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domenica 24 febbraio 2019



UN NULLA ASSORDANTE
non c'è rassegnazione che valga
se la sera ha assordato i battacchi
ammutolendo i bronzi da festa
se la voce arriva smorzata
afona di parole e sussurri tutti
se gli sguardi sfumano lontani
distratti assorti malati
se i tramonti si spengono muti
e la tenebra dilaga amara
non c'è consolazione che regga
né parole di conforto non dette
né lacrime asciutte da piangere
né voli di aironi o colombe
né rane a gracidare in risaia
né sussulti o tremori di sorta
né nulla di nulla e nient'altro
quando deciso si spegne il giorno
quando l'attesa di albe è remota
quando i sipari muovono vacillando
quando giace la bacchetta sul leggio
quando il tempo si piega al silenzio
quando la notte incombe inesorabile
quando le lancette si arrestano ferme
non c'è rassegnazione
non c'è consolazione
non c'è fruscio di foglie
non c'è scroscio d'acqua
non c'è respiro assorto
non c'è più nulla
meno che nulla
e nient'altro

sabato 23 febbraio 2019





IL REGALO
Beh, sì… Aveva fatto proprio bene lei a dirglielo… 
«E se davvero mi è successa quella cosa, quella che tu mi prometti e mi auguri da tanto tempo, se l'inferno finisce…
Se comincio fra poco come è vero e come è nell'aria, a muovere passi sicuri uscendo dalla palude in cui ero scivolata… 
Me lo faresti amoremio un regalo? Scusami, sai, se te lo chiedo… Ma ne sento proprio il bisogno… Ho  forse fatto male a dirtelo via chiedertelo, Ciccio…?»
A lui, già da un po', stava tremando il cuore. E non era solo fibrillazione atriale. Che a quella si era già abituato. Era proprio come quando comincia a pulsare più in fretta il sangue nelle vene… E il cuore si mette a fare: "tu-tum tu-tum tu-tum tu-tum…"
E comincia con un leggero tremolio incerto. Non ancora definitivamente convinto. Poi diventa sempre più sicuro, spigliato, determinato… E gradualmente aumenta di tono. Come un'orchestra d'archi e di ottoni, che come l'odore del dominio del attacca con qualche sfumata melodia appena accennata. A mezz'aria. Introduttiva a quello che poi tutta l'orchestra un po' alla volta butterà fuori. Risoluta. Come un uragano gioioso. Come il mare quando comincia a montare di forza. E dopo le prime onde con gli spruzzi bianchi che mandano pulviscolo bagnato a chi è sulla riva, fa arrivare di gran carriera e al galoppo i cavalloni verde blu cobalto.
Un crescendo, prima moderato, garbato, da sembrare dubbioso.
Poi prende forza. Sempre di più. E di più, e di più, e di più…
Per invadere tutta la sala del concerto, inebriando e facendo galleggiare il pubblico estatico.
«… Sì… Dice proprio così sai… Che devo riabituare la mia sensibilità al dolore, allenandola ad essere più coerente, misurata, adeguata. Agire sul dolore. Avere un atteggiamento diverso rispetto ad esso. Non guardarlo o intenderlo come qualcosa di definitivo, di irrisolvibile e irrevocabile… La via d'uscita è proprio questa. Abituare anche per brevi periodi, sempre di più, tutta me stessa ad attenuare la eccessiva percezione del dolore. Quei brevi periodi in cui l'inferno si attenuerà o sarà smorzato, la addestreranno. Che poi, messi da parte i farmaci, mi accorgerò che il dolore un po' alla volta si addormenta e se ne va via per sempre…»
Il battito cardiaco cresceva di tono. Man mano che ascoltava l'evoluzione della sofferenza poi in più in che andava all'incontrario. Un crescendo di emozione e di affetto. E uno smorzarsi, fino ad annullarsi del disagio e delle pugnalate dolorose…
Un crescendo emotivo. E una scomparsa della tempesta dolorosa.
Un gioco a saliscendi. Sale la gioia e la speranza. Tramonta e si dilegua l'ombra nera.
Si era pertanto determinato. E mica si trattava di un gioco in quel caso.
"Mi accontento di una cosina così e così… non prezioso, un oggettino di bigiotteria sai, di quelli che piacciono me… Quasi quasi mi vergogno di dirtelo… Di chiedertelo… Se vuoi faccio finta che non ho chiesto niente…" Gli aveva detto imbarazzata. Come una bambina che ha superato a scuola una prova difficile. Un'interrogazione che la preoccupava e le dava ansia. Un compito nel quale temeva un esito negativo. Un piccolo rinforzo, diceva che le sarebbe bastato, una microscopica gratificazione.
Ma sì! Stiamo freschi! Roba da matti! Dopo tutti i patemi che abbiamo avuto insieme… Con tutte le pugnalate lancinanti che ha subito, e col mio restare in sospeso in apnea…  
A continuare a dirle, convinto, sicuro, cocciuto e determinato, che anche questa sarebbe passata… Ma già. Comodo dirlo per lui che si si limitava a guardarla da fuori. Le aveva dato forza. L'aveva sorretta. Spronata. Rincuorata. E ora…
Ora l'aveva detto con certezza qualcuno che conosceva i meccanismi del dolore e della guarigione… Come abituarsi ad addestrare e a domare un cavallo imbizzarrito. 
Calmarlo. Rasserenarlo. Rincuorarlo. Poi applicargli i finimenti e le briglie curative.
E ora, infine, cominciare a intravedere le macchie d'azzurro nel cielo. Buio cupo e imbronciato così a lungo finora.
Ma sì… Stiamo freschi! Un anellino da bigiotteria… Per quanto bello… Ma neanche per sogno.
Sarebbe andato al più presto a passare in rassegna quella tipologia di oggetti regalo. Ma non bastava assolutamente. Ma neanche per sogno!
"E ci mettiamo allora: una gitarella, una vacanza, un'intera giornata come un po’ di tempo fa, andiamo trovare il nostro amico signor S. Giulio. E questa volta ti tengo per mano. E sarò più bizzarro, ridanciano, euforico e festoso che mai.
Una giornata… Come minimo… Come inizio… Come aperitivo… E poi…
Riprendiamo il gioco amoroso. La casa che aspetta con la sua penombra accogliente. Le candele. Le bacchette di sandalo profumato e di incenso. I nostri giochi prediletti. Moscacieca. E tutti gli altri che conosciamo bene e che non abbiamo mai dimenticato in questo periodo brutto e grigio. Che ha tentato invano, vigliaccamente, di allontanarci l'uno dall'altra. E poi… Una vera vacanza. Una vacanza premio interminabile. Senza limiti di tempo. La vacanza che ci meritiamo da un bel po'. A tempo indeterminato. Indefinito. Assoluto…
Coccole?
E coccole immense saranno!
Baci?
E baci meravigliosi da far invidia al primo bacio che tu mi hai regalato saltandomi al collo anni fa.
Festeggiare?
Ma festeggiare in modo assoluto prolungato disteso… Ogni giorno sarà un crescendo di festa… E tutto resto non te lo sto a descrivere… 
Lo sai. Lo so. Lo sappiamo benissimo tutti e due. Qualcosa tipo il paradiso che avevamo messo da parte per un po' di tempo. Ma decuplicato di intensità… Stanne certa…
Io lo so, lo sapevo. L'avevo in mente. Non sapevo come fare a convincertene… Se non con le mie parole, i miei racconti le mie poesie… E adesso finalmente sei convinta, lo sai che stai uscendo da quell'inferno… Ma per scaramanzia, diamo tempo al tempo. Il regalo che ti faccio e il tempo reale, quello autentico, quello che abbiamo già gustato, mesi fa, per prova, che abbiamo imparato ad apprezzare… E che ora riprenderà a pieno ritmo… Lo sapevo… Lo sapevi anche tu, anche se preferivi essere cauta.. Sempre per scaramanzia, certo. Ed eccolo qui. Sta arrivando piano piano, a passi felpati, come la speranza, come la prima vera, come la stagione dei fiori e dei frutti i dell'estate, come la vita, d'altra parte…"
Sarebbe andato a fare un sopralluogo. Passando in rassegna i repertori presenti negli oggettini che lei gradiva. Ma mentre nei regali dell'uovo di Pasqua non si sa che sorpresa ci stia aspettando, lui sapeva già che lei avrebbe fatto i suoi gridolini di gioia e l'avrebbe abbracciato e baciato dicendogli parole che immaginava… Ma che non osava pensare… Perché anche lui, voleva dare tempo al tempo…
Un anellino… Una gita all'isola… Una vacanza poi… L'ombra tiepida e accogliente della casa che era rimasta un po' di tempo a languire.
 Senza gli incensi. 
Senza le risa sfrenate e gioiose di lei con voce argentina. Senza l'ululato di lupo che lui le offriva…
Il regalo era composito.
Cominciava con la speranza. Con la fiducia. Con l'attesa. Con i gesti e i riti e gli oggetti e i momenti e i particolari e i fumi profumati dei legni… E sarebbe arrivato, a fiotti sfrenati, come la cascata che lui andava ogni anno a visitare con il suo grosso scooter.
E avrebbe gustato l'acqua fresca di neve della sua voce argentina. 
Con le esse sibilate. 
O smorzate come quando faceva la bambina. 
Con i suoi sguardi di cielo terso e limpido. 
Con la primavera del suo fiato, della sua pelle, della sua presenza, della sua allegria sfrenata…
Il regalo stava cominciando con passi felpati a muovere verso il presente.
Terminò pertanto di scrivere le ultime parole.
E poi gliele mandò.
E rimase col cuore in sur-place.
Dopo avere placato momentaneamente il turbinio entusiasta.
Entrava ora lui con lei nella dimensione che la primavera dei sensi e dell'anima andava preannunciando con i primi accenni di boccioli… 
E sarebbero diventati fiori. Frutti.

giovedì 21 febbraio 2019

LA RIVA DEL MARE
Le  spiagge nella stagione invernale hanno un aspetto abbastanza desolato. Compaiono fra la sabbia frammenti di reti di nylon dei pescatori. Pezzi più o meno grandi e bianchi di polistirolo. E qualche macchia nera di catrame inzuppa la sabbia.
Quel giorno un immenso velario azzurro grigio stava sospeso sopra il verde del mare.
Voli di gabbiani che si buttavano tra le onde per riemergere con qualche sardina nel becco.
Sibilavano in aria gli strilli prolungati coi quali si chiamavano l'un l'altro.
La sabbia era umida e compatta. E camminandoci restava l'impronta profonda dei passi.
Qua e là qualche residuo di legno di imbarcazioni. E gli scheletri bianchi di tronchi d'albero, con i rami desolatamente protesi verso il nulla aereo soprastante.
Ne scelse uno e vi si sedette.
Il grigio azzurro disteso pullulava di ciuffi bianchi di spuma delle onde.
La risacca batteva piano, pigramente e lenta, inondando la battigia.
E l'acqua ritornava gorgogliando di dove era venuta.
Grande, immensamente grande e smisurato. Tutto quello che aveva davanti.
La bruma sul pelo dell'acqua arrivava fino all'orizzonte. Lasciando  sognare e sperare che al di là ci fosse qualcosa.
Che poteva forse anche esserci. Chi poteva mai dirlo…
Sentiva in quel momento emozioni coerenti con il paesaggio.
L'ansimare dell'immenso animale acqueo. Gli strilli urlati si dilatavano intorno. Una brezza leggera faceva a tratti arrivare spruzzi minuscoli sul volto e sulle mani.
Era una metafora del suo stato d'animo. E in essa, con i pennelli e le tempere mentali della sua fantasia, Prese a disegnare un bozzetto.
Sulla destra dispose accuratamente, uno accanto all'altro, tronchi di betulle e di platani. Preferì reinventarli ancora colmi di foglie verdi. Rigogliose. Placide e pensose come sa essere il bosco e la selva. Scomparsa la sabbia, poté descrivere e vedere un prato d'erba un po' stentato. Nel quale ancora restavano le foglie dell'autunno precedente. Se ne stava seduto su una panchina verde che sostituiva il tronco bianco di prima.
A sinistra una piccola chiesetta minuta, dalla porta massiccia verniciata di colore bruno.
Sul davanti, da un lato, rugginosa tra i resti di vernice verde, una fontanella di ghisa. Che  in quel momento non buttava acqua come fosse assorta nei suoi pensieri.
Dietro la chiesetta, sfilacciate verso l'alto, le sagome scure e confuse tra loro di altri alberi. Una massa verde intenso, colmo d'ombra.
Mancava soltanto il respiro ansimante della risacca. E gli strilli dei gabbiani erano ora sostituiti da altri volatili, che si rincorrevano con ghirigori visivi sul telone celeste.
Ed era stato proprio poco dopo che la campana stonata del piccolo campanile aveva dato dei suoi rintocchi. Dalla macchia al lato destro, intravide muoversi una sagoma.
E divenne sempre di più distinta man mano che entrava nello spiazzo.
Una leggiadra figura femminile. Un abito lungo fino ai piedi di velluto verde e castano decorato di eleganti losanghe di colore dorato.
Una cintura dello stesso aspetto, cingeva la vita. Molto alta. Appena  sotto il seno. Che per quanto minuscolo prendeva il piglio per ergersi timido, ma insieme deciso e spigliato, dando armonia a tutta la figura.
Una ricca treccia stava raccolta girandole intorno al capo. Dove diademi di grossi rubini e ametiste la tenevano raccolta.
Il suo incedere era insieme deciso e guardingo.
Muoveva passi lentissimi. E anche continuava a venire avanti.
«Permettete, messere? Temo di essermi smarrita nel bosco. Ci ero andata con le mie fantesche a cercare sotto le foglie le fragolette selvatiche. Minuscole. Dolcissime e fragranti. Per i funghi sarebbe stato ancora troppo presto vista la stagione. Ne convenite?
Abbiate la compiacenza, ve ne prego, di dirmi il nome di questo luogo incantevole, dolce, sereno in cui sono venuta a sbucare…»
La grazia del portamento e dei gesti, non era da meno rispetto alla sua voce.
Sfumava la lettera esse, talvolta dandole una cadenza di campagna. Dall'altra facendola vibrare con un sibilo delicato come il richiamo di un'allodola.
Si  alzò allora dalla panchetta. Con gesto ampio e plateale, si tolse l'immenso cappello decorato di piume di struzzo. Lo fece volteggiare in aria. Fece  una riverenza. Piegò leggermente il ginocchio.
«Per servirvi, damigella! La vostra apparizione imprevista, mi ero permesso di immaginarla e di sognarla da tempo. Sarò ben lieto, per compiacervi, di raccontarvi di questa landa e di questo borgo collinare…»
Con la loquela che gli era abituale illustrò il nome del sito le condizioni climatiche prevalenti. La popolazione residente e i luoghi più incantevoli che meritavano di essere visitati.
Intanto la donzella gli si era avvicinata, porgendogli la mano che lui accostò alle labbra
al gesto di lui si sedette al suo fianco sulla panchetta modesta.
Gli ameni conversari intrattennero la deliziosa coppia, per un tempo indefinito.
Ad un tratto fu lei, guardandolo negli occhi col suo sguardo turchino, ad apostrofarlo così:
«Dovete sapere, messer gentiluomo, che il mio nome è Artemisia.
Fin dalla più tenera età, dedicandomi al ricamo, avevo fantasticato incontro come questo
quasi mai mi viene concesso di uscire da sola. E ora, come vedete, ho smarrito per un po' mie fantesche. Palesatemi dunque il vostro nome se vi è consentito… Che io possa ricordarlo nei miei pensieri, e annotarlo nelle pagine dei miei ricordi quotidiani.
Voi siete certamente di nobile lignaggio. E se non lo siete per nascita, dal vostro parlare e dai vostri modi eccellenti, siete certamente nobile d'animo, di pensieri, di propositi.
Il nome di questo luogo  non mi dice assolutamente nulla. Mai prima l'avevo sentito. Perciò come faccio spesso in situazioni simili, mi farò convinta di trovarmi in un "non luogo". E insieme tutte le località della terra dello spazio e del tempo.
E dato che spesso la mia condizione esistenziale me lo impedisce, sicura di non essere vista, scoperta, rimproverata, voglio tirar fuori dal mio portamento regale, il profondo della mia anima autentica…»
E ciò dicendo, allungò le mani dietro la propria schiena e slacciò il corsetto che le legava l'abito.
E lo lasciò così scivolare ai propri piedi.
Con mano ferma e decisa tolse lo spillone che le teneva ferma la treccia sul capo. La sciolse. E una chioma fluente dorata le coprì il bianco del corpo…
Lui fece altrettanto. Sfilò  con un gesto rapido il giustacuore, che quindi mostrò la camicia bianca di batista con i piccoli pizzi sulle maniche e ai polsi..
Gli immensi stivali vennero scacciati via.
Ed entrambi di comune intesa si sdraiarono sul tappeto dei propri indumenti stesi disordinatamente sul terreno erboso.
Lui  le sfiorò la guancia e gli zigomi con dita delicate come quelle suonatore di viuela.
Lei afferrò la mano di lui. La  portò alle labbra e le baciò il palmo.
Nessuno men che mai sarebbe potuto capitare in quel luogo incantevole. Nessuno ne sapeva l'esistenza. Ed era un luogo/non luogo perché l'avevano creato loro due col proprio sogno e il proprio desiderio. Lei gli si accucciò al fianco. Gli  lasciò sfilare gli indumenti di raso che ancora, vezzosi, le nascondevano le pudenda.
Voli rapidi di collane di uccelli sonori percorrevano l'aria.
La dimensione era adatta per lasciarli sbizzarrire in quel sogno stupendo.
Lui la possedette e lei gli si avvinghiò. Lei offerse il frutto più pregiato del suo corpo. E lui se ne cibo golosamente ingordo.
Poi, fu lei che volle aprire la bocca per nutrirsi alla fonte che lui le offriva.
E di nuovo gli regalò l'anfratto umido e scuro che serbava tra le albicocche dei suoi glutei.
Nulla intorno se non il coro dei voli festosi ed ebbri d'allegria.
«Il mio sogno virginale ha avuto compimento. Non più dovrò trastullarmi da sola sotto l'alcova alta del mio letto di ragazza. Tu mi hai iniziato in modo energico e concreto ai piaceri che sognavo e desideravo fin da bambina.
E non importa quale sia questo luogo dove ci troviamo ora. Fantastico lo è. Sappi che ti attendo al più presto nella mia realtà quotidiana.
Come avrai ben immaginato, un maleficio crudele mi ha impedito i movimenti. Come la sirenetta di Andersen ogni passo mi provoca dolori lancinanti. Ma ora so, con certezza assoluta, che il nefasto incantesimo si avvia a scomparire.
Tu mi cercherai anche dopo, fuori da questo sogno leggiadro.
Io ti cercherò come faccio da sempre e ti troverò, stanne ben certo!»
I girotondi dei voli nel cielo si ritirarono sommessi.

Il bosco e la selva si dileguarono come nebbia.
Rimase soltanto la grigia, solitaria, spiaggia del mare di febbraio.
L'onda dava le ultime carezze alla spiaggia sabbiosa.
Lui si alzò dal tronco bianco dove era stato seduto.
E decise di dirigersi verso la realtà.  Verso  il roseto che aveva fatto sbocciare quell'incantevole apparizione. Non avrebbe strappato la rosa appena l'avrebbe trovata.
Lasciandola attaccata al ramo del cespuglio dove era vissuto sinora. Avrebbe accostato le labbra alla rugiada di quei petali carnosi. Per dissetarsi all'infinito. Ora che l'incantesimo e il maleficio stavano scomparendo.
Orientò perciò i suoi passi verso il paradiso che sapeva pronto ad attenderlo. E mentalmente tenne la mano morbido di lei nella propria.

mercoledì 13 febbraio 2019

IL GABBIANO E LA COLOMBA FERITA
e nessuno dei due sapeva bene che fare
in quel momento travagliato
ciascuno sulla propria imbarcazione
che stava facendo acqua
già da un po'
lui si consolava consolandola
e le scriveva lettere d'amore
lei stringeva i pugni
gli occhi
le labbra
e si accontentava
del proprio silenzio
della solitudine dal suo uomo
della nostalgia di lui
avrebbe voluto urlargli di accorrere
di salvarla di portarla via
da quell'inferno
ma non osava ricredersi
e si contentava di contentarsi
senza essere neanche contenta
non esisteva un surrogato
il mare vacillava intorno
il cielo sopra come una cappa di piombo
anche quando c'era il sole
buio
penombra
solitudine
rimpianto
nessuna alternativa
alla dolcezza di lui
avrebbe mai potuto
saziarla
lui gabbiano ad ali spiegate
roteava nell'alto e nel basso
e gli dolevano le ali
perché quel volo
sembrava
quasi
non finire
mai
sembrava
forse

LECTIO MAGISTRALIS
Quel giorno era stato preparato con grande cura degli alunni… I ragazzi e le ragazze da tempo avevano aperto una contrattazione soprattutto con lui. E dopo vari tira e molla
era arrivata la data prevista. Le domande che gli avevano posto erano le più variegate. Lui aveva provato a metterle insieme secondo un filo logico. Avrebbe potuto parlare quella volta delle relazioni umane in generale. E di quella particolare relazione tra umani che viene comunemente definita amore.
Appena entrato nell'aula, si era accorto che quasi nessuno aveva in mano i telefonini e i tablet. Sembrava un segno promettente… Provò a dire due cose capitolo introduttivo, ma venne subito bloccato da una ragazzetta al primo banco. Magretta con gli occhiali.
«Però, ci scusi prof, preferiremmo condurre la sua lezione in un modo un po' diverso dal solito… Se non le spiace, preferiremmo qualcosa di più simile a un dibattito… Cioè, ciascuno di noi, le dirà qualcosa, a mò di domanda… Lei parlerà. Interverranno altri di noi in modo sintetico è chiaro. Poi si passerà ad un altro argomento domanda… Cosa ne pensa?»
Guardò con immensa simpatia e stima la portavoce di quel gruppo. Non se l'era aspettata una richiesta del genere, ma nel suo cuore e nella sua mente lo desiderava…
Diede il suo assenso. Poi ci fu qualche istante di silenzio. E di nuovo la ragazzetta con gli occhiali, facendo un cenno con la mano col dito alzati, parlò…
«Tra di noi ci siamo tutti accordati. Ciascuno dovrà dire le cose con estrema sincerità, e tutti gli altri si impegnano a non sputtanarli raccontando in giro le confidenze che qui sono emerse… Immagino che anche a lei vada bene questo…
Per cominciare: citerò una frase che ho ricavato da una canzone di Enzo Iannacci che ho imparato in casa dei miei… "Un mondo solo con l'odio ma senza l'amore…"
Non pare anche a lei che il nostro tempo contemporaneo corrisponda sempre di più a questa definizione? Non per dire che nel passato l'amore sia prevalso così tanto. Se non come messaggio, proposta, utopia… Ma oggi, in questo mondo che è l'unico nel quale io vivo e che mi sembra di conoscere, indifferenza, odio, prepotenza, supponenza sono dominanti… Lascio a lei la parola…»
Il professore maestro li guardava con tenerezza.
Poi prese l'abbrivio, a parlare delle emozioni, del sentimento amoroso nei confronti dell'ambiente, di tutti i viventi, degli umani in particolare…
Lo sguardo vivace della ragazzetta e di altri sembrava implorarlo a toccare la tematica amorosa. Tout court.
Ne parlò a lungo. Della nascita del rapporto amoroso. Dell'infatuazione iniziale. Della magia che lo pervade. Delle rituali affermazioni: per sempre, tu sei la persona che ho sempre desiderato, se il partner ideale per la mia vita, sei quello che cercavo…
Poi, ci fu il passaggio all'amore narcisistico, dell’amare quell'altra persona per il gusto di specchiarcisi dentro e di sentirsi protagonista. Auto compiacendosi. Mi diverte amarti perché mi sento amato da te…
Col rischio poi di cadere in un rapporto così intimo da rasentare la simbiosi.
Ma è difficile amare nell'altro una fotocopia di noi stessi. Rischia di diventare o di restare solipsistico. C'è il desiderio della scoperta, della diversità dell'altra persona, mettendo a confronto la nostra e la sua diversità.
Poi le diversità possono diventare a un certo punto barriere. Difficili da superare.
Noi, ciascuno di noi stessi, ama la propria weltanschauung e visione del mondo. E il confronto ci fa vedere che ci sono varie visioni. Alcune tra loro difformi e contrastanti.
Corsi e ricorsi di continuo apprendimento, conoscenza, confidenza estrema, contrasti, diverbi, conflitti…
Avevamo scelto quella persona perché non era fotocopia omologata a tutte le altre persone che avevamo visto incontrato e conosciuto. Ma ad un certo punto era stata proprio quella diversità che gli era propria che ce lo rendeva estraneo. Straniero. Andava costruito un linguaggio comune. Ed era faticoso. E insieme piacevole la conquista sempre di un gradino maggiore di conoscenza, e d'amore…»
Un'altra mano alzata di un ragazzo con la barbetta.
«Forse è proprio questo, che nei confronti del resto dell'umanità, ci fa temere chi è molto o troppo diverso da noi. Per il linguaggio. Il colore della pelle. La provenienza geografica. E dato che è difficile imparare davvero bene queste intense diversità, può risultare più facile preferire stigmatizzarle come negative. Chi non è come me, chi è diverso da me, è sbagliato. O si adegua, oppure…»
Naturalmente il discorso si allargò al fenomeno presente in quel tempo. Ma presente in tutto il tempo dell'umanità. Da sempre. Solo gli spostamenti migratori, i processi di acculturazione, di apprendimenti dei diversi stili di vita e di tecnologie di intervento sulla natura, la diffusione del linguaggio proprio e la contaminazione con quello degli altri…
L'umanità è tutta una grande massa in cammino da sempre…
Spesso con aggressioni. Violenze. Guerre. Stermini.
E quando queste brutalità risultano solamente passive, cioè non agite direttamente, da soggetti che usano violenza su altri, è comunque una continua guerra.
Guerre di parole, di soprusi, economici e materiali, di esclusione…
Talvolta si riesce ad accettare gruppi di diversi, purché vengano relegati nei loro clan auto isolati. Piccoli ghetti di autoprotezione. Talvolta ci si mescola. Ma conservando le proprie diversità. Difficile, ambizioso, ottimale, per quanto abbastanza raro, integrarsi, integrando gli altri nel nostro gruppo.
Tra le diversità, quelle di genere, maschio femmina, etero e omo, ricco povero…
Il discorso andava avanti. Domande che non si aspettava, che non aveva neppure previsto, gli apriva il cuore di entusiasmo.
Alla fine, prima della conclusione, un ragazzo alto, dinoccolato, con una barbetta corta corta, vincendo la propria timidezza prese la parola.
«Proprio per l'impegno che ci siamo presi di tirar fuori anche i nostri vissuti più intimi, di tenerli riservati più possibile al nostro interno, racconto il mio caso personale.
Una storia d'amore. Un po' lo stato nascente di Alberoni… Il cuore che fa tu-tum, e batte all'impazzata. Il vedere il mondo non più soltanto coi propri occhi ma con quelli anche della persona amata. L'essere due che diventa a modo suo essere uno.
Poi, l'entusiasmo cala… Senza colpa di nessuno. Come un fuoco che ha terminato di ardere sufficienza. E che sta diventando cenere. E dato che non si può essere sempre all'unisono e sintonizzati, uno dei due fa la parte del vincitore e del dominatore sull'altro. Forse senza deliberarlo coscientemente ma un po' alla volta comincia a considerarlo ininfluente. Non essenziale.
E allora comincia a guardarsi intorno, con insoddisfazione, noia, curiosità…»
A questo punto, la provocazione era abbastanza consistente. Quasi gli interventi rischiavano di sovrapporsi. Di togliersi la parola l'uno con l'altro. Aveva toccato un nervo dolente. Aveva messo il dito nella piaga.
Il professore docente maestro, continuo regalare sulla platea il suo sguardo dolce, buono, comprensivo, cercando di buttare al loro ascolto tutto quello che aveva studiato, vissuto, sentito…
Ma mentre lo faceva, ripercorse nello sfondo della conversazione la propria esistenza. Le proprie esperienze. Il proprio passato…
Parlarono tutti o quasi tutti. Alcuni fecero la parte del leone. Ma anche i più timidi e impacciati osarono alzare il loro dito e dire la propria.
Si respirava un'atmosfera di comunità. C'era un trasporto che legava l'adulto a quegli adolescenti ragazze e ragazzi.
E lui pensò, mentre si avviava alla conclusione della sua lezione magistrale, che insieme stavano sperimentando un modello di relazione umana poco praticato.
All'uscita non riuscì a inforcare subito il suo scooter. Fu attorniato subito da ragazze e ragazzi, che parlando a volte tutti insieme, volevano continuare a tutti i costi quella autocoscienza collettiva…
E capì, perché gliel'avevano insegnato quegli sguardi di bambini cresciuti con cui si era confrontato, che la comprensione, il confronto, l'amore, sono forse davvero possibili…
Anche quando ci sono incidenti di percorso.
Poi, ripose la pipa ancora calda nella tasca. Si permise una carezza sui capelli di chi gli stava vicino. Si permise un sorriso affettuoso. E permise loro di dirgli:
«E stato davvero bellissimo, prof, grazie… Facciamole ancora queste chiacchierate qui.
Ciao prof...»
nanni omodeo zorini
foto web

lunedì 4 febbraio 2019

CETRIOLA

"Sogno o son desto?"
 Si  disse tra se stropicciandosi gli occhi.
E si compiacque, subito, contento ed entusiasta di concludere che desto, in quel momento, non lo era proprio per niente…
E così si rituffò subito nella dimensione onirica che gli piaceva…
Difficile, o quasi impossibile, definire e descrivere il luogo in cui si trovava.
Niente  di strano. In quasi tutte quelle dimensioni di sogno l'ambiente era così confuso, indeterminato e lui era lì in quel grigiore e si guardava in giro… ma era altro che lo attraeva e che dava connotati affascinanti alla situazione.
Stava girando, come spesso gli capitava, così sognando. Ma anche questa volta nella mano destra sentiva la piccola mano morbida e calda che conosceva bene.
La conosceva e intanto non la conosceva neanche un po'.
Mano di donna, mano di bambina, mano. Di ragazza
Fu  lo sguardo che lei gli mandava in di sotto in su a riempirgli l'anima e lui la riconobbe : era proprio lei!
Gli occhioni erano proprio quelli suoi, di bambina e anche dionna ragazza e lo guardavano con tenerezza, supplicandolo, pregandolo come se fosse davvero una bimbetta che desiderava e implorava di essere accompagnata sulle giostre.
Tenendola così per mano, si accorse che aveva mosso dei passi di qua e di là.
Fin quando lei ad un certo punto, tenendosi e aggrappandosi alla mano salda di lui spiccò un balzo. E lo avvinghiò con le sue gambette alla vita.
Nel  sogno oltre che donna era anche bambina, certo, per cui ci riuscì benissimo e lui riuscì facilmente a tenerla così avvinghiata è stretta muovendosi ancora…
Per aiutarla in quella posizione, allungò il braccio destro che aveva lasciato la manina femmina e le fece seggiolino per farla stare più comoda e per reggerla meglio.
La  mano di lui senti qualcosa di particolarmente morbido, sotto la gonnellina scozzese.
Non aveva indumenti intimi, la ragazza!
E gradiva la piacevolezza di quella mano ruvida e insieme morbida, che le reggeva il culetto e il pube.
Nei sogni, si sa , ci si muove senza sapere dove si è ,  dove si sta andando e perché si va.
E mentre lui si muoveva così, con l'impressione piacevole si accorse che la ragazza che era donna e che era anche nello sguardo bambina si teneva sempre più stretta a lui avvinghiata con le gambette bianche
Ma  anche nel sogno la carne e il suo corpo maschio adulto ebbe un moto e una reazione prevedibile
Sentì  ergersi sempre di più la sua virilità. Sfiorata  dalla gambetta destra della fanciulla. Se la sentiva carezzevole, la riconosceva.
La apprezzava la gustava anche così solo al tatto.
Dove andare mai? Sì domandò.
Anche in precedenti e simili avventure oniriche, quello è stato il suo dilemma e la sua domanda.
Dove  mai avrebbe potuto entrare per realizzare quella pulsione immensa che la ragazza con lo sguardo implorava golosa?
Un movimento impercettibile nel sonno stava quasi per farlo risvegliare.
Si aggrappò con tutte le sue forze al sogno per rientrarci e alla fine ci riuscì.
Stava  ora puntato sui piedi, con le gambe divaricate. E la gonnellina ballava ballava ballava su e giù come una piccola farfalla.
La sua virilità giovanile,  come quelle cose  che nei sogni a volte ritornano…
La  bambina era a cavallo della sua mascolinità. E galoppava contenta.
"Ma  Ciccio, ma tu sogni sempre queste cose, amore mio…"
"Macché, magari , gioia mia… Ma vedi ,  questi sono i sogni più belli e per questo te l'ho raccontato e te lo racconterò di nuovo fino a quando ne faremo insieme un gioco e una drammatizzazione. Il racconto di questo sogno è la medicina che ti regalo".
Lei  rise, immaginandosi a cavalcioni della sua carne rigida e robusta e si umettò di saliva, con la lingua, le labbra poi lo baciò… Sulla bocca…

tanto per cominciare: un grazie alla stupenda Daniela Casapieri per questa iniziativa che ora sta lanciando...qui e anche per altre vie...mi permetto di rilevare alcuni elementi salienti che la rendono particolarmente significativa:
POESIA;
collegata alla visione affascinante dell'evoluzione del pensiero umano che ne dà Vico...
e per di più con una iniziativa rivolta ai giovani…
Sono elementi assiomatici… Per sua stessa natura la poesia è nutrimento e miele della giovinezza… Solo chi ha un'anima giovane può gustarla, crearla ,viverne... aldilà della consuetudine che spesso i giovani scrivono poesie, per poi dimenticarsene e per poi diventare qualcos'altro da grandi...)
Una carissima amica che fu maestra elementare quando anch'io lo ero, mi ha confidato che non ne scrive di proprie, ma gusta quelle che in questo contesto io pubblico...
E guarda caso, questa cara amica, era come e con tantissimi giovani il 2 febbraio scorso al cordone intorno al municipio di Novara, per rilanciare la speranza…
Aspetto con entusiasmo, cara Daniela, che con la tua associazione CRISTIANA CASAGRANDE, definisca meglio il progetto e percorso… Chi ha l'anima giovane, si nutre di poesia… Scrivendola, leggendola, praticandola… Non sempre e non solo chi scrive poesia è poeta… Soprattutto è poeta chi la legge e la fa propria!
POETA SEI TU CHE LEGGI

venerdì 1 febbraio 2019

LE NOSTRE PRIORITÀ
LA VERA EMERGENZA
Ma sì!
In un momento amaro in cui bisognerebbe reinventare i criteri di convivenza, umanità e rispetto , potrebbe apparire pleonastico gratuito, inopportuno parlare di scrittura e di poesia!
Decine di migliaia di disperati lasciati morire in ogni dove mentre cercavano di approdare a qualche spiaggia o a qualche terra per sopravvivere.
Lager finanziati con fondi europei per feroci atti disumani. Mistificati come rimedi per il contenimento dei flussi migratori. Il peggio dell'umanità, in tutto il continente ma anche in tutto il pianeta, sghignazzando viene lasciato prendere la parola, l'iniziativa, l'azione!
Verrebbe forse da dire: l'emergenza è questa, fermiamo la cancrena dilagante e poi ne parliamo della poesia…
Ma forse entrambi i percorsi vanno fatti contemporaneamente.
Rieducare le nostre anime, il nostro sentire, il nostro sguardo verso i nostri simili, e verso tutti i viventi e il pianeta agonizzante. E contestualmente assumere e condurre l'istanza della rivolta, insorgendo, resistendo, rovesciandola cancellando la bestemmia umana dilagante!
Chi propugna, persegue, sostiene, in prima persona e delegando a paladini fantocci la disumanità, ha l'anima completamente vuota, sterile, castrata!
Insieme alla opposizione nostra, al dire no e a urlarlo, buttiamo fuori e proclamiamo valori, emozioni, sentimenti, sentiri e afflati come antivirus, rimedi vaccinali, antidoti contro il veleno dell'odio, della violenza, della morte spirituale.
Non suggerisco e non propongo pertanto di dedicarsi solo alla poesia, allo scrivere… ASSOLUTAMENTE NO! Propongo, suggerisco, invito a ripensare a quell'espressione di Vittorio rigoni: "RESTIAMO UMANI!"
E per chi fa troppa fatica a restare umano perché non lo è per niente, a provare A IMPARARE A DIVENTARLO!
Un'espressione ricca di significato che ripesco da molti decenni fa:
PRATICA DELL'OBIETTIVO
riconquistare umanità, praticandone l'uso, con discorsi, comportamenti, parole profondamente umane… Almeno finché siamo in tempo di farlo! Prima di sprofondare di nuovo come ottant'anni fa nella bruttura mostruosa che tinse di nero tutto il mondo!
(Intervento pubblicato oggi nella pagina del gruppo FB: "VENTO LARGO")
Buongiorno a tutti.
leggo solo ora quanto avete scritto due giorni fa come gruppo di redazione.
Mi scuso per non essere molto regolare nel leggere e pubblicare alcunché... Talvolta lo faccio per mio conto e non nel gruppo...
Vorrei cogliere l'occasione, se me lo permettete di un confronto dibattito discussione su che cosa può e deve essere per chi è in sintonia su questo la poesia...
E prendo l'abbrivio dal commento che mi sono permesso di porre all'ultima composizione di Giorgia Satta...
Mi capita Infatti spesso di trovare in vari contesti e anche su questa piattaforma di FB, scritture che a prima vista anno la forma e i modi di un testo poetico...
Ma che invece molto di frequente non lo sono...
Mi piacerebbe con voi e insieme a voi capire e imparare che cos'è quel valore aggiunto che fa sì che quelle strutture verbali, anche ricche di ritmo, assonanze e colori, davvero diventi in una poesia...
(Commento che mi sono permesso di apporre ai versi ultimi di Giorgia)
Intensa, allusiva, ricca di rimandi interni, ogni accenno o tratto rinvia a tutto un mondo, non sta a dire tutto, ma ne sfuma e ne inonda come sfondo pervasivo...
Eh sì, perché far poesia è fornire intuizioni veloci, massicce e contemporaneamente lievi... ma insieme garbate... E poi chi legge e gusta quei versi si costruisce da solo la propria versione...
Grazie Giorgia!
Siamo in un tempo in cui troppa gente si spaccia per autore di poesia.. magari anche usando termini o strutture di scrittura imparati altrove, ma senza riuscire a fare davvero questa cosa effimera indicibile, ineffabile, inraccontabile e insieme eccezionalmente vitale e benefica..."