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giovedì 31 gennaio 2019

LA PRIMA NEVE
........(ecco,Ciccina!)
Il gelo pungente dei giorni precedenti si era smorzato. I rami delle zone boschive della vallata, erano sempre più neri secchi e scheletrici. Avevano un'aria triste lugubre luttuosa.
Guardarli faceva venire malinconia. Il cielo aveva dimenticato per un po' il suo colorito azzurro. E il disco solare si era preso un congedo per malattia.
Scendevano goccioline lente che si fermavano a mezz'aria.
Ondeggiavano di qua e di là. E alla fine si decisero. Rabbrividendo dal freddo scelsero finalmente di diventare fiocchi di neve.
Ma non quei fiocchi tipo batuffoli di cotone o zucchero filato bianco… Neanche per sogno. Volevano prima rifletterci ancora un po'. Non erano ancora sicuri.
Eppure gennaio stava quasi per finire. Qualche raro volo, con tenui e timidi cinguettii sperduti, fece scattare il segnale.
Le gocce di pioggia si fecero più consistenti. Si gonfiarono un po' alla volta. E alla fine divennero leggere come piume…
L'erba gelata era già stata spruzzata da un velo di neve nelle settimane precedenti. E su di essa si era steso pudico uno strato soffice e gelato di brina.
Osservare quel paesaggio faceva stringere il cuore. Faceva venire freddo all'anima.
Era il 27 gennaio.
LA MEMORIA UN PO' ALLA VOLTA SI FECE STRADA COME TUTTI GLI ANNI.
L'inverno divenne più risoluto. Determinato.
Addirittura quasi spietato.
Non ebbe più ripensamenti. Incertezze.
Dubbi.
Sapeva benissimo qual'era il dovere e il compito che gli spettava.
Nelle case i termostati si misero a fare il fatto loro.
Un odore di legna bruciata e di fumo si diffuse lentamente e in modo penetrante.
Chi aveva il camino lo aveva acceso.
Ponendovi sopra gli ultimi ciocchi a bruciare.
La collina e tutto il bosco si guardarono intorno.
Sapevano che stavano finalmente per fare la cosa giusta.
A camminarci sopra la neve era solo leggermente scivolosa, sulla stradina.
Più tardi sarebbe diventata un tappeto morbido soffice.
Con quel leggero sordo scricchiolio impalpabile.
A chi guardava tornarono in mente tanti inverni.
Tante nevi.
Tanti freddi.
Alcuni talmente remoti, da far quasi fatica a ricordarli.
Avevano per questo inventato le fotografie.
Specialmente quelle in bianco e nero.
Chi guardava sfogliava l'albo delle fotografie invernali.
Le proprie.
Quelle di altri.
E infine anche le più lontane nel tempo e nello spazio.
D'altra parte, era proprio così che andavano le cose.
L'inverno prese a fregarsi le mani, l'una con l'altra, per tentare di riscaldarsele un po' perché erano diventate gelate.
I rami neri e lugubri, continuarono a disegnare nel cielo grigio i loro scarabocchi immobili.
Muti geroglifici di messaggi remoti.
Intanto, senza preoccuparsi di niente, la prima neve continuava a infittirsi.
Fino a formare quasi una coltre di nebbia che oscurava la vista.
Qualcuno rivolse un pensiero dolce alla persona che amava.
Che probabilmente, ricevendolo, senza capire cosa stesse succedendo, lo ricambiò.
Per istinto.
La neve con i suoi fiocchi morbidi e sempre più leggeri, finì per rischiare di impigliarsi in quella rete di pensieri affettuosi e di ricordi che si era sviluppata e distesa.
Ma i fili dei pensieri erano così morbidi, impalpabili, che lasciarono cadere i batuffoli bianchi.
Che raggiunsero i loro fratelli. Sul prato bianco di brina. Sulla stradina.
E sui rami sospesi come dita aperte verso il cielo.
Imploranti.
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web
A D E S S O B A S T A !
Con toni e parole diverse, viene detto che ora
NON È PIÙ IL MOMENTO DI ASPETTARE O PARLARE SOLTANTO
non possiamo aspettare che sia troppo tardi: già ora è
TROPPO TARDI
Un appello accorato a tutti LE DONNE E gli UOMINI DI BUONA VOLONTÀ.
Di qualsiasi ideologia, confessione religiosa, parte politica.
Esempi?
associazioni di volontariato, pacifiste e di assistenza, raccolgano fondi per far circolare INFORMAZIONI nei media e nel Web.
Chi propone un prodotto, finanzia propaganda e pubblicità.
Dare e fare pubblicità alla verità.
Chi sta seminando l'odio conosce bene questa strada.
L'illusione che il Web e i telefonini avrebbero favorito emancipazione e rivolta giusta, si è rivoltata contro come uno scorpione immondo.
l'hanno imparata solo i mostri.
SQUARCI DI CIELO
E il velo della tela sospesa in alto, conservava ancora il suo grigio opaco, freddo, noioso.
Sembrava destinato a conservarsi così.
L'intera vallata, i suoi declivi collinari, le case che avrebbero presto ricominciato ad avere luci accese alle finestre…
A guardarlo, anche di sfuggita, c'era solo da restare perplessi e per nulla ottimisti.
Era stato poi, continuando a girare intorno, con l'auto e a piedi, che ad un certo punto gli era parso di notare un leggero mutamento.
Nulla di eccezionale. Una cosa così, di poco conto.
Ogni tanto fermava l'auto, come aveva già fatto nel percorso notturno.
Non sentiva neppure il gelo pungente sferzargli il volto nelle parti scoperte di barba.
Le mani le teneva a scaldarsi nelle immense saccocce.
Nel buio notturno non aveva praticamente incontrato, da vicino, quasi nessuno. Tranne qualche fuggevole apparizione. Tanto bastava. Riconosceva il pullulare di qualche presenza. La sfiorava con lo sguardo. E continuava, riprendendo ogni tanto l'auto a riscaldarsi. Il buio disteso non era tutto addormentato e assente.
Discreto. Riconosceva che anche la notte è percorsa. e frequentata.
Non erano folletti e neppure apparizioni. Erano presenze certamente.
Ma il peregrinare continuava.
E quando la coltre scura sospesa in alto cominciò a schiarirsi, assumendo quel grigio, abbandonò incurante le presenze intraviste, e cominciò a notare il mutamento del grigiore che andava qua e là incrinandosi di intensità.
Poi, notò che qualcuno di quelli strappi andava lentamente allargandosi, di azzurro intenso.
La cupaggine della notte, percorsa e abitata da auto parcheggiate coi loro contenuti, prese a farsi tutta quanta più celeste… E il celeste divenne più vasto e più intenso. Più rassicurante. Positivo. Cacciò via le immagini intraviste. E stette fermo anche lui, nella propria auto in sosta, a guardare il paesaggio silenzioso che stava trasformandosi.
Intanto riprese il ronzio, gradualmente, del traffico che andava risvegliandosi.
Un frammento di cielo alla volta abbandonava il colorito precedente. La luce diventava più intensa. E più calda, seppure nel freddo di gennaio.
Si accorse poi, che da qualche parte il sole aveva deciso di sorgere.
Quasi timoroso di essere notato troppo in fretta. Oppure di disturbare chi aveva vegliato da qualche parte.
Sfumato e accantonato il ricordo notturno, anche il telone freddo sospeso in alto, prese a spezzarsi qua e là.
Accese la pipa. E capì quello che era avvenuto.
Il pronostico malinconico preannunciato cominciò a sgretolarsi. L'azzurro alla fine divenne dominante. Spalancandosi coraggioso.
Qualcosa di definitivo e di sostanziale stava avvenendo.
E potè consolarsi sfiorato dalla canzone di Rino Gaetano.
Perché davvero, sempre di più, orgoglioso, risoluto, determinato, come una certezza vieppiù stabile, il cielo ora era blu, ed era sempre più blu.
Come prima il notturno, ora ancora di più, l'alba di speranza, di salvezza, di uscita dal buio, diventava metafora del tutto.
Cieli puliti promettevano il risveglio.
Lo preannunciavano.
Lo affermavano.
Depose la pipa, ormai spenta, e a mezza voce, intonò tra sé:
"IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU".
Nanni Omodeo Zorini
immagini dal Web
VIAGGI FANTASTICI
Appena l'astronave ebbe toccato il suolo, il bimbo esploratore capì che probabilmente aveva indicato delle coordinate citrulle. Gli esseri che gli vennero incontro, camminando sulle loro sei zampe e muovendo le proboscidi per aria, lanciavano squittii incomprensibili. Col suo traduttore simultaneo riuscì a farsene una ragione.
"Tornerebbi da dove ssarebbi venuto, altrimenti ti buttassimo a mare…"
Stava quasi per preoccuparsi, quando si ricordò che nell'enciclopedia dello spazio tempo, il pianeta delle teste di uovo quadrato, non aveva assolutamente mari…
E poi non se la sentiva di avere timore di quei minuscoli esseri deformi.
Provò a scambiare qualche comunicazione con il traduttore telepatico…
L'esperto del posto gli disse che ormai era stato "sorteggiato" il gruppo reggente. Poichè nessuno aveva voglia di essere scelto, erano stati sorteggiati i più zucconi in circolazione.
Uno si divertiva a indossare abiti sequestrati qua e là. E faceva finta di ringhiare come fosse un cinghiale, e mangiava tutte le schifezze saporite che trovava in giro... L'altro, ridendo compiaciuto, affermava le cose più strampalate… aggiungendo subito dopo che era stato frainteso...
Ma nel pianeta dei testa di uovo quadrato, in quel tempo le cose andavano proprio così. Chiunque avesse studiato, sapesse esprimersi in quell'idioma particolare, veniva denigrato, deriso e trattato da stupido.
Ma dopo poco tempo (perché il tempo scorreva molto più in fretta che sul pianeta terra), il bambino spaziale si accorse che da lontano arrivavano come piccole formiche, camminando sulle proprie sei zampe, infinite schiere di abitanti del posto.
Portavano al collo delle strisce colorate di rosso.
E per stare al gioco dell'assurdo, il traduttore tradusse le frasi che scandivano: "andatevene voi via… Il gioco e la pacchia sono finiti… " proclamavano rivolti ai due clown che si erano eletti da soli imperatori del pianeta... E a chi li aveva voluti e scelti.
Gli imperatori da barzelletta, e gli altri bla bla bla, fecero finta di niente e quatton quattoni andarono a nascondersi...
Dopo aver affermato con sicumera: noi non abbiamo paura di nessuno... Scappando poi alla chetichella...
Il bimbo venuto dallo spazio, si aggiustò lo scafandro, fece un cenno di saluto con la mano, sorrise tra sé, poi andò ad esplorare altri nuovi mondi celesti.
"Quasi peggio che sul pianeta terra..." Pensò tra sé e sé...
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web
SENSO COMUNE, BUONA FEDE E IDOLATRIA
Spesso ho provato a domandarmi come funzioni il meccanismo per cui molte persone, probabilmente in buona fede, danno fiducia ad esponenti politici.
Me lo sono chiesto ad esempio rispetto al pur vasto consenso che ebbe Matteo Renzi; Silvio Berlusconi; o altri leader di consistenti raggruppamenti e forze politiche.
Non essendo io assolutamente un politologo, provo a mettermi nei panni della gente comune, della quale pure faccio parte. Mi perdonino pertanto i dottoroni della politica, di qualsiasi orientamento, se potrà apparire troppo semplicistica questa mia riflessione.
Una mia cara zia, per nulla professionista della politica, sufficientemente colta (successivamente per tutta la vita fu insegnante), provò così a rispondere a me nipote, circa la sua esperienza giovanile.
Per vari motivi si trovò a vivere per alcuni anni a Roma.
Aveva trovato una occupazione che le permetteva di vivere dignitosamente. Un'offerta di lavoro venne a lei e forse ad altri giovani come lei, su consiglio di suoi conoscenti. Svolgere un lavoro d'ufficio nella grande macchina della politica di quel tempo. Non ebbe il problema di dover scegliere in quale partito: c'era allora il partito unico; il partito nazionale fascista. Sembrava ovvio che la scelta fosse normale.
Quando me ne parlò aveva strumenti di conoscenza e informazione che ormai le permettevano di guardare con occhio molto critico quel tempo. Ma ebbe modo di raccontarmi un episodio che mi colpì particolarmente.
Periodicamente il leader assoluto, teneva comizi, adunate e arringhe di massa, parlando dal balcone di palazzo Venezia.
L'onesta osservatrice riteneva, in buona fede, che almeno la gran massa dei fedelissimi e ammiratori, ci andasse di propria iniziativa.
La notazione sua era relativa al fanatismo, soprattutto quello femminile che ebbe modo di notare, e di raccontare sorridendo.
Vi erano donne giovani e meno giovani, che stravedevano per quella persona. I media del tempo, radio, altoparlanti, stampa a senso unico, avevano molto contribuito, oltre al carisma personale di costui, a ingigantirne l'immagine. Fino a farlo diventare un mito da adorare.
Lei raccontava che conosceva donne che si dichiaravano segretamente innamorate di lui oltre che entusiaste.
Come in altri diversi fenomeni di tipo musicale o di spettacolo, il luogo della adunata veniva raggiunto molto tempo prima soprattutto da chi temeva di non avere un posto adeguato come osservatore/osservatrice.
Le conoscenti particolarmente devote, talvolta al termine della celebrazione e del rito, talmente si erano infervorate da perdere i sensi. Perciò, si erano poste preventivamente vicino alle cancellate e alle inferriate. E facendosi aiutare si erano fatte sorreggere e legare con cinture o altro, alle inferriate stesse. Non avrebbero così corso il rischio, nel caso di un eventuale mancamento, di cadere a terra, rischiando di essere travolte…
Quando la piazza, alla fine, cominciava a vuotarsi, persone amiche intervenivano, rianimandole e liberandole dai supporti di sostegno.
Il racconto a me giovane sembrava un po' buffo. Quasi inverosimile. Ma ebbi conferma successivamente che davvero in situazioni di massa, per concerti ad esempio relativi a personaggi adorati e idolatrati, avvenimenti sportivi,
non era assolutamente incredibile. Benché assurdo.
Urla, ovazioni, emozioni a livello altissimo, avevano a volte portato al mancamento e allo svenimento di qualche persona fedelissima troppo devota.
Come quella zia, molte persone allora erano assolutamente in buona fede. E vedevano nel personaggio autocostruitosi con l'aiuto degli organi di informazione, l'uomo del destino. Un qualcosa di simile a un Messia, Salvatore, con elementi magici e quasi sacrali.
Ci furono adoratori, a quanto mi è dato ricordare, del presidente cinese Mao-Tze-Dong, di Giuseppe Stalin, di Videla, di Pinochet, Evita Peron… Bob Dyland...Accosto leader politici diversissimi tra loro. E anche figure carismatiche del mondo dello spettacolo.
Mi preme soltanto notare, l'elemento strutturale che li accomuna.
Ammiratori in buona fede, che senza approfondire dovutamente il retroterra artistico, culturale o politico, diventavano “adoratori e idolatri” di un personaggio che ritenevano eccezionale.
Salvo, poi, successivamente, riconoscere la propria eccessiva fiducia, stima, ingenuità… Quando mutava il gusto della musica, il clima e le idee politiche, il contesto. Provo a dare una mia modestissima interpretazione. Forse c'è nella gente comune un grandissimo bisogno e una smisurata aspettativa di "uomini/donne del destino".
Forse proprio perché di figure mediocri, modeste, deludenti, ne avevano già incontrati abbastanza…
Riesco perciò abbastanza a "capire" e spiegare il ripetersi anche nel tempo contemporaneo, di fenomeni del genere. Capire, ma non "giustificare"!
E torno alle mie continue convinzioni da uomo di scuola ed educatore.
Tutti i luoghi di formazione, educazione, apprendimento, non solo quelli istituzionali ma anche il contesto ambientale che ci circonda, e i mezzi di informazione attivi, dovrebbero opportunamente porsi il compito di aiutare chiunque, giovani o meno giovane, a costruirsi con i propri strumenti personali, un "senso critico". Degli occhiali dalle lenti pulite che permettano di guardare la realtà senza condizionamenti. Riconoscendo elementi positivi ed elementi negativi. Per evitare di divenire prede, vittime dell'influenzamento esterno. Dei "si dice"; "tutti ritengono"; "è opinione comune diffusa"…. Scuola, mezzi di informazione, tutti insieme insomma, è auspicabile diventino quella che Ivan Illich definisce "comunità educante"!
Senza assolutamente volere criticare o giudicare coloro che, involontariamente, subiscono tale condizionamento.
Analizzo soltanto un fenomeno. E provo a farlo utilizzando il mio senso comune, di persona comune, con uno sguardo e degli strumenti comunissimi.
Non me ne vogliano i dottoroni e professoroni di qualsiasi orientamento o formazione.
E soprattutto, non me ne vogliano coloro che sentono o vedono messa a nudo questa fragilità. Che forse ha toccato almeno qualche volta un po' tutti noi.
Nanni Omodeo Zorini
foto Web

domenica 27 gennaio 2019

Giornata della memoria.
«È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché
CONTINUO A CREDERE NELL'INTIMA BONTÀ DELL'UOMO."
.
IL DIARIO DI ANNA FRANK
(Mondadori 1966, pp. 231–232) (da Wikipedia)
Memoria, ricordo vivo, opposto della rimozione e dimenticanza distratta o colpevole.
Il termine "shoah" sta a significare: "PREMEDITAZIONE". L'ha ricordato con voce tremante stamane a Raitre prima pagina Laura, di Novara. La ringrazio.
E ha ricordato anche che tutti gli avvenimenti specie quelle orribili hanno bisogno di una parola, di una DENOMINAZIONE, per esistere per davvero ed essere visibili.
Suggeriva di provare a dare un nome ad esempio alla Shoah del Mediterraneo.
Aborrisco e rifuggo dal costume pigro e svogliato invalso, di chi si riserva la memoria a scadenze prestabilite. Come da calendario. Come per molti concetti chiave, non basta averli presente quel giorno, perché ce lo impongono ritualmente in media o il Web.
Liberazione, resistenza, persecuzione, sterminio, inquisizione, femminicidio, pedofilia…
La lista dovrebbe continuare all'infinito… Forse basta assumere l'idea chiave: non esiste un giorno determinato esclusivo; dovremmo essere così maturi, onesti, dignitosi per cercare di avere sempre sullo sfondo della coscienza certe idee fondamentali.
Se siamo innamorati, non ce ne dovremmo ricordare solo il giorno della ricorrenza… Se abbiamo avuto un lutto dentro il cuore, esso è sempre presente. Se abbiamo provato orrore, sgomento, disgusto, vomito… per qualche evento terribile, passato o presente, non riponiamolo nel cassetto delle cose sgradevoli da cercare di rimuovere.
La rimozione è un atto vile, ignobile e inopportuno: come buttare la sporcizia sotto il tappeto. Prima o poi viene fuori.
Impariamo, se ne abbiamo il coraggio, per quanto sia imbarazzante, spiacevole e fastidioso, a collocare tutti gli eventi recenti o presenti o futuri, in un contesto realistico. Senza cancellare nulla. Con lucidità e onestà mentale.
Shoah, gulak, sterminio, nazismo e stalinismo… covano comunque sotto la polvere.
I fantasmi mostruosi ipocritamente esorcizzati cambiando discorso e girandosi dall'altra parte, tornano fuori, virulenti, osceni e terribili ogni volta di più.
Nanni Omodeo Zorini
foto Web e Wikipedia

sabato 26 gennaio 2019

LA ZEBRA CIRILLA E IL SUO SOGNO
A dir la verità sembrava un po' strana la cosa. Si era fermata sotto l'ombra di un sicomoro. Perché il sole era troppo forte. E poi le era successo un guaio di recente. Mentre saltava al di là di un cespuglio spinoso, gli aculei della pianta le avevano graffiato le caviglie posteriori. Appena sopra lo zoccolo.
Si ritrovava lì, tutta sola, a leccarsi le sue ferite. Per fortuna non vedeva da nessuna parte arrivare i feroci predatori. Né le leonesse. Né le digrignanti iene. E neppure i piccoli sciacalli dai denti taglienti. E per avventura anche, il grufolanti facoceri, dal loro aspetto di cinghiale dai denti a sciabola curvi verso l'alto, in quella stagione non si facevano vedere.
Per fortuna, ebbe a pensare tra sé, la zebra. E mentre faceva queste considerazioni, si compiaceva e insieme si stupiva di trovarsi zebra. Di trovarsi lì. E anche di ricordare il proprio nome: lei era la zebra Cirilla!
Boh, pensò tra sé e sé, come pensano e come borbottano nei loro soliloqui le zebre.
Però ormai il dolore diventava sempre più pungente e lancinante. Temeva di non resistere più. E le venne spontaneo mormorare, e poi ripetere in un nitrito morbido e doloroso: "GUARISCIMI"!
Non passò troppo tempo che sentì vibrare il terreno. Un galoppo lontano in una nuvola di polvere.
Solo quando il galoppo si arrestò, la polvere si diradò, e vide…!
Uno stupendo esemplare di zebra maschio. Forse un po' in età. Infatti anche le strisce nere avevano assunto un colorito grigio bianco. Un bell'esempio di stallone di zebra vetusto e in regale.
Rimase a guardarla con il suo occhio fermo e lucido. Ergendo il capo e il collo fieramente. Doveva essere un esemplare nobile. Un aristocratico per davvero.
Cirilla mosse le froge. Sollevò le labbra mostrando i denti bianchissimi. E lo guardò ammirata con stupore compiaciuto.
"Ti ho chiamato e subito sei comparso… Sei dunque tu sempre il mio maestro, la mia guida, il mio protettore? Hai sentito il mio richiamo addolorato. E sei comparso magicamente!
Vedi che ora me ne sto qui sotto questo sicomoro. Mi sono ferita dolorosamente le caviglie posteriori e i tendini. Meno male che tu sei arrivato. Speravo proprio in te! Per questo ti ho chiamato. Mormorando. E alla fine nitrendo con dolore…
Fai qualcosa! Guariscimi! Tu sei l'unico davvero che può farlo!…"
Lo stallone attempato, abbassò di nuovo il capo e le spalle come era sua abitudine per il peso degli anni.
La zebra ragazza socchiuse gli occhi compiaciuta. E quando li riaperse…! Ohibò! Meraviglia!
L'amato da sempre e per sempre amico, era momentaneamente scomparso… E al suo posto…!
Si trovò di fronte una figura umana. Fiera. Altera e insieme bonaria e benevola.
Un lungo sari bianco lo ricopriva da capo a piedi. Teneva il braccio destro disteso ad impugnare un grosso bastone. Aveva un aspetto regale.
Riconobbe subito in lui lo sciamano guru della vallata.
Le sorrise con dolcezza.
Poi le si avvicinò. Depose il bastone nella sabbia accanto a lui. Si accucciò inginocchiandosi e prese a carezzare i suoi garretti invasi dal dolore.
E mentre le manipolava le estremità, spostava continuamente gli occhi per fissarli nei suoi.
Mormorò alcune parole magiche.
Poi le ricordò il proprio nome.
Aggiungendo che il nome come le parole magiche le inventava ogni volta daccapo. E che ai pazienti che andava a curare, ogni volta dava una spiegazione e una traduzione diversa. Perché amava tanto vedere il sorriso di chi ascoltava.
La sua paziente in quel momento, cominciò a smettere di essere impaziente.
Si calmò e si tranquillizzò. Sentì un piacevole benessere che dai garretti saliva su su per le cosce, per il tronco, per il cuore per l'anima, fino al capo e alle guance.
Per il piacere, socchiuse di nuovo gli occhi.
Quando li riaperse, nel nero luminoso si rifletteva l'azzurro del cielo. Non si era mai vista una zebra dagli occhi azzurri. E lei era contenta di avere uno sguardo celeste…
Però a quel punto, lo sguardo celeste vide che il grande mago maestro amoroso e amatissimo, era di nuovo scomparso. Lasciando al suo posto lo stallone antico.
Con un bramito, nitrendo, lui la salutò… E in quattro salti fu di nuovo al galoppo. Attorniato dalla sua nube magica che lo avvolgeva.
Nel frattempo, il sicomoro prima striminzito con i suoi rami, si era riempito di fronde che scendevano giù fino a terra, come fossero rami di salice. Formando una gabbia protettiva tutto intorno a lei. Gli animali da preda non l'avrebbero più vista. E si accorse anche che il proprio odore selvatico era sostituito da un profumo di rose.
Sentì batterle nel petto il cuore contento…
Fu allora che si distrasse un momento…
E finì per risvegliarsi.
Si trovava ora nel suo letto. E non aveva più il corpo da zebra. Ma quello della ragazza che era sempre stata. E che tanto piaceva al suo maestro curatore magico e un po' folle narratore di storie.
Fece un mezzo movimento. E si accorse che le sciabolate alle caviglie e alle gambe si erano molto attenuate. Pur senza scomparire ancora davvero.
La sua fiducia nella magia amorosa, riprese il sopravvento.
La gabbia protettiva dei rami del sicomoro, era diventata la sua camera e la sua casa. Nella quale ora non si sentiva più davvero sola. Il profumo di rosa permaneva. E permaneva l'immagine di lui che le era apparsa nel sogno.
Rimasta ancora un po' golosa di sognare, provò a socchiudere ancora gli occhi.
Il santone era diventato ora completamente il suo principe cavaliere maestro. E le stava porgendo un dono. Uno scrigno nel quale lei pensava ci fossero dei gioielli.
Allungò le mani. Ha perso il coperchio. E… Oh meraviglia! C'erano dei cioccolatini di tanti gusti…
Provò ad afferrarne uno anche se avrebbe preferito restare a dieta…
E, nuova meraviglia… L'involucro argentato e dorato non conteneva davvero una pralina di cioccolato saporoso. Apparentemente non conteneva niente. Ma conteneva immagini, profumi, melodie, come di un vento di primavera che le portava sollievo, piacevolezza, consolazione…
E uno dopo l'altro scartò tutti i cioccolatini magici e fatati.
Ritrovò il profumo dei fiori in primavera.
Ritrovò l'odore di bosco e di foglie e funghi. Di muschio e di autunno.
Ritrovò il flauto dell'acqua del ruscello.
Ritrovò la brezza fresca piacevolissima quando c'è la calura.
Ritrovò e finalmente si impossessò completamente del ricordo amoroso.
Ritrovò l’odore caldo e sensuale dei corpi reciprocamente nudi.
Ristette ancora un po' in quel residuo onirico.
Sarebbero passati ancora giorni, settimane, forse anche mesi… Ma ora sapeva che stava cominciando ad uscire per sempre dal dolore. Dalla sofferenza. Dalle stilettate che l'avevano perseguitata.
E senza aprire gli occhi, mormorò a bocca chiusa dentro di sé: "Sì, mio maestro, mio principe, mio sovrano, mio mago, mio innamorato unico da sempre e per sempre, hai ascoltato la preghiera che ti ho rivolto nel sogno quand'ero zebra. Ti avevo chiesto di guarirmi. Lo stai facendo. Ti prometto un regalo…
Tu aspettami, il tempo passerà in fretta… E poi tornerò a cantare, a gioire, a camminare nei prati e nei boschi con te… A recitarti la mia canzone amorosa totale.
Adesso arrivo. Grazie di avermi aspettato. Grazie per la magia. Grazie di esserci, amore mio grande, mio unico amore di tutta la vita…
Presto, lo sai e anch'io lo so, ricomincerà il paradiso infinito…"
Poi, beata e contenta, senza accorgersi sprofondò di nuovo a galleggiare a volare nel sogno.
Tornò ad essere anche zebra Cirilla. Tornò ad essere la principessa regina alunna bambina e donna per il suo bizzarro narratore regale…
Quando, più tardi, si risvegliò del tutto, si accorse che qualcosa di sostanziale era cambiato. Stava cambiando.
Scese in cucina a prepararsi una tazza di tè verde. E poi ci infilò ad ammollarsi dei biscotti. E fece merenda. Fece colazione. Aspettando che il principe tornasse davvero di persona con i suoi saporiti bocconi…
Ma questa, come si dice sempre in casi simili, è un'altra storia…!
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web