCIO è SERIO STUPIDI KE CERKANO SESSO VADANO ALLA
RUBRICA APPOSITA PER LORO!!!!!!!! - xNCzA44
Qui
oltre alla determinazione e al tono categorico si poteva leggere anche la paura
di fare di nuovo un buco nell'acqua. Descriveva proprie caratteristiche che
sperava appetibili: bella donna, non banale, dolce, forte... Ma che
attraversava un brutto momento, nel quale aveva un grande bisogno di coccole e
di sostegno morale e affettivo.
Si
definiva esigente e romantica.
Odiava
l'ipocrisia.
Ma
che stessero alla larga decisamente quelli che cercavano solo di far sesso.
Paura
di essere confusa con una di quelle donne che mettono annunci solo per avere
incontri a pagamento? Oppure aveva di recente vissuto un'esperienza deludente,
con violenze e persecuzioni?
Eppure
l'annuncio conteneva, comunque, un messaggio ambivalente, contraddittorio.
Sono
una bella donna e ho tantissime belle qualità.
Non
cercatemi solo in quanto io sono una bella donna.
Mi ricordava
alcune storie vissute.
Di
donne che avevano fatto di tutto per sedurmi, con atteggiamenti civettuoli e da
cocotte, mostrando di voler solo sapere dai miei gusti che tipo di donna e di
prestazioni mi sarei aspettato da lei.
Qualcuna
aggiungendo subito dopo che lei amava solo la vita di coppia, la fedeltà, la
famiglia, i lavori domestici...
Diverse
situazioni ma stili di approccio e tecniche di seduzione analoghe.
Esistevano
forse in circolazione manuali specializzati? Ne avevo spesso parlato con Pippo;
se il manuale non esisteva ancora, dicevamo, l’avremmo scritto noi,
descrivendoci le varie tecniche di seduzione che avevano usato con noi.
17. LETTERE D’AMORE NELLA BOTTIGLIA
Più
sotto comparivano quadretti intimi e teneri; velati di malinconia e di
timidezza.
“Sono il ragazzo che hai visto
oggi 14 aprile sulla metro rossa da loreto a porta venezia, avevo un portatile
a tracolla e una cassa grigia abbastanza ingombrante..ci eravamo già visti mi
pare..ci siamo guardati..tu avevi stivali neri coi tacchi.. Ragazza mora dagli occhi chiari che eri su quel
tratto della metro loreto-porta venezia.
Ti prego, scrivimi”
Pare
quasi di vederlo, con la sua cassa grigia, abbastanza ingombrante e un
portatile a tracolla! Che s’infila nel vagone della metropolitana e incontra lo
sguardo di lei. Doveva sentirsi davvero un po’ a disagio. Ma l’aveva subito
riconosciuta (non ne è del tutto sicuro; forse bluffa?), lei aveva stivali
neri, coi tacchi… Che voglia di rivederla. Lo sguardo di lei doveva averlo
rassicurato, protetto, coccolato; forse c’era stato anche un mezzo sorriso
comprensivo: - ma dove vai con il portatile a tracolla e quella cassa
ingombrante? Ma va là!- Diceva lo sguardo dagli occhi chiari di quella ragazza
mora…
E
c’era la morettina, carinissima, piccolina,
capelli neri cortissimi, jeans e giubbotto nero di pelle, … Un quadretto che era una
istantanea scattata col telefonino: cli-clik!
morettina- Di fronte a me sul treno
(l'Alessandria), carinissima, piccolina, capelli neri cortissimi, jeans e
giubbotto nero di pelle, peccato gli occhiali da sole che nascondevano i tuoi
occhi. Riuscivo solo ad intravederli quando li socchiudevi mentre cercavi di
dormire... poi sei scesa davanti a me a lampugnano avrei voluto fermarti... Me
li faresti vedere ?
Diceva Klippos
Purtroppo
non era riuscito a vederle gli occhi, nascosti dagli occhiali da sole. Solo ad
intravederli quando li socchiudeva, cercando di dormire...
Ma
davvero la morettina carinissima cercava di dormire? Oppure era un trucco per
farsi osservare da Klippos? O, piuttosto, era infastidita dagli sguardi
insistenti di lui e cercava di evitarlo ed isolarsi?
Era
infine scesa davanti a lui a Lampugnano… Non se ne ricorda più? Cosa poteva mai
fare lui? Con quella timidezza mostruosa che si ritrovava addosso? Avrebbe
forse potuto fermarla... Fatto sta che non l’ha fatto… Ora le chiede se glieli
farebbe vedere quegli occhi che nascondeva dietro gli occhiali da sole. Chissà
perché non l’ha fatto invece quando ce l’aveva davanti…
Lei
veniva da Alessandria.
Chissà
cosa ci avrebbe raccontato lei…
Com’è
terribile però rischiare, sbilanciarsi, farsi avanti per primi. Col rischio di
sputtanarsi , di destare fastidio o indifferenza. Val la pena di pagare questo
prezzo?O è meglio starsene zitti nel proprio brodo. Magari poi pentendosi,
provando rimpianto e rimproverandosi?
Prezzo equo-Esporsi alla delusione, è un prezzo equo per comprendere
realmente
chi ci sta a cuore – malinconia
Un
prof rubacuori viene visto, desiderato, sollecitato:
Almeno ciao - Prof, se fingi di non vedermi mi sento ferita come essere umano.
Ci diciamo almeno ciao?-- hope2000
Incantesimo d'amore - Prof, ci vuole un incantesimo per farti ritornare in biblioteca?
Ho ricevuto gli sms... - La tua fatina Alice- Fata Alice
Magari
anche la morettina fingeva di dormire e pensava al prof (sarà stato poi sempre
lo stesso? Un gran seduttore; oppure è il ruolo e la posizione che finiscono
per sedurre le allieve…?).
Ma
quello forse aveva in mente altro: un’altra allieva, un saggio di cui aveva
perso i riferimenti bibliografici, il morbillo della sua bambina con le
efelidi, la moglie giovane che forse se l’intendeva con un altro… ?
Fata
Alice è pronta a fare un incantesimo per rincontrarlo, si sente forte e quasi
sicura: ha ricevuto i suoi sms. Ma vorrebbe qualcosa di più.
Come
quella volta in biblioteca, dove lui le aveva sfiorato i seni sfogliando con
noncuranza quel vecchio incunabolo… O l’aveva baciata appena si erano chiuse le
porte scorrevoli dell’ascensore?
A
questo pensava la morettina carinissima di Alessandria, mentre mostrava di
voler dormire, nascondendo i suoi occhi sotto gli occhiali da sole? Ignorando
il povero Klippos che era sceso dietro di lei a Lampugnano e che aveva il
tremito nel fiato mentre varcava la porta del vagone…
Jeppyfriend si era perso dietro alla mora alta e
bellissima che fa sempre colazione al bar autogrill del mezzanino del metrò di
Porta Garibaldi…
MORA ALTA BELLISSIMA... -TUTTE LE MATTINE FAI
COLAZIONE ALLE 7.30 AL BAR AUTOGRILL DEL MEZZANINO DEL METRO' PORTA
GARIBALDI... NON POSSO FARE A MENO DI GUARDARTI..
Lei
pensava ai fatti suoi, alla sua brioche e al cappuccio caldo e fumante, alla
storia col suo capo che era arrivata ad una impasse. Lui da mesi continuava a
incontrarla in quell’alberghetto dietro l’angolo, con le lenzuola ruvide e
fredde, raccontandole che con sua moglie non c’era più niente ormai già da troppo
tempo … Ma che non era ancora giunto il momento per metterla di fronte al fatto
compiuto …
E
che magari, invece, la mogliettina se la coccolava nel residence di
Bardonecchia, sfiorandole con le labbra
la peluria bionda e quasi invisibile che
le ricopriva il fondo schiena, appena sopra i glutei …
Jeppyfriend
si mostrava spavaldo: puntava decisamente e risolutamente alla
mora-alta-bellissima, che invece inseguiva il suo destino di bellissimo oggetto
di concupiscienza, di splendido animale che deve apparire il più possibile, che
vorrebbe anche essere, ma non riesce ancora, che magari…Crepax1 ha individuato una ragazza sfortunata, che si lamenta al
cellulare con l’amica, dicendole che non riesce a trovare un bravo ragazzo ….
Sulla 74 verso S. Rita -Sabato sei salita sulla 74 vicino al coin in Papiniano.
Parlavi al cell con un'amica e dicevi che non trovi un bravo ragazzo e che
saresti andata a casa e la tua giornata finiva così, con tua mamma. Sei scesa
vicino S.Rita. Eccomi mi hai trovato se vuoi...- crepax1
Questa
ragazza che desta attenzioni così delicate, invece, è probabilmente sempre
invischiata con quella tresca col cognato, sposato con sua sorella, che si rasa
a zero i capelli e si depila tutto, per mostrare meglio i tatuaggi; specie
quello con la svastica che ha sul braccio …? Guardia giurata e stronzo. La
prende sempre con violenza, brutalmente. La vuol sempre possedere anche da
dietro, tenendola afferrata per il collo, come una gallina; le si svuota dentro
ogni volta dopo averla strapazzata, facendole anche un po’ male … Ma lei ne è
quasi contenta; sa di meritarsi l’epiteto di “troiettina bella” che lui le
mugugna con voce gutturale, mentre l’incula selvaggiamente … Lei che poi
sorride dolce alla sorella e coccola il bambino che le grida “Ciao, ziissima …”.
Lei
vorrebbe tanto trovare un bravo ragazzo, per farci un figlio, aprire un mutuo e
farsi una casa…. Conoscere i suoceri e andare al mare nei villaggi turistici …
Ma
come farebbe col suo sadico nazi?
Con
l’amica al cellulare certi particolari li deve evitare; però è delusa di non
aver trovato ancora quel “bravoragazzo” e di doversene stare in casa con la
mamma. E magari andare a trovar la sorella e il nipotino, sperando di
imbattersi negli occhi assatanati del suo animale da monta …
Ora
scende a S.Rita. Crepax1, ignaro dei torbidi retroscena si offre, ingenuamente:
son io, se vuoi, il tuo “bravoragazzo”…
Michele85
ha vissuto un’esperienza emozionalmente intensa: mentre faceva acquisti al
supermercato l’ha vista. Lei: ballerine blu ben intonate al maglione azzurro
traforato; frangetta e capelli corti. Stava pagando un acquisto piccolissimo:
delle mozzarelline … Si accontenta di poco; mangia come un uccellino. Nel
frattempo c’è stata anche una rapina. L’atmosfera si è fatta più intensa e
vibrante. I cuori battevano a tutti all’impazzata. I volti dei ladri nascosti
dalla calza collant, per confondere i lineamenti. Pronuncia forzatamente
slavoide… per sviare le tracce e scaricare sui soliti immigrati dall’est
europeo …
Al supermercato durante la
rapina-
Ieri eravamo al supermercato insieme ..mentre
c'era la rapina..avevi un maglione traforato azzurro e delle ballerine
blu..capelli corti e frangetta...eri alla cassa con delle mozzarelline in
mano..eri bellissima..! Chissà mai quando ti rivedrò!
Michele
deve aver appena 25 anni. 85 dev’essere infatti l’anno di nascita. È rimasto
trascinato nell’atmosfera intensa. La rapina avrebbe dovuto commissionarla lui,
apposta, se non fosse stata già pianificata …
Guarda
le mozzarelline che lei sta per pagare; cerca di scrutare i suoi occhi sotto la
frangetta …
Chissà
se e quando la rivedrà …
E
l’attimo fuggente perduto da Elitron che guarda affascinata il braccialetto
giallo di gomma che il ragazzo porta al polso … Quant’è carino, pensa, mentre
nota il quotidiano che lui ha in mano. E se fosse quello con gli inserti
cercapersone? Speriamo, pensa Elitron. E intanto si dimentica di far lei il
primo passo, di sbilanciarsi lei per prima, di cogliere lei l’attimo fuggente …
Ma lui scompare via … Val la pena di fare un annuncio?
braccialetto giallo- Ieri, ore 20.15 circa, metro rossa direzione Rho-Fiera, ultima
carrozza.
Jeans, occhiali e avevi al polso un braccialetto di gomma giallo. Negata per il carpe diem ho pensato solamente dopo a quanto tu fossi carino.
Avevi in mano un quotidiano, non so quale.
A questo punto spero che sia City e che tu legga Ti Vedo Tutte le Mattine...- elitron
Jeans, occhiali e avevi al polso un braccialetto di gomma giallo. Negata per il carpe diem ho pensato solamente dopo a quanto tu fossi carino.
Avevi in mano un quotidiano, non so quale.
A questo punto spero che sia City e che tu legga Ti Vedo Tutte le Mattine...- elitron
E
com’è poi questa Elitorn? Una giovane ragazza ingenua e impacciata? Oppure un
maturo signore che guarda con impudicizia e concupiscenza il braccialetto di gomma gialla al polso del
ragazzo, mentre lo spoglia con gli occhi interiori, tenendolo afferrato per i
polsi, toccando la gomma sfuggente del braccialetto giallo?
“ La suoneria del mio
cellulare: <<con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’
così…>che dice che mi sta arrivando una telefonata…-Prontooo - con
l’ultima o allungata - oh, sì, certo… sì, sei proprio stata di parola…-
-ti ringrazio di avere chiamato… Quando ti ho incontrata,
l’altro giorno, mi ha colpito il tuo sguardo intenso che è rimasto sospeso
nell'aria, quando ti ho vista scendere.
Ti volevo
"raccontare" nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di
te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere meravigliosamente. Buttavo giù delle
idee sullo smartphone .
Ero soprappensiero. Appena sei scomparsa mi sono reso conto
che avevo avuto una apparizione celestiale. E che eri scomparsa. E non sapevo come
rimediare. Avrei voluto riavvolgere la pellicola all'indietro. Chiederti il
permesso di rubare la tua immagine il tuo sorriso per metterli nelle mie
pagine.
Sarei stato costretto a ricordarti a memoria e a scrivere di
te senza averti conosciuta meglio. Ti avrei cercato su tutti i treni
possibili...
Grazie davvero di avere chiamato-
(Ma dove avrebbe potuto trovare il mio numero telefonico?)
18 .
PICCOLI ROMANZI D’AMORE IMPOSSIBILE
Disperato,
questo Sergio, al punto da citare parafrasandolo il titolo di un film:
CERCASI LAURA DISPERATAMENTE!!! -Cerco LAURA !!!
Mi chiamo Sergio, ha viaggiato con me, seduti accanto, l' 11/02/2010 sul volo Easyjet 417 delle 13.50 -Roma.-Milano. E' originaria di Pordenone ma vive e lavora a Milano da circa 10 anni.
Abita in zona Rogoredo...e se sapessi dove....
E' grafica pubblicitaria ma non so in quale azienda lavori.
Mi ha detto anche il suo cognome ma non riesco a ricordarlo.
Vestiva in jeans, t-shirt con stampa James Dean, gilet grigio scarpe Converse All Star. Non chiedetemi del perchè non gli abbia lasciato il mio numero di telefono.... so che Lei avrebbe voluto.
Chiunque la conosca è pregato di scrivere a: 6grsoo@yahoo.it
Mi chiamo Sergio, ha viaggiato con me, seduti accanto, l' 11/02/2010 sul volo Easyjet 417 delle 13.50 -Roma.-Milano. E' originaria di Pordenone ma vive e lavora a Milano da circa 10 anni.
Abita in zona Rogoredo...e se sapessi dove....
E' grafica pubblicitaria ma non so in quale azienda lavori.
Mi ha detto anche il suo cognome ma non riesco a ricordarlo.
Vestiva in jeans, t-shirt con stampa James Dean, gilet grigio scarpe Converse All Star. Non chiedetemi del perchè non gli abbia lasciato il mio numero di telefono.... so che Lei avrebbe voluto.
Chiunque la conosca è pregato di scrivere a: 6grsoo@yahoo.it
E ora...il miracolo!!!!
Grazie 1000- sergiosoltanto
Grazie 1000- sergiosoltanto
Addirittura è convinto che lei avrebbe voluto il suo numero
telefonico; ma lui non ha osato darglielo. Hanno chiacchierato. Lei gli ha
detto anche il proprio lavoro, la zona in cui abita e persino il cognome. Lui
era troppo emozionato: ha dimenticato tutti quei particolari essenziali. E ora
aspetta il miracolo dalla magica rubrica telematica di cuori solitari….
C’era Federica che temeva di esser stata già dimenticata:
Mi hai dimenticato?- Mi hai già dimenticato? Sono dispiaciuta... ma tu fa quello che
senti. FedericaSeVuoi
Che
però poteva ricevere questa risposta:
a Federica Se Vuoi - No, non ti ho dimenticata, mai; sono solo arrabbiato per alcune
situazioni.
Ma quando riusciamo a parlarci ..........
Aspettami davanti al bar all'uscita della metro, al mattino.
Ciao Federica- mariodevyl
Aspettami davanti al bar all'uscita della metro, al mattino.
Ciao Federica- mariodevyl
Alcuni messaggi poi nascondevano da soli interi romanzi
d’amore e di lontananza.
Cerco Sguardo - Università Statale Milano -
Ciao, Sto cercando uomo, alto
occhi chiari,.... ci siamo sempre scambiati sguardi d'intesa al settore
didattico di via Celoria negli anni tra il 1995-2000.
Ho perso le tracce.... possibile riallacciare i rapporti?
Frequentavo la facoltà di Fisica e viaggiavo tra Brescia e Milano, lui frequentava la facoltà di informatica (?) e spesso ci vedevamo in aule studio o al bar a bere caffè....A presto! E55
Ho perso le tracce.... possibile riallacciare i rapporti?
Frequentavo la facoltà di Fisica e viaggiavo tra Brescia e Milano, lui frequentava la facoltà di informatica (?) e spesso ci vedevamo in aule studio o al bar a bere caffè....A presto! E55
Quanti anni sono
passati,10? , 15? Eppure solo oggi, quel raptus monta alla gola, in un
desiderio irreprimibile. Troppo a lungo covato dentro. Coccolato nelle fantasie
represse, rivisitato spesso nei sogni.
Come
questo slancio disperato ed eccessivo; addirittura fuori misura.
ciao ragioniera rosella del morazzi via
demetrio martelli - bologna- sono piu di 30 anni che non ci vediamo e sono piu
di 30 anni che ti amo. mi dispiace moltissimo che ci siamo persi e che
folgorato dal tuo amore non ho trovato nessuna parola per dirti che ti voglio
bene . sono il tuo corrispondente ,amico di penna attilio, a steday boy se
leggi questa mia inserzione non ti dico di sposarmi, ma per lo meno scrivimi a
grepal@tele2.it telefonami allo 02930344807 va bene principessa' ti amo-
franz48
Altri
30 anni di amore inespresso, nascosto come un peccato; che finalmente prorompe,
erutta fuori violento, dilaga come una valanga senza che l’oggetto del
desiderio se ne possa accorgere o rendere conto. Ormai e certamente fuori
sintonia, fuori campo.
Messaggi
nella bottiglia di vetro di naufraghi di altre epoche, perduti per sempre nel
silenzio …. Annegati in altre vite e in altre dimensioni …
19.
. APPARIZIONE
Alla fine decisi di riformulare il mio annuncio, in modo da
poterlo rivolgere a molte frequentatrici di quella bacheca virtuale, senza
apparire un cercatore di avventure facili, e spiegando i motivi reali della mia
affannosa e disperata ricerca.
“cerco il suo sorriso- Cerco
una donna bellissima che ho incontrato e che era già scomparsa quando ho deciso
di avvicinarla. SEI TU? Hai i capelli biondi corti e uno sguardo di mandorla?
Se non ti riconosci nella apparizione scusami.
Cerco il suo sorriso! Ci siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; era stufa del ritardo; c'era stato 1 incidente a Magenta. Ad un tratto è scesa lì dopo avermi salutato con un sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Voglio "raccontare" quella ragazza nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di lei mi sarebbe essenziale. Sa sorridere meravigliosamente. Ha già dimenticato il mio volto maturo al quale ha regalato il suo sguardo? Stavo scrivendo sullo smartphone e mi carezzavo la barba. No? niente? Sarò costretto a ricordarla a memoria e a scrivere di lei senza averla conosciuta meglio? La cerco su tutti i treni possibili...”
Cerco il suo sorriso! Ci siamo sorrisi sul regionale da MI-P.G. di lunedì 3 maggio delle 18 circa; era stufa del ritardo; c'era stato 1 incidente a Magenta. Ad un tratto è scesa lì dopo avermi salutato con un sorriso delizioso che è rimasto sospeso nell'aria. Voglio "raccontare" quella ragazza nel mio prossimo romanzo. Qualche briciola in più su di lei mi sarebbe essenziale. Sa sorridere meravigliosamente. Ha già dimenticato il mio volto maturo al quale ha regalato il suo sguardo? Stavo scrivendo sullo smartphone e mi carezzavo la barba. No? niente? Sarò costretto a ricordarla a memoria e a scrivere di lei senza averla conosciuta meglio? La cerco su tutti i treni possibili...”
Da
allora son diventato un frequentatore abituale dei treni di quel percorso.
Una
mezza larvata speranza lievita ancora a mezz’aria nell’immaginario che mi
accompagna.
Sono
già riuscito a incontrarla mentalmente migliaia di volte. Le ho già rivolto
infinite volte discorsi teneri.
Forse,
a questo punto, non è neppure più necessario che la incontri e che la ritrovi
davvero.
Forse
quella iniziale gradevole e sensuale fascinazione è stata sufficiente per
accendere la lampadina dell'entusiasmo della speranza. Per risvegliare la mia
produzione testosteronica. Il mio metabolismo ha ripreso a lanciare effluvi
ormonali di richiamo. Forse da allora ho ripreso essere davvero vivo.
Mi
tornano in mente le pagine de "Il diario del seduttore" di
S.Kirkegaard.
In
esse il filosofo danese analizzava diverse fasi e stadi di evoluzione
dell’amore. Prendendo spunto da Mozart.
Papageno,
ne: “Il Flauto magico” rappresenta la fase dell’”innamorato dell’amore”.
L’amore come ricerca dell’amore e dell’amato. È innamorato ma non ha ancora
individuato l'oggetto del suo amore.
Don
Giovanni, impersona quella dell’amore come smania constante e come appetito da
consumare subito, ma eternamente insaziabile. Amore anche carnale ed erotico,
ma soprattutto amore come conquista, possesso, dominio...
Nelle
Nozze di Figaro, si può leggere una metafora delle diverse fasi
dell'amore:Cherubino e Barbarina rappresentano l'amore acerbo, Susanna e Figaro
l'amore che sboccia, il Conte e la Contessa l'amore logorato e senza più alcuna
passione, Marcellina e don Bartolo l'amore maturo.
Io
credo di aver finalmente raggiunto un equilibrio tra la costante ricerca dell’amore,
il suo consumo insaziabile e una profonda pace nel godimento interiore
perdurante e nella narrazione. Anche in assenza assoluta dell’oggetto da amare.
Una folle mentalizzazione dell’amore.
20.
L’ANGOLO DELLE ORE
-
Oh, ma che
piacere vederla!- e le porge la mano.
Lei
gliela stringe compiaciuta: di non trovarsi ora in quello schifoso
supermercato; di non indossare quell’orribile grembiule verde; di essere invece
appena uscita dalla parrucchiera, di essere presentabile. Di potersi mostrare come
è davvero: se stessa.
Ricambia
con piacere il sorriso gentile e garbato che il professore le sta regalando.
E
dell’invito a cena? Se ne sarà già dimenticato? E la sorpresa?
“ Se
non si offende le confesso che avevo in serbo una proposta…qualcuna delle sere
prossime darò una cena a casa mia. ..magari con una sorpresa…” le aveva detto…
Lei
non è per niente disturbata da quell’aria sorniona del gentiluomo galante. È
piacevolmente sorpresa di quell’incontro. Ora l’ha invitata ad entrare con lui
nel caffè la brasiliana e le sta dicendo qualche cortese convenevole, mentre
sogguarda diagonalmente la cassiera che gli sta consegnando lo scontrino.
- Ma
lei è sempre così galante? Fa sempre così con tutte le donne?- chiede
ritualmente Tiziana con tono faceto.
- Oh,certo
che no! – risponde subito lui - Solo con le donne giovani e attraenti come lei!
A proposito, mi stavo giusto domandando, … presumo lei abbia anche un nome… se
non è una cosa troppo riservata… Sa, è per via di quell’invito a cena del quale
le avevo accennato… Anzi, temo di essere costretto a violare ancora più in
profondo la sua privacy, chiedendole anche il numero telefonico… Sa credo che
potrebbe essere funzionale averlo. Ne conviene? -
Poi,
mentre lo annota con la pennina sul suo smartphone, le accenna qualche
particolare in più.
– C'è qualcuno che le vorrei far conoscere. Sa, non si può
dire che io sia troppo socievole... raramente infatti trovo persone che
meritino di essere conosciute... e allora, quando mi capita, mi diverte
abbastanza ritrovarle insieme.
E poi, le confesso anche che ho incontrato una persona
veramente eccezionale, o almeno così mi sembra. A volte mi fido molto
dell'intuito, spesso con ottimi risultati. Non saprei neppure dire; è una
giovane donna che mi ha particolarmente colpito, anche se ritengo di non saper
nulla di lei. Uno sguardo, un cenno d'intesa, un sorriso... a volte può essere
sufficiente per ritenere di aver incontrato qualcuno che era importante
incontrare...
Ma non c'è nulla di certo ancora. Sto cercando di contattarla.
Staremo un po' a vedere.
Comunque non saremo in troppi: tre, quattro persone al
massimo.-
Tiziana
è piacevolmente intrigata da quanto le sta dicendo il professore. Dalla
prospettiva di conoscere gente nuova che promette di essere interessante. E di
scoprire chi è la giovane donna misteriosa che ha affascinato questo buffo e
gradevole gentiluomo.
Aspetterà
la sua telefonata, la cena e l’eventuale sorpresa…
Mentre
si allontana prova ad immaginare l’evento che l’aspetta.
21. INVITO A CENA
Tiziana
è davanti al guardaroba e sceglie, uno dopo l'altro, capi di abbigliamento che
potrebbero essere adatti alla situazione.
Accosta
ogni volta magliette o camicette al proprio busto, tenendole con i pugni
stretti contro le clavicole
Ogni
volta guarda l'effetto che fa, nella grande specchiera di mezzo. Fa lo stesso
anche con gonne, minigonne e shorts. E' contenta di stare lì così, ad occuparsi
solo di se stessa, del proprio aspetto e del proprio benessere, a dedicarsi a
un lato più frivolo della vita.
" Tu non sei normale, ragazza! Ti è bastato che ti
parlasse quel vecchio marpione; che ti dicesse qualche gentilezza; che
recitasse il suo show e... sei lì che ti pisci addosso... come una stupida...
Viviamo troppo da sole, ragazza!
Eppure è tutto quanto così piacevole. Nessuno più usa toni
così garbati e gentili, anche se è evidente che se ne compiace lui stesso...
però è bello sentirsi trattare così; sono sempre stata una inguaribile
romantica
Insomma, cazzo, io mi ci trovo bene in questa situazione
qui... È indubbio che non me la sta "battendo". Sta certamente
giocando il suo gioco, che gli piace, ma gioca pulito...
Chissà chi vorrà farmi incontrare? Un'altra single come me,
per farci diventare amiche, per creare una specie di harem di sue confidenti...
? Oppure qualche single un po' simpatico e bizzarro come lui, oppure qualche
banda di bizzarri smandrappati...”
Questo abbinamento potrebbe andar bene, pensa, mentre si
guarda di nuovo nello specchio lungo, ammirandosi tutta. Non sei una brutta
donna, si dice, anche se stai vivendo come un’eremita da un po' di tempo...
Era stato dopo quell'ultima storia dolorosa e sciagurata. Non
voleva ripeterne neanche il nome nella propria mente. Le era partita via la
testa. Lui aveva fatto di tutto per farle credere di essere unica, eccezionale,
meravigliosa. E forse poteva anche essere vero, d'altra parte, ma il fatto era
che lui aveva usato quella modalità in modo strumentale, l'aveva usata come un
amo per pescare chi era disponibile lì, a non aspettare altro, chi ne aveva bisogno...
Poi si era entrati nella routine, fino al graduale crescendo di screzi,
conflitti, sempre più accesi e disturbanti. Fino a raggiungere l'apice. Il
punto in cui si è raggiunto un bivio nel quale l'alternativa sembra non
esistere più. Non è più possibile sopportare quel livello di sofferenza e di
tensione. E, d'altro canto, pare di non avere il coraggio e la forza di
arrivare al taglio netto, alla separazione, alla rottura. E così, si cade in un
incubo, nel quale si succedono inferni di insulti, pianti, rancore...,
alternati a parziali e provvisori momenti di riconciliazione, che paiono
splendidi come il refrigerio di un oasi nella calura insopportabile.
Ogni donna, ma forse anche ogni uomo, ha bisogno ogni tanto
di sentirsi dire di essere eccezionale, unico, meraviglioso... Di finire
perfino per crederlo. Ma ci sono dei periodi della vita in cui qualcuno ne ha
particolarmente bisogno, non aspetta altro, deve riempire un vuoto immenso che
gli si è creato dentro l'anima, deve colmare il proprio vuoto, la propria
solitudine, la propria insoddisfazione ...
È allora che possono capitare i colpi di fulmine o le batoste
che ti lasciano a terra boccheggiante, e per un po' non ce la fai più a tirarti
su.
Come molte altre storie, anche sentite raccontare da amiche e
amici, tra lei e quel lui tutto era andato in modo magico, come da manuale,
senza un errore o una virgola fuori posto...
Nessun passo sbagliato né da parte di lui, né da parte di
lei. Calibrato al millesimo, giocato con sapiente maestria. Quelle leggere e
delicate premesse che creavano le condizioni per una aspettativa indefinita,
per un crescendo prevedibile ed auspicabile, per lievi accelerazioni
tachicardiche, per uno stato paradisiaco prolungato, per farti camminare e muovere
e vivere come in un sogno...
Questo, poi, era un altro elemento ricorrente della sua vita
sentimentale. Gli inizi e gli approcci magici e meravigliosi. Il crescendo
continuo, sino allo spasimo, sino ad uno stato cristallizzato e statico oltre
il quale non si può andare. Oltre il quale sta cominciando la routine, la
quotidianità e la piattezza che distruggono ogni rapporto.
Poi, lentamente, il riflusso. La regressione verso situazioni
sgradevoli, prima rare, poi sempre più frequenti e intense. La caduta in un
inferno doloroso e malato. Un "cul de sac" dal quale è impossibile
uscire: non si può più star dentro quella relazione divenuta insopportabile;
non si ha il coraggio di afferrarsi da soli per le spalle, e tirarsi fuori,
andarsene via... Paura di sentirsi soli, di soffrirne, di andare in paranoia...
Finalmente, infine, ci era riuscita. Aveva dato un taglio a
quella storia. Aveva ricominciato a vivere con se stessa e con la propria
singolarità. Aveva ritrovato una dimensione di calma e di silenzio. Di tranquillità
monotona e piatta. Di non dolore pure. Di assenza di ferite aperte e
sanguinanti.
Aveva iniziato ad elaborare il lutto della separazione, aveva
imparato a volersi bene, a star bene con se stessa, a frequentare solo chi la
faceva star bene. A vivere con calma e dolcezza la propria solitudine.
Ma era ora di nuovo in quella fase in cui si aspetta il
rifiorire della primavera di speranza. Si ha bisogno di credere che qualcosa
stia balenando nell'aria. Un frullare di brezza di risveglio e di rinascita.
Tiziana
è ora intrigata e ingolosita dalla situazione che le si sta aprendo davanti.
Dalla prospettiva di qualcosa di nuovo, persone e situazioni. Non pensa quasi
al bizzarro personaggio che l'ha invitata e neppure alla storia della giovane
donna misteriosa che l'ha affascinato. E' presa tutta dalla atmosfera dalla
quale si sente pervasa; dalla situazione assolutamente nuova che ha davanti e
che sta vivendo...
Ha
ricevuto la sua telefonata, che senza scendere in particolari le ha precisato
il giorno e l'ora del tardo pomeriggio, la via e il piano...
Più
che una cena deve essere un aperitivo con spuntino, ci andrà verso le cinque,
curiosa per l’eventuale sorpresa…
Prova ad immaginare l’evento che l’aspetta.
“Il vecchio profeta mi apre
la porta; a fianco a lui una bella donna, non giovanissima ma certo più giovane
di me. Mi guarda accogliente facendomi sentire subito a mio agio. Sono dominata
dall'idea che anche lei sia rimasta affascinata da questo antico dinosauro
piacevole e buono. Provo a entrare nel suo stato d'animo, a immaginarmi le
emozioni che ha provato e che prova, a intuire i suoi pensieri...”
La macchina posso parcheggiarla qui, c'è ombra mi sembra un
posto tranquillo. Il numero è quello. Mi avvicino alla videocamera del
videocitofono. Chi ti guarda da dentro vede il tuo volto deformato, ovalizzato,
in bianco e azzurro...
Sento la voce che suona metallica dentro l'apparecchiatura,
buffamente in contrasto con il tono caldo e piacevolmente demodé che mi invita
a salire. Prendo la porta a vetri; l'ascensore oleopneumatico è lì pronto;
arrivo al piano; si accende la luce nel corridoio; si apre una porta ed ecco il
mio anfitrione.
Indossa un completo di tela indiana bordeaux; calzoni che
cadono larghi e mollicci, senza cintura, trattenuti da un cordoncino; un
camicione-blusa dello stesso colore gli cade addosso, senza colletto, i primi
bottoni slacciati...
Porta dei sandali con cordoncini di cuoio, che mi ricordano
le mie vacanze in Grecia di tanti anni fa.
Ha una massa di capelli argentati con ancora qualche sprazzo
castano; corti e un po' radi alla sommità, più lunghi dietro che gli cadono sul
collo, arricciandosi disordinati...
Il suo sorriso abituale, ha come una intonazione nuova,
sintonizzata con l'abbigliamento e con la situazione; assume sfumature più
distese e aperte, pervade quell'atrio e mi segue mentre entro stringendogli la
mano calda e ampia.
C'è un'atmosfera esotica. Un etagère stile secondo impero con
a fianco un tavolo coevo dal contorno a saponetta; un salotto in pelle
bordeaux; una madia e alcuni piccoli buffet stile etnico. Quadri antichi, quasi
tutti di marine o corsi d'acqua. Con cornici scure di legno intarsiato color
bronzo, che probabilmente avevano una volta una doratura...
Un impianto hi-fi anni 68, con le sue casse nere e immense;
un glorioso Tecnhics col piatto per i dischi in vinile, il sintonizzatore, un
vecchio desueto ricevitore per filodiffusione; che coabita con una modem ADSL
wireless che gli è stato appoggiato sopra, con le sue lucine verdi...
Da una porta intravede l'accesso a un bagno con una strana
struttura di legno perlinato; sembra un bagno turco o una sauna. Poi potrebbe
esserci la zona notte con la camera...
Da un'altra porta alla destra della prima, si intravede un'ampia
cucina dove sono mescolati arredi moderni, bizzarri tavoli ikea, mobili etnici.
Sull'altro lato una scala interna porta al piano superiore,
una mansarda.
Una cameretta degli ospiti; uno studio con computer, casse,
quadretti con vecchi occhiali pince-nez e vecchie monete romane, scaffali
bordeaux ricolmi di libri...
Davanti a un tavolo scrivania a libretto una sedia ergonomica
stocke, con imbottitura rossa. Sul tavolo diversi porta-pipa; appesa accanto ai
quadretti una rastrelliera da cui pendono svariate. pipe..
Nell'ultima stanza, attigua ad un secondo bagno, molto più
luminosa delle altre per la presenza di una porta finestra che dà un terrazzo a
pozzo, alcuni attrezzi da ginnastica una cyclette-steep, una panchetta bordeaux
per gli addominali, una macchina gym multifunzione, un pride sacco boxe da
pavimento, un tappeto a terra.
Studio, bagno e camera degli ospiti hanno solo finestre a
velux sui soffitti obliqui; le persiane sono abbassate per via del sole; la
penombra conferisce ulteriore fascino all'ambiente.
L'atmosfera è pervasa da una musica soffusa, a volume
bassissimo, dolce e melodiosa, morbida e accattivante.
Mi spiega che sono dei lieder di Brahams : una voce femminile
di contralto racconta in tedesco di nubi, natura, vento, boschi. Appoggiandosi
su delicati arpeggi di pianoforte. Tutto segnala nel canto la presenza della
persona amata.
Lui mi racconta che ambienta queste melodie in un ricordo
della sua infanzia e adolescenza nella vecchia casa dei suoi nell'Ossola. Era
senza telefono, né TV, né suoni.
Anche il mobilio era affine a quella musica... Me lo
descrive, facendomelo quasi vedere.
Una vecchia scrivania di noce, con la superficie lucidata a
cera, col piano di lavoro coperto di una pegamoide verde scuro, che lasciava
intravedere i segni dei tarli. Un vecchio pianoforte verticale nero con la
cassa armonica di legno. Un buffet-libreria metà 800, una dormeuse di noce
lucido e consunto, il soffitto e le pareti decorati con semplici e ingenui
motivi ricorrenti impressi a rullo.
Il lieder di Brahms, che prosegue accorato, l'ha riportato
là. Mi comunica questo magico contesto con la sua atmosfera.
Lo seguo ora, qui, per la casa, in uno stato d'animo misto di
ammirazione, dolcezza, calma e serenità profonde. Le atmosfere che la musica e
le parole evocano, si mescolano e
confondono con questa che c'è qui. Ha qualcosa di magico quest'uomo, o forse è
solo il fatto che non ci sono abituata a stare con persone così, ricche di
dentro che vivono secondo uno stile proprio. Senza comportamenti seriali; senza
i rituali omologati dei media più banali.
In cucina un tavolo ribaltabile di legno chiaro, sta aperto,
coperto da una tovaglia incerata a riquadri rossi e bianchi, e sopra sono
disposti piatti di portata coloriti e attraenti.
Una vibrazione sonora avverte che il videocitofono attende
risposta.
Sul piccolo schermo azzurroso una figura maschile guarda
verso l'alto e sorride. Ha una leggera barba cortissima, i capelli alle tempie
corti e il cranio lucido di incipiente calvizie.
Non è alto come il professore, e non sembra neppure che abbia
giocato a biglie con lui. Dev'essere sui 40/50 anni e sembra avere uno sguardo
luminoso e un sorriso gradevole.
Per quanto possa raccontarmi il monitor del videocitofono.
Anche la voce abbastanza gradevole. So che lui non ci può
vedere, ma ci saluta ammiccando.
Ora che è salito noto che è appena più alto di me. Mi dà la
mano con una stretta sicura e subito passiamo a darci del tu. Al Professore
invece continueremo entrambi a dare del lei. Mi sembra naturale in questa meravigliosa
recita a soggetto.
Ma dove l'ho già visto? Non è una faccia nuova! Oppure ha
qualcosa di famigliare comunque; non mi trovo davanti a un estraneo.
22. L'INCONTRO
Tiziana
indossa una gonna-pantalone di colore verde militare che le arriva a metà
coscia, dopo aver messo in rilievo, in modo sobrio e garbato, le sue rotondità
posteriori.
Sopra
indossa un leggero scamiciato aderente che le fascia il seno minuscolo e
compatto.
Porta
sandali-stivaletti, che lasciano scoperte le dita e il tallone.
Federico
ha fatto il suo ingresso percorrendo con un sorriso ampio lentamente tutto
l'arredamento , per fermarsi sulla donna che gli sta davanti e che lo guarda
compiaciuta e in sur-place.
Indossa
una camicia stazzonata di lino azzurro tenue, su jeans stinti.
Si
tendono la mano, si guardano come riconoscendosi, come confermando le
reciproche proiezioni fantastiche. Lui si sofferma sul caschetto di capelli
corti neri di lei; sui ciuffi lunghi a virgola delle basette; sul vago sorriso
sospeso a mezz'aria di lei; sulla sua figura asciutta e soda. Lei sente ancora
nella mano la stretta accogliente e viva; negli occhi sente il suo sguardo
aperto e pulito.
Ciascuno
confronta quel che ha davanti con l'immaginario che si era prefigurato; la
sorpresa è reciproca e piacevole.
Ricca
di conferme grate.
Qualcosa del genere me l'ero aspettata, qualcosa come
ritrovarsi tra vecchi amici... come continuare un discorso già iniziato... le
conversazioni sul treno...
Un clima di confidenza sereno e piacevole, una dimensione
magica in cui stanno per dipanarsi situazioni distese, conversazioni
gradevolmente prevedibili, atmosfere naturali...Sì, mi trovo perfettamente a
mio agio, era proprio quello che mi ero aspettato; questa casa, questo
ambiente, questo clima, questo modo calmo di stare con delle persone. Mi viene
subito naturale dare del tu a questa donna, ascoltare quel che dice e dirle con
naturalezza spontanea a mia volta quello che penso...
L'aria è fresca; c'è una leggera brezza che viene dal
condizionatore; ci siamo seduti sul salotto di pelle bordeaux; il nostro
anfitrione ci ha portato due calici di brut cava spagnolo...
Poi è scomparso di nuovo in cucina. Ha un abbigliamento da
revival anni 70. Mi aspetto da un momento all'altro di vederlo ricomparire in
compagnia. Se quest'occasione ci riserva quella sorpresa che mi aveva
anticipato.
Mi immagino la donna dei suoi sogni, quella che lui ha
cercato con ostinazione sui suoi treni. Quella dell'annuncio: "cerco il
tuo sorriso..." di cui mi ha tanto parlato.
Tra i trenta e i quarant'anni; capelli biondi abbastanza
corti; occhi verdi e luminosi; volto a mandorla; sguardo intenso... Intanto mi
guardo in giro.
Il pavimento di parquet è ricoperto di kilim dai colori
intensi, in cui domina il rosso scuro. In un angolo un vecchio Technics vicino
a un telefono di inizio 900, a parete, in legno.
In sordina una voce di contralto canta in tedesco...
La sua musa, invece, non compare. La sorpresa deve essere
rinviata a più tardi, forse.
Lui ci ha portato dei flute nei quali ha versato del cava da
una bottiglia imperlata, con l'etichetta dorata. E’ nientemeno che un “CARTA
NEVADA”!
Finisco per distrarmi e non pensare alla mancata apparizione.
Sono immerso in un mare fresco e profumato, la bocca e la gola sono pervase dal
gusto aspro e aromatico, le parole mi escono da sole, senza coordinarle, e mi
lascio trascinare. Questa donna che mi sta davanti ha un modo naturale e
morbido di stare e di parlare. Non dimentico la presenza del nostro ospite,
perché pervade tutto. Rimane come la musica di sottofondo e i gorgheggi del
lieder che la soprano continua a regalarci con voce accorata. A piccoli passi
io e lei finiamo per raccontarci le nostre provenienze culturali e lavorative.
-
... avrei voluto
fare lettere, ma poi ho finito per iscrivermi a scienze dell'educazione. A
Torino. Ero uscita dall'istituto magistrale, sì quello già riformato, voglio
dire sperimentale, con l'anno integrativo. Avevo seguito l'indirizzo, appunto,
del liceo pedagogico. Non mi sarebbe dispiaciuto, poi, diventare maestra
elementare. O, come viene chiamato adesso, un insegnante di scuola primaria.
Avevo avuto un buon imprinting. Ero stata in una scuola a tempo pieno a dir
poco favolosa. Sai, quelle classi nelle quali si stampava il giornalino, si
facevano vivere animaletti, si studiava la clorofilla con delle piantine da
tenere al buio e alla luce..., si discuteva tanto, ci si allenava a ragionare e
a vivere...-
Federico ridacchia fra sé, guardando in basso, come rimediti
qualcosa...
-
Al magistrale ci
ho fatto scuola qualche anno... sempre supplenze brevi, o al massimo supplenze
o incarichi annuali... Mi era venuta in mente una cosa..., magari poi te la
racconto...-
-
Beh, così mi ero
decisa per scienze dell'educazione. Decisa, si fa per dire... Sai, sono quelle
scelte obbligate: o di qua o di là... non è che puoi sbizzarrirti poi tanto...
Quel periodo me lo ricordo abbastanza volentieri. Sì, lo
definirei un periodo bello, interessante... studiare, preparare esami, andare
alle lezioni, prendere appunti,... Poi c'era l'attività politica, nei
collettivi... Discussioni, dibattiti, prese di posizione, manifestazioni...
C'erano delle storie, niente di impegnativo, o di
definitivo... Si facevano delle conoscenze, si allargavano le amicizie, qualche
amicizia maschile tendeva a trasformarsi in relazione... Poi tutto finiva,
senza traumi, pianti, addii...
I primi tempi avevo una mezza idea di fermarmi lì, avevo
anche trovato delle altre ragazze con le quali dividere degli alloggi... Avevo
portato le mie cose, biancheria, lenzuola, coperte, stoviglie, cibi vari...
Pensavo che la frequenza avrebbe facilitato.
Avevo cambiato diversi alloggi; diverse compagne di
coabitazione; diverse situazioni. Ogni volta per brevi periodi. Le occasioni
non mancavano. Ma poi avevo cominciato a stufarmi di quella strana promiscuità.
Di quelle conoscenze sempre superficiali, mascherate sotto delle routine di
confidenza conviviale con persone profondamente estranee a me. Aveva prevalso
il gusto e il piacere della intimità della mia cameretta, nella mia squallida
città, delle persone che mi conoscevano e che conoscevo bene... Mi ero stufata
di quei continui traslochi seguiti da nuovi sradicamenti. Di quelle temporanee
fasi di soggiorno...
Avevo ripreso a viaggiare.
Nel frattempo avevo fatto domanda per entrare in graduatoria
per le supplenze nella scuola elementare. Niente di eccezionale; brevissimi
periodi di contatto con una realtà sconosciuta; in classi radicalmente diverse
ed estranee alla mia esperienza e al mio ricordo. Sentivo che dietro quelle
brevi pause con la maestra supplente, con la quale i bambini si scatenavano nel
casino e nella confusione,... sentivo insomma che restava sempre presente la
loro insegnante di classe, con la sua impostazione distaccata e fredda, con le
urlate e i castighi, con i dettati e i riassunti, le pagine da ripetere a
pappagallo; con le delazioni e la piaggeria...
Per fortuna le occasioni furono molto limitate. I guadagni
furono modestissimi. Lasciai perdere. Finii per avere più tempo per i miei esami
e la tesi. Dicevi delle tue supplenze al
magistrale... ? –
-
Ah, sì. Avevo
fatto informatica a Milano. Allora sembrava ancora un campo aperto a
prospettive di lavoro. Mi ci ero anche molto appassionato. Dopo la tesi anch'io
mi ero iscritto in graduatoria per le supplenze. Corsi abilitanti o concorsi a
ruolo neanche per idea! E così avevo cominciato anch'io a starmene a casa ad
aspettare al telefono per qualche supplenza. C'erano periodi lunghissimi,
specie all'inizio, in cui mi precipitavo inutilmente a rispondere appena
squillava. Ogni volta cercavano i miei o comunque chi chiamava non c'entrava
niente con la scuola.
Poi erano cominciate le prime nomine. Un mese di qua, due
mesi di là...
Si trattava quasi sempre di incarichi per matematica e
scienze. Così prima o poi venni chiamato al magistrale.
All'inizio ero abbastanza intrigato dall'idea di trovarmi in
classi quasi esclusivamente femminili. C'è da dire che di problemi disciplinari
non ce n'era mai.
Mi accorsi, però, che i problemi potevano venire da un'altra
parte.
Mi ero accorto presto del modo in cui alcune ragazze mi
guardavano, scambiandosi poi occhiate tra loro e ammiccamenti. Qualcuna
prendeva l'abitudine e il vezzo di chiedere qualcosa, di fare domande. Io
stesso, d'altra parte, avevo sempre stimolato gli allievi affinché chiedessero
spiegazioni.
Però, lì. mi accorgevo, ogni tanto, che qualcuna lo faceva
per farsi notare, con aria civettuola, con sorrisi fuori misura, fissandomi
intensamente...
Quasi sempre riuscivo a smorzare quegli eccessi di
entusiasmo, contenendo quei tentativi di avances mascherati da zelo per lo
studio. Riuscivo a tamponare quegli approcci; rimettendo le fanciulle al loro
posto.
Ricordo che in una quarta, c'era una ragazza biondina molto
graziosa. Seguiva le mie lezioni con molto interesse guardandomi sempre con un
leggero sorriso. Non l'avevo mai confusa con quelle scioccherelle che giocavano
a simulare approcci. Era garbata, misurata e attenta. Non interveniva mai a
sproposito.
Finita la supplenza e terminato l'anno scolastico, trovai una
sorpresa nella cassetta delle lettere.
"Caro professore, solo
ora che è finito l'anno scolastico, mi rendo conto di quanto sia stata
importante l'esperienza che abbiamo insieme condotto. Non avevo mai, prima
d'ora, imparato così bene le materie scientifiche e la matematica. Ero sempre
stata convinta di non esserci tagliata. La devo ringraziare per la sua
comprensione e per la competenza delle sue spiegazioni.
L'estate mi ha tolto il
piacere di frequentare la scuola, le compagne e tutte le persone che stimo e
che ammiro. In particolare, mi dispiace molto di non poterla vedere. Sarei
molto contenta di scambiare qualche discorso con lei. Anche fuori del campo
della matematica e delle scienze. Credo proprio che potremmo fare insieme delle
belle chiacchierate. Se vuole può chiamarmi a questo numero telefonico di casa
.........; oppure, se preferisce, anche sul cellulare......... …"
Ti confesso ora qui che quella lettera mi colpì e mi disturbò
abbastanza.
Conoscevo superficialmente il fratello della mia allieva. Era
militante in un gruppuscolo tardo maoista, che faceva opera di proselitismo
davanti ai supermercati e all'Upim, vendendo uno stucchevole giornale e
distribuendo volantini. Era abbastanza ingenuo al punto di voler suggerire, con
la sua parlata dalla erre moscia, la lettura approfondita di qualche
particolare articolo che, ovviamente, doveva essersi imparato già a memoria.
Lo trattavo abbastanza con sufficienza, un po' come trattavo
in quel tempo i missionari dei testimoni di Geova o dei mormoni. Arrivai
perfino qualche volta a provare a far credere al ragazzo che avevo già comprato
il suo giornale e che apprezzavo l'articolo da lui segnalatomi...
I genitori erano industriali lombardi che dovevano avere
fornito ai loro figli un'educazione abbastanza libertaria. Ora saranno
diventati della lega.
La graziosa biondina di quarta magistrale, doveva avere in
comune con il fratello uno spirito molto naif. Aveva provato simpatia per un
suo insegnante e aveva deciso di scrivergli nel cuore dell'estate per invitarlo
a scambiare quattro chiacchiere...
Meditai a lungo sulla questione: da un lato il mio spirito di
gallo era inorgoglito; dall'altro mi sentivo come un possibile pedofilo che
cedeva alle provocazioni di una fanciulla indifesa.
Non mi venne neppure da pensare che era la fanciulla, per
nulla indifesa, che tentava spudoratamente di adescarmi. Nonostante la
differenza d'età di una decina d'anni.
Pertanto scrissi una lettera di questo tono:
"Cara.........,
mi ha fatto immensamente piacere ricevere la tua lettera. È molto bello per un
insegnante sapere che qualcuno dei suoi allievi lo considera una persona amica
alla quale rivolgersi per chiacchierare, confrontarsi, confidarsi... Specie nel
cuore dell'estate! Non sei ancora andata in vacanza?
Purtroppo la
situazione nella quale mi hai conosciuto, vede me nel ruolo di insegnante, e
pertanto riterrei scorretto approfittare della simpatia che posso aver
suscitato in te, per intraprendere una relazione di comunicazione e di amicizia.
Credimi, sono profondamente lusingato della stima che mi attribuisci, quanto
anche della proposta di amicizia. Temo, però, che la differenza d'età e di
ruoli che abbiamo, possa influenzare negativamente, e certo a tuo svantaggio, un
approfondimento.
Mi farà
profondamente piacere ritrovarti in classe il prossimo anno e scambiare con te
e con le tue compagne interessanti conversazioni.......”.
Finivo poi per consigliarla di frequentare i suoi
coetanei, che senz'altro avrebbe trovato meno noiosi del suo vecchio
insegnante.... -
Mentre lui racconta, Tiziana lo ascolta con
attenzione. È compiaciuta del livello di confidenza che lui le ha appena
regalato. E insieme intenerita del pudore manifestato.
Ha cercato di immedesimarsi nella situazione che
le ha fatto rivivere. In fin dei conti la differenza d'età fra insegnante e
alunna non doveva essere dissimile da quella che c'è tra lei e il suo
interlocutore. Per qualche istante si è sentita nei panni di quella ragazza. Ne
ha capito l'attrazione per questo uomo e per la sua profonda gentilezza d'animo
e umanità.
Ha rivissuto il fascino che a volte anche su lei hanno
esercitato uomini più grandi. Crede di ricordare di aver vissuto qualcosa di
simile. Apprezza profondamente l'estrema correttezza che lui ha avuto. E
insieme a lui rimpiange quell'occasione mancata...
Nel frattempo il professore è ricomparso e se ne sta
appoggiato con la schiena alla madia che divide la sala dal salotto. Li sta
guardando con un leggero sorriso assorto. Ma preferisce non interromperli. Deve
avere ripercorso anche lui qualche situazione simile; o forse è dolcemente
pervaso dall'immagine della sua giovane musa che sembra debba restare ancora
assente.
La conversazione si sposta sulle controversie e le
vicissitudini che entrambi hanno vissuto da insegnanti precari. Sui tagli del
personale che l'attuale politica scolastica sta sciaguratamente operando a
discapito della qualità. Sulla scelta dolorosa che hanno dovuto e voluto
compiere di uscire dal mondo della scuola. Sulle generali manovre di golpe
mediatico, di peronismo edulcorato, di profonda illiberalità.
La pervasiva commistione tra politica e malavita organizzata,
la battaglia in difesa della libertà dell'acqua, il rilancio suicida
dell'energia nucleare, la condizione della donna...
- Ho aspettato tanto, inutilmente, che bandissero un
concorso; che indicessero un corso abilitante per materie letterarie nelle
scuole medie o per i bienni delle superiori. Niente!
Per mesi e poi per anni ho passato anch'io le mattinate in
casa, pronta, già vestita, con le chiavi della macchina in mano , aspettando
una telefonata che mi attribuisse una supplenza. La delusione amara di quando
non arrivava niente. La frenesia dell'entusiasmo imprevedibile quando invece
arrivava. Entrambe emozioni immotivate. Fuori registro, eccessive, disumane.
È mai possibile restare per anni a fare una professione che
ti vede lì, tutte le mattine, ad aspettare che ti facciano lavorare..? Oppure
che un certo punto ti accorgi che nella tua vita professionale compare
all'improvviso un buco di qualche mese senza lavoro e senza stipendio..? Oppure
che tu, che sei l'ultima arrivata e che quindi non dovresti essere la più
esperta nel mondo dell'insegnamento e nella gestione di gruppi educativi e di
apprendimento, devi essere precipitata e scagliata in situazioni
insopportabili, dalle quali titolari sono scappati vigliaccamente, a cercare di
risolvere e salvare realtà impossibili?
No, era insostenibile a lungo termine... Non ho retto. Prima
ho cominciato a cercare qualche lavoretto temporaneo per riempire i periodi
senza nomina. Ma anche quelli non erano certo lì dietro l'angolo che mi
aspettavano... Poi ho dovuto risolvere il problema del periodo estivo senza
nomine senza stipendio...! Sì, perché nel frattempo ero andata via di casa dai miei,
per delle storie che avevo avuto e che avevo voluto vivere per conto mio. Con
uno stipendio incerto avevo cominciato a sobbarcarmi anche le spese per vitto e
alloggio. La macchina, che mi aveva lasciato mio padre quando l'aveva cambiata,
era diventata un catorcio di cui non potevo più fidarmi.
Sì, d'estate si trovavano dei lavoretti, tipo sostituire
qualcuno in qualche altro lavoro. Di nuovo facendo il tappabuchi.
Ho fatto anche la baby-sitter. Anche lì, a parte qualche rara
eccezione, un'esperienza demoralizzante stressante. Diventavi la tappabuchi di
famiglie inesistenti o che volevano andare a cena dagli amici o al cinema per
conto proprio. Bambini e bambine dall'aria angelica davanti ai loro genitori,
diventavano di colpo dei piccoli despoti che ti tiranneggiavano e ti
ricattavano: "se mi sgridi dico a mia madre che mi hai picchiato... (che
hai passato il tempo al cellulare; a guardare la televisione; a fare telefonate
interurbane..; a guardare programmi porno...)".
È infine ho trovato la soluzione. Non me ne vergogno: un
posto stabile, la commessa in un supermegastor del cavolo.
La mia laurea in scienze dell'educazione è come se l'avessi
buttata nel cesso. Ma non me ne frega niente. Con un po' di delusioni
finalmente ho raggiunto la mia autonomia economica. Posso pagare
tranquillamente le mie bollette del telefono del gas, mettere a posto la
macchina, andare in vacanza se e quando mi va...-
Ha
fatto un discorso tutto d'un fiato, accalorandosi un po'. Ha buttato fuori il
rospo. Si sente meglio. Non teme di essere giudicata.
Lui
nel frattempo l'ha guardata con comprensione e solidarietà. Le loro storie sono
un po' simili.
È
solidale anche lo sguardo antico che le regala con tenerezza il professore.
- La tua storia non è molto diversa dalla mia. Ho dovuto
ripiegare su un lavoro del cavolo: preparare siti e blog, stare tutto il giorno
sul computer a smanettare. Confezionare pubblicità, banner, “template”. Andare
a cercarmi clienti a casa loro, contrattare sui prezzi, stargli dietro, cercare
sempre di accontentarli...
In compenso sono contento di riuscire a staccare il lavoro
dalla mia vita autentica e personale. Sì, è pur vero che lavoro a casa mia sul
PC, ma quando decido di staccare ho finito. Tiro giù la clèer, la sarcinesca, e
ci do un taglio netto. Posso navigare nella rete per conto mio, sbrigare posta
elettronica personale, scrivere un diario... é sempre sul computer ma non sto
lavorando per gli altri!
È poi posso leggere quel che voglio quando voglio e se mi va
andarmene dove mi pare. Posso darci dentro a testa bassa quindici ore al giorno
per quanto mi pare; poi, quando decido di staccare, stacco veramente e me ne
vado dove cavolo voglio io...-
Dalla cucina, intanto , é appena ricomparso il professore con
la bottiglia di cava ghiacciato. Indossa un grembiule bianco il quale appare la
scritta ricamata in rosa: “ S.O.S. Uomo disperato, cerca aiuto in cucina”.
-
Non vi spaventate per questo abbigliamento buffo;
è un regalo che mi fecero in occasione di una cena da me un gruppo di
simpatiche mie collaboratrici...
Vi assicuro che non vi ho invitati solo per farvi
fare autocoscienza tra voi. Forse manca qualche particolare nel quale avevo
sperato... ma comunque spero di non aver sbagliato nelle mie intuizioni... Ma
lasciamo perdere queste considerazioni. Permettetemi di inserire in appendice
all'episodio che ho sentito raccontare, una analoga vicenda occorsami.
Alcuni anni fa
mi è capitato di fare uno strano e imprevisto incontro su un social networking , Facebook.
Passo molte ore al giorno davanti al monitor a scrivere. Per cui a volte riposo seguendo
altri percorsi.
Era stata un'amica, una giovane e attraente donna
con la quale avevo avuto rapporti di lavoro, che in qualche modo mi aveva
trascinato a iscrivermi.
Avevo precisato nel mio profilo nome e cognome,
gusti letterari musicali e cinematografici, giorno di nascita. Avevo
selezionato tra le immagini digitali che avevo, una nella quale avevo un'aria
abbastanza presentabile. Avevo un poco faticato ad imparare le regole di funzionamento,
ma in breve il nuovo giochino aveva finito addirittura per stufarmi.
Solo ogni tanto andavo a curiosare se era
arrivato qualcosa di nuovo: messaggi, notizie, foto...
Ed era stato lì che avevo fatto un incontro.
Avevo trovato nei messaggi una richiesta di amicizia di una ragazza. Era una
novità, per cui senza pensarci sopra risposi affermativamente.
Trovai presto dei link di collegamento a delle
foto.
Ci misi un po' prima di contestualizzare. Poi le
riconobbi. Erano quelle di una manifestazione contro gli F35, svoltasi di
recente a Novara proprio perché quella sarebbe stata la sede per l'assemblaggio
dei micidiali e costosissimi aerei da guerra.
Era stata, mi ricordavo, una iniziativa
grandiosa, diversa dalle altre manifestazioni politiche che avevano
caratterizzato la nostra provinciale e pigra città. Colorita e grandiosa
raccoglieva contributi e presenze da tutto il nord Italia e dal resto d'Europa.
Le immagini ritraevano alcuni momenti salienti,
striscioni, pupazzi animati, e moltissimi primi piani.
Diversi di quei primi piani erano stati taggati
perché ritraevano me.
Cercai nel profilo della ragazza. Stentai a
riconoscerla nell'immagine che compariva . Aveva un ciuffo di capelli bordeaux
sopra una fronte ampia di un volto da ragazzina.
Era la fanciullina che aveva fatto le fatto le
foto. Era stata lei a chiedermi di amicalizzare su FaceBook.
Le avevo detto durante il corteo che anch’io mi
sarei fatto i ciuffi colorati di verde o viola e i rasta, se solo avessi avuto
anche i capelli. La battuta le era piaciuta e l’aveva colpita. Mi aveva detto
che le foto le avrei potute trovare sul socialnetwork.
Le avevo poi viste infatti.
Nel suo profilo aveva collocato delle note in forma di versi.
Mi sembravano interessanti.
L'avevo messaggiata in bacheca:
- Poi mi spieghi per favore come faccio a scaricarre le tue
foto? Complimenti; sono davvero molto belle.-
- Grazie mille! Non saprei dirti come si scaricano le foto,
mi spiace! Non basta selezionarle e copiarle? Ah,sì, confermo! Se le selezioni
in modo che diventino tutte blu e poi le copi su word il risultato è ottimo!-
-.Perfetto. Ci voleva la tua mano fotografica a Milano il
mese scorso. A me ne son venute solo di molto scadenti: puro documento... Di
versi ne scrivi anche altri?-
- Al momento sono impegnata nella scrittura di un libro e nel
mio primo progetto cantautorale!
Ti piacciono i miei versi?-
Ti piacciono i miei versi?-
- Sì, li trovo interessanti. Mi ricordano percorsi
esistenziali... "Davanti a me tutta la mia infanzia..."
(J.Joice-Ulisse). C'é speranza se qualcuno ama ancora la poesia e ne scrive...
Se ti va di parteciparne qualche saggio, puoi trovare la mia mail al mio
profilo. Io, per esempio, non rendo pubbliche le cose che scrivo (almeno fin
quando un editore non me le avrà presto stampate...). Sai cosa diceva D.Pennac
quando é venuto a Novara dello "scrivere"?
- Io pubblico poco in giro,
anche perchè mi è successo, in campo artistico, di dire troppo e ritrovare le
mie idee addosso a qualcun altro...
Purtroppo non sono riuscita a venire a sentire Pennac, è uno dei miei scrittori preferiti! Cosa diceva?... -
Purtroppo non sono riuscita a venire a sentire Pennac, è uno dei miei scrittori preferiti! Cosa diceva?... -
- Ho provato a chattarti scrivendo una frase ma non succede
niente -
Poi mi ero messo a chattare con lei:
- riprova
- sto provando (sono 1 po' imbranato...)
- :)
-ora ho capito, bastava scrivere e poi cliccare enter... cosa
vuol dire ql faccina perplessa che m hai inviato?
- è un sorriso
- ah!sob! emaileggiami qlk poesia se ti va; (dove si prendono
le faccine?) qs é proprio in bel giochino, specie poi se serve anche a
comunicare pensieri, parole, idee...
- non sono vere e proprie poesie, diciamo che sono pensieri-
appena ho tempo di scriverle al computer te le mando!
- per fare le faccine devi usare i due punti e la parentesi
in questo modo:
sorriso : )
triste : (
occhiolino ; )
-grazie; ora posso usare anke questa neolingua oltre a quella
ufficiale, alle mail, agli sms... ; aspetto i tuoi versi; vuol dire che ne
sceglierò qualcuna mia adeguata e te la mando se nn ti faccio perdere tempo
allo studio... Cos'é che stavi cercando di studiare e il tuo cervello
rifiutava? la cultura nozionistica solo raccontata e non agita? vai avanti cmq
a testa bassa. Hai la maturità quest'anno? :)
- no ho già finito da un pezzo, vado a Brera. cercavo di
studiare storia dell'arte. se mi mandi qualche mail sono molto contenta
- ah scusa la tua mail é "gigliosonante@gmail.com
"? posso usarla? mi è più funzionale
- si certamente!
- poi m spieghi la cantautoralità (sei anche musicista?che
strumento?? sono un po' indiscreto?...)
- si, diciamo che gioco anche con la musica, per diventare
musicista mi manca ancora qualche anno di studio- suono l'oboe - però il nuovo
progetto è basato sullo scrivere dei testi musicandoli completamente da sola lo
chiamo canzoni solitarie - io registro voce chitarra basso e percussioni da sola
-- qnd avevo la tua età suonicchiavo il violoncello, prima
della rivoluzione francese, voglio dire; ma ora son capace solo a cantare i
canti popolari (politici, mondine, resistenza, anarchia, quelli dei
"dischi del sole"; sempre archeologia per te, lo so; ma ci sono dei
prodotti culturali ed artistici che sono universali e non dovranno mai esser
fatti morire...). Potrò permettermi di esser curioso anche della t produzione e
ricerca musicale..? Tot secoli fa' ho fatto una presentazione in pubblico di
una mia raccolta di testi poetici (mai stampata perché non mi interessava), con
un amico jazzista e suoi colleghi che facevano e fanno ricerca nel jazz.
- bello il jazz; i canti popolari li so anch'io
- loro mi accompagnavano e io leggevo/recitavo
poesie... Era il tempo delle fragole... Ci sono canti popolari che possono
ancora far piangere (es."El poer Luisin").
- ho un amico contrabbassista jazz che fa sempre
progetti voce-musica
- voi giovani siete una miniera di sorprese e di
speranza per il futuro; nonostante i tempi bui che respiriamo oggi "la
speranza sarà sempre l'ultima a morire...". E' piacevolissimo conversare
con te se non ti faccio trascurare troppo la storia dl arte ...
- non c'è problema però tra un po' riprendo a
studiare!…
grazie mille! a presto
Ero rimasto piacevolmente turbato e come in sur-place
esistenziale. Lei non era una mia allieva. Era una donna grande e autonoma.
Quindi le ho mandato due mail di questo tenore:
La prima diceva:
Comincio con la
"teoria della narrazione" che traggo da un mio pseudoromanzo che amo
abbastanza, al contrario degli editori.
"...E pure
nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare. Anzi, è proprio il sogno a
modificare la successione degli eventi della sua “narrazione”, mescolandoli
secondo meccanismi e dinamiche sue proprie.
Tanto sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi seguono un percorso simile,sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui, ma… pochi istanti dopo è già passato…
Ecco, diciamo che questa narrazione cerca di imitare il pensiero, le fantasie, il sogno. Per ricreare un ambiente dal di dentro. Con la discontinuità tra il prima e il dopo, come nel ricordo e
nell’immaginazione.
Questa narrazione è dunque malata: non è una rappresentazione fotogramma dopo fotogramma degli avvenimenti.
Sarebbe una noia mortale, altrimenti.
Si è costretti ad operare dei continui salti avanti e indietro.
Si sceglie ad un certo punto di interrompere la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato. Poi si ritorna ad un presente leggermente successivo; poi interviene un ricordo; salta fuori una fantasia; quando non compare un vecchio scritto, una lettera, una pagina di diario, una poesia….
Questo salto temporale, o analessi, è uno scombussolamento della struttura lineare in cui si sono svolti i fatti (secondo sequenza logica e cronologica) .
Attraverso questa deformazione malata della realtà dei fatti, la narrazione vorrebbe cercare di mostrarsi più autentica. Un artificio, dunque, per cercare di creare la realtà.
Se il meccanismo funzionerà avremo un risultato di effetto.
A questo punto ci buttiamo dentro pezzetti di vita e li facciamo reagire tra loro. Vediamo cosa ne verrà fuori!" ...
"Sarebbe, infatti intenzione comune, fondamentalmente, di provocare piacere in chi si avventurerà in queste pagine. Non già quella di creare disorientamento e confusione.
L’utopia che avremmo è quella, magari, di permettere quel che propone Daniel Pennac al lettore.
Che la lettura possa assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore.
Buon appetito e buon sogno, dunque!" (stanno parlando i personaggi che nelle prime pagine a mo' di introduzione si presentano ai probabili/ipotetici lettori...)
(da Xxxxxxxxx. Edizioni Xxxxxxxxxxxxxxxxxx)
Tanto sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi seguono un percorso simile,sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui, ma… pochi istanti dopo è già passato…
Ecco, diciamo che questa narrazione cerca di imitare il pensiero, le fantasie, il sogno. Per ricreare un ambiente dal di dentro. Con la discontinuità tra il prima e il dopo, come nel ricordo e
nell’immaginazione.
Questa narrazione è dunque malata: non è una rappresentazione fotogramma dopo fotogramma degli avvenimenti.
Sarebbe una noia mortale, altrimenti.
Si è costretti ad operare dei continui salti avanti e indietro.
Si sceglie ad un certo punto di interrompere la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato. Poi si ritorna ad un presente leggermente successivo; poi interviene un ricordo; salta fuori una fantasia; quando non compare un vecchio scritto, una lettera, una pagina di diario, una poesia….
Questo salto temporale, o analessi, è uno scombussolamento della struttura lineare in cui si sono svolti i fatti (secondo sequenza logica e cronologica) .
Attraverso questa deformazione malata della realtà dei fatti, la narrazione vorrebbe cercare di mostrarsi più autentica. Un artificio, dunque, per cercare di creare la realtà.
Se il meccanismo funzionerà avremo un risultato di effetto.
A questo punto ci buttiamo dentro pezzetti di vita e li facciamo reagire tra loro. Vediamo cosa ne verrà fuori!" ...
"Sarebbe, infatti intenzione comune, fondamentalmente, di provocare piacere in chi si avventurerà in queste pagine. Non già quella di creare disorientamento e confusione.
L’utopia che avremmo è quella, magari, di permettere quel che propone Daniel Pennac al lettore.
Che la lettura possa assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore.
Buon appetito e buon sogno, dunque!" (stanno parlando i personaggi che nelle prime pagine a mo' di introduzione si presentano ai probabili/ipotetici lettori...)
(da Xxxxxxxxx. Edizioni Xxxxxxxxxxxxxxxxxx)
Poi le allegai
un testo poetico: Spero possa piacerti; non conosco i tuoi gusti; ci tengo
molto a conoscere un tuo parere; se vuoi
SPECCHI
Fuggivo per le valli del mio passato
Cavalcando il Super Dink color argento,
ricordi?
Quando effluvi di fiori d’acacia, come un velluto
carezzavano l’aria afosa di giugno,
vero?
Di costa una chiesina minuta, arrampicata, annegata
nel verde fresco, che c’era da dissetarsi guardando,
lo sai?
Il lago di Morasco aveva come un gorgo più chiaro
d’un verde tenero, sembrava malato anche lui,
ricordi?
Strappavano ancora, di nuovo, brandelli d’anima
con separazioni devastanti e nuovi lutti da elaborare.
Non puoi ricordare, già, perché stavi cercando
nello specchio di ritrovare l’amore che avevi partorito.
Flauti morbidi e archi di violini provavano a lenire
le ferite lancinanti, che tardavano a cicatrizzare.
Non puoi più ricordare, perché eri dentro ad un’altra storia,
dove c’era un altro lago Morasco, un’altra Ossola, un’altra
arsura da annegare con altro verde, in un’altra dimensione
simile, sì, ma un’altra. Il gioco dello specchio!
Fuggivo per le valli del mio passato
Cavalcando il Super Dink color argento,
ricordi?
Quando effluvi di fiori d’acacia, come un velluto
carezzavano l’aria afosa di giugno,
vero?
Di costa una chiesina minuta, arrampicata, annegata
nel verde fresco, che c’era da dissetarsi guardando,
lo sai?
Il lago di Morasco aveva come un gorgo più chiaro
d’un verde tenero, sembrava malato anche lui,
ricordi?
Strappavano ancora, di nuovo, brandelli d’anima
con separazioni devastanti e nuovi lutti da elaborare.
Non puoi ricordare, già, perché stavi cercando
nello specchio di ritrovare l’amore che avevi partorito.
Flauti morbidi e archi di violini provavano a lenire
le ferite lancinanti, che tardavano a cicatrizzare.
Non puoi più ricordare, perché eri dentro ad un’altra storia,
dove c’era un altro lago Morasco, un’altra Ossola, un’altra
arsura da annegare con altro verde, in un’altra dimensione
simile, sì, ma un’altra. Il gioco dello specchio!
E’ bastato
inclinarlo un poco ed eccoci decisamente estranei.”
inclinarlo un poco ed eccoci decisamente estranei.”
Era passata una settimana circa. Stavo quasi
rinunciando ad aspettare una risposta. A chiudere quel capitolo di stage
on-line di formazione letteraria. Quando nella posta ordinaria trovai questa
mail.
“Ciao,
scusa il ritardo, ma ho avuto solo ora il tempo di leggere il tutto con calma.
Purtroppo non ho lo stesso tempo per risponderti, ma prometto di scriverti una
nuova mail il prima possibile. I tuoi scritti mi piacciono molto, il primo lo
trovo del tutto geniale, il secondo rimanda ad immagini sbiadite, dolci e
profumate allo stesso tempo.
Spero di riuscire al più presto a inviarti qualche mio sprazzo di scrittura.
Grazie di tutto.”
Spero di riuscire al più presto a inviarti qualche mio sprazzo di scrittura.
Grazie di tutto.”
Quando riuscii
le risposi più o meno così:
“ La tua preziosa mail mi piace molto. Conferma la sensibilità artistica che avevo già intuito. Grazie per aver letto e risposto. Segui certo i tuoi tempi e ritmi.
Quando avrai voglia e tempo di mandarmeli leggerò i tuoi sprazzi e studierò con molto interesse i frammenti di realtà che mi farai conoscere …
Sei anche un “personaggio” interessante per nuove narrazioni (se mi presti la tua immagine umana ti farò viaggiare … con i connotati che ho colto, col nome che mi suggerirai; ma non sentirti obbligata…).
Se, poi, ancora non ti spaventa e se ti diverte leggere, quando avrai tempo e voglia ti proporrò da leggere il romanzo intero… (ho sentito, hai detto: "che palle!")
Nell’introduzione del “romanzo” il protagonista dice all’autore:<<Se qualche lettore avrà l’occasione di ritrovare in me o in qualche mio compagno di questo viaggio elementi di autenticità, sarà solo merito tuo; e della vita che qui viene simulata e sognata.
Noi ora viviamo in un sogno.
Fin quando qualche anima buona, leggendoci, ci vorrà far vivere dentro di sé.
Per noi ora la vita é solo sogno. Dacci linfa vitale; infondi il fiato caldo del dio Pemba che soffiando sull’oceano mare creava il mondo; metti sangue nelle nostre vene virtuali; regala un sorriso ai librofagi che vorranno vivere con noi questo sogno…
Scrivere può anche essere un grande atto d’amore. …
Ma potremmo anche desiderare uscire da questa prigione narrativa; entrare, così come tu ci hai disegnato, nel vostro mondo di viventi.
Mescolarci con voi definitivamente e vivere la nostra vita in mezzo a voi....”
Se ti ho annoiato, scusami.
A presto. Se vuoi.
Un saluto affettuoso.”
“ La tua preziosa mail mi piace molto. Conferma la sensibilità artistica che avevo già intuito. Grazie per aver letto e risposto. Segui certo i tuoi tempi e ritmi.
Quando avrai voglia e tempo di mandarmeli leggerò i tuoi sprazzi e studierò con molto interesse i frammenti di realtà che mi farai conoscere …
Sei anche un “personaggio” interessante per nuove narrazioni (se mi presti la tua immagine umana ti farò viaggiare … con i connotati che ho colto, col nome che mi suggerirai; ma non sentirti obbligata…).
Se, poi, ancora non ti spaventa e se ti diverte leggere, quando avrai tempo e voglia ti proporrò da leggere il romanzo intero… (ho sentito, hai detto: "che palle!")
Nell’introduzione del “romanzo” il protagonista dice all’autore:<<Se qualche lettore avrà l’occasione di ritrovare in me o in qualche mio compagno di questo viaggio elementi di autenticità, sarà solo merito tuo; e della vita che qui viene simulata e sognata.
Noi ora viviamo in un sogno.
Fin quando qualche anima buona, leggendoci, ci vorrà far vivere dentro di sé.
Per noi ora la vita é solo sogno. Dacci linfa vitale; infondi il fiato caldo del dio Pemba che soffiando sull’oceano mare creava il mondo; metti sangue nelle nostre vene virtuali; regala un sorriso ai librofagi che vorranno vivere con noi questo sogno…
Scrivere può anche essere un grande atto d’amore. …
Ma potremmo anche desiderare uscire da questa prigione narrativa; entrare, così come tu ci hai disegnato, nel vostro mondo di viventi.
Mescolarci con voi definitivamente e vivere la nostra vita in mezzo a voi....”
Se ti ho annoiato, scusami.
A presto. Se vuoi.
Un saluto affettuoso.”
Poche ore dopo
la sua replica.
”Non riuscirò
mai ad esclamare "che palle!" davanti a mail del genere, la mia
immagine umana può essere prestata a chiunque sappia usarla, il problema
fondamentale è l'inesistenza di "istruzioni per l'uso".
Sarei molto contenta di poter sfogliare un tuo romanzo!!! :)
Ora ti saluto.
Buongiorno, buonanotte, buonpomeriggio o buonasera rispetto al momento in cui finirai di leggere!
Sarei molto contenta di poter sfogliare un tuo romanzo!!! :)
Ora ti saluto.
Buongiorno, buonanotte, buonpomeriggio o buonasera rispetto al momento in cui finirai di leggere!
- Allora b.notte. Bacioni e
coccole (hai preso l’orsacchiotto?)
- Ce l’ho sempre con me.”
-
Come
vedete non mi posi scrupoli rigidamente moralistici. C'è da dire però che la
fanciulla era abbastanza più grande rispetto alla biondina che si approcciava
al suo professore. E poi non era mai stata mia allieva, o qualcosa di simile.
Se pure sembrava volersi instaurare un rapporto maestro/allieva, esso aveva un
carattere non istituzionale e quindi finiva per connotarsi come un rapporto tra
pari. Nonostante la differenza d'età e di genere.
Non posso escludere che potesse anche
determinarsi o instaurarsi una relazione di comunicazione non perfettamente
paritaria. Del tipo di quella che lega spesso il discepolo al suo maestro,
specie quando da parte del primo esiste un atteggiamento di stima e ammirazione
nei confronti del secondo. Che viene perciò riguardato in un'aura di
superiorità e di eccezionalità. Non escludo nemmeno che si potesse dire che in
quel contesto aleggiasse un'atmosfera riconducibile a qualcosa di simile a
quella che circonda la vicenda di Abelardo ed Eloisa.
Certo nulla a che vedere con il rapporto morboso
del professor Humbert-Humbert e la sua diletta Lolita.
Il carattere della mia giovane amica era teso ad
ostentare trasgressività, bizzarria, atteggiamento estremamente libertario e
anarco-comunista. Come potevo facilmente rilevare dai materiali che aveva
pubblicato sotto il suo profilo, dal linguaggio e dalle conversazioni presenti,
dal suo atteggiamento sbarazzino e per nulla succube.
Forse sempre il rapporto maestro/discepolo sarà
pervaso e permeato da implicazioni ambivalenti di dominio/dipendenza. Con
alternanze di reciprocità e ambigue ciclicità.-
-Mi sembra che lei voglia dire che il mio
scrupolo quando ricevetti la lettera potrebbe essere considerato eccessivo? Che
il problema del rapporto squilibrato che mi sembrava stesse per determinarsi
era fondamentalmente un problema mio? Che avrei anche potuto benissimo
scambiare due chiacchiere con quella ragazza, pur mantenendola a distanza per le
sue probabili aspettative esagerate?
Sì, riconosco che effettivamente anche nel caso
mio la persona che mi faceva quelle garbate avances era maggiorenne e
cosciente, e che era compito solo mio gestire la relazione educativa in modo
equilibrato... Forse mi sono fatto eccessivamente influenzare dal rapporto
istituzionale che esisteva... Forse le mie paure e i miei tabù nascondevano
l'inconscio desiderio di trasgredire la norma deontologica di rispettare quella
Eloisa che mi era stata affidata dall'istituzione scuola. Immagino che il
prosieguo della sua storia rientri nell'alveo della privacy sua e della sua
giovane bizzarra ammiratrice...-
- Ma no, per niente... ma non vorrei a questo
punto monopolizzare la vostra conversazione. Ho solamente voluto illustrare un
punto di osservazione diverso da quello che era stato considerato.
Credo che spesso nella vita tendano ad
instaurarsi rapporti di sudditanza o di subalternità. Ma una cosa è volere
intenzionalmente dipendere da qualcuno per scelta equilibrata e cosciente:
decido coscientemente di guardare a te, per competenze che ritengo tu abbia,
come a mio mentore, mia guida, fino a quando, liberamente, non deciderò il
contrario. Altra cosa è, invece, subire la suggestione di qualcuno senza avere
coscienza di ciò. Si tratterebbe allora di plagio... concetto peraltro molto
contorto e confuso.
È forse quello che avviene spesso in politica. O
nelle religioni. O in presenza di sette che della religione hanno solo la
maschera e mirano sostanzialmente ad un rapporto di sudditanza per scopi
economici o di altro genere più squallidi e meschini.
Comunque vi posso anticipare che è quasi pronta
la cena. Spero sia di vostro gradimento.
Non posso negare che il suo comportamento sia
stato estremamente corretto. Forse anch'io, al suo posto, avrei agito così.
Volevo solo spostare l'attenzione su un piano più generale. Quello dei rapporti
e delle relazioni nelle quali l'uno o l'altro, o tutti e due, tendono ad usare
l'altro. Dominarlo. Magari per esserne a propria volta dominati su altri versanti...
La manipolazione...
…Oh, grazie, le posso affidare questo piatto di
portata?...-
- Posso collaborare anch'io, anche se sono un uomo... –
-
Certo,certo,
le assegnerei il compito dei vini... Ne ho messi alcuni sul tavolo in cucina...
E nel frigorifero può trovare dei bianchi vivaci. A lei il compito di scegliere
il più adatto... naturalmente in base ai cibi che vede... -
-
Ma...
é una cena in grande stile...non era il caso... -
-
Era
il caso, era il caso... anche se, ripeto, manca qualche elemento che sarebbe
potuto essere essenziale, o comunque che avrei auspicato... Ma … Sì, lo metta
pure su quel carrello …
-
Ma
quante cose ha preparato... bastava uno spuntino, così, per chiacchierare...-
dice la ragazza mentre si affretta a prendergli dalle mani i piatti di portata.
Su un ampio piatto ovale di maiolica bianca finissima, sono
distese fette bordeaux scuro di tonno affumicato. Nel mezzo una ciotola bianca
di maiolica col manico contiene gamberetti in salsa rosa. A fianco ad essa
un'altra ciotola con polpi in insalata con olive taggiasche e pinoli.
-
Davvero,
non so come farò a ricambiare quando dovrò invitarvi io casa mia... Non sono
certo un cuoco raffinato come lei!- aggiunge Federico.
-
Aiuto
a portare in tavola le leccornie meravigliose che ha preparato... Ma lei è
proprio un cuoco raffinatissimo... Chissà quanto lavoro le sarà costato... - Si
associa subito lei.
-
Ma
cosa dite mai! Per me preparare dei cibi è molto simile al divertimento che
credo provi chi svolge attività artistiche.
Quando assaggio un cibo speciale o nuovo, cerco
di individuare quali siano gli ingredienti che lo compongono, le spezie, gli
aromi, i vini. Cerco anche di ipotizzare i tempi di cottura, di lavorazione...
Sono riuscito a ricreare un “cacciucco” molto
verosimile e credibile. Magari qualche volta ve lo preparo. Lo conoscete, vero,
è una zuppa di mare livornese abbastanza piccante di peperoncino.
Procedimento abbastanza analogo ho seguito per
realizzare il “rabo de toro”, una variante della nostra “coda alla vaccinara”,
ma senza il pomodoro e molto caricata di spezie aromatiche tipo finocchio,
aneto, coriandolo, zenzero... Ne ero rimasto affascinato a Valencia o a
Cordova... Mi ero dimenticato di farmi segnare la ricetta, ma mi ero arrangiato
con il fai-da-te.
Molti anni fa, ricordo che volli provare a fare
delle meringhe. Confesso che un minimo di ricetta e di procedura me la feci
dire.
Il risultato fu assolutamente sorprendente!
Ricordo che quella che era la mia compagna in quel momento ne rimase stupita.
Era stata lei la mia maestra in quell'occasione. Mi guardava con estremo
rispetto e meraviglia.
La seconda, la terza, la quarta volta furono un
fiasco completo. Uscivano dal forno delle patacche appiccicose, in parte
mollicce e in parte dure come dei lecca-lecca.
Non ho mai più provato a cimentarmi con le
meringhe. Semplicemente sostenendo che non mi piaceva prepararle e quanto meno
mangiarle.
Non ho mai seguito la procedura indicata dai
ricettari, tranne in casi eccezionali... È il caso, per esempio, del "sushi"
e del "sashimi", per i quali mi sono dovuto procurare un sobrio
manualetto...
Sì, mi diverto a creare, come credo faccia il
compositore che seleziona strumenti, suoni, note, accordi, armonie e melodie, tempi e silenzi... O come
credo faccia chi vuole realizzare un'opera pittorica o plastica, che seleziona
materiali e tecniche... O come cerco di fare anche quando voglio scrivere un
testo poetico o narrativo...
Tanto in cucina quanto nella scrittura mi
capitano di nuovo aborti schifosi come quelli con le meringhe pappocciose...
- Ma hai visto che razza di menù..? -Esclama
Federico mentre passa davanti a lei con la zuppiera ricolma di riso freddo in
insalata - Con cozze, vongole, gamberetti, olive taggiasche e pinoli- aggiunge
sorridendo compiaciuto e lusingato...
-
E questa grigliata mista di gamberoni, capesante
e... cosa sono queste? Ah, sì, fette di calamaro gigante, guarnite con erbe
profumate... - Sta al gioco dei complimenti lei, facendogli il verso...
-
Dicevo, giorni fa ad un'amica che sono proprio
autosufficiente. Lei tirò fuori il solito luogo comune che ero un uomo da
sposare. Certo, le risposi, quasi quasi mi sposo (con me stesso!).
... menta, origano, salvia, basilico... Spero che questi aromi non
vi dispiacciano? Mi sembra che mitighino un po' l'odore forte del pesce...- Soggiunge
garbato l'anfitrione.-
Per un po' è un andirivieni di tutti e tre
che portano piatti di portata e ciotole che vengono depositate un carrello di
legno con con rotelle.
- Il menù consiste in:
·
antipasto-
tonno e halibut affumicati affettati- gamberetti in salsa rosa- polpi in
insalata con olive taggiasche e pinoli
·
primo-orzo
freddo in insalata con cozze, vongole, gamberetti, olive taggiasche, pinoli
·
secondo-
capesante, gamberoni, fette di calamaro gigante alla griglia con origano,
menta, salvia e basilico-
Federico ha intanto assunto l'incarico di
aprire una bottiglia di Muller Turgau che ha preso in frigorifero. Ne versa nel
proprio bicchiere e in quello della ragazza; mentre sta per riempire quello del
cuoco, questi pone la mano sul proprio con un leggero cenno di diniego del
capo.
Nessuno chiede niente o fa domande in
merito.
Prendono posto e cominciano a servirsi e
intanto continuano a scambiarsi alcune battute meno formali. Nell'aria c'è un
po' di aspettativa da parte di Federico e Tiziana che sperano di sapere
qualcosa di più rispetto alla convitata assente. Spiegazioni e informazioni
che, per il momento, rimangono sospese per aria. Frasi smozzicate e
interruzioni; sovraccavallamenti intercalati da brevi interruzioni e pause, in
sur-place, lunghi appena il tempo di introdurre cibo in bocca e iniziarne la
masticazione. Brevissime apnee dedicate all'assaporamento del gusto,
compiaciuto e intenso, alla deglutizione favorita dall'aroma fruttato del vino
trentino.
-
A
dire la verità- butta lì Federico infilandosi in una pausa dei parlari- stiamo
constatando la sua assenza, sui treni, da un po' di tempo... –
L'interpellato si intrattiene mentalmente
su una riflessione interiore,. Cerca le parole e le immagini più adatte, mentre
accarezza l'ultimo boccone con un rimescolamento di sensi e di papille
gustative.
-
Come
ebbi modo di raccontarle, fu un'occasione fortuita e magica a farmi assumere la
vocazione di pendolare. Ma preferirei che fosse lei a delucidare nel merito la
nostra gentile commensale... non credo che sia il caso che mi dilunghi di nuovo
in quel percorso accidentato col quale finii per assillare il suo viaggio...
Sì, gliene sarei grato, racconti lei, come le sembra meglio, quella bizzarra
storia... –
Dopo avere deglutito ed essersi schiarito
la voce, lui, con un leggero sorriso imbarazzato, si mette a raccontare.
-
Beh,
in un viaggio di ritorno da Milano, avvenne una miracolosa e sconvolgente
apparizione. Uno sguardo bellissimo e affascinante le regalò un sorriso,
gratuitamente, sparendo poi nella stazione di Magenta. Da quel momento iniziò
per lei un turbinoso carosello, su tutti i possibili treni, per reincontrare
quel volto... Spero di non aver troppo banalizzato suo racconto...
-
La
ringrazio per l'efficacia e per la sintesi... Sì, dopo quella sfolgorante e
luminosa visione, iniziai un'estenuante pellegrinaggio. Come la giovane
Soubirous ripercorsi più e più volte il cammino che m'aveva portato a quella
visione. Come i pastorelli di Fatima cercai con ansia di riprovare
quell'emozione entusiasmante. Con immenso afflato emozionale ritornai più e più
volte sui miei passi, meglio sarebbe dire sulle mie rotaie, purtroppo invano!
Nel mio viaggio per la mia Santiago de Compostela, la meta finì per diventare
un miraggio... Ma niente di mistico, s'intende. Ho rinunciato da tempo ad
aspettare le stigmate (temo possano indurre infezioni). E di camminare sulle
acque, non se ne parla, a meno di sapere già prima dove sono i sassi...
-
Pensi-
aggiunge inspirato guardando la ragazza negli occhi-che arrivai persino a
pubblicare un annuncio, sulla pagina Web di un quotidiano generalista di quelli
che si trovano gratis entrando in metropolitana, che diceva, anzi, urlava a
squarciagola: "Cerco il tuo sorriso...".
La lettura del quotidiano e, ancor più, la
vista che feci al sito, fu un'esperienza abbastanza interessante... Mi imbattei
in storie meravigliose che altri, come me e insieme a me, vi avevano
pubblicato... Meravigliose quanto disperate; luminose e folgoranti e insieme
assurde e oniriche...
Solo per farle capire l'intensità
disperata di quei messaggi... in uno di essi una giovane donna cercava di
contattare l'uomo che le sorrideva decenni prima in una facoltà
universitaria...; in un altro un uomo dichiarava a una donna che l'aveva
pensata sempre negli ultimi trent'anni e che l'amava ancora...; in altri ancora
ragazzi e ragazze balbettavano timidamente di non aver osato chiedere o dire
qualcosa a qualcuno che li aveva immensamente e piacevolmente turbati, che ne
erano pentiti, che avrebbero voluto tornare indietro per rimediare,... Mi
accorsi di quanto possa divenire assurda e inebriante la speranza, e di quanto
la fantasia ci possa aiutare a costruire meravigliose avventure oniriche, di
quanto possa essere divertente e appassionante la ricerca e l'attesa, insieme
al raccontarsi i propri sogni...
Al di là degli stati allucinatori, possiamo
inseguire e colorare i nostri desideri, costruendoci fiabe meravigliose,
racconti fantastici, inventarci una realtà consolatoria, non meno autentica di
quella concreta e quotidiana, eppure più entusiasmante e splendida.
“Io sogno che sono qui imprigionato e ho sognato di stare in un altra realtà, più felice .
Ma che cos'è allora la vita? Un delirio. Un'illusione. Un'ombra. Una finzione.
Tutta la vita non è altro che un sogno. E i sogni che vi facciamo non son
altro, semplicemente, che sogni nei sogni" - fa dire
Calderon De La Barca al suo Segismundo.”
Quel sogno e quella fantasia sono state una luce che mi brillava
dentro, che mi stava accesa. Una lampadina che non si spegneva. Mi sentivo sempre
pervaso dal profumo di quell’immagine che dava colore alle mie giornate. Anche
quando cominciò la corsa compulsiva al carosello ferroviario. Andavo tornavo
cercavo. Poi, piano piano, ad un certo punto, cominciai a rasserenarmi; forse
successe qualcosa che mi fece bene. Credo dovette esserci qualcosa come una
piccola leggera stonatura, un suono dissonante che mal si concilia con il
resto, non capivo cosa fosse ma sentivo che qualcosa stava trasformandosi. I
miei pensieri cominciarono a distendersi, cominciai ad assumere un atteggiamento
più tranquillo più pacato e più riflessivo. Nel pensare a quell'avvenimento che
aveva di fatto scombussolato la mia vita, cominciai anche a riflettere e a
raccontarmelo. Me lo raccontavo dentro di me e qualche volta in qualche modo
avevo cominciato anche a raccontarlo sulla carta. Da lì all'idea di mettermi a
scrivere una storia su questo avvenimento il passo fu abbastanza semplice e
breve. Durante l'esperienza, infatti, avevo spesso preso appunti, annotato
momenti e emozioni. Cominciai a capire che quella storia, quell'esperienza e
quell'immagine potevano diventare definitivi solamente fissandoli per sempre
sulla carta e nella parola.
La narrazione e la scrittura di storie come sublimazione di
pulsioni intense.
Credo che stia nascendo un racconto su questa esperienza e credo
che la persona che l'ha illuminato, che l'ha fatto nascere, che ha dato il la a
quel concerto che mi ha riempito le orecchie e il cuore dell'anima, i pensieri
e i sogni, la persona dico, non ha assolutamente importanza che ci sia realmente,
che ci sia davvero stata, che ci sia ancora e che io possa rincontrarla e
conoscerla. Dal momento che è diventata oggetto di narrazione ha cominciato a
entrare in una dimensione indefinita e infinita, non terminerà mai cioè.
- VERSO QUELL'ALTRA DIMENSIONE
Dopo
essersi intrattenuto ancora un po' a rigovernare la casa, appena i due ospiti
se ne furono andati, il professore si predispose per i rituali serali che
seguiva sempre per andarsene a dormire.
Appoggiò
i suoi calzoni e la camicia sulla sedia che aveva in camera, poi se ne andò in
bagno e rimase qualche momento a guardarsi nello specchio. Prese a lavarsi i
denti con molta cura.
Diverse
volte si passò le mani tra i capelli un po' radi del capo, e tra quelli un
pochino più folti delle tempie e sulla nuca. Con quell'altro che dentro allo
specchio lo guardava con un'aria strana, stranita forse. Quella cena aveva
avuto lo scopo principale di potere presentare il suo sogno ad un pubblico che
non fosse formato solo da se stesso. A
provare a riguardare ed osservare dal di fuori il sogno-racconto.
Le
persone le aveva scelte nel modo più oculato. Da tempo teneva d'occhio quei due
personaggi che gli piacevano abbastanza. Avrebbe potuto anche invitare altra
gente, ma avrebbe rischiato di trasformare la serata in un blà-blà-blà dove
tutti dicevano tutto e dove nessuno parlava veramente a nessuno. Come si usa
fare nelle coppie sposate con gli “amici”. Più che di veri amici, infatti, si
tratta di conoscenti comuni, con i quali si è instaurata una certa confidenza.
Gli
amici di lui e quelli di lei, in genere, ciascuno se li vede per proprio conto,
nelle rare occasioni residuali di tempo a propria esclusiva disposizione. Oppure
si finisce per perderli di vista. Quando li si rincontra, ci si scopre quasi
estranei, diversi, trasformati. “vediamoci, qualche volta”, si dice alla fine.
Anche se si è quasi certi che ciò non avverrà. Che al massimo capiterà così, di
nuovo, per caso. Con analoga estraneità.
-
Devo riconoscere che ho avuto davvero fiuto nel scegliere queste due persone. -
si disse - Lui è abbastanza diverso da me, fisicamente voglio dire, ma è una
persona che mi piace. E anche lei è una persona interessante, graziosa e
gentile. Trovo entrambi abbastanza omogenei a me e al mio modo di essere e di
pensare. Ma sì, anche così non è stata una serata vuota e sciupata. La cena è
stata meravigliosa e anche le chiacchiere che abbiamo fatto sono state
interessanti, reciprocamente. Voglio dire non soltanto per aver “utilizzato”
quelle due persone così gradevoli come mio uditorio. Certo che lo scopo
primario della serata era quello da me previsto, di poter presentare quella
persona... ma quella persona non c'era più ... ; non l'ho più incontrata; s'è
persa per strada...
È
anche così, d'altra parte, non posso certo lamentarmi. È stata come una luce.
La lampadina che ha acceso un meccanismo interessante. Sì. La narrazione alla
quale sto lavorando mi sembra abbastanza interessante. Da qualche mese sto
lavorando molto intensamente, con molto interesse e molta passione.-
E gli tornò vivido davanti quello sguardo che
continuava a lambire il suo; ancora ora lo sentiva con i sensi e non riusciva a
sfuggirgli. Ne percepiva ancora il profumo intenso e gradevole, come un regalo
immeritato. Sentiva ancora nell'aria qualcosa di magico provenirgli da quello
sguardo a mandorla; sentiva vibrare dentro un bordone monofonico, un basso continuo che faceva da sostegno armonico di
accompagnamento al suo stato d’animo. Era una nota lunga, persistente
che prendeva giusto sotto lo sterno, che fluttuava, dominante, che sentivi
destinata a durare. Che determinava il tempo e lo spazio. Che avrebbe
condizionato, modificandolo, il flusso dei giorni...
Era rimasto come inamidato, sospeso e perplesso,
incerto.
Aveva invano cercato di sfuggire intenzionalmente
quello sguardo, ma l'aveva sentito ogni volta là pronto a carezzare. A
carezzare lui, proprio lui, solo lui; ma se l'era forse meritato?
Aveva cercato di esorcizzare la speranza.
Ora
ripercorreva le sue fantasie.
“-
Enchanté (o Encantado ?)– avrebbe potuto averle detto stringendole la mano – Con
uno sguardo sorpreso immobile, in sur-place, in attesa della riconferma - le
avrebbe dato del tu o del lei?
A inseguire sequenze di molto successive. Ciascuna di esse
avrebbe potuto prendere una strada diversa.…
“- Ma buonasera!- avrebbe potuto aver detto prendendole
delicatamente una mano nelle sue – lo sa come fanno in Giappone le
presentazioni?- e le avrebbe fatto scivolare nella mano morbida il rigido
cartoncino rosso verticale. Che aveva tenuto pronto, con i sui angoli acuminati
e taglienti…
- Ah, certo – avrebbe sorriso lei imbarazzata – io non ce l’ho. Posso chiamare
il suo cellulare così le rimane il mio numero?
- Perdoni la mia invadenza, ma credo di aver proprio bisogno
di parlarle. Ho intenzione di usare la sua immagine per un mio racconto, sempre
che lo permetta, naturalmente. Gliela posso prendere in prestito? Sarò delicato
e discreto, non dubiti.- Avrebbe detto col cuore in extrasistole impazzita.
Avrebbe anche potuto convincerla a venire fino a Novara,
promettendole di riportarla a casa con la sua auto.- (O stava già correndo
troppo?)
Alla piccola brutta stazione la gente sarebbe fluita in
massa. Il suo sguardo a pochi passi – metteva a fuoco la sua presenza con aria
compiaciuta. (oppure con aria irritata e con disappunto?).
La mano che frugava nella tasca della giacca di fustagno,
afferrava il bigliettino da visita rosso dagli angoli pungenti. Si allungava
invitando la sua, accogliendola, trattenendola con dolcezza e garbo, gustandone
il tepore.
"Ah, abita qui?"
“Sì, sono di Magenta...”
"Sono venuto... per accompagnarla a casa...
naturalmente"”
“A meno che possa avere il piacere di cenare con una bella
ragazza..."
Qui comparivano diverse ipotesi.
Un nuovo sorriso compiaciuto, leggermente trattenuto per non
sembrare sfacciato, di assenso garbato. Una divertita compiacenza. Mentre
muoveva dei passi costringendolo a seguirla verso l'auto che l'aspettava (del
padre? Per forza, mica del suo compagno,no...?).
O gli avrebbe addirittura regalato una maggiore
disponibilità, intrattenendosi con domande circa il fatto che lui scrivesse,
mostrando interesse, confermando l'intenzionalità degli sguardi che gli aveva
prodigato.
Ipotesi troppo azzardate? Erano tutte gratuite. Tutte
gratis."
Una cena equilibrata, giocata sul filo del rasoio, in una
conversazione tenuta sul tono di quella vibrazione che si sente appena sotto lo
sterno e più su verso la laringe, che ci fa tremare tutta l'anima, che
recitiamo come in un sogno o in un film, con battute pensate fuori campo, una
schermaglia galante e garbata. Sempre attenti a non calare mai di tono, a non
fare stonature, mentre il cuore rallenta il suo pulsare tachicardico
continuando i suoi colpi sostenuti sullo xilofono, metronomo del nostro stupore
compiaciuto e soddisfatto.
Dopo la cena, senza smettere di parlare, buttar lì una
battuta come per caso: "io abito proprio lì dietro, quella là in alto è la
mia mansarda...".
Sperare alto che dicesse: "potresti almeno farmela
vedere, no?".
È poi? Il dopo? Insistere con la scusa di non volere sembrare
indiscreto nel proporle di riportarla a casa? E se lei si fosse fatta così
tanto pregare quasi confessando di volersi fermare? Così, all'improvviso? Di
brutto?
A questo punto della fantasia finiva sempre per trovarsi un
po' a disagio.
Oppure, un altro percorso. La suoneria del suo cellulare: “con
quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così…”che dice che sta
arrivando una telefonata…-Pronto oh, sì, certo… sì, sei proprio stata di
parola…-.
- Ti ringrazio di avere chiamato… Quando ti ho incontrata,
l’altro giorno, mi ha colpito il tuo sguardo intenso che è rimasto sospeso
nell'aria, quando ti ho vista scendere. . Ti volevo "raccontare" nel
mio prossimo romanzo. (ma l'aveva già usata quella strategia...). Qualche
briciola in più su di te mi sarebbe essenziale. Sai sorridere
meravigliosamente. Buttavo giù delle idee sullo smartphone .
Ero soprappensiero. Appena sei scomparsa mi sono reso conto
che avevo avuto una apparizione celestiale. E che eri scomparsa. E non sapevo
come rimediare. Avrei voluto riavvolgere la pellicola all'indietro. Chiederti
il permesso di rubare la tua immagine, il tuo sorriso per metterli nelle mie
pagine.
Sarei stato costretto a ricordarti a memoria e a scrivere di
te senza averti conosciuta meglio. Ti avrei cercato su tutti i treni
possibili...
Grazie davvero di avere chiamato-
Ma dove avrebbe potuto trovare il suo numero telefonico?Con
l'espediente del bigliettino da visita infilatole nelle meni alla nipponica?
Si
era poi domandato se gli oggetti mentali che stava maneggiando fossero reali o
fantastici. Se quel film aveva qualche sperduta possibilità di venir mai
proiettato... Oppure se andasse solamente sognato . O raccontato. Sì, raccontato.
Il racconto, almeno, era reale.
Era
poi passato dalla sua palestrina. Si era sdraiato sulla panchetta facendo venti
piegamenti. Di più non se la sentiva, visto che era sera ed era abbastanza
stanco.
Montò
poi sullo steep e si mise pedalare per circa dodici minuti. Intanto pensava
continuamente alle stesse cose, alla cena, ai colloqui che aveva avuto, alle
cose che avevano detto i suoi ospiti, alla loro piacevolezza e gradevolezza,
alle cose che non aveva potuto né vedere né dire perché mancava l'interlocutore
privilegiato previsto per quella serata.
Niente
esercizi coi pesi. No. Meglio rimandarli a domattina.
Si
era poi sdraiato in camera sul suo letto, come faceva tutte le sere, tenendo le
mani sotto la testa e guardando in alto, verso il soffitto, dove si proiettava
l'ora : l'1.35. I pensieri,un po’ alla volta, avevano cominciato ad andare
insieme e a mescolarsi. Ritornava spesso sulle stesse battute dette da lui. In
particolare gli erano molto piaciute quelle sulla religiosità. Non saranno
troppo dissacranti? Si era domandato.
-
E chi se ne frega!- si era detto a quel punto. - Tanto gli
editori se vogliono farsi pregare lo fanno lo stesso. -
Aveva ripensato poi anche alle sue teorie, enunciate
quella sera, sulla cucina e sul modo di mescolare gli ingredienti con
intelligenza e indovinandone le componenti e le modalità.
E
mentre la mente ormai si stava appannando e gli si presentavano quelle
particolari situazioni che vengono spesso definiti pre-sogno, era riapparsa
quell'immagine di tanti anni prima, quando era stato militare. Si ricordava che
quand'era stato alla polveriera come sottufficiale di servizio, vicino a
Cremona, aveva avuto una discussione con il cuoco.
Più
che di una discussione si era trattato di uno scambio di idee abbastanza buffo
e divertente. Lui aveva l'incarico, in quell'occasione, di sottufficiale che
comandava il presidio di una ventina di uomini. I rituali noiosissimi
ripetitivi che vi si svolgevano non meritavano di essere ricordati.
Il
luogo, essendo da moltissimi anni assolutamente isolato ed essendone impedito
l'ingresso da parte di chiunque, aveva permesso a dei conigli selvatici di
popolarsi molto diffusamente.
Trenta,
cinquant’ anni? In tutto quel tempo qualche coniglio selvatico era tornato allo
stato libero. Oppure si era trattato di qualche lepre, che ci si era rintanata.
Come in un'oasi; una zona protetta. Specialmente nella parte interna, quella
che conteneva i depositi di bombe armi e munizioni.
Era
diventata un'abituale consuetudine, l'aveva scoperto in quel caso, da parte di
alcuni soldati, di nascosto dal sottufficiale di servizio, di introdursi al di
sotto della rete spinata nella parte interna dove c'era l'erba altissima, e
conigli a volontà. Ci entravano a cacciare con la baionetta, non potevano certo
usare armi da fuoco; e con dei lacciuoli, delle trappole. Oppure facevano
ricorso alla stessa la loro abilità e velocità; spesso riuscivano a catturare
qualche esemplare.
Anche
in quel caso, il sottufficiale-professore si era trovato di fronte il soldato
che svolgeva le funzioni di cuoco, che gli chiedeva il permesso di cucinare un
paio di bellissimi conigli, che teneva nelle mani reggendoli per le orecchie.
Disse che alcuni soldati li avevano catturati, ma che volevano conservare sulla
propria identità l'assoluto anonimato, temendo rappresaglie e rimproveri.
Il
cuoco era un omettino con i capelli abbastanza lunghi e disordinati. Svolgeva
spesso continuativamente servizi alla polveriera. Ci si era talmente abituato
che era diventato, di fatto, il cuoco abituale della polveriera. Era basso di
statura, aveva una faccia larga con un sorriso ebete e un po' stupido,
abbastanza buono. Indossava costantemente e sempre una brutta e trasandata tuta
da meccanico. Di quelle che venivano usate, normalmente, per i servizi al carro
o ai mezzi militari per far la pulizia, manutenzione, lubrificazione. Spesso
aveva un'aria puzzolente e sudaticcia. Teneva sempre quella tuta semi slacciata
fino sotto l'ombelico, che in questo modo gli si intravedevano i peli sullo
stomaco. E quell'aria sudaticcia.
Era
abbastanza brutto da vedere. Aveva le mani corte e le dita tozze.
-
Sergé - gli aveva detto- ci stanno queste bellissime lepri, o conigli, che ne
so io. Che ne dite? Qui si usa sempre fare così. Le prendono e le portano a me
che ho fatto sempre il cuoco, che gliele preparo. Naturalmente se siete
d'accordo.-
Dava
del voi come ancora si usava e forse si usa anche adesso in alcune zone del
sud. Doveva essere della Basilicata o di qualche altro posto del genere.
In
quei periodi lunghissimi e noiosissimi alla polveriera, si fumava sempre
tantissimo. Mentre gli parlava lui stava
fumando una delle sue ennesime Gitanes o con Gauloises, e lo guardava con aria
distaccata e abbastanza divertita.
- Ma
lo sai che è un reato quello che avete fatto?-
- Ma
sergé, quello l'abbiamo sempre fatto, non vi preoccupate. Nessuno lo fa mai
sapere ai superiori.-
- Ma
ragazzo, ti rendi conto che il superiore c'è davanti a te in questo momento?-
- Ma
sergé, lasciate perdere, chi volete che se la prenda per questa causa. La naja
è naja! Beh, facciamo così, seregé, io li cucino, e se poi non vi piace vuol
dire che non lo mangiate; che ne dite?-
Lui
aveva deciso di lasciarlo fare, non aveva alcuna intenzione di sollevare dei
problemi di tipo disciplinare in quel posto, in quelle condizioni, in quel
punto disperso e sperduto del mondo.
Ricordava,
però, il professore, che il cibo che
preparava il suo cuoco, che doveva chiamarsi Marcellino, aveva sempre uno
strano sapore, qualcosa di confuso.
Il
servizio alla polveriera gli era toccato in piena estate, con il caldo, le
zanzare micidiali, il fumo degli zampironi che non riusciva, in alcun modo, a
tenere lontani quei fastidiosi insetti. Appetito e voglia di mangiare, in
quelle condizioni, non ne aveva quasi mai. Ma, d'altra parte, anche il poco
cibo che riusciva ad assumere, aveva uno strano sapore, al palato. Quindi, in
un'occasione diversa da quella delle lepri, o
conigli che si volessero chiamare, si era permesso, chiacchierando, e
sempre fumando a volontà, di chiedere a
Marcellino informazioni e delucidazioni sulle sue tecniche di cuoco
-
Marcellino, cos'è quel gusto un po' strano che c'è nei cibi che tu prepari? C'è
qualcosa di un po' dolce, mescolato con qualcosa di salato! Come mai?-
- Ah , voi non lo sapete, sergé, ma io prima
di fare il militare, facevo il “bianchino”. E allora, avevo imparato, che
quando facevo una pittura e mi veniva un po' più scuro ci mettevo un po' di
chiaro. E quando veniva troppo chiaro, ci mettevo il scuro. Certe volte, quando
cucino, capita che il mangiare è venuto troppo salato, e allora, da
“bianchino”, nella pignatta ci metto un po' il zucchero. Quando invece è venuto
un po' troppo dolce, ci metto il salato. Capito?-
- Ma
tu allora, metti lo zucchero nei cibi salati?-
-
Ma certo, ve l'ho spiegato, quando il mangiare è venuto
troppo salato, no, ci mettono il zucchero, così viene un pochino meno salato,
no?-
-
Ma sei davvero un genio, Marcellino. Chi l'avrebbe mai
pensata una cosa così. Bravo. -
Lui rimaneva fisso a guardare gongolante, sorridendo col suo
sguardo beota.
Chissà
perché, al professore, quei ricordi di cucina abbastanza rozza e primitiva, gli
tornavano in mente adesso in quel momento, e si rivedeva davanti Marcellino con
la sua tuta. Puzzolente. Gli veniva da sorridere pensando a quel ricordo e
coccolandoselo.
Era
stato un periodo terribile quello del militare, con l'inutilità, la vuotezza,
una realtà di tipo inane, senza scopo. Aveva imparato a passare il tempo a
sfogliare anche i fotoromanzi. I giornali porno.
Era
proprio stata la struttura organizzativa di quel posto, nel quale era
impossibile leggere regolarmente e alla luce del sole qualsiasi cosa. Neanche
un giornale o una rivista, un libro. Ma le ore erano lunghissime da far a
passare. E qualche soldato gli aveva passato qualche volta qualcuno di quei
giornali porno, c'era “ABC” a quei tempi e alcuni altri. Aveva cominciato a
sfogliare anche i fumetti pornografici con linguaggio scurrile, scene
volgarissime. Alcuni di essi erano fatti con fotografie, erano dei fotoromanzi.
Si notavano i soggetti e le figure delle "attrici". Se ne intuiva
facilmente la reale e ufficiale professione originaria.
D'altronde
anche il linguaggio parlato, nella vita di caserma, specie quello degli alti
ufficiali, era improntato alla massima volgarità. Ricordava di quando un
tenente colonnello, nel mettere in parata una fila di alcune centinaia di
soldati, con sottufficiali e ufficiali e sottotenenti, di cui molti padri di
famiglia o seri professionisti nella vita civile, si era lasciato andare,
credendo di farsi bello in quel modo, a espressioni del tipo: "quando
siete voi e la vostra ragazza, e siete al buio, non dovete mica guardare per
infilarglielo dentro, no? E allora perché adesso guardate mentre infilate la
baionetta sulla vostra arma per effettuare il presentat-arm?". Era un
tripudio di volgarità e di espressioni di bassissimo livello:
"cazzo,vaffanculo,…” eccetera eccetera .
Ma
perché proprio adesso dovevano venirgli
in mente questi ricordi?. Ah sì il ricordo di Marcellino, delle sue tecniche di
cucina, del "zucchero" per rendere meno salato il mangiare!.
Si
girò sull'altro lato, cercando il sonno, lasciando perdere Marcellino, il
“zucchero” e tutte le altre cose della polveriera vicino a Cremona.
Fu
in quel momento, però, che gli tornò in mente, sempre a livello di pre-sogno,
un'immagine che credeva di aver dimenticato. O che forse si inventata lì per
lì, che nasceva in quel momento. E rivide la scena di se stesso che guardava
fuori dai finestrini, nel suo peregrinare continuo, nel suo carosello Milano-Novara,
Novara-Milano. Ricordava o credeva di ricordare, di aver guardato fuori del
finestrino in una delle soste alla stazione di Magenta, e di aver visto una
massa di persone appena scese che sciamavano.
Credeva,
in quel momento, di aver visto il volto di quella ragazza che l'aveva tanto
sconvolto e affascinato. È lì che aspetta, che parla con un'altra figura
femminile. Non è sicuro che sia lei. Poi, mentre lei parla con l'altra, si gira
un pezzettino di fianco. Allora lui la riconosce. Ne ha avuto un'impressione
modesta, deludente, non all'altezza della sua folgorazione, del sogno
meraviglioso che si era costruito. Che si era voluto costruire. Ha avuto un
ridimensionamento. Non ne valeva certo la pena...
È un
ricordo reale, è una fantasia di questo momento? È una giustificazione per il
fatto di non averla incontrata? O un ricordo rimosso?
Così,
mentre si addormenta, la sera dopo la cena, il professore crede di ricordare. O
si sta facendo una ragione della delusione, costruendosi un'ipotesi consolatoria....
Quel grappolo d'uva saporita non era proprio maturo. Meglio così. Meglio non
rincontrarla. Meglio averla perduta. Sublimandone il sapore con una creazione
letteraria...
A
questo punto sentiva ancora l'odore della tuta bisunta di Marcellino. E il
rullare delle ruote del treno... all'infinito... E piano piano sentiva che
stava entrando in un'altra dimensione, diversa dal ricordo e dalle fantasie.
Un'altra realtà, più illogica e confusa, però più riposante...
24.
LA VITA E' SOGNO?
Aveva
obliterato il biglietto e si era avviato a prendere posto. Sul 9.00 da Milano
Centrale. Alle 11.59 era previsto l'arrivo a Roma Termini. Non aveva faticato a
trovare il suo posto prenotato. Degli steward gentilissimi l'avevano
accompagnato, con complimenti formali.
Un
po' sfumati e di tono dimesso, appena aveva precisato che no, non aveva
prenotato un posto di prima classe, ma di seconda.
“In
1a classe avrebbe potuto disporre di prese di corrente al posto per
poter lavorare con il pc, vedere film, ascoltare musica;con impianto di
diffusione sonora. Di Welcome drink e, al mattino, un quotidiano. e servizio
Ristorante Gourmet con prodotti italiani di alta qualità “.
Aveva
precisato il suo accompagnatore, come in uno spot pubblicitario.
Sui
depliant aveva appreso che il Frecciarossa utilizza:
“ETR
500, treni a composizione fissa progettati per raggiungere i 360 km/h, che
viaggiano a 300 km/h sulle linee Alta Velocità.
Le vetture di 1a e 2a classe, sono: climatizzate e insonorizzate; dotate di poltrone ergonomiche per offrire massimo comfort; dotate di spazi per bagagli di grandi dimensioni nei vestiboli delle vetture.
Nelle 4 vetture di prima classe: 195 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura. Nella vettura numero 3 sono disponibili: 2 salottini business (8 posti); un’area e una toilette attrezzata per viaggiatori disabili che viaggiano su sedia a rotelle.
Nelle 6 vetture di seconda classe: 408 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura.
Il servizio di ristorazione a bordo è offerto nella speciale vettura risto-bar.
Le vetture di 1a e 2a classe, sono: climatizzate e insonorizzate; dotate di poltrone ergonomiche per offrire massimo comfort; dotate di spazi per bagagli di grandi dimensioni nei vestiboli delle vetture.
Nelle 4 vetture di prima classe: 195 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura. Nella vettura numero 3 sono disponibili: 2 salottini business (8 posti); un’area e una toilette attrezzata per viaggiatori disabili che viaggiano su sedia a rotelle.
Nelle 6 vetture di seconda classe: 408 posti a sedere; toilette separate per uomo e per donne in ogni vettura.
Il servizio di ristorazione a bordo è offerto nella speciale vettura risto-bar.
La
batteria del suo netbook avrebbe retto benissimo per le tre ore del viaggio.
Gli altri lussi decantati non li riteneva indispensabili.
Pensò
alle condizioni in cui si è spesso costretti a viaggiare sui treni normali.
Questi lussi sono decisamente impensabili. Fossero almeno puntuali, con
riscaldamento o condizionamento funzionanti, con adeguati posti a sedere...!
Era
combattuto da un atteggiamento ambivalente: di polemica per questo inutile
sfoggio di comfort; e di compiacimento narcisistico per essere ora seduto in
una comoda ed elegante poltrona, in un'atmosfera di lusso e di “classe”.
Presto
sentì un impercettibile ronzio e si accorse che il gioiello viaggiante era in
movimento.
Preferì
per il momento non accendere il netbook. Sentiva un forte torpore che lo stava
invadendo. Appoggiò il capo ai comodi poggiatesta e, lentamente, entrò in un
tunnel piacevole...
Il
film mentale gli stava proiettando un episodio di molti decenni prima.
Il suo amico Carbone. Il pittore.
Mario Carbone era davvero un
personaggio abbastanza strano. Di statura abbastanza alto, camminava abbastanza
aggobbito. Si muoveva con un incedere marcatamente pesante e claudicante da una
parte. Indossava sempre un impermeabile bianco panna mediamente sporco che una
volta chiamavano trench. Aveva i capelli nerissimi e una barba immensa pure
nerissima che gli sembrava cadere addosso sul petto come un bavagliolo. Quando
parlava la sua voce era molto affascinante. Aveva delle risonanze molto basse
che andavano quasi nelle tonalità del silenzio. Anche il suo modo di esprimersi
e il suo vocabolario avevano qualcosa di esoterico e di magico. "La
estemporaneità estrinseca della formalità esteriore nella misura in cui
raggiunge un'essenzialità effimera.....".
Si trattava di in genere di
frasi strutturate apposta per essere indecifrabili e quindi magiche e quindi
particolarmente attraenti e affascinanti. Le usava per crearsi attorno un alone
misterioso e iniziatico, da addetti ai lavori. Per creare un’atmosfera
boemienne.
Lo conosceva perché l'aveva
incontrato in qualcuno dei bar della sinistra che frequentava allora.
Lui che era rimasto molto
affascinato da questo personaggio, non capiva bene ancora, allora, quanto ci
fosse dietro. Lo zoppicamento che presentava Mario veniva da lui attribuito a una ferita
subita durante la guerra partigiana. Ma in genere preferiva non entrare in
particolari, come quello della sua data di nascita, al massimo si limitava a
dire che lui veniva da Verbania.
Venne a sapere, solo anni
dopo, che era nato nel 1939.
“I valori essenziali
dell'estemporaneità effimera...” e così
andava avanti sempre nel parlare e chi ci credeva restava a pendere dalle sue
labbra.
Una volta ricordava che dopo una di quelle
chiacchierate guardandolo negli occhi vedendo la sua barba svolazzante aveva
intuito il suo disagio profondo.
Era stato anche nel suo
studio, una stamberga al quarto piano, che si raggiungeva dopo essersi
arrampicati su rampe infinite di scale sbrecciate e disadorne. Senza
riscaldamento; un sottotetto a dire la
verità. Appoggiate alle pareti o sdraiati per terra stavano degli
immensi quadri senza nessuna forma definita. Aveva spiegato in quell'occasione
che stava facendo una ricerca sulla struttura puntiforme.
“ … la ricerca della
spazialità indecifrabile e asincrona, come topos dell’assenza di spiritualità
degli oggetti e dell’esistenza…”.
Realizzava quei quadri
immergendo un pennello o più pennelli in colori diversi, facendo dei leggeri sgocciolamenti e lasciando cadere delle gocce che poi andavano
fatte seccare e asciugare. L'effetto non
era male; non si capiva bene quali intenzioni avesse chi produceva quelle nebulose di colori
puntiformi. ma chi guardava in genere restava zitto perché altrimenti gli
sarebbero arrivate quelle spiegazioni incomprensibili, “la ricerca dei valori
spaziali si basa sulla struttura equivoca e inesatta della realtà...”
La casa, se così poteva
chiamarla, non aveva quasi arredo; qualche mobiletto malconcio appoggiato alle
pareti, un tavolaccio ingombro di
mozziconi di sigaretta, di piatti avanzati accumulati l'uno sull'altro, con
vicino sacchetti e bottiglie vuote...
Da una porta si intravedeva
un letto malmesso e tutto disordinato con lenzuola e coperte arruffate. Una
finestra era aperta per far cambiare l'aria. Mentre Mario parlava era apparsa
dalla porta da cui erano entrati una ragazza né bella né brutta. Era mediamente
alta, abbastanza robusta col volto pieno di efelidi. Si era messa a dire alcune
cose, aveva appoggiato un sacchetto di carta sul tavolo e se n'era andata
nell'altra stanza dove c'era il letto, chiudendo la porta. Probabilmente era
stanca e andava a riposarsi .
Mario aveva continuato a
lungo la sua spiegazione e lui e qualche altro amico ascoltavano i suoi
discorsi nebulosi e criptici, turbati e
confusi e col timore di non capire nulla, di essere degli idioti.
Gli era venuta allora
l'idea, tipica dei giovani come lui di quel tempo,o di ogni tempo, che Mario e anche la sua compagna facessero
abbastanza fatica a vivere; che facessero addirittura la fame. Affascinato e
insieme turbato da quella dimensione da boehème, aveva deciso allora di uscire
insieme a lui a gironzolare per la città e quando gli amici con i quali si
trovava se ne erano andati ognuno per conto suo, aveva fatto in modo di
trovarsi, come per caso, vicino alla propria abitazione.
Come se fosse un problema
proprio aveva suggerito a Mario di salire un momento a fare uno spuntino. Era
giustappunto metà pomeriggio e l'idea
non era male. Mario accettò molto volentieri fingendo di essere superiore a
certi problemi materiali, e sempre continuando la sua logorrea verbale un
quarto di tono al di sotto della soglia dell’umana comprensibilità…
Appena arrivati la madre si
era avvicinata a quello strano personaggio e si era complimentata del fatto che
fosse un'artista dicendo qualcosa e andandosene subito via appena lui aveva
cominciato con i suoi discorsi sull'esteriorità
estrinseca della spazialità difforme.
Lui allora aveva buttato lì
con nonchalance l'idea di fare uno spuntino.
La madre era venuta subito
con un cestino colmo di pane, con un piatto con dei salami della duja, dei
formaggi e un bottiglione di vino rosso.
Aveva quindi fatto mostra di aver fame lui, per potere offrire anche all'amico, il quale non si era certo tirato indietro ,
pur continuando la sua infinita cantilena salmodiante. Alla fine i salami, il
pane e anche il vino erano totalmente volatilizzati. Tranne qualche grossa
briciola di pane che parcheggiava clandestina sopra quell'immensa tovaglia che
era la barba nera del maestro.
Molti anni dopo lui aveva riconosciuto, in quella sceneggiata
e in quella voce, un’imitazione del famoso pittore Vedova.
Quando infine se n'era
andato aveva lasciato dietro di sé un alone magico; chiunque fosse stato ad ascoltarlo avrebbe
pensato in quel momento di essere decisamente una merda, di non valere niente,
di non essere neppure capace a capire i valori essenziali della pittura e della
spazialità.
Era stato soltanto molto più
tardi che sua madre, che non aveva certo avuto una grandissima simpatia per
quel personaggio così bizzarro e tenebroso, nel momento in cui aveva voluto
apparecchiare la tavola per la cena, aveva ritenuto che qualcosa mancasse.
Naturalmente aveva attribuito la mancanza al personaggio strano che aveva fatto
la sua incursione sul posto.
Non trovava più, sua madre,
il cestino del pane. Disse allora con aria preoccupata e sospettosa: "Vuoi
vedere che il cestino del pane se l'è portato via quello là? Certo poteva
benissimo nasconderselo sotto l'impermeabile no! Con quella fame che aveva…!”
Si era trovata una soluzione
poi; il cestino era sempre stato sul tavolo della cucina , ma questo al
professore veniva in mente ora mentre stava addormentandosi e si mescolava con le
immagini confuse che aveva davanti in quel dormiveglia. Anche le immagini che
gli apparivano avevano carattere confuso nebuloso come gli spruzzi di colore
difforme buttati su quelle tele immense che magari qualcuno avrebbe potuto
anche comprare.
Fu a quel punto che si
accorse che nel dormiveglia gli stava venendo un pochino freddo; probabilmente
si trattava del condizionamento dell'aria sul Frecciarossa.
Ma la cosa non fece che
favorire il passaggio ad altre immagini.
Il professore si posò le
mani sulle braccia per cercare di
tenersi stretto, tenersi caldo.
La sensazione di freddo non
era molto diversa da quella che aveva provato tantissimi anni prima, forse in
tempi di Mario Carbone, o in altri tempi più remoti ancora.
Insieme a dei suoi amici si
era reso disponibile durante l’estate, finite le scuole medie superiori, per
andare a Milano a svolgere un'attività presso quelli che si sarebbero chiamati
al giorno d'oggi centri estivi. Un tempo si chiamavano colonie elioterapiche.
Dove si praticava la terapia fondata sull'esposizione del corpo ai raggi
solari. Le scuole più fortunate dal punto di vista strutturale, cioè quelle che
disponevano di un parco, alcune
addirittura di piscine, di belle
palestre e di locali ampi e spaziosi, venivano utilizzate a quel tempo
dall'amministrazione comunale per svolgervi delle attività ricreative e ludiche
per i ragazzi meno abbienti che non potevano andare in vacanza con le proprie
famiglie.
Dentro, non avendo pratica
con i bambini e con i ragazzi, si era trovato in estrema difficoltà. I ragazzi
diventavano disperati, urlavano facevano chiasso ed erano aggressivi. L'unico modo era farli cantare e farli
giocare, mettersi a raccontar loro delle storie… Insomma, gli stratagemmi non
erano mancati. Non ricordava queste esperienze con grande piacere. Anche i
colleghi con i quali si era trovato non erano persone particolarmente
simpatiche o piacevoli. Soprattutto lo chiamavano maestro…
In particolare ve n'era una
che aveva l'incarico di aiuto della direttrice e di passare da tutti quanti gli
operatori/animatori a raccogliere i versamenti di denaro che i ragazzi
avrebbero dovuto consegnare. Era un
particolare contributo alle spese che l'amministrazione comunale faceva
raccogliere direttamente dai propri animatori.
La tipa era abbastanza
bassa, con i capelli corti, sgradevole,
con una voce stridula, robustotta e con gli occhi un po' strabici.
Aveva il vezzo di fingere di
mostrarsi simpatica e passando salutava tutti quanti con l'espressione di - Ciao, caro collega, - aggiungendoci il
nome. Alla fine di ogni settimana aveva un altro rituale:
- Ciao caro collega, come
va? Ah, dimmi caro, c’hai le quote? -
Le quote erano appunto i
versamenti a contributo che i ragazzi avrebbero dovuto portare.
Questa amabile, strabica collega aveva deciso a un certo
punto, verso la fine del mese di centro elioterapico, di fare una festa a casa
sua. Probabilmente, non essendo né sposata né fidanzata, né rassegnata allo
zitellaggio, che oggi si chiamerebbe vita da single, sperava di trovare
qualcuno che le si attaccasse addosso.
Naturalmente anche il
giovane professore che non era ancora professore per niente, c'era andato per
non deludere la collega.
La "festa" era
stata una cosa addirittura terribile. Persone stucchevoli, noiose quasi tutte
con voci cantilenanti o lagnose come quella di "c’hai le quote?".
Come si usava a quei tempi, lei aveva fatto intervenire alla festa la vecchia
madre, che doveva probabilmente essere vedova; la nonna, e una zia. Il
professore e qualche altro ignaro giovane suo coetaneo si erano guardati
allibiti, ma avevano dovuto ingurgitare i dolcini, i salatini, le schifezze e le bibite. Andavano
molto, allora, aranciata e chinotto; e uno strano vino dolce e quasi
analcolico; forse un moscato.
Al termine della tortura si
stava accingendo insieme ad uno dei suoi
compagni di sventura, ad andare verso la stazione centrale per
raggiungere la sua città.
Entrambi erano stati
colpiti, appena usciti da quella casa, dal grandissimo silenzio che regnava
intorno. Oltre che alla mancanza delle musiche e delle canzoni lagnose che
erano state fatte girare sui 33/45 giri in quell'appartamento, s'accorsero che
non c'era quasi assolutamente traffico.
Milano a quei tempi era poco nottambula. Si accorsero
però con spavento a un certo punto, mentre si dirigevano verso la fermata, che
anche i tram non passavano da un po'. Si accorsero lì alla pensilina, leggendo
gli orari, che l'ultima corsa era passata da circa 45 minuti.
Si guardarono in faccia
interdetti: quella serata era veramente una sciagura!
Fecero rapidamente un
calcolo di quanto tempo avrebbero ripiegato a raggiungere a piedi la stazione Centrale.
Fu a quel punto che alla
sciagura della sciagura se ne aggiunse un'altra.
Era ormai passata la mezzanotte,
anzi era esattamente mezzanotte e tre
quarti. Anche i treni probabilmente avevano smesso di viaggiare da un pezzo! I
primi sarebbero partiti soltanto alle quattro o alle cinque del mattino!
I due disperati compagni di
sventura, nei panni miserevoli e impropri di festaioli sprovveduti, si guardarono in faccia e si avviarono
lentamente con poche parole e uno sguardo di tristezza e di amarezza verso
alcune panchine dei giardinetti lì vicino.
Doveva trattarsi della zona
vicino al cimitero monumentale.
C'erano diverse panchine.
Nessuno passava e delle rotaie inutilmente curve disegnavano con i loro serpenti
neri il selciato. Si scelsero due panchine abbastanza vicine l'una all'altra;
guardarono attorno ancora con rassegnazione e tristezza, e si sdraiarono in
quella terribile e scomoda posizione. Dormire sarebbe stato quasi impossibile.
Cominciò ad un certo punto a
venire un freddo glaciale nelle ossa.
All’aperto il clima è sempre
molto più freddo. Anche se era il mese di luglio.
Indossavano solo delle
giacchette leggerissime di tela. Prima l'uno poi l'altro si tirarono la propria
sopra il corpo e sopra la testa, cercando di coprirsi almeno il capo e il
volto. Al mattino prestissimo appena l'uno dei due fece un movimento anche
l'altro si rizzò a sedere; si guardarono e si dissero quasi all'unisono: - Io
non ho dormito niente- con voce roca e impastata. Si diressero lentamente
stanchi e con le ossa indolenzite per la
scomoda posizione e per il duro del loro letto provvisorio, verso un bar.
Lì vicino un uomo alzava la
saracinesca; probabilmente stava per aprire. Bevvero entrambi diverse volte dei
caffè e alla fine ne presero un altro corretto grappa. Poi, dolorosamente, sia
l'uno che l'altro si diressero verso la colonia elioterapica, per un'altra giornata di massacrante lavoro,
con i
“piacevoli” incontri con la loro collega “c’hai le quote…?”
Alla quale avrebbero dovuto
dire che erano grati moltissimo con lei per la meravigliosa festa della sera
precedente...
Il professore, ora, si strinse un pochino di più ancora con le
mani sulle braccia sentendo il freddo dell'aria condizionata e intanto le sue immagini
continuavano ad andare avanti, in quel sopore vago nel quale cercava
inutilmente di distinguere i rumori che c'erano intorno, ovattati e nebbiosi.
I colori, a piccole
macchiette , diffusi come nebbia si erano ormai dispersi da molto tempo.
Il freddo alle braccia e
allo stomaco per l’aria condizionata si era un pochino attutito. Lo stupendo
treno aveva preso molta velocità e faceva un movimento come di ondeggiamento,
come a trovarsi sopra una barca, come trovarsi sul mare...
Fu a quel punto che il
professore ebbe un'immagine d’acqua, ampia,
distesa... Rivide, a colpo d'occhio, la piscina di cemento dove andava
da ragazzo, con la squadra dei suoi compagni di orfanotrofio. Era una struttura
abbastanza brutta, grigia, e come detto completamente di cemento. Doveva essere
stata costruita o durante gli ultimi anni del regime fascista o appena dopo. In
mezzo a un modesto spazio lastricato di piastrelle di cemento zigrinato e,
antiscivolo, una vasca da trentare virgola trentatre metri,
per venti. Per farsi a nuoto i 100 metri bisognava percorrerla tre volte
trovandosi poi dal lato opposto a quello da cui si era partiti.
Sul lato ovest c'erano due bocche immense,
anch’esse di cemento, con delle aperture orizzontali dalle quali usciva una
fascia di acqua azzurra che si riversava nel catino anch’esso di cemento azzurrognolo, mescendosi
nell’altra acqua azzurra.
Spesso erano tirate delle corde
galleggianti di sughero e di legno rosse
per permettere a chi veniva dalla Novara-nuoto di allenarsi la sera quando
fossero usciti tutti quanti i bagnanti.
I ragazzi dell’orfanotrofio
ci venivano nell'orario in cui non erano
ancora entrati gli utenti normali. Doveva essere tra le 10 e le 12, l'orario nel quale l'acqua era gelida
terribilmente e più fredda che mai, dopo il fresco notturno.
Eppure ricordava ancora
l'attesa magica dalla sera prima che prendeva lui e i suoi compagni.
Tutti quanti usavano
guardare il cielo per notare qualche nuvola e la sera precedente, prima di
andare a dormire prestissimo alle nove,
potevano fare le loro considerazioni e i loro pronostici:
-
Meno male, forse domani non è coperto. Se non viene
il vento che porta nuove nuvole, forse domani ci andiamo, in piscina...- e gli
tremava la voce, per la speranza e l’emozione.
Il mattino si ripeteva lo
stesso rituale di guardare il cielo e scrutare all’orizzonte. Qualche volta
qualche piccolo gruppo di cirrostrati velava il
cielo azzurrognolo, coprendo parzialmente il sole, spaventando i
cuoricini di quei ragazzi con la testa pelata
e i piedi scalzi che giravano in quei cortili. Il più delle volte, forse, il
tempo incerto o quasi bello permetteva comunque loro di raggiungere l'agognato
luogo di vacanza balneare in città. Dovevano vestirsi, naturalmente, lavarsi i piedi infilandoli nelle calze e
nelle scarpe. Si mettevano la giacca, la cravattina , i calzoni, il berretto con la visiera. Poi passavano da un assistente, che affidava loro
un costume e una specie di asciugamano. I costumi erano vecchissimi, stinti,
sbiaditi, a boxer anche se allora non erano affatto di moda i costumi di quella
foggia. Gli asciugamani poi erano qualcosa di addirittura osceno. Avevano il
colore grigio smunto dei pigiami e delle divise dei carcerati.
Azzurrini a strisce
grigiastre. Colore dei lager.
Erano grossi lenzuoloni
molli che facilmente si strappavano, tanto erano consunti dal tempo. Venivano
ripiegati molte volte e in mezzo, nel rotolo, ci si metteva il costume.
Poi, quando tutti erano
pronti, ci si muoveva all’unisono e non bisognava parlare, non bisognava andar troppo
in fretta, non bisognava rallentare, altrimenti, l'assistente, che nella
piscina non ci sarebbe entrato, li avrebbe fatti ritornare indietro, per
castigo.
La maggioranza dei suoi
compagni di sciagura e di orfanotrofio si sarebbe divertita a saltare dentro-fuori dell’acqua, a giocare,
a farsi tenere a galla, a spruzzarsi, a ridere e a strillare. Lui aveva avuto la
fortuna di avere qualcuno che gli consigliasse come fare a imparare a nuotare.
Aveva imparato da solo, ricordandosi le immagini che aveva visto forse in
qualche film in bianco e nero nel quale John Weismuller faceva il Tarzan, che si tuffava nell'acqua e nuotava.
Aveva imparato,
faticosamente, a dare bracciate a rana e stile libero (che poi aveva imparato
più tardi si dovesse chiamare crawl).
Si metteva, allora, a fare
delle vasche avanti indietro, contando mentalmente, mentre gli occhi gli si
arrossavano, per la presenza altissima di
cloro.
Il cloro infatti, veniva
messo nella vasca proprio al mattino. I bagnini, dopo aver fatto pulizia dell'acqua con delle
lunghe pertiche con attaccate delle reticelle, lo versavano con dei grossi imbuti
dalle grandi tanniche, per mescolarlo con l'acqua.
In quella fascia oraria, tra
le dieci e le dodici, quando c'andavano gli orfanelli dalla testa pelata, la
concentrazione di cloro era altissima. Poco ancora era già evaporato.
Lui aveva imparato,
faticosamente, a tenersi sul pelo dell'acqua, facendo le sue infinite
vasche avanti e indietro, avanti e indietro. Contandole. E
facendo anche i calcoli mentali di quanti metri e chilometri avesse ormai
percorso. Non era una cosa poi così difficile. Bastava soltanto calcolare che
ogni tre vasche aveva fatto 100 metri. Si rese conto, dopo qualche volta che lo
faceva che una certa formula matematica gli permetteva di capire quanto avesse
fatto. Dividere il numero delle vasche per tre e moltiplicare per cento. In
genere in quell'ora e mezza circa che trascorreva nell'acqua nuotando avanti
indietro riusciva fare circa due chilometri. Lo diceva con fare compiaciuto a compagni
di sventura, i quali lo guardavano strano e non capivano perché non giocasse a
divertirsi e a fare gli spruzzi come tutti loro. E invece si divertisse a fare
le vasche per contare i chilometri. Quando il tempo stava per scadere,
l'assistente mandava un sonoro sibilo con
in un suo fischietto, e per gli ultimi, quelli che non ascoltavano il
fischietto, batteva le mani, li chiamava uno per uno, minacciandoli:
-Ehi, te…- chiamandoli per numero - guarda che vai alla
colonna..!-.
Si doveva scattare fuori in
fretta, andare sotto la doccia per lavarsi via l'acqua piena di cloro, con gli
occhi arrossati che faticavano a restare
aperti e a mettere a fuoco.
Riusciva a vestirsi molto
lentamente. E alla fine di nuovo tutti in fila, nelle divise nere, con le
polacchine nere che facevano un gran rumore per via delle suole coperte di borchie
di metallo sui marciapiedi, si ritornava nel luogo della loro contenzione,
nella loro prigione, per aspettare,un'altra volta, il paradiso, cielo
permettendo, della piscina....!
Al
professore pareva, appunto, nella situazione in cui gli sembrava di trovarsi
ora, di fare delle vasche, le stava contando, diciassette, diciotto... e ogni
volta provava a fare il calcolo: diciotto diviso tre, fai sei; ho già fatto seicento
metri pensava. Ma apparivano, sullo
sfondo, anziché i muri grigi di cemento della piscina comunale di via dei
Mille, delle immense distese biancastre, tutte puntinate di colori, doveva
essere passato di lì Mario Carbone, a rappresentare la sua ideologia cromatica
e spaziale… ma quanti anni dopo…?
Nonostante
il sole, il freddo accumulato in quelle due ore nell'acqua gelida, gli restava
nelle ossa. Come ora, in quel vagone di lusso, che andava, freddissimo, verso
la sua destinazione...
Il
professore provò, faticosamente, ad
aprire gli occhi... Ma era un'operazione molto, molto faticosa... Non riusciva
a capire perché, ma ogni volta gli occhi gli si chiudevano, le palpebre
cadevano pesanti, non riusciva a scorgere quello che gli sta intorno.
Gli
era parso di incrociare le figure di Federico e Tiziana, che chiacchieravano
tra loro con aria complice; guardandosi negli occhi. Anche loro, dunque,
stavano andando a Roma? Al Museo di arte contemporanea, al Museo delle Arti del
XXI secolo…?
Ma
no, doveva esserci anche quella mobilitazione immensa…
Era
previsto almeno un milione di persone…
Già, forse stavano andandoci…
Gli
pareva di sentire ancora gli occhi brucianti, per il cloro, e non vedeva bene
le immagini distinte.
Sì,
come allora, usciti dall'acqua, non riusciva a vedere l'immagine della città
sfiorata a passo di marcia con le scarpe che sonoramente battevano il selciato
come zoccoli di cavalli.
E gli pareva di provare ancora la
trepidazione prima di andarci, in piscina; l'atmosfera magica e di aspettativa;
e riprendeva la distribuzione dei costumi e dei vecchi lenzuoloni a strisce
bianche e grigie; il continuo scrutare il cielo col timore di nubi; il
prepararsi; il trasferimento là; la fascia d'acqua che scende a cascata; la
massa d'acqua distesa e azzurra nel vuoto di quel grande catino ruvido di
cemento; l'odore che emanava dall'acqua di cloro, mescolato a quello del
detersivo industriale degli "asciugamani", al sole sul cemento e sui
corpi...
C’era un odore diverso quando ci era
ritornato poi per conto suo, anni dopo: juke-box, bar, focaccine, bibite, odore
di donne e di oli abbronzanti e facce di bulletti..
Ora il professore aveva ripreso a nuotare.... o forse a volare, sgambando
nell’aria per tenersi a galla, per salire più in alto…
Di
nuovo, ancora, doveva aver riprovato ad aprire gli occhi, uscendo dal torpore
piacevole nel quale galleggiava. Gli pareva di sentire ancora gli occhi pesanti,
per il cloro, e non vedeva bene le immagini distinte.
Sì,
come allora, appena usciti dall'acqua, non riusciva a vedere.
E infine quando si risvegliava (o gli sembrava di
risvegliarsi!)“Alessia” gli sorrideva sul sedile di fronte... Col suo volto a
mandorla.
Era proprio lei?
Era già entrato già in un altro sogno dentro il
sogno precedente?
Aveva deciso di chiamarla Alessia, dunque?... Il
nome le stava bene…
Rimase sospeso
con gli occhi di nuovo richiusi. Era lei,
Alessia, la ragazza dal sorriso a mandorla, che aveva tanto cercato su tutti i
treni possibili? Ed era davvero venuta
sul Frecciarossa con lui? Era un caso?
Era
compiaciuto e frastornato insieme.
Intanto
gli pareva di sentire una voce di
donna che cantava calda e stentorea:
“Grazie alla vita che mi ha dato tanto
mi ha dato il sorriso e mi ha dato il pianto…”.
La voce magica di Violeta Parra. Sembrava un
consuntivo.
Poi apparvero immagini flash di quella
volta alla clinica S,Gaudenzio. Intervento improvviso, d’emergenza, per un
calcolo nell’uretere. A metà pomeriggio. Anestesia veloce; cocktail di vari
allucinogeni. Nella perdita di coscienza vedeva solo colori vibranti, suoni sfumati e
indecifrabili. Non esisteva più nulla di reale.
Non c'erano più nemmeno le parole.
Che fatica pensare senza nemmeno le parole...
Non esisteva più nulla. Era dunque così l’aldilà?
Deve salvare almeno le parole, prima che, poi, non
ci sia più nulla, nemmeno loro...
Ma come fare?
Risveglio. Con la flebo infilata nel braccio,
parlando impastato va al cesso a fumarsi la pipa, scandalizzando la compagna
che lo sta assistendo..
E
ancora, ora, gli pareva di sentire quella voce calda e stentorea:
“Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la risa y me ha dado el llanto…”
Poi, piano piano, la canzone si è ora trasformata
in un’altra. Sempre una voce femminile, ma un’altra, sonora e luminosa;
immensa…
“ Non! Rien de rien
Non! Je
ne regrette rien“
Si rivede seduto su una panchina ai giardinetti,
al mare. Dev’essere in Liguria. Ascolta un disco della Piaff che canta. “Non!
Rien de rien. Non! Je ne regrette rien!”
Gli pare ora di pensare: ma dove l’ha sentita la
prima volta? Nei giardinetti vicino al petit Trianon, a Parigi, qualche
millenio fa’…?
Le voci e le canzoni si mescolano insieme.
No, non rimpiango niente. E ancora grazie alla
vita, che mi ha dato tanto…
« Ni le bien qu’on
m’a fait-Ni le mal tout ça m’est égal! »
Ora ritorna a quelle parole di Segismondo.
“Io sogno che sono qui imprigionato …”
È imprigionato in questa realtà qui, in questa dimensione, su
questo treno vellutato ed elegante, che lo trascina via volando…
“… e ho sognato di stare in un altra realtà, più felice ...”
Lì
ci aveva visto il sorriso a mandorla di Alessia (poteva ormai chiamarla così?),
che l’aveva magicamente stregato. E ora ricompariva, qui, in questa nuova
dimensione galleggiante, nella piscina gelida di cemento ruvido, …
- Quel sogno e quella fantasia sono state una luce che mi brillava
dentro, che mi stava accesa- balbetta di nuovo dentro il proprio sogno...
“...Ma che cos'è allora la vita? Un delirio. Un'illusione.
Un'ombra. Una finzione. Tutta la vita non è altro che un sogno...”
Come
il principe polacco, si domanda turbato, frastornato, confuso…
“ ….E i sogni che vi facciamo non son altro, semplicemente,
che sogni nei sogni" ...-
“La vita è un sogno dal quale solo la morte ci risveglia “,....
Alla clinica sotto l’effetto di quell’anestesia, di
quel cocktail di vari allucinogeni. Nella perdita di coscienza erano rimasti solo macchie mutevoli di colori
vibranti, suoni sfumati e indecifrabili. Non erano rimaste più nemmeno le parole
per pensare. Che fatica pensare senza
nemmeno le parole... Non esisteva più nulla di reale. Non esisteva più nulla.
Si era affacciato sull’aldilà?
Al risveglio con la flebo infilata nel braccio, l’aveva
raccontato con voce impastata alla compagna che lo stava assistendo…
Nel torpore, ora, fu preso da una determinazione
categorica e assoluta: doveva salvare almeno le parole, prima che non ci fosse
più nulla del tutto... Doveva a tutti i costi aprire gli occhi, uscire dal
sogno.
Doveva
salvare almeno le parole, salvare la realtà, narrandola con le parole...
Doveva provare a fatica a riaprire gli occhi, come
capita a volte nei sogni in cui si cerca ma non ci si riesce.
Uno sforzo mostruoso, ma era possibile.
Alla fine ci riuscì.
Accese il netbook, senza guardarsi intorno.
Dimenticandosi di verificare chi c’era seduto di fronte a lui. Senza
controllare se i fantasmi che gli erano apparsi fossero ancora presenti.
Entrò risoluto nel file che aspettava una versione
definitiva.
“Cerco il tuo sorriso…..”
INTRODUZIONE
1. IL MERCATINO
Era
stato mentre si faceva il secondo caffè che gli era venuto in mente.
-
Sì, dev'essere oggi,- si era detto.- è ben oggi la terza domenica del mese,
no?...
E si mise a scrivere...
Un altro sogno nel sogno? Era ritornato nel reale o
nell’onirico?
Le parole avevano una loro consistenza calda e
gustosa. Ci affondò le mani e gli occhi. Lo stavano attendendo. Si mise ad impastarle con affetto. A
plasmarle. A dar loro vita. A soffiargli dentro il soffio vitale…
Indice
1. Il mercatino ...................................................................................................... 0
2. In 25.000 ........................................................................................................... 0
3. Una donna ........................................................................................................ 0
4. Al supermegastore ............................................................................................. 0
5. al Cinema VIP ................................................................................................... 0
6. 1979-
Federico ......................................................................................................... 0
Tiziana ............................................................................................................ 0
7 Pendolari ......................................................................................................... 0
8. Perdersi tra gli scaffali ....................................................................................... 0
9. Il segreto del Professore
................................................................................... 0
10. Sospeso a mezz’aria ........................................................................................ 0
11. Carosello ........................................................................................................ 0
12. 1990 ................................................................................................................ 0
13.La farfalla ........................................................................................................ 0
14. Telefonate in olandese......................................................................................
0
15. Frugando nel WEB- “Cerco il tuo sorriso….”
16. Piccole storie quotidiane
17. Lettere d’amore nella bottiglia
18. Piccoli romanzi d’amore impossibile
19. Apparizione......................................................................................................
0
20. L’angolo delle ore
........................................................................................... 0
21. Invito a cena.....................................................................................................
0
22. L’incontro
23. Verso quell’altra dimensione
24. La vita è sogno?