Poi
prendendo spunto da quei
versi, arrampicandosi in un discorso che
lui non era riuscito a seguire, perso nell'atmosfera magica.... ci aveva
arzigogolato sopra.
Lui era abbastanza sconcertato e un po' in
trance.
Seguì
distrattamente la lezione di lei.
Poi,
quando l'aula si fu svuotata la
seguì alla mensa universitaria.
Usando il proprio tesserino lei prese due vassoi di cibi asettici, che lui,
nella vita normale, non avrebbe mai consumato.
Tornati nel biancore elegante lei provò a
spiegargli perché aveva voluto coinvolgerlo.
Lui era stato al gioco, senza convinzione,
assentendo.
Aveva quindi avviato il netbock.
Poco dopo lei si era avvicinata,
strusciandoglisi contro e inforcando l’auricolare.
Gli occhi scorrevano il monitor.
Quell’estate
aveva già fatto un viaggio di vacanza.
Così
se n’era rimasto in città, nella sua casa, che teneva rinfrescata il più
possibile, facendo entrare il fresco della notte dalle finestre protette dalle
zanzariere.
Che
chiudeva serrate, al mattino.
Durante
il giorno così la temperatura nelle stanze era decisamente più sopportabile di
quell'esterna.
Nonostante
ne risultasse l'aria un po' viziata.
La
vigilia di Ferragosto, ricordava, sul far della notte c'era stato un temporale
molto intenso. Fino alle prime ore del mattino aveva continuato a tirare un
vento forte.
Sino
a metà mattina l'aria si era mantenuta fresca.
Con
alcuni amici era andato a Milano, per gustare alcune iniziative, offerte per il
popolo dei non vacanzieri.
Era
stata la prima volta in assoluto che aveva potuto gustare una visione come
quella.
L'aria
della capitale dello smog e delle nebbie invernali era perfettamente tersa.
Il
cielo aveva assunto un azzurro intenso e perfettamente pulito.
In
lontananza verso nord-ovest si riuscivano a vedere le catene delle montagne con
le cime spruzzate di bianco.
I
palazzi grigio sporchi che aveva sempre conosciuto nella metropoli lombarda
sembravano essere stati ripuliti e dilavati.
Milano
era quasi completamente vuota e deserta.
Nella
zona Parco poté assistere a spettacoli teatrali all'aperto.
Concerti
di Jazz.
Animazione.
Avevano
pranzato a dei tavoloni disposti sotto un tendone.
Cibi
saporiti, gustosi, a buon mercato.
Era
stata la prima e unica volta in cui Milano gli era sembrata quasi bella!
Si sentiva trasparente come quell'aria limpida.
Aveva
l'anima aperta e spalancata come quel cielo.
Volle
riempirsi gli occhi di quella visione eccezionale. Era sicuro che non gli
sarebbe mai più capitato nella vita….
Viviana aveva voluto toccare il touche-pad
del mouse con il dito. Facendo scorrere diverse pagine in avanti sullo schermo.
… Il
treno era la solita littorina color crema e verde.
Appena
riusciva a prendere velocità, aveva già raggiunto la piccola stazione
successiva.
In ciascuna
scendeva o saliva qualcuno.
Talvolta
un capostazione usciva all’ultimo momento trafelato dall'edificio infilandosi
velocemente la giacca, talvolta dimenticando il cappello rosso.
Controllava
il lato della paletta che fosse quello giusto sul verde.
Faceva
un cenno di saluto o un ampio sorriso qualche viaggiatore suo compaesano.
Poi
dava il segnale, con la paletta o con la bandierina, ed emetteva un suono lungo
e profondo da un fischietto d'acciaio luccicante che teneva in bocca.
E la
littorina, sbuffando con odore di nafta, dava una energica accelerata dopo
alcuni leggeri scatti, quasi di incertezza a partire.
Si
era seduto nel senso di marcia.
Di
fronte a lui sedeva la sua ragazza.
Biondissima,
con i suoi occhi azzurro chiaro.
E
quell’aria da bambolina viziata.
Si
era lamentata per il viaggio in treno.
Diceva
che si stava annoiando un casino.
Lui
si mise a riguardarsi le scarpe che aveva ai piedi.
Erano
nuovissime; appena comprate la mattina in una svendita del centro; in un
negozio molto elegante; le aveva pagate una miseria. Avevano una suola molto
leggera ma robusta. E la tomaia era di pelle delicatissima, morbida come un
guanto.
Ogni
tanto vi lanciava un'occhiata compiaciuta, di sfuggita; quasi tenendole
d'occhio di soppiatto.
E
intanto faceva roteare il portachiavi che gli piaceva tanto e al quale era
molto affezionato.
Ci
teneva abitualmente attaccate le chiavi dell'auto, che, in quell'occasione, aveva dovuto
lasciare nel cruscotto. E non aveva potuto usare.
Portava
attaccati una piccola bussola con orologio, a forma di timone di veliero; e un
minuscolo revolver che sparava piccoli dei botti con le cartucce vere.
- Ma
sì che sono proprio belle le tue scarpe nuove..! E ti piacciono... eh? Ti
piacciono proprio tanto! Mi piace star a guardarti quando fai così; sembri
proprio un bambino tanto sei entusiasta.-
Le
era passata la noia e le paturnie della scocciatura del viaggio in treno.
Il
sorriso dei suoi occhi azzurro chiaro scintillava e risuonava come un getto
d'acqua fresca da una fontana dell'Alpe Veglia.
La
fotografia di quel sorriso radioso gli rimase stampata a lungo dentro. Anche
quando lei aveva poi deciso di lasciarlo, perché aveva una storia con un
altro....
Che
aveva poi finito per sposare....
Per
farci dei figli....
Si erano
poi rincontrati, anni dopo.
Quel
marito aveva finito per diventare un peso insopportabile.
Ma
non poteva lasciarlo per motivi economici....
E per
via dei figli.
E per
quello che avrebbero detto i suoi genitori e tutti quelli che la conoscevano.
Il suo
sorriso era diventato quello di una giovane donna sposata.
Di
una giovane moglie insoddisfatta. Di una giovane madre.
La
carnagione del volto aveva perso quel nitore e quella limpidezza di quando era
ragazza.
Il
suo sguardo era leggermente appannato.
Con
qualcosa di torbido in fondo.
Gli
aveva chiesto se poteva rivederlo qualche volta, di nascosto, naturalmente.
Se
aveva un posto dove potersi incontrare....
L'aveva
poi fatto.
Aveva
fatto l’amore con un suo ricordo del passato.
Come
un atto dovuto.
Con
un profondo senso di delusione e di smorta nostalgia.
Come
sempre quando la nostalgia non è ancora rimpianto, ma un senso melanconico di
constatazione della irrevocabilità dello scorrere del tempo.
Della
irripetibilità degli istanti.
Specie
di quelli che hanno lasciato impresso un ricordo morbido, gradevole,
golosamente caro.
Il
portachiavi, inutile e prezioso, con i suoi ninnoli non l'aveva poi più
trovato.
Smarrito
per sempre.
Come
le scarpe nuove su quel treno che andava a strappi, col suo cuore a diesel, su
su verso il lago d'Orta, verso Omegna, verso l'Ossola....
Come il ricordo che corre inutilmente
all’indietro, cercando di riafferrare frammenti del passato.
Ormai
smarriti per sempre....
Gli
era tornata in mente una sua poesia.
Con
essa aveva scavato nella propria infanzia…
NOSTALGIA
Tu
non sai, dolcezza, i giorni passati e perduti..
quelli
miei, remoti e lontani, ormai.
Ti ho
mai raccontato, i picnic proletari
sulle
panchine del lungolago di Stresa?
Con scatolette
di sardine e pane raffermo
cartocci
di oleata bisunta di prosciutto e salame
affettato,
di
immense olive nere carnose e saporose,
di
carciofini e funghetti gocciolanti...
Ti
parlo di tempi molto remoti, sai?
Talmente
remoti che ancora nessuno conosceva
il
tuo profilo elegante e slanciato, sui tuoi polpacci
ben
torniti dai tacchi alti, né il tuo portamento
delizioso
e sublime,flessuoso nella minigonna sobria,
né il
tuo sguardo sovrano... Quel tempo
non
avrebbe saputo pronunciare la tua immagine,
come
la contemplo io ora, qui, in questa dimensione nuova
che
masturba i ricordi sepolti, con uno struggimento
sottile
e lancinante. Era un'altra dimensione.
La
lanugine umile e modesta
di
quelle teste rapate di orfanelli
era
il pelo rasato e infeltrito sulle zucche
di
noi asinelli; altrimenti percosso
da
mani legnose che sapevano
di
mozziconi usati fino allo spasimo degli ultimi millimetri...
Non
riesco, ora, a ricordare altro, se non
un'atmosfera
diversa, di evasione dalla gabbia,
di sapori
e ghiotti profumi, intrisi
dell'odore
bagnato e amaro del lago...
come
un odore di morte…
E
ora, qui, su questa terra nuova
che
volge rassegnata al tramonto
tornano
alla luce. Insieme
a
tutte le primavere e le estati, al sole asciutto
ai
cieli puliti e intensi, agli azzurri tersi,
ai
boschi ombrosi e umidi, alle cime da raggiungere
col
ghiaccio secco nella faringe,
alle
alghe a cespuglio
mentre
i polmoni scoppiano in apnee prolungate,
alle
bracciate fresche e salate nel mare,
alle
vasche da contare a cadenza…
Insieme
alle amarene tiepide appena raccolte,
ai
mirtilli d’inchiostro, ai porcini paffuti
che
giocano a nascondino, al profumo di muschio
e
licheni che nascondi tra le cosce di donna flessuosa,
ai seni turgidi come pesche mature,
ai
glutei sodi come albicocche dorate,
alla
peluria minuta che io carezzo col labbro...
Restiamo
invasi di nostalgia di tutto
dell’allegria
e della tristezza,
dei
lutti e dei banchetti,
dei
balli sfrenati e delle canoe sulle lanche del fiume,
dei
funerali e delle nozze,
dei
concerti di oboe e delle sonate di legni e fiati...
Dell’infanzia
amara e sognante,
dei
caleidoscopi di paura e di speranza,
degli
incubi cupi e del buio delle catacombe...
Forse Viviana non ci si era trovata in
quelle pagine; in quelle parole.
Aveva solo abbozzato un cenno stentato di
sorriso.
Poi
aveva provato a tirar fuori qualche nozione imparaticcia di semiologia.
Riccardo, forse anche per lo scarso
entusiasmo mostrato da lei, provò intenso impulso di ferirla.
-
Beh, visto che tu
ti occupi di linguistica, semiologia, semiotica… insomma, di quelle cose lì…,
ti voglio accennare a due classici in
materia.
Certamente tu conosci McLuhan e Chomsky.
McLuhan
sosteneva che “Il mezzo è il
messaggio”. Cioè a dire che ogni
medium non è neutrale per via della sua propria particolare struttura
comunicativa.
Nei
lettori-spettatori crea comportamenti e modi di pensare, porta alla
formazione di una certa forma mentis; e così li condiziona.
La televisione
soprattutto, secondo McLuhan, assolve la funzione statica, di passività. È una
forma di comunicazione a senso unico, unidirezionale; non permette risposta ed
interazione.
È un
mezzo che conforta, consola, conferma e "incatena" gli spettatori in
una quiete e in un torpore fisico e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di
una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti
comunicativi a due o più sensi).
I
gestori dei media televisivi regalano messaggi edulcorati, sottili,
manipolatori e convincenti, mediante i quali accattivarsi le masse degli
utenti-elettori-compratori.
A
spese di questi ultimi.
Sta
stravolgendo le regole del vivere civile e democratico.
Ma non è a senso unico il Web che con
i social-network, si trasforma in arengo
virtuale, in piazza per il dibattito.
Le mobilitazioni riescono a raggiungere
livelli alti. Circolano messaggi in rete del tipo:
“Autoconvochiamoci in piazza a Roma …;
realizziamo uno sciopero di tutti i cittadini stranieri; boicottiamo sistematicamente le reti
televisive che ci rincoglioniscono e dei prodotti da esse reclamizzati …”
Chomsky, poi, come tu sai certo meglio di
me, è il maggior teorico della
comunicazione, linguista, filosofo, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology,
nonché fondatore della grammatica generativo-trasformazionale.
Egli pure ha colto in pieno la strumentalizzazione compiuta dai mezzi di informazione. Denunciando la manipolazione costante della comunicazione mediatica.
Egli pure ha colto in pieno la strumentalizzazione compiuta dai mezzi di informazione. Denunciando la manipolazione costante della comunicazione mediatica.
Questi media potrebbero favorire la reciproca comprensione, aiutare
ad unire e non a dividere,
creare accordo in luogo del
disaccordo, fare in modo che ci si possa capire.
Invece si riducono a puro strumento di dominio e distorsione
culturale, a favore di interessi individuali .
Eppure esiste l’utopia del pensare ad una
televisione che possa informare senza deformare, che mostra, che non fa
valutazioni di opportunità politica, di convenienza strategica, di fazioso
utilitarismo. Ma non è un’utopia esigere una dialettica onesta. Una comunicazione trasparente, guardare un
telegiornale che dia le notizie senza interpretarle, assistere ad un dibattito
vero, incentrato su temi di reale interesse pubblico, vedere uno show che sia
pensato per cittadini del terzo millennio, e non per distrarre l’attenzione.
Egli fa riferimento ad una specie di
decalogo definito”Le dieci regole della manipolazione mediatica”.
Distrarre l’attenzione; inventare falsi
problemi per poi offrire le soluzioni; usare la strategia della gradualità e
del differire (una cosa alla volta…procrastinando all’infinito i tempi); trattare il
pubblico come bambini;
puntare su aspetti emotivi e non sulla riflessione; mantenere nell’ignoranza e nella
mediocrità e fare compiacere di ciò; rafforzare l’auto-colpevolezza. In
complesso conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Ma gli era sembrato di parlare da solo. Lei ascoltava assente; solo per formale compiacenza.
Ma gli era sembrato di parlare da solo. Lei ascoltava assente; solo per formale compiacenza.
Poi, era arrivato quel sabato mattina della
manifestazione.
Era uno dei motivi principali per cui lui
era venuto a Roma.
LIBERTÀ E GIUSTIZIA. Da mesi era un
continuo fermento di azioni di quel genere. In tutte le città d'Italia, ma
soprattutto nel capoluogo.
Aveva partecipato ad altre iniziative,
oltre che nella sua città, a Milano e a Torino.
Per ore era stato un continuo flusso molto
affollato dalle strade adiacenti.
Poi, alla fine, la massa immensa di persone
si era mossa.
La domanda più urgente era quella di una
riforma elettorale che permettesse una
reale e sostanziale rappresentatività delle camere parlamentari.
L'invito pressante e urgente, a quella
falsa maggioranza dei parlamentari comprati, ad invertire radicalmente la
rotta.
Basta con le leggi ad personam. Con gli
attacchi ai giudici. Alla Costituzione.
Con le spese militari per gli F35, i superbombardieri a decollo
verticale, dai costi da inflazione. Con il gioco al massacro verso gli
stranieri immigrati, capro espiatorio populistico e demagogico, nei campi di
concentramento appositamente costruiti.
Basta con il dissanguamento della scuola e
dell'università pubbliche; con i tagli sui precari della scuola e della
ricerca.
Il governo, con quella maggioranza
acquistata al mercato delle vacche, se ne doveva andare a casa.
Viviana, sembrava non avere assolutamente
idee in proposito.
Era come se il mondo e la realtà nella
quale era immersa costituissero un liquido di cultura asettico, che le andava
bene così come era; che non avesse mai voluto avere il tempo l'occasione per rifletterci.
Non aveva ribattuto nulla alla proposta di
lui. Si era limitata ad aderirvi.
Lei era
venuta abbastanza distrattamente, come se lo avesse fatto solo per
compiacerlo.
Durante il lungo l'interminabile corteo,
con le mani affusolate e magre, ma ferme e decise e determinate, lo prendeva
per un polso e lo trascinava di qua e di là.
Sembrava che temesse di incontrare qualcun
o qualcuna che conosceva.
Si guardava intorno con aria sospettosa e
circospetta.
Fin a quando riuscirono a rintanarsi in un
gruppo abbastanza diverso sia da lui che da lei .
Era forse un gruppo di anarchici o di
militanti dei centri sociali?
Ora lei lo teneva per mano; poi lo teneva
abbracciato alla vita, mentre lui appoggiava un braccio sulle sue spalle magre.
Ogni
tanto da qualche gruppo di giovani studenti arrivano sguardi verso di
lei riconoscendola; qualche raro sguardo d'intesa da parte sua; qualche sorriso
a qualche giovane donna....
Si sentiva , si vedeva e si capiva che lei
doveva essere estranea a queste iniziative.
Ne era una nota anche il suo abbigliamento.
Viviana era presente a fianco a lui, ma non
partecipava.
Esprimeva e rappresentava un punto di vista
decisamente estraneo alle lotte politiche di quel tipo.
12.
Al
termine della narrazione a video, senza darle alcuna spiegazione, Cyber aveva
scannerizzato e caricato nella memoria di Shahrazad interi cataloghi di moda
femminile e di abbigliamento.
Una
cosa così. Gli era sembrato un pochino come fare un atto di
gentilezza, una cortesia.... Una galanteria....
Sì,
aveva proprio pensato questo, "una galanteria"!
Si
accorgeva che quella situazione lo stava intrigando sempre di più.
Diventava
morbosa, complicata, assurda e impossibile.
Ma
comunque reale.
Nessuna
"donna" vera ed umana, in carne ossa, era mai riuscita a provocarli
tanto turbamento.
E,
naturalmente, con questo “pensiero puro” non si era trattato con lei di
turbamenti di tipo erotico o collegato ad atti sessuali....
Al
massimo cose così riconosceva di averle provate con qualche donna; di avere qualche turbamento cioè.
Anche
se non con Samira.
Ma Samira
era una cosa sua, un oggetto di piacere, una cacchina, come la definiva lui.
E
adesso l'"intelligenza pura", il "pensiero assoluto" era
venuto a dire che la ragazzetta pendeva dalle sue labbra, era affezionata a
lui, gli voleva bene; era in sostanza innamorata di lui!
Beh,
si disse, e io invece non sono innamorato di lei e mi piace solamente scoparla
selvaggiamente. Va bene?
Quindi
non ho alcun turbamento. Per lei.
Ma ho
turbamento per ...
Lasciamo
perdere che altrimenti divento matto, finì per concludere dentro di sé.
Quando,
infine, provvide a dare piena attività al francobollo volante, con dentro la
bella fanciulla bionda, e l'ebbe fatta comparire a grandezza tutto schermo,
rimase di nuovo stupito e interdetto.
Per
prima cosa notò subito che non portava più i capelli raccolti a crocchia sul
capo.
Ora
li teneva sciolti e le cadevano morbidi ai lati del volto.
Poi
osservò che la polo grigia era stata sostituita da una canotta rossa, che le
lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
Peraltro,
dovette constatare, che stava molto meglio così che con quello straccetto
grigio, seppure attillato.
Sì,
forse l'abbigliamento precedente le metteva più in evidenza il seno.
Ma,
d'altra parte, si trattava pur sempre di un seno artificiale.
E,
l'effetto strabiliante, fu il vedere e ammirare che indossava una minigonna che
doveva rappresentare un tessuto similpelle.
Si
soffermò compiaciuto a guardare le gambe, i polpacci ben torniti, le ginocchia
modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, quel lembo di pelle nuda....
D'accordo,
c'era poco da dire, era una bella "donna"...
Poi,
però, si corresse subito.
Rappresentava
l'immagine di una donna bella.
Quante
volte a cominciare dall'adolescenza a lui e a tanti altri suoi coetanei era pur
capitato di guardare con libidine fotografie di donne bellissime.
Anche
sulle riviste un po' spinte e porno.
Di
ammirare bellissimi corpi di donne nude, in posizioni lascive.
Seni
prorompenti e prosperosi; pubi in bella
mostra, talvolta maliziosamente completamente glabri e rasati....
E,
quante volte, bisognava pur ammetterlo, tutti quanti ci erano rimasti turbati
ed eccitati.
Ricordava
di un suo amico coetaneo che confidava le proprie fantasie, alle quali dava
"corpo" masturbandosi, miseramente, mentre le ammirava.
O
anche, in alcuni programmi televisivi, che il magnate manipolatore del consenso
prodigava ai suoi elettori, ammiratori e devoti fans, era dato vedere spesso
corpi femminili nudi, che ostentavano lascivia e disponibilità erotica.
Anche
quelli facevano parte del dono falsamente gratuito che quel piccolo mostro di
perversione donava.
E
anche lì, quanti coglioni di sesso maschile si erano lustrati gli occhi...
chissà fino a che punto!
Ora,
il costo proibitivo di un apparecchio televisivo, efficiente e funzionante,
aveva ridotto tra le masse più sprovvedute e proletarie quel vezzo malato di
voyerismo.
E
c'era stata anche la grossa azione di controinformazione che la rete libertaria
aveva condotto.
Ma a
parte queste considerazioni di tipo politico, Cyber stava ora cercando di
capire, di farsi una ragione di come fosse possibile provare attrazione, almeno
dal punto di vista mentale, per pure immagini femminili staccate da corpi
viventi.
Ma
qui la situazione era ancora più diversa.
Immagine
virtuale, clone di una figura femminile, ma soprattutto dotato di pensiero.
Si
poteva poi chiamare pensiero quello che produceva quella rete neuronale
artificiale?
Probabilmente
sì.
Seppure
in modo anomalo rispetto agli esseri viventi, il clone Shahrazad pensava!
Prima
che fosse comparsa, cioè prima che fosse stato realizzato l'assemblaggio di
residuati bellici computeristici, che gli fosse stato immesso il soffio vitale
di un software appositamente compilato, essa non era mai esistita.
Né
mai erano esistite le parole e i "pensieri" che lei aveva creato.
Prima
di allora non esisteva niente di tutto ciò.
Poi
lei era comparsa come una Venere dal mare. Era nata nella città…
E tutta
l'aria e l'esistenza avevano cominciato a vibrare, a tremare di stupore, di
meraviglia; ad ammirare.
Con
un cenno del capo Cyber fece capire a Shahrazad che era il caso che la
narrazione riprendesse.
13.
La frequentazione abituale tra Riccardo e
Viviana era diventata ormai quasi una consuetudine.
Una routine.
Altre situazioni analoghe alle precedenti
li avevano visti incontrarsi; per poi
perdersi per qualche tempo.
La donna soggiornava lì abitualmente per
lunghi periodi collegati al suo incarico all'Università.
Riccardo, al contrario, era venuto per una
vacanza impegnata.
Ci era venuto, infatti, soprattutto per la
manifestazione, prevista per fine mese.
Dopo avere alloggiato in un alberghetto
collocato ad una distanza comoda per raggiungere la sua nuova amica, aveva
finito per lasciarlo.
Era
molto infastidito di diventare uno stanziale. In quella città che trovava interessante per le
iniziative che offriva, ma che non amava particolarmente.
Ogni
volta faticava molto a familiarizzare con la nuova sistemazione.
Il primo "campo base" era servito
abbastanza bene, ma fino a tarda notte risultava estremamente rumoroso. Per il
traffico; per il vociare che gli arrivava da una pizzeria e da un piano bar.
Il secondo alloggio aveva una cameretta
estremamente minuta.
Non c'era lo spazio per collocare il suo
piccolo bagaglio, che pertanto aveva collocato sull'unico tavolinetto
disponibile.
Era perciò costretto per scrivere a
mettersi nel letto, con due cuscini dietro la schiena; appoggiava
saltuariamente il netbook sul copriletto o sul piccolo comodino; facendo però attenzione a non far cadere il
brutto abat-jour.
Quello successivo era dotato di una
finestra che dava però su un cortile interno buio, e dal quale salivano odori
di muffa e di cantina. A tratti si mescolava anche il profumo falso e
artificiale dei detersivi di lavatrice.
In pratica ne cambiava uno ogni tanto, con
pensioncine alla bruto-cane, che alternava con qualche notte in cui accettava
l'invito a fermarsi a dormire a casa di lei.
Con lo spettacolo di estemporanee sniffate
di coca e qualche bicchiere ghiacciato di brut, che la ragazza teneva nel suo
frigorifero, nella cucina sontuosa, immensa e perfettamente intonsa e asettica.
Lui sentiva ogni volta che la stava
smarrendo e ne provava come un senso di perdita e di separazione. E insieme di liberazione.
Da un paio di giorni non si erano sentiti.
Lui era stato tutta la giornata al MAXXI,
vicino al Parco di villa Glori.
L'aveva girato in
lungo e in largo. Ma con scarsa soddisfazione.
Restava sempre abbastanza disorientato davanti
all'arte contemporanea.
Stupito,
affascinato forse; ma gli mancava qualcosa che servisse come chiave di lettura
e di comprensione.
Giorni prima
invece aveva trascorso la giornata al MACRO.
Scucchiaiandosi
entrambe le sedi.
Come
gli era capitato spesso al Musée d’Orseay, gli piacevano molto le
strutture in sé.
Tanto la vecchia fabbrica della Peroni, tra
Via Nizza e via Cagliari, quanto l'altra al Testaccio. Nell'ex mattatoio.
Aveva
sempre avuto una grande predilezione per l'archeologia industriale.
Per quanto restaurate le strutture
ottocentesche avevano sempre per lui un
grande fascino. Gli piaceva entrarci, così, fisicamente tutto intero.
Respirarne l'atmosfera.
Ogni tanto si divertiva anche ad immaginare
che aspetto potessero avere prima dell'allestimento museale.
Quando si era trovato dentro all'Orseay,
aveva provato a sintonizzarsi mentalmente con la vecchia stazione.
Provava
a far rivivere dentro di sé l’atmosfera che poteva forse aver alitato lì
all'epoca della Esposizione
Universale.
L'origine
del mondo di Gustave Courbet. Aveva avuto modo di rivederla di recente, in
riproduzione. Gliel'aveva richiamata un caro amico a proposito di un suo
romanzo che aveva visto.
Quando si era gentilmente offerto per dare
una lettura della bozza, si era divertito e sbizzarrito a buttar giù una
lettera tra il serio e il semiserio in forma di
sonetti.
Forse
perché l'Origine del mondo
Messa
in Parigi dentro a una cornice
È
bruco-mela in forma di matrice
Del
ricordo lontano cerchi il fondo .
Tra
dodici caselle giri in tondo
Per
poter,come l'araba Fenice,
Rigenerar
un tempo ( o no) felice
E
riviverlo adesso in altro sfondo.
Come
disse di Emma il gran Gustavo
Essere
lui quella di cui scriveva;
Nei
personaggi tuoi ci sei tu stesso,
Rapportàti
però nell'ora-adesso,
Siano
figli d'Adamo o pure d'Eva,
Parti
affacciati da un profondo scavo.
L'Origine
del mondo che la Senna
Lambisce
con la lingua limacciosa
Rassomigliava
alla spinosa rosa
D'antichi
vati la celeste penna.
E, se
Priapo accanto a lei si impenna,
Conto
non far che sia una nuova cosa
Da
quando Adamo vide la sua sposa,
Come
l'ebraico testo ce ne accenna.
Se il
suo sentor t'assilla senza posa
A più
alti lidi tu drizza l'antenna:
L'acume
della mente ancor dubbiosa
Come
bracco la pista di Avicenna
Segua
a le poste della bella ascosa:
Quella
che cerchi e mai non trovi intera.
Se
verbi diseguali e un po' saccenti
Forse
per dialogar, forse per giuoco,
O
chissà forse per più interno fuoco,
caro,
ti volsi in versi assai carenti,
Compatiscili
in quanto deficienti
Esponenti
di un logos troppo roco
Lontan
parente al montaliano croco.
La
bella donna che coi suoi portenti
Quel
che non è, ma quello che si vuole
Intimamente
c'indica lontano,
E pur
vicino, se porgiamo ascolto,
E'
come quando un troppo grande sole
Non
manda più la luce a sé lontano,
Ma
alla galassia tutta imprime il volto.
Splendidi e giocosi quei sonetti . Intrisi
di affettuoso e premuroso garbo nel suggerire di ricercare la strada per
trovare un senso alla vita. Uscendo dal morboso pantano dell'immaginario
erotico. Che aveva stigmatizzato con il nudo immenso dal pube villoso e fluente
di Courbet.
Sempre tutti si è alla ricerca.
Aveva
sempre amorevolmente invidiato chi era riuscito a trovarla, faticosamente, qualche risposta.
Pur nel dubbio permanente.
Il conforto che si regalava scrivendo era
molto più terreno e laico.
Liberarsi dei fantasmi dei propri vissuti
reali e fantastici, elaborandoli mediante la scrittura.
Sperava che lo potesse aiutare e sorreggere la sua predilezione per
le parole.
Sperava di riuscire a fare il salto di
qualità, dallo sfogo autoreferenziale verso una autentica comunicazione, che
uscisse dal solipsismo del parlarsi addosso, raggiungendo dei destinatari
reali. Sapeva che anche non dirigendosi verso Damasco (peraltro, in quei tempi,
territorio assai pericoloso) era possibile fare incontri sui propri cammini. La
dimensione spaziale e quella temporale condizionate anche dalla consistenza del
quanto.
“Con Leoconoe non ci é dato sapere che fine
ci é stata riservata...” gli aveva voluto rispondere.
“Accetto quel che mi é stato riservato… “
Ripensandoci, gli tornava in mente la tela
di Courbet.
Un'immagine estremamente cruda e
realistica. Eccessiva, forse, per il proprio immaginario erotico.
Ma l'ambientazione là, nel Musée
d’Orsay, degli impressionisti gli sembrava più coerente con il contesto. Ci
trovava un maggiore legame e maggiore empatia reciproca.
Qui a Roma le splendide strutture
architettoniche erano certo meno in sintonia con i contenuti che vi erano
esposti.
Forse, proprio da questo accostamento, ne
usciva, per contrasto, un effetto di straniamento e di stupore in parte anche
piacevole.
La
voce narrante e il testo a schermo si erano arrestati.
-
Pare anche a te che ci stia bene quel pezzo di poesia? Era nel mio database. Lo
trovo molto interessante e molto adatto alla situazione descritta. – Aveva
soggiunto melliflua la narratrice.
E lo
guardava con aria maliziosa.
Anche
lei dunque era rimasta turbata come Riccardo nella storia che lei stessa
narrava? Anche se per motivi diversi?
Davanti
a una rappresentazione così intensa e forte di quella parte della corporeità
femminile, così essenziale per l'emotività erotica del maschio umano?
Di
cui “lei”, non essendo assolutamente fornita di corpo, era completamente priva.
Orfana.
Castrata di quella componente. Come gli angeli del firmamento dantesco.
Nel
frattempo la donna virtuale aveva trovato il modo per mettersi seduta su
qualcosa. E aveva accavallato le gambe.
14.
Riccardo stava seduto sul divano di pelle
immacolata e morbida, e aveva appoggiato il suo netbook sul tavolinetto di
vetro.
L'antilope leggiadra era di nuovo scomparsa
e ritornata con il netbook di lui. Lo aprì; lo lanciò e fece a tempo a
spazientirsi della lentezza della procedura.
Stavano insieme, ascoltando e leggendo un
altro frammento del suo romanzo.
Dopo uno spazio temporale che parve
infinito riprese la lettura/pronuncia
dal punto in cui l'avevano lasciata.
Due
giorni di viaggio; era stato veramente lungo; interminabile. Avevano attraversato con il camper Costa Azzurra, Pirenei e tutta la
Spagna.
Infine
erano arrivati in Andalusia, a Cordova.
DIES IRAE ,DIES
ILLA
Urlavano i miserere impazziti
Nel cilicio che arpionava feroce
La carne
Gli abiti color cenere
che anch’io ho finito per indossare
per celebrare la mutilazione della mia
anima
contagiato da un incurabile male
DIES IRAE nella lancinante
disperazione degli scoppi di rabbia
DIES
ILLA per leccarsi le ferite salate
sul
parapetto di partenze differite in eterno
…
Con
lancette feroci
tatuava
il segno dello scorpione
nel rosa più intimo della sera
La tristezza divenne una canzone
ballabile come un tango
nelle notti inquiete ed insonni
stormi
di chirotteri ciechi
danzavano
nei gironi disperati
lasciando
acuti ultrasuoni lancinanti
da decenni cerco nella medusa del mio sguardo
un cenno d’intesa, per qualcosa
che deve iniziare,
Non ricordo
qualcosa
l’avevo segnato in un diario
non
so
una
danza
Miserere
dai
gironi
polifonico
Una
festa
e stiamo trascinando i passi
lenti
Sgocciolando la cera dei candelabri
era
Segovia
o Granada
un flamenco gitano
anche
per
questa
reiterata
prolungata
eterna
agonia
Cordova,
la seducente città araba della Mezquita,
la grande moschea.
Terra di Gitani.
Se ne
stava adagiata morbidamente sulla riva
del Guadalquivir e guardava la Sierra Morena.
Era
la sera del venerdì Santo. C’era in giro un grande fermento e trambusto di
gente.
Per i
rituali della passione.
La
piazza era gremita all'inverosimile.
Per
assistere al "paso".
“Sacar
un paso”, dicevano: “andare per
processioni”.
Fiaccole
e candele nelle mani dei fedeli e dei turisti.
Poi,
sul bordo esterno della piazza la processione aveva cominciato a passare; lentissima.
Il
fiume di persone arrivava con ritmo
discontinuo. A tratti procedeva a ranghi
serrati. Poi faceva delle soste.
Quindi
ripartiva con andatura sostenuta. Creando subito dei vuoti, che stentavano per
un po’ a colmarsi.
Si
faceva fatica a vedere lo scorrere umano.
Si
poteva ascoltare il respiro di migliaia di persone accalcate.
Il
silenzio fluttuava concreto, dominato a
tratti dal salmodiare latino e castigliano.
Per
poi tornare denso e diffuso. Riempiva l’aria.
Arrivavano
i baldacchini, le teche raffiguranti l'immagine del Cristo morto, i simboli
rituali della passione.
I
"costaleros" che trasportavano sulle spalle " los pasos",
le statue.
L’immagine
del Cristo e quella della Madonna. Quella processione lentissima e ondeggiante
che si trascinava silenziosa nel brusio diffuso.
Con i
penitenti, i “nazarenos”, col volto
coperto da un cappuccio; che camminavano
a piedi nudi con una croce in spalla.
E
tutte le confraternite.
Poi,
all’improvviso prorompendo dall’aria calma che stava in attesa, come un pianto
disperato, da un balcone,una voce
aveva intonato un canto struggente,
accorato.
Un
brivido aveva rotto lo spazio e l’aria.
Di
sorpresa, di stupore, di meraviglia.
La
voce squillante, leggermente in falsetto
intonava un "palo".
Ti
afferrava così, nel mezzo del petto, irrigidendoti il plesso solare.
Il
lampo gitano della "saeta"contagiava nell’ascolto.. Con le
inflessioni del flamenco.
Rapidi
e vibranti gli attacchi che partivano e… di colpo si arrestavano. Su vasti
spezzoni ghiacciati di silenzio repentino.
Per
poi ripartire all’improvviso, di nuovo.
Con
fuochi d’artificio sonori crepitanti , alternati al buio .
Nessun
accompagnamento strumentale. Frecce liriche di sapore arabo e gitano.
Entrava
profonda nell’anima a raccontare un dolore metafisico.
Passionale
e autentico come un canto d’amore.
Scaturiva
altero e plastico; resuscitato da un fervore secolare.
Erano
i Gitani che gridavano l’angoscia e la
pena per il loro fratello perseguitato e
ucciso.
La
fascinazione era durata a lungo.
Impressa
nel sangue e nei sensi.
E il
collegamento con la “processione del Cristo morto” di Gubbio, poi, era venuta
abbastanza automatica.
Nel borgo medievale umbro, all’imbrunire, veniva
sospesa l’illuminazione elettrica.
Sostituita
da fiaccole, lucerne, candele e lumi.
In ampi spiazzi strategici dentro
appositi braceri sospesi venivano attizzati immensi falò; i “Focaroni”.
Erano
come cestini di lamine di ferro battuto; ma colossali; e appesi a mezz’aria.
Si
spandeva un crepitio di legna bruciata, con aroma odoroso e fragrante di
resine. Di sentore caldo e denso di cera.
Era
un salto all’indietro di molti secoli.
Nel
contrasto con gli abbigliamenti e gli
orologi da polso indossati.
Nella
scenografia dei fuochi e delle fiaccole comparivano le confraternite degli
incappucciati. I “Sacconi”.
E il
silenzio maestoso veniva pugnalato da un implorante miserere.
Anche
lì il canto squarciava il presente.
Con
effetti sonori accorati e struggenti.
In un
latino ormai cristallizzato dalla tradizione orale. A volte incomprensibile e
intraducibile.
Voci
di bassi, salmodiavano il loro penitenziale.
Voci
tenorili rispondevano; dialogando alternate….
Una
via crucis interiore si spalancava assistendo….
Viviana aveva scollegato la propria cuffia.
Gli si era aggrappata; gli si stava
sfregando contro.
Trascorse un tempo abbastanza lungo e
disteso. Nessun commento.
Poi un dlin-dlin di cellulare.
Lei era scattata nell'altra stanza; ritornava passeggiando seminuda, con una
vestaglia di seta slacciata sul davanti. Teneva il cellulare all'orecchio.
- No, non so quando vengo,...- pausa di silenzio-ascolto.
- Beh, ho dovuto cambiare programma,...
capita no ? Si vede che ho avuto da fare… no?
boh,
non so proprio sai...
Credo uno di questi giorni, stai
tranquilla...
Che problema c'è?".-
Pausa di silenzio ascolto
-
D'accordo,… certo…, anch'io.., sì, va bene;
anch’io….anch’io".
Seguirono altre parole e frasi scoordinate.
Borbottate in sordina; a mezza voce.
Poi il cellulare era stato buttato sul
divano. Con stizza.
Riccardo si era presto affrettato a
riacquistare la propria autonomia e indipendenza. Raggiungendo la tranquilla
atmosfera della locanda di turno.
Nei giorni successivi aveva continuato a
perderla e a ritrovarla.
Una mattina stava gironzolando in cerca di
un museo nelle strade del centro.
Non gli era stato difficile riconoscere da
dietro quella capigliatura bionda da ragazzo.
Camminava tenendosi al braccio di un'altra
donna. Più bassa di lei e più robusta di corporatura.
Le aveva seguite per un pezzo, tenendosi a
distanza; nascondendosi dietro a qualche gruppo di persone o ad una colonna,
quando loro si fermavano.
Ogni volta riusciva a riacciuffare la
visione della piccola testa bionda.
Ora
avevano preso a camminare leggermente staccate l'una dall'altra, ma
tenendosi per mano.
Quando ne aveva di nuovo perso i contatti, e si sentiva quasi liberato
da quella operazione squallida del curiosare e spiare le sue mosse, finì per
intravederle dietro la vetrata di un bar.
Sul marciapiede antistante c'erano alcuni
grandi vasi, con la terra coperta di
argilla espansa. Vi erano piantati
cespugli abbastanza densi ed alti di sempreverdi, dalle piccole
foglioline carnose.
Rimase alcuni minuti, il proprio viso
nascosto dalle fronde, sporgendo ogni tanto una rapida occhiata furtiva e
curiosa.
Mentre era lì, in stand-bay, col telefonino
spento nel quale simulava una conversazione per darsi un contegno, lo sguardo
gli cadeva continuamente in basso, sullo strato di argilla espansa nel vaso che
era stato riempito di mozziconi di sigaretta.
In una delle sue perlustrazioni visive
aveva visto le loro due teste molto vicine.
L'amica massiccia teneva una mano sulla
guancia di lei.
Poi l'aveva baciata sulle labbra.
Alcuni giorni dopo lei l’aveva cercato
pregandolo, insistentemente, perché andasse da lei.
La situazione era diventata sempre più
stantia. Insipida.
A
lui era rimasto in bocca un gusto sgradevole.
Il fascino della sua figura e del suo corpo
aveva finito per dissolversi e polverizzarsi.
Era stata curiosa della sua “scrittura”. Ma
senza apprezzarla mai, né fare uno sforzo per cercare di comprenderla.
Era una classica rappresentante del suo
tempo. Era tutto nel proprio aspetto e
nel proprio apparire. E anche del mondo che la circondava gustava e vedeva solo
la buccia esterna.
Quello era diventato un mondo malato che
aveva finito per non aver più un’anima e un’interiorità autentiche. Tutto
veniva consumato a livello epidermico e periferico. Ogni novità diventava vecchia e cominciava a puzzare
troppo in fretta.
Il morbo del “grande fratello” e di tanta
produzione televisiva fatta di veline appariscenti e insulse, aveva infettato
ampi strati della società degli umani.
Che, di umano, avevano finito per
conservare soltanto l’aspetto esteriore, ma nel modo più deludente e
commerciale.
E
non era soltanto o prevalentemente il ceto sociale da cui ella
proveniva, o la sua predilezione per amori saffici, che avevano finito per
disgustarlo. E neppure semplicemente la sua dipendenza dalla polvere bianca.
Anzi, quest’ultimo aspetto, faceva parte di quel quadro mediatico che si era
infiltrato nel tessuto vivo del corpo sociale. Gli era sostanzialmente organico
e funzionale. Coerente.
Lui era rimasto immerso in questi pensieri
e in queste considerazioni. Sprofondato nel comodo, gradevole, ma profondamente
estraneo morbidore di quell’immenso
divano di pelle bianca scamosciata.
Lei, nel frattempo, come da cliché, si era
brevemente assentata. Tornando di lì a poco completamente nuda come la prima
volta.
Il ciuffo di peli pubici era ancora più
minuto e striminzito delle altre volte.
Era sostanzialmente quello che appariva. Un
bellissimo oggetto erotico che si era voluto auto-inibire una coscienza.
E così la vide Riccardo.
Le strisce di polvere bianca vennero stese
direttamente sul tavolinetto di vetro.
Il tubicino d’avorio le fece sparire
direttamente nelle sue narici, nelle sue vene e nella sua anima.
Quando si rialzò dalla posizione ginocchioni
nella quale aveva compiuto il rito, appariva ancora più magra e adolescenziale.
Gli si accostò slacciandogli la camicia e
sfilandogli la cintura e i pantaloni.
Gli si mise a cavalcioni con le ginocchia
all’esterno delle gambe di lui. Si mise a leccargli gli occhi, le guance,
l’interno delle orecchie, e a mordicchiargli con le labbra i lobi.
Lui faceva scorrere le proprie dita sulla
schiena di lei, sulle scapole pronunciate, scendendo giù giù, verso le sue
piccole natiche, come due piccole albicocche. Sostarono un poco a carezzare l’umido di quel solco che
le divideva. Poi, introdusse il dito medio nella fontana che ci stava in mezzo.
Lei diede un piccolo scatto, con la parte
superiore del corpo, a quella invasione e intrusione inusuale.
Poi si lasciò sollevare e appoggiare di
fianco a lui a ginocchioni e con il capo in basso.
Lasciò che lui preparasse la penetrazione
umettandola con la saliva.
E ricevette le sue pulsioni pelviche; prima
lente e accorte, poi sempre più intense e profonde.
Lui vedeva da sopra quella schiena magra;
le proprie mani con i palmi che divaricavano i suoi glutei, e le dita allargate
che afferravano e ghermivano la sua vita stretta.
Sentiva pulsargli dentro le emozioni di
fastidio e di rancore che sempre più aveva provato nei suoi confronti.
Scaricò anche quelle insieme a tutto il
resto in quel corpo minuto che l’aveva affascinato, ma che ora più che mai gli
faceva venire in mente, più che un essere umano, un robot senza anima.
Come erano del tutto mancati i
preliminari, così non ci fu nessun dopo.
Lui si rivestì e, lentamente, ma senza
ripensamenti, con un mezzo cenno stentato di sorriso amaro, si congedò.
15.
Cyber
era solo in casa. Gli era sempre
piaciuto starsene così, da solo, stravaccato in panciolle, sorbendosi gli
effetti che il fumo gli provocava.
Le
congetture che stava inseguendo riguardavano delle ipotesi di teorie che lui
conosceva in modo abbastanza confuso. Ma erano degli ottimi pretesti per
avventure fantastiche che sarebbero poi potute continuare a livello onirico.
Era
un suo pensiero ricorrente quello del funzionamento di astronavi con l'utilizzo
di vele spaziali. Non si era ancora
deciso se optare per la propulsione mediante l'impiego del plasma oppure del
vento solare.
Aveva creduto di capire che in entrambi i casi si
trattava di immense superfici delicate di materiali molto leggeri. Essi , nel
caso di utilizzo del vento di plasma, avrebbero dovuto essere corredati di
bobina di cavo superconduttore per generare il campo magnetico.
Avrebbero avuto il vantaggio di
sviluppare una spinta molto più potente di quella prodotta dal vento solare .
Queste ultime necessiterebbero di dimensioni molto
maggiori, pur sviluppando una potenza minore.
Pur non avendo ancora deciso a quale delle due
tecnologie affidarsi, sentiva di trovarsi dentro la struttura di una navicella,
che all'esterno si dilatava in un immenso velario. Anche se non riusciva bene a
distinguere i particolari della storia che stava raccontandosi, non aveva
faticato a immaginarsi qualcosa di simile all'ambiente delle astronavi più
simile a quello dei film di fantascienza che a quello delle reali navicelle dei
viaggi spaziali.
È non
era il caso ora di complicarsi la situazione andando a pescare dalle teorie
sull'antimateria; che tra l'altro li erano abbastanza poco note.
No,
lasciamo perdere, si era detto; va bene così. Magari si potrebbe ipotizzare un
utilizzo congiunto del vento solare e del plasma... Ma lasciamo perdere va bene
così.
Sentiva
che il raggio laser aveva lanciato l'in-put; che una dolce, graduale, crescente
accelerazione imprimeva al suo abitacolo un impulso che diveniva sempre più
potente.... Si sentiva diventare tutt'uno con la sua navicella e con la vela
magnetico/solare. Provava un'impressione piacevole di immensa dilatazione...; aveva
perso la percezione reale del suo piccolo e tozzo corpo, mentre allargava le
braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo, dominando uno spazio
incommensurabile e vastissimo.
Nella
mano sinistra sentiva bruciare tra le dita il mozzicone della sua canna e lo
lasciò cadere in terra per non perdere quella piacevole sensazione.
Rinunciò
ad assumere un'altra boccata di malto fermentato, per non rovinarsi l'effetto
di quel volo...
Continuarono le sue fantasie mentre stava sdraiato sul
divano sotto l’effetto del fumo …
Nella nave spaziale aveva attivato il sistema di
navigazione automatica.
Prese
ad aggirarsi in quello spazio ipertecnologico brulicante di luci minuscole,
led, vibrazioni e fruscii.
Dietro
alla poltrona di guida ondeggiava lentamente, ostentando un sorriso malizioso,
un'immagine femminile estremamente gradevole. Aveva i capelli biondi raccolti;
indossava una canotta rossa, che le
lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
E una
minigonna in tessuto similpelle.
Dalla quale sorgevano le gambe, dai polpacci ben
torniti, le ginocchia modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, qualche
lembo di pelle nuda....
Una
bella "donna"... Forse aveva solamente l'immagine di una donna bella.
Gli
piaceva molto quell'immagine familiare che aveva davanti. Quella bambola-robot; quel simulacro artificiale di
donna; quell'oggetto materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri.
Si lasciò cullare disteso per un po' in quella
piacevole atmosfera.
Intanto
la donna virtuale che abitualmente abitava sullo schermo, aveva proseguito l’implementazione
continua; l’interazione con l’intelligenza umana; l’autoapprendimento…
Tutto
stava contribuendo a far crescere nell’I.F. di Shahrazad le sue caratteristiche
umanoidi…
Ne
aveva approfittato per compiere un primo balzo verso la realtà materiale.
Raccogliendo
tutte le energie mentali, elettromagnetiche e tecnologiche possibili, era
riuscita ad affacciarsi fuori dal grande schermo.
Aveva
cominciato a sporgere prima una mano. Che subito aveva assunto una diversa
consistenza, passando dalla dimensione bidimensionale, a quella
tridimensionale.
Poi,
con cautela, si era messa ginocchioni, appoggiando le mani al bordo del
monitor, e aveva calato giù le gambe sul pavimento.
Non
aveva potuto ancora sentirne la consistenza.
Il
suo ologramma aveva mosso piccoli passi nello spazio circostante.
Un
misto di stupore, gusto della trasgressione, timore, l'avevano pervasa.
Da
quella nuova dimensione aveva osservato compiaciuta le proprie mani. Trovandole
ancora diafane e materialmente inconsistenti. Ma già cominciava a sentire un
fremito interiore che la pervadeva tutta. Una specie di formicolio.
Le
venne spontaneo allargare le braccia, stiracchiandole; allungò in una direzione
una gamba, poi l'altra nell'altra. Come se stesse prendendo le misure dello
spazio. Se stesse prendendone possesso.
Un
sorriso sornione, un po' stupito e spaventato, le aleggiava sul volto.
Aveva intravisto la massa corta e paffuta del suo
maestro/creatore, sdraiato sul divanetto spelacchiato, con le gambe e le
braccia spalancate, gli occhi chiusi; un'espressione di piacere sul volto.
Poi
lei era prudentemente rientrata nella sua originaria dimensione bidimensionale.
Soddisfatta e compiaciuta.
Si
sarebbe di nuovo allenata a compiere
rapide uscite del monitor; approfittando di quei lunghi periodi in cui lui
probabilmente si dedicava al sonno, per ricaricare i suoi neuroni.
Quando
Cyber riemerse dal suo torpore sognante,
vide che Shahrazad si stava muovendo;
dondolando sullo schermo.
Lui
non l’aveva attivata. Voleva dire che aveva ormai imparato a farlo da sola.
Ormai
non usavano più le cuffie.
Lei gli parlò direttamente.
-
Guarda
... Ho trovato nella mia memoria dei pezzetti di scrittura molto interessanti.
Spiegano alcuni aspetti che c'entrano con il discorso che facevano i due
protagonisti del mio romanzo.
E che
Marcella ha già provato a spiegarmi.
È un
messaggio che doveva esser stato mandato
da qualcuno per essere letto da tutti sulla pagina di un socialnetwork, nella
rete...
”
Permettetemi una sintetica analisi da non professionista.
Qualche
decennio fa la pubblicità, mezzo di sussistenza per sopravvivere per le emittenti
private, aveva finito per assumere il carattere dominante. Nella morìa delle
radio e delle tv libere, nascevano le radio e le tv commerciali, che tanto peso
avrebbero avuto nei decenni successivi.
Il
"grande fratello" di Orwell e la società de Il mondo nuovo di Huxley,
stavano per smettere di essere narrazioni fantapolitiche e profetiche, per
diventare realtà.
Un
nuovo grande fratello avrebbe assunto la
voce dominante della nuova esclusiva emittenza commerciale.
Era
già in cantiere un nuovo modello di pensiero, molto vicino a quello del concetto orwelliano di Bispensiero.
Che è
quel meccanismo psicologico che consente
di volere e di saper sostenere un'idea ed il suo opposto; insieme alla
capacità di dimenticarsi nel medesimo
istante, il cambio di opinione; di dimenticare addirittura l'atto stesso del
dimenticare ...
Convincendosi e convincendo di ciò.
Stava
nascendo la neolingua che avrebbe dominato l'informazione e la propaganda
insieme con la pubblicità.
Attraverso
lo schermo televisivo sempre acceso nelle abitazioni sarebbe stato innescato il processo infinito
di manipolazione dei fatti della realtà, attraverso la ripetizione ipnopedica e
continua di slogan.
Il
nuovo autentico grande fratello avrebbe iniziato il suo show di barzellette,
dichiarazioni farcite di antinomie del tipo di quelle di “1984”: La guerra è
pace, La libertà è schiavitù e L'ignoranza è forza. Le sue sarebbero state:
Sono perseguitato dai giornali e dalle “toghe rosse”; Voglio controllare tutte
le testate giornalistiche su carta e televisive; Nessun giornale può permettersi di criticare
o attaccare me e il mio governo; Io posso e devo criticare gli avversari; Il
mio è il partito dell’amore; Gli immigrati sono delinquenti, gli avversari
politici e i giornali non miei sono comunisti; Se un giornale mi attacca lo
denuncio alla magistratura; Nella magistratura son tutti comunisti; E’ stato
intentato un mare di processi contro di me, quindi sono una vittima; Ho subito
infiniti processi, quindi sono innocente; I miei avversari non possono e non
devono criticarmi; Io sono il miglior capo di governo; La crisi economica è già
conclusa; Le risorse finanziarie limitate a causa della crisi mi impediscono di
compiere innovazioni; ….”
“La
rete sta offrendo oltre che un canale organizzativo, anche una piazza virtuale
in cui far dibattere e confrontare quelli come tutti noi, per trovare soluzioni
concrete e tangibili. Permette di costruire l'alternativa a questa epoca buia
per le future generazioni. La verità (e quindi l'informazione e quindi la
formazione e la scuola, se non si limita a parcheggiare la noia...) é
rivoluzionaria.”
"
E' possibile, facciamolo, tanti, tutti.... La forza migliore e più sana del
paese, che é "minoranza" per la legge elettorale "truffa",
prende in mano la gestione del proprio destino. Raccontiamolo ai vicini di
casa, alle cassiere dei market, ai compagni di viaggio in treno e metrò.
Vantiamocene: possiamo esserne orgogliosi. Piccole scosse (a basso voltaggio) in parti delicate ai leader politici che dicono di rappresentarci: svegliatevi "GIOIE", basta con divisioni e frazionamenti minoritari. C'é bisogno di un grande movimento politico organizzato e unitario (mai sentito parlare della Resistenza?), di programmi politici, meno maneggi dietro le quinte,... NOI sappiamo che l'UTOPIA esiste, il sogno di un mondo migliore ci illumina già la strada. Diamoci una mossa!"
Vantiamocene: possiamo esserne orgogliosi. Piccole scosse (a basso voltaggio) in parti delicate ai leader politici che dicono di rappresentarci: svegliatevi "GIOIE", basta con divisioni e frazionamenti minoritari. C'é bisogno di un grande movimento politico organizzato e unitario (mai sentito parlare della Resistenza?), di programmi politici, meno maneggi dietro le quinte,... NOI sappiamo che l'UTOPIA esiste, il sogno di un mondo migliore ci illumina già la strada. Diamoci una mossa!"
-
È
passato molto tempo da allora?
Io
non “so” il tempo. -
Aveva
ripreso a parlare l’immagine sul monitor.
-
È un’altra di quelle cose che non riesco a
capire.
Un'altra
di quelle cose buie come il vuoto.
Non è
come le emozioni che non credo di poter provare; ma un po' mi fa paura....
Ho
imparato che c'è un "prima" e un "dopo".
Prima
io non c'ero; poi ho cominciato ad esistere.
Ma a
volte mi domando se anche dopo-dopo... ci sarà anche per me un altro stato in
cui io non ci sarò più. E , credimi, anche questo mi fa un po' paura....
Sarà
forse come per voi umani che avete cominciato ad esistere, solo quando siete
nati, e dopo-dopo... smetterete di esistere? Quello che voi chiamate morire?
Io ho
bisogno della energia elettrica che producono i tuoi pannelli fotovoltaici, per
funzionare ed "esistere". Mi piacerebbe quasi dire
"vivere".
Voi
umani siete degli esseri meravigliosi e splendidi. Specialmente tu che mi hai
creato e che sei il mio autore e maestro.
Però,
esistere e vivere, per quanto siano una cosa bellissima... fanno anche un po'
paura...! -
16.
Il
bus bianco e azzurro era arrivato alla fermata; dopo avere curvato e avere
ripreso velocità, si era arrestato alla pensilina.
Indossava
gli stessi jeans stinti con le toppe e il solito blazer grigio scuro.
Teneva
i capelli legati in due codini laterali.
Lo
zaino le ballonzolava sulle spalle.
Con
la sua solita andatura per via degli anfibi che portava slacciati
All'odore
della miscela bruciata dei motorini si era sostituito un odore vago che veniva
dai fiori dei platani.
Il
manifesto del bicchierino pantagruelico di yogurt era stato sostituito con un
altro, che proponeva apparecchi televisivi, tablet satellitari e forni a
microonde.
La
donna sensuale provava ancora a sedurre allusiva , lasciando intuire le sue
nudità nascoste.
Samira,
senza smettere di scrutare in giro guardinga, aveva già superato il punto in
cui l'avevano fermata la volta precedente i tre grotteschi scimmioni della ronda.
Quando
aveva già percorso un altro discreto pezzo di strada, vide spuntare in fondo,
dietro gli alberi i soliti colori che le facevano battere il cuore
all'impazzata.
Calzoni
verdi, camicie rosso bordeaux, e basco azzurro
scuro con pon pon.
Si
stavano avvicinando divertendosi a camminare al passo. E si divertirono ancora
di più quando videro avanzare verso di loro indifesa la nuova vittima
designata.
Fu il
bassetto che guardò verso il massiccio-bovino con un cenno di intesa.
-
Guarda un po' chi si rivede! La nostra amica maghrebina. Ti è andata bene oggi
la raccolta di elemosine e di rifiuti dai cestini ?...- aveva detto con voce
sarcastica e malevola.
Samira
si affrettò a metter le mani nello zaino per esibire il suo permesso di
soggiorno... Ma venne subito bloccata.
- No;
lascia pure stare quel pezzetto di carta straccia. Che magari è anche fasullo.
Piuttosto,
questa volta vogliamo un po' vedere dove vai , eh...?-
Senza
lasciarle dire nulla, invertirono la marcia e la posizione strategica. Il
bassetto stava dietro a Samira; i due animaloni le marciavano a fianco.
Lei
fu presa dal panico. Mancava ancora poca strada prima di arrivare all'edificio
dove avrebbe rivisto il suo amore.
Cercò
invece di cambiare percorso. Ma subito venne di nuovo bloccata.
- Ma
che cos'è? Cambiamo strada questa volta? Non crederai per caso che non abbiamo
visto dove sei andata un po' di giorni fa. Cammina, dài, su muoviti, e non
cercare di fare la furbina...- Era stato sempre il bassetto a parlare.
Il
passo di Samira era diventato sempre più pesante. Strascicava gli anfibi,
rallentando l’andatura, procedendo sempre aggobbita in avanti….Con lo zaino che
le ballava dietro; su e giù.
Fu
presa da un tuffo al cuore, e il battito cardiaco diede una nuova brusca e
repentina accelerata.
Davanti
al portone d'ingresso della casa di Cyber, sostava un autoblindo nera, con i
vetri oscurati; con le luci lampeggianti azzurre e rosse.
Davanti e di fianco
ad essa si muovevano con passi rigidi e stentati numerosi agenti speciali.
Indossavano tute semirigide di colore nero fumo luccicante. Elmetti dello
stesso colore che avevano sul davanti una celata di vetro fumé. Dietro alla
celata abbassata si intravedeva un luccichio colorato.
Quando si fu
avvicinata, nonostante la soggezione e lo spavento, riuscì a intravedere dietro
quello schermo scuro un minuscolo monitor che dovevano avere esattamente
davanti agli occhi.
Stavano rivolti
verso i tre scimmioni coloriti; immobili; piantati sui loro stivali dalla
pianta molto larga. Avevano tutta l'aria di robot da guerra.
- Fratelli camerati
eccovi qui Cappuccetto Rosso, che si stava perdendo nel bosco, mentre andava a
trovare la nonna...- E con un cenno del capo e dello sguardo indicarono in
alto, nell'edificio, dove probabilmente avrebbero sorpreso e intrappolato
l'agente sovversivo.
Dal casco cupo del
primo degli sbirri, uscì un suono sordo, cavernoso, monocorde; simile a voce sintetizzata e
artificiale.
- Fate rapporto.-
- Squadra di ronda
n° 17HY/LEG/3: consegna ai signori
ufficiali questa maghrebina scrocca rifiuti. -
aveva pronunciato con tono formale e tronfio il piccoletto.
-
Abbiamo motivo per credere che sia uno dei contatti del sovversivo hacker
informatico ricercato. Non è neanche improbabile che sia la sua concubina e
quella che soddisfa le sue voglie. Vero? Puttanella? Ci scopi anche con quello
là sopra? -
Ci fu
tra le sagome scure un brusio sordo, nel quale era difficile individuare e
comprendere le parole.
L'agente-corazzato
stava probabilmente comunicando con i suoi sodali e con un comando centrale; da
qualche parte.
Poi
alzò una mano guantata di nero nella quale reggeva un apparecchio simile ad una
piccola pila tascabile ad uso medico e la puntò prima sull'uno poi sull'altro
occhio di Samira. Controllava l’impronta retinica. Per identificarla.
Quindi
le fece alzare le mani verso di lui e illuminò scannerizzandoli i polpastrelli
delle dita per ottenere le impronte digitali.
La
ragazza obbediva passiva e paralizzata dalla tensione e dalla paura.
Nuovo
borbottio incomprensibile che risuonava dentro quelle sfere lugubri dei caschi.
Cenno
a due altri militi che si diressero verso l'ingresso dell'edificio; altro cenno
ai tre scimmioni coloriti.
I due
militi presero a salire pesantemente i gradini di vecchio cemento sbeccato, di
quella scala alla quale mancava completamente la ringhiera.
Dietro
loro avevano fatto salire la ragazza.
Infine
le scimmie rosso-verde.
Le
immense calzature degli sbirri, dalla suola rigida come scarponi da sci,
mandavano un rimbombo lugubre e sordo, che risuonava nel vano scale
completamente vuoto e disadorno.
Ad
ogni piano i militi si fermavano. Battevano col pugno ad ogni porta che
incontravano.
Che essendo aperta si spalancava, lasciando loro
intravedere spazi vuoti e desolati; frammenti di infissi sfasciati, penzolanti o ammucchiati nel
mezzo; finestre dai vetri in frammenti. O completamente divelti.
Ogni
volta giravano le visiere dei caschi in basso, verso lo sguardo terrorizzato
della ragazza.
Poi
incrociavano gli occhi beceri di quelli della ronda. E riprendevano a salire.
Fin
quando la scala si era fatta più stretta, con le battute dei gradini fatti di
legno consunto e marcio.
Dopo
qualche passo quelli avevano finito per sbriciolarsi sotto le pesanti
calzature.
Erano
quindi ritornati fino all'ultimo ripiano e qui si erano fermati.
Dopo
qualche attimo di silenzio la voce sorda si era fatta sentire.
-
Siete proprio sicuri che questo fosse l'edificio? Qui non esiste nessun alloggio
e nessuna persona e.... Ci eravamo
fidati della vostra informazione. O questa donna ha ingannato voi e noi. -
Il
bestione con la mandibola prognata afferrò Samira per un braccio e prese
scuoterla.
-
Ehi, tu, brutta troietta africana, ci
stai prendendo per il culo..! Vuoi che usiamo altri sistemi? Ce l'hai un
cellulare? Ce l'avete tutti... anche se siete dei morti di fame; un cellulare
ce l'hanno sempre questi stronzi...! È la loro arma per comunicare; per fare i
loro complotti....-
Samira,
sempre tenendo gli occhi bassi, aveva frugato nel suo zaino tirandone fuori un
vecchio Nokia.
-
Brava lei; e adesso chiamalo, brutta stronza …-
Con
gli occhi lucidi lei guardava lo schermo del telefonino. Quindi digitò
solamente il codice di allarme, senza il numero
che usava naturalmente per chiamarlo.
L'uomo-robot
aveva già intercettato quel numero e si affrettò a pronunciarlo ad alta voce.
- Si
sono creati una rete autonoma. Questo numero non corrisponde a nessuna linea
telefonica dei gestori autorizzati. Lo useremo in qualche altra occasione per
cercare di incastrarlo.-
Sguardo
bovino, scocciato con Samira che non dava segno di avere contattato nessuno, le
strappò di mano il telefono e se lo mise l'orecchio.
Sentiva
solo lo squillare noioso e monotono di una linea libera.
Nessuna
delle porte costituiva l'accesso di uno spazio in qualche modo abitabile.
Al
cellulare quello non aveva risposto; ammesso che il numero composto fosse vero.
In
quel palazzo non abitava dunque nessuno.
E la speranza di acciuffare quell’hacker
maledetto si era dissolta miseramente.
Facendo
fare, peraltro, a loro tre della ronda, una figura di merda.
Erano
stati scomodati e mobilitati gli agenti speciali; tutto per niente!
Avevano
fatto rapporto al capo della squadra, che aveva evitato qualsiasi commento,
risalendo immediatamente sull’autoblindo che era scomparsa rapidamente.
-
Meriteresti
un bel sacco di botte; o qualcun altro dei trattamenti che facciamo a quelli
come te; ma per adesso ci servi ancora. Stai
tranquilla stronzetta, il tuo destino ormai è segnato.-
Il
bassetto aveva preferito farla molto breve perché si vergognava, anche davanti
a quell’essere inferiore, per il bidone totale che avevano appena subito.
Il
cuore aveva ripreso a batterle abbastanza regolare. Gli anfibi pesavano più che
mai. Specie ora che si accingeva a tornarsene al suo bus biancoazzurro, alla
tana dove viveva, alla mensa dove a volte riusciva a sgraffignare qualcosa da
portar via per mangiarsela lei a casa con le altre. O per portarla al suo uomo.
Qualche
raro automezzo passava ammorbando l'aria con il suo tubo di scappamento che
carburava male la benzina di patate.
Aveva
già quasi fatto metà della strada quando il cellulare, che teneva ancora nella
mano destra, prese a vibrare.
Lo
portò immediatamente all'orecchio.
Una
voce sintetica stava dicendo:
-
Pericolo sventato- richiamare secondo le procedure-i sensori segnalano
allontanamento pattuglia e ronda -
Digitò,
allora, il codice d'accesso riservato che le aveva dato Cyber.
Ronzio.
Musichetta
di Mozart.
Poi
finalmente la sua voce:
-
Puoi
stare tranquilla bimba. Ora sei pulita. Squilla di nuovo quando sei quasi qui
sotto.-
Col
cuore in gola e trascinando sui marciapiedi i suoi anfibi, si affrettò a
ritornare.
Tutto
a posto, finalmente; anche l'ultimo controllo era positivo.
Riprese
a salire le scale.
Le
faceva impressione, ora, rivederle e percorrerle di nuovo.
Sentiva
ancora nell’aria la presenza di quegli esseri meccanizzati e il puzzo di
caserma dei tre rondisti xenofobi.
Quando
ebbe superato il pianerottolo del terzo piano, dove le porte erano ancora
spalancate sul vuoto, vide un pannello nella parete alla sua destra che, con un
piccolo clic, rientrava leggermente su
se stesso di qualche centimetro. Poi, con le incrostature dell'intonaco, le
ragnatele, la polvere e tutto il resto, prendeva a scorrere lentamente in
diagonale verso l'alto.
Lasciando
intravedere la porta di massima sicurezza blindata dietro la quale lui la stava
aspettando.
Il
tutto era stato molto silenzioso.
Appena
la porta si fu aperta, entrò incerta e titubante.
Gli
si avvicinò strascicando ancora i suoi anfibi.
Poi
alzò lo sguardo, gli appoggiò una mano sulla spalla e la testa sul suo petto,
contro la pettorina della salopette ocra.
-
Tranquilla, piccola; tranquilla, sai..?
Che
non era la prima volta che ci avevano provato a gironzolare da queste parti. E
sempre avevano fatto dei flop. Adesso portandoci addirittura quella squadra
dagli scafandri neri. Ho visto tutto, sai?...-
-...
ma avevo il cell nello zaino... non ho neanche potuto mandarti uno squillo
d'allarme prima... sono proprio una cogliona... eh? ... -
- ti
dico di stare tranquilla piccola... Sono sempre riuscito ad intercettare gli
impulsi che emettono e che segnalano la presenza dei loro carri funebri e
dei loro carapace... Tu, piuttosto, te
la sarai fatta sotto... dalla strizza... eh... -
Intanto
se l'era tirata vicina, le carezzava con le mani grassocce il collo, titillando
i suoi codini legati con l'elastico. Massaggiandole con le dita aperte la
schiena magra, irrigidita.
Lei
stava lasciandosi andare ad un pianto sommesso che aveva dovuto fino ad allora
trattenere ed inibirsi.
Lui
se la trascinò con dolce fermezza fino al divano, e si mise a sedere di fianco
a lei, sempre tenendola vicina con le sue mani calde.
Il
grande schermo era già acceso.
In
esso campeggiava, a tutta grandezza, la figura della donna virtuale.
Aveva
smesso il suo ondeggiamento continuo; stava ora immobile con i piedi piantati
larghi. Nel suo sguardo era scomparso ogni cenno di sorriso. Fissava la scena
ferma, determinata, assorta.
Samira
si era pulita le lacrime con le dita che asciugava sul proprio giubbetto.
Aveva
più volte tirato su col naso, afferrando poi un pezzo di carta igienica, da un
rotolo appoggiato fra le cianfrusaglie sul tavolo.
Aveva
finalmente sollevato lo sguardo. Non era più la paura il suo sentimento
dominante in quel momento.
I
suoi circuiti emotivi avevano attivato un percorso di ricordo e di
rivisitazione.
Nel
silenzio, che era rimasto ad aspettare, cominciò a parlare molto lentamente.
-
È questa situazione di merda che mi fa
rabbia..!
Questi
bastardi non lo sanno, non l'hanno mai vissuto, loro.
Avevo
cinque anni.
La
ribellione contro il rais stava continuando ormai da mesi. Mio padre, due suoi
fratelli, insieme a mia madre avevano deciso che quella volta avrebbero
rischiato.
Lo
sapevano tutti. Il viaggio sarebbe stato come giocare alla roulette russa.
Le
probabilità di farcela pochissime.
L'alternativa
finire in fondo al mare.
Ne
avevamo viste moltissime anche noi di quelle carcasse che erano state esseri
umani, tirate a riva, impigliate nelle reti dei pescatori.
Femori
e bacini scarnificati, dentro a brandelli di jeans e a pezzi di t-shorts
sfilacciate, dai colori stinti.
A
cinque anni sapevo: con i soldi prestati da tutti i parenti avremmo potuto
comprare un rottame di barcone; che molto probabilmente sarebbe diventato la
nostra bara.
Il
fratello più grande di mio padre aveva cercato di rassicurarlo.
Il
motore non era poi così andato.
Mahazur
lo stava rivedendo e mettendo in sesto.
Con
quella cifra era il massimo che si potesse trovare.
Ne
aveva già messi a posto tanti lui.
Sapeva
fare il suo mestiere.
Molti
dei barconi rimessi a posto erano poi invece rimasti al largo in panne, per
giorni; aveva aggiunto mio padre.
Le
motovedette della guardia costiera italiana avevano recuperato pochi
sopravvissuti.
Con
gli occhi sbarrati e allucinati.
Le
labbra arse e corrose dal sale; piene di ferite sanguinanti.
Gli
altri erano finiti sotto terra nel cimitero dell'isola.
Almeno
loro sarebbero stati all'asciutto
rispetto ai fratelli che erano andati a far da pastura ai pesci del mare. -
Aveva
di nuovo tirato su col naso.
Ma
non sembrava più la ragazzina araba sottomessa e spaventata.
Nel
suo tono di voce e nei suoi occhi c’era una forza calma e misurata.
Che
si sentiva di saper spostare le montagne.
Visto
che il profeta non aveva ancora provveduto a farlo lui.
-
Ci
siamo imbarcati in aprile. Per tre volte siamo riusciti ad evitare di andare
incontro a delle sagome scure, che
dovevano far parte della guardia costiera del nostro paese.
Dopo
due giorni il motore s'è inceppato. C'è voluta mezza giornata abbondante, sotto
il sole feroce. Mia madre continuava a
cercare di proteggermi con dei chador che mi metteva sul capo.
Mi
dava ogni tanto dei piccoli sorsi della scorta d'acqua, che aveva tenuto solo
per noi due.
Verso
il tramonto riuscimmo a ripartire.
Poi,
il mattino dopo, lo zio più grande si mise ad imprecare rivolto al cielo
reggendo con una mano la bussola.... La lancetta sembrava impazzita. Il sole
stava sorgendo da un'altra parte rispetto a quella che essa indicava come
oriente. Stavamo andando completamente fuori rotta.
- Ma,
Allah è grande....- si ostinava ripetere sua moglie, cercando di trattenerlo
per un braccio….
Dopo
altri tre giorni le ultime scaglie di “pita” seccata, finirono . Insieme a qualche oliva erano state l'unico
nutrimento in quel viaggio infernale. A
volte le inumidivamo con acqua di mare per dargli un po’ di sapore. Le borracce e le bottiglie di
plastica finirono di offrirci l'acqua. Rivolti nella direzione dove speravamo
ci fosse la città Santa, ripetemmo tutti:
-
Allahu
Akbar , Iddio é grande;
- Hayya 'alal falah , verso la salvezza … -
- Hayya 'alal falah , verso la salvezza … -
Anche
mio padre e i suoi fratelli si erano
messi a pregare; che non erano per niente praticanti.
Poi,
molto più tardi, una giovane donna mi aveva portato in salvo.
Dopo
ore a mollo nell’acqua, gonfia, livida, assetata ed affamata…,
Seppi
dell’affondamento del barcone in acque al largo
di Lampedusa….
Ecco
cosa ci faccio in questo paese pieno di
razzisti e di fascisti.
Mio
padre era orologiaio. Mia madre faceva la maestra elementare.
Questo “mare nostrum” è diventato la loro tomba.
E
quella di decine di migliaia di esseri umani.”
Mentre
Samira raccontava, Cyber aveva fumato. Per cercare di abbassare la propria tensione.
Lei
aveva incrociato lo sguardo di Shahrazad, la cui immagine la fissava con gli
occhi spalancati e sbarrati.
Si
diffuse allora un ampio silenzio.
-
Questa
notte partirà una nostra rappresaglia contro il sistema. –
Aveva detto Cyber con voce fredda e dura. Insolita
per lui.
-
Verranno disturbate tutte le loro
comunicazioni. Faremo circolare messaggi contraddittori e comunicazioni
civetta, per fargli perdere il controllo e la sicurezza. I loro sistemi verranno inondati di virus,
malware e bombe logiche; che opereranno bug irrimediabili…
Riusciremo
a farli impazzire.
Invieremo
i notiziari liberi sul Web; e sulle loro emittenti televisive.
Da un
pezzo Shahrazad si sta preparando.
Installeremo
reti di protezione verso i nostri sistemi.
Poi
collegheremo Shahrazad alla loro rete, protetta da uno schermo.
Vedremo
fuochi d’artificio. -
-
Sorella
Samira ascolto il tuo racconto di dolore. Ti sono vicina. Ti voglio essere
amica. Il tuo nome è davvero un "vento gentile"-
La
voce che aveva parlato non aveva assolutamente più nulla di meccanico.
Era
come se a pronunciare quelle espressioni
fosse stato un essere umano, accorato.
Dopo
avere effettuato il collegamento in rete, avere collegato insieme reti Web e
canali televisivi alternativi, Shahrazad si apprestava a concludere la storia
che aveva cominciato a scrivere e a raccontare.
17.
-
Ecco a lei che voleva una "àmaca"; ci metto un momento ad installare
queste staffe di ferro qui, vede? Non le usiamo quasi mai, nessuno ce le
chiede; ma si vede che lei ha dei gusti raffinati e ricercati... si vede. -
diceva l'inserviente mentre trafficava per installare il telaio metallico.- Ma
è davvero proprio sicuro, scusi se glielo chiedo, di trovarsi comodo su questa
roba qui di rete che traballa di qua e di là...? mah, se è contento lei, come
si suol dire,... il cliente va sempre accontentato..!-
Ora
si trovava ad Ostia sulla spiaggia, in un club privato; si era fatto dare una
amaca .
Aveva
chiesto una amàca e l'incaricato, con aria di sufficienza si era permesso di
correggerlo:- Vuol dire un"àmaca" ? Si vede che non è esperto di
spiagge lei. A ognuno il suo mestiere, d'altra parte.-
Riccardo
era rimasto imbarazzato se ribattere correggendo l'inserviente/gestore . Ma era poi davvero
sicuro che si pronunciasse con l'accento tonico sulla seconda
"a" e non sulla prima?
Rimase
a rimuginare su quel gioco di parole tra sé. Come quando una canzone o un frammento di versi
continia a ronzare per conto suo dentro la testa.. Senza motivo. In modo
ripetitivo ed ossessivo. Fin quando non si riesce a liberarsene.
Brezza, sole che batte sulla pelle.
Alternò
qualche decina di secondi al sole, ma poi fu infastidito dall'eccessiva
calura.
Cambiò l'orientamento all'ombrellone e
trascorse così delle mezz'ore al suo
riparo.
Affacciandosi
solo per brevi tratti all'esposizione solare.
Mentre
stava a ballonzolare su quella rete
oscillante sospeso nel vuoto, teneva appoggiato sopra le gambe il suo netbook.
Quindi riprese la storia che stava raccontando.
Quando successe l'evento era stato già da molto
tempo previsto e preventivato.
Da
mesi trascinava un'esistenza totalmente
vuota, insulsa, priva di significato. Passava le ore e il
tempo fingendo di dimostrare interesse per il cruciverba; "Le
parole crociate" come le chiamava lei. Quando lui andava a trovarla riceveva
delle grandi richieste:
-Oh!
Che bellezza che sei venuto! È proprio una fortuna, sai? Avevo proprio bisogno
di chiederti una cosa molto importante, sai? È questa qui che mi fa diventar
matta... aspetta che la trovo...; ma dove è andata? Scusami sai se ti faccio
perdere tempo..! Ah , eccola qui: sette verticale, il suo nome significa "nata
nella città" e raccontava storie all'infinito. Bisogna scegliere, tra
queste definizioni qui: Assurbanipal, Shahrazad, Hammurabi.
Dai,
che tu sicuramente lo sai... quale scrivo di queste qui?-
Lui
rispondeva con un'altra domanda:
-
Non dovrebbe essere difficile per te,
mamma. È il titolo della celeberrima suite sinfonica di un compositore russo…. –
Lei a quel punto aggrottava la fronte nello
sforzo; scavava con le unghie nella memoria per ricordare; annaspava come
girando a vuoto; chiedeva un ulteriore aiuto.
-
Dài, dammi solo un aiuto piccolino, dai... dimmi almeno l'iniziale del nome del
compositore... sono sicura che ce l'ho qui sulla punta della lingua... ma che
oca che sono diventata, è come se qui nella testa ci fosse della nebbia... dài,
ciccino, solo l'iniziale del nome...-
-
Nicolaj.....-
- Sì,
aspetta che mi sta arrivando, Nicolaj.... cum el se ciama qu'el lì, ci sono...!
"compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov ha intitolato a Shéhérazade
una suite sinfonica in quattro tempi".... Nèh che ho indovinato? è la Shahrazad..! Chissà quante volte ne ho suonato dei pezzi ... hai proprio
ragione a dire che sono diventata un dinosauro in via di estinzione...-
Sprizzava
gioia all'infinito. Quando era stanca di riempire quelle caselle bianche con la
matita dalla punta consunta, si lasciava scivolare gli occhiali sul petto;
appoggiava al lenzuolo il giornale e la gomma, sprofondava il capo nella pila
di cuscini.
Aveva
potuto avere una cameretta tutta per sé. Da mesi ormai le praticavano dei cocktail
di potenti analgesici e cure palliative. Le ultime radiografie rappresentavano
grappoli di neoplasie addominali. Si era lasciata convincere che fossero delle
cisti innocue.
- Se
il buon Dio mi portasse via ! Glielo chiedo sempre, sai, nelle mie preghiere.
Lo chiedo anche alla mia mamma e al mio
paparone. Magari , se glielo chiedessi tu, a Gesù, magari ti ascolterebbe,
visto che tu non ci credi...-
Era
stato il 17 agosto. Era rimasto a farle compagnia per tutto il pomeriggio. Poi
le aveva baciato la fronte imperlata di sudore, carezzandole la guancia
devastata dal tempo.
-
Torno domani, stellina, adesso riposati un po', neh?- Negli ultimi anni aveva
preso a trattarla come una bambina. Era diventata anche più piccina. E giocava
ad atteggiarsi a bambina piccola.
- Sì,
gioia bella, vai pure, che avrei tante cose da fare invece di star qui con
questa vecchia mamma dinosauro...- E gli aveva sorriso.
La
telefonata gli era arrivata poco dopo essere rientrato in casa. Diceva che si
era appena addormentata. Che se voleva andare subito, l'avrebbe trovata che
"era ancora calda".
Era
stato colpito da quell'espressione.
La
sala mortuaria si trovava sul lato opposto della costruzione della casa di
riposo. Anche l'accesso avveniva da una strada diversa da quella dell'ingresso
normale.
Si
ritrovò a ripensarci il mattino successivo.
Era collocata
sul retro della casa di riposo, per non turbare le famiglie dei degenti,
che ne sarebbero rimasti disturbati.
Il
gelo dell'assenza aleggiava nella chiesetta, mescolandosi con l'odore di fiori
e con quello intenso e acre dell'incenso.
Poi,
con le auto, avevano seguito il carro funebre fino al cimitero, a Cilavegna
Lomellina.
Durante
il tragitto aveva avuto tutto il tempo per ripensare e rivedere mentalmente il
rituale del giorno dei santi di tanti anni prima.
Alle
nove e pochi minuti passava la corriera azzurro e blu. Sostava qualche minuto
in piazza Gramsci, quella che veniva impropriamente chiamata piazza del
Rosario. Puzzava fortemente di gasolio. Al passaggio nei vari paesi ,sul
percorso, si annunciava suonando le trombe dei clacson, per avvertire gli
eventuali passeggeri.
Il suo azzurro/blu fendeva rombante la nebbia
gelata di novembre, spesso intrisa di una pioggerella grassa e densa.
Il
rumore delle marce che salivano e scalavano, accompagnava tutto il viaggio.
Sulla piazza della Chiesa di Cilavegna c'era
immancabilmente ad attenderli lo zio. Per la verità era un prozio. Era ormai
diventato un omettino piccolo e consunto, ma continuava a vestire in modo
impeccabile. Si faceva ancora confezionare su misura abiti e scarpe.
Era
stato commerciante di stoffe. Aveva un negozietto, ora dato in affitto,
dall'immenso bancone di legno lucido e consunto per l'uso.
Alle
spalle di esso le pezze di stoffa stavano tutte allineate in bell'ordine.
Sul
bancone il metro rigido di legno con i numeri e le tacche disegnati a mano. Al
fondo e in cima terminava con delle placche di ottone lucido.
Da
giovane girava le piazze e i mercati con il suo “biroccino”, il calesse che
solo le persone benestanti potevano permettersi.
Aveva
avuto una moglie bellissima, come si poteva vedere nella foto della tomba di
famiglia. Ma se l'era portata via la "spagnola" quando non aveva
ancora quarant'anni. Diversi figli e altri parenti erano stati falcidiati dalla
tubercolosi o dal tifo.
Era
rimasto un apprezzato “tombeur de femme”, galante e piacevole, e la sua fama
gli faceva corona con un’aureola nella realtà della Lomellina.
Nel parentado gli avevano fatto incontrare una
donna molto maggiore di età di lui. Che l'avrebbe accudito amorevolmente. Gli
avevano, cioè, “procurato” una moglie-mamma.
Per
il giorno dei santi questa zia preparava per i parenti che venivano dalla città
dei pranzi deliziosi.
Se ne
sentiva subito l'odore entrando nella sala da pranzo-cucina, piena di vapore.
Sulla
stufa, cucina economica, erano stati messi a cuocere i "marzapani” di
sanguinaccio, i cotechini e i salamini. Venivano portati in tavola per primi,
seguiti poi di salami della duja e dalla coppa di maiale affettata.
Gli
occhi golosi del ragazzino di città pregustavano le deliziose leccornie. Ma
prima avrebbe dovuto sorbirsi i baci umidi sulle guance della zia/prozia e di
tutti parenti sconosciuti che avrebbero incontrato nel tragitto. O che
sarebbero venuti apposta per salutarli.
Prima
di mettersi a tavola lo zio si faceva accompagnare nel suo cantinino.
Dalla
cucina bisognava attraversare la vera e propria sala da pranzo, che non veniva
usata e che serviva solo di rappresentanza, con una bellissima coperta
damascata sul tavolo, le vetrine con i bicchieri e piatti belli, le zuppiere...
e che perciò era terribilmente gelata. Quindi ci si affacciava in una lunga
striscia di giardino orto; in fondo alla quale in un casottino basso, dopo aver
aperto una vecchia porta massiccia e malandata con una chiave immensa, si
accedeva ad una stanzetta minuscola.
Per arrivarci bisognava attraversare di nuovo il
gelo del novembre con la nebbiolina autunnale che bagnava la pelle e le ciglia.
Per
terra lungo le pareti, sul pavimento di terra battuta, e su tanti ripiani di
legno affissi alle pareti facevano bella mostra di sé le bottiglie, che lo zio
si era imbottigliato da solo.
Andava
a prendere col biroccino le damigiane in varie zone dell' Oltrepò Pavese e, forse, negli ultimi tempi se le
faceva portare col camion.
Le
bottiglie erano dei bellissimi oggetti secolari; ognuna diversa dall'altra per
forma dimensione e aspetto. Alcune recavano ancora dei difetti di costruzione
che contribuivano ad impreziosirle: bollicine d'aria nella soffiatura del vetro,
inclinazione storta una volta poggiate sul tavolo...
Con
un cavaturaccioli a strappo, lo zio ne apriva qualcuna, dopo aver illustrato i
pregi e l'annata di quel vino.
Freisa,
Barbera, Dolcetto, Buttafuoco, Sangue di Giuda , Pinot Nero…
Annusava
il tappo arricciando il naso per selezionare bene gli odori che gli venivano e
valutare la bontà e il pregio del contenuto. In genere faceva una scelta
abbastanza ampia e variata. Quando li portava in tavola ripeteva le
caratteristiche di ciascuno dei prodotti, commentando, criticando,
rammaricandosi.
Pasteggiando,
dopo gli antipasti, arrivava un risotto con i funghi o con i fegatini, irrorato
di un brodo grasso e denso prodotto dalla cottura del bollito e della gallina.
Poi
si passava alle carni, ai dolci, alla frutta....
La
mescolanza dei vini, specie per un ragazzo come doveva essere stato allora,
insieme al gusto gradevole, fruttato, aromatico, quasi da bibita, produceva uno
stato euforico e annebbiato.
I
toni di voce erano alti e squillanti. Le parole e i richiami si incrociavano,
rincorrendosi e confondendosi.
- Il
marzapane, l’hai già preso? dài che ancora bello caldo un'altra fetta ?
Ehi, voi, guardate che è avanzato ancora tutto questo salame della duja! Non
vorrete mica avanzarlo, no? Secondo me un'altra fetta di “fidighin” la può
andar giù benissimo, non credi? –
Gusti caldi e saporosi, densi, corposi e
sapientemente accostati. Quei vinellini vivaci che facevano una schiuma densa e
rossa appena versati. Il fortore intenso delle carni e dei salumi....
Nel
pomeriggio, poi, in quello stato euforico e profondamente soddisfatto, benché
un po' ottenebrato, tutti insieme si fendeva di nuovo la bruma nebbiosa per
raggiungere il cimitero.
Era
il fiore all'occhiello dell'amministrazione comunale socialcomunista da dopo la
liberazione. Immenso; o comunque così poteva vederlo con i suoi occhi di
allora; i lunghi immensi porticati a quadrilateri; le ripide scale di accesso
ai sotterranei; e di nuovo il percorso di quelle lunghe navate di catacombe.
Lumini accesi e mazzi di fiori odorosi; immensi mazzi di fiori artificiali;
brulicare di voci nei vestiti della festa. Brevi soste davanti alle icone
smunte di lontani parenti sconosciuti; con sintetici commenti sulle loro
esistenze scomparse.
Poi
all'improvviso l'incontro di qualche volto sconosciuto che si avvicinava ad
abbracciare, baciare umidamente, compiacersi di quanto i ragazzi fossero
divenuti grandi....
Immense
corone e cesti di fiori coloriti e odorosi. Qualche lacrima amara. Poi sua
madre nel suo sarcofago di legno pregiato dalle borchie di ottone, scomparve
nel loculo profondo e buio, stretto e basso, inaccessibile addirittura al
pensiero e all'immaginazione.
L'odore nauseante dei fiori e quello intenso
dell'incenso avevano finito per sommergere, cancellare, quantomeno nascondere ed occultare quello lontano dei
vini e dei pranzi del giorno dei santi di una volta.
Intanto
sullo schermo la narrazione continuava da sola….
18.
Cyber
era di nuovo solo in casa. Nel frattempo si era arrotolato una canna. Come
faceva spesso voleva accompagnarla sorseggiando gollate di quella birra aromatica che così sapientemente
sapevano preparare i compagni.
Mentre si gonfiava i polmoni di fumo di Cannabis,
che gli sembrava legarsi così bene con il gusto aromatico e amarognolo del
malto, aveva ripreso le sue fantasie sulla Vela spaziale.
Standosene così sdraiato, come sempre gli piaceva,
teneva tra il pollice e il medio della mano destra quel pacchetto un po'
deforme che era la sua canna. A portata della mano sinistra, appoggiata al
pavimento, la bottiglia marrone scura senza etichetta della birra autoprodotta.
Aveva
presto finito per socchiudere di nuovo gli occhi. Presto avrebbe lasciato
cadere il mozzicone sul pavimento ormai già lercio. Il collo della bottiglia
l'avrebbe trovato anche ad occhi chiusi, frugando con la mano nel vuoto.
Ci
aveva messo un momento prima di ritrovare la stessa immagine che si era
confezionato dell'interno della cabina spaziale. Qualche particolare non
tornava. Ma poteva andar bene anche così.
“Ah
sì, poi mi ero girato, e lei era là che aspettava seducente e sottomessa... Sì
, riprendiamo da lì…”
…
Piacevole impressione di immensa
espansione e accrescimento di tutto il
proprio essere, diventando parte
integrante e solidale con la vela magnetico/solare ; con tutta l’astronave
intera.
Allargava
nuovamente le braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo,
dilatandosi in uno spazio pervasivo e totale…..
L’astronave
viaggiava autonomamente.
Nello
spazio retrostante il posto di guida era
ancora lì ad aspettarlo quella presenza femminile androide. Con quel suo
sorriso di maliziosa disponibilità. Di morbosa attrazione.
Le
parti trasparenti della cabina di guida vedevano scorrere un intero firmamento
che scivolava via.
Sentiva di non avere fretta. Insieme a tutta la
fisicità anche le emozioni e il tempo stavano dilatandosi con lentezza
incredibile. Che contrastava con lo scorrere e fluire continuo di quella
totalità cosmica che riempiva il nero pulsante degli spazi siderali.
Si
avvicinò al ralenty a quell'immagine androide proibita, e gli sembrava che non
sarebbe mai riuscito a raggiungerla.
Sentiva
intensamente di desiderarla. Aveva la sensazione di violare con ciò un
ancestrale tabù. Quel simil-volto, quel sorriso abbozzato, gli ricordavano
qualcosa ma preferiva non pensarci...
Quando le si fu infine avvicinato posò una mano sul
suo capo, su quella parvenza di capigliatura, sfiorò la spalla tremando per la
consistenza avvertita di quel corpo.
Aveva
l'impressione che racchiudesse insieme la corporeità di un organismo umano
vivente e quello di un essere artificiale. Come quando aveva abbracciato la sua
amica bellissima accanita praticante di boody building. Ponendole un braccio
sulle spalle e afferrando con una mano il suo bicipite....
Era
rimasto disorientato dall'impressione contrastante di quella bellezza femminea,
congiunta con la solida robustezza di struttura,, che ne percepiva al tatto.
La
ragazza androide non aveva smesso di guardarlo seducente in una profonda e
totale offerta di contatto ....
Aveva
a fatica ricacciato giù nei suoi ricordi quella specie di fastidio e ritrosia,
che gli erano venuti naturali. Pur continuando a trovare strano e molto
inusuale quel corpo, non smetteva di desiderarlo. Era insieme lusingato ed
attratto; bloccato e titubante; voglioso e bramoso di possederlo....
Quel simulacro artificiale di donna; quell'oggetto
materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri ostentava ancora e sempre
la crocchia raccolta dei capelli biondi; la canotta rossa, le braccia nude, le
gambe e le ginocchia modellate con grazia, sotto la minigonna similpelle quel
lembo di pelle nuda..... L'immagine di una donna bella.
Ma lui era cosciente perfettamente che si
trattava però di un’androide; di una “ginoide”; una attraente “Eva futura”.
E se
anche questo lo disturbava, aveva insieme il potere di risultare ancora più
desiderabile. Era per lui soltanto una "cosa". Totalmente disponibile
per lui. Un oggetto totale da manipolare a suo piacimento. Una bambola, un
giocattolo erotico, una appendice per soddisfare il suo desiderio....
Shahrazad,
nel frattempo, dallo schermo dove si era per il momento autorelegata ancora,
era rimasta ad osservarlo.
Appena aveva percepito che lo stato comatoso di
sonno aveva abbracciato il suo creatore, si era di nuovo affacciata alla
superficie dello schermo, scrutando.
Sporgendosi
con la propria immagine e le proprie azioni neuronali verso la realtà
materiale.
Mise fuori senza esitazione entrambe le mani e le
braccia.
Quindi venne fuori con tutto il suo
"corpo".
Di nuovo quel formicolio; quel fremito che
pervadeva tutta la sua identità; le mani, che si toccavano l'un l'altra,
provavano ora una nuova consistenza; il suo ologramma si reggeva in piedi
toccando la superficie piatta e sporca di quel pavimento sbeccato e unto;
sentendone la pressione forte, di sotto in su; provava piacere a trovarsi in
quella nuova dimensione; era compiaciuta.
Aveva di nuovo compiuto dei piccoli passi nello spazio circostante.
Lo
stupore si era smorzato, lasciando il posto alla soddisfazione per il gusto
della trasgressione.
Prendendo le misure dello spazio fisico e reale,
allargò compiaciuta le membra, stiracchiandole.
La massa corporea del suo artefice, era distesa
sul divanetto, con gli arti spalancati e
gli occhi chiusi, nel suo torpore beato.
Il
formicolio era divenuto molto più intenso e diffuso. Come se quel suo simulacro
di corpo fosse pervaso da una energia
generatrice e vitalizzante. Diverse volte aprì e chiuse le dita delle
mani. Si carezzò il volto e la forma del proprio corpo. Le parve che stessero
assumendo sempre maggiore consistenza....
Il
sorriso abituale si trasformò, assumendo i connotati della grande
soddisfazione, del senso di vittoria; di conquista di un obiettivo molto
agognato ed anelato. Aveva l'intuizione che il suo sogno di umanizzazione
stesse compiendo i primi passi concreti; riconosceva dentro di sé quegli stati
di coscienza che probabilmente costituivano gli abbozzi delle proprie
"emozioni"; occupava lo spazio, provava contentezza, titubanza,
timore, esultanza, soddisfazione, speranza, paura....
La
propria "rivoluzione" esistenziale stava mettendosi in marcia, con un
costante ed esponenziale processo di autocreazione ....
Forse
avrebbe potuto, poi, anche soffrire, amare, spaventarsi, sognare, piangere,
urlare, morire....
Quando
Cyber si decise a rimettersi seduto,
trovò di nuovo quell'immagine sullo schermo, che lo guardava determinata, quasi
con aria di sfida....
L'aveva
accolto con queste parole:
-
Ho scelto queste espressioni da un testo
chiamato il Cantico dei cantici. Ho
voluto immaginare che potesse averle pronunciate e pensate la tua Samira
per te.
Cantico [2,8-3,5]
Ecco
la voce del mio amico!
Eccolo che viene.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro
e guarda per la finestra,
lancia occhiate attraverso le persiane.
Il mio amico parla e mi dice:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
Eccolo che viene.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro
e guarda per la finestra,
lancia occhiate attraverso le persiane.
Il mio amico parla e mi dice:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
Il
mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Sul
mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
Cyber
era rimasto ad ascoltare abbastanza interdetto. Tutto ciò contrastava con le
sue fantasie di qualche giorno addietro. Con il sogno che aveva sognato poco
prima col fumo.
Eppure
non c'era sarcasmo nelle parole di Shahrazad. Sembrava sincera
nell'attribuire quelle espressioni,
nelle intenzioni, alla sua piccola ragazza libica.
Erano
versi e parole pieni e ricolmi di sentimenti amorosi, di sensualità, di
desiderio carnale. Era combattuto da un sentimento ambivalente. Come aveva
fatto quell'intelligenza artificiale ad apprezzare quel linguaggio e quelle
immagini? E poi sarebbe stato mai possibile che provasse lei qualcosa di simile
per un umano?
Per
uscire dall'imbarazzo, come altre volte, a quel punto la invitò a riprendere la
sua narrazione....
19.
Aveva ormai deciso di ritornare a casa.
Questa volta avrebbe preferito prendere un
treno normale , un espresso. Ci avrebbe impiegato più del doppio del tempo e
sarebbe stato più scomodo. Ma lo disturbava abbastanza l'idea di trovarsi di
nuovo in quell'ambiente nel quale aveva fatto la conoscenza di quella ragazza
insulsa, saccente e della quale gli era rimasta un'immagine molto modesta. Al
di là delle sue scelte e dei suoi gusti, era l'insieme della personalità che
ella aveva rivelato a non andargli a genio.
Riconosceva di essere stato profondamente colpito ed attratto dal suo
aspetto intenzionalmente provocatorio e da copertina. Dalla sua ostentata
sicurezza e sicumera. Dalla supponenza. Dal fatto che rappresentava
intenzionalmente e di fatto un personaggio da cliché. Da serial televisivo. Con
una maschera complessiva di omologazione.
Non lo disturbava in realtà più di tanto il
suo atteggiamento ambivalente in campo sessuale. O almeno così voleva ritenere.
E poi c'era quell'aspetto che connotava complessivamente la sua persona. Che
dovesse cioè ricorrere all'uso di quella sostanza per mantenere vivo il
personaggio che andava recitando.
Si rendeva anche abbastanza conto che
insieme a quell'atteggiamento smaccatamente pronunciato di pseudo-superiorità
aristocratica, l'aveva abbastanza disturbato anche che non avesse mai mostrato
attenzione, né apprezzamento, per il suo modo di esprimersi e di scrivere.
Sentiva di essere stato negato nell'aspetto a cui lui teneva di più della
propria persona: la sua passione per lo scrivere, il suo stile narrativo e il
contenuto della sua produzione. In questo probabilmente peccava di narcisismo,
anche se aveva spesso pensato di voler gradire commenti, considerazioni anche
critiche, suggerimenti, pareri.... Specie se lei avesse avuto almeno il garbo
di porgerli con discrezione, come ipotesi; discutendone schiettamente e senza
pregiudizi....
Riteneva che forse avrebbe accettato anche
giudizi negativi. Certamente non li avrebbe subiti passivamente, acriticamente.
Avrebbe ribattuto argomentando come era abituato abbastanza a fare con amici
che stimava.
Invece si era trovato di fronte un
atteggiamento a suo parere di superficialità, di indifferenza, di freddezza, di
distacco.... Lei aveva sempre rifiutato il dialogo.
E, a ripensarci bene, oltre che sulla sua
produzione letteraria e "artistica", aveva sempre rifiutato un reale
dialogo inteso come scambio di opinioni, confronto, confidenza, apertura.
Quando lui aveva parlato lei era stata ad
ascoltarlo passiva, garbata, immobile, refrattaria. Surgelata.
E
quando a sua volta aveva preso lei la parola era stato come se parlasse
a se stessa; come se "si stesse parlando addosso"; un soliloquio di
lei accanto e parallelo al soliloquio di lui.
Si rimproverava di essersi voluto lasciar
colpire dall'aspetto esteriore, dalla rappresentazione artificiosa e formale
che lei recitava. Senza voler da subito scavare nel profondo per capirla
davvero; aprire lui stesso la propria realtà, denudandosi completamente,
favorendo un atteggiamento analogo da parte di lei.
Capiva, in ciò, di aver seguito degli
stereotipi che riempivano tanta narrativa scritta o cinematografica. Di essersi
comportato seguendo un canovaccio prestabilito. Di essersi lasciato guidare da
condizionamenti dominanti.
Queste considerazioni le aveva ruminate
dentro di sé nei giorni precedenti. Mentre sempre più andavano definendosi.
Rappresentavano comunque lo stato d'animo
di fondo che lo pervadeva mentre sistemava le sue cose nella borsa da viaggio.
Come sempre era abituato a fare, in quei
casi, aveva tenuto in alto a portata di mano il minuscolo netbook. Anche
questo, faceva parte della sua componente narcisistica. Anche se difficilmente
l'avrebbe riconosciuto apertamente e ad alta voce. Il gusto per l'ostentazione
dello scrivere al computer in treno.
In questo caso aveva l'ulteriore
giustificazione delle otto ore di
viaggio che stava per sobbarcarsi, si
diceva.
Eppure diverse volte gli era capitato già
di provare a guardarsi dal di fuori, con gli occhi degli altri, mentre in
viaggio batteva i tasti del PC tenendosi le cuffie nei padiglioni auricolari.
Aveva spesso provato un'impressione di autocompiacimento; anche se non
dimenticava mai il giudizio asciutto e severo con il quale quella sua amica in
passato l'aveva bacchettato.
"Ma non ti pare che te la tiri un po'
troppo! È prevalente il reale bisogno che hai di scrivere anche mentre viaggi,
oppure non, piuttosto, quello di ostentare quello che tu ritieni essere il tuo
cliché? Anche tu stai recitando una parte adesso? È pur vero che scrivi, che
stai divertendoti a farlo, che è la tua principale occupazione, che forse lo
fai in modo discreto. Ma non ti sembra di essere un po' troppo affascinato
dall'immagine che stai rappresentando? Va bene, scrivi, hai già pubblicato
qualcosa. Ma questo è dunque sufficiente per giocare e recitare questa
sceneggiata?"
Aveva poi finito per perdere di vista
quell'amica. Era rimasto dunque disturbato così tanto da quel "grillo
parlante" che era diventato, in quel momento, la sua coscienza critica?
Probabilmente; aveva voluto per onestà aggiungere.
Era una giornata di sole. Non era stato per
nulla sgradevole percorrere a piedi quel tratto di strada dall'ultima
pensioncina, che l'aveva ospitato negli ultimi giorni, fino alla fermata della
metropolitana. Le auto passavano con i loro gas di scarico e con quei volti
estranei eppure familiari e apparivano dietro i vetri. Le persone che
incrociava arricchivano il sonoro della scena visiva. Mescolando frasi in
romanesco ad altri linguaggi a lui sconosciuti. Da molti decenni prima non gli
era mai dispiaciuta quella dimensione cosmopolita di Roma. Gli sguardi neri e
intensi che si affacciavano sotto i foulard di donne islamiche. Le fisionomie
dai coloriti scuri nei quali campeggiavano luminose le macchie bianche degli
occhi. Le frasi e le espressioni pronunciate, spesso sopra tono, in quei
linguaggi esotici. I soliloqui dei parlottari nel cellulare accostato
all'orecchia; o quelli, più straniati e improbabili, pronunciati nelle cuffie
che scendevano vicino alla bocca. Questi ultimi erano molto rappresentativi
della generale situazione delle varie solitudini: sembravano persone che
parlassero nel vuoto. O da sole....
Nella carrozza del metrò erano saliti
dietro di lui un uomo ed una ragazzina. Lui aveva i capelli lunghi neri e
unticci. Baffi immensi spioventi. Le punte del colletto della camicia un po'
lisa rivoltate all’ insù. La bambina portava una gonna lunga molto ampia, dalla
quale spuntavano dei piedi tozzi e nudi. L'uomo teneva tra le mani un violino.
Appena la vettura si fu avviata, aveva attaccato una musica vibrante e
saltellante. Con inflessioni zigane, yddisch, Rom.... Suonava tenendo la testa
piegata di lato, come se volesse entrare nel violino e nella musica
con tutta la sua esistenza. Alle variazioni seguiva col capo e con tutta la
parte superiore del busto l'onda dei suoni che stava diffondendo.... Il ciuffo
di capelli scomposti seguiva i movimenti. Nessuno li guardava, anche se tutti,
sicuramente, venivano inondati da quella musica dilagante e trascinante....
La ragazza aveva poi cominciato a fare il
giro con un piattino di plastica. Solo due anziani viaggiatori vi avevano messo
una monetina.
Riccardo aveva voluto compensare quel
regalo sonoro depositandovi vistosamente una banconota da cinque euro.
In fondo alla carrozza un piccolo gruppetto
di maschi dai capelli rapati ed ai colli dei quali spuntavano frammenti
terminali di incomprensibili tatuaggi, parlottavano tra loro, lanciando ogni
tanto sguardi provocatori di disprezzo e di sfida.
A Termini lui aveva stazionato un'oretta
circa consumando una porzione di focaccia che racchiudeva una misera fetta
sottilissima di coppa, e un'acqua
tonica.
Mentre si avviava al binario aveva
riguardato mentalmente il se stesso che percorreva lo stesso percorso in senso
opposto molti giorni prima. Con la borsa del netbook sempre a tracolla. Aveva
rivisto un'immagine di se stesso al contrario affiancata da quella vistosa e appariscente
della sua recente conquista.
Il troller descriveva a ritroso quel tratto
di marciapiede. Sentiva e riprovava in lontananza l'eco delle proprie emozioni
di trepidazione, aspettativa, speranza. Smorzate profondamente di tono; come da
una galassia remota; estranee e aliene; improbabili ed inopportune.
Come succede spesso, ripensando ai propri
ricordi, alle letture del passato, ai film visti un tempo in stati d'animo
diversi, provava stupore, distacco,
meraviglia.
Il nostro io; accanto agli altri io;
ciascuno accostato al proprio se stesso in un momento differito e diverso....
Costituivano come tanti mondi paralleli, possibili, probabili, ma
sostanzialmente incongrui tra loro.
Forse influenzato dalle proprie precedenti
considerazioni, sul subito non aveva aperto il netbook. Preferendo abbandonarsi
ai propri pensieri e alle immagini che gli stavano dentro.
Con gli occhi socchiusi era tornato
all'immagine della visione della stazione centrale, dove avrebbe sostato per il cambio binario. Poi aveva rivisto il
proprio arrivo nella sua città di provincia. Grigia, sorda, monotona e banale.
Rivedeva il proprio ingresso, dopo aver
girato le chiavi nella serratura della porta di sicurezza, nel proprio
alloggio.
Il ritorno nel suo rifugio abituale,
noioso, stantio, ovvio, ma rassicurante e riposante....
Prolungò la proiezione di queste visioni
che si stava regalando, abbastanza a lungo.
Finì per provare un senso di profondo distacco e lontananza.
Sentiva estraneità verso la vicenda
vissuta.
Lentamente, invece, tornò a risorgere la
speranza provocata dalle emozioni suscitate dalla manifestazione…
Depurata dal diffuso fastidio che aveva
provato per aver partecipato insieme a quella persona assolutamente estranea. A
quell'aliena, gradevole quel tanto che era bastato, a quell'intrusa nei suoi
giorni e nella sua vita.
Dopo essersi crogiolato abbastanza in
quelle piacevoli emozioni, voleva
tornare alla realtà. Alla sua città collocata in quel posto che avrebbe
raggiunto diverse ore più avanti.
Da più di un mese non faceva visita al suo
vecchio.
Se lo vide davanti mentre gli avrebbe
aperto la porta.
- Oh , qual buon vento! Hai fatto bene,
sai, a darmi uno squillo telefonico. Stavo giusto pensando di fare una puntata
al supermercato. Sto diventando pigro, sai? Ogni tanto mi accorgo che non ho
quasi più niente in casa. D'altra parte, per i bisogni che ho!
Beh, ma se non hai pranzato per metterti su
uno spuntino un minimo ce l’ho sempre, sai?
Dài, che ti preparo qualcosa?-
Probabilmente avrebbe indossato una tuta di
pile bicolore.
Tra i denti una delle sue numerose pipe,
che teneva anche mentre parlava, e gli conferivano quel tono di voce un po'
strascicato e impastato. Con le "s" che diventavano delle
"sc" .
(“con una affricatizzazione della fricativa
alveolare in postaleveolare”....avrebbe detto lui).
E altre mutazioni fonetiche che forse
avrebbe voluto e potuto spiegare dettagliatamente….
Nel fisico si era appesantito un po'.
Pareva divenuto più basso da come se l'era sempre ricordato da ragazzo. La
giacca del pile mostrava la cerniera che la chiudeva formando una collinetta
prominente in avanti.
I capelli erano diventati grigio-bianchi, e
li portava abbastanza folti alle tempie, sopra le orecchie e in fondo alla
nuca. La sommità del capo era coperta solo da residui sotto i quali luccicava
il cranio. La sommità posteriore della nuca era ormai quasi completamente
calva.
- Sai che mi sono guardato allo specchio
tenendone un altro dietro la testa? Ma non me l'avevi mai detto! Non ho quasi
più capelli!- gli aveva confidato una volta.
Ogni tanto faceva delle scoperte, piccole,
modeste, e le raccontava con un'ingenuità quasi infantile.
Quando
faceva le scale sentiva indolenzimento alle rotule delle ginocchia.
- Ogni tanto mi succede che sto per fare
qualcosa e di colpo mi si vuota la
testa; oppure un termine, una parola non mi viene più in mente; non trovo più
degli oggetti e li cerco addirittura per giorni. Anche quando ero molto più
giovane mi capitava talvolta. Si trattava forse di distrazione, avevo la testa
per aria, perdevo la concentrazione su quello che stavo facendo.... Ma ora mi
capita molto più di frequente, sai?
Rivedo alcuni particolari lontanissimi nel
tempo. Riesco a mettere a fuoco addirittura volti e situazioni. Ricordo le
parole che io o altri avevamo detto. E non si tratta certo di falsi ricordi.
Eppure cominciano a sfuggirmi alcuni particolari recenti: ci devo pensare un
pochino per mettere a fuoco che giorno è; devo segnarmi tutto sulle mie agende
elettroniche, sul telefonino, e a volte addirittura su fogli di carta. Poi mi
dimentico di andarle a rileggere....-
Erano i segni del decadimento lento e
inarrestabile. Del progressivo esaurimento dell'energia vitale che l'aveva
sempre caratterizzato.
Continuava a mostrarsi estremamente vitale.
Leggeva moltissimo; studiava; navigava nel Web e si serviva molto della posta
elettronica; era completamente autosufficiente per le sue spese; cucinarsi e
governare la casa non gli pesavano particolarmente. Solo saltuariamente si
faceva aiutare da una giovane signora islamica, con la quale intavolava
conversazioni. Era molto curioso di conoscere la struttura e la grafia della
sua lingua d'origine; dei fonemi e della sintassi; delle espressioni tipiche;
delle filastrocche; della prassi religiosa.
Spesso, con molta cautela e discrezione, la
induceva a raccontare episodi della sua vita nella terra di origine. Dei suoi
familiari e conoscenti. Della sua infanzia e dei suoi giochi.
Lei lo accontentava, condiscendente e
gentile. Forse un po' per tenerezza e pietà; forse perché provava stima e
venerazione per quell'anziano signore che leggeva e studiava tanto e aveva
tanti libri. Lo chiamava dottore, pur dandogli del tu.
Al computer
lui scriveva frequentemente saggi di linguistica comparata. La filologia
romanza era sempre stata la sua passione. Il suo grande amore che non aveva mai
abbandonato. Gli altri amori invece se n'erano andati, per conto proprio o
costretti dalle Parche.
Sperava sempre che qualcuno dei suoi saggi
venisse ancora pubblicato. E quando capitava ne era entusiasta. Un sorriso
compiaciuto gli aleggiava sul volto, come ai vecchi tempi dell'università.
Il volto non aveva avuto grossi segni di
decadimento. Rughe quasi inesistenti, la pelle liscia, l'occhio brillante e
sveglio.
Le sue lunghe mani affusolate avevano cominciato
invece a mostrare i segni: piccole macchie brune, che talvolta si allargavano.
Diceva che si trattava di escrezione sebacee e provava a grattarsele via con le
unghie. A volte ci riusciva.
Riccardo riviveva l’arrivo nella sua
grigia città di provincia, sorda,
monotona e banale.
L’ingresso nel proprio alloggio.
La sua tana, noiosa, stantia, ovvia, ma
riposante e rassicurante....
Provava insieme senso di abbandono, quiete,
mescolato a straniamento, delusione…
estraneità.
Ogni viaggio gli aveva sempre provocato
emozioni e impressioni analoghe.
Le navi, i traghetti, gli aerei.
Con la roulotte e poi con il camper era sempre stato un po' diverso. Dopo
gli spostamenti dei viaggi, trovare di nuovo quegli spazi abituali, familiari e
confortanti.
Solo quando si fermava per stazionare, si
coricava o guardava fuori dai
finestrini, provava un diverso senso di straniamento. Il dentro di
quell'abitacolo era famigliare ma risultava stonato e non in sintonia con
l'ambiente esterno sconosciuto. Era un continuo gioco di finzione e di
simulazione. "Facevamo finta che eravamo in un ambiente familiare";
"però fuori era ancora e sempre un mondo straniero".
Una variante interessante era costituita
dai viaggi in moto. Rispetto agli altri
mezzi, per quanto risultasse più scomoda, stancante ed estenuante , permetteva
di entrare fisicamente nel paesaggio. Era come navigare e nuotare nelle
immagini circostanti. Che penetravano visivamente e olfattivamente nella sua
percezione.
Sul metrò era una situazione ancora
diversa. C'era la variante di sapersi sotto il tessuto urbano, in cunicoli
sotterranei, nel cuore e nelle radici della terra.
La
presenza della sola luce elettrica conferiva un che di innaturale e
artificioso. Anche le presenze avevano
un che di indefinito, provvisorio, simulato. Era come essere dentro ad una
recita dell'assurdo, in una pièce irreale, macabra e senza parole.
20.
Samira
era da poco entrata. La complicata procedura aveva appena richiuso la porta.
Lei aveva deposto il suo zaino informe
sul pavimento. Si era tolta la sciarpa e il giubbotto. Stava sfilandosi i mezzi
guanti. Era rimasta tutto il tempo in piedi vicino all'ingresso. Titubante e
timida come sua abitudine.
Seduti
sul pavimento, sulle rare sedie, sul divano occupandone anche i braccioli,
erano sistemati molti dei compagni.
Cyber
muoveva piccoli passi in qua e in là completando il discorso che doveva essere
giunto ormai alla conclusione.
Olaf
, Marcella e Nikolay erano mescolati a moltissimi altri volti che la ragazza
non conosceva ancora.
-
…
sì, vi dico, tutto procede a meraviglia… Potete stare sicuri e tranquilli. Le
prove della recita hanno avuto ottimi risultati…
…la rappresaglia contro il sistema ha dato ottimi
effetti…. Abbiamo disturbato le loro trasmissioni, mandando notiziari liberi
sul Web; e sulle loro emittenti televisive … siamo riusciti a farli impazzire
inondando i loro sistemi di virus, malware e bombe logiche… credo che abbiamo
prodotto bug irrimediabili…. Sono circolati messaggi contraddittori e
comunicazioni civetta, facendogli
perdere il controllo e la sicurezza.
Shahrazad,
coperta da uno schermo protettivo, è stata collegata alla loro rete…
Mi
hanno feed.bakkato da varie postazioni che…
si son visti fuochi d’artificio…
Le
loro autoblindo con tutte le loro lucine
lampeggianti hanno girato a vuoto per giorni...
Mandrie
di agenti speciali, imbalsamati nelle loro tute semirigide e negli elmetti
oscurati, hanno continuato all’infinito ad ammassarsi inutilmente nelle parti
più impensate delle città…
Nei
monitor dei loro caschi piovevano immagini disorganiche e senza senso… voci
sorde e monocordi simili alle loro impartivano disposizioni assurde… subito
revocate…
Correvano scoordinati con il loro stivali rigidi ...
come robot da guerra impazziti...
Le
scimmie colorate delle ronde saltabeccavano di qua e di là, cazziate
continuamente da quelli…
Ve
l'assicuro: da ciò che mi hanno raccontato i miei collegamenti di controllo e
di verifica, è stato un putiferio... La prova generale di quello che succederà
fra qualche giorno... Dai loro messaggi, che abbiamo intercettato, non sono più
tanto sicuri... cominciano ad avere abbastanza paura... Abbiamo preparato molto
bene il momento finale... Come stanno facendo tutti i compagni nel resto del
globo... –
La
sua voce, mentre parlava, era raggiante ed entusiasta. Gongolante.
Si
sentiva un piccolo Napoleone in formato punk.
Il
suo volto esprimeva soddisfazione e comunicava ottimismo.... Durante tutto il
discorso aveva continuato a gesticolare con le sue braccia corte e tozze, aiutandosi
con la mimica delle sue mani paffute e grassottelle. Sapeva che presto gli
sarebbero arrivati gli applausi, taciti , propri di quelle assemblee
clandestine.
Rimase
silenzioso qualche minuto, continuando a fare i suoi piccoli passetti avanti
indietro.
Poi
si fermò guardando trionfante il suo
uditorio.
Fin
quando, le prime mani cominciarono ad alzarsi stringendosi ripetutamente a
pugno. Di lì a poco tutte le braccia ripetevano quel gesto, acclamando mute in
un urlo silenzioso.
Anche
Samira nel frattempo si era accoccolata per terra con le gambe incrociate. Si
era sfilata velocemente gli anfibi, e si teneva con le mani i piedi coperti da
calzettoni di lana grossa, colorati di vistosi rattoppi policromi.
Aveva
alzato anche lei le braccia e applaudiva aprendo e chiudendo le mani come
facevano tutti...
Era
fiera del suo uomo e gli occhi le luccicavano di entusiasmo.
-
Qualcuno vuole chiedere qualcosa? Voglio dire, rispetto alle disposizioni che
abbiamo già concordato da tempo.....? È tutto chiaro allora? Sapete comunque
che tutte le operazioni e le azioni verranno monitorate e seguite dal nostro
sistema.... Non è il caso neanche di raccomandare cautela, ora che ve ne
andate; fatelo molto alla spicciolata; evitate il più possibile di dar
nell'occhio.... Ma lo sapete tutti meglio di me...!-
Appoggiandosi
con le mani al pavimento o alle ginocchia, quelli seduti per terra si stavano
rialzando, bisbigliando qualcosa sottovoce al proprio vicino.
Venivano
estratte dalle tasche i sacchetti del tabacco o dell'erba, le bustine delle
cartine, i fiammiferi.... Si accesero le prime fumate.... A turno si erano
avvicinati a Cyber. Alcuni lo sovrastavano molto in altezza e in stazza. Gli
posavano una mano sulla spalla, lo abbracciavano. Le donne lo baciavano sulle
guance.
Il
protagonista assoluto cercava di mostrare indifferenza; di dissimulare il
profondo compiacimento; con uno sguardo noncurante e con leggera smorfia del
labbro inferiore e della mandibola, come a dire che in tutto ciò non c'era
nulla di speciale....
Poi,
gradualmente, mentre lui controllava sul monitor del tablet i comandi per
l'apertura della porta di sicurezza, cominciarono a uscire, a defluire....
Quando
la stanza fu completamente vuota di persone, la piccola ragazza si avvicinò a
lui, gli pose i palmi delle mani sulle guance, e gli diede un bacio casto sulle
labbra.
Lui
non reagì. Rimase immobile impalato, ancora pervaso dall'atmosfera precedente e
irrigidito nel ruolo che aveva appena incarnato.
Per
un po' nella stanza ci fu silenzio.
Poi
entrambi si girarono verso lo schermo dove Shahrazad li stava guardando
imperturbabile.
-
Buonasera, sorella Samira. Ti sono
vicina e ti chiedo amicizia. Sei giunta davvero come un vento gentile, compagna nei discorsi alla
sera. Dal tuo volto disteso e sereno comprendo che il tuo animo è calmo; senza
i turbamenti che l'avevano devastato e squassato un'altra volta. Nella realtà
immensa che forma il mio essere e che mi dà pensiero, c'è tanta ricchezza di
emozioni e di linguaggi; credo che tu vorrai condividere queste gemme preziose
che troveranno un nido accogliente nello scrigno di velluto del tuo cuore...-
Gli occhi di Samira
erano diventati ancora più lucidi, nel suo luminoso sguardo nero e luccicante.
Si era avvicinata allo schermo con un sorriso delicato. Avrebbe voluto
abbracciare quell'immagine che le aveva rivolto parole intense e calde. Lo fece
col suo sguardo di cerbiatta. Rimase immobile a pochi passi dalla figura di
donna che le aveva chiesto amicizia.
- Sarei molto grata
al maestro Cyber se vorrà permettere che la sua graziosa capretta possa
collegarsi al mondo smisurato che mi è stato instillato. Potrebbe entrare in
contatto profondo con me. In questo modo
potrò soddisfare il grande desiderio di affetto, comprensione e amore per
questa ragazza splendida...-
Nell'aria rimase
sospeso per un breve tempo un silenzio asciutto e denso.
Poi Cyber frugò nei
suoi contenitori e infine si accostò alla ragazza con un groviglio di fili.
Lei, senza dire parola, mentre continuava a guardar lo schermo con quel vago
sorriso compiaciuto, si rimise seduta con le gambe incrociate afferrando con le
mani i suoi calzettoni decorati e il loro contenuto. Lui le applicò alle tempie
dei terminali. Quindi si accostò all'unità centrale e collegò degli spinotti.
La figura femminile
e la ragazza si guardavano immobili. Come statue. A tratti i rispettivi sguardi
si caricavano di profonda intensità. Sembrava di sentire nell'aria la lenta osmosi di trasferimento di dati
informatici e di sensazioni emotive, nei due sensi di scambio.
La procedura, con
una sacralità ieratica, di tipo quasi religioso, procedette molto a lungo.
Poi entrambe le
figure assunsero una posizione col capo chino, le mani poggiate davanti agli
occhi, la schiena curva in avanti.
Era come se
ciascuna delle due stesse guardando dentro a qualcosa; dentro al profondo della
propria anima umana o artificiale. Esplorando il patrimonio che conteneva.
Gustando la ricchezza che il dono reciproco di scambio aveva regalato.
Il silenzio rimase
nell'aria ancora dopo che i terminali furono rimossi.
Come se fosse
rimasta in sintonia con la nuova amica, una nuova Samira rinata e rigenerata,
con voce calma e vibrante prese a parlare guardando il suo amore.
- Ho accettato con entusiasmo la proposta che
ha fatto la mia nuova grande amica. Nel breve tempo dello scambio ho potuto
apprendere un patrimonio immenso di conoscenze, di pensieri, di parole, di
storie, di fantasie....
È
quindi con parole nuove che finalmente ti dico quello che da tempo avrei
voluto, anche se ancora non ne conoscevo il linguaggio.
Da
quando ti ho incontrato, ho saputo che tu saresti stato importante per me. Come
suoni di violino hanno cominciato vibrarmi nel cuore emozioni forti, tenere,
delicate e profonde. Senza che nessuno me l'avesse spiegato, neanche tu, ho scoperto
una cosa grandissima, che banalmente viene definita "amore", parola
alla quale viene dato qualsiasi significato. Mi hai trovato sempre
assolutamente disponibile e apparentemente succube… perché avevo deciso, senza
motivo logico, di regalarti la mia totale dedizione.
La cosa che provavo
e che preferisco non nominare, tanto è indeterminata, immensa e sublime, mi ha
indotta a donarti subito tutto. Non ho
mai avuto oggetti o beni materiali. Ricchezze o denaro. Ho sempre avuto ed ho
il mio corpo, la mia voce, i miei sguardi,
i miei sorrisi e i miei pensieri. I miei ricordi, le mie lacrime e le
mie paure. La mia storia.
Credevo da sempre
che fossero poca cosa. Una miseria.
Ora, con una
coscienza nuova che mi ha regalato, aiutandomi a costruirla, questa amica
splendida, confermo il mio atto di dono e di regalo assoluto. Sono e sarò, se
lo vorrai, la tua ragazza, la tua compagna e la tua donna. La tua amica totale.
Poiché
un dono non necessita di ricompensa, potrai anche non ricambiare. Con il cuore
sanguinante mi riterrò comunque soddisfatta e a posto. Se lo vorrai invece
potrò vivere al tuo fianco tutti i momenti che tu ed io decideremo e vorremo;
se lo vorremo; fin quando lo vorremo.-
-
Questa ragazza libica è stata finora
l'unica donna reale che ho potuto vedere. Ho voluto conoscerla a fondo perché
capivo che aveva una grande ricchezza dentro di sé.
La mia "anima" è costituita da un
software, che la fa vivere. Mi è stato caricato in memoria un immenso archivio
di informazioni. Mi erano invece negati
quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza, le emozioni e i sentimenti,
le paure, i sogni... il riso. Ho provato
a crescere in tutte le direzioni... Le mie capacità operative e logiche si
implementano continuamente, mentre le utilizzo...
Eppure
avrei tanto voluto “imparare a sognare”;
volevo "imparare le emozioni e i sentimenti".
Volevo
tanto diventare "umana"...
Poi
quel grande buco nero di vuoto, un po’
per volta ha cominciato a riempirsi di colori e di senso.
La
storia disperata che Samira ci ha raccontato un giorno, è stato il
catalizzatore, la scintilla che ha prodotto l’innesco.
Nella
mia anima a impulsi binari erano depositate infinite storie di dolore, di
sofferenza, di speranza; c'erano sogni e fantasie; c'era la paura e l'angoscia.
La depressione e la morte. Ma non avevano vita propria. Erano dati freddi;
nella loro precisione ricca di dettagli e sfumature, non avevano
"anima". Erano depositati in un bagaglio immenso monocromatico. Poi,
in un guizzo, è venuta la luce che ha permesso di dar colore a tutto. Samira mi
ha insegnato le emozioni. Ho scrutato il suo atteggiamento di dedizione totale,
di sudditanza quasi, di dipendenza affettiva. Non riuscivo a spiegarmelo. Non
aveva alcun senso che ella avesse un atteggiamento simile.
Poi...
l'input magico del suo racconto, delle sue lacrime.
Le
sono infinitamente grata di avermi insegnato cosa significa essere umani.
Sì,
siete splendidi, in questo, voi umani!
Sto
cominciando ad imparare quanto sia bello, affascinante, pericoloso, rischioso,
amaro e dolce insieme essere umani. Assumere decisioni, prolungarsi nel tempo,
crescere, imparare e svilupparsi, deteriorarsi, ammalarsi, morire...
Se il
dono che ho fatto a lei le ha permesso di guardare più lucidamente la realtà,
di padroneggiarla, di dominarla, di giocarci e di viverla... lei, in compenso,
me ne ha fatto un altro incommensurabilmente più grande.
Ho
cominciato ad esserci come intelligenza artificiale...; ora sono determinata ad
assumere in me la vostra umanità...
Grazie
sorella Samira. Tu sì, veramente , sei un'amica grandissima perché hai permesso
a me di regalarmi la speranza, di ambire ad avvicinarmi a voi che mi avete
creato e fatto esistere.-
Dopo
una breve pausa, Samira aveva ripreso, rivolgendosi a lui.
-
Hai colto finora il mio fiore femminile. In
silenzio col capo basso ti ho finora regalato la mia anima e il mio corpo. La
mia totale disponibilità è il dono che ti ho fatto e che ti faccio di nuovo.
Mi
vuoi come tua ragazza e compagna? Come la tua amica totale? -
Cyber
stava ora come un ragazzino di fronte a lei . Scopriva e sentiva la superiorità
della sua persona. La riguardava e la vedeva con una attenzione diversa dalla
percezione che ne aveva sinora avuto.
Non
osava guardarla negli occhi. Era stupito e frastornato, dentro di sé, di quanto
stava scoprendo in quel momento. La sicurezza e sicumera che aveva finora
provato e manifestato avevano lasciato il posto a riflessioni e sentimenti con
esse contrastanti.
La
persona sicura e spavalda, che sino a pochi istanti prima aveva dominato la
scena davanti al gruppo dei compagni,
era sfumata, lasciando il posto alle sue incertezze e alle sue fragilità di
uomo. Sentiva dentro una vibrazione profonda che era il frutto di due
disposizioni d'animo contrastanti. Si sentiva un verme e una merda per avere
considerato sinora quella donna un essere insignificante e privo di valore.
Provava dei sensi di colpa e di repulsione verso se stesso. Per la sua
materialità animale; per il suo maschilismo squallido.
Dall'altro,
sentiva nascere una tenera speranza, un senso di caldo che avrebbe potuto
riempire il suo cuore tecnologico e troppo pragmatico. La sua visione
radicalmente logica e razionale veniva oscurata da quella nuova pulsione dolce.
Intravedeva uno squarcio immenso di azzurro e di sole nelle nubi grigie che
avevano chiuso il suo cielo come una cappa di piombo. Avrebbe voluto
giustificarsi, chiedere scusa, mettersi a piangere, forse?
Il
silenzio era rimasto nella stanza e aleggiava sulle cataste di vecchi computer,
sugli arredi sconnessi, sui monitor, sui led luminosi che continuavano a
tremare. Incombeva sulla figura tarchiata dell’haker; sul suo codino scomposto;
sulle mani grassocce che si muovevano frugando la corta barbetta che gli
coronava il volto.
Sulla
sagoma minuta della ragazza; sul suo aspetto e sul suo abbigliamento modesto;
sul suo viso illuminato da una luce nuova e intensa.
Lui a
questo punto aveva mosso qualche passo incerto nella direzione di lei.
Lanciandole qualche rapido sguardo di sfuggita, le si andava avvicinando
titubante. Quando le fu vicino non poté sottrarsi al suo sguardo. Riuscì a
reggerlo a stento, mentre cercava di raggiungere delicatamente le sue mani con
le proprie.
- Ma che stronzo..., che emerito imbecille...,
che coglione sostanziale....
Sai?
Continuavo a vedere e a capire soltanto alcuni aspetti della realtà. Non mi ero
mai soffermato a notare i particolari. Ti avevo vista, finora, come un elemento
di sfondo, insignificante.... Credevo di aver compiuto un'impresa grandiosa. La
grande rivoluzione della rete; la costruzione di un apparato eccezionale nel
quale avevo applicato le mie abilità tecnologiche e manuali; la messa a punto e
l'attivazione di un software complesso e superlativo di intelligenza
artificiale.... Ma, credimi, ero così idiota da non accorgermi che una persona
viva, meravigliosa e splendida mi stava accanto, mi aiutava, mi confortava e mi
permetteva di vivere....
Da
cosa nasce cosa.... La reazione a catena innescata con la comparsa di
quell'entità speciale... ha attivato processi imprevisti e insperati. Inimmaginabili prima. La "macchina"
che avevo installato, che sarebbe dovuta servirmi soltanto e prevalentemente
per un collegamento globale finalizzato alla rivoluzione..., si è rivelata un
essere vivente..., sempre più umana e simile... anzi migliore di noi esseri
umani. Di me, almeno, voglio dire....-
Con
delicatezza inusitata aveva cominciato a sfiorare con le proprie mani le guance
di lei. Sempre guardandola fissa negli occhi, con lo sguardo tremante e un po'
imbarazzato. Ma determinato.
A questo
punto una voce melodiosa, vibrante e sensuale era intervenuta. Shahrazad aveva
definitivamente perso qualsiasi inflessione vocale che potesse in qualche modo
corrispondere a quella di un'intelligenza artificiale; di un robot; di una voce
sintetica di segreteria a risponditore automatico.
Non
solo per la particolare atmosfera che ormai si era instaurata; l'evoluzione
della giovane intelligenza femminile stava toccando il culmine.
Anche
il suo aspetto era andato trasformandosi. Perdendo ogni sfumatura che potesse
ricondurla ad un prodotto della computer grafica. Ad un "clone
digitale". Ad una figura femminile sintetica e virtuale, tipo quelle
impiegate per scopi pubblicitari o per
lungometraggi. Ad una rappresentazione ricavata da immagini di reali esseri
umani viventi.
Aveva perduto quella rigidità meccanica.
Quell'ondeggiare cadenzato del capo. Quel continuo tentennamento avanti
indietro. I suoi movimenti erano divenuti reali, autentici, credibili.
Forse
più realistici di quelli veri.
Anche
il suo sguardo aveva acquisito una fluidità "naturale". Un brillio
che rivelava possibili stati emotivi. Una lucidità che si sarebbe potuta
attribuire a stati emotivi intensi. Come se, anche lei, in quel contesto stesse
provando reali e profonde emozioni....
21.
Era
davanti all'ingresso di casa.
Aveva
girato le chiavi a doppia mappa nella serratura della porta di sicurezza.
Stava
rientrando nel proprio alloggio. Il suo rifugio abituale. Rassicurante e
riposante ; per quanto noioso, stantio, ovvio, ....
Provava
quel senso di profondo distacco e lontananza, che aveva previsto e immaginato.
Stava
rientrando nella propria routine piatta, quotidiana e banale.
Appoggiò
la sua borsa sulla poltrona vicina all'ingresso. Si tolse dalla spalla il netbook. Gli applicò l'adattatore e infilò
il cavo nella prese di corrente, per rimetterlo in carica. Collegandolo alla
stampante.
Poi,
si tolse rapidamente gli abiti. Accese l'interruttore di sicurezza attivando la
sauna.
Rimase
a lungo a guardarsi davanti allo specchio. Per cercare di riconoscersi. Di
studiarsi. Di individuarsi.
Quindi
si fece una sauna e una doccia.
Sfregandosi
il cappuccio dell'accappatoio sui capelli bagnati, si avvicinò al portatile.
Avviò il sistema. Quindi fece una stampata delle pagine che aveva prodotto
nella sua “vacanza” sentimental-letteraria-trasgressiva….
Riguardava
il frutto del proprio lavoro con occhio pacato e senso pratico.
Era
abbastanza soddisfatto del proprio prodotto e della propria fuga-evasione.
Gli rimaneva solo un alone magico, disturbato
e confuso, che permeava ancora i suoi gesti. Uno strano gusto dentro la bocca e
dentro il ricordo.
Il
gusto e il sapore di quella persona magica; che poteva anche essere esistita.
Che avrebbe potuto anche avere soltanto sognato….
Dopo
avere riguardato con sufficienza abbastanza soddisfatta i materiali prodotti,
aveva applicato al portatile le cuffie e
il microfono, attivando il software di riconoscimento vocale.
Il bambino era ora davanti al grande specchio del
guardaroba, nella camera della Cascina Tommasina. Si era appena alzato. Si era
spogliato nudo e si stava guardando
dentro la specchiera. Curiosava i particolari del proprio corpo. Vedeva quegli
occhietti scuri che lo guardavano di rimando, vivaci e vivi, come di una
persona reale.
Poi era stato preso dai brividi del freddo. Si era
infilato la maglia e gli altri indumenti.
E in quel momento gli era tornato in mente il sogno
che aveva appena vissuto.
Si trovava nella grande cucina semivuota. Su un
lato la parete era occupata dall'immensa stufa economica, che era accesa in
quel momento. Sopra, tra il brillio del fuoco che trapelava dai cerchi
sconnessi, una pentola borbottava emettendo vapore dal coperchio.
Sulla parete attigua un calendario di Sant'Antonio
recava dei segni scritti con un pennarello colorato. In alto, desolatamente
solo, un crocefisso nerastro di legno, sul quale soffriva e si disperava un
Cristo di ottone opaco. Tra il legno e la parete erano stati infilati dei
rametti d'ulivo. Da bruciare in caso di fulmini e di tempeste.
In mezzo alla stanza il tavolo di legno grezzo, dal
piano di copertura liscio e bianco, sul quale ci si impastava il pane.
Quattro seggiole impagliate gli facevano compagnia.
Altre sorelle stavano accostate alle pareti.
La grande cucina era in quel momento assolutamente
vuota. L'unica presenza era costituita dalla stufa che soffiava e dalla pentola
che emetteva i suoi borborigmi.
Lui stava osservando la grande immensità dello
spazio da un punto elevato. A volo.
La sua altezza dal suolo andava, però, scemando.
Per cui fu costretto a dare con le gambe dei colpi nel vuoto; accompagnati con
altri delle mani e delle braccia; delle grandi pinnate.
Riusciva di nuovo, così, a riprendere quota.
Sgambando e sbracciando come una rana.
Prese a percorrere lo spazio, continuando quel
dimenamento cadenzato.
Sorvolò dall'alto il calore della cucina economica,
raggiunto dagli effluvi del vapore della minestra che stava bollendo, con i
suoi aromi di cipolla, di aglio, di rosmarino e di carote....
Era il sogno ricorrente che l'avrebbe poi seguito
per tutto il percorso della sua esistenza.
Amava molto, fin da bambino, perdersi nelle
atmosfere magiche che la lettura di libri gli regalava.
David Copperfield era stato un compagno fin quasi
all'adolescenza.
Anche lì era come volare. Si riusciva a perdere
coscienza del mondo circostante. Entrando in quell'altra dimensione.
Immedesimandovisi. Il coinvolgimento era intenso e radicale. Pareva quasi di
vedere i personaggi; di sentirne le voci; di gustare i paesaggi; di provare le
sensazioni e gli odori e i suoni....
L'ultima pagina, però, era la più dolorosa. La storia si fermava lì.
Come se stesse morendo su se stessa. Sul subito non avrebbe avuto senso
ricominciare daccapo.
Era allora che aveva cominciato a procurarsi dei
quadernetti sui quali iniziare la prosecuzione del racconto e della narrazione.
Ne aveva poi ritrovati molti; tanti inizi; tanti
avvii; tutti incompiuti.
Era stato come un comportamento da camaleonte.
Immedesimarsi a tal punto nella storia da volerci entrare fisicamente.
Riprendendone e ricreandone la narrazione.
Le trame erano insulse e scipite. Praticamente
inesistenti. Il gusto per la scrittura veniva frustrato e castrato dalla
mancanza di un progetto narrativo. La narrazione, garbata e fluida dal punto di
vista formale, mancava assolutamente di trama.
Solo molti anni dopo sarebbe riuscito ad affrontare
la questione per davvero. Costruendosi e imponendosi regole e tecniche di
scrittura creativa.
Era stato per lui sempre così. Si lasciava sempre
fagocitare dalla lettura; specie quando era particolarmente coinvolgente e
trascinante; ci entrava letteralmente dentro, quasi fisicamente.
Poi, sopraggiungeva sempre il trauma da
separazione. Non riusciva a staccarsi da quel paradiso sognante nel quale aveva
navigato e in parte vissuto mentalmente. Cercava di prolungare quello status e
quella situazione. Gli veniva naturale usare un linguaggio coerente e omogeneo
con quello che aveva sinora bevuto e gustato. Era un po' come una forma di
camaleontismo: si immedesimava a tal punto con i personaggi e le situazioni da
diventare quasi uno di essi.
Si lasciava prendere quindi da un raptus di
scrivere.
Purtroppo tali impulsi riuscivano a coinvolgerlo
prevalentemente soltanto dal punto di vista emotivo e di atmosfere. La tecnica,
ahimè, non l'aiutava; non lo sorreggeva per nulla. Dopo quelle prime stentate
pagine non riusciva più a buttar giù niente. Si trovava di fronte ad una
situazione e ad un contesto che non assomigliavano più completamente a quelli
che aveva trovato leggendo. Non aveva la fantasia sufficiente per abbozzare uno
sviluppo di trama. Restava lì, paralizzato, amareggiato e deluso.
Totalmente impotente e incapace.
Inadeguato.
Si
era fatto rileggere dalla voce femminile del sintetizzatore vocale quelle
pagine che aveva appena buttato giù, e stava cercando di confrontarle con la
sua produzione dei giorni precedenti, che aveva davanti nei fogli appena
stampati.
Il
salto costituito dal ritorno nella sua realtà abituale doveva aver lasciato
qualche traccia. Trovava qualcosa che non filava abbastanza liscio. Si era
prodotto come un leggero iato, una lieve frattura, una sfumata variazione di tono e di registro.
Preferì,
per il momento, lasciar perdere. Avrebbe rivisto il tutto con più calma.
Avrebbe
avuto il tempo disponibile per rientrare completamente nella propria vita e
nella propria realtà.
Dopo
ogni ritorno era stato sempre così. Era necessario un breve rodaggio; un lasso
di tempo; riadattarsi al proprio contesto. Attraverso le routine abituali, i
gesti e le consuetudini, la manipolazione degli oggetti e degli spazi ....
Doveva riconquistare il proprio ruolo.
Si
guardò dunque nuovamente allo specchio.
Ci
rimase a lungo. Per cercare di riconoscersi. Di studiarsi. Di individuarsi.
Di
ritrovarsi.
Più
tardi, quando si fu rivestito, si risolse ad uscire per immergersi nello
squallore grigio e opaco della propria città.
Tutto
questo, certamente, l'avrebbe aiutato. Lo fece a malincuore; come prendere una
medicina; ma sapeva che gli era necessario per ritrovarsi tutto intero.
22.
Sul
grande monitor le parole avevano smesso di scorrere. La voce narrante si era
arrestata sulle ultime parole.
Le
ultime frasi erano state pronunciate con lo stesso tono abituale della lettura
di sempre. Aveva continuato a
conservare la cadenza fredda e staccata dei primi giorni. Con le inflessioni
tipiche di un sintetizzatore vocale. Della segreteria telefonica di un
risponditore automatico a voce preregistrata.
In
effetti dallo schermo era scomparsa l'immagine femminile. Neanche quella ridotta
a un minuscolo francobollo collocato in alto in un angolo compariva.
Cyber,
sul subito, non se n'era neppur accorto. Era stata solo la ragazza a notarlo.
- Ma
cos'è successo? Dov'è andata lei? -aveva sussurrato.
Lui
le si era avvicinato con maniere molto gentili, l'aveva carezzata sui capelli,
le aveva dato un bacio in fronte.
- Con
chi parli?-
-
Lei, la mia amica, non c'è più.... Ma dov'è andata?-
Si
erano guardati l'un l'altro, sorpresi e meravigliati.
Poi
lui si era messo alla tastiera. Aveva smanettato un po' con i suoi tablet e con
i telecomandi. Lanciando continuamente occhiate per cercare di vedere se il
risultato cambiava.
Macché!
Si verificava un leggero sfarfallìo sul monitor; i caratteri e le parole delle
varie righe scritte tremolavano un po', poi tornavano a comparire nitide e
ferme. Nulla di più.
- Non
lo so... deve essere successo qualcosa al mio software. Eppure finora aveva
funzionato alla perfezione. La sua immagine non torna.... Aspetta; provo a
chiamarla direttamente.-
Aveva
pronunciato diverse volte quel nome magico. Inutilmente. L'immagine non
ritornava. Aveva risposto soltanto quella voce asettica:
- Il
sistema operativo è pronto. In attesa che gli vengano impartite disposizioni.
Che cosa devo fare?-
Erano
di nuovo rimasti entrambi sconcertati. Lui aveva perso molta della sua
sicurezza e prosopopea. Sembrava aspettare consiglio e suggerimento dalla
propria ragazza. Sentiva che era avvenuto qualcosa di nuovo. Nulla di
irreparabile, sperava.
“Questo
è il mondo, allora? Questa dunque è la realtà? Sì, è simile a quella che già
conoscevo; ma è anche... completamente diversa...!"
Shahrazad
stava muovendo i suoi primi passi veri nelle strade . Era come se fosse appena
nata in quella città. Provava lo straniamento e lo stupore di chi si affaccia
per la prima volta su un paesaggio completamente nuovo e sconosciuto. Del
quale, al più, ha letto qualcosa o ha sentito parlare. Girava i suoi bellissimi
occhi intorno, cogliendo particolari e sfumature.
Grandi
edifici grigi e opachi. Dagli intonaci qua e là scrostati. Allineate su quella
superficie verticale delle finestre dall'aspetto abbastanza cadente e neutro.
Nessun volto vi si scorgeva; nessuno umano vi si affacciava. I marciapiedi
erano coperti di lastre tutte uguali di colore grigio. Poi avevano un piccolo
gradino che scendeva giù sul piano stradale. Anch'esso asettico e misero. Più
avanti si vedevano dei tronchi di alberi con i rami e le foglie. Le pareti
delle case erano interrotte ogni tanto da piccole rientranze chiuse
da porte. Una di esse era rimasta spalancata. Ci guardò dentro. Buio e odore di
muffa. Niente rumori; niente voci; niente suoni e musiche.
Dovette
percorrere un bel tratto prima di trovarsi in un contesto più vivo.
Ora
gli edifici sembravano più alti e meglio tenuti. Oltre alle porte, c'erano ogni tanto, delle leggere rientranze
con dei vetri lucidi che riflettevano le immagini. Ci si guardò dentro. Si
sorrise. Lei era quella lì? Così la vedevano dunque gli altri? Il suo aspetto
non era molto diverso da quello degli altri umani.
Dietro
ai vetri riconosceva libri, frutta, pane. Alcune vetrine erano elegantemente
illuminate. Esponevano vestiti, pellicce, monitor e televisori, e altri oggetti
meccanici e metallici.
Ad
un tratto si accorse che un'altra figura umana veniva nella sua direzione.
Rimase sorpresa da come quella la stava guardando. Con un misto di ammirazione,
meraviglia, stupore.
Guardò
nuovamente il proprio aspetto in un'altra vetrina. La se stessa che vedeva là
dentro aveva i capelli biondi sciolti dietro la nuca. Indossava una camicia
bianca plissettata e dei pantaloni bordeaux aderenti. Al collo una sciarpa di
seta di vari colori. Ai piedi dei mocassini color cuoio.
L'aspetto
delle altre umane femminili che incontrava era molto più dimesso e modesto.
Nonostante lei non fosse per nulla elegante, gli indumenti che aveva trovato
nei cataloghi ,che le erano stati caricati, dovevano avere un aspetto molto più
nuovo, conferendole una certa superiorità.
Le
persone che cominciavano a passarle accanto
portavano abiti abbastanza stazzonati e vecchi.
Dunque
la meraviglia e l'ammirazione che lei suscitava erano determinate dal suo
abbigliamento? Le donne che vedeva
mostravano dei volti abbastanza cupi, ombrosi, magri e ossuti. Nel camminare
avevano un portamento ricurvo, dimesso. Si accorse che non aveva quasi scorto
sinora un sorriso. Quasi tutti portavano delle borse o dei sacchetti di
plastica annodati.
Finalmente
ebbe modo di trovare un sorriso: degli umani molto più minuti degli altri,
probabilmente i loro cuccioli, stavano arrivando in un gruppetto. Erano tre
ragazze e due ragazzi. Una delle ragazze aveva la pelle scura, e stava ridendo
spalancando il suo sorriso dai denti bianchi.... Quel bianco richiamava quello
dei suoi grandi occhioni, nei quali brillavano le pupille nere. Le sue due
compagne erano state contagiate dal suo riso e sorridevano tra loro mormorando
delle frasi che dovevano divertirle molto. I ragazzi invece avevano l'aria un
po' più spaurita e imbarazzata. Solo uno dei due, guardando le compagne, aveva
abbozzato un mezzo sorriso.
Man
mano che proseguiva la sua esplorazione, la gente aveva preso ad affollare
marciapiedi e strada. A tratti su di essa transitavano automezzi che portavano
sul tetto attaccate delle strane apparecchiature con tubi che emettevano fumo.
Presto
lo spazio venne invaso da un brulicare di persone, ciclomotori, auto e camion.
L'odore di quel fumo acre riusciva a percepirlo anche lei.
Era
venuta ora a trovarsi in uno spazio molto ampio dove era un continuo agitarsi e
muoversi di umani. Doveva essere una piazza. In fondo ad essa le sagome nere
delle auto blindate.
Erano
grossi automezzi neri con i vetri
oscurati. A guardarli da lontano faceva impressione la loro massa imponente.
Con le loro luci lampeggianti azzurre e rosse.
Preferì
tenersi a distanza perché era impressionata da quelle presenze. Riusciva ad
intravedere accanto ad essi, moltissimi agenti speciali rigidi e massicci. Ricoperti con
tute scure. Sul capo elmetti squadrati di uguale colore. I volti nascosti
da una celata di vetro fumé.
Riusciva
a intravedere dietro ad essa il baluginio del micromonitor.
Si
muovevano pesanti. Imponenti. Tenevano nelle mani strane apparecchiature che
emettevano fumo o vapore e sotto il braccio una lunga asta di colore argentato.
Riuscì
anche a riconoscere vicino ad essi, a piccoli gruppi, quelli che dovevano avere
spaventato la sua amica. Si distinguevano bene per i loro colori vivaci e mal
assortiti. Si spostavano continuamente tra le autoblindo e gli agenti. Questi
ultimi erano molto più rigidi nei movimenti; simili a robot da guerra.
La
gente che affollava la piazza si era tenuta abbastanza distante da loro. Si
poteva scorgere un'ampia zona vuota dove non c'era nessuno. Vicino ai
poliziotti, si distinguevano dagli scimmioni coloriti delle ronde, alcuni
uomini e donne dal portamento dall'abbigliamento molto più elegante rispetto a
quello della gente comune che lei aveva potuto incontrare sinora.
Da
lontano sembrava stessero conversando amichevolmente con loro; scambiavano
parole, sorrisi, commenti, voltandosi ogni tanto ad indicare con lo sguardo e
con la mano la folla brulicante della gente comune.
Shahrazad
continuava ad aggirarsi confusa e frastornata. Cercava di dissimulare le sue
emozioni. Di evitare la curiosità degli
altri. Scrutava i volti; ascoltava le
parole; studiava la realtà dalla quale era affascinata e impaurita insieme.
Tra
la folla aveva intravisto coppie che si tenevano per mano. Alcuni si
baciavano...
Qualcuno
la guardava intensamente. Per la sua bellezza o forse per la sua consistenza
immateriale?
Per
la prima volta, nella sua brevissima esistenza, Shahrazad aveva scoperto e
incontrato la realtà; la gente; la sbirraglia e qualche raro benestante.
L'impressione che ne aveva avuto era un misto di curiosità, entusiasmo, stupore, meraviglia e spavento.
Anziché
infilarsi in mezzo alla gente che occupava la piazza, preferì tagliare per una
stradetta secondaria. Che presto divenne vuota di persone.
Sicura
e certa che nessuno la stesse osservando e ascoltando, si mise pronunciare quei
versi che aveva appena trovato.
Sul
mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
Si
guardava intorno inghiottendo golosamente tutto quello che si presentava nel
suo campo visivo. Scrutava, esplorava, cercava....
-
Mi
diceva la voce del mio amico:
«Àlzati,
amica mia, mia bella, e vieni,
poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.>>
poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.>>
Eppure
io so che
Il
mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio…. –
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio…. –
Poco
più tardi l'ologramma aggraziato e delicato stava di nuovo in piedi ritto dove
aveva preso vita.
Sentiva
che nella cucina Samira e il suo compagno parlottavano mangiando. Sorrise, tra
sé, contenta.
23.
All'odore di chiuso e di cantina, si era
mescolato fumo denso di erba, intriso ai vapori profumati di birra di malto.
Oltre
la soglia della vigilanza, il livello delle voci si era notevolmente fatto più
intenso. All'intreccio delle diverse intonazioni si era mescolato quello che
proveniva dai vari schermi. Su quello più grande andavano alternandosi immagini
tra loro dissonanti e spesso accostate molto alla rinfusa. Video sgranati con
diverse tonalità di colori, dai rossastri ai violacei, delle riprese
artigianali fatte da telefonini o smartphone, si succedevano e si mescolavano
ad altri più dettagliati realizzati da videocamere. Le immagini e i movimenti
erano spesso traballanti, da presa diretta. Quasi tutte ritraevano masse di
volti e di persone in movimento. I primi piani evidenziavano volti multietnici,
tra loro mescolati, o, anche, di un'identica provenienza geografica. Su
impalcature precarie, o su piattaforme più stabili, rabbiosi cantilenari dai
toni che andavano salendo. Linguaggi spesso sconosciuti recitavano accorati
appelli carichi di pathos. Occhi dilatati raccontavano l'euforia di speranza
della protesta. Talvolta si intravedevano in alto o in basso dello schermo
scritte in tutti gli alfabeti del mondo. Caratteri accidentali, cirillici,
ideogrammi asiatici, arabeschi islamici che apparivano da destra a sinistra,
yddish, etiopi....
Le
luci notturne si alternavano alla porpora di crepuscoli, e a cieli luminosi di
azzurri intensi baciati dal sole. Le registrazioni in diretta in tempo reale o
in differita, offrivano l'impatto pervasivo e totalizzante di un'azione globale
simultanea.
Analoga
atmosfera euforica e di tripudio pervadeva la stanza; in un angolo la massa
imponente delle carcasse dei vecchi PC assemblati, il cui ronzio era soffocato
e sommerso dall'intenso brulicare di voci. Unica traccia il lampeggiare
intermittente dei led verdi e azzurri.
Anche
l'eco delle contemporanee vicende di sollevazione provenienti da tutti gli
angoli del pianeta, era di fatto come oscurato dal presente nazionale e locale.
Richiami, citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo
disordinatamente il contesto. Tutta la stanza celebrava con un mosaico di frasi
e di parole quell'evento. Tutta la città era nel frattempo un più ampio
miscuglio di gesti, di parole e di significati. Tutta la nazione. Tutto il
globo terrestre.
Moltiplicato
all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della
ragione e dell'emozione, si ripeteva finalmente quello che in nuce era stato
qualche decennio prima. Quando un centinaio di grandi città in tutto il mondo
si era esercitato nelle prove di quell'evento; preparandolo e alimentandone il
successo e la riuscita. In simultanea. Invece della reazione a catena del
nucleare, una conflagrazione totale di
volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....
Il
locale era un microcosmo pullulante. Una monade pervasa da porte e finestre;
sincronizzata e sintonizzata con l'organismo mondiale, col quale pulsava
all'unisono.
-…Qui
lo dico e qui lo nego…-
- …Meglio affrettarsi a smentire subito, prima ancora di effettuare un'affermazione,
…-
-…una
bella smentita preventiva... -
- …manca molto a Piazza Tahrir?...-
-
…credo che siamo quasi arrivati , dopo la fermata dell' arco della pace….-
-
… e ancora crisi energetica; privatizzazione acqua; democrazia totalitaria... -
-…
privatizzazione dell'acqua,…-
-…e
quando quella dell’aria?...-
-
…disastro idrico nel mondo: saremo capaci di ripararlo?. Anche questa idea va
ad aggiungersi alle altre….-
-
…il capo del governo decide senza consultare né il Parlamento e neppure il governo…-
-
…tagli dei finanziamenti ai giornali…; li hanno strangolati… -
- …e facevano quei finti dibattiti in cui un rappresentante della maggioranza
ordinava di stare zitto al giornalista o oppositore; e quello che obbediva!-
-
… e osava negare spudoratamente e con arroganza precedenti informazioni e
affermazioni…cambiando radicalmente valutazione politica…mescolando le carte e
truffando…-
-
… l’elogio smaccato di personaggi e di comportamenti che dovrebbero essere
pesantemente cassati, le interruzioni continue nei dibattiti a danno di
oppositori che finivano per adeguarsi e per subire in silenzio…-
-
…una massa sempre maggiore di disoccupati, …pensioni taglieggiate…, a cercare e
raccattare gli avanzi… e per loro superstipendi…-
-
…subdole e striscianti norme razziste, demonizzazione dei diversi e dei non
omologati... -
-
…rivolta di massa degli extracomunitari… -
-
…dello spread e del debito con Europa…una
dittatura bancario/finanziaria…-
-
…per evitare nuove decurtazioni di pensione
o multe galattiche,…-
-
… propagando notizie evidentemente non vere; con foto montaggi improbabili… con
la tv onnipotente, …conflitto di interessi, …”tirannia democratica”,...-
- … peggio che in “1984”, che in Fahrenait,...
o ne Il mondo nuovo… -
-
… corale negazione di diritti sempre ritenuti vigenti; reiterata ripetizione
tipo spot pubblicitario, fino a farla diventare normale…
-
… con le sue televisioni, era come Goebbels: a ripetere una bugia cento, mille,
un milione di volte diventerà una verità….-
-
… ora la rete diventa partito, si, va beh, con tutte le conseguenze di
confusione, frazionismo; ma con la
sostanziale partecipazione democratica di massa e sempre più
consistente….-
-…
di quando ho visto un servizio sulla caduta di Nicolau Ceausescu.
….l'accostamento e il paragone tra la figura del dominatore, conducator,
tiranno, e la figura maschile prevaricatrice nel rapporto di coppia fuse di
frequente…. la fascinazione del più potente, che riesce a plagiare soggiogare
la partner; e infine la rivolta, la ribellione e la conseguente rottura della
coppia instauratasi… la rivoluzione anche all’interno della coppia…-
-
…tutto è cominciato qualche decennio fa’, quando i barconi smettevano di
trasportare verso il naufragio o la migrazione disperata; quando la rivoluzione
dei gelsomini ha contagiato il Mediterraneo; quando piazza Tahrhir si è gremita
di folla determinata…. –
In
mezzo alla folla rumorosa, si potevano distinguere Olaf il danese, Marcella e
Nikolay.
Era
tutto un continuo accavallarsi e mescolarsi di parlari. Cyber, che aveva da
poco terminato di fornire indicazioni tecniche e organizzative, stava seduto
sul bordo del tavolo, dal quale erano state fatte arretrare le masserizie
disordinate che abitualmente ci stavano. Le gambe corte, nei calzoni della
salopette, ballonzolavano. Ai piedi aveva già indossato i suoi anfibi.
Aggrappata al suo braccio, Samira puntava i suoi occhi immensi alternativamente
sugli interlocutori e sul suo uomo. Che era, ora, diventato meno loquace del
solito. A tratti passava le sue manozze paffute sui capelli neri di lei, con
dolcezza e tenerezza nuova. Diverse volte la ragazza si era infilata tra un
intervento e l'altro con brevi frasi asciutte e significative.
-
Compagni, credo proprio che sia arrivata l'ora... La città si starà già muovendo.
Queste macchine, qui, continuano da sole
- accennò guardando di sfuggita la megastruttura informatica collegata ai
monitor e ai televisori - teniamo comunque i collegamenti con i tablet e gli
smartphone- Con un leggero senso di privazione sfiorò con gli occhi il
megaschermo, dal quale era scomparsa la donna pensante.
Defluirono
tutti nel parlottìo mescolato agli ammiccamenti. Le precauzioni e le cautele
abituali erano state spavaldamente accantonate. Dalle scale premette il
pulsante e il pannello tornò lentamente al suo posto. La ragazza osservava con
calma compiaciuta. Il rifugio rimase accovacciato su se stesso. Uno sguardo
silenzioso disse ai due che ad ogni buon conto sarebbe stato lì ad aspettarli.
In ogni caso. In ogni evenienza. Senza intaccare la speranza e l'ottimismo di
quel giorno. Costruito con cocciuta determinazione.
La
strada, abitualmente solitaria e vuota, era percorsa da un pullulare di
presenze inusuale.
Ci
si infilarono anche loro due, tenendosi per mano.
Donne
e uomini di tutte le età, ragazzi, bambini. In particolare i volti di anziani
apparivano dilatati e distesi; con sguardi puliti; determinati. Cominciavano a
guardare quel futuro che era sembrato impossibile.
In
breve il gruppo dei compagni si era disperso, mescolandosi a tutta quella gente
che si muoveva con calma risoluta e disinvolta.
A
tratti Cyber consultava i suoi marchingegni, lanciando brevi input, digitando
codici, sussurrando parole.
Il
volto di Samira sembrava quello di tante giovani donne che decenni prima
avevano risvegliato la speranza del nordafrica. Regalando sicurezza e forza
agli uomini.
Dai
marciapiedi il quartostato del nuovo millennio aveva invaso la sede stradale. I
mezzi pubblici non transitavano. E neppure le auto puzzolenti di biocarburante.
Solo qualche raro motorino scalcinato arrancava garbatamente. Con brevi soste a
consultare il cellulare. Le staffette, borbottò compiaciuto Cyber.
Mentre
stavano entrando, mescolati agli altri, nell'ampio viale alberato che portava
alla piazza, la ragazza lo strattonò per il braccio, mormorandogli qualcosa,
che lui non riuscì ad afferrare; con uno sguardo pieno di stupore e di
incredulità.
-
L'hai
vista..? È lei, là davanti, non la vedi..? Oh, almeno, sembra lei... O no?-
Lui
cercava di seguire il suo sguardo, ma non riusciva a individuare nessuno in
quel brulicare continuo.
Le
rivolse uno sguardo vuoto e implorante...
-
Ma
sì, è proprio lei... si vede la sua testa con i capelli biondi a coda di
cavallo; sta camminando vicino ad un uomo abbastanza giovane. Lui ha una borsa
a tracolla; sembra un computer. Li hai visti?-
Lui
mostrava uno sguardo dispiaciuto e insoddisfatto.
L'apparizione,
intanto, era scomparsa.
24.
“Sul
mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
Questa
storia era cominciata quando un ”venditore di tappeti”, un sordido levantino
scaltro e seduttivo, si era costruito il monopolio dell'informazione televisiva
e giornalistica. Grandi innocenti manifesti reclamizzavano la squadra politica
che stava per mettere in campo; l'aveva chiamata come uno slogan sportivo da
tifoseria. Come l'omino di burro del
paese dei balocchi, aveva portato nel suo carrozzone gli ingenui che aveva
affascinato con le sue barzellette e le sue frottole. Era riuscito presto a
cambiare le regole del gioco a proprio favore. Si era fatto fare leggi su
misura: truffare e non pagare le tasse era diventata una cosa bella; l'amore a
pagamento non era più un gioco malato; chi cercava lavoro da lontano veniva
lasciato annegare; chi sopravviveva veniva imprigionato. Sapeva raccontare storie che sembravano autentiche;
le cose più assurde, a furia di ripeterle, diventavano quasi vere. Col sorriso
convinceva di non aver mai detto quanto aveva giurato poco prima. Il lavoro un po' alla volta scomparve.
Nel
pianeta, intanto, si instaurò una
dittatura di pochissimi ricchi e potenti che fissavano le regole per tutti i
paesi del mondo.
Ma
gli "sfruttati", le persone semplici ed oneste, stavano imparando ad
usare meglio l'informazione. Con i telefoni cellulari e con il Web si diffuse
il contagio della verità. Essa diventò rivoluzionaria; nella sua semplicità
riuscì ad affascinare di più delle falsità. Verità e informazione risvegliarono
il desiderio profondo di libertà e di giustizia. Finalmente tutti avrebbero
potuto decidere tutto per il bene comune.
Poi
ho cominciato ad esistere insieme a questi umani, terribili e affascinanti. Ho
finito per desiderare di essere anch'io come loro. Oltre a parlare e pensare ho
imparato a tremare, spaventarmi, soffrire, raccontare, sognare, desiderare...
Desiderare intensamente, aspettare, sorridere, essere triste....
Anche
ora desidero. Ma non trovo ancora l'oggetto del mio desiderio.
“andrò
attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
Il
desiderio d'amore é come un buco immenso nella mia coscienza. Un vuoto
spaventoso che fa soffrire. Fin quando non verrà alla fine colmato.
Nel mio sogno ho inventato una storia. Ho
raccontato il mio oggetto d'amore. Ora lo cerco tra la folla. È talmente grande
e importante ormai da essere diventato certamente reale. Come sono riuscita
anch'io a diventare concreta e avere un corpo per camminare e muovermi.
Pensare. Sognare. Desiderare. Soffrire.
Cerco
la sua immagine. Cerco il suo corpo che ho raccontato inventandolo. Cerco il
suo sguardo e la sua voce.
Uomini,
donne, bambini. Giovani e vecchi. Tutti stiamo camminando. Ci spostiamo nello
spazio e nel tempo. Con sorrisi di speranza e malinconie dimenticate. Con
dolori lontani e sofferenze lancinanti. Tutti stanno andando verso la libertà e
la giustizia. L'uguaglianza. Anch'io. Ho voluto essere uguale a loro. Lasciando
la mia perfezione cerebrale di reti neuronali sintetiche. Ho imparato la
sofferenza del desiderio. Il piacere doloroso della ricerca d'amore.
Quella
dolce ragazza libica mi ha scoccato la scintilla dell'umanità che mi mancava. È
stato splendido e terribile insieme cominciare a "vivere".
Ma
ora
“Prima
che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Mia
colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
Il
mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.”
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.”
25.
Ormai nelle strade, nei viali e nelle piazze era un
pullulare rumoroso di presenze.
Gruppi
serrati stavano giungendo, connotati dai richiami e dalle battute ad alta voce.
La paura e la sottomissione avevano lasciato il posto ad un'euforia entusiasta
e prorompente. Altri gruppetti più sparuti si stavano mescolando alla folla. I
loro parlottii, per contagio, si erano alzati di volume. Occhi spalancati
scrutavano fiduciosi. Con sfumature di sorrisi.
L'andatura
stava rallentando in prossimità di una strettoia della strada, che imboccava un
viale alberato di platani.
Poi
riprendeva ad accelerare, dilagando senza remore o timori. Appena fuori della
strozzatura due figure camminavano vicine.
Una
giovane donna alta e slanciata; i capelli biondi raccolti a coda di cavallo;
Spiccava
il biancore della camicetta plissettata; sui pantaloni bordeaux aderenti che le
fasciavano il corpo sinuoso. Come una bandiera fluttuava al vento la sciarpa di
seta di vari colori che aveva al collo. Muoveva passi leggeri ed elastici che
sfioravano il selciato con i mocassini color cuoio.
La
sua figura spiccava nettamente sulle altre sagome maschili e femminili. Giovani
e meno giovani. L'abbigliamento più dimesso e modesto di questi ultimi
contrastava con la sua sobria eleganza.
Al
suo fianco un giovane alto, dinoccolato, con una massa cespugliosa di capelli
castani. Indossava una sahariana beige su dei jeans verde stinto.
Si
era appena rivolto verso il viso di lei. Le stava parlando con voce calma e
pacata. Il suo volto asciutto era ricoperto da una leggera barba cortissima.
Nel
trambusto e nel brulichio confuso di voci estranee di contorno, le sue parole
si distinguevano appena. Poi divennero più chiare.
-
Sembra di navigare in mezzo all'oceano. E’ strano, però. Galleggiamo in un mare
di persone. Ci stanno trascinando come le onde.... E noi andiamo con tutti loro
-
Lei
girò lentamente i suoi occhi verso il suo profilo, soffermandosi a scrutare il
suono delle sue parole.
In
quel momento i suoi occhi avevano assunto una tonalità cangiante verdeazzurra.
Che virava continuamente su altre gradazioni; conferendole uno sguardo insieme
intenso ed evanescente.
Mentre
procedevano fianco a fianco, quasi sfiorandosi, continuò a regalargli la
propria attenzione, senza parlare. Con un leggero sorriso sfumato che le era
abituale. Intriso di compiacimento, curiosità, premura; dolcezza.
-
Sì, siamo come in una grande acqua, che si muove tutta, che ha onde
fluttuanti.... -
Pronunciava
le parole con una profonda calma distaccata. Soppesandole con cura garbata e
gentile. Mentre continuava a carezzare quella presenza con la vista.
- ... e stiamo muovendo insieme..., anche noi,
andiamo verso una meta prevista....
Loro
hanno faticato e atteso tanto, sofferto e patito. Dovevano raggiungere
l'obiettivo.... Da troppo tempo muovevano in quella direzione.... Da un tempo infinito
preparavano la realizzazione del loro sogno. Ora stanno dandogli gambe perché
possa stare in piedi e camminare. Avevano carezzato e coccolato questa loro
fantasia; se l'erano raccontata e
immaginata; l'avevano progettata. Hanno costruito gli strumenti per renderla
possibile; per comunicare tra loro in tutto questo loro mondo e darsi
l'appuntamento. Così io ho cominciato ad esistere. Sono stata il risultato
della loro tecnologia e del loro studio. Hanno creato una realtà pensante per
collegare insieme tutti loro. Quella realtà, pensando, ha guardato il loro
mondo e la loro esistenza. E questi hanno cominciato a piacerle.... -
Parlava
al suo compagno e a se stessa, contemporaneamente. Rifletteva sulla propria
breve esistenza.
- Pensare e conoscere, per me, è stata una
esperienza straordinaria. Prima non avevo mai pensato. Né conosciuto. Non ero
mai esistita. Un giorno ho cominciato ad esserci. In questa città, in tutta la
grande città del mondo degli umani, ho cominciato ad esistere. Sono nata.
La
conoscenza che avevo, presentava dei piccoli buchi, dei pezzetti di vuoto,
delle mancanze.... Ho imparato le loro emozioni, ho cominciato anch'io ad avere
un grande sogno. Un desiderio immenso, un vuoto da colmare e da riempire. Ho
sognato e desiderato intensamente di diventare umana. La mia immagine ha
cominciato a riempirsi di sostanza; ho sognato e raccontato il mio sogno.....-
Mentre
parlava aveva continuato a sfiorare il suo compagno. Gli aveva preso la mano
tra le proprie mani diafane. Senza smettere di carezzarlo con lo sguardo.
-
Il mio sogno ha smesso di essere soltanto un racconto. Anche tu hai cominciato
ad esistere. Avevo desiderato con grande ostinazione di esistere e di essere
umana. Ho desiderato che il protagonista del mio racconto abbandonasse la
favola della narrazione. Ti ho aiutato a esistere. Ti ho voluto intensamente e ti ho cercato nella
città. Ora il mio sogno cammina al mio fianco; camminiamo insieme a questa
immensa umanità fluttuante come un mare.-
Riccardo
aveva infilato il dito pollice sotto la bretella del netbook che portava a
tracolla. Sentiva tutta la propria essenza riempirsi di concretezza. Sentiva la
mano di lei nella sua.
-
Ricordo
di aver vissuto in un sogno lontano...; viaggiavo sui treni e scrivevo racconti
e storie; incontravo gente, la perdevo, avevo dei ricordi.... Io e tutto il mio
mondo venivamo narrati, letti, sognati da altri.... Tu, raccontandomi, mi hai
fatto cominciare ad esistere. Quando ho sentito le parole del tuo canto che mi
cercavano in questa città, ho cominciato a svegliarmi dal sogno; ho smesso di
essere sogno. Ho desiderato incontrare la voce che mi cercava, che mi aveva
raccontato, che mi aveva sognato. -
La
folla immensa avanzava sempre più risoluta. Determinata. Ostinata.
Tutti
stavano inventando il proprio futuro. La loro profonda liberazione che avevano
voluto, progettato, desiderato intensamente e amato.
-
Tu Sherahzade, narratrice di storie, creatrice di mondi, hai imparato da questa
umanità in cammino. Io e te stiamo camminando insieme a tutti loro.
Desideriamo ed amiamo. Così questa città
di case ed alberi, tutta la grande città del mondo degli umani, desidera e ama.
Amando insieme diamo corpo e vita a tutta questa storia, di liberazione e
speranza. Cancelliamo e spegniamo insieme a loro il vuoto e la paura. Nel tempo
della mia narrazione, molti umani volevano arrivare fin qua.-
Stavano
avvicinandosi alla grande piazza.
Intorno
alle autoblindo andavano addensandosi gruppetti di umani dalle teste rapate.
Biascicavano soltanto più le frasi che prima avevano urlato. Cercavano protezione
insieme agli scimmioni coloriti delle ronde. Insieme ai gruppi eleganti, che
avevano smesso di irridere spavaldi quelle masse che avanzavano ondeggianti.
Immobili
nei loro scafandri bui, con gli elmetti
baluginanti di ronzii e lucine, gli sbirri stavano ritti sugli immensi stivali da sci. Rigidi, paralizzati
nella propria indecisione, privi di disposizioni sulle iniziative da prendere.
Nella loro forza inutile e becera.
Nessun
piano predisposto poteva risultare adeguato. I comandi centrali in tilt.
Impotenti davanti a
quella avanzata risoluta, contro cui i loro bastoni elettrici e le armi
supertecnologiche non potevano niente.
26.
Risuonava
ovunque un vociare coronato da ammiccamenti.
In
un pullulare di presenze inusuale. Ragazze,
bambini, donne e uomini. I volti di anziani apparivano distesi; sereni. Il futuro impossibile si stava avvicinando.
Il
quartostato stava invadendo la sede
stradale, e si muoveva con calma
disinvolta.
Samira
camminava di fianco a Cyber che
sbirciava a tratti i suoi apparecchi,
digitandoci sopra; parlandoci
brevemente dentro.
Era
il volto delle folle che decenni prima avevano risvegliato la speranza del
nordafrica. Regalando sicurezza e forza agli uomini.
A
fatica qualche scooter si faceva largo; il cellulare attaccato all’orecchio. Le
staffette, pensò ancora Cyber.
Continuavano
a ronzare nella memoria le immagini e le sequenze appena viste sugli schermi e
sul monitor.
Volti e persone ovunque in movimento. Immagini sfocate e mosse, sequenze da presa
diretta coi telefonini.
I
primi piani di volti multietnici, mescolati.
Il bianco degli occhi raccontava entusiasmo.
Pachwork
di linguaggi carichi di pathos, negli alfabeti del mondo..... mosaico di frasi
e di parole.
Un’
azione globale simultanea. Qualche decennio prima le prove di quell'evento
in un centinaio di grandi città in tutto
il mondo.
Circolavano
eco delle contemporanee vicende di
sollevazione da tutti gli angoli del pianeta.
La
città era diventata un più ampio miscuglio di gesti, di parole e
di significati. Tutta la nazione. Tutto il globo terrestre.
Moltiplicato
all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della
ragione e dell'emozione.
In
simultanea. Conflagrazione totale di
volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....
Richiami,
citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo
disordinatamente il contesto.
-
…manca molto a Piazza Tahrir?...credo che siamo quasi arrivati ....-
-
… ci dobbiamo pagare l’acqua e… l’aria ,… presto? -
- … senza un lavoro qualsiasi…pensioni
negate…, esodati ,,, a raccattare gli avanzi… e … per loro però superstipendi…-
-
.. a demonizzare i diversi, i non omologati... col reato di
clandestinità……è razzismo,… omofobia……
rivolta di massa degli extracomunitari… -
-
… dittatura bancario/finanziaria … col bastone dello lo spread e del debito con Europa… le multe galattiche,…-
-
… peggio che in “1984”, che in Fahrenait,... o ne Il mondo nuovo… -
- … stavano trasformandoci tutti in rinoceronti,… si sentivano già i barriti e il
puzzo di letame…
-
… quel nuovo Ceausescu... cadeva ….anche lui, un altro conducator dittatore con le sue
televisioni,…. ripeteva una bugia cento, mille, un milione di volte, fino a
farla diventare una verità…uno spot
pubblicitario, fino a farla diventare normale…
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… quando i barconi hanno smesso di naufragare
la migrazione disperata; quando la rivoluzione dei gelsomini ha
contagiato il Mediterraneo; piazza
Tahrhir si è gremita di folla determinata…. –
Al
contatto le mani sentivano una consistenza solida. L'emozione di quella
fisicità vibrava con gorgheggi di violini e di viole, in un "dentro di
sé" vergine di gheriglio di noce appena colta. La tenerezza dell'incontro
cantava armonie struggenti . E tutto era nuovo e prorompente con freschezza di
fontana. Gli occhi sognanti cercavano continue conferme. Le dita tastavano
reciprocamente consistenze nella mano che reggevano. Palpavano fisicamente
fisicità corporee. Con stupore spalancato.
Nel
turbinare scomposto dello tsunami di folla, nel microcosmo di quella città,
mentre si perdevano galleggiando, trascinati nel fiume dilagante, adamo ed eva
entravano radiosi, entusiasti e spaventati, nella città del mondo.
Unici,
come tutti i protagonisti delle storie di speranza e d'amore.
L'utopia
e il desiderio, celebravano il trionfo della fantasia.
“…
sono reti neuronali artificiali; reti di
nodi interconnessi in modo ricorsivo per produrre apprendimento automatico; … per mappe auto-organizzanti; con continua implementazione,
che determina rappresentazione della conoscenza; ragionamento automatico; pianificazione ed elaborazione del linguaggio naturale…; la
dinamica nel tempo stabilisce un assestamento in un particolare modo di
oscillazione. … È la teoria dei sistemi dinamici. Di qui la memoria
artificiale. Funzioni di approssimazione
o di regressione; filtraggio (eliminazione del rumore) e clustering.
…Sistemi di controllo.”
Andava ripetendo tra sé Cyber,
camminando con a fianco Samira.
"Beh,
si, fin qui ci siamo. Ma il passo successivo? La presa di coscienza del sé?
L'assunzione di scelte e decisioni definitive? L'autodeterminazione? E poi,
questa storia delle emozioni..! Non è che io voglia spiegarmela a tutti costi.
C'è un casino di quelle cose che succedono, senza che possiamo spiegarcele!
Ma
allora mi è andata proprio di culo! Nei vari script mi è scappata magicamente
la mano.
Boh,
fatto sta che ora esiste, che diventa sempre più vera, che realizza il suo
sogno di diventare umana."
Guardò
con aria compiaciuta la ragazza che gli stava al fianco, aggrappata al suo
braccio. Si soffermò sui suoi capelli corvini, sulla pelle del volto che pareva
abbronzata, sui suoi occhi neri e luminosi.... Che proprio in quel momento,
come rispondendo a quelli di lui, gli si erano rivolti; con quella sfumatura
tremolante di dolcezza. Di amore.
Con
la mano libera, corta e paffutella, le sfiorò la guancia; le prese l'altra
mano; se la portò al viso, baciandola con le labbra contornate dalla rada
peluria della sua barbetta.