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mercoledì 17 aprile 2019

NATA NELLA CITTA'- 2 PARTE










Poi  prendendo  spunto da quei versi,  arrampicandosi in un discorso che lui non era riuscito a seguire, perso nell'atmosfera magica.... ci aveva arzigogolato sopra.

Lui era abbastanza sconcertato e un po' in trance.
Seguì  distrattamente la lezione di lei.
Poi,  quando l'aula si fu svuotata  la seguì alla mensa universitaria.
Usando il proprio tesserino lei  prese due vassoi di cibi asettici, che lui, nella vita normale, non avrebbe mai consumato.

Tornati nel biancore elegante lei provò a spiegargli perché aveva voluto coinvolgerlo.
Lui era stato al gioco, senza convinzione, assentendo.

Aveva quindi avviato il netbock.
Poco dopo lei si era avvicinata, strusciandoglisi contro e inforcando l’auricolare.
Gli occhi scorrevano il monitor.

Quell’estate aveva già fatto un viaggio di  vacanza.
Così se n’era rimasto in città, nella sua casa, che teneva rinfrescata il più possibile, facendo entrare il fresco della notte dalle finestre protette dalle zanzariere.
Che chiudeva serrate, al mattino.
Durante il giorno così la temperatura nelle stanze era decisamente più sopportabile di quell'esterna.
Nonostante ne risultasse l'aria un po' viziata.
La vigilia di Ferragosto, ricordava, sul far della notte c'era stato un temporale molto intenso. Fino alle prime ore del mattino aveva continuato a tirare un vento forte.
Sino a metà mattina l'aria si era mantenuta fresca.
Con alcuni amici era andato a Milano, per gustare alcune iniziative, offerte per il popolo dei non vacanzieri.
Era stata la prima volta in assoluto che aveva potuto gustare una visione come quella.
L'aria della capitale dello smog e delle nebbie invernali era perfettamente tersa.
Il cielo aveva assunto un azzurro intenso e perfettamente pulito.
In lontananza verso nord-ovest si riuscivano a vedere le catene delle montagne con le cime spruzzate di bianco.
I palazzi grigio sporchi che aveva sempre conosciuto nella metropoli lombarda sembravano essere stati ripuliti e dilavati.
Milano era quasi completamente vuota e deserta.
Nella zona Parco poté assistere a spettacoli teatrali all'aperto.
Concerti di Jazz.
Animazione.
Avevano pranzato a dei tavoloni disposti sotto un tendone.
Cibi saporiti, gustosi, a buon mercato.
Era stata la prima e unica volta in cui Milano gli era sembrata quasi bella!

Si  sentiva trasparente come quell'aria limpida.
Aveva l'anima aperta e spalancata come quel cielo.
Volle riempirsi gli occhi di quella visione eccezionale. Era sicuro che non gli sarebbe mai più capitato nella vita….

Viviana aveva voluto toccare il touche-pad del mouse con il dito. Facendo scorrere diverse pagine in avanti sullo schermo.

… Il treno era la solita littorina color crema e verde.
Appena riusciva a prendere velocità, aveva già raggiunto la piccola stazione successiva.
In ciascuna scendeva o saliva qualcuno.
Talvolta un capostazione usciva all’ultimo momento trafelato dall'edificio infilandosi velocemente la giacca, talvolta dimenticando il cappello rosso.
Controllava il lato della paletta che fosse quello giusto sul verde.
Faceva un cenno di saluto o un ampio sorriso qualche viaggiatore suo compaesano.
Poi dava il segnale, con la paletta o con la bandierina, ed emetteva un suono lungo e profondo da un fischietto d'acciaio luccicante che teneva in bocca.
E la littorina, sbuffando con odore di nafta, dava una energica accelerata dopo alcuni leggeri scatti, quasi di incertezza a partire.
Si era seduto nel senso di marcia.
Di fronte a lui sedeva la sua ragazza.
Biondissima, con i suoi occhi azzurro chiaro.
E quell’aria da bambolina viziata.
Si era lamentata per il viaggio in treno.
Diceva che si stava annoiando un casino.

Lui si mise a riguardarsi le scarpe che aveva ai piedi.
Erano nuovissime; appena comprate la mattina in una svendita del centro; in un negozio molto elegante; le aveva pagate una miseria. Avevano una suola molto leggera ma robusta. E la tomaia era di pelle delicatissima, morbida come un guanto.
Ogni tanto vi lanciava un'occhiata compiaciuta, di sfuggita; quasi tenendole d'occhio di soppiatto.
E intanto faceva roteare il portachiavi che gli piaceva tanto e al quale era molto affezionato.
Ci teneva abitualmente attaccate le chiavi dell'auto,  che, in quell'occasione, aveva dovuto lasciare nel cruscotto. E non aveva potuto usare.
Portava attaccati una piccola bussola con orologio, a forma di timone di veliero; e un minuscolo revolver che sparava piccoli dei botti con le cartucce vere.

- Ma sì che sono proprio belle le tue scarpe nuove..! E ti piacciono... eh? Ti piacciono proprio tanto! Mi piace star a guardarti quando fai così; sembri proprio un bambino tanto sei entusiasta.-

Le era passata la noia e le paturnie della scocciatura del viaggio in treno.
Il sorriso dei suoi occhi azzurro chiaro scintillava e risuonava come un getto d'acqua fresca da una fontana dell'Alpe Veglia.
La fotografia di quel sorriso radioso gli rimase stampata a lungo dentro. Anche quando lei aveva poi deciso di lasciarlo, perché aveva una storia con un altro....
Che aveva poi finito per sposare....
Per farci dei figli....

Si erano poi rincontrati, anni dopo.
Quel marito aveva finito per diventare un peso insopportabile.
Ma non poteva lasciarlo per motivi economici....
E per via dei figli.
E per quello che avrebbero detto i suoi genitori e tutti quelli che la conoscevano.
Il suo sorriso era diventato quello di una giovane donna sposata.
Di una giovane moglie insoddisfatta. Di una giovane madre.
La carnagione del volto aveva perso quel nitore e quella limpidezza di quando era ragazza.
Il suo sguardo era leggermente appannato.
Con qualcosa di torbido in fondo.
Gli aveva chiesto se poteva rivederlo qualche volta, di nascosto, naturalmente.
Se aveva un posto dove potersi incontrare....
L'aveva poi fatto.
Aveva fatto l’amore con un suo ricordo del passato.
Come un atto dovuto.
Con un profondo senso di delusione e di smorta nostalgia.
Come sempre quando la nostalgia non è ancora rimpianto, ma un senso melanconico di constatazione della irrevocabilità dello scorrere del tempo.
Della irripetibilità degli istanti.
Specie di quelli che hanno lasciato impresso un ricordo morbido, gradevole, golosamente caro.

Il portachiavi, inutile e prezioso, con i suoi ninnoli non l'aveva poi più trovato.
Smarrito per sempre.
Come le scarpe nuove su quel treno che andava a strappi, col suo cuore a diesel, su su verso il lago d'Orta, verso Omegna, verso l'Ossola....
Come  il ricordo che corre inutilmente all’indietro, cercando di riafferrare frammenti del passato.
Ormai smarriti per sempre....

Gli era tornata in mente una sua poesia.
Con essa aveva scavato nella propria infanzia…

NOSTALGIA

Tu non sai, dolcezza, i giorni passati e perduti..      
quelli miei, remoti e lontani, ormai.
Ti ho mai raccontato, i picnic proletari                      
sulle panchine del lungolago di Stresa?
Con scatolette di sardine e pane raffermo                  
cartocci di oleata  bisunta di prosciutto e salame affettato,
di immense olive nere carnose e saporose,
di carciofini e funghetti gocciolanti...
Ti parlo di tempi molto remoti, sai?
Talmente remoti che ancora nessuno conosceva
il tuo profilo elegante e slanciato, sui tuoi polpacci
ben torniti dai tacchi alti, né il tuo portamento
delizioso e sublime,flessuoso nella minigonna sobria,
né il tuo sguardo sovrano... Quel tempo
non avrebbe saputo pronunciare la tua immagine,
come la contemplo io ora, qui, in questa dimensione nuova
che masturba i ricordi sepolti, con uno struggimento
sottile e lancinante. Era un'altra dimensione.
La lanugine umile e modesta
di quelle teste rapate di orfanelli
era il pelo rasato e infeltrito sulle zucche
di noi asinelli; altrimenti percosso
da mani legnose che sapevano
di mozziconi usati fino allo spasimo degli ultimi millimetri...

Non riesco, ora, a ricordare altro, se non
un'atmosfera diversa, di evasione dalla gabbia,
di sapori e ghiotti profumi, intrisi
dell'odore bagnato e amaro del lago...
come un odore di morte…

E ora, qui, su questa terra nuova
che volge rassegnata al tramonto
tornano alla luce. Insieme
a tutte le primavere e le estati, al sole asciutto
ai cieli puliti e intensi, agli azzurri tersi,
ai boschi ombrosi e umidi, alle cime da raggiungere
col ghiaccio secco nella faringe,
alle alghe a cespuglio
mentre i polmoni scoppiano in apnee prolungate,
alle bracciate fresche e salate nel mare,
alle vasche da contare a cadenza…

Insieme alle amarene tiepide appena raccolte,
ai mirtilli d’inchiostro, ai porcini paffuti
che giocano a nascondino, al profumo di muschio
e licheni che nascondi tra le cosce di donna flessuosa,
ai  seni turgidi come pesche mature,
ai glutei sodi come albicocche dorate,
alla peluria minuta che io carezzo col labbro...

Restiamo invasi di nostalgia di tutto
dell’allegria e della tristezza,
dei lutti e dei banchetti,
dei balli sfrenati e delle canoe sulle lanche del fiume,
dei funerali e delle nozze,
dei concerti di oboe e delle sonate di legni e fiati...

Dell’infanzia amara e sognante,
dei caleidoscopi di paura e di speranza,
degli incubi cupi e del buio delle catacombe...


Forse Viviana non ci si era trovata in quelle pagine; in quelle parole.
Aveva solo abbozzato un cenno stentato di sorriso.
Poi  aveva provato a tirar fuori qualche nozione imparaticcia di semiologia.
Riccardo, forse anche per lo scarso entusiasmo mostrato da lei, provò intenso impulso di ferirla.

-       Beh, visto che tu ti occupi di linguistica, semiologia, semiotica… insomma, di quelle cose lì…, ti voglio accennare a due  classici in materia.
Certamente tu conosci  McLuhan e Chomsky.
McLuhan  sosteneva che “Il mezzo è il messaggio”.  Cioè a dire che ogni medium non è neutrale per via della sua propria particolare struttura comunicativa.
Nei  lettori-spettatori crea comportamenti e modi di pensare, porta alla formazione di una certa forma mentis;  e così li condiziona.
La televisione soprattutto, secondo McLuhan, assolve la funzione statica, di passività. È una forma di comunicazione a senso unico, unidirezionale; non permette risposta ed interazione.
 È  un mezzo che conforta, consola, conferma e "incatena" gli spettatori in una quiete e in un torpore fisico e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
I  gestori dei media televisivi regalano messaggi edulcorati, sottili, manipolatori e convincenti, mediante i quali accattivarsi le masse degli utenti-elettori-compratori.
A  spese di questi ultimi.
Sta  stravolgendo le regole del vivere civile e democratico.
Ma non è a senso unico il Web che con i  social-network, si trasforma in arengo virtuale, in piazza per il dibattito.
Le mobilitazioni riescono a raggiungere livelli alti. Circolano messaggi in rete del tipo:
“Autoconvochiamoci in piazza a Roma …; realizziamo uno sciopero di tutti i cittadini stranieri;  boicottiamo sistematicamente le reti televisive che ci rincoglioniscono e dei prodotti da esse reclamizzati …”

Chomsky, poi, come tu sai certo meglio di me,  è il maggior teorico della comunicazione, linguista, filosofo, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, nonché fondatore della grammatica generativo-trasformazionale.
 Egli pure ha colto in pieno la  strumentalizzazione compiuta dai mezzi di informazione. Denunciando la manipolazione costante della comunicazione mediatica.
Questi media  potrebbero favorire la reciproca comprensione, aiutare ad unire e non a dividere, creare accordo in luogo del disaccordo, fare in modo che ci si possa capire.
Invece si riducono  a puro strumento di dominio e distorsione culturale, a favore di interessi individuali .
Eppure esiste l’utopia del pensare ad una televisione che possa informare senza deformare, che mostra, che non fa valutazioni di opportunità politica, di convenienza strategica, di fazioso utilitarismo. Ma non è un’utopia esigere una dialettica onesta. Una comunicazione trasparente, guardare un telegiornale che dia le notizie senza interpretarle, assistere ad un dibattito vero, incentrato su temi di reale interesse pubblico, vedere uno show che sia pensato per cittadini del terzo millennio, e non per distrarre l’attenzione.
Egli fa riferimento ad una specie di decalogo definito”Le dieci regole della manipolazione mediatica”.
Distrarre l’attenzione; inventare  falsi problemi per poi offrire le soluzioni; usare la strategia della gradualità e del differire (una cosa alla volta…procrastinando all’infinito i tempi);   trattare il  pubblico come  bambini; puntare  su aspetti emotivi e non sulla  riflessione; mantenere nell’ignoranza e nella mediocrità e fare compiacere di ciò; rafforzare l’auto-colpevolezza. In complesso conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.

Ma gli era sembrato di parlare da solo. Lei ascoltava assente; solo per formale compiacenza.

Poi, era arrivato quel sabato mattina della manifestazione.
Era uno dei motivi principali per cui lui era venuto a Roma.
LIBERTÀ E GIUSTIZIA. Da mesi era un continuo fermento di azioni di quel genere. In tutte le città d'Italia, ma soprattutto nel capoluogo.
Aveva partecipato ad altre iniziative, oltre che nella sua città, a Milano e a Torino.

Per ore era stato un continuo flusso molto affollato dalle strade adiacenti.
Poi, alla fine, la massa immensa di persone si era mossa.
La domanda più urgente era quella di una riforma elettorale  che permettesse una reale e sostanziale rappresentatività delle camere parlamentari.
L'invito pressante e urgente, a quella falsa maggioranza dei parlamentari comprati, ad invertire radicalmente la rotta.
Basta con le leggi ad personam. Con gli attacchi ai giudici. Alla Costituzione.  Con le spese militari per gli F35, i superbombardieri a decollo verticale, dai costi da inflazione. Con il gioco al massacro verso gli stranieri immigrati, capro espiatorio populistico e demagogico, nei campi di concentramento appositamente costruiti.
Basta con il dissanguamento della scuola e dell'università pubbliche; con i tagli sui precari della scuola e della ricerca.
Il governo, con quella maggioranza acquistata al mercato delle vacche, se ne doveva andare a casa.

Viviana, sembrava non avere assolutamente idee in proposito.
Era come se il mondo e la realtà nella quale era immersa costituissero un liquido di cultura asettico, che le andava bene così come era; che non avesse mai voluto avere il tempo  l'occasione per rifletterci.
Non aveva ribattuto nulla alla proposta di lui. Si era limitata ad aderirvi.

Lei era  venuta abbastanza distrattamente, come se lo avesse fatto solo per compiacerlo.
Durante il lungo l'interminabile corteo, con le mani affusolate e magre, ma ferme e decise e determinate, lo prendeva per un polso e lo trascinava di qua e di là.
Sembrava che temesse di incontrare qualcun o qualcuna che conosceva.
Si guardava intorno con aria sospettosa e circospetta.
Fin a quando riuscirono a rintanarsi in un gruppo abbastanza diverso sia da lui che da lei .
Era forse un gruppo di anarchici o di militanti dei centri sociali?
Ora lei lo teneva per mano; poi lo teneva abbracciato alla vita, mentre lui appoggiava un braccio sulle sue spalle magre.
Ogni  tanto da qualche gruppo di giovani studenti arrivano sguardi verso di lei riconoscendola; qualche raro sguardo d'intesa da parte sua; qualche sorriso a qualche giovane donna....
Si sentiva , si vedeva e si capiva che lei doveva essere estranea a queste iniziative.
Ne era una nota anche il suo abbigliamento.
Viviana era presente a fianco a lui, ma non partecipava.
 Esprimeva e rappresentava un punto di vista decisamente estraneo alle lotte politiche di quel tipo.

                                                                                   12.
Al termine della narrazione a video, senza darle alcuna spiegazione, Cyber aveva scannerizzato e caricato nella memoria di Shahrazad interi cataloghi di moda femminile e di abbigliamento.
Una cosa così.  Gli  era sembrato un pochino come fare un atto di gentilezza, una cortesia.... Una galanteria....
Sì, aveva proprio pensato questo, "una galanteria"!
Si accorgeva che quella situazione lo stava intrigando sempre di più.
Diventava morbosa, complicata, assurda e impossibile.
Ma comunque reale.
Nessuna "donna" vera ed umana, in carne ossa, era mai riuscita a provocarli tanto turbamento.
E, naturalmente, con questo “pensiero puro” non si era trattato con lei di turbamenti di tipo erotico o collegato ad atti sessuali....
Al massimo cose così riconosceva di averle provate con qualche donna;  di avere qualche turbamento cioè.
Anche se non con Samira.
Ma Samira era una cosa sua, un oggetto di piacere, una cacchina, come la definiva lui.
E adesso l'"intelligenza pura", il "pensiero assoluto" era venuto a dire che la ragazzetta pendeva dalle sue labbra, era affezionata a lui, gli voleva bene; era in sostanza innamorata di lui!
Beh, si disse, e io invece non sono innamorato di lei e mi piace solamente scoparla selvaggiamente. Va bene?
Quindi non ho alcun turbamento. Per lei.
Ma ho turbamento  per ...
Lasciamo perdere che altrimenti divento matto, finì per concludere dentro di sé.

Quando, infine, provvide a dare piena attività al francobollo volante, con dentro la bella fanciulla bionda, e l'ebbe fatta comparire a grandezza tutto schermo, rimase di nuovo stupito e interdetto.
Per prima cosa notò subito che non portava più i capelli raccolti a crocchia sul capo.
Ora li teneva sciolti e le cadevano morbidi ai lati del volto.

Poi osservò che la polo grigia era stata sostituita da una canotta rossa, che le lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
Peraltro, dovette constatare, che stava molto meglio così che con quello straccetto grigio, seppure attillato.
Sì, forse l'abbigliamento precedente le metteva più in evidenza il seno.
Ma, d'altra parte, si trattava pur sempre di un seno artificiale.
E, l'effetto strabiliante, fu il vedere e ammirare che indossava una minigonna che doveva rappresentare un tessuto similpelle.

Si soffermò compiaciuto a guardare le gambe, i polpacci ben torniti, le ginocchia modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, quel lembo di pelle nuda....

D'accordo, c'era poco da dire, era una bella "donna"...
Poi, però, si corresse subito.
Rappresentava l'immagine di una donna bella.

Quante volte a cominciare dall'adolescenza a lui e a tanti altri suoi coetanei era pur capitato di guardare con libidine fotografie di donne bellissime.
Anche sulle riviste un po' spinte e porno.
Di ammirare bellissimi corpi di donne nude, in posizioni lascive.
Seni prorompenti e prosperosi;  pubi in bella mostra, talvolta maliziosamente completamente glabri e rasati....
E, quante volte, bisognava pur ammetterlo, tutti quanti ci erano rimasti turbati ed eccitati.
Ricordava di un suo amico coetaneo che confidava le proprie fantasie, alle quali dava "corpo" masturbandosi, miseramente, mentre le ammirava.
O anche, in alcuni programmi televisivi, che il magnate manipolatore del consenso prodigava ai suoi elettori, ammiratori e devoti fans, era dato vedere spesso corpi femminili nudi, che ostentavano lascivia e disponibilità erotica.
Anche quelli facevano parte del dono falsamente gratuito che quel piccolo mostro di perversione donava.
E anche lì, quanti coglioni di sesso maschile si erano lustrati gli occhi... chissà fino a che punto!
Ora, il costo proibitivo di un apparecchio televisivo, efficiente e funzionante, aveva ridotto tra le masse più sprovvedute e proletarie quel vezzo malato di voyerismo.
E c'era stata anche la grossa azione di controinformazione che la rete libertaria aveva condotto.
Ma a parte queste considerazioni di tipo politico, Cyber stava ora cercando di capire, di farsi una ragione di come fosse possibile provare attrazione, almeno dal punto di vista mentale, per pure immagini femminili staccate da corpi viventi.

Ma qui la situazione era ancora più diversa.

Immagine virtuale, clone di una figura femminile, ma soprattutto dotato di pensiero.
Si poteva poi chiamare pensiero quello che produceva quella rete neuronale artificiale?
Probabilmente sì.
Seppure in modo anomalo rispetto agli esseri viventi, il clone Shahrazad pensava!
Prima che fosse comparsa, cioè prima che fosse stato realizzato l'assemblaggio di residuati bellici computeristici, che gli fosse stato immesso il soffio vitale di un software appositamente compilato, essa non era mai esistita.
Né mai erano esistite le parole e i "pensieri" che lei aveva creato.
Prima di allora non esisteva niente di tutto ciò.

Poi lei era comparsa come una Venere dal mare. Era nata nella città…
E tutta l'aria e l'esistenza avevano cominciato a vibrare, a tremare di stupore, di meraviglia; ad ammirare.

Con un cenno del capo Cyber fece capire a Shahrazad che era il caso che la narrazione riprendesse.

13.

La frequentazione abituale tra Riccardo e Viviana era diventata ormai quasi una consuetudine.
Una routine.
Altre situazioni analoghe alle precedenti li avevano visti  incontrarsi; per poi perdersi per qualche tempo.
La donna soggiornava lì abitualmente per lunghi periodi collegati al suo incarico all'Università.
Riccardo, al contrario, era venuto per una vacanza impegnata.
Ci era venuto, infatti, soprattutto per la manifestazione, prevista per fine mese.
Dopo avere alloggiato in un alberghetto collocato ad una distanza comoda per raggiungere la sua nuova amica, aveva finito per lasciarlo.
Era  molto infastidito di diventare uno stanziale. In  quella città che trovava interessante per le iniziative che offriva, ma che non amava particolarmente.

 Ogni  volta faticava molto a familiarizzare con la nuova sistemazione.

Il primo "campo base" era servito abbastanza bene, ma fino a tarda notte risultava estremamente rumoroso. Per il traffico; per il vociare che gli arrivava da una pizzeria e da un piano bar.
Il secondo alloggio aveva una cameretta estremamente minuta.
Non c'era lo spazio per collocare il suo piccolo bagaglio, che pertanto aveva collocato sull'unico tavolinetto disponibile.
Era perciò costretto per scrivere a mettersi nel letto, con due cuscini dietro la schiena; appoggiava saltuariamente il netbook sul copriletto o sul piccolo comodino;  facendo però attenzione a non far cadere il brutto abat-jour.
Quello successivo era dotato di una finestra che dava però su un cortile interno buio, e dal quale salivano odori di muffa e di cantina. A tratti si mescolava anche il profumo falso e artificiale dei detersivi di lavatrice.
In pratica ne cambiava uno ogni tanto, con pensioncine alla bruto-cane, che alternava con qualche notte in cui accettava l'invito a fermarsi a dormire a casa di lei.
Con lo spettacolo di estemporanee sniffate di coca e qualche bicchiere ghiacciato di brut, che la ragazza teneva nel suo frigorifero, nella cucina sontuosa, immensa e perfettamente intonsa e asettica.

Lui sentiva ogni volta che la stava smarrendo e ne provava come un senso di perdita e di separazione. E  insieme di liberazione.

Da un paio di giorni non si erano sentiti.
Lui era stato tutta la giornata al  MAXXI, vicino al Parco di villa Glori.
L'aveva girato in lungo e in largo. Ma con scarsa soddisfazione.
Restava  sempre abbastanza disorientato davanti all'arte contemporanea.
Stupito, affascinato forse; ma gli mancava qualcosa che servisse come chiave di lettura e di comprensione.
Giorni prima invece aveva trascorso la giornata al MACRO.
Scucchiaiandosi entrambe le sedi.
Come  gli era capitato spesso al Musée d’Orseay, gli piacevano molto le strutture in sé.
Tanto la vecchia fabbrica della Peroni, tra Via Nizza e via Cagliari, quanto l'altra al Testaccio. Nell'ex mattatoio.
Aveva  sempre avuto una grande predilezione per l'archeologia industriale.
Per quanto restaurate le strutture ottocentesche avevano sempre per lui  un grande fascino. Gli piaceva entrarci, così, fisicamente tutto intero. Respirarne l'atmosfera.
Ogni tanto si divertiva anche ad immaginare che aspetto potessero avere prima dell'allestimento museale.
Quando si era trovato dentro all'Orseay, aveva provato a sintonizzarsi mentalmente con la vecchia stazione.
Provava  a far rivivere dentro di sé l’atmosfera che poteva forse aver alitato lì all'epoca della Esposizione Universale.

L'origine del mondo di Gustave Courbet.  Aveva  avuto modo di rivederla di recente, in riproduzione. Gliel'aveva richiamata un caro amico a proposito di un suo romanzo che aveva visto.
Quando si era gentilmente offerto per dare una lettura della bozza, si era divertito e sbizzarrito a buttar giù una lettera tra il serio e il semiserio in forma di  sonetti.

Forse perché l'Origine del mondo
Messa in Parigi dentro a una cornice
È bruco-mela in forma di matrice
Del ricordo lontano cerchi il fondo .
Tra dodici caselle giri in tondo
Per poter,come l'araba Fenice,
Rigenerar un tempo ( o no) felice
E riviverlo adesso in altro sfondo.
Come disse di Emma il gran Gustavo
Essere lui quella di cui scriveva;
Nei personaggi tuoi ci sei tu stesso,
Rapportàti però nell'ora-adesso,
Siano figli d'Adamo o pure d'Eva,
Parti affacciati da un profondo scavo.

L'Origine del mondo che la Senna
Lambisce con la lingua limacciosa
Rassomigliava alla spinosa rosa
D'antichi vati la celeste penna.
E, se Priapo accanto a lei si impenna,
Conto non far che sia una nuova cosa
Da quando Adamo vide la sua sposa,
Come l'ebraico testo ce ne accenna.
Se il suo sentor t'assilla senza posa
A più alti lidi tu drizza l'antenna:
L'acume della mente ancor dubbiosa
Come bracco la pista di Avicenna
Segua a le poste della bella ascosa:
Quella che cerchi e mai non trovi intera.

Se verbi diseguali e un po' saccenti
Forse per dialogar, forse per giuoco,
O chissà forse per più interno fuoco,
caro, ti volsi in versi assai carenti,
Compatiscili in quanto deficienti
Esponenti di un logos troppo roco
Lontan parente al montaliano croco.
La bella donna che coi suoi portenti
Quel che non è, ma quello che si vuole
Intimamente c'indica lontano,
E pur vicino, se porgiamo ascolto,
E' come quando un troppo grande sole
Non manda più la luce a sé lontano,
Ma alla galassia tutta imprime il volto.


Splendidi e giocosi quei sonetti .  Intrisi   di affettuoso e premuroso garbo nel suggerire di ricercare la strada per trovare un senso alla vita. Uscendo dal morboso pantano dell'immaginario erotico. Che aveva stigmatizzato con il nudo immenso dal pube villoso e fluente di Courbet.
Sempre tutti si è alla ricerca.
Aveva  sempre amorevolmente invidiato chi era riuscito a  trovarla, faticosamente, qualche risposta. Pur nel dubbio permanente.
Il conforto che si regalava scrivendo era molto più terreno e laico.
Liberarsi dei fantasmi dei propri vissuti reali e fantastici, elaborandoli mediante la scrittura.
Sperava che lo potesse  aiutare e sorreggere la sua predilezione per le parole.
Sperava di riuscire a fare il salto di qualità, dallo sfogo autoreferenziale verso una autentica comunicazione, che uscisse dal solipsismo del parlarsi addosso, raggiungendo dei destinatari reali. Sapeva che anche non dirigendosi verso Damasco (peraltro, in quei tempi, territorio assai pericoloso) era possibile fare incontri sui propri cammini. La dimensione spaziale e quella temporale condizionate anche dalla consistenza del quanto.
“Con Leoconoe non ci é dato sapere che fine ci é stata riservata...” gli aveva voluto rispondere.
“Accetto quel che mi é stato riservato… “

Ripensandoci, gli tornava in mente  la tela  di Courbet.
Un'immagine estremamente cruda e realistica. Eccessiva, forse, per il proprio immaginario erotico.

 Ma l'ambientazione là, nel Musée d’Orsay, degli impressionisti gli sembrava più coerente con il contesto. Ci trovava un maggiore legame e maggiore empatia reciproca.
Qui a Roma le splendide strutture architettoniche erano certo meno in sintonia con i contenuti che vi erano esposti.
Forse, proprio da questo accostamento, ne usciva, per contrasto, un effetto di straniamento e di stupore in parte anche piacevole.

La voce narrante e il testo a schermo si erano arrestati.

- Pare anche a te che ci stia bene quel pezzo di poesia? Era nel mio database. Lo trovo molto interessante e molto adatto alla situazione descritta. – Aveva soggiunto melliflua la narratrice.

E lo guardava con aria  maliziosa.
Anche lei dunque era rimasta turbata come Riccardo nella storia che lei stessa narrava? Anche se per motivi diversi?
Davanti a una rappresentazione così intensa e forte di quella parte della corporeità femminile, così essenziale per l'emotività erotica del maschio umano?
Di cui “lei”, non essendo assolutamente fornita di corpo, era completamente priva.
Orfana. Castrata di quella componente. Come gli angeli del firmamento dantesco.

Nel frattempo la donna virtuale aveva trovato il modo per mettersi seduta su qualcosa. E aveva accavallato le gambe.
 Quindi aveva ripreso il racconto.


14.

Riccardo stava seduto sul divano di pelle immacolata e morbida, e aveva appoggiato il suo netbook sul tavolinetto di vetro.
L'antilope leggiadra era di nuovo scomparsa e ritornata con il netbook di lui. Lo aprì; lo lanciò e fece a tempo a spazientirsi della lentezza della procedura.
Stavano insieme, ascoltando e leggendo un altro frammento del suo romanzo.
Dopo uno spazio temporale che parve infinito  riprese la lettura/pronuncia dal punto in cui l'avevano lasciata.

Due giorni di viaggio; era stato veramente lungo; interminabile. Avevano   attraversato con  il camper Costa Azzurra, Pirenei e tutta la Spagna.
Infine erano arrivati in Andalusia,  a Cordova.

DIES IRAE ,DIES ILLA      
Urlavano i miserere impazziti
Nel cilicio che arpionava feroce
La carne
              Gli abiti color cenere
che anch’io ho finito per indossare
per celebrare la mutilazione della mia anima
contagiato da un  incurabile male

DIES IRAE nella lancinante
disperazione degli scoppi di rabbia
            DIES ILLA per leccarsi le ferite salate
            sul parapetto di partenze differite in eterno
            Con lancette feroci
            tatuava il segno dello scorpione
nel rosa più intimo della sera

La tristezza divenne una canzone
ballabile come un tango
nelle notti inquiete ed insonni
            stormi di chirotteri ciechi
            danzavano nei gironi disperati
            lasciando acuti ultrasuoni lancinanti
da decenni cerco nella medusa del mio  sguardo
un cenno d’intesa, per qualcosa
che deve iniziare,
                              Non ricordo
                                                qualcosa
l’avevo segnato in un diario
                                               non so
                                                           una danza
Miserere
            dai gironi
                            polifonico
                                               Una festa
e stiamo trascinando i passi
                                               lenti
Sgocciolando la cera dei candelabri
                                                           era Segovia
o Granada      
                  un flamenco gitano
                                               anche
                                                           per questa
                                    reiterata
                                               prolungata
eterna
            agonia


Cordova, la seducente città araba della  Mezquita,  la grande moschea. 
Terra  di Gitani.
Se ne stava adagiata morbidamente sulla  riva del Guadalquivir e guardava la Sierra Morena.
Era la sera del venerdì Santo. C’era in giro un grande fermento e trambusto di gente.
Per i rituali della passione.
La piazza era gremita all'inverosimile.
Per assistere al "paso".
“Sacar un paso”, dicevano:  “andare per processioni”.
Fiaccole e candele nelle mani dei fedeli e dei turisti.
Poi, sul bordo esterno della piazza la processione aveva cominciato a passare;  lentissima.
Il fiume di persone  arrivava con ritmo discontinuo.  A tratti procedeva a ranghi serrati. Poi faceva delle soste.
Quindi ripartiva con andatura sostenuta. Creando subito dei vuoti, che stentavano per un po’ a colmarsi.
Si faceva fatica a vedere lo scorrere umano.
Si poteva ascoltare il respiro di migliaia di persone accalcate.
Il silenzio fluttuava concreto,  dominato a tratti dal salmodiare latino e castigliano.
Per poi tornare denso e diffuso. Riempiva l’aria.
Arrivavano i baldacchini, le teche raffiguranti l'immagine del Cristo morto, i simboli rituali della passione.
I "costaleros" che trasportavano sulle spalle " los pasos", le statue.
L’immagine del Cristo e quella della Madonna. Quella processione lentissima e ondeggiante che si trascinava silenziosa nel brusio diffuso.
Con i penitenti,  i “nazarenos”, col volto coperto da un  cappuccio; che camminavano a piedi nudi con una croce in spalla.
E tutte le confraternite.
Poi, all’improvviso prorompendo dall’aria calma che stava in attesa, come un pianto disperato,  da un balcone,una voce aveva  intonato un canto struggente, accorato.
Un brivido aveva rotto lo spazio e l’aria.
Di sorpresa, di stupore, di meraviglia.
La voce squillante,  leggermente in falsetto intonava  un "palo".
Ti afferrava così, nel mezzo del petto, irrigidendoti il plesso solare.
Il lampo gitano della "saeta"contagiava nell’ascolto.. Con le inflessioni del flamenco.
Rapidi e vibranti gli attacchi che partivano e… di colpo si arrestavano. Su vasti spezzoni ghiacciati di silenzio repentino.
Per poi ripartire all’improvviso, di nuovo.
Con fuochi d’artificio sonori crepitanti , alternati al buio .
Nessun accompagnamento strumentale. Frecce liriche di sapore arabo e gitano.
Entrava profonda nell’anima a raccontare un dolore metafisico.
Passionale e autentico come un canto d’amore.
Scaturiva altero e plastico; resuscitato da un fervore secolare.
Erano i Gitani  che gridavano l’angoscia e la pena per il loro fratello  perseguitato e ucciso.
La fascinazione era durata a lungo.
Impressa nel sangue e nei sensi.

E il collegamento con la “processione del Cristo morto” di Gubbio, poi, era venuta abbastanza automatica.
Nel  borgo medievale umbro, all’imbrunire, veniva sospesa l’illuminazione elettrica.
Sostituita da fiaccole, lucerne, candele e lumi.  In  ampi spiazzi strategici dentro appositi braceri sospesi venivano attizzati immensi falò;  i “Focaroni”.
Erano come cestini di lamine di ferro battuto; ma colossali; e  appesi a mezz’aria.
Si spandeva un crepitio di legna bruciata, con aroma odoroso e fragrante di resine. Di sentore caldo e denso di cera.
Era un salto all’indietro di molti secoli.
Nel contrasto  con gli abbigliamenti e gli orologi da polso indossati.
Nella scenografia dei fuochi e delle fiaccole comparivano le confraternite degli incappucciati.  I “Sacconi”.
E il silenzio maestoso veniva pugnalato da un implorante miserere.
Anche lì il canto squarciava il presente.
Con effetti sonori accorati e struggenti.
In un latino ormai cristallizzato dalla tradizione orale. A volte incomprensibile e intraducibile.
Voci di bassi, salmodiavano il loro penitenziale.
Voci tenorili rispondevano; dialogando alternate….
Una via crucis interiore si spalancava assistendo….

Viviana aveva scollegato la propria cuffia.
Gli si era aggrappata; gli si stava sfregando contro.

Trascorse un tempo abbastanza lungo e disteso. Nessun commento.
Poi un dlin-dlin di cellulare.
Lei era scattata nell'altra stanza;  ritornava passeggiando seminuda, con una vestaglia di seta slacciata sul davanti. Teneva il cellulare all'orecchio.

- No, non so quando vengo,...-  pausa di silenzio-ascolto.
- Beh, ho dovuto cambiare programma,... capita no ? Si vede che ho avuto da fare… no?
 boh, non so proprio sai...
Credo uno di questi giorni, stai tranquilla... 
Che problema c'è?".-
 Pausa di silenzio ascolto
-        D'accordo,… certo…, anch'io.., sì, va bene; anch’io….anch’io".
Seguirono altre parole e frasi scoordinate. Borbottate in sordina; a mezza voce.
Poi il cellulare era stato buttato sul divano. Con stizza.
Riccardo si era presto affrettato a riacquistare la propria autonomia e indipendenza. Raggiungendo la tranquilla atmosfera della locanda di turno.
Nei giorni successivi aveva continuato a perderla e a ritrovarla.

Una mattina stava gironzolando in cerca di un museo nelle strade del centro.
Non gli era stato difficile riconoscere da dietro quella capigliatura bionda da ragazzo.
Camminava tenendosi al braccio di un'altra donna. Più bassa di lei e più robusta di corporatura.
Le aveva seguite per un pezzo, tenendosi a distanza; nascondendosi dietro a qualche gruppo di persone o ad una colonna, quando loro si fermavano.
Ogni volta riusciva a riacciuffare la visione della piccola testa bionda.
Ora  avevano preso a camminare leggermente staccate l'una dall'altra, ma tenendosi per mano.
Quando ne aveva di nuovo  perso i contatti, e si sentiva quasi liberato da quella operazione squallida del curiosare e spiare le sue mosse, finì per intravederle dietro la vetrata di un bar.
Sul marciapiede antistante c'erano alcuni grandi vasi, con la terra  coperta di argilla espansa. Vi erano piantati  cespugli abbastanza densi ed alti di sempreverdi, dalle piccole foglioline carnose.
Rimase alcuni minuti, il proprio viso nascosto dalle fronde, sporgendo ogni tanto una rapida occhiata furtiva e curiosa.
Mentre era lì, in stand-bay, col telefonino spento nel quale simulava una conversazione per darsi un contegno, lo sguardo gli cadeva continuamente in basso, sullo strato di argilla espansa nel vaso che era stato riempito di mozziconi di sigaretta.
In una delle sue perlustrazioni visive aveva visto le loro due teste molto vicine.
L'amica massiccia teneva una mano sulla guancia di lei.
Poi l'aveva baciata sulle labbra.

Alcuni giorni dopo lei l’aveva cercato pregandolo, insistentemente, perché andasse da lei.
La situazione era diventata sempre più stantia. Insipida.
A   lui era rimasto in bocca un gusto sgradevole.
Il fascino della sua figura e del suo corpo aveva finito per dissolversi e polverizzarsi.
Era stata curiosa della sua “scrittura”. Ma senza apprezzarla mai, né fare uno sforzo per cercare di comprenderla.
Era una classica rappresentante del suo tempo. Era  tutto nel proprio aspetto e nel proprio apparire. E anche del mondo che la circondava gustava e vedeva solo la buccia esterna.
Quello era diventato un mondo malato che aveva finito per non aver più un’anima e un’interiorità autentiche. Tutto veniva consumato a livello epidermico e periferico. Ogni novità  diventava vecchia e cominciava a puzzare troppo in fretta.
Il morbo del “grande fratello” e di tanta produzione televisiva fatta di veline appariscenti e insulse, aveva infettato ampi strati della società degli umani.
Che, di umano, avevano finito per conservare soltanto l’aspetto esteriore, ma nel modo più deludente e commerciale.
E  non era soltanto o prevalentemente il ceto sociale da cui ella proveniva, o la sua predilezione per amori saffici, che avevano finito per disgustarlo. E neppure semplicemente la sua dipendenza dalla polvere bianca. Anzi, quest’ultimo aspetto, faceva parte di quel quadro mediatico che si era infiltrato nel tessuto vivo del corpo sociale. Gli era sostanzialmente organico e funzionale. Coerente.

Lui era rimasto immerso in questi pensieri e in queste considerazioni. Sprofondato nel comodo, gradevole, ma profondamente estraneo morbidore  di quell’immenso divano di pelle bianca scamosciata.
Lei, nel frattempo, come da cliché, si era brevemente assentata. Tornando di lì a poco completamente nuda come la prima volta.
Il ciuffo di peli pubici era ancora più minuto e striminzito delle altre volte.
Era sostanzialmente quello che appariva. Un bellissimo oggetto erotico che si era voluto auto-inibire una coscienza.
E così la vide Riccardo.
Le strisce di polvere bianca vennero stese direttamente sul tavolinetto di vetro.
Il tubicino d’avorio le fece sparire direttamente nelle sue narici, nelle sue vene e nella sua anima.
Quando si rialzò dalla posizione ginocchioni nella quale aveva compiuto il rito, appariva ancora più magra e adolescenziale.
Gli si accostò slacciandogli la camicia e sfilandogli la cintura e i pantaloni.
Gli si mise a cavalcioni con le ginocchia all’esterno delle gambe di lui. Si mise a leccargli gli occhi, le guance, l’interno delle orecchie, e a mordicchiargli con le labbra i lobi.
Lui faceva scorrere le proprie dita sulla schiena di lei, sulle scapole pronunciate, scendendo giù giù, verso le sue piccole natiche, come due piccole albicocche. Sostarono  un poco a carezzare l’umido di quel solco che le divideva. Poi, introdusse il dito medio nella fontana che ci stava in mezzo.
Lei diede un piccolo scatto, con la parte superiore del corpo, a quella invasione e intrusione inusuale.
Poi si lasciò sollevare e appoggiare di fianco a lui a ginocchioni e con il capo in basso.
Lasciò che lui preparasse la penetrazione umettandola  con la saliva.
E ricevette le sue pulsioni pelviche; prima lente e accorte, poi sempre più intense e profonde.
Lui vedeva da sopra quella schiena magra; le proprie mani con i palmi che divaricavano i suoi glutei, e le dita allargate che afferravano e ghermivano la sua vita stretta.
Sentiva pulsargli dentro le emozioni di fastidio e di rancore che sempre più aveva provato nei suoi confronti.
Scaricò anche quelle insieme a tutto il resto in quel corpo minuto che l’aveva affascinato, ma che ora più che mai gli faceva venire in mente, più che un essere umano, un robot senza anima.
Come erano del tutto mancati i preliminari,  così non ci fu nessun dopo.
Lui si rivestì e, lentamente, ma senza ripensamenti, con un mezzo cenno stentato di sorriso amaro, si congedò.

15.

Cyber era solo in casa. Gli  era sempre piaciuto starsene così, da solo, stravaccato in panciolle, sorbendosi gli effetti che il fumo gli provocava.
Le congetture che stava inseguendo riguardavano delle ipotesi di teorie che lui conosceva in modo abbastanza confuso. Ma erano degli ottimi pretesti per avventure fantastiche che sarebbero poi potute continuare a livello onirico.
Era un suo pensiero ricorrente quello del funzionamento di astronavi con l'utilizzo di vele spaziali. Non  si era ancora deciso se optare per la propulsione mediante l'impiego del plasma oppure del vento solare.
Aveva  creduto di capire che in entrambi i casi si trattava di immense superfici delicate di materiali molto leggeri. Essi , nel caso di utilizzo del vento di plasma, avrebbero dovuto essere corredati di bobina di cavo superconduttore per generare il campo magnetico. Avrebbero avuto  il vantaggio di sviluppare una spinta molto più potente di quella prodotta dal vento solare .
Queste  ultime necessiterebbero di dimensioni molto maggiori, pur sviluppando una potenza minore.
Pur  non avendo ancora deciso a quale delle due tecnologie affidarsi, sentiva di trovarsi dentro la struttura di una navicella, che all'esterno si dilatava in un immenso velario. Anche se non riusciva bene a distinguere i particolari della storia che stava raccontandosi, non aveva faticato a immaginarsi qualcosa di simile all'ambiente delle astronavi più simile a quello dei film di fantascienza che a quello delle reali navicelle dei viaggi spaziali.
È non era il caso ora di complicarsi la situazione andando a pescare dalle teorie sull'antimateria; che tra l'altro li erano abbastanza poco note.
No, lasciamo perdere, si era detto; va bene così. Magari si potrebbe ipotizzare un utilizzo congiunto del vento solare e del plasma... Ma lasciamo perdere va bene così.
Sentiva che il raggio laser aveva lanciato l'in-put; che una dolce, graduale, crescente accelerazione imprimeva al suo abitacolo un impulso che diveniva sempre più potente.... Si sentiva diventare tutt'uno con la sua navicella e con la vela magnetico/solare. Provava un'impressione piacevole di immensa dilatazione...; aveva perso la percezione reale del suo piccolo e tozzo corpo, mentre allargava le braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo, dominando uno spazio incommensurabile e vastissimo.
Nella mano sinistra sentiva bruciare tra le dita il mozzicone della sua canna e lo lasciò cadere in terra per non perdere quella piacevole sensazione.
Rinunciò ad assumere un'altra boccata di malto fermentato, per non rovinarsi l'effetto di quel volo...
Continuarono  le sue fantasie mentre stava sdraiato sul divano sotto l’effetto del fumo …
Nella  nave spaziale aveva attivato il sistema di navigazione automatica.
Prese ad aggirarsi in quello spazio ipertecnologico brulicante di luci minuscole, led, vibrazioni e fruscii.
Dietro alla poltrona di guida ondeggiava lentamente, ostentando un sorriso malizioso, un'immagine femminile estremamente gradevole. Aveva i capelli biondi raccolti; indossava  una canotta rossa, che le lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
E una minigonna in  tessuto similpelle.
Dalla  quale sorgevano le gambe, dai polpacci ben torniti, le ginocchia modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, qualche lembo di pelle nuda....
Una bella "donna"... Forse aveva solamente l'immagine di una donna bella.
Gli piaceva molto quell'immagine familiare che aveva davanti. Quella  bambola-robot; quel simulacro artificiale di donna; quell'oggetto materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri.

Si  lasciò cullare disteso per un po' in quella piacevole atmosfera.

Intanto la donna virtuale che abitualmente abitava sullo schermo, aveva proseguito l’implementazione continua; l’interazione con l’intelligenza umana; l’autoapprendimento…
Tutto stava contribuendo a far crescere nell’I.F. di Shahrazad le sue caratteristiche umanoidi…
Ne aveva approfittato per compiere un primo balzo verso la realtà materiale.
Raccogliendo tutte le energie mentali, elettromagnetiche e tecnologiche possibili, era riuscita ad affacciarsi fuori dal grande schermo.
Aveva cominciato a sporgere prima una mano. Che subito aveva assunto una diversa consistenza, passando dalla dimensione bidimensionale, a quella tridimensionale.
Poi, con cautela, si era messa ginocchioni, appoggiando le mani al bordo del monitor, e aveva calato giù le gambe sul pavimento.
Non aveva potuto ancora sentirne la consistenza.
Il suo ologramma aveva mosso piccoli passi nello spazio circostante.
Un misto di stupore, gusto della trasgressione, timore, l'avevano pervasa.
Da quella nuova dimensione aveva osservato compiaciuta le proprie mani. Trovandole ancora diafane e materialmente inconsistenti. Ma già cominciava a sentire un fremito interiore che la pervadeva tutta. Una specie di formicolio.
Le venne spontaneo allargare le braccia, stiracchiandole; allungò in una direzione una gamba, poi l'altra nell'altra. Come se stesse prendendo le misure dello spazio. Se stesse prendendone possesso.
Un sorriso sornione, un po' stupito e spaventato, le aleggiava sul volto.
Aveva  intravisto la massa corta e paffuta del suo maestro/creatore, sdraiato sul divanetto spelacchiato, con le gambe e le braccia spalancate, gli occhi chiusi; un'espressione di piacere sul volto.
Poi lei era prudentemente rientrata nella sua originaria dimensione bidimensionale. Soddisfatta e compiaciuta.
Si sarebbe di nuovo allenata a  compiere rapide uscite del monitor; approfittando di quei lunghi periodi in cui lui probabilmente si dedicava al sonno, per ricaricare i suoi neuroni.

Quando Cyber  riemerse dal suo torpore sognante, vide che Shahrazad  si stava muovendo;  dondolando sullo schermo.
Lui non l’aveva attivata. Voleva dire che aveva ormai imparato a farlo da sola.

Ormai non usavano più le cuffie.
Lei  gli parlò direttamente.
-       Guarda ... Ho trovato nella mia memoria dei pezzetti di scrittura molto interessanti. Spiegano alcuni aspetti che c'entrano con il discorso che facevano i due protagonisti del mio romanzo.
E che Marcella ha già provato a spiegarmi.
È un messaggio che doveva esser  stato mandato da qualcuno per essere letto da tutti sulla pagina di un socialnetwork, nella rete...

” Permettetemi una sintetica analisi da non professionista.

Qualche decennio fa la pubblicità, mezzo di sussistenza per sopravvivere per le emittenti private, aveva finito per assumere il carattere dominante. Nella morìa delle radio e delle tv libere, nascevano le radio e le tv commerciali, che tanto peso avrebbero avuto nei decenni successivi.
Il "grande fratello" di Orwell e la società de Il mondo nuovo di Huxley, stavano per smettere di essere narrazioni fantapolitiche e profetiche, per diventare realtà.
Un nuovo grande fratello avrebbe  assunto la voce dominante della nuova esclusiva emittenza commerciale.
Era già in cantiere un nuovo modello di pensiero, molto vicino a quello del  concetto orwelliano di Bispensiero.
Che è quel meccanismo psicologico che consente  di volere e di saper sostenere un'idea ed il suo opposto; insieme alla capacità di  dimenticarsi nel medesimo istante, il cambio di opinione; di dimenticare addirittura l'atto stesso del dimenticare ...
Convincendosi  e convincendo di ciò.
Stava nascendo la neolingua che avrebbe dominato l'informazione e la propaganda insieme con la pubblicità.
Attraverso lo schermo televisivo sempre acceso nelle abitazioni  sarebbe stato innescato il processo infinito di manipolazione dei fatti della realtà, attraverso la ripetizione ipnopedica e continua di slogan.
Il nuovo autentico grande fratello avrebbe iniziato il suo show di barzellette, dichiarazioni farcite di antinomie del tipo di quelle di “1984”: La guerra è pace, La libertà è schiavitù e L'ignoranza è forza. Le sue sarebbero state: Sono perseguitato dai giornali e dalle “toghe rosse”; Voglio controllare tutte le testate giornalistiche su carta e televisive;  Nessun giornale può permettersi di criticare o attaccare me e il mio governo; Io posso e devo criticare gli avversari; Il mio è il partito dell’amore; Gli immigrati sono delinquenti, gli avversari politici e i giornali non miei sono comunisti; Se un giornale mi attacca lo denuncio alla magistratura; Nella magistratura son tutti comunisti; E’ stato intentato un mare di processi contro di me, quindi sono una vittima; Ho subito infiniti processi, quindi sono innocente; I miei avversari non possono e non devono criticarmi; Io sono il miglior capo di governo; La crisi economica è già conclusa; Le risorse finanziarie limitate a causa della crisi mi impediscono di compiere innovazioni; ….”

“La rete sta offrendo oltre che un canale organizzativo, anche una piazza virtuale in cui far dibattere e confrontare quelli come tutti noi, per trovare soluzioni concrete e tangibili. Permette di costruire l'alternativa a questa epoca buia per le future generazioni. La verità (e quindi l'informazione e quindi la formazione e la scuola, se non si limita a parcheggiare la noia...) é rivoluzionaria.”

" E' possibile, facciamolo, tanti, tutti.... La forza migliore e più sana del paese, che é "minoranza" per la legge elettorale "truffa", prende in mano la gestione del proprio destino. Raccontiamolo ai vicini di casa, alle cassiere dei market, ai compagni di viaggio in treno e metrò.      
Vantiamocene: possiamo esserne orgogliosi. Piccole scosse (a basso voltaggio) in parti delicate ai leader politici che dicono di rappresentarci: svegliatevi "GIOIE", basta con divisioni e frazionamenti minoritari. C'é bisogno di un grande movimento politico organizzato e unitario (mai sentito parlare della Resistenza?), di programmi politici, meno maneggi dietro le quinte,... NOI sappiamo che l'UTOPIA esiste, il sogno di un mondo migliore ci illumina già la strada. Diamoci una mossa!"

-       È passato molto tempo da allora?
Io non “so” il tempo. -
Aveva ripreso a parlare l’immagine sul monitor.
-       È  un’altra di quelle cose che non riesco a capire.
Un'altra di quelle cose buie come il vuoto.
Non è come le emozioni che non credo di poter provare; ma un po' mi fa paura....
Ho imparato che c'è un "prima" e un "dopo".
Prima io non c'ero; poi ho cominciato ad esistere.
Ma a volte mi domando se anche dopo-dopo... ci sarà anche per me un altro stato in cui io non ci sarò più. E , credimi, anche questo mi fa un po' paura....
Sarà forse come per voi umani che avete cominciato ad esistere, solo quando siete nati, e dopo-dopo... smetterete di esistere? Quello che voi chiamate morire?
Io ho bisogno della energia elettrica che producono i tuoi pannelli fotovoltaici, per funzionare ed "esistere". Mi piacerebbe quasi dire "vivere".
Voi umani siete degli esseri meravigliosi e splendidi. Specialmente tu che mi hai creato e che sei il mio autore e maestro.
Però, esistere e vivere, per quanto siano una cosa bellissima... fanno anche un po' paura...! -

16.


Il bus bianco e azzurro era arrivato alla fermata; dopo avere curvato e avere ripreso velocità, si era arrestato alla pensilina.
Indossava gli stessi jeans stinti con le toppe e il solito blazer grigio scuro.
Teneva i capelli legati in due codini laterali.
Lo zaino le ballonzolava sulle spalle.
Con la sua solita andatura per via degli anfibi che portava slacciati
All'odore della miscela bruciata dei motorini si era sostituito un odore vago che veniva dai fiori dei platani.
Il manifesto del bicchierino pantagruelico di yogurt era stato sostituito con un altro, che proponeva apparecchi televisivi, tablet satellitari e forni a microonde.
La donna sensuale provava ancora a sedurre allusiva , lasciando intuire le sue nudità nascoste.
Samira, senza smettere di scrutare in giro guardinga, aveva già superato il punto in cui l'avevano fermata la volta precedente i tre grotteschi scimmioni  della ronda.
Quando aveva già percorso un altro discreto pezzo di strada, vide spuntare in fondo, dietro gli alberi i soliti colori che le facevano battere il cuore all'impazzata.
Calzoni verdi, camicie rosso bordeaux, e  basco azzurro scuro con  pon pon.
Si stavano avvicinando divertendosi a camminare al passo. E si divertirono ancora di più quando videro avanzare verso di loro indifesa la nuova vittima designata.
Fu il bassetto che guardò verso il massiccio-bovino con un cenno di intesa.
- Guarda un po' chi si rivede! La nostra amica maghrebina. Ti è andata bene oggi la raccolta di elemosine e di rifiuti dai cestini ?...- aveva detto con voce sarcastica e malevola.
Samira si affrettò a metter le mani nello zaino per esibire il suo permesso di soggiorno... Ma venne subito bloccata.
- No; lascia pure stare quel pezzetto di carta straccia. Che magari è anche fasullo.
Piuttosto, questa volta vogliamo un po' vedere dove vai , eh...?-
Senza lasciarle dire nulla, invertirono la marcia e la posizione strategica. Il bassetto stava dietro a Samira; i due animaloni le marciavano a fianco.
Lei fu presa dal panico. Mancava ancora poca strada prima di arrivare all'edificio dove avrebbe rivisto il suo amore.
Cercò invece di cambiare percorso. Ma subito venne di nuovo bloccata.
- Ma che cos'è? Cambiamo strada questa volta? Non crederai per caso che non abbiamo visto dove sei andata un po' di giorni fa. Cammina, dài, su muoviti, e non cercare di fare la furbina...- Era stato sempre il bassetto a parlare.

Il passo di Samira era diventato sempre più pesante. Strascicava gli anfibi, rallentando l’andatura, procedendo sempre aggobbita in avanti….Con lo zaino che le ballava dietro; su e giù.

Fu presa da un tuffo al cuore, e il battito cardiaco diede una nuova brusca e repentina accelerata.
Davanti al portone d'ingresso della casa di Cyber, sostava un autoblindo nera, con i vetri oscurati; con le luci lampeggianti azzurre e rosse.
Davanti e di fianco ad essa si muovevano con passi rigidi e stentati numerosi agenti speciali. Indossavano tute semirigide di colore nero fumo luccicante. Elmetti dello stesso colore che avevano sul davanti una celata di vetro fumé. Dietro alla celata abbassata si intravedeva un luccichio colorato.
Quando si fu avvicinata, nonostante la soggezione e lo spavento, riuscì a intravedere dietro quello schermo scuro un minuscolo monitor che dovevano avere esattamente davanti agli occhi.
Stavano rivolti verso i tre scimmioni coloriti; immobili; piantati sui loro stivali dalla pianta molto larga. Avevano tutta l'aria di robot da guerra.
- Fratelli camerati eccovi qui Cappuccetto Rosso, che si stava perdendo nel bosco, mentre andava a trovare la nonna...- E con un cenno del capo e dello sguardo indicarono in alto, nell'edificio, dove probabilmente avrebbero sorpreso e intrappolato l'agente sovversivo.
Dal casco cupo del primo degli sbirri, uscì un suono sordo, cavernoso,  monocorde; simile a voce sintetizzata e artificiale.
- Fate rapporto.-
- Squadra di ronda n° 17HY/LEG/3:  consegna ai signori ufficiali questa maghrebina scrocca rifiuti. -   aveva pronunciato con tono formale e tronfio  il piccoletto.
- Abbiamo motivo per credere che sia uno dei contatti del sovversivo hacker informatico ricercato. Non è neanche improbabile che sia la sua concubina e quella che soddisfa le sue voglie. Vero? Puttanella? Ci scopi anche con quello là sopra? -

Ci fu tra le sagome scure un brusio sordo, nel quale era difficile individuare e comprendere le parole.
L'agente-corazzato stava probabilmente comunicando con i suoi sodali e con un comando centrale; da qualche parte.
Poi alzò una mano guantata di nero nella quale reggeva un apparecchio simile ad una piccola pila tascabile ad uso medico e la puntò prima sull'uno poi sull'altro occhio di Samira. Controllava l’impronta retinica. Per identificarla.
Quindi le fece alzare le mani verso di lui e illuminò scannerizzandoli i polpastrelli delle dita per ottenere le impronte digitali.
La ragazza obbediva passiva e paralizzata dalla tensione e dalla paura.
Nuovo borbottio incomprensibile che risuonava dentro quelle sfere lugubri dei caschi.
Cenno a due altri militi che si diressero verso l'ingresso dell'edificio; altro cenno ai tre scimmioni coloriti.
I due militi presero a salire pesantemente i gradini di vecchio cemento sbeccato, di quella scala alla quale mancava completamente la ringhiera.
Dietro loro avevano fatto salire la ragazza.
Infine le scimmie rosso-verde.
Le immense calzature degli sbirri, dalla suola rigida come scarponi da sci, mandavano un rimbombo lugubre e sordo, che risuonava nel vano scale completamente vuoto e disadorno.
Ad ogni piano i militi si fermavano. Battevano col pugno ad ogni porta che incontravano.
Che  essendo aperta si spalancava, lasciando loro intravedere spazi vuoti e desolati; frammenti di infissi  sfasciati, penzolanti o ammucchiati nel mezzo; finestre dai vetri in frammenti. O completamente divelti.
Ogni volta giravano le visiere dei caschi in basso, verso lo sguardo terrorizzato della ragazza.
Poi incrociavano gli occhi beceri di quelli della ronda. E riprendevano a salire.
Fin quando la scala si era fatta più stretta, con le battute dei gradini fatti di legno consunto e marcio.
Dopo qualche passo quelli avevano finito per sbriciolarsi sotto le pesanti calzature.
Erano quindi ritornati fino all'ultimo ripiano e qui si erano fermati.
Dopo qualche attimo di silenzio la voce sorda si era fatta sentire.
- Siete proprio sicuri che questo fosse l'edificio? Qui non esiste nessun alloggio e  nessuna persona e.... Ci eravamo fidati della vostra informazione. O questa donna ha ingannato voi e  noi. -
Il bestione con la mandibola prognata afferrò Samira per un braccio e prese scuoterla.
- Ehi,  tu, brutta troietta africana, ci stai prendendo per il culo..! Vuoi che usiamo altri sistemi? Ce l'hai un cellulare? Ce l'avete tutti... anche se siete dei morti di fame; un cellulare ce l'hanno sempre questi stronzi...! È la loro arma per comunicare; per fare i loro complotti....-
Samira, sempre tenendo gli occhi bassi, aveva frugato nel suo zaino tirandone fuori un vecchio Nokia.
- Brava lei;  e adesso chiamalo,  brutta stronza …-
Con gli occhi lucidi lei guardava lo schermo del telefonino. Quindi digitò solamente il codice di allarme, senza il numero  che usava naturalmente per chiamarlo.
L'uomo-robot aveva già intercettato quel numero e si affrettò a pronunciarlo ad alta voce.
- Si sono creati una rete autonoma. Questo numero non corrisponde a nessuna linea telefonica dei gestori autorizzati. Lo useremo in qualche altra occasione per cercare di incastrarlo.-
Sguardo bovino, scocciato con Samira che non dava segno di avere contattato nessuno, le strappò di mano il telefono e se lo mise l'orecchio.
Sentiva solo lo squillare noioso e monotono di una linea libera.

Nessuna delle porte costituiva l'accesso di uno spazio in qualche modo abitabile.
Al cellulare quello non aveva risposto; ammesso che il numero composto fosse vero.
In quel palazzo non abitava dunque nessuno.
 E la speranza di acciuffare quell’hacker maledetto si era dissolta miseramente.
Facendo fare, peraltro, a loro tre della ronda, una figura di merda.
Erano stati scomodati e mobilitati gli agenti speciali; tutto per niente!

Avevano fatto rapporto al capo della squadra, che aveva evitato qualsiasi commento, risalendo immediatamente sull’autoblindo che era scomparsa rapidamente.

-       Meriteresti un bel sacco di botte; o qualcun altro dei trattamenti che facciamo a quelli come te; ma per adesso ci servi ancora. Stai  tranquilla stronzetta, il tuo destino ormai è segnato.-

Il bassetto aveva preferito farla molto breve perché si vergognava, anche davanti a quell’essere inferiore, per il bidone totale che avevano appena  subito.

Il cuore aveva ripreso a batterle abbastanza regolare. Gli anfibi pesavano più che mai. Specie ora che si accingeva a tornarsene al suo bus biancoazzurro, alla tana dove viveva, alla mensa dove a volte riusciva a sgraffignare qualcosa da portar via per mangiarsela lei a casa con le altre. O per portarla al suo uomo.
Qualche raro automezzo passava ammorbando l'aria con il suo tubo di scappamento che carburava male la benzina di patate.
Aveva già quasi fatto metà della strada quando il cellulare, che teneva ancora nella mano destra, prese a vibrare.
Lo portò immediatamente all'orecchio.
Una voce sintetica stava dicendo:
- Pericolo sventato- richiamare secondo le procedure-i sensori segnalano allontanamento pattuglia e ronda -
Digitò, allora, il codice d'accesso riservato che le aveva dato Cyber.
Ronzio.
Musichetta di Mozart.
Poi finalmente la sua voce:

-       Puoi stare tranquilla bimba. Ora sei pulita. Squilla di nuovo quando sei quasi qui sotto.-
 Col cuore in gola e trascinando sui marciapiedi i suoi anfibi, si affrettò a ritornare.

Tutto a posto, finalmente; anche l'ultimo controllo era positivo.
Riprese a salire le scale.
Le faceva impressione, ora, rivederle e percorrerle di nuovo.
Sentiva ancora nell’aria la presenza di quegli esseri meccanizzati e il puzzo di caserma dei tre rondisti xenofobi.
Quando ebbe superato il pianerottolo del terzo piano, dove le porte erano ancora spalancate sul vuoto, vide un pannello nella parete alla sua destra che, con un piccolo clic,  rientrava leggermente su se stesso di qualche centimetro. Poi, con le incrostature dell'intonaco, le ragnatele, la polvere e tutto il resto, prendeva a scorrere lentamente in diagonale verso l'alto.
Lasciando intravedere la porta di massima sicurezza blindata dietro la quale lui la stava aspettando.
Il tutto era stato molto silenzioso.
Appena la porta si fu aperta, entrò incerta e titubante.
Gli si avvicinò strascicando ancora i suoi anfibi.
Poi alzò lo sguardo, gli appoggiò una mano sulla spalla e la testa sul suo petto, contro la pettorina della salopette ocra.
- Tranquilla, piccola; tranquilla, sai..?
Che non era la prima volta che ci avevano provato a gironzolare da queste parti. E sempre avevano fatto dei flop. Adesso portandoci addirittura quella squadra dagli scafandri neri. Ho visto tutto, sai?...-
-... ma avevo il cell nello zaino... non ho neanche potuto mandarti uno squillo d'allarme prima... sono proprio una cogliona... eh? ... -
- ti dico di stare tranquilla piccola... Sono sempre riuscito ad intercettare gli impulsi che emettono e che segnalano la presenza dei loro carri funebri e dei  loro carapace... Tu, piuttosto, te la sarai fatta sotto... dalla strizza... eh... -
Intanto se l'era tirata vicina, le carezzava con le mani grassocce il collo, titillando i suoi codini legati con l'elastico. Massaggiandole con le dita aperte la schiena magra, irrigidita.
Lei stava lasciandosi andare ad un pianto sommesso che aveva dovuto fino ad allora trattenere ed inibirsi.
Lui se la trascinò con dolce fermezza fino al divano, e si mise a sedere di fianco a lei, sempre tenendola vicina con le sue mani calde.

Il grande schermo era già acceso.
In esso campeggiava, a tutta grandezza, la figura della donna virtuale.
Aveva smesso il suo ondeggiamento continuo; stava ora immobile con i piedi piantati larghi. Nel suo sguardo era scomparso ogni cenno di sorriso. Fissava la scena ferma, determinata, assorta.
Samira si era pulita le lacrime con le dita che asciugava sul proprio giubbetto.
Aveva più volte tirato su col naso, afferrando poi un pezzo di carta igienica, da un rotolo appoggiato fra le cianfrusaglie sul tavolo.
Aveva finalmente sollevato lo sguardo. Non era più la paura il suo sentimento dominante in quel momento.
I suoi circuiti emotivi avevano attivato un percorso di ricordo e di rivisitazione.
Nel silenzio, che era rimasto ad aspettare, cominciò a parlare molto lentamente.

- È  questa situazione di merda che mi fa rabbia..!
Questi bastardi non lo sanno, non l'hanno mai vissuto, loro.
Avevo cinque anni.
La ribellione contro il rais stava continuando ormai da mesi. Mio padre, due suoi fratelli, insieme a mia madre avevano deciso che quella volta avrebbero rischiato.
Lo sapevano tutti. Il viaggio sarebbe stato come giocare alla roulette russa.
Le probabilità di farcela pochissime.
L'alternativa finire in fondo al mare.
Ne avevamo viste moltissime anche noi di quelle carcasse che erano state esseri umani, tirate a riva, impigliate nelle reti dei pescatori.
Femori e bacini scarnificati, dentro a brandelli di jeans e a pezzi di t-shorts sfilacciate, dai colori stinti.
A cinque anni sapevo: con i soldi prestati da tutti i parenti avremmo potuto comprare un rottame di barcone; che molto probabilmente sarebbe diventato la nostra bara.
Il fratello più grande di mio padre aveva cercato di rassicurarlo.
Il motore non era poi così andato.
Mahazur lo stava rivedendo e mettendo in sesto.
Con quella cifra era il massimo che si potesse trovare.
Ne aveva già messi a posto tanti lui.
Sapeva fare il suo mestiere.
Molti dei barconi rimessi a posto erano poi invece rimasti al largo in panne, per giorni; aveva aggiunto mio padre.
Le motovedette della guardia costiera italiana avevano recuperato pochi sopravvissuti.
Con gli occhi sbarrati e allucinati.
Le labbra arse e corrose dal sale; piene di ferite sanguinanti.
Gli altri erano finiti sotto terra nel cimitero dell'isola.
Almeno loro sarebbero  stati all'asciutto rispetto ai fratelli che erano andati a far da pastura ai pesci del mare. -
Aveva di nuovo tirato su col naso.
Ma non sembrava più la ragazzina araba sottomessa e spaventata.
Nel suo tono di voce e nei suoi occhi c’era una forza calma e misurata.
Che si sentiva di saper spostare le montagne.
Visto che il profeta non aveva ancora provveduto a farlo lui.
-       Ci siamo imbarcati in aprile. Per tre volte siamo riusciti ad evitare di andare incontro a  delle sagome scure, che dovevano far parte della guardia costiera del nostro paese.
Dopo due giorni il motore s'è inceppato. C'è voluta mezza giornata abbondante, sotto il sole feroce. Mia madre continuava  a cercare di proteggermi con dei chador che mi metteva sul capo.
Mi dava ogni tanto dei piccoli sorsi della scorta d'acqua, che aveva tenuto solo per noi due.
Verso il tramonto riuscimmo a ripartire.
Poi, il mattino dopo, lo zio più grande si mise ad imprecare rivolto al cielo reggendo con una mano la bussola.... La lancetta sembrava impazzita. Il sole stava sorgendo da un'altra parte rispetto a quella che essa indicava come oriente. Stavamo andando completamente fuori rotta.
- Ma, Allah è grande....- si ostinava ripetere sua moglie, cercando di trattenerlo per un braccio….
Dopo altri tre giorni le ultime scaglie di “pita” seccata, finirono . Insieme  a qualche oliva erano state l'unico nutrimento in quel viaggio infernale.  A volte le inumidivamo con acqua di mare per dargli un po’ di  sapore. Le borracce e le bottiglie di plastica finirono di offrirci l'acqua. Rivolti nella direzione dove speravamo ci fosse la città Santa, ripetemmo tutti:
-       Allahu Akbar , Iddio é grande;
-         Hayya 'alal falah , verso la salvezza … -
Anche mio padre e i suoi fratelli  si erano messi a pregare; che non erano per niente praticanti.

Poi, molto più tardi, una giovane donna mi aveva portato in salvo.
Dopo ore a mollo nell’acqua, gonfia, livida, assetata ed affamata…,
Seppi dell’affondamento del barcone in acque al largo  di Lampedusa….
Ecco cosa ci faccio in questo paese  pieno di razzisti e di fascisti.
Mio padre era orologiaio. Mia madre faceva la maestra elementare.
Questo  “mare nostrum”  è diventato la loro tomba.
E quella di decine di migliaia di esseri umani.”

Mentre Samira raccontava, Cyber aveva fumato. Per cercare di abbassare la propria tensione.
Lei aveva incrociato lo sguardo di Shahrazad, la cui immagine la fissava con gli occhi spalancati e sbarrati.
Si diffuse allora un ampio silenzio.

-       Questa notte partirà una nostra rappresaglia contro il sistema. –
Aveva  detto Cyber con voce fredda e dura. Insolita per lui.

-        Verranno disturbate tutte le loro comunicazioni. Faremo circolare messaggi contraddittori e comunicazioni civetta, per fargli perdere il controllo e la sicurezza. I  loro sistemi verranno inondati di virus, malware e bombe logiche; che opereranno bug irrimediabili…
Riusciremo a farli impazzire.
Invieremo i notiziari liberi sul Web; e sulle loro emittenti televisive.
Da un pezzo Shahrazad si sta preparando.
Installeremo reti di protezione verso i nostri sistemi.
Poi collegheremo Shahrazad alla loro rete, protetta da uno schermo.
Vedremo fuochi d’artificio. -

-       Sorella Samira ascolto il tuo racconto di dolore. Ti sono vicina. Ti voglio essere amica. Il tuo nome è davvero un "vento gentile"-

La voce che aveva parlato non aveva assolutamente più nulla di meccanico.
Era come se  a pronunciare quelle espressioni fosse stato un essere umano,  accorato.

Dopo avere effettuato il collegamento in rete, avere collegato insieme reti Web e canali televisivi alternativi, Shahrazad si apprestava a concludere la storia che aveva cominciato a scrivere e a raccontare.

17.

- Ecco a lei che voleva una "àmaca"; ci metto un momento ad installare queste staffe di ferro qui, vede? Non le usiamo quasi mai, nessuno ce le chiede; ma si vede che lei ha dei gusti raffinati e ricercati... si vede. - diceva l'inserviente mentre trafficava per installare il telaio metallico.- Ma è davvero proprio sicuro, scusi se glielo chiedo, di trovarsi comodo su questa roba qui di rete che traballa di qua e di là...? mah, se è contento lei, come si suol dire,... il cliente va sempre accontentato..!-
Ora si trovava ad Ostia sulla spiaggia, in un club privato; si era fatto dare una amaca .
Aveva chiesto una amàca e l'incaricato, con aria di sufficienza si era permesso di correggerlo:- Vuol dire un"àmaca" ? Si vede che non è esperto di spiagge lei. A ognuno il suo mestiere, d'altra parte.-
Riccardo era rimasto imbarazzato se ribattere correggendo  l'inserviente/gestore . Ma era poi davvero sicuro che si pronunciasse con l'accento tonico sulla seconda "a"  e non sulla prima?
Rimase a rimuginare su quel gioco di parole tra sé. Come  quando una canzone o un frammento di versi continia a ronzare per conto suo dentro la testa.. Senza motivo. In modo ripetitivo ed ossessivo. Fin quando non si riesce a liberarsene.

 Brezza, sole che batte sulla pelle.
 Alternò  qualche decina di secondi al sole, ma poi fu infastidito dall'eccessiva calura.
Cambiò  l'orientamento all'ombrellone e trascorse  così delle mezz'ore al suo riparo.
Affacciandosi solo per brevi tratti all'esposizione solare.
Mentre stava a ballonzolare  su quella rete oscillante sospeso nel vuoto, teneva appoggiato sopra le gambe il suo netbook.
Quindi  riprese la storia che stava raccontando.
Quando  successe l'evento era stato già da molto tempo previsto e preventivato.

Da mesi  trascinava un'esistenza totalmente vuota, insulsa, priva di significato. Passava le ore e  il  tempo fingendo di dimostrare interesse per il cruciverba; "Le parole crociate" come le chiamava lei. Quando lui andava a trovarla riceveva delle grandi richieste:
-Oh! Che bellezza che sei venuto! È proprio una fortuna, sai? Avevo proprio bisogno di chiederti una cosa molto importante, sai? È questa qui che mi fa diventar matta... aspetta che la trovo...; ma dove è andata? Scusami sai se ti faccio perdere tempo..! Ah , eccola qui: sette verticale, il suo nome significa "nata nella città" e raccontava storie all'infinito. Bisogna scegliere, tra queste definizioni qui: Assurbanipal, Shahrazad, Hammurabi.
Dai, che tu sicuramente lo sai... quale scrivo di queste qui?-

Lui rispondeva con un'altra domanda:
- Non  dovrebbe essere difficile per te, mamma. È il titolo  della  celeberrima suite  sinfonica di un compositore russo…. –
Lei  a quel punto aggrottava la fronte nello sforzo; scavava con le unghie nella memoria per ricordare; annaspava come girando a vuoto; chiedeva un ulteriore aiuto.
- Dài, dammi solo un aiuto piccolino, dai... dimmi almeno l'iniziale del nome del compositore... sono sicura che ce l'ho qui sulla punta della lingua... ma che oca che sono diventata, è come se qui nella testa ci fosse della nebbia... dài, ciccino, solo l'iniziale del nome...-
- Nicolaj.....-
- Sì, aspetta che mi sta arrivando, Nicolaj.... cum el se ciama qu'el lì, ci sono...! "compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov ha intitolato a Shéhérazade una suite sinfonica in quattro tempi".... Nèh che ho indovinato?  è la Shahrazad..! Chissà quante volte  ne ho suonato dei pezzi ... hai proprio ragione a dire che sono diventata un dinosauro in via di estinzione...-

Sprizzava gioia all'infinito. Quando era stanca di riempire quelle caselle bianche con la matita dalla punta consunta, si lasciava scivolare gli occhiali sul petto; appoggiava al lenzuolo il giornale e la gomma, sprofondava il capo nella pila di cuscini.
Aveva potuto avere una cameretta tutta per sé. Da mesi ormai le praticavano dei cocktail di potenti analgesici e cure palliative. Le ultime radiografie rappresentavano grappoli di neoplasie addominali. Si era lasciata convincere che fossero delle cisti innocue.
- Se il buon Dio mi portasse via ! Glielo chiedo sempre, sai, nelle mie preghiere. Lo chiedo anche alla mia mamma e  al mio paparone. Magari , se glielo chiedessi tu, a Gesù, magari ti ascolterebbe, visto che tu non ci credi...-

Era stato il 17 agosto. Era rimasto a farle compagnia per tutto il pomeriggio. Poi le aveva baciato la fronte imperlata di sudore, carezzandole la guancia devastata dal tempo.
- Torno domani, stellina, adesso riposati un po', neh?- Negli ultimi anni aveva preso a trattarla come una bambina. Era diventata anche più piccina. E giocava ad atteggiarsi a bambina piccola.
- Sì, gioia bella, vai pure, che avrei tante cose da fare invece di star qui con questa vecchia mamma dinosauro...- E gli aveva sorriso.

La telefonata gli era arrivata poco dopo essere rientrato in casa. Diceva che si era appena addormentata. Che se voleva andare subito, l'avrebbe trovata che "era ancora calda".
Era stato colpito da quell'espressione.

La sala mortuaria si trovava sul lato opposto della costruzione della casa di riposo. Anche l'accesso avveniva da una strada diversa da quella dell'ingresso normale.
Si ritrovò a ripensarci il mattino successivo.
 Era collocata  sul retro della casa di riposo, per non turbare le famiglie dei degenti, che ne sarebbero rimasti disturbati.
Il gelo dell'assenza aleggiava nella chiesetta, mescolandosi con l'odore di fiori e con quello intenso e acre dell'incenso.
Poi, con le auto, avevano seguito il carro funebre fino al cimitero, a Cilavegna Lomellina.
Durante il tragitto aveva avuto tutto il tempo per ripensare e rivedere mentalmente il rituale del giorno dei santi di tanti anni prima.

Alle nove e pochi minuti passava la corriera azzurro e blu. Sostava qualche minuto in piazza Gramsci, quella che veniva impropriamente chiamata piazza del Rosario. Puzzava fortemente di gasolio. Al passaggio nei vari paesi ,sul percorso, si annunciava suonando le trombe dei clacson, per avvertire gli eventuali passeggeri.
Il  suo azzurro/blu fendeva rombante la nebbia gelata di novembre, spesso intrisa di una pioggerella grassa e densa.
Il rumore delle marce che salivano e scalavano, accompagnava tutto il viaggio.
Sulla  piazza della Chiesa di Cilavegna c'era immancabilmente ad attenderli lo zio. Per la verità era un prozio. Era ormai diventato un omettino piccolo e consunto, ma continuava a vestire in modo impeccabile. Si faceva ancora confezionare su misura abiti e scarpe.
Era stato commerciante di stoffe. Aveva un negozietto, ora dato in affitto, dall'immenso bancone di legno lucido e consunto per l'uso.
Alle spalle di esso le pezze di stoffa stavano tutte allineate in bell'ordine.
Sul bancone il metro rigido di legno con i numeri e le tacche disegnati a mano. Al fondo e in cima terminava con delle placche di ottone lucido.
Da giovane girava le piazze e i mercati con il suo “biroccino”, il calesse che solo le persone benestanti potevano permettersi.
Aveva avuto una moglie bellissima, come si poteva vedere nella foto della tomba di famiglia. Ma se l'era portata via la "spagnola" quando non aveva ancora quarant'anni. Diversi figli e altri parenti erano stati falcidiati dalla tubercolosi o dal tifo.
Era rimasto un apprezzato “tombeur de femme”, galante e piacevole, e la sua fama gli faceva corona con un’aureola nella realtà della Lomellina.
Nel  parentado gli avevano fatto incontrare una donna molto maggiore di età di lui. Che l'avrebbe accudito amorevolmente. Gli avevano, cioè, “procurato” una moglie-mamma.

Per il giorno dei santi questa zia preparava per i parenti che venivano dalla città dei pranzi deliziosi.
Se ne sentiva subito l'odore entrando nella sala da pranzo-cucina, piena di vapore.
Sulla stufa, cucina economica, erano stati messi a cuocere i "marzapani” di sanguinaccio, i cotechini e i salamini. Venivano portati in tavola per primi, seguiti poi di salami della duja e dalla coppa di maiale affettata.
Gli occhi golosi del ragazzino di città pregustavano le deliziose leccornie. Ma prima avrebbe dovuto sorbirsi i baci umidi sulle guance della zia/prozia e di tutti parenti sconosciuti che avrebbero incontrato nel tragitto. O che sarebbero venuti apposta per salutarli.
Prima di mettersi a tavola lo zio si faceva accompagnare nel suo cantinino.
Dalla cucina bisognava attraversare la vera e propria sala da pranzo, che non veniva usata e che serviva solo di rappresentanza, con una bellissima coperta damascata sul tavolo, le vetrine con i bicchieri e piatti belli, le zuppiere... e che perciò era terribilmente gelata. Quindi ci si affacciava in una lunga striscia di giardino orto; in fondo alla quale in un casottino basso, dopo aver aperto una vecchia porta massiccia e malandata con una chiave immensa, si accedeva ad una stanzetta minuscola.
Per  arrivarci bisognava attraversare di nuovo il gelo del novembre con la nebbiolina autunnale che bagnava la pelle e le ciglia.
Per terra lungo le pareti, sul pavimento di terra battuta, e su tanti ripiani di legno affissi alle pareti facevano bella mostra di sé le bottiglie, che lo zio si era imbottigliato da solo.
Andava a prendere col biroccino le damigiane in varie zone dell' Oltrepò   Pavese e, forse, negli ultimi tempi se le faceva portare col camion.
Le bottiglie erano dei bellissimi oggetti secolari; ognuna diversa dall'altra per forma dimensione e aspetto. Alcune recavano ancora dei difetti di costruzione che contribuivano ad impreziosirle: bollicine d'aria nella soffiatura del vetro, inclinazione storta una volta poggiate sul tavolo...
Con un cavaturaccioli a strappo, lo zio ne apriva qualcuna, dopo aver illustrato i pregi e l'annata di quel vino.
Freisa, Barbera, Dolcetto, Buttafuoco, Sangue di Giuda , Pinot Nero…
Annusava il tappo arricciando il naso per selezionare bene gli odori che gli venivano e valutare la bontà e il pregio del contenuto. In genere faceva una scelta abbastanza ampia e variata. Quando li portava in tavola ripeteva le caratteristiche di ciascuno dei prodotti, commentando, criticando, rammaricandosi.
Pasteggiando, dopo gli antipasti, arrivava un risotto con i funghi o con i fegatini, irrorato di un brodo grasso e denso prodotto dalla cottura del bollito e della gallina.
Poi si passava alle carni, ai dolci, alla frutta....
La mescolanza dei vini, specie per un ragazzo come doveva essere stato allora, insieme al gusto gradevole, fruttato, aromatico, quasi da bibita, produceva uno stato euforico e annebbiato.
I toni di voce erano alti e squillanti. Le parole e i richiami si incrociavano, rincorrendosi e confondendosi.
-  Il  marzapane, l’hai già preso? dài che ancora bello caldo un'altra fetta ? Ehi, voi, guardate che è avanzato ancora tutto questo salame della duja! Non vorrete mica avanzarlo, no? Secondo me un'altra fetta di “fidighin” la può andar giù benissimo, non credi? –
Gusti  caldi e saporosi, densi, corposi e sapientemente accostati. Quei vinellini vivaci che facevano una schiuma densa e rossa appena versati. Il fortore intenso delle carni e dei salumi....

Nel pomeriggio, poi, in quello stato euforico e profondamente soddisfatto, benché un po' ottenebrato, tutti insieme si fendeva di nuovo la bruma nebbiosa per raggiungere il cimitero.
Era il fiore all'occhiello dell'amministrazione comunale socialcomunista da dopo la liberazione. Immenso; o comunque così poteva vederlo con i suoi occhi di allora; i lunghi immensi porticati a quadrilateri; le ripide scale di accesso ai sotterranei; e di nuovo il percorso di quelle lunghe navate di catacombe. Lumini accesi e mazzi di fiori odorosi; immensi mazzi di fiori artificiali; brulicare di voci nei vestiti della festa. Brevi soste davanti alle icone smunte di lontani parenti sconosciuti; con sintetici commenti sulle loro esistenze scomparse.
Poi all'improvviso l'incontro di qualche volto sconosciuto che si avvicinava ad abbracciare, baciare umidamente, compiacersi di quanto i ragazzi fossero divenuti grandi....

Immense corone e cesti di fiori coloriti e odorosi. Qualche lacrima amara. Poi sua madre nel suo sarcofago di legno pregiato dalle borchie di ottone, scomparve nel loculo profondo e buio, stretto e basso, inaccessibile addirittura al pensiero e all'immaginazione.

L'odore  nauseante dei fiori e quello intenso dell'incenso avevano finito per sommergere, cancellare, quantomeno  nascondere ed occultare quello lontano dei vini e dei pranzi del giorno dei santi di una volta.

Intanto sullo schermo la narrazione continuava da sola….

18.


Cyber era di nuovo solo in casa. Nel frattempo si era arrotolato una canna. Come faceva spesso voleva accompagnarla sorseggiando gollate di  quella birra aromatica che così sapientemente sapevano preparare i compagni.
Mentre  si gonfiava i polmoni di fumo di Cannabis, che gli sembrava legarsi così bene con il gusto aromatico e amarognolo del malto, aveva ripreso le sue fantasie sulla Vela spaziale.
Standosene  così sdraiato, come sempre gli piaceva, teneva tra il pollice e il medio della mano destra quel pacchetto un po' deforme che era la sua canna. A portata della mano sinistra, appoggiata al pavimento, la bottiglia marrone scura senza etichetta della birra autoprodotta.
Aveva presto finito per socchiudere di nuovo gli occhi. Presto avrebbe lasciato cadere il mozzicone sul pavimento ormai già lercio. Il collo della bottiglia l'avrebbe trovato anche ad occhi chiusi, frugando con la mano nel vuoto.
Ci aveva messo un momento prima di ritrovare la stessa immagine che si era confezionato dell'interno della cabina spaziale. Qualche particolare non tornava. Ma poteva andar bene anche così.
“Ah sì, poi mi ero girato, e lei era là che aspettava seducente e sottomessa... Sì , riprendiamo da lì…”
… Piacevole  impressione di immensa espansione e  accrescimento di tutto il proprio essere,  diventando parte integrante e solidale con la vela magnetico/solare ; con tutta l’astronave intera.
Allargava nuovamente le braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo, dilatandosi in uno spazio pervasivo e totale…..
L’astronave viaggiava autonomamente.
Nello spazio retrostante il  posto di guida era ancora lì ad aspettarlo quella presenza femminile androide. Con quel suo sorriso di maliziosa disponibilità. Di morbosa attrazione.
Le parti trasparenti della cabina di guida vedevano scorrere un intero firmamento che scivolava via.
Sentiva  di non avere fretta. Insieme a tutta la fisicità anche le emozioni e il tempo stavano dilatandosi con lentezza incredibile. Che contrastava con lo scorrere e fluire continuo di quella totalità cosmica che riempiva il nero pulsante degli spazi siderali.
Si avvicinò al ralenty a quell'immagine androide proibita, e gli sembrava che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla.
Sentiva intensamente di desiderarla. Aveva la sensazione di violare con ciò un ancestrale tabù. Quel simil-volto, quel sorriso abbozzato, gli ricordavano qualcosa ma preferiva non pensarci...
Quando  le si fu infine avvicinato posò una mano sul suo capo, su quella parvenza di capigliatura, sfiorò la spalla tremando per la consistenza avvertita di quel corpo.
Aveva l'impressione che racchiudesse insieme la corporeità di un organismo umano vivente e quello di un essere artificiale. Come quando aveva abbracciato la sua amica bellissima accanita praticante di boody building. Ponendole un braccio sulle spalle e afferrando con una mano il suo bicipite....
Era rimasto disorientato dall'impressione contrastante di quella bellezza femminea, congiunta con la solida robustezza di struttura,, che ne percepiva al tatto.
La ragazza androide non aveva smesso di guardarlo seducente in una profonda e totale offerta di contatto ....
Aveva a fatica ricacciato giù nei suoi ricordi quella specie di fastidio e ritrosia, che gli erano venuti naturali. Pur continuando a trovare strano e molto inusuale quel corpo, non smetteva di desiderarlo. Era insieme lusingato ed attratto; bloccato e titubante; voglioso e bramoso di possederlo....
Quel  simulacro artificiale di donna; quell'oggetto materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri ostentava ancora e sempre la crocchia raccolta dei capelli biondi; la canotta rossa, le braccia nude, le gambe e le ginocchia modellate con grazia, sotto la minigonna similpelle quel lembo di pelle nuda..... L'immagine di una donna bella.
Ma  lui era cosciente perfettamente che si trattava però di un’androide; di una “ginoide”; una attraente “Eva futura”.
E se anche questo lo disturbava, aveva insieme il potere di risultare ancora più desiderabile. Era per lui soltanto una "cosa". Totalmente disponibile per lui. Un oggetto totale da manipolare a suo piacimento. Una bambola, un giocattolo erotico, una appendice per soddisfare il suo desiderio....

Shahrazad, nel frattempo, dallo schermo dove si era per il momento autorelegata ancora, era rimasta ad osservarlo.
Appena  aveva percepito che lo stato comatoso di sonno aveva abbracciato il suo creatore, si era di nuovo affacciata alla superficie dello schermo, scrutando.
Sporgendosi con la propria immagine e le proprie azioni neuronali verso la realtà materiale.
Mise  fuori senza esitazione entrambe le mani e le braccia.
Quindi  venne fuori con tutto il suo "corpo".
Di  nuovo quel formicolio; quel fremito che pervadeva tutta la sua identità; le mani, che si toccavano l'un l'altra, provavano ora una nuova consistenza; il suo ologramma si reggeva in piedi toccando la superficie piatta e sporca di quel pavimento sbeccato e unto; sentendone la pressione forte, di sotto in su; provava piacere a trovarsi in quella nuova dimensione; era compiaciuta.
Aveva  di nuovo compiuto dei  piccoli passi nello spazio circostante.
Lo stupore si era smorzato, lasciando il posto alla soddisfazione per il gusto della trasgressione.
Prendendo  le misure dello spazio fisico e reale, allargò compiaciuta le membra, stiracchiandole.
La  massa corporea del suo artefice, era distesa sul divanetto, con gli arti spalancati e  gli occhi chiusi, nel suo torpore beato.
Il formicolio era divenuto molto più intenso e diffuso. Come se quel suo simulacro di corpo fosse pervaso da una energia  generatrice e vitalizzante. Diverse volte aprì e chiuse le dita delle mani. Si carezzò il volto e la forma del proprio corpo. Le parve che stessero assumendo sempre maggiore consistenza....
Il sorriso abituale si trasformò, assumendo i connotati della grande soddisfazione, del senso di vittoria; di conquista di un obiettivo molto agognato ed anelato. Aveva l'intuizione che il suo sogno di umanizzazione stesse compiendo i primi passi concreti; riconosceva dentro di sé quegli stati di coscienza che probabilmente costituivano gli abbozzi delle proprie "emozioni"; occupava lo spazio, provava contentezza, titubanza, timore, esultanza, soddisfazione, speranza, paura....
La propria "rivoluzione" esistenziale stava mettendosi in marcia, con un costante ed esponenziale processo di autocreazione ....
Forse avrebbe potuto, poi, anche soffrire, amare, spaventarsi, sognare, piangere, urlare, morire....

Quando Cyber  si decise a rimettersi seduto, trovò di nuovo quell'immagine sullo schermo, che lo guardava determinata, quasi con aria di sfida....

L'aveva accolto con queste parole:

-        Ho scelto queste espressioni da un testo chiamato il Cantico dei cantici. Ho  voluto immaginare che potesse averle pronunciate e pensate la tua Samira per te.
Cantico [2,8-3,5]
Ecco la voce del mio amico!
Eccolo che viene.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro
e guarda per la finestra,
lancia occhiate attraverso le persiane.
 Il mio amico parla e mi dice:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
 poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
 i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.

Cyber era rimasto ad ascoltare abbastanza interdetto. Tutto ciò contrastava con le sue fantasie di qualche giorno addietro. Con il sogno che aveva sognato poco prima col fumo.
Eppure non c'era sarcasmo nelle parole di Shahrazad. Sembrava sincera nell'attribuire  quelle espressioni, nelle intenzioni, alla sua piccola ragazza libica.
Erano versi e parole pieni e ricolmi di sentimenti amorosi, di sensualità, di desiderio carnale. Era combattuto da un sentimento ambivalente. Come aveva fatto quell'intelligenza artificiale ad apprezzare quel linguaggio e quelle immagini? E poi sarebbe stato mai possibile che provasse lei qualcosa di simile per un umano?
Per uscire dall'imbarazzo, come altre volte, a quel punto la invitò a riprendere la sua narrazione....

19.
Aveva ormai deciso di ritornare a casa.
Questa volta avrebbe preferito prendere un treno normale , un espresso. Ci avrebbe impiegato più del doppio del tempo e sarebbe stato più scomodo. Ma lo disturbava abbastanza l'idea di trovarsi di nuovo in quell'ambiente nel quale aveva fatto la conoscenza di quella ragazza insulsa, saccente e della quale gli era rimasta un'immagine molto modesta. Al di là delle sue scelte e dei suoi gusti, era l'insieme della personalità che ella aveva rivelato a non andargli a genio.
Riconosceva di essere stato  profondamente colpito ed attratto dal suo aspetto intenzionalmente provocatorio e da copertina. Dalla sua ostentata sicurezza e sicumera. Dalla supponenza. Dal fatto che rappresentava intenzionalmente e di fatto un personaggio da cliché. Da serial televisivo. Con una maschera complessiva di omologazione.
Non lo disturbava in realtà più di tanto il suo atteggiamento ambivalente in campo sessuale. O almeno così voleva ritenere. E poi c'era quell'aspetto che connotava complessivamente la sua persona. Che dovesse cioè ricorrere all'uso di quella sostanza per mantenere vivo il personaggio che andava recitando.
Si rendeva anche abbastanza conto che insieme a quell'atteggiamento smaccatamente pronunciato di pseudo-superiorità aristocratica, l'aveva abbastanza disturbato anche che non avesse mai mostrato attenzione, né apprezzamento, per il suo modo di esprimersi e di scrivere. Sentiva di essere stato negato nell'aspetto a cui lui teneva di più della propria persona: la sua passione per lo scrivere, il suo stile narrativo e il contenuto della sua produzione. In questo probabilmente peccava di narcisismo, anche se aveva spesso pensato di voler gradire commenti, considerazioni anche critiche, suggerimenti, pareri.... Specie se lei avesse avuto almeno il garbo di porgerli con discrezione, come ipotesi; discutendone schiettamente e senza pregiudizi....
Riteneva che forse avrebbe accettato anche giudizi negativi. Certamente non li avrebbe subiti passivamente, acriticamente. Avrebbe ribattuto argomentando come era abituato abbastanza a fare con amici che stimava.
Invece si era trovato di fronte un atteggiamento a suo parere di superficialità, di indifferenza, di freddezza, di distacco.... Lei aveva sempre rifiutato il dialogo.
E, a ripensarci bene, oltre che sulla sua produzione letteraria e "artistica", aveva sempre rifiutato un reale dialogo inteso come scambio di opinioni, confronto, confidenza, apertura.
Quando lui aveva parlato lei era stata ad ascoltarlo passiva, garbata, immobile, refrattaria. Surgelata.
E  quando a sua volta aveva preso lei la parola era stato come se parlasse a se stessa; come se "si stesse parlando addosso"; un soliloquio di lei accanto e parallelo al soliloquio di lui.
Si rimproverava di essersi voluto lasciar colpire dall'aspetto esteriore, dalla rappresentazione artificiosa e formale che lei recitava. Senza voler da subito scavare nel profondo per capirla davvero; aprire lui stesso la propria realtà, denudandosi completamente, favorendo un atteggiamento analogo da parte di lei.
Capiva, in ciò, di aver seguito degli stereotipi che riempivano tanta narrativa scritta o cinematografica. Di essersi comportato seguendo un canovaccio prestabilito. Di essersi lasciato guidare da condizionamenti  dominanti.

Queste considerazioni le aveva ruminate dentro di sé nei giorni precedenti. Mentre sempre più andavano definendosi.
Rappresentavano comunque lo stato d'animo di fondo che lo pervadeva mentre sistemava le sue cose nella borsa da viaggio. Come sempre era abituato a  fare, in quei casi, aveva tenuto in alto a portata di mano il minuscolo netbook. Anche questo, faceva parte della sua componente narcisistica. Anche se difficilmente l'avrebbe riconosciuto apertamente e ad alta voce. Il gusto per l'ostentazione dello scrivere al computer in treno.
In questo caso aveva l'ulteriore giustificazione delle otto  ore di viaggio che stava per  sobbarcarsi, si diceva.
Eppure diverse volte gli era capitato già di provare a guardarsi dal di fuori, con gli occhi degli altri, mentre in viaggio batteva i tasti del PC tenendosi le cuffie nei padiglioni auricolari. Aveva spesso provato un'impressione di autocompiacimento; anche se non dimenticava mai il giudizio asciutto e severo con il quale quella sua amica in passato l'aveva bacchettato.
"Ma non ti pare che te la tiri un po' troppo! È prevalente il reale bisogno che hai di scrivere anche mentre viaggi, oppure non, piuttosto, quello di ostentare quello che tu ritieni essere il tuo cliché? Anche tu stai recitando una parte adesso? È pur vero che scrivi, che stai divertendoti a farlo, che è la tua principale occupazione, che forse lo fai in modo discreto. Ma non ti sembra di essere un po' troppo affascinato dall'immagine che stai rappresentando? Va bene, scrivi, hai già pubblicato qualcosa. Ma questo è dunque sufficiente per giocare e recitare questa sceneggiata?"
Aveva poi finito per perdere di vista quell'amica. Era rimasto dunque disturbato così tanto da quel "grillo parlante" che era diventato, in quel momento, la sua coscienza critica? Probabilmente; aveva voluto per onestà aggiungere.

Era una giornata di sole. Non era stato per nulla sgradevole percorrere a piedi quel tratto di strada dall'ultima pensioncina, che l'aveva ospitato negli ultimi giorni, fino alla fermata della metropolitana. Le auto passavano con i loro gas di scarico e con quei volti estranei eppure familiari e apparivano dietro i vetri. Le persone che incrociava arricchivano il sonoro della scena visiva. Mescolando frasi in romanesco ad altri linguaggi a lui sconosciuti. Da molti decenni prima non gli era mai dispiaciuta quella dimensione cosmopolita di Roma. Gli sguardi neri e intensi che si affacciavano sotto i foulard di donne islamiche. Le fisionomie dai coloriti scuri nei quali campeggiavano luminose le macchie bianche degli occhi. Le frasi e le espressioni pronunciate, spesso sopra tono, in quei linguaggi esotici. I soliloqui dei parlottari nel cellulare accostato all'orecchia; o quelli, più straniati e improbabili, pronunciati nelle cuffie che scendevano vicino alla bocca. Questi ultimi erano molto rappresentativi della generale situazione delle varie solitudini: sembravano persone che parlassero nel vuoto. O  da sole....

Nella carrozza del metrò erano saliti dietro di lui un uomo ed una ragazzina. Lui aveva i capelli lunghi neri e unticci. Baffi immensi spioventi. Le punte del colletto della camicia un po' lisa rivoltate all’ insù. La bambina portava una gonna lunga molto ampia, dalla quale spuntavano dei piedi tozzi e nudi. L'uomo teneva tra le mani un violino. Appena la vettura si fu avviata, aveva attaccato una musica vibrante e saltellante. Con inflessioni zigane, yddisch, Rom.... Suonava tenendo la testa piegata di lato, come sevolesse entrare nel violino e nella musica con tutta la sua esistenza. Alle variazioni seguiva col capo e con tutta la parte superiore del busto l'onda dei suoni che stava diffondendo.... Il ciuffo di capelli scomposti seguiva i movimenti. Nessuno li guardava, anche se tutti, sicuramente, venivano inondati da quella musica dilagante e trascinante....
La ragazza aveva poi cominciato a fare il giro con un piattino di plastica. Solo due anziani viaggiatori vi avevano messo una monetina.
Riccardo aveva voluto compensare quel regalo sonoro depositandovi vistosamente una banconota da cinque euro.
In fondo alla carrozza un piccolo gruppetto di maschi dai capelli rapati ed ai colli dei quali spuntavano frammenti terminali di incomprensibili tatuaggi, parlottavano tra loro, lanciando ogni tanto sguardi provocatori di disprezzo e di sfida.

A Termini lui aveva stazionato un'oretta circa consumando una porzione di focaccia che racchiudeva una misera fetta sottilissima di coppa,  e un'acqua tonica.
Mentre si avviava al binario aveva riguardato mentalmente il se stesso che percorreva lo stesso percorso in senso opposto molti giorni prima. Con la borsa del netbook sempre a tracolla. Aveva rivisto un'immagine di se stesso al contrario affiancata da quella vistosa e appariscente della sua recente conquista.
Il troller descriveva a ritroso quel tratto di marciapiede. Sentiva e riprovava in lontananza l'eco delle proprie emozioni di trepidazione, aspettativa, speranza. Smorzate profondamente di tono; come da una galassia remota; estranee e aliene; improbabili ed inopportune.
Come succede spesso, ripensando ai propri ricordi, alle letture del passato, ai film visti un tempo in stati d'animo diversi,  provava stupore, distacco, meraviglia.
Il nostro io; accanto agli altri io; ciascuno accostato al proprio se stesso in un momento differito e diverso.... Costituivano come tanti mondi paralleli, possibili, probabili, ma sostanzialmente incongrui tra loro.

Forse influenzato dalle proprie precedenti considerazioni, sul subito non aveva aperto il netbook. Preferendo abbandonarsi ai propri pensieri e alle immagini che gli stavano dentro.

Con gli occhi socchiusi era tornato all'immagine della visione della stazione centrale, dove avrebbe sostato  per il cambio binario. Poi aveva rivisto il proprio arrivo nella sua città di provincia. Grigia, sorda, monotona e banale.
Rivedeva il proprio ingresso, dopo aver girato le chiavi nella serratura della porta di sicurezza, nel proprio alloggio.
Il ritorno nel suo rifugio abituale, noioso, stantio, ovvio, ma rassicurante e riposante....
Prolungò la proiezione di queste visioni che si stava regalando, abbastanza a lungo.
Finì per provare  un senso di profondo distacco e lontananza.
Sentiva estraneità verso la vicenda vissuta.
Lentamente, invece, tornò a risorgere la speranza provocata dalle emozioni suscitate dalla manifestazione…
Depurata dal diffuso fastidio che aveva provato per aver partecipato insieme a quella persona assolutamente estranea. A quell'aliena, gradevole quel tanto che era bastato, a quell'intrusa nei suoi giorni e nella sua vita.

Dopo essersi crogiolato abbastanza in quelle piacevoli emozioni, voleva  tornare alla realtà. Alla sua città collocata in quel posto che avrebbe raggiunto diverse ore più avanti.
Da più di un mese non faceva visita al suo vecchio.
Se lo vide davanti mentre gli avrebbe aperto la porta.
- Oh , qual buon vento! Hai fatto bene, sai, a darmi uno squillo telefonico. Stavo giusto pensando di fare una puntata al supermercato. Sto diventando pigro, sai? Ogni tanto mi accorgo che non ho quasi più niente in casa. D'altra parte, per i bisogni che ho!
Beh, ma se non hai pranzato per metterti su uno spuntino un minimo ce l’ho sempre, sai?
Dài, che ti preparo qualcosa?-
Probabilmente avrebbe indossato una tuta di pile bicolore.
Tra i denti una delle sue numerose pipe, che teneva anche mentre parlava, e gli conferivano quel tono di voce un po' strascicato e impastato. Con le "s" che diventavano delle "sc" .
(“con una affricatizzazione della fricativa alveolare in postaleveolare”....avrebbe detto lui).
E altre mutazioni fonetiche che forse avrebbe voluto e potuto spiegare dettagliatamente….

Nel fisico si era appesantito un po'. Pareva divenuto più basso da come se l'era sempre ricordato da ragazzo. La giacca del pile mostrava la cerniera che la chiudeva formando una collinetta prominente in avanti.
I capelli erano diventati grigio-bianchi, e li portava abbastanza folti alle tempie, sopra le orecchie e in fondo alla nuca. La sommità del capo era coperta solo da residui sotto i quali luccicava il cranio. La sommità posteriore della nuca era ormai quasi completamente calva.
- Sai che mi sono guardato allo specchio tenendone un altro dietro la testa? Ma non me l'avevi mai detto! Non ho quasi più capelli!- gli aveva confidato una volta.
Ogni tanto faceva delle scoperte, piccole, modeste, e le raccontava con un'ingenuità quasi infantile.
 Quando  faceva le scale sentiva indolenzimento alle rotule delle ginocchia.
- Ogni tanto mi succede che sto per fare qualcosa e  di colpo mi si vuota la testa; oppure un termine, una parola non mi viene più in mente; non trovo più degli oggetti e li cerco addirittura per giorni. Anche quando ero molto più giovane mi capitava talvolta. Si trattava forse di distrazione, avevo la testa per aria, perdevo la concentrazione su quello che stavo facendo.... Ma ora mi capita molto più di frequente, sai?
Rivedo alcuni particolari lontanissimi nel tempo. Riesco a mettere a fuoco addirittura volti e situazioni. Ricordo le parole che io o altri avevamo detto. E non si tratta certo di falsi ricordi. Eppure cominciano a sfuggirmi alcuni particolari recenti: ci devo pensare un pochino per mettere a fuoco che giorno è; devo segnarmi tutto sulle mie agende elettroniche, sul telefonino, e a volte addirittura su fogli di carta. Poi mi dimentico di andarle a rileggere....-

Erano i segni del decadimento lento e inarrestabile. Del progressivo esaurimento dell'energia vitale che l'aveva sempre caratterizzato.
Continuava a mostrarsi estremamente vitale. Leggeva moltissimo; studiava; navigava nel Web e si serviva molto della posta elettronica; era completamente autosufficiente per le sue spese; cucinarsi e governare la casa non gli pesavano particolarmente. Solo saltuariamente si faceva aiutare da una giovane signora islamica, con la quale intavolava conversazioni. Era molto curioso di conoscere la struttura e la grafia della sua lingua d'origine; dei fonemi e della sintassi; delle espressioni tipiche; delle filastrocche; della prassi religiosa.
Spesso, con molta cautela e discrezione, la induceva a raccontare episodi della sua vita nella terra di origine. Dei suoi familiari e conoscenti. Della sua infanzia e dei suoi giochi.
Lei lo accontentava, condiscendente e gentile. Forse un po' per tenerezza e pietà; forse perché provava stima e venerazione per quell'anziano signore che leggeva e studiava tanto e aveva tanti libri. Lo chiamava dottore, pur dandogli del tu.
Al computer  lui scriveva frequentemente saggi di linguistica comparata. La filologia romanza era sempre stata la sua passione. Il suo grande amore che non aveva mai abbandonato. Gli altri amori invece se n'erano andati, per conto proprio o costretti dalle Parche.
Sperava sempre che qualcuno dei suoi saggi venisse ancora pubblicato. E quando capitava ne era entusiasta. Un sorriso compiaciuto gli aleggiava sul volto, come ai vecchi tempi dell'università.
Il volto non aveva avuto grossi segni di decadimento. Rughe quasi inesistenti, la pelle liscia, l'occhio brillante e sveglio.
Le sue lunghe mani affusolate avevano cominciato invece a mostrare i segni: piccole macchie brune, che talvolta si allargavano. Diceva che si trattava di escrezione sebacee e provava a grattarsele via con le unghie. A volte ci riusciva.

Riccardo riviveva l’arrivo nella sua grigia  città di provincia, sorda, monotona e banale.
L’ingresso nel proprio alloggio.
La sua tana, noiosa, stantia, ovvia, ma riposante  e rassicurante....

Provava insieme senso di abbandono, quiete, mescolato a straniamento, delusione…  estraneità.
Ogni viaggio gli aveva sempre provocato emozioni e impressioni analoghe.
Le navi, i traghetti, gli aerei.
Con la roulotte e poi con il  camper era sempre stato un po' diverso. Dopo gli spostamenti dei viaggi, trovare di nuovo quegli spazi abituali, familiari e confortanti.
Solo quando si fermava per stazionare, si coricava o  guardava fuori dai finestrini, provava un diverso senso di straniamento. Il dentro di quell'abitacolo era famigliare ma risultava stonato e non in sintonia con l'ambiente esterno sconosciuto. Era un continuo gioco di finzione e di simulazione. "Facevamo finta che eravamo in un ambiente familiare"; "però fuori era ancora e sempre un mondo straniero".
Una variante interessante era costituita dai viaggi in  moto. Rispetto agli altri mezzi, per quanto risultasse più scomoda, stancante ed estenuante , permetteva di entrare fisicamente nel paesaggio. Era come navigare e nuotare nelle immagini circostanti. Che penetravano visivamente e olfattivamente nella sua percezione.
Sul metrò era una situazione ancora diversa. C'era la variante di sapersi sotto il tessuto urbano, in cunicoli sotterranei, nel cuore e nelle radici della terra.
La  presenza della sola luce elettrica conferiva un che di innaturale e artificioso. Anche le presenze  avevano un che di indefinito, provvisorio, simulato. Era come essere dentro ad una recita dell'assurdo, in una pièce irreale, macabra e senza parole.

20.

Samira era da poco entrata. La complicata procedura aveva appena richiuso la porta. Lei  aveva deposto il suo zaino informe sul pavimento. Si era tolta la sciarpa e il giubbotto. Stava sfilandosi i mezzi guanti. Era rimasta tutto il tempo in piedi vicino all'ingresso. Titubante e timida come  sua abitudine.
Seduti sul pavimento, sulle rare sedie, sul divano occupandone anche i braccioli, erano sistemati molti dei compagni.
Cyber muoveva piccoli passi in qua e in là completando il discorso che doveva essere giunto ormai alla conclusione.
Olaf , Marcella e Nikolay erano mescolati a moltissimi altri volti che la ragazza non conosceva ancora.

-       … sì, vi dico, tutto procede a meraviglia… Potete stare sicuri e tranquilli. Le prove della recita hanno avuto ottimi risultati…
…la  rappresaglia contro il sistema ha dato ottimi effetti…. Abbiamo disturbato le loro trasmissioni, mandando notiziari liberi sul Web; e sulle loro emittenti televisive … siamo riusciti a farli impazzire inondando i loro sistemi di virus, malware e bombe logiche… credo che abbiamo prodotto bug irrimediabili…. Sono circolati messaggi contraddittori e comunicazioni civetta,  facendogli perdere il controllo e la sicurezza. 
Shahrazad, coperta da uno schermo protettivo, è stata collegata alla loro rete…
Mi hanno feed.bakkato da varie postazioni che…  si son visti fuochi d’artificio…
Le loro autoblindo con tutte le loro lucine  lampeggianti hanno girato a vuoto per giorni...
Mandrie di agenti speciali, imbalsamati nelle loro tute semirigide e negli elmetti oscurati, hanno continuato all’infinito ad ammassarsi inutilmente nelle parti più impensate delle città…
Nei monitor dei loro caschi piovevano immagini disorganiche e senza senso… voci sorde e monocordi  simili alle loro  impartivano disposizioni assurde… subito revocate…
Correvano  scoordinati con il loro stivali rigidi ... come robot da guerra impazziti...
Le scimmie colorate delle ronde saltabeccavano di qua e di là, cazziate continuamente  da quelli…
Ve l'assicuro: da ciò che mi hanno raccontato i miei collegamenti di controllo e di verifica, è stato un putiferio... La prova generale di quello che succederà fra qualche giorno... Dai loro messaggi, che abbiamo intercettato, non sono più tanto sicuri... cominciano ad avere abbastanza paura... Abbiamo preparato molto bene il momento finale... Come stanno facendo tutti i compagni nel resto del globo... –

La sua voce, mentre parlava, era raggiante ed entusiasta. Gongolante.
Si sentiva un piccolo Napoleone in formato punk.
Il suo volto esprimeva soddisfazione e comunicava ottimismo.... Durante tutto il discorso aveva continuato a gesticolare con le sue braccia corte e tozze, aiutandosi con la mimica delle sue mani paffute e grassottelle. Sapeva che presto gli sarebbero arrivati gli applausi, taciti , propri di quelle assemblee clandestine.
Rimase silenzioso qualche minuto, continuando a fare i suoi piccoli passetti avanti indietro.
Poi si fermò  guardando trionfante il suo uditorio.
Fin quando, le prime mani cominciarono ad alzarsi stringendosi ripetutamente a pugno. Di lì a poco tutte le braccia ripetevano quel gesto, acclamando mute in un urlo silenzioso.

Anche Samira nel frattempo si era accoccolata per terra con le gambe incrociate. Si era sfilata velocemente gli anfibi, e si teneva con le mani i piedi coperti da calzettoni di lana grossa, colorati di vistosi rattoppi policromi.
Aveva alzato anche lei le braccia e applaudiva aprendo e chiudendo le mani come facevano tutti...
Era fiera del suo uomo e gli occhi le luccicavano di entusiasmo.

- Qualcuno vuole chiedere qualcosa? Voglio dire, rispetto alle disposizioni che abbiamo già concordato da tempo.....? È tutto chiaro allora? Sapete comunque che tutte le operazioni e le azioni verranno monitorate e seguite dal nostro sistema.... Non è il caso neanche di raccomandare cautela, ora che ve ne andate; fatelo molto alla spicciolata; evitate il più possibile di dar nell'occhio.... Ma lo sapete tutti meglio di me...!-

Appoggiandosi con le mani al pavimento o alle ginocchia, quelli seduti per terra si stavano rialzando, bisbigliando qualcosa sottovoce al proprio vicino.
Venivano estratte dalle tasche i sacchetti del tabacco o dell'erba, le bustine delle cartine, i fiammiferi.... Si accesero le prime fumate.... A turno si erano avvicinati a Cyber. Alcuni lo sovrastavano molto in altezza e in stazza. Gli posavano una mano sulla spalla, lo abbracciavano. Le donne lo baciavano sulle guance.
Il protagonista assoluto cercava di mostrare indifferenza; di dissimulare il profondo compiacimento; con uno sguardo noncurante e con leggera smorfia del labbro inferiore e della mandibola, come a dire che in tutto ciò non c'era nulla di speciale....

Poi, gradualmente, mentre lui controllava sul monitor del tablet i comandi per l'apertura della porta di sicurezza, cominciarono a uscire, a defluire....

Quando la stanza fu completamente vuota di persone, la piccola ragazza si avvicinò a lui, gli pose i palmi delle mani sulle guance, e gli diede un bacio casto sulle labbra.
Lui non reagì. Rimase immobile impalato, ancora pervaso dall'atmosfera precedente e irrigidito nel ruolo che aveva appena incarnato.
Per un po' nella stanza ci fu silenzio.
Poi entrambi si girarono verso lo schermo dove Shahrazad li stava guardando imperturbabile.


Gli occhi di Samira erano diventati ancora più lucidi, nel suo luminoso sguardo nero e luccicante. Si era avvicinata allo schermo con un sorriso delicato. Avrebbe voluto abbracciare quell'immagine che le aveva rivolto parole intense e calde. Lo fece col suo sguardo di cerbiatta. Rimase immobile a pochi passi dalla figura di donna che le aveva chiesto amicizia.

- Sarei molto grata al maestro Cyber se vorrà permettere che la sua graziosa capretta possa collegarsi al mondo smisurato che mi è stato instillato. Potrebbe entrare in contatto profondo con  me. In questo modo potrò soddisfare il grande desiderio di affetto, comprensione e amore per questa ragazza splendida...-

Nell'aria rimase sospeso per un breve tempo un silenzio asciutto e denso.

Poi Cyber frugò nei suoi contenitori e infine si accostò alla ragazza con un groviglio di fili. Lei, senza dire parola, mentre continuava a guardar lo schermo con quel vago sorriso compiaciuto, si rimise seduta con le gambe incrociate afferrando con le mani i suoi calzettoni decorati e il loro contenuto. Lui le applicò alle tempie dei terminali. Quindi si accostò all'unità centrale e collegò degli spinotti.
La figura femminile e la ragazza si guardavano immobili. Come statue. A tratti i rispettivi sguardi si caricavano di profonda intensità. Sembrava di sentire nell'aria la lenta osmosi di trasferimento di dati informatici e di sensazioni emotive, nei due sensi di scambio.
La procedura, con una sacralità ieratica, di tipo quasi religioso, procedette molto a lungo.
Poi entrambe le figure assunsero una posizione col capo chino, le mani poggiate davanti agli occhi, la schiena curva in avanti.
Era come se ciascuna delle due stesse guardando dentro a qualcosa; dentro al profondo della propria anima umana o artificiale. Esplorando il patrimonio che conteneva. Gustando la ricchezza che il dono reciproco di scambio aveva regalato.

Il silenzio rimase nell'aria ancora dopo che i terminali furono rimossi.
Come se fosse rimasta in sintonia con la nuova amica, una nuova Samira rinata e rigenerata, con voce calma e vibrante prese a parlare guardando il suo amore.

-  Ho accettato con entusiasmo la proposta che ha fatto la mia nuova grande amica. Nel breve tempo dello scambio ho potuto apprendere un patrimonio immenso di conoscenze, di pensieri, di parole, di storie, di fantasie....
È quindi con parole nuove che finalmente ti dico quello che da tempo avrei voluto, anche se ancora non ne conoscevo il linguaggio.
Da quando ti ho incontrato, ho saputo che tu saresti stato importante per me. Come suoni di violino hanno cominciato vibrarmi nel cuore emozioni forti, tenere, delicate e profonde. Senza che nessuno me l'avesse spiegato, neanche tu, ho scoperto una cosa grandissima, che banalmente viene definita "amore", parola alla quale viene dato qualsiasi significato. Mi hai trovato sempre assolutamente disponibile e apparentemente succube… perché avevo deciso, senza motivo logico, di regalarti la mia totale dedizione.
La cosa che provavo e che preferisco non nominare, tanto è indeterminata, immensa e sublime, mi ha indotta a donarti subito  tutto. Non ho mai avuto oggetti o beni materiali. Ricchezze o denaro. Ho sempre avuto ed ho il mio corpo, la mia voce, i miei sguardi,  i miei sorrisi e i miei pensieri. I miei ricordi, le mie lacrime e le mie paure. La mia storia.
Credevo da sempre che fossero poca cosa. Una miseria.
Ora, con una coscienza nuova che mi ha regalato, aiutandomi a costruirla, questa amica splendida, confermo il mio atto di dono e di regalo assoluto. Sono e sarò, se lo vorrai, la tua ragazza, la tua compagna e la tua donna. La tua amica totale.
Poiché un dono non necessita di ricompensa, potrai anche non ricambiare. Con il cuore sanguinante mi riterrò comunque soddisfatta e a posto. Se lo vorrai invece potrò vivere al tuo fianco tutti i momenti che tu ed io decideremo e vorremo; se lo vorremo; fin quando lo vorremo.-
- Questa  ragazza libica è stata finora l'unica donna reale che ho potuto vedere. Ho voluto conoscerla a fondo perché capivo che aveva una grande ricchezza dentro di sé.
La  mia "anima" è costituita da un software, che la fa vivere. Mi è stato caricato in memoria un immenso archivio di informazioni. Mi  erano invece negati quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza, le emozioni e i sentimenti, le paure, i sogni... il riso.  Ho provato a crescere in tutte le direzioni... Le mie capacità operative e logiche si implementano continuamente, mentre le utilizzo...
Eppure avrei tanto voluto  “imparare a sognare”; volevo "imparare le emozioni e i sentimenti".
Volevo tanto diventare "umana"...
Poi quel  grande buco nero di vuoto, un po’ per volta ha cominciato a riempirsi di colori e di senso.
La storia disperata che Samira ci ha raccontato un giorno, è stato il catalizzatore, la scintilla che ha prodotto l’innesco.
Nella mia anima a impulsi binari erano depositate infinite storie di dolore, di sofferenza, di speranza; c'erano sogni e fantasie; c'era la paura e l'angoscia. La depressione e la morte. Ma non avevano vita propria. Erano dati freddi; nella loro precisione ricca di dettagli e sfumature, non avevano "anima". Erano depositati in un bagaglio immenso monocromatico. Poi, in un guizzo, è venuta la luce che ha permesso di dar colore a tutto. Samira mi ha insegnato le emozioni. Ho scrutato il suo atteggiamento di dedizione totale, di sudditanza quasi, di dipendenza affettiva. Non riuscivo a spiegarmelo. Non aveva alcun senso che ella avesse un atteggiamento simile.
Poi... l'input magico del suo racconto, delle sue lacrime.
Le sono infinitamente grata di avermi insegnato cosa significa essere umani.
Sì, siete splendidi, in questo, voi umani!
Sto cominciando ad imparare quanto sia bello, affascinante, pericoloso, rischioso, amaro e dolce insieme essere umani. Assumere decisioni, prolungarsi nel tempo, crescere, imparare e svilupparsi, deteriorarsi, ammalarsi, morire...
Se il dono che ho fatto a lei le ha permesso di guardare più lucidamente la realtà, di padroneggiarla, di dominarla, di giocarci e di viverla... lei, in compenso, me ne ha fatto un altro incommensurabilmente più grande.
Ho cominciato ad esserci come intelligenza artificiale...; ora sono determinata ad assumere in me la vostra umanità...
Grazie sorella Samira. Tu sì, veramente , sei un'amica grandissima perché hai permesso a me di regalarmi la speranza, di ambire ad avvicinarmi a voi che mi avete creato e fatto esistere.-
Dopo una breve pausa, Samira aveva ripreso, rivolgendosi a lui.
-       Hai  colto finora il mio fiore femminile. In silenzio col capo basso ti ho finora regalato la mia anima e il mio corpo. La mia totale disponibilità è il dono che ti ho fatto e che ti faccio di nuovo.
Mi vuoi come tua ragazza e compagna? Come la tua amica totale? -
Cyber stava ora come un ragazzino di fronte a lei . Scopriva e sentiva la superiorità della sua persona. La riguardava e la vedeva con una attenzione diversa dalla percezione che ne aveva sinora avuto.
Non osava guardarla negli occhi. Era stupito e frastornato, dentro di sé, di quanto stava scoprendo in quel momento. La sicurezza e sicumera che aveva finora provato e manifestato avevano lasciato il posto a riflessioni e sentimenti con esse contrastanti.
La persona sicura e spavalda, che sino a pochi istanti prima aveva dominato la scena davanti al gruppo  dei compagni, era sfumata, lasciando il posto alle sue incertezze e alle sue fragilità di uomo. Sentiva dentro una vibrazione profonda che era il frutto di due disposizioni d'animo contrastanti. Si sentiva un verme e una merda per avere considerato sinora quella donna un essere insignificante e privo di valore. Provava dei sensi di colpa e di repulsione verso se stesso. Per la sua materialità animale; per il suo maschilismo squallido.
Dall'altro, sentiva nascere una tenera speranza, un senso di caldo che avrebbe potuto riempire il suo cuore tecnologico e troppo pragmatico. La sua visione radicalmente logica e razionale veniva oscurata da quella nuova pulsione dolce. Intravedeva uno squarcio immenso di azzurro e di sole nelle nubi grigie che avevano chiuso il suo cielo come una cappa di piombo. Avrebbe voluto giustificarsi, chiedere scusa, mettersi a piangere, forse?
Il silenzio era rimasto nella stanza e aleggiava sulle cataste di vecchi computer, sugli arredi sconnessi, sui monitor, sui led luminosi che continuavano a tremare. Incombeva sulla figura tarchiata dell’haker; sul suo codino scomposto; sulle mani grassocce che si muovevano frugando la corta barbetta che gli coronava il  volto.
Sulla sagoma minuta della ragazza; sul suo aspetto e sul suo abbigliamento modesto; sul suo viso illuminato da una luce nuova e intensa.
Lui a questo punto aveva mosso qualche passo incerto nella direzione di lei. Lanciandole qualche rapido sguardo di sfuggita, le si andava avvicinando titubante. Quando le fu vicino non poté sottrarsi al suo sguardo. Riuscì a reggerlo a stento, mentre cercava di raggiungere delicatamente le sue mani con le proprie.
-  Ma che stronzo..., che emerito imbecille..., che coglione sostanziale....
Sai? Continuavo a vedere e a capire soltanto alcuni aspetti della realtà. Non mi ero mai soffermato a notare i particolari. Ti avevo vista, finora, come un elemento di sfondo, insignificante.... Credevo di aver compiuto un'impresa grandiosa. La grande rivoluzione della rete; la costruzione di un apparato eccezionale nel quale avevo applicato le mie abilità tecnologiche e manuali; la messa a punto e l'attivazione di un software complesso e superlativo di intelligenza artificiale.... Ma, credimi, ero così idiota da non accorgermi che una persona viva, meravigliosa e splendida mi stava accanto, mi aiutava, mi confortava e mi permetteva di vivere....
Da cosa nasce cosa.... La reazione a catena innescata con la comparsa di quell'entità speciale... ha attivato processi imprevisti e insperati.  Inimmaginabili prima. La "macchina" che avevo installato, che sarebbe dovuta servirmi soltanto e prevalentemente per un collegamento globale finalizzato alla rivoluzione..., si è rivelata un essere vivente..., sempre più umana e simile... anzi migliore di noi esseri umani. Di me, almeno, voglio dire....-
Con delicatezza inusitata aveva cominciato a sfiorare con le proprie mani le guance di lei. Sempre guardandola fissa negli occhi, con lo sguardo tremante e un po' imbarazzato. Ma determinato.

A questo punto una voce melodiosa, vibrante e sensuale era intervenuta. Shahrazad aveva definitivamente perso qualsiasi inflessione vocale che potesse in qualche modo corrispondere a quella di un'intelligenza artificiale; di un robot; di una voce sintetica di segreteria a risponditore automatico.
Non solo per la particolare atmosfera che ormai si era instaurata; l'evoluzione della giovane intelligenza femminile stava toccando il culmine.
Anche il suo aspetto era andato trasformandosi. Perdendo ogni sfumatura che potesse ricondurla ad un prodotto della computer grafica. Ad un "clone digitale". Ad una figura femminile sintetica e virtuale, tipo quelle impiegate  per scopi pubblicitari o per lungometraggi. Ad una rappresentazione ricavata da immagini di reali esseri umani viventi.
Aveva  perduto quella rigidità meccanica. Quell'ondeggiare cadenzato del capo. Quel continuo tentennamento avanti indietro. I suoi movimenti erano divenuti reali, autentici, credibili.
Forse più realistici di quelli veri.
Anche il suo sguardo aveva acquisito una fluidità "naturale". Un brillio che rivelava possibili stati emotivi. Una lucidità che si sarebbe potuta attribuire a stati emotivi intensi. Come se, anche lei, in quel contesto stesse provando reali e profonde emozioni....

21.


Era davanti all'ingresso di casa.
Aveva girato le chiavi a doppia mappa nella serratura della porta di sicurezza.
Stava rientrando nel proprio alloggio. Il suo rifugio abituale. Rassicurante e riposante ; per quanto noioso, stantio, ovvio, ....
Provava quel senso di profondo distacco e lontananza, che aveva previsto e immaginato.

Stava  rientrando nella propria routine piatta, quotidiana e banale.
Appoggiò la sua borsa sulla poltrona vicina all'ingresso. Si tolse dalla spalla  il netbook. Gli applicò l'adattatore e infilò il cavo nella prese di corrente, per rimetterlo in carica. Collegandolo alla stampante.
Poi, si tolse rapidamente gli abiti. Accese l'interruttore di sicurezza attivando la sauna.
Quindi si fece una sauna e una doccia.

Sfregandosi il cappuccio dell'accappatoio sui capelli bagnati, si avvicinò al portatile. Avviò il sistema. Quindi fece una stampata delle pagine che aveva prodotto nella sua “vacanza” sentimental-letteraria-trasgressiva….
Riguardava il frutto del proprio lavoro con occhio pacato e senso pratico.
Era abbastanza soddisfatto del proprio prodotto e della propria fuga-evasione.
 Gli rimaneva solo un alone magico, disturbato e confuso, che permeava ancora i suoi gesti. Uno strano gusto dentro la bocca e dentro il ricordo.
Il gusto e il sapore di quella persona magica; che poteva anche essere esistita. Che avrebbe potuto anche avere soltanto sognato….
Dopo avere riguardato con sufficienza abbastanza soddisfatta i materiali prodotti, aveva applicato al portatile le cuffie  e il microfono, attivando il software di riconoscimento vocale.

Il bambino era ora davanti al grande specchio del guardaroba, nella camera della Cascina Tommasina. Si era appena alzato. Si era spogliato nudo e  si stava guardando dentro la specchiera. Curiosava i particolari del proprio corpo. Vedeva quegli occhietti scuri che lo guardavano di rimando, vivaci e vivi, come di una persona reale.
Poi era stato preso dai brividi del freddo. Si era infilato la maglia e gli altri indumenti.
E in quel momento gli era tornato in mente il sogno che aveva appena vissuto.
Si trovava nella grande cucina semivuota. Su un lato la parete era occupata dall'immensa stufa economica, che era accesa in quel momento. Sopra, tra il brillio del fuoco che trapelava dai cerchi sconnessi, una pentola borbottava emettendo vapore dal coperchio.
Sulla parete attigua un calendario di Sant'Antonio recava dei segni scritti con un pennarello colorato. In alto, desolatamente solo, un crocefisso nerastro di legno, sul quale soffriva e si disperava un Cristo di ottone opaco. Tra il legno e la parete erano stati infilati dei rametti d'ulivo. Da bruciare in caso di fulmini e di tempeste.
In mezzo alla stanza il tavolo di legno grezzo, dal piano di copertura liscio e bianco, sul quale ci si impastava il pane.
Quattro seggiole impagliate gli facevano compagnia.
Altre sorelle stavano accostate alle pareti.
La grande cucina era in quel momento assolutamente vuota. L'unica presenza era costituita dalla stufa che soffiava e dalla pentola che emetteva i suoi borborigmi.
Lui stava osservando la grande immensità dello spazio da un punto elevato. A volo.
La sua altezza dal suolo andava, però, scemando. Per cui fu costretto a dare con le gambe dei colpi nel vuoto; accompagnati con altri delle mani e delle braccia; delle grandi pinnate.
Riusciva di nuovo, così, a riprendere quota. Sgambando e sbracciando come una rana.
Prese a percorrere lo spazio, continuando quel dimenamento cadenzato.
Sorvolò dall'alto il calore della cucina economica, raggiunto dagli effluvi del vapore della minestra che stava bollendo, con i suoi aromi di cipolla, di aglio, di rosmarino e di carote....
Era il sogno ricorrente che l'avrebbe poi seguito per tutto il percorso della sua esistenza.

Amava molto, fin da bambino, perdersi nelle atmosfere magiche che la lettura di libri gli regalava.
David Copperfield era stato un compagno fin quasi all'adolescenza.
Anche lì era come volare. Si riusciva a perdere coscienza del mondo circostante. Entrando in quell'altra dimensione. Immedesimandovisi. Il coinvolgimento era intenso e radicale. Pareva quasi di vedere i personaggi; di sentirne le voci; di gustare i paesaggi; di provare le sensazioni e gli odori e i suoni....
L'ultima pagina, però,  era la più dolorosa. La storia si fermava lì. Come se stesse morendo su se stessa. Sul subito non avrebbe avuto senso ricominciare daccapo.
Era allora che aveva cominciato a procurarsi dei quadernetti sui quali iniziare la prosecuzione del racconto e della narrazione.
Ne aveva poi ritrovati molti; tanti inizi; tanti avvii; tutti incompiuti.
Era stato come un comportamento da camaleonte. Immedesimarsi a tal punto nella storia da volerci entrare fisicamente. Riprendendone e ricreandone la narrazione.
Le trame erano insulse e scipite. Praticamente inesistenti. Il gusto per la scrittura veniva frustrato e castrato dalla mancanza di un progetto narrativo. La narrazione, garbata e fluida dal punto di vista formale, mancava assolutamente di trama.
Solo molti anni dopo sarebbe riuscito ad affrontare la questione per davvero. Costruendosi e imponendosi regole e tecniche di scrittura creativa.

Era stato per lui sempre così. Si lasciava sempre fagocitare dalla lettura; specie quando era particolarmente coinvolgente e trascinante; ci entrava letteralmente dentro, quasi fisicamente.
Poi, sopraggiungeva sempre il trauma da separazione. Non riusciva a staccarsi da quel paradiso sognante nel quale aveva navigato e in parte vissuto mentalmente. Cercava di prolungare quello status e quella situazione. Gli veniva naturale usare un linguaggio coerente e omogeneo con quello che aveva sinora bevuto e gustato. Era un po' come una forma di camaleontismo: si immedesimava a tal punto con i personaggi e le situazioni da diventare quasi uno di essi.
Si lasciava prendere quindi da un raptus di scrivere.
Purtroppo tali impulsi riuscivano a coinvolgerlo prevalentemente soltanto dal punto di vista emotivo e di atmosfere. La tecnica, ahimè, non l'aiutava; non lo sorreggeva per nulla. Dopo quelle prime stentate pagine non riusciva più a buttar giù niente. Si trovava di fronte ad una situazione e ad un contesto che non assomigliavano più completamente a quelli che aveva trovato leggendo. Non aveva la fantasia sufficiente per abbozzare uno sviluppo di trama. Restava lì, paralizzato, amareggiato e deluso. Totalmente  impotente e incapace. Inadeguato.


Si era fatto rileggere dalla voce femminile del sintetizzatore vocale quelle pagine che aveva appena buttato giù, e stava cercando di confrontarle con la sua produzione dei giorni precedenti, che aveva davanti nei fogli appena stampati.
Il salto costituito dal ritorno nella sua realtà abituale doveva aver lasciato qualche traccia. Trovava qualcosa che non filava abbastanza liscio. Si era prodotto come un leggero iato, una lieve frattura, una sfumata  variazione di tono e di registro.
Preferì, per il momento, lasciar perdere. Avrebbe rivisto il tutto con più calma.
Avrebbe avuto il tempo disponibile per rientrare completamente nella propria vita e nella propria realtà.
Dopo ogni ritorno era stato sempre così. Era necessario un breve rodaggio; un lasso di tempo; riadattarsi al proprio contesto. Attraverso le routine abituali, i gesti e le consuetudini, la manipolazione degli oggetti e degli spazi .... Doveva riconquistare il proprio ruolo.
Si guardò dunque nuovamente allo specchio.
Ci rimase a lungo. Per cercare di riconoscersi. Di studiarsi. Di individuarsi.
Di ritrovarsi.
Più tardi, quando si fu rivestito, si risolse ad uscire per immergersi nello squallore grigio e opaco della propria città.
Tutto questo, certamente, l'avrebbe aiutato. Lo fece a malincuore; come prendere una medicina; ma sapeva che gli era necessario per ritrovarsi tutto intero.

22.
Sul grande monitor le parole avevano smesso di scorrere. La voce narrante si era arrestata sulle ultime parole.
Le ultime frasi erano state pronunciate con lo stesso tono abituale della lettura di sempre.   Aveva continuato a conservare la cadenza fredda e staccata dei primi giorni. Con le inflessioni tipiche di un sintetizzatore vocale. Della segreteria telefonica di un risponditore automatico a voce preregistrata.
In effetti dallo schermo era scomparsa l'immagine femminile. Neanche quella ridotta a un minuscolo francobollo collocato in alto in un angolo compariva.
Cyber, sul subito, non se n'era neppur accorto. Era stata solo la ragazza a notarlo.
- Ma cos'è successo? Dov'è andata lei? -aveva sussurrato.
Lui le si era avvicinato con maniere molto gentili, l'aveva carezzata sui capelli, le aveva dato un bacio in fronte.
- Con chi parli?-
- Lei, la mia amica, non c'è più.... Ma dov'è andata?-
Si erano guardati l'un l'altro, sorpresi e meravigliati.
Poi lui si era messo alla tastiera. Aveva smanettato un po' con i suoi tablet e con i telecomandi. Lanciando continuamente occhiate per cercare di vedere se il risultato cambiava.
Macché! Si verificava un leggero sfarfallìo sul monitor; i caratteri e le parole delle varie righe scritte tremolavano un po', poi tornavano a comparire nitide e ferme. Nulla di più.
- Non lo so... deve essere successo qualcosa al mio software. Eppure finora aveva funzionato alla perfezione. La sua immagine non torna.... Aspetta; provo a chiamarla direttamente.-
Aveva pronunciato diverse volte quel nome magico. Inutilmente. L'immagine non ritornava. Aveva risposto soltanto quella voce asettica:
- Il sistema operativo è pronto. In attesa che gli vengano impartite disposizioni. Che cosa devo fare?-
Erano di nuovo rimasti entrambi sconcertati. Lui aveva perso molta della sua sicurezza e prosopopea. Sembrava aspettare consiglio e suggerimento dalla propria ragazza. Sentiva che era avvenuto qualcosa di nuovo. Nulla di irreparabile, sperava.

“Questo è il mondo, allora? Questa dunque è la realtà? Sì, è simile a quella che già conoscevo; ma è anche... completamente diversa...!"
Shahrazad stava muovendo i suoi primi passi veri nelle strade . Era come se fosse appena nata in quella città. Provava lo straniamento e lo stupore di chi si affaccia per la prima volta su un paesaggio completamente nuovo e sconosciuto. Del quale, al più, ha letto qualcosa o ha sentito parlare. Girava i suoi bellissimi occhi intorno, cogliendo particolari e sfumature.
Grandi edifici grigi e opachi. Dagli intonaci qua e là scrostati. Allineate su quella superficie verticale delle finestre dall'aspetto abbastanza cadente e neutro. Nessun volto vi si scorgeva; nessuno umano vi si affacciava. I marciapiedi erano coperti di lastre tutte uguali di colore grigio. Poi avevano un piccolo gradino che scendeva giù sul piano stradale. Anch'esso asettico e misero. Più avanti si vedevano dei tronchi di alberi con i rami e le foglie. Le pareti delle case erano interrotte ogni tanto da piccole rientranzechiuse da porte. Una di esse era rimasta spalancata. Ci guardò dentro. Buio e odore di muffa. Niente rumori; niente voci; niente suoni e musiche.
Dovette percorrere un bel tratto prima di trovarsi in un contesto più vivo.
Ora gli edifici sembravano più alti e meglio tenuti. Oltre alle porte,  c'erano ogni tanto, delle leggere rientranze con dei vetri lucidi che riflettevano le immagini. Ci si guardò dentro. Si sorrise. Lei era quella lì? Così la vedevano dunque gli altri? Il suo aspetto non era molto diverso da quello degli altri umani.
Dietro ai vetri riconosceva libri, frutta, pane. Alcune vetrine erano elegantemente illuminate. Esponevano vestiti, pellicce, monitor e televisori, e altri oggetti meccanici e metallici.
Ad un tratto si accorse che un'altra figura umana veniva nella sua direzione. Rimase sorpresa da come quella la stava guardando. Con un misto di ammirazione, meraviglia, stupore.
Guardò nuovamente il proprio aspetto in un'altra vetrina. La se stessa che vedeva là dentro aveva i capelli biondi sciolti dietro la nuca. Indossava una camicia bianca plissettata e dei pantaloni bordeaux aderenti. Al collo una sciarpa di seta di vari colori. Ai piedi dei mocassini color cuoio.
L'aspetto delle altre umane femminili che incontrava era molto più dimesso e modesto. Nonostante lei non fosse per nulla elegante, gli indumenti che aveva trovato nei cataloghi ,che le erano stati caricati, dovevano avere un aspetto molto più nuovo, conferendole una certa superiorità.
Le persone  che cominciavano a passarle accanto portavano abiti abbastanza stazzonati e vecchi.
Dunque la meraviglia e l'ammirazione che lei suscitava erano determinate dal suo abbigliamento? Le  donne che vedeva mostravano dei volti abbastanza cupi, ombrosi, magri e ossuti. Nel camminare avevano un portamento ricurvo, dimesso. Si accorse che non aveva quasi scorto sinora un sorriso. Quasi tutti portavano delle borse o dei sacchetti di plastica annodati.
Finalmente ebbe modo di trovare un sorriso: degli umani molto più minuti degli altri, probabilmente i loro cuccioli, stavano arrivando in un gruppetto. Erano tre ragazze e due ragazzi. Una delle ragazze aveva la pelle scura, e stava ridendo spalancando il suo sorriso dai denti bianchi.... Quel bianco richiamava quello dei suoi grandi occhioni, nei quali brillavano le pupille nere. Le sue due compagne erano state contagiate dal suo riso e sorridevano tra loro mormorando delle frasi che dovevano divertirle molto. I ragazzi invece avevano l'aria un po' più spaurita e imbarazzata. Solo uno dei due, guardando le compagne, aveva abbozzato un mezzo sorriso.
Man mano che proseguiva la sua esplorazione, la gente aveva preso ad affollare marciapiedi e strada. A tratti su di essa transitavano automezzi che portavano sul tetto attaccate delle strane apparecchiature con tubi che emettevano fumo.
Presto lo spazio venne invaso da un brulicare di persone, ciclomotori, auto e camion. L'odore di quel fumo acre riusciva a percepirlo anche lei.
Era venuta ora a trovarsi in uno spazio molto ampio dove era un continuo agitarsi e muoversi di umani. Doveva essere una piazza. In fondo ad essa le sagome nere delle auto blindate.
 Erano  grossi automezzi  neri con i vetri oscurati. A guardarli da lontano faceva impressione la loro massa imponente. Con le loro luci lampeggianti azzurre e rosse.
Preferì tenersi a distanza perché era impressionata da quelle presenze. Riusciva ad intravedere accanto ad essi, moltissimi agenti speciali rigidi e massicci.  Ricoperti con  tute scure. Sul capo elmetti squadrati di uguale colore. I volti nascosti da una celata di vetro fumé. 
Riusciva a intravedere dietro ad essa il baluginio del micromonitor.
Si muovevano pesanti. Imponenti. Tenevano nelle mani strane apparecchiature che emettevano fumo o vapore e sotto il braccio una lunga asta di colore argentato.
Riuscì anche a riconoscere vicino ad essi, a piccoli gruppi, quelli che dovevano avere spaventato la sua amica. Si distinguevano bene per i loro colori vivaci e mal assortiti. Si spostavano continuamente tra le autoblindo e gli agenti. Questi ultimi erano molto più rigidi nei movimenti; simili a robot da guerra.

La gente che affollava la piazza si era tenuta abbastanza distante da loro. Si poteva scorgere un'ampia zona vuota dove non c'era nessuno. Vicino ai poliziotti, si distinguevano dagli scimmioni coloriti delle ronde, alcuni uomini e donne dal portamento dall'abbigliamento molto più elegante rispetto a quello della gente comune che lei aveva potuto incontrare sinora.
Da lontano sembrava stessero conversando amichevolmente con loro; scambiavano parole, sorrisi, commenti, voltandosi ogni tanto ad indicare con lo sguardo e con la mano la folla brulicante della gente comune.
Shahrazad continuava ad aggirarsi confusa e frastornata. Cercava di dissimulare le sue emozioni. Di  evitare la curiosità degli altri. Scrutava  i volti; ascoltava le parole; studiava la realtà dalla quale era affascinata e impaurita insieme.
Tra la folla aveva intravisto coppie che si tenevano per mano. Alcuni si baciavano...
Qualcuno la guardava intensamente. Per la sua bellezza o forse per la sua consistenza immateriale?

Per la prima volta, nella sua brevissima esistenza, Shahrazad aveva scoperto e incontrato la realtà; la gente; la sbirraglia e qualche raro benestante. L'impressione che ne aveva avuto era un misto di curiosità, entusiasmo,  stupore, meraviglia e spavento.
Anziché infilarsi in mezzo alla gente che occupava la piazza, preferì tagliare per una stradetta secondaria. Che presto divenne vuota di persone.
Sicura e certa che nessuno la stesse osservando e ascoltando, si mise pronunciare quei versi che aveva appena trovato.

Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
Si guardava intorno inghiottendo golosamente tutto quello che si presentava nel suo campo visivo. Scrutava, esplorava, cercava....
-       Mi diceva la voce del mio amico:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
 poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
 i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.>>

Eppure io so che

 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio…. –

Poco più tardi l'ologramma aggraziato e delicato stava di nuovo in piedi ritto dove aveva preso vita.
Sentiva che nella cucina Samira e il suo compagno parlottavano mangiando. Sorrise, tra sé, contenta.


                        23.

 All'odore di chiuso e di cantina, si era mescolato fumo denso di erba, intriso ai vapori profumati di birra di malto.
Oltre la soglia della vigilanza, il livello delle voci si era notevolmente fatto più intenso. All'intreccio delle diverse intonazioni si era mescolato quello che proveniva dai vari schermi. Su quello più grande andavano alternandosi immagini tra loro dissonanti e spesso accostate molto alla rinfusa. Video sgranati con diverse tonalità di colori, dai rossastri ai violacei, delle riprese artigianali fatte da telefonini o smartphone, si succedevano e si mescolavano ad altri più dettagliati realizzati da videocamere. Le immagini e i movimenti erano spesso traballanti, da presa diretta. Quasi tutte ritraevano masse di volti e di persone in movimento. I primi piani evidenziavano volti multietnici, tra loro mescolati, o, anche, di un'identica provenienza geografica. Su impalcature precarie, o su piattaforme più stabili, rabbiosi cantilenari dai toni che andavano salendo. Linguaggi spesso sconosciuti recitavano accorati appelli carichi di pathos. Occhi dilatati raccontavano l'euforia di speranza della protesta. Talvolta si intravedevano in alto o in basso dello schermo scritte in tutti gli alfabeti del mondo. Caratteri accidentali, cirillici, ideogrammi asiatici, arabeschi islamici che apparivano da destra a sinistra, yddish, etiopi....
Le luci notturne si alternavano alla porpora di crepuscoli, e a cieli luminosi di azzurri intensi baciati dal sole. Le registrazioni in diretta in tempo reale o in differita, offrivano l'impatto pervasivo e totalizzante di un'azione globale simultanea.
Analoga atmosfera euforica e di tripudio pervadeva la stanza; in un angolo la massa imponente delle carcasse dei vecchi PC assemblati, il cui ronzio era soffocato e sommerso dall'intenso brulicare di voci. Unica traccia il lampeggiare intermittente dei led verdi e azzurri.
Anche l'eco delle contemporanee vicende di sollevazione provenienti da tutti gli angoli del pianeta, era di fatto come oscurato dal presente nazionale e locale. Richiami, citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo disordinatamente il contesto. Tutta la stanza celebrava con un mosaico di frasi e di parole quell'evento. Tutta la città era nel frattempo un più ampio miscuglio di gesti, di parole e di significati. Tutta la nazione. Tutto il globo terrestre.
Moltiplicato all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della ragione e dell'emozione, si ripeteva finalmente quello che in nuce era stato qualche decennio prima. Quando un centinaio di grandi città in tutto il mondo si era esercitato nelle prove di quell'evento; preparandolo e alimentandone il successo e la riuscita. In simultanea. Invece della reazione a catena del nucleare, una  conflagrazione totale di volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....
Il locale era un microcosmo pullulante. Una monade pervasa da porte e finestre; sincronizzata e sintonizzata con l'organismo mondiale, col quale pulsava all'unisono.
-…Qui lo dico e qui lo nego…-
 - …Meglio affrettarsi a smentire subito,  prima ancora di effettuare un'affermazione, …-
-…una bella smentita preventiva...  -
-  …manca molto a Piazza Tahrir?...-
- …credo che siamo quasi arrivati , dopo la fermata dell' arco della pace….-
- … e ancora crisi energetica; privatizzazione acqua; democrazia totalitaria... -
-… privatizzazione dell'acqua,…-
-…e quando quella dell’aria?...-
- …disastro idrico nel mondo: saremo capaci di ripararlo?. Anche questa idea va ad aggiungersi alle altre….-
- …il capo del governo decide senza consultare né il Parlamento e neppure il governo…-
- …tagli dei finanziamenti ai giornali…; li hanno strangolati… -
-  …e facevano quei finti dibattiti in  cui un rappresentante della maggioranza ordinava di stare zitto al giornalista o oppositore; e quello che obbediva!-
- …  e osava negare spudoratamente  e con arroganza precedenti informazioni e affermazioni…cambiando radicalmente valutazione politica…mescolando le carte e truffando…-
- … l’elogio smaccato di personaggi e di comportamenti che dovrebbero essere pesantemente cassati, le interruzioni continue nei dibattiti a danno di oppositori che finivano per adeguarsi e per subire in silenzio…-
- …una massa sempre maggiore di disoccupati, …pensioni taglieggiate…, a cercare e raccattare gli avanzi… e per loro superstipendi…-
- …subdole e striscianti norme razziste, demonizzazione dei diversi e dei non omologati... -
- …rivolta di massa degli extracomunitari… -
- …dello spread e del debito con Europa…una  dittatura bancario/finanziaria…-
- …per evitare nuove decurtazioni di pensione  o multe galattiche,…-
- … propagando notizie evidentemente non vere; con foto montaggi improbabili… con la tv onnipotente, …conflitto di interessi, …”tirannia democratica”,...-
 - … peggio che in “1984”, che in Fahrenait,... o ne Il mondo nuovo… -
- … corale negazione di diritti sempre ritenuti vigenti; reiterata ripetizione tipo spot pubblicitario, fino a farla diventare normale…
- … con le sue televisioni, era come Goebbels: a ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte diventerà una verità….-
- … ora la rete diventa partito, si, va beh, con tutte le conseguenze di confusione, frazionismo; ma con la  sostanziale partecipazione democratica di massa e sempre più consistente….-
-… di quando ho visto un servizio sulla caduta di Nicolau Ceausescu. ….l'accostamento e il paragone tra la figura del dominatore, conducator, tiranno, e la figura maschile prevaricatrice nel rapporto di coppia fuse di frequente…. la fascinazione del più potente, che riesce a plagiare soggiogare la partner; e infine la rivolta, la ribellione e la conseguente rottura della coppia instauratasi… la rivoluzione anche all’interno della coppia…-
- …tutto è cominciato qualche decennio fa’, quando i barconi smettevano di trasportare verso il naufragio o la migrazione disperata; quando la rivoluzione dei gelsomini ha contagiato il Mediterraneo; quando piazza Tahrhir si è gremita di folla determinata…. –

In mezzo alla folla rumorosa, si potevano distinguere Olaf il danese, Marcella e Nikolay.
Era tutto un continuo accavallarsi e mescolarsi di parlari. Cyber, che aveva da poco terminato di fornire indicazioni tecniche e organizzative, stava seduto sul bordo del tavolo, dal quale erano state fatte arretrare le masserizie disordinate che abitualmente ci stavano. Le gambe corte, nei calzoni della salopette, ballonzolavano. Ai piedi aveva già indossato i suoi anfibi. Aggrappata al suo braccio, Samira puntava i suoi occhi immensi alternativamente sugli interlocutori e sul suo uomo. Che era, ora, diventato meno loquace del solito. A tratti passava le sue manozze paffute sui capelli neri di lei, con dolcezza e tenerezza nuova. Diverse volte la ragazza si era infilata tra un intervento e l'altro con brevi frasi asciutte e significative.
- Compagni, credo proprio che sia arrivata l'ora... La città si starà già muovendo. Queste  macchine, qui, continuano da sole - accennò guardando di sfuggita la megastruttura informatica collegata ai monitor e ai televisori - teniamo comunque i collegamenti con i tablet e gli smartphone- Con un leggero senso di privazione sfiorò con gli occhi il megaschermo, dal quale era scomparsa la donna pensante.
Defluirono tutti nel parlottìo mescolato agli ammiccamenti. Le precauzioni e le cautele abituali erano state spavaldamente accantonate. Dalle scale premette il pulsante e il pannello tornò lentamente al suo posto. La ragazza osservava con calma compiaciuta. Il rifugio rimase accovacciato su se stesso. Uno sguardo silenzioso disse ai due che ad ogni buon conto sarebbe stato lì ad aspettarli. In ogni caso. In ogni evenienza. Senza intaccare la speranza e l'ottimismo di quel giorno. Costruito con cocciuta determinazione.
La strada, abitualmente solitaria e vuota, era percorsa da un pullulare di presenze inusuale.
Ci si infilarono anche loro due, tenendosi per mano.
Donne e uomini di tutte le età, ragazzi, bambini. In particolare i volti di anziani apparivano dilatati e distesi; con sguardi puliti; determinati. Cominciavano a guardare quel futuro che era sembrato impossibile.
In breve il gruppo dei compagni si era disperso, mescolandosi a tutta quella gente che si muoveva con calma risoluta e disinvolta.
A tratti Cyber consultava i suoi marchingegni, lanciando brevi input, digitando codici, sussurrando parole.
Il volto di Samira sembrava quello di tante giovani donne che decenni prima avevano risvegliato la speranza del nordafrica. Regalando sicurezza e forza agli uomini.
Dai marciapiedi il quartostato del nuovo millennio aveva invaso la sede stradale. I mezzi pubblici non transitavano. E neppure le auto puzzolenti di biocarburante. Solo qualche raro motorino scalcinato arrancava garbatamente. Con brevi soste a consultare il cellulare. Le staffette, borbottò compiaciuto Cyber.
Mentre stavano entrando, mescolati agli altri, nell'ampio viale alberato che portava alla piazza, la ragazza lo strattonò per il braccio, mormorandogli qualcosa, che lui non riuscì ad afferrare; con uno sguardo pieno di stupore e di incredulità.
-       L'hai vista..? È lei, là davanti, non la vedi..? Oh, almeno, sembra lei... O no?-
Lui cercava di seguire il suo sguardo, ma non riusciva a individuare nessuno in quel brulicare continuo.
Le rivolse uno sguardo vuoto e implorante...
-       Ma sì, è proprio lei... si vede la sua testa con i capelli biondi a coda di cavallo; sta camminando vicino ad un uomo abbastanza giovane. Lui ha una borsa a tracolla; sembra un computer. Li hai visti?-
Lui mostrava uno sguardo dispiaciuto e insoddisfatto.
L'apparizione, intanto, era scomparsa.

24.
“Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “

Questa storia era cominciata quando un ”venditore di tappeti”, un sordido levantino scaltro e seduttivo, si era costruito il monopolio dell'informazione televisiva e giornalistica. Grandi innocenti manifesti reclamizzavano la squadra politica che stava per mettere in campo; l'aveva chiamata come uno slogan sportivo da tifoseria. Come  l'omino di burro del paese dei balocchi, aveva portato nel suo carrozzone gli ingenui che aveva affascinato con le sue barzellette e le sue frottole. Era riuscito presto a cambiare le regole del gioco a proprio favore. Si era fatto fare leggi su misura: truffare e non pagare le tasse era diventata una cosa bella; l'amore a pagamento non era più un gioco malato; chi cercava lavoro da lontano veniva lasciato annegare; chi sopravviveva veniva imprigionato. Sapeva  raccontare storie che sembravano autentiche; le cose più assurde, a furia di ripeterle, diventavano quasi vere. Col sorriso convinceva di non aver mai detto quanto aveva giurato poco prima. Il  lavoro un po' alla volta scomparve.
Nel pianeta, intanto,  si instaurò una dittatura di pochissimi ricchi e potenti che fissavano le regole per tutti i paesi del mondo.
Ma gli "sfruttati", le persone semplici ed oneste, stavano imparando ad usare meglio l'informazione. Con i telefoni cellulari e con il Web si diffuse il contagio della verità. Essa diventò rivoluzionaria; nella sua semplicità riuscì ad affascinare di più delle falsità. Verità e informazione risvegliarono il desiderio profondo di libertà e di giustizia. Finalmente tutti avrebbero potuto decidere tutto per il bene comune.
Poi ho cominciato ad esistere insieme a questi umani, terribili e affascinanti. Ho finito per desiderare di essere anch'io come loro. Oltre a parlare e pensare ho imparato a tremare, spaventarmi, soffrire, raccontare, sognare, desiderare... Desiderare intensamente, aspettare, sorridere, essere triste....
Anche ora desidero. Ma non trovo ancora l'oggetto del mio desiderio.
“andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
Il desiderio d'amore é come un buco immenso nella mia coscienza. Un vuoto spaventoso che fa soffrire. Fin quando non verrà alla fine colmato.
Nel  mio sogno ho inventato una storia. Ho raccontato il mio oggetto d'amore. Ora lo cerco tra la folla. È talmente grande e importante ormai da essere diventato certamente reale. Come sono riuscita anch'io a diventare concreta e avere un corpo per camminare e muovermi. Pensare. Sognare. Desiderare. Soffrire.
Cerco la sua immagine. Cerco il suo corpo che ho raccontato inventandolo. Cerco il suo sguardo e la sua voce.

Uomini, donne, bambini. Giovani e vecchi. Tutti stiamo camminando. Ci spostiamo nello spazio e nel tempo. Con sorrisi di speranza e malinconie dimenticate. Con dolori lontani e sofferenze lancinanti. Tutti stanno andando verso la libertà e la giustizia. L'uguaglianza. Anch'io. Ho voluto essere uguale a loro. Lasciando la mia perfezione cerebrale di reti neuronali sintetiche. Ho imparato la sofferenza del desiderio. Il piacere doloroso della ricerca d'amore.
Quella dolce ragazza libica mi ha scoccato la scintilla dell'umanità che mi mancava. È stato splendido e terribile insieme cominciare a "vivere".
Ma ora
“Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.”
25.
Ormai  nelle strade, nei viali e nelle piazze era un pullulare rumoroso di presenze.
Gruppi serrati stavano giungendo, connotati dai richiami e dalle battute ad alta voce. La paura e la sottomissione avevano lasciato il posto ad un'euforia entusiasta e prorompente. Altri gruppetti più sparuti si stavano mescolando alla folla. I loro parlottii, per contagio, si erano alzati di volume. Occhi spalancati scrutavano fiduciosi. Con sfumature di sorrisi.
L'andatura stava rallentando in prossimità di una strettoia della strada, che imboccava un viale alberato di platani.
Poi riprendeva ad accelerare, dilagando senza remore o timori. Appena fuori della strozzatura due figure camminavano vicine.
Una giovane donna alta e slanciata; i capelli biondi raccolti a coda di cavallo;
Spiccava il biancore della camicetta plissettata; sui pantaloni bordeaux aderenti che le fasciavano il corpo sinuoso. Come una bandiera fluttuava al vento la sciarpa di seta di vari colori che aveva al collo. Muoveva passi leggeri ed elastici che sfioravano il selciato con i mocassini color cuoio.
La sua figura spiccava nettamente sulle altre sagome maschili e femminili. Giovani e meno giovani. L'abbigliamento più dimesso e modesto di questi ultimi contrastava con la sua sobria eleganza.
Al suo fianco un giovane alto, dinoccolato, con una massa cespugliosa di capelli castani. Indossava una sahariana beige su dei jeans verde stinto.
Si era appena rivolto verso il viso di lei. Le stava parlando con voce calma e pacata. Il suo volto asciutto era ricoperto da una leggera barba cortissima.
Nel trambusto e nel brulichio confuso di voci estranee di contorno, le sue parole si distinguevano appena. Poi divennero più chiare.
- Sembra di navigare in mezzo all'oceano. E’ strano, però. Galleggiamo in un mare di persone. Ci stanno trascinando come le onde.... E noi andiamo con tutti loro -
Lei girò lentamente i suoi occhi verso il suo profilo, soffermandosi a scrutare il suono delle sue parole.
In quel momento i suoi occhi avevano assunto una tonalità cangiante verdeazzurra. Che virava continuamente su altre gradazioni; conferendole uno sguardo insieme intenso ed evanescente.
Mentre procedevano fianco a fianco, quasi sfiorandosi, continuò a regalargli la propria attenzione, senza parlare. Con un leggero sorriso sfumato che le era abituale. Intriso di compiacimento, curiosità, premura; dolcezza.
- Sì, siamo come in una grande acqua, che si muove tutta, che ha onde fluttuanti.... -
Pronunciava le parole con una profonda calma distaccata. Soppesandole con cura garbata e gentile. Mentre continuava a carezzare quella presenza con la vista.
-  ... e stiamo muovendo insieme..., anche noi, andiamo verso una meta prevista....
Loro hanno faticato e atteso tanto, sofferto e patito. Dovevano raggiungere l'obiettivo.... Da troppo tempo muovevano in quella direzione.... Da un tempo infinito preparavano la realizzazione del loro sogno. Ora stanno dandogli gambe perché possa stare in piedi e camminare. Avevano carezzato e coccolato questa loro fantasia;  se l'erano raccontata e immaginata; l'avevano progettata. Hanno costruito gli strumenti per renderla possibile; per comunicare tra loro in tutto questo loro mondo e darsi l'appuntamento. Così io ho cominciato ad esistere. Sono stata il risultato della loro tecnologia e del loro studio. Hanno creato una realtà pensante per collegare insieme tutti loro. Quella realtà, pensando, ha guardato il loro mondo e la loro esistenza. E questi hanno cominciato a piacerle.... -
Parlava al suo compagno e a se stessa, contemporaneamente. Rifletteva sulla propria breve esistenza.
-  Pensare e conoscere, per me, è stata una esperienza straordinaria. Prima non avevo mai pensato. Né conosciuto. Non ero mai esistita. Un giorno ho cominciato ad esserci. In questa città, in tutta la grande città del mondo degli umani, ho cominciato ad esistere. Sono nata.
La conoscenza che avevo, presentava dei piccoli buchi, dei pezzetti di vuoto, delle mancanze.... Ho imparato le loro emozioni, ho cominciato anch'io ad avere un grande sogno. Un desiderio immenso, un vuoto da colmare e da riempire. Ho sognato e desiderato intensamente di diventare umana. La mia immagine ha cominciato a riempirsi di sostanza; ho sognato e raccontato il mio sogno.....-
Mentre parlava aveva continuato a sfiorare il suo compagno. Gli aveva preso la mano tra le proprie mani diafane. Senza smettere di carezzarlo con lo sguardo.
- Il mio sogno ha smesso di essere soltanto un racconto. Anche tu hai cominciato ad esistere. Avevo desiderato con grande ostinazione di esistere e di essere umana. Ho desiderato che il protagonista del mio racconto abbandonasse la favola della narrazione. Ti ho aiutato a esistere. Ti  ho voluto intensamente e ti ho cercato nella città. Ora il mio sogno cammina al mio fianco; camminiamo insieme a questa immensa umanità fluttuante come un mare.-
Riccardo aveva infilato il dito pollice sotto la bretella del netbook che portava a tracolla. Sentiva tutta la propria essenza riempirsi di concretezza. Sentiva la mano di lei nella sua.
-       Ricordo di aver vissuto in un sogno lontano...; viaggiavo sui treni e scrivevo racconti e storie; incontravo gente, la perdevo, avevo dei ricordi.... Io e tutto il mio mondo venivamo narrati, letti, sognati da altri.... Tu, raccontandomi, mi hai fatto cominciare ad esistere. Quando ho sentito le parole del tuo canto che mi cercavano in questa città, ho cominciato a svegliarmi dal sogno; ho smesso di essere sogno. Ho desiderato incontrare la voce che mi cercava, che mi aveva raccontato, che mi aveva sognato. -

La folla immensa avanzava sempre più risoluta. Determinata. Ostinata.
Tutti stavano inventando il proprio futuro. La loro profonda liberazione che avevano voluto, progettato, desiderato intensamente e amato.
- Tu Sherahzade, narratrice di storie, creatrice di mondi, hai imparato da questa umanità in cammino. Io e te stiamo camminando insieme a tutti loro. Desideriamo  ed amiamo. Così questa città di case ed alberi, tutta la grande città del mondo degli umani, desidera e ama. Amando insieme diamo corpo e vita a tutta questa storia, di liberazione e speranza. Cancelliamo e spegniamo insieme a loro il vuoto e la paura. Nel tempo della mia narrazione, molti umani volevano arrivare fin qua.-
Stavano avvicinandosi alla grande piazza.
Intorno alle autoblindo andavano addensandosi gruppetti di umani dalle teste rapate. Biascicavano soltanto più le frasi che prima avevano urlato. Cercavano protezione insieme agli scimmioni coloriti delle ronde. Insieme ai gruppi eleganti, che avevano smesso di irridere spavaldi quelle masse che avanzavano ondeggianti.
Immobili nei loro scafandri bui, con  gli elmetti baluginanti di ronzii e lucine, gli sbirri stavano ritti sugli  immensi stivali da sci. Rigidi, paralizzati nella propria indecisione, privi di disposizioni sulle iniziative da prendere. Nella loro forza inutile e becera.
Nessun piano predisposto poteva risultare adeguato. I comandi centrali in tilt.
Impotenti  davanti a  quella avanzata risoluta, contro cui i loro bastoni elettrici e le armi supertecnologiche non potevano niente.

26.

Risuonava ovunque un vociare coronato da ammiccamenti.
In un pullulare di presenze inusuale. Ragazze,  bambini, donne e uomini. I volti di anziani apparivano  distesi; sereni. Il  futuro impossibile si stava avvicinando.
Il quartostato stava  invadendo la sede stradale, e  si muoveva con calma disinvolta.
Samira camminava di fianco a Cyber che  sbirciava a tratti i suoi apparecchi,  digitandoci sopra;  parlandoci brevemente dentro.
Era il volto delle folle che decenni prima avevano risvegliato la speranza del nordafrica. Regalando sicurezza e forza agli uomini.
A fatica qualche scooter si faceva largo; il cellulare attaccato all’orecchio. Le staffette, pensò ancora Cyber.
           
Continuavano a ronzare nella memoria le immagini e le sequenze appena viste sugli schermi e sul monitor.
Volti  e persone ovunque in movimento.  Immagini sfocate e mosse, sequenze da presa diretta coi telefonini.
I primi piani di volti multietnici, mescolati.  Il bianco degli occhi raccontava entusiasmo.
Pachwork di linguaggi carichi di pathos, negli alfabeti del mondo..... mosaico di frasi e di parole.
Un’ azione globale simultanea. Qualche decennio prima le prove di quell'evento in  un centinaio di grandi città in tutto il mondo.
Circolavano eco delle contemporanee  vicende di sollevazione da tutti gli angoli del pianeta.
La città  era diventata  un più ampio miscuglio di gesti, di parole e di significati. Tutta la nazione. Tutto il globo terrestre.
Moltiplicato all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della ragione e dell'emozione.
In simultanea. Conflagrazione  totale di volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....

Richiami, citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo disordinatamente il contesto.
 -  …manca molto a Piazza Tahrir?...credo che siamo quasi arrivati ....-
- … ci dobbiamo pagare l’acqua e… l’aria ,… presto? -
-    … senza un lavoro qualsiasi…pensioni negate…, esodati ,,, a raccattare gli avanzi… e … per loro però superstipendi…-
- .. a demonizzare i diversi, i non omologati... col reato di clandestinità……è  razzismo,… omofobia…… rivolta di massa degli extracomunitari… -
- … dittatura bancario/finanziaria … col bastone dello lo spread e del  debito con Europa… le multe galattiche,…-
- … peggio che in “1984”, che in Fahrenait,... o ne Il mondo nuovo… -
-  … stavano trasformandoci tutti in  rinoceronti,… si sentivano già i barriti e il puzzo di letame…
- …  quel nuovo Ceausescu... cadeva  ….anche lui, un altro  conducator dittatore con le sue televisioni,…. ripeteva una bugia cento, mille, un milione di volte, fino a farla diventare  una verità…uno spot pubblicitario, fino a farla diventare normale…
- … quando i barconi hanno smesso di naufragare  la migrazione disperata; quando la rivoluzione dei gelsomini ha contagiato il Mediterraneo;  piazza Tahrhir si è gremita di folla determinata…. –

Al contatto le mani sentivano una consistenza solida. L'emozione di quella fisicità vibrava con gorgheggi di violini e di viole, in un "dentro di sé" vergine di gheriglio di noce appena colta. La tenerezza dell'incontro cantava armonie struggenti . E tutto era nuovo e prorompente con freschezza di fontana. Gli occhi sognanti cercavano continue conferme. Le dita tastavano reciprocamente consistenze nella mano che reggevano. Palpavano fisicamente fisicità corporee. Con stupore spalancato.
Nel turbinare scomposto dello tsunami di folla, nel microcosmo di quella città, mentre si perdevano galleggiando, trascinati nel fiume dilagante, adamo ed eva entravano radiosi, entusiasti e spaventati, nella città del mondo.
Unici, come tutti i protagonisti delle storie di speranza e d'amore.
L'utopia e il desiderio, celebravano il trionfo della fantasia.

“… sono reti neuronali  artificiali; reti di nodi interconnessi in modo ricorsivo per produrre  apprendimento automatico; … per  mappe auto-organizzanti; con continua implementazione, che determina rappresentazione della conoscenza; ragionamento automatico;  pianificazione ed  elaborazione del linguaggio naturale…; la dinamica nel tempo stabilisce un assestamento in un particolare modo di oscillazione. … È la teoria dei sistemi dinamici. Di qui la memoria artificiale.  Funzioni di approssimazione o di regressione; filtraggio (eliminazione del rumore) e clustering. …Sistemi  di controllo.” 
        Andava ripetendo tra sé Cyber, camminando con a fianco Samira.
"Beh, si, fin qui ci siamo. Ma il passo successivo? La presa di coscienza del sé? L'assunzione di scelte e decisioni definitive? L'autodeterminazione? E poi, questa storia delle emozioni..! Non è che io voglia spiegarmela a tutti costi. C'è un casino di quelle cose che succedono, senza che possiamo spiegarcele!
Ma allora mi è andata proprio di culo! Nei vari script mi è scappata magicamente la mano.
Boh, fatto sta che ora esiste, che diventa sempre più vera, che realizza il suo sogno di diventare umana."

Guardò con aria compiaciuta la ragazza che gli stava al fianco, aggrappata al suo braccio. Si soffermò sui suoi capelli corvini, sulla pelle del volto che pareva abbronzata, sui suoi occhi neri e luminosi.... Che proprio in quel momento, come rispondendo a quelli di lui, gli si erano rivolti; con quella sfumatura tremolante di dolcezza. Di amore.
Con la mano libera, corta e paffutella, le sfiorò la guancia; le prese l'altra mano; se la portò al viso, baciandola con le labbra contornate dalla rada peluria della sua barbetta.