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domenica 7 giugno 2015

OLGA

Nanni OMODEO ZORINI



(foto di Jan Rachota)

OLGA



2012


OLGA
1.  
L'immenso parcheggio sopraelevato era completamente ingombro di auto.
Dovette aggirarsi a lungo alla ricerca di un buco dove infilarsi. In alcuni corridoi di passaggio già stazionavano consumatori impazienti che, con la freccia di segnalazione lampeggiante, indicavano le proprie intenzioni; accanto a bagagliai aperti che venivano stipati di sacchi gonfi. I carrelli della spesa venivano sistematicamente vuotati di confezioni di acque minerali, coche cole, aranciate, birre, detersivi liquidi e  in polvere per lavatrici e lavastoviglie. "Questi sacchetti qui li possiamo mettere sul sedile di dietro". Ai figli o alle mogli toccava riportare il carrello sotto le pensiline distribuite regolarmente su tutto il territorio. Recuperando la moneta. Le auto con motore acceso segnalavano con le loro frecce lampeggianti irritazioni a stento celate. Qualche borbottio "ma dai, muoviti..." o semplicemente una smorfia della guancia. Recuperando figli e mogli, l'acquirente soddisfatto e compiaciuto manovrava uscendo molto lentamente dal posto detenuto. Che repentinamente veniva  occupato, con smania, urgenza. Prima che nascessero contenziosi. Equivoci con altri ricercatori di piazzole liberate.
Quando già stava per avere fortuna, non fu troppo lesto, facendosi fregare il posto da un immenso suv. Guidato da una tipa che teneva il cellulare incollato alla guancia abbronzata dalla lampada.
Biascicò dentro di sé un "brutta stronza", ma preferì lasciar perdere. E neppure per cavalleria.
Ripercorse l'ampio spazio fino all'estrema periferia dello spiazzo, vicina alla rampa dalla quale era salito poco prima. Qui si poteva ancora trovare a malapena qualche sistemazione.
Cercò di memorizzare il numero del settore e il colore. Certo, che al momento giusto, se ne sarebbe dimenticato. Ogni volta stentava a ricordare se le coordinate si riferissero a quell'occasione, oppure fossero reminiscenze di precedenti spedizioni.
Percorse un centinaio abbondante di metri; rinunciò a munirsi di un carrello; mise le chiavi dell'auto nella tasca dei calzoni nella quale non aveva il rigonfiamento dei due sacchetti biodegradabili opportunamente ripiegati. Le frecce dell'auto smettevano in quel momento di lampeggiare dopo l'input del telecomando di chiusura.
Estrasse il telefonino sul quale si era segnato l'elenco delle cose essenziali da acquistare. Per il resto avrebbe fatto un po' a naso. Girovagando di qua e di là. Facendosi venire in mente alcuni articoli che aveva dimenticato di memorizzare. Anche se sapeva benissimo che l'immenso hangar era intenzionalmente ripartito e scandito in infiniti corridori. Percorrendo i quali la panoramica in esposizione avrebbe risvegliato o creato necessità e bisogni indotti.
C'era spesso il rischio di perdere l'orientamento in quel labirinto. La varietà delle merci, le marche e le tipologie, il numero dei campioni esposti erano davvero eccessivi. Periodicamente, poi, blocchi e corridoi venivano riorganizzati, distribuendo diversamente le merci. Al di là di motivi logistici ci doveva essere anche l'intenzione di offrire apparenze di novità all'occhio del compratore/esploratore. Deliberate ristrutturazioni di campo, che avrebbero messo in difficoltà l'orientamento, offrendo nel contempo ulteriori stimoli ai bisogni consumistici.
Si avviò, a questo punto verso la porta girevole dell'ingresso laterale a sinistra.
Stazionavano qui, abitualmente, tabagisti incalliti che erano usciti non riuscendo a resistere alla tentazione compulsiva di una sigaretta. Che spesso, dopo le prime tirate, finiva per non offrire più gradimento e piacere. Per terra e nella sabbia dei portacenere erano state schiacciate contorte cannucce bianche con filtro. Il desiderio, che li aveva perseguitati a lungo nei peregrinari estenuanti, spingendoli al raptus di uscire, a tutti i cost,i a dare due tiri, di colpo era scomparso. E si sarebbero subito affrettati a riprendere a girovagare nei meandri degli scaffali, raggiungendo congiunti e partner, che li attendevano con sufficienza, spingendo carrelli ricolmi.
Non tutti però stavano fumando. Una persona soltanto non partecipava al rito.
Poco discosta dalla parete attigua alle porte a vetro girevoli, una figura femminile alta, non perfettamente snella, stava ritta guardandosi intorno.
Sembrava osservare la scena. Muoveva lo sguardo in giro, con calma delicata e gentile. Portava i capelli biondi di media lunghezza. Il suo abbigliamento non era né trasandato né particolarmente elegante; indossava abiti di foggia abbastanza inconsueta. Niente di speciale, un normale tailleur; ma qualche particolare che sfuggiva dava l'impressione che la donna venisse da qualche altro posto, che non fosse di quella città. E quell'aria di straniamento era anche nel suo modo di guardare.
Quando incrociarono gli occhi, a lui parve che quello sguardo lo seguisse con intenzione. Quasi con una leggera sfumatura di sorriso. Garbata, delicata, non insinuante o indiscreta. Però lo guardava.

Diversamente dal solito, riuscì a sbrigarsi efficacemente nei suoi acquisti. Come si fa quando si va a comperare a colpo sicuro; solo per cercare quelle tre o quattro cose che davvero ti servono. Con determinazione spigliata e decisa. Senza lasciarsi andare a bighellonare, in attesa di essere stuzzicati a scoprire quel che, la sapiente e oculata disposizione degli articoli, ha intenzionalmente posto lì, in bella vista per farlo acquistare.
Si avviò allora nella zona bar e self-service, approfittando per un pasto rapido, saporito e a costi contenuti.
Si accostò per l'ordinazione al bancone dell'esercizio che preferiva sempre. La varietà limitata di generi consisteva in alette e cosce di pollo fritte, saporite e piccanti, minuti arrostini di maiale monoporzione, patate fritte e al forno, crauti, melanzane, peperoni e zucchine grigliate; e, soprattutto stinchi di maiale arrosto!
Come di sua abitudine ordinò uno stinco con contorno di melanzane e crauti. E una birra. Destreggiandosi con il vassoio e le borse, si sistemò in un posto libero ad un tavolo, deponendo il vassoio delle sue leccornie abituali.
Dopo avere aperto la bustina delle posate e del tovagliolo si accinse ad aggredire il suo pasto. Quasi sempre gli capitava che il coltellino di plastica si incrinasse e si spezzasse contro la corposa massa brunita della carne.
Forse, proprio per la sua golosità e bramosia di cibo, fu proprio quello che gli accadde ai primi tentativi.
Mormorò, sacramentando, dentro di sé. Fece per alzarsi e richiedere al bancone altre posate di riserva. Fu a quel punto che la vide. Era seduta sul lato opposto al suo, ma più sulla destra. Aveva colto il suo gesto e con un sorriso gli stava porgendo il proprio coltellino di plastica. "Tenga pure. A me non serve proprio". Aveva detto guardandolo con sguardo gentile.
Aveva un volto ampio e ben modellato. Gli occhi erano di un colore grigio, con sfumature azzurre. Le sopracciglia discretamente marcate, dovevano avere subito di recente qualche leggero intervento di depilazione. "Davvero, sa? Per il mio kebab mi basta la forchetta. E poi il cucchiaino per lo yogurt". Pronunciava le parole in tono marcato, con un'inflessione che gli fece venire in mente i paesi dell'est. Non denotava improprietà di linguaggio. Solo una cadenza e delle sfumature inusuali.
Lui allungò la mano accettando il dono generoso e a basso costo. "Non c'è una volta che non mi si rompano.... La ringrazio molto. È davvero gentile." Le disse prodigandole un ampio sorriso riconoscente. Che lei ricambiò appena, con noncuranza. E si rimisero entrambi a consumare il proprio frugale pasto.
Poi, ad un tratto, lei alzò di nuovo lo sguardo osservandolo, compiaciuta della soddisfazione con cui stava divorando lo stinco di maiale. Attento a non spezzare di nuovo le fragili posate.
"È comodo, qui. In pochi minuti ci si può sbrigare a mangiare qualcosa. Senza perdere tempo a dover cucinare e rimettere tutto a posto. E poi non costa troppo. Da noi, molti anni fa, c'erano le mense di condominio. Una cosa un po' come questa qui. Al piano terra c'era un grande salone, che serviva per le riunioni di tutti e che faceva anche un po' come da ristorante. Poche robe. Ma era comodo e andava bene. Negli alloggi le cucine non le usavamo quasi mai. Non servivano. E gli appartamenti erano piccolissimi.... Ma forse la sto annoiando con queste mie storie?"
"Ma per niente, si immagini. Non ne ho mai viste di mense di condominio. Qui in Italia?"
"Oh, no; parlavo del mio paese, della mia terra. Io sono moldava."
"Complimenti. Parla benissimo l'italiano. È da molto che è qui in Italia ?"
A questa domanda non rispose. Parve ignorarla.
Mentre lui raccoglieva con la forchetta gli ultimi frammenti di carne e di crauti, la donna intingeva con garbo cucchiaino bianco di plastica nel bicchierino dello yogurt; portandolo alla bocca. Aveva labbra carnose che si aprivano appena per introdurre la crema bianca.
Sullo sfondo di quella conversazione rimbombavano spot pubblicitari, intervallati da sequenze di partite, provenienti da un megaschermo. Ad aumentare il livello sonoro il ronzio sordo delle conversazioni dei commensali,
La donna si era alzata e, guardandolo benevola, si stava spostando per portare il suo vassoio al contenitore di raccolta dopo averlo vuotato. Lui fece subito altrettanto. "Le posso offrire un caffè?".
"Accetto volentieri la sua offerta, ma se non si offende preferirei bere un tè. Sa, lo preferisco."
Al bancone di un bar, uno dei tanti che si alternavano a quelli di ristorazione, si accostarono a lui fece le ordinazioni.
Ripresero una conversazione che aveva, insieme, un carattere informale , permeato da connotazioni confidenziali. Circa le abitudini di vita in Moldavia, il clima, le ristrettezze economiche, le consuetudini; i ricordi d'infanzia.
Lui pensò che era un modo di conversare molto naturale, autentico, pur nella semplicità dei temi e degli argomenti trattati. Era come trovarsi a scambiare due chiacchiere con una persona che si fosse conosciuta da sempre; con la quale ci si fosse persi di vista; ma che fosse stato piacevole rincontrare.
Parve quindi naturale scambiarsi reciprocamente i numeri di cellulare. Prima di accomiatarsi.

Stentò, come sempre gli capitava, a ritrovare il settore dove aveva lasciato l'auto. Fu costretto a farsi aiutare dal telecomando delle chiavi. Fin quando vide il lampeggìo, là in fondo. Depositò i suoi sacchetti. Avviò il motore e scese la rampa dalla parte opposta a quella da cui era salito.

2.
Il condizionatore dell'auto buttava aria fresca contro il parabrezza, e su verso l'alto . Diffondendosi  nell'abitacolo. In sordina gli altoparlanti diffondevano le cadenze morbide e sensuali da un CD di Paolo Conte. Sul subito non riuscì a distinguere la suoneria del cellulare, sul quale aveva di recente appena installato "Una topolino amaranto". Poi i due motivi musicali finirono per confliggere. Mise la freccia e accostò, senza spegnere il motore.
"Sto chiamando il 3351830451?" Chiedeva una voce distaccata e asettica. Sul monitor compariva la scritta «numero privato».
"Sì, chi parla?"
"Ci scusi, qui è il commissariato di polizia. Parla il vice ispettore Terrisi.  Nel corso di un'indagine è stato trovata questa utenza di telefonia mobile. Avremo perciò bisogno di parlare con lei. L'utenza ci risulta intestata a Berardi Orazio."
"Sì, io sono Orazio Berardi, posso sapere di cosa si tratta?"
"Scusi, ma preferiremmo parlare con lei di persona. Potrebbe venire qui al commissariato, diciamo in giornata o nei prossimi giorni?"
Non riusciva ad immaginare chi avesse indicato il suo numero di cellulare. Né il significato che potesse assumere quella situazione. Fece, perciò, un rapido calcolo mentale. Scorrendo rapidamente il calendario di quella giornata. Erano da poco passate le nove del mattino. Poteva benissimo iniziare le sue attività con un po' di ritardo.
"Certo, va bene, vedo di liberarmi subito di qualche impegno e raggiungo i vostri uffici. Presumo di dover venire in questura?"
"Grazie. Sì, sia così gentile da venire in questura. Alla porta chieda di me, vice ispettore Terrisi. Le daranno le indicazioni. Arrivederla."
"Scusi, un particolare, è possibile parcheggiare lì vicino?"
"Certo. Indichi qual è  la sua auto all'agente che staziona davanti ai nostri uffici. L'aspetto, allora."
L'edificio grigio e amorfo si ergeva, con le sue pareti ricoperte di lastre di travertino. L'aspetto inconfondibile dell'architettura del ventennio. Nei primi anni dopo la liberazione avevo ospitato una Casa del Popolo. Occupava un'ampia zona che iniziava dai giardini e dall'attiguo Parco dei bambini. Il massiccio e brutto parallelepipedo era, almeno parzialmente, ingentilito dalla massa accogliente e protettiva dei platani e degli ippocastani, che gli facevano da sfondo. Trovò un posto vicino a delle auto di servizio, sul tettuccio delle quali era ancora montato un lampeggiatore azzurro. I parabrezza delle altre auto vicine mostravano una targhetta applicata dall'interno per identificare la professione del proprietario.
Scese, imbarazzato, facendo dei cenni da lontano al militare in divisa, che invece parve non capire. Con la mano dal dito alzato quello gli faceva segno di no, indicando poi l'edificio. «Posti riservati per il personale del corpo di polizia dello Stato».
I lampeggiatori dell'auto denotarono che essa veniva chiusa. Avvicinandosi spiegò al milite che era stato convocato dal vicecommissario Terrisi. E che era stato esattamente quello a dirgli di parcheggiare lì facendosi riconoscere.
Stringendo le labbra con una smorfia quasi di disappunto, l'agente non fece commenti.
"Guardi, deve entrare lì dentro, poi deve salire quei gradini sulla destra. Lì, c'è il posto di guardia. Deve lasciare un documento d'identità e indicare dove deve recarsi. Quando ha finito, si ricordi di ritirare il suo documento...".
Il picchetto di guardia era costituito da un agente bardato con giubbotto antiproiettile, che reggeva tra le mani una mitraglietta. Con l'estremità di quella gli fece segno di oltrepassare una porta a vetri spalancata, di fianco ad una vetrata che recava ad altezza d'uomo il foro circolare per le comunicazioni verbali.
Dentro ad una stanzetta stavano altri tre o quattro in divisa ma senza armi. Uno solo aveva in testa il berretto a visiera. Altri berretti erano appoggiati su un tavolo accanto e sopra ad un giornale sportivo. Uno di quelli senza berretto ad un certo punto decise di interrompere la conversazione con i colleghi, puntandogli addosso uno sguardo inquisitore.
"Lei che deve fare?"
Si sentiva un forte odore di caserma. Di mozziconi di sigaretta spenti. Gli agenti muovevano brevi passi sulle scarpe nere perfettamente lucide, sopra le quali calzoni azzurri mostravano i segni evidenti del ferro da stiro. Sulla giacca blu portavano il cinturone bianco dal cui fianco pendeva, pure bianca, la fondina della pistole di ordinanza. Mentre si accingeva a fornire spiegazioni sentì che gli altri continuavano a mezza voce la loro conversazione. "... ma se ti dico che è stato proprio Bettisi a dirlo... lui! Chi altro vuoi che potesse dare quell'ordine di servizio? E adesso che cazzo vanno dicendo? A chi vanno scaricando la patata ?..."
Aveva estratto dal portafoglio la carta d'identità, porgendola asciutto al suo interlocutore. "Sono appena stato invitato telefonicamente dal vice ispettore Terrisi, che mi ha detto che ha bisogno di parlare con me per informazioni".
Quello fece un vago cenno di assenso col capo e formulò un numero di poche cifre su un telefono a filo di colore nero, che stava posato vicino i loro berretti.
"Sì, salve, sono Truci, qui alla porta. C'è qui un certo..." e lesse il nome che vedeva scritto sul documento che teneva davanti. "... dice che è stato convocato da Terrisi, il viceispettore...".
Poi, rivolgendosi a lui: "In questo momento è occupato al telefono. Può aspettare qui. Fanno sapere loro quando avrà terminato."
L'odore di caserma si diffondeva dalle divise, e aveva sfumature olfattive di fumo di sigaretta e di caffè. Mentre attendeva in piedi e ritenne opportuno impostare sul cellulare la sola vibrazione, togliendo il sonoro. Gli sembrava che fosse più corretto. Per non disturbare il colloquio che lo aspettava.
Un trillare dimesso e biascicato e poi la cornetta del telefono venne accostata all'orecchio: "Sì? No, sono Truci, sì, lui è qui vicino, va bene, gli dico di accompagnarlo...". Intanto guardava con un cenno del capo uno dei colleghi in particolare, ammiccando con gli occhi verso il visitatore.
"Adesso il collega la accompagnerà. Si ricordi quando ha terminato l'interrogatorio di passare a ritirare il suo documento".
Il nominato prese dal tavolo il proprio berretto e rivolgendosi a lui lo invitò a seguirlo.
Mentre percorrevano ampi corridoi spogli e disadorni, sulle pareti dei quali, dentro cornici modeste, si potevano intravedere prime pagine di riviste d'arma o poster che invitavano ad arruolarsi, lui ci tenne a precisare: "In verità non si tratta di un «interrogatorio», mi hanno accennato al telefono che volevano chiedermi delle informazioni a proposito di una loro indagine...".
Quello gli concesse un mezzo sorriso, commentando con sufficienza : "Ma è lo stesso, non c'è problema, non si preoccupi...".
Salirono ampie scalinate, sempre pavimentate di lastre di travertino grigio, con pianerottoli vasti dove immensi e improbabili vasi di bronzo ostentavano piante verdi probabilmente artificiali. Poi si fermarono davanti ad un'ampia porta. Sul vetro smerigliato una targa di ottone recava un nome: ispettrice capo dr.ssa Ragusa Matilde. L'accompagnatore socchiuse la porta affacciandovisi, dopo avere garbatamente ticchettato sul vetro con l'anello, che portava all'anulare.
"... C'è qui..., sì, certo, comandi." Aveva battuto i tacchi nel pronunciare l'ultimo termine, come forma di estremo ossequio e deferenza.
Dietro i vetri si sentiva una voce femminile impegnata al telefono.
"Io la lascio qui. La dottoressa la chiamerà appena avrà terminato." Poi con un leggero sorriso di maniera si riavvio verso il percorso che aveva appena compiuto.
Inframmezzati da brevi pause di silenzio, la voce di donna pronunciava termini e frasi del tipo: immigrazione, permessi di soggiorno,  identificazione, medico legale, un caso come gli altri.
«A chi ho dato il numero del cellulare? Quei ragazzi nordafricani che mi hanno aiutato nel trasloco? La ragazza albanese che mi mette a posto la casa ogni tanto? Certo che non gliel'ho chiesto se avevano il permesso di soggiorno; questo assurdo reato di "clandestinità". Della gente è costretta a scappare dalla sua terra tormentata dalla fame o dalla guerra, e qui da noi rischia di venire rinchiusa nei CIE per mesi, prima di essere rispedita all'inferno di provenienza. Sempre dopo che è riuscita a sopravvivere nel mare ai gommoni degli scafisti; alle traversate disperate nei deserti; a viaggi eterni ed assurdi in autocisterne o in doppi fondi di Tir. E adesso mi chiederanno di identificare il tal dei tali, arrestato come clandestino, che aveva in un vecchio cellulare scassato il mio numero di telefono. Con le loro procedure e le loro burocrazie, questa gente qui c'entra poi fino a un certo punto. Tranne quando decide di scaricare le proprie nevrosi pestando pugni e calci o ammazzando di botte i malcapitati di turno. Stranieri, immigrati, clandestini. NOTAV, NOF35. Disoccupati ed esodati. Consumatori distrutti dalla droga. Un comportamento è legale se qualcuno ha fatto una legge che lo prevede e lo regolamenta. E chi sta in Parlamento di mostri del genere ne ha costruiti tanti!"
Non si era accorto, nel frattempo, che la voce femminile dietro il vetro smerigliato aveva smesso il tono recitativo della telefonata. E stava dicendo: "Sì, fate pure entrare.".
Perciò giro lentamente la maniglia, socchiuse la porta e si sporse facendosi vedere.
La stanza era immensa. Arredata con mobilia sontuosa e massiccia, ma di cattivo gusto. Prendeva luce da due vaste finestre munite di tende a pacchetto color panna. Davanti alle quali in contenitori di ferro battuto facevano mostra di sé grandi piante. Un maestoso ficus beniamina, dei potus, un’aralia, delle felci, un cactus, una diffenbachia...
Collocato d'angolo, sulla sinistra, accostato alla parete finestrata e alle piante lussureggianti, un tavolo di noce scuro, dalla superficie ricoperta da un riquadro di velluto verde sormontato da un piano di cristallo. Sulle pareti attigue all'angolo in quadro abbastanza gradevole rappresentava una marina notturna e faceva compagnia ad un'effigie del presidente della Repubblica.
Dietro al tavolo una donna di mezz'età, dal volto scuro di abbronzatura, capelli ricci nerissimi. Le mani magre mostravano massicci e vistosi gioielli. Che richiamavano dei pendenti e parevano d'oro. Un doppio giro di perle le scendeva dal collo sul petto, prossimo ad una scollatura castigata e severa. Le mani e la parte del petto visibile apparivano segnate e maculate da efelidi. Le sopracciglia marcate coronavano un volto dai tratti asciutti ed austeri. Gli occhi nerissimi, luccicanti e luminosi, scrutavano con attenzione atteggiata a magnanima benevolenza.
"Sì, lei deve essere ..." e pronunciò il suo nome. "Come certamente il mio collaboratore, il vice ispettore  Terrisi, le avrà detto, avremo bisogno della sua preziosa collaborazione. Il  suo numero telefonico è stato trovato nella memoria del cellulare di una persona che... purtroppo... ha subito atti violenti..., insomma ha fatto una brutta fine.  Lo  stesso telefono cellulare, a dir la verità, era ridotto in brutte condizioni. Stava insieme con lo scotch.  La squadra della polizia criminale investigativa sta cercando di raccogliere tutte le informazioni e gli indizi possibili. Attraverso i quali dovremo cercare di ricostruire l'identità della persona. E successivamente, appurate le cause materiali che hanno determinato il decesso, tenteremo di fare luce su questo ennesimo episodio di efferata violenza su una donna. Con gli annessi e connessi, s'intende.
Non voglio ora tediarla con gli aspetti procedurali che stiamo seguendo. Naturalmente la poveretta riceverà una visita autoptica. Anche se, a prima vista, appare evidente che non sia deceduta né per armi da taglio né mediante armi da fuoco. Appaiono evidenti sulle parti esposte del suo corpo come il volto, le braccia, e le gambe, segni marcati di violenza fisica. Di primo acchito sembrerebbe essere stata uccisa a botte.
Vorrà perdonare la crudezza di questa descrizione, ma è stata necessaria perché, sono ora a chiederle di poterle sottoporre una serie di fotografie che descrivono i poveri resti. Ai fini di un possibile riconoscimento”.
La descrizione, per quanto succinta e schematica, lo stava immergendo in un'atmosfera cupa e drammatica. Gli stavano chiedendo di riconoscere, nelle foto che gli avrebbero mostrato, una donna uccisa e massacrata a botte, nel cellulare della quale risultava il suo numero telefonico.
I modi e il tono professionale della sua interlocutrice lasciavano trasparire una certa umanità.
Sentiva, in quel momento, alitargli intorno l'atmosfera dilatata di quel brutto e immenso ufficio. Sentiva che stava entrando in una dimensione inusitata. Una persona era stata picchiata a morte. Una donna. Che in qualche modo lui doveva pur aver conosciuto, a quanto risultava dal numero del suo cellulare che le era stato trovato addosso. Di lì a poco avrebbe potuto visionare delle foto cruente. Gli passavano per la testa lampi di immagini già viste in documenti o nelle fiction cinematografiche. Solo che qui poteva e doveva scorgere e riconoscere una donna già vista. Reale, con uno sguardo, una voce, degli atteggiamenti. Fino a poco tempo prima.
Fece un gesto di assenso. Rigido e imbarazzato. A fatica riuscì a dire: "certo, naturalmente..., benché la cosa mi disturbi profondamente...".
La poliziotta gli regalò di sfuggita un mezzo sorriso di comprensione e compiacimento. E, dopo qualche secondo di silenziosa concentrazione, aveva estratto da un cassetto una cartellina di colore giallo. Fissandolo negli occhi l'aveva spalancata. Il suo sguardo intravide macchie scomposte che non riuscì, sul subito, a decifrare. Poi, una alla volta le foto gli vennero consegnate. Trattenne tra le mani ciascuno di quegli ampi fogli lucidi. Erano riprese effettuate nel chiaroscuro crepuscolare. Le estremità e gli angoli erano completamente scuri. Il flash metteva in evidenza la parte centrale della scena. Un corpo femminile giaceva semisdraiato su un fianco. La spalla destra contro il terreno; l'altra sollevata. Il braccio sinistra tendevano verso il volto, e la mano era ricaduta inerte sulla scapola. Il braccio e l'avambraccio erano segnati da macchie violacee. La gamba destra giaceva allungata sul terreno; la sinistra mostrava il ginocchio che doveva aver teso verso il ventre, nel tentativo di una posizione fetale, ed era ancora scoperta; la gonna era rimasta sollevata più verso l'alto. L'interno della coscia e del polpaccio allungati recavano contusioni e macchie scure, di sangue. Il ginocchio sinistro che aveva tentato la protezione del ventre ai colpi, sembrava lacerato sopra la rotula.
I particolari presi da altre posizioni rivelavano le dita delle mani contratte a pugno.
L'ultima foto era la più terribile. Ripresa da posizione abbassata, mostrava il volto della donna. L'intera guancia sinistra tumefatta;  lo zigomo era una macchia nera di sangue raggrumato in una ferita, come una profonda caverna. Gli occhi aperti guardavano con disperazione impotente il tempo della vita che era inesorabilmente volato via. Che era stato strappato con rabbia. E ferocia. Le labbra carnose, leggermente dischiuse, lasciavano intravedere il luccicante biancore dei denti. Il labbro superiore era spezzato da una ferita e aveva colato abbondante sangue.
La poliziotta era rimasta seduta al suo posto ad osservarlo, mentre lui piantava il suo sguardo allucinato su quel baratro desolante. Su quelle tracce disperate come un pianto. Sui segni di quella irrevocabile sciagura, che, devastando una vita aveva spalancato orridi sconsolati.
Riandò con pensiero alle immagini composte e meste, pur nella loro irrimediabile condizione, di congiunti ed amici che aveva visto sistemati nello spettacolo dei rispettivi feretri. Qui la condizione estrema della morte era stata ulteriormente turbata e sconvolta da una devastazione che si era accanita. Questa donna, questo simulacro residuale della donna che era stata, risultava certo molto più morta.
Doveva avere sino ad allora quasi trattenuto il fiato. Perché si accorse che, sollevando lo sguardo mentre deponeva quell'orrore sul tavolo, fu costretto ad una lunga inspirazione. Dopo quell'apnea terrificante.
Trovò ad aspettarlo lo sguardo calmo e interrogativo dell'ispettrice.
Il tempo anche lì in quella stanza smise di trascorrere per una dimensione infinita; che forse si protrasse soltanto per alcuni minuti.
Infine, quando se la sentì, pronunciò alcune parole stentate, a mezza voce.
"Avrei dovuto telefonarle. Ma non l'ho mai fatto. E neanche lei, d'altra parte. Chissà, può anche darsi che le cose sarebbero andate diversamente. Che non avrei dovuto assistere a quello scempio. Che lei non lo avrebbe subirlo.
Quegli incontri casuali, inaspettati; insperati; gratuiti. Ti  capitano forse quando ne hai bisogno. O quando qualche magico influsso te li regala. Improvvisi come una giornata di sole tiepido in gennaio. Si scambiano quattro parole. E ci si stupisce della stranezza di come suonino autentiche e vere.
L'avevo intravista all'ingresso di un ipermercato. Ci siamo guardati come se ci riconoscessimo. Poi per caso o per una coincidenza fortuita me la sono trovata vicina che consumava un pasto anche lei. Diceva delle cose della sua infanzia. Veniva dalla Moldavia. Raccontava che là i palazzoni avevano al pianoterra una specie di ristorante autogestito, di condominio. Frugale ed economico. Come i self-service alla buona annesse i grandi magazzini. Mi disse che il suo nome era Olga. Credo fosse in Italia per lavoro. Non so altro di lei. Eppure credo di averla conosciuta davvero, anche se me ne è rimasta soltanto una traccia nella memoria, il suo nome e il numero del suo cellulare. Ce li eravamo scambiati ripromettendoci di rivederci. Non so chi fosse. Ma l'ho conosciuta."
L'ispettrice Ragusa era rimasta ad ascoltarlo. Attenta e silenziosa.
"La ringrazio molto. Anche se le informazioni che lei riesce a darci costituiscono solo qualche piccola traccia. Ipermercato. Moldava. Olga.
Sono rimasta colpita dalle sue parole accorate, con le quali ha ricordato una conoscenza fuggevole. Spero che non me ne voglia se le chiedo un'ulteriore cortesia.
Nel timore che le foto possono avere troppo deformato l'immagine di quel suo ricordo, le vorrei chiedere la cortesia di venire a riconoscerla direttamente. Voglio dire all'obitorio. Potrà essere emotivamente più forte l'esperienza; anche se l'immagine che vedrà sarà meno violenta; nel frattempo verrà ricomposta."
Abbassò lo sguardo su quelle immagini truculente, sparpagliate sul tavolo davanti a lei.
"Perché no? Ormai ho intrapreso questo cammino che mi riporta indietro di diversi mesi. Verso l'incontro con una persona che ho sentito di conoscere intimamente per pochi istanti; che è stata spazzata via dalla furia devastatrice; voglio provare a riconciliarmi con quell'immagine. Non con la salma che vedrò all'obitorio. L'immagine che conservo dentro di me.
Lei desidera, per dovere professionale, conoscere la vicenda di questa donna. Chi era, cosa faceva, di che cosa si occupava, chi l'ha distrutta così, perché. Io, per motivi diversi, voglio ripercorrere il suo cammino. Cercare e scoprire la sua storia. Verrò all'obitorio con lei. Lei, in cambio, deve aiutare me."
Dopo avere riflettuto qualche istante, gli fece un cenno di assenso.
"Il suo contatto telefonico lo conosciamo. Le farò sapere con qualche giorno di anticipo il giorno e l'ora. Le voglio far conoscere anche un'altra persona che si sta interessando alla sua Olga.
È un'operatrice di un gruppo che si occupa di donne maltrattate. «Liberazione e Speranza». Hanno conosciuto e seguito molti casi di donne straniere, venute da molto lontano per cercare un'occupazione seria e onesta. Ma che si sono imbattute nelle persone sbagliate; si sono fidate di loro; sono state sfruttate e maltrattate da coloro nei quali vedevano i loro benefattori e salvatori. Qualcuna di loro ha fatto una fine simile a quella della nostra Olga.
Non voglio insinuare nulla: tutte le donne di cui sto parlando erano persone splendide. Fino a quando qualcuno ha posato i propri occhi rapaci e malevoli su di loro."
Chiamando con il telefono si era fatta portare nel frattempo due caffè. Sorbirono ciascuno il proprio. Poi lei lo accompagnò alla porta e gli strinse la mano con un sorriso non di circostanza.




3.     
Era arrivato puntuale; addirittura in anticipo sull’ora stabilita. Rimasto lì a guardarsi intorno aspettando. Estraendo ogni tanto il cellulare; per darsi un contegno. Già due volte un addetto in divisa era uscito chiedendogli se aspettava qualcuno; se voleva accomodarsi a aspettare dentro. Diniego e  cenno di sorriso formale. Meglio lì fuori, certo. Dentro non sapeva che cosa l'aspettava. Immaginava che si sarebbe trovato in uno spazio asettico; con vetrate che ostentassero, al di là, l'esposizione di defunti estranei ed anonimi.
Quando giunse l'auto di servizio, l'ispettrice scese veloce dallo sportello  posteriore, anticipando l'agente in borghese che stava precipitandosi ad aiutarla.
"Sai, secondo me tu te ne puoi anche andare. Ho voglia di tornarmene a piedi." Aveva detto al suo chaffeur.
 Poi, si era subito avvicinata a lui, tendendogli cordiale la mano appesantita di gioielli. "Spero di non averla fatta attendere troppo...".
"Ero in anticipo".
Il custode si era fatto sulla porta, invitandoli cortesemente. Doveva avere preavvertito all’interno di quell'arrivo, perché  appena dentro si avvicinò subito un uomo in camice bianco. Sopra il camice portava un grosso grembiule verde, fermato con legacci dietro la schiena. Si era appena sfilato i guanti di gomma. Preferì comunque non porgere la mano. E neppure battere i tacchi; non doveva essere un militare. "Il dottor Garosio... medico legale..." aveva spiegato lei.
Si trovavano in un atrio abbastanza spazioso e vuoto. Sui lati, a sinistra e a destra, delle porte di sicurezza scure.
In quel momento si era affacciata all'ingresso una donna abbastanza giovane; e aveva sorriso all'ispettrice.
"La signora è la mediatrice di cui le parlavo...; ci teneva ad esserci  anche lei per conoscerla; se non le spiace, naturalmente".
La nuova arrivata non era particolarmente alta. Il suo abbigliamento era informale: una camicetta di seta blu scendeva sopra i jeans.
Fece un cenno di saluto abbozzando un sorriso verso di lui.  Anche  lei non allungò la mano per stringerla a nessuno. Il luogo non era favorevole.
"Dottor Garosio, direi che possiamo cominciare..." aveva pronunciato a mezza voce l'ispettrice.
Quindi l'avevano seguito verso la seconda porta a destra. L'interno assomigliava ad un archivio. Uno stretto corridoio centrale e, su entrambi i lati, dei riquadri metallici con maniglia cromata. Il  freddo era intenso.
Era l'ultima botola a destra. Fece forza tirando la maniglia. Ne venne fuori una struttura incernierata su guide rigide silenziose. Tranne un leggero fruscio metallico.
Ora una barella stava sospesa nel vuoto. Coperta da un lenzuolo bianco.
Mentre veniva tirata fuori parve diffondersi  un'ulteriore ventata gelida.
Nel frattempo Garosio aveva rinfilato i guanti. Se li stava sistemando, aiutandosi  con le dita a scorrere fin in fondo. Fece una digitazione con entrambe le dita nell'aria, per prova. Guardò in volto  l'unico sconosciuto. Quando ritenne che il momento fosse maturo per l'esibizione, fece scorrere un poco il lenzuolo, quel tanto che era necessario per mostrare il volto che stava riposando perdutamente lì.
Le palpebre erano ora abbassate. Le  labbra chiuse. L'ecchimosi faceva però ancora corona allo zigomo spappolato..
Distesa all'infinito quella figura martoriata se ne stava lì, tutta raccolta e compunta, rattrappita inesorabilmente nella sua rigidità gelata. Pareva trattenere il fiato, tanto era immobile. Tanto definitivamente e in modo assoluto tutto si era fermato. E stava sospeso a mezz'aria. Come  un accordo di violini e violoncelli, sfregati sulle corde stridenti della pece greca dei crini dell'archetto; o un cigolio di porte interrotto bruscamente, ad un silenzio improvviso e totale,  un vuoto profondo aleggiava.
Una maschera troppo immobile, che esibiva con amarezza il proprio esacerbato disappunto.
Con le mani guantate che gesticolavano lievemente, rivolte verso l'alto come dei burattini, Garosio si attardò in una superflua descrizione del calvario registrato su quel corpo.
A lui rimasero impressi alcuni particolari. I colpi ripetuti con calci e oggetti contundenti sul capo e al ventre. Lo spappolamento del fegato e la frattura del primo anello cervicale. "... queste poverine sono spesso ridotte in stato pietoso e miserevole, anche quando non vengono decisamente uccise.... La modalità e abbastanza diffusa in questi contesti. La “materia prima” non manca a questi criminali. O ti pieghi o ti spezzi. Ci sono già tante pedine di ricambio pronte a partire..."
Il burattini di quelle dita guantate mimavano la macabra pantomima della feroce esecuzione. Picchiare selvaggiamente per incutere terrore, soggiogare completamente, spezzare ogni volontà, rendere totalmente succube la propria preda. Finché agisce come un automa. Oppure non si muove più del tutto.
Ma chi aveva motivo di brutalizzare così una donna? Questa donna? Quella donna che aveva abitato questo corpo martoriato qui. E perché? Quale situazione così tremenda poteva averlo spinto?
Garosio prese ad abbassare ulteriormente il lenzuolo, scoprendo altre devastazioni sulle spalle, lo sterno e il petto....
Lui si era girato guardando in basso, dalla parte opposta. L'ispettrice aveva interrotto il medico legale. "Credo possa bastare così. La ringrazio…"
Poi gli si era avvicinata appoggiandogli una mano sul braccio. Anche la mediatrice gli aveva posato una mano sulla spalla. Uscirono nell'atrio. Poi tornarono all'aperto.
Le due donne si accesero una sigaretta ciascuna. La giovane provò ad offrirne una; ma ne ebbe un diniego con un cenno veloce del capo e le dita leggermente alzate.
"Mi sono tornate in mente scene che ritenevo terribili; massacri di cavalli e di bovini abbattuti con un colpo alla nuca; foche uccise a bastonate sul pack gelato; tonnare con arpioni che afferravano, trascinavano e scarnificavano.... Il tutto inondato di sangue. Terribile. E questo corpo è stato un essere umano! …
Mi aveva raccontato frammenti della sua infanzia della sua adolescenza in quella terra lontana. Diceva cose autentiche con semplicità genuina. Per un attimo fuggevole sono stato in comunicazione con la sua essenza vitale. Con la sua anima. Ho raccontato anch'io, a quella voce e a quel volto, briciole della mia umanità.
Non capisco e non accetto. Mi si è acceso come un fuoco dentro; ho bisogno di sapere; ne va della nostra umanità di persone."
Era rimasto in silenzio qualche istante, sembrava che stesse guardando dentro di sé, cercando pezzetti di ricordi, provando a farmi rivivere.
Poi alzò lo sguardo. La poliziotta doveva essere abbastanza abituata a situazioni e a scene del genere. Eppure era turbata.
Quindi la giovane si mise a parlare.
"Episodi di questo genere stanno diventando abbastanza frequenti anche qui nella nostra città. Nell'ultimo anno quattro massacri. Due donne nigeriane. Un transessuale brasiliano. Una ragazza albanese. Di tutti loro conoscevamo le storie.
Molte  vengono dalla Nigeria. In  grandissima parte. Donne e ragazze minorenni. Spesso è addirittura qualche membro della famiglia il responsabile primo.
Genitori snaturati, che non si curano delle notizie che comunque circolano su quel genere di "viaggi". Fratelli, sorelle, madrine. Conoscenti. Offrono la soluzione.
Sono donne e ragazze che vogliono fuggire da una vita  impossibile, di povertà, fame e stenti. Che desiderano e cercano disperatamente una soluzione per la propria vita: un lavoro da badante, da infermiera, da cameriera.... Una realtà nella quale possano riprendere e continuare gli studi.
Vengono messe in contatto quindi con persone "rispettabili"; nei modi e nell'abbigliamento. Quella persona sa tranquillizzare, rassicurare, togliere qualsiasi dubbio. Le aiuta con sicurezza e decisione a continuare a cullare il proprio sogno.
"Ma certo che è possibile. Devi stare assolutamente tranquilla penso io a tutto."
Il loro aspetto é certamente rassicurante. Modi garbati, abiti eleganti, auto signorili....
È quasi impossibile non fidarsi di loro. "So io con chi parlare, sistemerò io le cose per benino; tranquilla".
Quando ricompaiono forniscono in formazioni operative dettagliate: come fare per il passaporto, a chi rivolgersi, a nome di chi....
I dubbi vengono fugati subito: "Ma tutto questo... quanto mi costerà?". Gli occhi e il viso dell'uomo della provvidenza, fanno un leggero cenno di ulteriore rassicurazione, con noncuranza. "Ti ripeto: lascia fare a me. Penso a tutto io, no? So che posso fidarmi, conosco la tua famiglia. Sono certo che mi restituirai tutto. E con tutti i soldi che guadagnerai...; tu devi solo stare tranquilla e lasciare fare a me...".
Non è possibile non fidarsi. Di una persona così perbene, poi.
Anche la speranza gioca ai loro danni. Hanno molto, troppo bisogno di credere che sia possibile. Il dubbio non le sfiora neppure per un istante. È quello che hanno sempre desiderato. Molte persone ormai sono partite. Fra breve sarà il loro turno.
Le tappe e i passaggi sono cadenzati da brevi pause di qualche giorno. Vengono presentati i nuovi personaggi raccomandati da quella persona importante. Ciascuno di loro fornisce indicazioni,  rassicurazioni, istruzioni.
I toni e i modi diventano solo gradualmente più categorici. Le disposizioni diventano più brusche, definitive e impossibili da discutere.
Anche l'aspetto di questi ultimi perde gradualmente la rispettabilità.
Ma ormai il percorso è iniziato. Indietro non si torna. Il sogno e la speranza pungolano con urgenza e insistenza. Adombrando qualsiasi ombra di dubbio.
Potranno finalmente andare in quel paese  dell'Europa che avevano da tempo fantasticato. Saranno cameriere, badanti, impiegate. Potranno iniziare o continuare i propri studi per raggiungere diplomi di prestigio.
Sono molto contente di essersi decise finalmente a imboccare questa strada.
Qua e là, ogni tanto qualche elemento imprevisto. No, non andranno in quel paese, ma in un altro, solo per un po', naturalmente. Non sarà un viaggio in aereo; sono cambiate le disposizioni; meglio così. Non è ammessa replica. I modi diventano sempre più categorici. Le perplessità vengono rintuzzate sempre di più con frasi ed espressioni brusche. Fino a sfiorare la brutalità.
Iniziano gli spostamenti; verso basi temporanee che le ospitano da qualche giorno a diverse settimane o mesi. Lunghi periodi vuoti. Trattamenti sempre più sgarbati. Lunghi trasferimenti con furgoni, fuoristrada, autobus. Estenuanti marce di ore nei deserti.
I loro passaporti vengono ritirati per prudenza; per essere conservati dagli accompagnatori.
Qualche lampo di dubbio, ancora, in qualcuna di loro. Alle domande, ai dubbi e alle perplessità viene risposto di stare zitte, di non rompere le scatole; credono forse che andranno a fare le principesse? Non l'hanno ancora capito dove andranno a a fare che cosa?
E se non bastano queste parole crude: arrivano le prime sberle; i primi pestaggi brutali. Che servono anche ad esempio alle altre. E che non si provino a scappare. Per quell'avventura loro ormai hanno pagato un sacco di soldi; che gli dovranno essere restituiti sull'unghia fino all'ultimo. Fino alle ultime affermazioni ancora più esplicite. Sono state comprate; sono diventate " roba" loro.
Con continui passaggi di di condizioni; fino alla consegna alle "madame" finali. Nuove discussioni sui prezzi della "merce" scambiata.
La situazione finale è allucinante e terrificante. Dovranno cifre astronomiche alle loro maitresse. Comprensivi del viaggio, dell'alloggio, della sistemazione, dei servizi..., dei preservativi. Ogni volontà viene piegata, repressa, soffocata. Qualsiasi ribellione castrata.
In tutte le fasi ai maltrattamenti si aggiunge l'incubo che possano rivalersi sulle loro famiglie.
Per quelle che ci credono, che sono per la maggior parte africane, il rito voodoo.
Le botte feroci poi sono lo strumento abituale per domarle.
Il loro debito continua a lievitare all'infinito."
Clara ha fatto  questo racconto tutto d'un fiato. Seguendo un canovaccio che ormai conosce a menadito. Ha parlato con voce calma e fredda.
Le parole, come sciabolate, hanno squarciato un velario di apparente normalità. Dietro il quale giace un inferno allucinante.
Orazio è rimasto in sur place ad ascoltare. Paralizzato. Fissando un punto fermo del vuoto.
"... è agghiacciante tutto questo... ma cosa c'entra con Olga? Vuol dire che lei pensa.... Ma, non mi sembra possibile..!".
Rimangono tutti e tre in silenzio.
"... non possiamo saperlo.... Ma storie così sono molto frequenti e diffuse. Tenga conto, poi, che quasi tutte queste donne, non sanno a cosa stanno andando incontro.... Fino alla fine, voglio dire.... Fino a quando verranno cacciate nella strada o in squallidi appartamenti perché i loro corpi vengano usati a pagamento....".
Un altro tipo di freddo e di gelo alita intorno. Orazio vi si sente sospeso. Tremendo; come quello che ha sentito e respirato nella cella mortuaria dell'obitorio.
Devastante e assoluto.
"Non posso accettare tutto questo. Devo sapere. Mi sconvolge l'esistenza. Non sapevo chi davvero fosse quella persona, eppure le ho parlato e ho sfiorato la sua conoscenza. A questo punto voglio andare fino in fondo. Non so neppure che cosa possa comportare, tutto questo."
Le due donne lo stavano guardando con comprensione.
Fu di nuovo Clara a parlare. "Io ho scelto questa dimensione nella quale operare a lavorare. Mi creda, sono profondamente motivata. Lei, certamente, nella vita svolgerà altre attività. Avrà il suo lavoro. Non mi importa quale. Ma la sua reazione emotiva rivela come lei si sente e sia profondamente coinvolto. Ben venga qualsiasi aiuto da chiunque. Se lei vorrà mi terrò in contatto con lei."
Aspettava un avallo e un cenno di assenso da parte dell'ispettrice . La dottoressa Ragusa guardò entrambi. Poi, stringendo leggermente le labbra, fece segno di sì. "Ci è indispensabile la collaborazione di chiunque. Dal mio punto di vista di funzionaria, per raggiungere e soddisfare verità e giustizia. Come persona e come donna per l'indignazione verso tutto questo. Sono d'accordo con lei Clara: chiunque ci può e ci deve aiutare. Se il signor Berardi se la sentirà."
Una trama indefinita si stava tendendo. Orazio la percepiva senza ancora individuarne i connotati. Sentiva che assolutamente non avrebbe potuto tirarsi indietro. Che non l'avrebbe voluto.
"Io nella vita faccio tutt'altro. Ma nella vita ci vivo anche. Per quel poco che posso fare, potete contare entrambe su di me."
Clara gli tese la mano con un sorriso mesto ma insieme dolcissimo: "La ringrazio. Credo che ci sentiremo molto presto. Ci terremo in contatto dottoressa."
Si guardarono tutti e tre con aria complice. Un patto si era stipulato. Tre esseri umani stavano provando a buttare all'aria una catena dannata. Tra loro in sintonia. Con la determinazione della speranza. Un'impresa disperata, donchisciottesca forse; ma possibile. Tutte le grandi imprese, d’altronde, hanno avuto un input iniziale. Una presa di coscienza. Un'intuizione.
« Mamma cara, come vedi queste settimane non sono riuscita a telefonarti. Approfitto di una pausa per buttar giù due righe.
Qui all'istituto tutto bene: le lezioni e i compiti sono un po' pesanti; la sera mi tocca star su fino a tardi a scrivere e  studiare; nel tempo libero aiuto nei lavori di cucina e di pulizia. Così mi riducono la retta, e non peso troppo su di te e sulla famiglia. Non so se te l'avevo già detto al telefono, ma mi sono fatta una nuova amica. Si chiama Nadia, ma non mi ricordo da quale paese venga. La conoscevo già di vista alle scuole superiori. È più avanti di me nei corsi di un anno. Ma riusciamo lo stesso a vederci nell'intervallo delle lezioni e alla mensa. Con lei mi sono trovata subito. Ci fidiamo l'una dell'altra. Le ho raccontato tutto, di voi, della vita al paese. Le ho anche accennato alla scomparsa di papà. Sì, so che la cosa ti darà fastidio, ma gliel'ho raccontato lo stesso. Lei è figlia di divorziati, e sua madre sta con uno più grande di lei; uno che conta nel partito; e anche riuscito a farle avere un lavoro come bidella e cuoca in una scuola elementare. Insomma, ci raccontiamo tutto, così mi sento meno sola, e tu e Alessia mi mancate meno.
La professoressa di chimica e fisica ha molta simpatia per me. Quando interroga qualcuno o qualcuna, se non sanno rispondere bene lei dice: "dài, Olga, spiegagli tu ...".   Io, naturalmente, sono un po' imbarazzata. Ho paura che poi gli altri in classe mi guardino con antipatia. Però non capita quasi mai. Così, ti stavo dicendo, questa professoressa già diverse volte mi ha detto: "Ragazza mia, tu sei sprecata se, dopo il diploma tecnico, lasci stare.... Devi andare all'università, continuare gli studi, laurearti.... Con le tue capacità senz'altro riuscirai superare il concorso.... Così ti trovi un posto sicuro, statale.... Potresti anche iscriverti al partito.... Una cosa aiuta l'altra.... Ma, soprattutto, devi andar avanti fino all'università...."
Quando mi dice queste cose io sono molto contenta, gratificata. Ma allo stesso tempo ho anche tanta paura. Come posso andar avanti all'università? Ho sentito che bisogna vincere il concorso per l'ammissione. E pare non sia molto facile ottenere il sussidio e la borsa di studio. Mah, poi si vedrà. Per adesso mi impegno più che posso, così un altr'anno riuscirò a prendere il diploma senza troppe difficoltà.
Quel ragazzo di cui ti avevo parlato,ti ricordi, no? Beh, non l'ho più incontrato. Voglio dire, solo qualche volta da lontano ci siamo scambiati un saluto, tutto qui.
Sono contenta che Alessia si sia ripresa, che non abbia più la febbre e possa tornare a scuola.
Io, per me, sto benissimo. A parte qualche emicrania o i soliti disturbi. Ma tu non sai che non ho mai sofferto troppo. Figurati che anche in quei momenti riesco a fare educazione fisica...
Ma, parliamo un po' di te adesso. Che è il motivo principale per cui ti sto scrivendo. Ti stanchi sempre tanto con il tuo lavoro? Hai preso sempre quelle medicine che ti hanno dato? Lo sai che ti voglio tanto bene, mammina? È anche Alessia te ne vuole. La prossima volta che ritorno ti voglio vedere in forma, neh? Senza quelle cose lì, che non dormi, che passi la notte a piangere, e ti viene sempre in mente lui.... Dài, mamma, lascialo perdere. Che non se lo merita proprio che tu stai male così per lui. Anche per me e per mia sorella è stata una cosa bruttissima. Ma dobbiamo farcene una ragione.
«Non ce la faccio più con questa vita qui con voi. Ho deciso di andar via. Per sempre. Quindi è meglio che non mi  cercate. Provo a rifarmi un'altra vita. Sono  sicuro che questa volta sarò più felice e più fortunato. E lo auguro anche a voi.»
Sì, quelle parole le ho imparate a memoria. Tutte e tre le abbiamo imparate a memoria.
Adesso, però, ti abbraccio. Spero di riuscire a telefonarti. Dai un bacio a mia sorella.
Olga

4.
AMANTE GELOSO?
Per tutta la mattina, mentre caricava i dati nel computer da tavolo, l'immagine di Olga, come lui l’aveva conosciuta al self-service, gli si continuava a muovere dentro. A tratti i lineamenti di quel viso aggraziato si mescolavano con quelli deformati dell'immagine congelata che gli era stata da poi presentata. Il volto rigido dalle palpebre abbassate, la macchia scura dello zigomo devastato, spodestavano violentemente quel cenno di sorriso in sur place. Quell'accento marcato nella voce flautata e cantilenata, mentre articolava le frasi, cercando l'espressione e  la parola giusta. E non riusciva a sovrapporre la fisionomia desolata a quello sguardo gentile. Ogni volta uno scarto violento impediva alle due dimensioni di realtà di raggiungere una qualsiasi coincidenza. Non poteva esistere congruenza.
Le pagine scannerizzate finivano ogni volta per trovare il proprio posto. Corredate da brevi notazioni digitate in tastiera. Il database ingoiava tutto. E tornava immediatamente pronto con la schermata di routine che invitava a caricare altre informazioni.
Alla incompatibilità e incongruenza dei due volti, si aggiungeva poi quella carrellata di tappe successive verso l'inferno. Come le aveva descritte quella Clara. Nell'ipotesi che aveva voluto ventilare. Anch'essa profondamente improbabile.
Un volto vivo. Esotico, garbato, con qualche sfumatura di perplessità. Che lo rendeva ancora più desiderabile. Con un che di indefinito, sospeso a mezz'aria, quasi titubante ad aspettare l'attimo successivo. In una dimensione di incertezza ricca di garbo. Un cenno di stupore frenato. Come sanno essere a volte i momenti dell'esistenza. In cui nulla è sicuro in modo definitivo. Ogni istante è un'ipotesi. Quelli nuovi come quelli appena consumati. Sì, riusciva ancora a sentire e a provare quelle emozioni appena abbozzate che tremavano nell'aria. Quel qualcosa che non aveva ancora iniziato ad esistere, e già tentennava incerto. Quasi volesse tornare indietro. In un prima e in un dopo senza soluzione di continuità. In un vagheggiamento sospeso. Intriso di brevi effluvi di speranza. Subito rallentati con cautela.
Accostò all'orecchio il portatile che aveva cominciato a ronzare. Reggendolo con la spalla mentre continuava a suo guardare lo schermo. Le mascherine andavano riempiendosi dei testi digitati. Il cursore pronto scattava nella casella successiva. Lampeggiante in attesa del nuovo input.
"... Sì...? ... ah... sto caricando quelle stronzate che m'ha dato da poco il " master".... Beh, sì, che adesso lo sto facendo.... È una routine talmente monotona e abituale che puoi farla benissimo mentre chiacchieri... o pensi ai cazzi tuoi.... Sì, oggi l'ha proprio rifilata a me questa brodaglia.... Mica voleva disturbare la sua amichetta, no?
Incazzato? No, perché mai dovrei esserlo? No, non direi proprio. O, almeno, non incazzato. Così, stavo seguendo dei miei pensieri. Sì, certo, ancora con quella faccenda là. E allora? Che cazzo ci devo fare? Beh, io sono fatto proprio così! No, dài, scusa.... Ah è per quello che chiamavi ? Va bene, d'accordo. Ok ok ok... Magari evitando di annunciarlo col megafono... no, voglio dire, meglio se ci vediamo direttamente là, no?.... Così, senza un motivo preciso. Non mi va particolarmente che questi cazzuti qui debbano sapere con chi sono andato a pranzare.... No, tutti quanti. Non la principessa in particolare! Con lei la cosa e chiusa da tempo."
Stava per aggiungere «quella è una storia morta e seppellita», ma si bloccò in tempo. Gli apparve come un flash quella brandina gelata che usciva dal suo cunicolo. Restava sospesa a mezz'aria. Tirò mentalmente in su quel lenzuolo a coprire il volto sfigurato.
".... Certo... va bene... allora restiamo d'accordo così.... Ok ok ok..."
Si accorse che un po' lo disturbava l'idea di consumare il suo spuntino insieme a lei, nella pausa pranzo. Poi, gli sembrò che quasi gli facesse piacere, prendere un po' le distanze da quell'immagine malata di morte, coperta inesorabilmente dal suo sudario.
Pranzare insieme era stato spesso anche un abbozzo di proposta interlocutoria. Un primo passo. Piluccando con la forchetta svogliatamente nella ciotola un pezzo di uovo sodo o una foglia d'insalata, gli avrebbe detto, con quello sguardo insinuante: "Stasera sono libera. Va in palestra il macho. A rifarsi i muscoli. Posso venire un salto da te."
Non era la prima volta. Una scopata senza gusto particolare. Con l'afrore del suo sesso caldo. Mescolato a quel profumo intenso e inebriante. Che gli lasciava un alone morboso nell'aria e nelle lenzuola. Parole dolci e rituali. Di maniera. Prima. Dopo si sarebbe accesa una di quelle sue sigarette magre lunghe con la carta colorata. Lui sarebbe andato a cercare un portacenere. Nudo. A piedi scalzi. Col gelo al passare dal parquet della camera alla marmiglia  del salotto.
Avrebbe raccattato nel frigo una birra gelata. Da bere a canna. Passandone qualche boccata anche a lei. Che non sapeva adattare le labbra al collo della bottiglia. E si sarebbe riempito la bocca, staccandola subito.
Quella bocca che avrebbe baciato intensamente, durante i preliminari. Poi l'avrebbe baciata sul collo mordicchiandole  lobi delle orecchie. Doveva ricordarsi di dirle di infilarsi di nuovo gli orecchini. Il macho avrebbe potuto anche sospettare se li avesse dimenticati un'altra volta.
Quei baci che avevano un altro sapore durante i giochi erotici. Lo infastidiva un po' che le labbra di lei odorassero del suo sesso.
Anche lei gli diceva, meno schizzinosa: « ... hai l'odore di me...». E sorrideva sorniona.

Era appena arrivato a casa. Stava per infilarsi nel vapore bollente della sauna. Aveva lasciato cadere accanto al letto i calzoni e la camicia. Il primo squillo arrivò mentre si toglieva i boxer.
".... Sì? Sono Orazio Berardi... ah, la signorina Florio, sì Clara,... va bene... senza signorina... d'accordo…"
Era ritornato in bagno. Il cristallo sintetico conteneva la nuvola bollente. Che pulsava con un leggero turbinio. Vide il proprio corpo nudo nello specchio. Dove l'immagine del suo sosia reggeva il cellulare all'altro orecchio. Simmetrica. Riuscì a mettere a fuoco i lineamenti di quel volto che gli stava parlando.
".... Beh, anch'io avevo una mezza idea di chiamarla... così, per sapere se c'era qualcosa di nuovo.... Ah, la commissaria... cioè volevo dire l'ispettrice... ah,  delle nuove ipotesi... beh, certo, capisco... scopo passionale.... Mah, non saprei dire, comunque mi sembra un po' più probabile di quelle storie terribili che lei mi stava raccontando l'altro giorno.... No, assolutamente no, mi creda, non voleva assolutamente essere una critica... no di certo.... È logico... lei si occupa di quei casi.... Beh, diciamo magari domani, quando stacco dal mio lavoro, tra le sei e le sette.... Va bene anche per lei? Ma sì, certo, possiamo prendere qualcosa insieme, un caffè... un aperitivo... ma certo, ottimo, una pizza non ci sta male per niente.... Vuole che passi a prenderla io? Ok, me lo segno qui, via Spreafico 119, ok, appena sono lì sotto le faccio uno squillo. Va bene, allora, restiamo d'accordo così, domani sera alle 19.30. Perfetto. Ma di niente, s'immagini. Arrivederci. Buona serata anche a lei."
Il caldo nella sauna era terrificante. Lasciò la porta curva di cristallo socchiusa mentre abbassava la temperatura. Il vapore fuoriuscito stava cominciando a imperlare la superficie dello specchio. In quel vapore addensato adagiò delicatamente quel sorriso sfumato e ormai così lontano.
Quindi serrò il vetro che scivolò sulle guide. Rimanendo  immerso a galleggiare nella sua pentola a pressione.



Rada!!! Amica mia! Finalmente ti sei decisa a rispondermi! Ce ne hai messo però di tempo! Ti ho scritto una cartolina dal campo estivo durante le vacanze. E tu niente! Poi, sarà stato a settembre..., beh quando ho provato a telefonarti tuo fratello Silvestru mi ha promesso che te l'avrebbe detto. E mi ha assicurato che entro qualche giorno mi avresti chiamato tu...
Beh, ma non fa niente. Non puoi immaginare quanto sono stata contenta quando ho visto la tua cartolina postale. E dietro ci ho letto il tuo nome: Rada.
E così ti sei decisa alla fine? Pavel...! È da quando facevate le elementari che ti stava dietro. Mi vengono in mente quei bigliettini stropicciati, che leggevamo di nascosto...:
«anche questa notte, Rada, ti ho sognata... Mi fai impazzire. Ti aspetto domani alla solita ora dietro il cortile del barbiere. Ti voglio raccontare il mio sogno.... Come quello dell'altra volta..., ma ancora più bello..!». Questo non riuscirò mai a dimenticarlo. Ci ho pensato e ripensato chissà quante volte..!
Me l'aspettavo, sai? che tuo padre facesse tante storie. Ma alla fine ha dovuto cedere! Eureka!
Non credo di riuscire ad esserci per la vostra promessa di fidanzamento. No, lo sai che vorrei tanto, ma non riesco proprio a tornare per quel giorno. Qui va tutto come al solito.
La borsa di studio non è stata sufficiente a coprire tutte le spese. Mia madre deve rimetterci ancora qualcosa; o meglio, credo lei e mia sorella Alessia.... Loro dicono che sono contente di fare un sacrificio per me. Ma tu non puoi immaginare quanto mi scoccia. Io qui a fare la bella vita, anche se studio sempre come una matta. Lo sai che finora sono perfettamente a posto con gli esami? E tutti con il massimo dei voti? C'è un professore anziano che mi guarda sempre con occhi gentili. Beh, sai cosa voglio dire, no? Mi dice sempre di non avere paura, che posso chiedere consiglio a lui, che se voglio avere la tesi con lui e molto contento, che un giorno di questi mi aspetta nel suo studio e ne parliamo....
Ma a me non piace il suo modo di guardare; quei suoi sorrisetti maliziosi. È basso,un po' pelato sulla testa, con la barbetta a punta e gli occhiali dorati. Figurati che ha anche la pancia! Be', non proprio tanto, ma un po'. Credo proprio che la tesi non la chiederò a lui. Ha un'aria viscida e appiccicosa che mi fa schifo.
No; io uomini per il momento niente. Beh, tranne qualche cosa senza importanza; qualche strusciamento e qualche bacio; specie alle feste di dipartimento. Ma niente che mi interessi davvero. Ah, c'era uno che stava cominciando ad interessarmi un po'. Ma poi una volte stato un po' cafone..., dicendo una frase che aveva un doppio senso volgare.... E chi s'è visto s'è visto!
Rada! La mia Rada. La mia amica del cuore!
È pesante il lavoro alla fabbrica? Beh, appena  ti avranno assunto definitivamente, potrete cominciare a fare dei progetti con Pavel... per metter su casa.... O, al massimo, vista la grande difficoltà ad avere un alloggio, magari per un po' di tempo potrete vivere in casa con i tuoi. O con i suoi.
Me lo dicevano anche delle altre mie amiche che ci sono delle liste d'attesa lunghissime, per avere un buco dove andare ad abitare. A meno che hai degli appoggi; degli agganci con qualcuno importante; qualcuno che conta, dentro all'apparato.... Ma è meglio non fidarsi mai! Anche quelli i favori non li fanno mai gratis!
A dir la verità, quasi quasi stamattina mi era venuto un presentimento. Il cielo era bello azzurro e c’era un solicello tiepido che carezzava nel freddo pungente. «Vuoi vedere che oggi mi succede qualcosa di bello?» Tu lo dicevi sempre che io ho un po' un sesto senso.... Dicevi che ero un po' maga. Che sono un po' una mezza strega.
E avevo intuito giusto. La tua cartolina postale è stata un regalo bellissimo.
Alle prossime vacanze, quando torno, voglio fare ancora quelle belle e lunghe chiacchierate con te.
Ah, mi ero dimenticata di dirtelo. Oltre alla borsa di studio e a quello che mi mandano mia madre e Alessia, arrotondo un pochino facendo dei lavoretti qui alla casa dello studente. Qualche ora al giorno. Le pulizie nelle camere, e, quando gli orari delle lezioni me lo permettono, servire alla mensa. Ma non è per niente pesante. Specie in confronto al tuo lavoro alla fabbrica. E poi non sono costretta a respirare i fumi e le polveri puzzolenti come fai tu.
Purché alla fine, quando avrò finalmente il diploma di laurea, non sia troppo lunga e faticosa la trafila per trovare un posto fisso di lavoro.
Ma diamo tempo al tempo!
Mi rendo conto che non ti ho detto niente di speciale. Chiacchierare con te,sedute insieme  sul tuo letto in camera, o sulla panchina dei giardini... e tutta un'altra cosa!
Beh, per adesso ti lascio. Ti abbraccio. E ti stringo forte.
A presto.
Olga
5.
Gli erano tornati in mente diverse volte, durante la mattinata in ufficio, alcuni spezzoni e frammenti della precedente serata.
Dopo la telefonata di Clara si era sentito come impacciato e sporco. Nell'accingersi ai preparativi per la serata di tradimenti con la collega compiacente. Era stato addirittura sul punto di chiamarla. Inventando un pretesto qualsiasi. Ma nulla di abbastanza imprevisto gli era venuto in mente, come pretesto che potesse apparire adeguato. Perciò aveva continuato a piccoli passi a compiere i preparativi abituali. Aveva messo a rinfrescare nel freezer una bottiglia di carta nevada. Aveva preparato sul tavolino in salotto un piattino con delle fette di salmone affumicato. Un barattolo già aperto di uova di lompo. Un panetto di burro. Delle fette di pane.
Il fumo intenso e pungente dei piccoli cunei di sandalo alla rosa, si andava diffondendo. Era già arrivato anche in camera. Qui aveva lasciato indietro il copriletto e il lenzuolo di sopra.
Ma tutti questi passaggi li aveva sentiti stonati e fuori luogo. Una catena a tappe prestabilite. Fastidiosa e falsa.
Gli era più volte tornato davanti il volto della mediatrice. Clara, o come si chiamava quella tipa. Col suo sguardo trasparente e pulito. Che guardava diretto senza mezzi termini. Quegli occhi nei quali sembravano apparire le immagini dolorose alle quali era abituata. Compresa quell'immagine martoriata. Che lui conosceva. Che aveva conosciuto nella sua brutale trasformazione. E, ogni volta, era come se gli venisse l'impulso di chiudere gli occhi, abbassando le palpebre per non vedere, tirando su di nuovo quel lenzuolo su quella macchia di dolore assoluto ed eterno. Che era stata una persona. Che era stata un ricordo dolce e morbido.
Non riusciva più a ricordare le sequenze, lì in ufficio, del rituale di sesso trasgressivo. Come di una routine fin troppo abituale e priva di significato autentico.
Dalla stampante, ora, usciva un listato dove comparivano, secondo una loro logica, i dati che ieri aveva caricato. Le memorie del database avevano vomitato le loro informazioni. Utilissime per l'azienda. Totalmente indifferenti ed estranee a quello che era lui in quel momento. A come si sentiva. Alle emozioni mescolate che gli turbinavano dentro. Tenerezza. Nostalgia di qualcosa che non era mai avvenuto. Malinconia e mestizia. Curiosità pacata verso quella giovane donna che avrebbe visto, di li a poco. Con la quale avrebbe cenato. Che gli avrebbe riaperto scenari pieni di ferite e di sofferenze. Che gli avrebbe raccontato storie che lui avrebbe davvero preferito ignorare.
Le nuove ipotesi dell'ispettrice. La poliziotta dal volto abbronzato,  grondante di ori e gioielli, massicci e pesanti.
Con quel suo sguardo fermo e sicuro. Deciso e determinato. Sfiorato, a tratti, da qualche luccichio di umanità.
L'ipotesi di un omicidio a scopo passionale.... Passionale. Frutto di gelosia? Quella era pure una passione! Malata e mostruosa. Un uomo geloso?  Che non voleva esser abbandonato? Che voleva punire con ferocia un tradimento? Vero o presunto?
Non riusciva, però,  a concepire quella cosa. Non riusciva , per quanto ci provasse, a immedesimarsi nell'ipotetico uomo tradito. A individuare, figurarsi, descriversi e raccontarsi le sue emozioni e sensazioni. Neanche la sagoma e  il profilo riusciva a a mettere a fuoco. Era come un'ombra. Carica di livore, di odio e di rabbia. Di bestiale disperazione. Di angosciante paura di abbandono. Un uomo fragile che vedeva il suo mondo vacillare, nel venir meno di quella presenza femminile.
Solo questo riusciva ora Orazio a sentire. La tenerezza che doveva avere diffuso Olga agli uomini o all'uomo che l'avevano conosciuta. E il senso di vuoto immenso che doveva provocare quella perdita. A lui quel ricordo dava solo un'amarezza infinita. Una desolazione piena di nostalgia per un bene prezioso che gli era apparso di sfuggita; e che era svanito violentemente; lasciando solo un lenzuolo di lutto.
Ma questo non riusciva assolutamente a raffigurarsi: la paura della perdita trasformata in uragano distruttore. Il raptus rabbioso e feroce che aveva scatenato la belva. Il suo infierire con colpi.... Delle mani, raccolte a pugno, dei calci violenti e rabbiosi, delle botte ripetute all'infinito su un corpo sempre più massacrato e devastato..
Certo, un quadro desolante. Ma, forse, un'alternativa più credibile rispetto alle vicende che il racconto Clara gli aveva fatto balenare.
Olga ridotta alla prostituzione; che si ribellava; e veniva uccisa a botte!
Le sue  parole avevano squarciato uno scenario di  normalità. Rivelando un girone infernale e allucinante.
Agghiacciante. Ma cosa poteva c'entrare tutto quello con Olga?  Non era possibile. Clara poteva averlo pensato, ipotizzato; solo come congettura.
Olga non poteva essere stata una prostituta. Questo assolutamente non lo poteva accettare.
Anche il solo pensarlo gli ripugnava.
Prostituta. Una donna che concede per soldi i suoi favori, la sua tenerezza femminile e muliebre. Che fa come mestiere sesso a pagamento!
Non era possibile!
Come avrebbero potuto costringerla ad un'attività così ignobile?
Forse avrebbe anche potuto concepire che una donna diversa, da quella che lui aveva fugacemente conosciuto incontrato, raggiungesse quel livello di degradazione. Per bisogno, forse. Per necessità. Aiutata magari da una naturale predisposizione per pratiche libidinose.
Lui non ne aveva mai conosciute né frequentate. Le aveva solo intraviste di sfuggita, con un senso di profonda pietà e malinconia.
Trovando stridente l'abbigliamento ostentatamente erotico, le minigonne quasi inesistenti, il trucco esagerato ed eccessivo. Gli erano parse delle macchiette, delle caricature della sessualità esibita. Apparivano sorridenti nei loro gesti di adescamento.
Quella gestualità, per quanto eccessiva, insieme all'esibizione di nudità fuori luogo, l'aveva però, contraddittoriamente anche stuzzicato.
Come certo abbigliamento che, talvolta, qualche sua occasionale avventura gli aveva rivelato.
Calze autoreggenti. O addirittura reggicalze. Tanga microscopici, con la parte posteriore filiforme, che finiva per scomparire nel solco delle natiche. Come certe immagini pubblicitarie intenzionalmente provocatorie.., Fuori contesto.
Agiva dunque così, l'abbigliamento di quel tipo, sui clienti in cerca di sesso a pagamento? Sul bordo della strada, su un marciapiede, donne appariscenti e seminude che invitano con cenni e sorrisi suadenti....
Provò a pensarli quei clienti. Uomini troppo impacciati e vergognosi per relazione autentiche? Mariti insoddisfatti con mogli che amministrano la casa; con le quali hanno concepito dei figli, ma con le quali non hanno mai giocato il piacere del sesso ?  Perbenisti ipocriti, che cercano di realizzare fantasie erotiche, impraticabili nel letto di casa? Squallidi xenofobi, fautori del reato di clandestinità, che desiderano soddisfare le proprie voglie di possesso e di dominio totale su una donna di colore? Come su una schiava? Perché hanno profondamente paura di un rapporto alla pari con una donna? Soprattutto con la propria moglie?
Il luogo comune che definisce la prostituzione il mestiere più antico del mondo, dimentica forse di definire lo squallore della clientela.
Ma, anche in questa miseria, potrebbero, al massimo, essere tollerabili prostitute che scelgono liberamente quell'attività.
Ma Clara parlava di qualcos'altro!
E poi, cosa poteva c'entrare tutto questo con la donna con la quale aveva parlato al self-service?
No! Non era assolutamente possibile!
Neanche che si lasciasse costringere!
Molto più praticabile plausibile, dunque, l'ipotesi del delitto "passionale". Pur dando a questo termine un connotato aberrante, di situazione emotiva e psichica di tipo patologico.
Raccolse, a questo punto, la pila dei fogli che giacevano nel piatto della stampante. Si avviò verso la rilegatrice. Il report era pronto.
Avrebbe chiarito tutte queste cose, fra poco, in pizzeria.

Il numero era quello: 119. E anche la via.
Aveva fermato la macchina accostata ad una aiuola, piena di mozziconi e di carte di gelati.
L'orologio sul cruscotto segnava le 19. 28.
Aperse finestrino; nell'abitacolo c'era odore di chiuso. Non gli piacevano gli odori nauseanti dei deodoranti per auto. Sapevano troppo di falso con le loro essenze artificiali. L'aria che veniva da fuori non era certo più profumata. Solo da lontano qualche residuo odoroso di erba di recente tagliata.
Aveva già infilato la mano nella tasca per estrarre il cellulare. Un gesto abituale e ricorrente nei momenti vuoti.
In quel momento vide una figura femminile che si avvicinava, cercando con gli occhi di riconoscerlo nell'abitacolo.

Riuscì a riconoscerla soprattutto dalla situazione e dal contesto. Si accorse che non l’aveva per niente osservata. Di statura non raggiungeva 1 metro e 60. Sopra i jeans, che dovevano costituire un suo abbigliamento abbastanza abituale, aveva una camicetta ampia color petrolio. I capelli erano corti e neri. Non particolarmente curati. Il volto aveva lineamenti regolari, delicati; i tratti erano semplici e spigliati. Nessun segno di trucco. Non ostentava in nessun modo la propria femminilità.
Quando fu certa che fosse lui, fece un rapido accenno di sorriso. E mosse la mano a mezz'aria, come ulteriore conferma. Aperse la portiera e si sedette al suo fianco. Mostrava una gestualità limitata e molto sobria. Essenziale. E insieme garbata e sbrigativa. Mormorò un «Salve» e, solo quando vide la mano di lui tendersi, allungò la sua per stringerla. Avevo usato un tipo di saluto intermedio tra il formale «buonasera», e un più spigliato e amichevole «ciao».
«Salve», rispose Orazio. «Magari ciao, se permetti...». Gli era venuto spontaneo.
«Ma certo. Naturalmente».
Nell'atmosfera frugale e confidenziale, rimasero zitti entrambi. Mentre lui guidava. «Non ho particolari preferenze. Perciò scegli tu come sei più comodo. Possibilmente un posto senza troppo rumore, dove si possa parlare tranquillamente. Senza schiamazzi o musiche assordanti.»
Aveva pronunciato queste battute in modo semplice, come era tutto l'insieme della sua persona. Profondamente autentico e diretto.
Lui, nel frattempo, era rimasto come in sur-place. Influenzato da quella naturalezza sentiva di liberarsi in un clima informale; al quale non era molto abituato. Ma che gli dava un profondo benessere. Fin quando arrivarono alla pizzeria rimasero tranquillamente in silenzio. In una calma serena e piacevole. Senza neanche pensarlo mentalmente, lui si sentì a proprio agio. Insieme aprirono le rispettive portiere. I lampeggiatori,  attivati dal telecomando, bloccarono le portiere dell'auto. Che rimase lì parcheggiata. Anch'essa a proprio agio. A gustare la calma distesa che le era stata regalata, per la sosta.

La sala era quasi vuota. Scelsero un tavolino d'angolo, dietro una colonna di cemento.
«… per me un’insalata di mare…, e un calice di bianco vivace…», aveva già ordinato Clara, dopo avere dato un’occhiata veloce alla carta.
«… per me invece… scialatielli allo scoglio…, e bianco vivace anche per me…», aveva detto a sua volta lui; sorridendo compiaciuto della propria golosità.
L’argomento della conversazione incombeva nell’aria, ma preferiva restare lì, in sospeso. Lasciandoli consumare la cena. Le battute che si scambiarono avevano tutte un carattere interlocutorio. Preamboli di conoscenza. Efficaci nel tono dimesso. Preliminari di approccio colloquiale. Di due che stavano perfettamente a proprio agio.
«... Mamma?... no, certo che non aspettavo questa chiamata.... Eravamo d'accordo che avrei chiamato io il mese prossimo.... Ma è successo qualcosa? Anche Alessia, sta bene?... Niente..., ma proprio niente davvero? …. Ah…, ecco che cos’è, allora…! Beh, anche prima succedeva ogni tanto che ti pagassero in ritardo....Eh...? ... da tre mesi? Ma non è possibile! No, voglio dire... ma ci sarà ben una ragione,  no? Mancanza di liquidità? Cioè... vuol dire che anche loro non hanno i soldi... e gli altri che lavorano non dicono niente? Ah, anche loro.... E non si può fare niente?...
... No, non fai niente, sai.... Al massimo vuol dire che aumento le ore che faccio,  di lavoro qui.... Spero soltanto che me le diano.... Siamo in tante ad aver bisogno di soldi in più..., sì, perché a casa ci sono delle difficoltà....
... Ma no, tu non preoccuparti..., ci penso io, sai..? So già come potrò arrangiarmi!
No, ti dico; l'assoluzione la trovo io qui. No, è che anche la borsa di studio doveva durare solo due anni.... Avevo già chiesto una proroga e me l'avevano concessa. Ma di concorsi ormai non ne fanno più. Specie per quelle che l'avevano già ricevuta.
... Ma ti dico di stare tranquilla..! Saprò ben bastare a me stessa..., almeno adesso.... Dopo tutti gli anni che peso su di voi.... No, lascia stare, è vero quello che sto dicendo.... E poi,... non è mica neanche obbligatorio che io debba per forza laurearmi.... No, lasciami parlare, so quello che sto dicendo.... Come tu hai fatto sinora insieme a mia sorella potrò ben trovar anch’io un lavoro normale.... Va bene, non sarà un lavoro qualificato e ben retribuito,... ma non fa niente.... Ti dico e ti ripeto che non fa niente!!!
Tanto per cominciare... chiederò di parlare con quelli del consiglio accademico. Poi con il senato di facoltà e con la cellula universitaria degli studenti. È solo che finora non avevo creduto di doverlo fare. Ma è sento spesso parlare delle mie amiche. Chiederò e farò di tutto per farmi aumentare le ore. Posso sempre studiare di notte, no...? ma sì, ti dico, ogni sera, fino a tardi  non mi addormento.... Potrei benissimo studiare allora. E poi anche la domenica e molto richiesta. Ci sono da fare le pulizie generali nelle aule, nei corridoi. L'aula magna rende molto, sai?
Tu, tanto per cominciare, cerca di stare tranquilla.... Vedrai che riusciremo a sistemare anche questa....
E... non ci sono altre novità? Lui, voglio dire, non si è più fatto sentire o vedere?Dopo tutti questi anni?
Ma come lui non c'entra? Sono ben sempre anche sua figlia, no? È mai possibile che lui debba scomparire per farsi un'altra vita con un'altra donna.... Lasciandoci a noi nella merda.... No, che le uso le parolacce, quando ci vogliono le so usare benissimo.... Non le usava sempre anche lui?.... Va bene quindi allora le uso anch'io....
Adesso, comunque, è meglio che chiudi. Altrimenti non so che conto ti toccherà pagare di telefonata..!
Ma certo che sto tranquilla. E cerca di stare tranquilla anche tu. E anche Alessia. Sì, certo, stiamo tutte tranquille.... E quel porco stronzo di mio padre intanto.... Che è dovuto scappar via perché non resisteva più.... Poverino! Lui! Non ce la faceva proprio sopportare te e noi. No. Dobbiamo capirlo, no?
Lascia stare discorso dei soldi.... No, ti dico di lasciar stare. Non mandatemi più niente.... Ho detto più niente! Che ho già pensato a come potrò organizzarmi e  aggiustarmi io qui..... Ma no, quella di lasciare l'università l'avevo detto solo così.... Trovo l'assoluzione e basta!
E adesso ti bacio, mammuccia cara. Abbracciami e baciami forte Alessia. E state tranquille. Appena ho sistemato le cose ti scrivo ho ti telefono io.
E..., ti prego adesso, non ti mettere anche piangere.... Lo so, è vero, siamo state molto disgraziate e sfortunate.... Ma la soluzione ci deve pur essere, no? E allora la troveremo!
E non piangere..! Che dopo ti viene ancora mal di testa.... E riprendi a non dormire di notte....
Ma adesso... ti saluto davvero... ciao ciao ciao...!»

6.
«Sono appena stata a parlare, ieri, con Matilde. La Ragusa. L'ispettrice capo. Beh con quella sua aria da donna del sud in carriera. Con tutti quei gioielli pesanti che le ballonzolavano tintinnando.... Sotto la sua maschera abbronzata da poliziotta..., beh,... io trovo che a una profonda umanità.... Ormai la conosco abbastanza. Non è il primo caso. E l'avevo già incontrata di sfuggita, comunque, per altre situazioni; anche se  non così drammatiche tragiche....
Insomma, siamo un po' quasi... diventate amiche.... Per modo di dire, intendo. Sul piano professionale.
Dice che hanno fatto analizzare più approfonditamente il cellulare.... Dopo  averlo aggiustato alla meglio, per tenerlo insieme... C'erano diversi messaggi. In diverse lingue. Negli ultimi tempi erano molto ricorrenti quelle da uno stesso numero. Il gestore telefonico pare registrato in Albania.
C'era anche quell'altro, quel suo collaboratore, quel Terrisi.... Quello che aveva cercato te. Si, il vice ispettore.
Mi hanno letto molti SMS, che avevano fatto tradurre. Avevano fatto venire anche un mediatore linguistico. Per aiutarci a capire abbreviazioni e sfumature di linguaggio....
Beh, io adesso provo a raccontarti un po' alla buona e alla rinfusa, contenuto e tenore di quei messaggi.
Beh, a cominciare dai primi. Lì il tono era molto garbato e gentile. Faceva un po' pensare al linguaggio e alle espressioni che si usano..., beh, intendo dire quando c'è una relazione.... Erano presenti, spesso, termini tipo "dolcezza", "pulcino mio", "mia tenera caprettina",” bimba bella”....
Non sono solo  espressioni gentili ed affettuose. Denotano una certa confidenza. Chi le usava doveva avere una certa intimità affettiva e probabilmente sentimentale con lei.
Il contenuto dei messaggi era spesso relativo a quando e dove vedersi. "Spero di liberarmi questa sera e di poter venire da te. Non stare ad aspettarmi in piedi. Posso entrare per conto mio".
"Passerò a prenderti alla solita ora e al solito posto. Basta che tu ti fai trovare lì".
"Ceniamo insieme, al ristorante della prima volta. Entra pure e aspettami dentro".
"Forse è meglio che fai che venire tu da me. Non credo che ti farò aspettare molto. Ho molta voglia di vederti, sai?"
Poi, ad un certo punto sono scomparsi i termini affettuosi e intimi. Il tono diventava sempre più deciso e categorico. Avevano molto l'aria di disposizioni; di ordini di servizio. Asciutti, stringati e sempre più telegrafici.
“Non più tardi delle 6 p.m”.
"Puntuale! Non farti aspettare!"
"Starai lì all'ingresso finché te lo dirò io. C'è  chi vede e riferisce”.
Gli ultimi erano diventati veri e propri ordini gridati con rabbia.
"Non me ne frega niente! FAI COME TI DICO E BASTA!”
"E non cercare DI FARE ANCORA DI TESTA TUA!"
"Se ti trovo ancora a farti i fatti tuoi GUARDA CHE TE LA FACCIO PAGARE!"
"... sai che non mi va che PARLI con CERTI TIPI DI PERSONE…"
"... che sembri una che è in vacanza e sta cercando di farsi nuove amicizie..."
Insomma, ne abbiamo discusso insieme. Terrisi continuava a chiedere particolari. Il mediatore cercava di interpretare il contenuto. Tentava di farci immaginare il contesto relativo a quei messaggi.
Infine è stata la Ragusa, a provare a tirare la conclusione. Secondo lei le minacce sono proprio quelle di un uomo geloso. Che fa controllare la sua donna da qualcuno, che poi gli riferisce. Che vuole vietarle di incontrare qualcuno o che faccia  nuove conoscenze. Ritiene che siano intervenuti degli screzi. Dei sospetti. Che gli sguardi o i colloqui di lei con altri lo abbiano fatto andare in bestia. Le minacce hanno il tono cattivo.
La lingua usata negli SMS e spesso il rumeno. Anche se compaiano, a volte, espressioni albanesi.
Sono gli unici nuovi indizi emersi. Pochi forse per riuscire a delineare fisionomie e identità dell'uomo.
Però sembrerebbero confermare, o meglio, più prudenzialmente suggerire, un movente che ha a che fare con la gelosia.
Cosa ne pensi?»
Orazio aveva seguito in silenzio l'esposizione di lei. Come la sequenza di un film. L'uomo, la figura in ombra dalla fisionomia indefinita, era stato seduttivo e galante con la bella donna moldava. L'aveva corteggiata, incontrata. Si erano dati degli appuntamenti, avevano cenato insieme. Poi doveva avere cominciato ad essere roso dal tarlo del sospetto. Probabilmente  aveva cominciato a pedinarla. A farla seguire da qualcuno. A chiedere a qualche amico o conoscente di raccogliere informazioni sui suoi comportamenti. Sui  suoi atteggiamenti e sulle persone che incontrava, e con le quali parlava.
Aveva interpretato quanto riceveva e raccoglieva, secondo la propria logica. Costruendo un po' alla volta un'impalcatura, nella quale lui riusciva a vedere segni e sintomi di tradimento. Avvenuto; in atto; o potenziale...
Di qui l'escalation esponenziale, verso il controllo sempre più meticoloso; gli appostamenti; i pedinamenti; le scenate furibonde.... L'epilogo finale....
Eppure, durante il racconto di Clara, gli era parso che alcuni termini e alcune espressioni potessero avere più di un'interpretazione.
Per cominciare quell'eccessiva insistenza sulla puntualità. "Non farti aspettare" significava non farti aspettare da me, oppure da qualcun altro?
"Starai lì all'ingresso finché te lo dirò io…." Perché lei avrebbe dovuto stare in un certo posto finché lui avesse voluto? È poi, a quale ingresso? L'ingresso per dove? " C'è  chi vede e riferisce”: che senso poteva avere ordinare alla propria partner di restare in un certo posto, ad aspettare non si sa chi, finché lui avesse voluto ? e informarla, poi, che qualcuno avrebbe controllato il rispetto della disposizione. Riferendo a lui; o a qualcun altro di sua fiducia.
E per concludere quella diffida "non fare di testa tua", con l'aggiunta di un "ancora".
Quindi era già avvenuto che lei cercasse di fare di testa sua?
Ma lei doveva "fare come le ordinava lui"; concludendo con quel categorico e autoritario "e basta!"
Che già preludeva alla minaccia: se l'avesse trovata ancora a “farsi i fatti suoi”, lui questa volta gliel'avrebbe fatta pagare!
E di nuovo, un'altra volta l'uso di "ancora". Lei  aveva già provato a fare di testa propria; a farsi i fatti propri.
Aveva anche "parlato con certi tipi di persone".... Quali tipi? Sembrava  un po' eccessivo quello scrupolo nel definire la tipologia delle persone, per una situazione di sola gelosia. Le  aveva detto e scritto “ lo sai...". Quindi significa che gliene aveva già parlato. L'aveva messa al corrente dei suoi divieti e dei tabù; delle proibizioni che le imponeva.
A lui scocciava  molto che lei si comportasse come una persona che è in vacanza e sta cercando nuove amicizie. Non si limitava, nella propria gelosia, a negarle occasioni per nuove conoscenze o relazioni. Soprattutto sembrava insistere sull'escludere che lei potesse avere nuove "amicizie".
È pur vero che, nei connotati psicotici del geloso maniacale, conti molto di più una amicizia o confidenza da parte del proprio partner; addirittura piuttosto che una relazione.
Ma qui il divieto assumeva il carattere di un campanello d'allarme: guai a fare nuove amicizie. Sono fonti di pericolo. Ma per chi? Per  l'amante geloso? Era un campanello che suonava indistintamente. Niente amicizia! Guai! Pericolo! Non sei in vacanza! Altrimenti te la faccio pagare!




«... Rada?... ciao bella..! Spero di non disturbarti, vero? ma certo che sto bene e tu? Prima di tutto mi devi raccontare com'è andata la tua festa di promessa di fidanzamento...! Certo, certo che me l'immagino! C'eravate tutti? anche gli zii di tua madre? Magnifico! Grande! Beh, sì, certo, anche una grandissima rottura di palle... eh già, lo immagino,.... E: Rada di qua, Rada di là, e come sei bella, e come sei diventata grande, e com'è il tuo lavoro, e che bel fidanzato che ti sei trovata, e mi raccomando tienitelo bene da conto che sai come sono gli uomini, e quando vi sposate tieni ben in ordine la casa, e che certo con quella mamma che ha e sarà e una donnina bravissima a una brava mamma....
E dài, va là! Però ti è piaciuto e ti sei divertita o no? Era comunque la festa per raccontare a tutti che ami il tuo Pavel, che presto lo sposerai, e ci farai dei figli....
E sei riuscita a trovare anche la casa? beh, me l'immagino, in quella zona lì ci sono case vecchie. Però sono grandi e spaziose. E poi penso di riscaldamento a legna con la stufa vi tenga ancora più caldo. …
Comprate la legna col trattore e un po' ve ne fate regalare dal papà di Pavel....
Certo, sì... quasi quasi ti invidio un po'!
Ah...! L'hai già saputo da Alessia? Ho dovuto lasciare l'università.... Eh, sì, certo che mi è dispiaciuto un po'.... Ma non potevo più andare avanti così... la mamma e mia sorella non ce la facevano più... e le pagavano anche sempre in ritardo di qualche mese... e io continuavo a fare lavori all'università, ma i soldi non bastavano mai..!
Beh, mi rende un po' così... faccio dei lavoretti ogni tanto di qua o di là... , sai, quelle cose lì, tenere i bambini, fargli fare i compiti, fare qualche pulizia....
Prima di mollare del tutto ho voluto provare a parlare a quel professore che ti dicevo, quello vecchiotto che mi faceva gli occhi dolci.... Mi ha fatto andare nel suo studio, mi ha preso la mano nelle sue, mi ha detto che vedrà che cosa potrà fare per me.... Ha detto che  un suo nipote  forse può aiutarmi. Non ho capito bene che lavoro faccia. Ma lui dice di essere sicuro che potrà aiutarmi... pensa, addirittura a venire in Europa...! Pare abbia delle conoscenze importanti in Italia. Ed è sicuro che troverà qualche famiglia per bene che mi tenga a vivere da loro, e mi farà fare dei lavoretti, tipo quelle che faccio adesso. Occuparmi dei bambini, tenere pulita la casa e fare i lavori domestici, accudire gli anziani.... Diceva che è già in parola con qualcuno. Che devo solo aspettare un po'. Ci penserebbe a tutto lui. Mi pagherebbe il viaggio, come prestito, naturalmente. E i soldi glieli potrei restituire un po' alla volta con quello che le caverò facendo i miei lavori. Il bello è che potrei riprendere a studiare all'università in Italia! …Sì, Rada! Certo che una laurea presa in Italia conta molto di più di quella che avrei preso qui in Moldavia.... E poi se l'avessi conseguita qui, probabilmente all'estero non avrebbe contato niente.... Sì, dovrò ricominciare tutto daccapo, ma con tutti gli anni che già studiato... credo che farà meno fatica e sarò abbastanza avvantaggiata..! Beh ci sarà soprattutto il problema della lingua. Quel poco di italiano che io conosco...! E poi, non c'è come vivere in un altro paese per essere facilitata a imparare la lingua di quel posto. Stavo dicendo che quel poco di italiano che conosco mi basterà a malapena per farmi capire e arrangiarmi i primi tempi....
Beh, staremo a vedere. Io certo non mi arrendo facilmente. Ah, volevo ancora aggiungere che continuo a vedere quella mia amica che ho conosciuto alle scuole superiori. Credo di avertene parlato, no? Non  te ne ricordi? Si  chiama Nadia. Ma  si, sono proprio sicura di avertene già parlato. Ma, beh, per farla breve, anche Nadia avrebbe una gran voglia di venire in Italia a studiare. Certo non troveremo il lavoro nello stesso posto. Ma almeno potremo sentirci ogni tanto. Scambiarci qualche telefonata,  qualche visita. Insomma, da non sentirsi totalmente sole in un paese straniero. Nadia mi ha raccontato che ha una lontana parente in Ucraina che è andata per molti anni in Italia a lavorare. Si occupava delle persone anziane. Là le chiamano "badanti"; perché badano, cioè si occupano, di persone anziane o malate. Ma pagavano anche abbastanza bene. Lei viveva in casa e mandava quasi tutti i soldi in Ucraina. E poi, due o tre volte all'anno, dei connazionali organizzavano dei pulmini per tornare a trovare la famiglia. Un viaggio massacrante di giorni e giorni. Beh, però cercavano un pochino di organizzarsi. Io e Nadia speriamo di poter fare così anche noi. Naturalmente dopo che avremo trovato il posto. Sia io che lei.
... sì? Anche a te pare una buona idea? Io non sono ancora sicuro fin in fondo. Ho ancora qualche dubbio e perplessità. Certo, si tratta di lasciare tutto quanto, di fare un viaggio lunghissimo in un mondo che è per me ,ora, sconosciuto. Il grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno che è ancora pieno di incognite.
Soprattutto sarò contenta se potrò studiare all'università magari con lei. Pensa che bello? Due ragazze moldave in una Università italiana, metti a Milano, o Torino, o Novara, o Pavia, che ne so..?
Ah, un’altra cosa interessante: la nostra lingua e un po' imparentata con la lingua italiana. Derivano tutte e due della lingua latina che parlavano gli antichi romani. Con Nadia dicevamo che il rumeno  e l’italiano hanno solo un po' di elementi in comune. Che non sono troppo simili.
Beh, sempre meglio, comunque, che imparare l'ungherese o il serbo…., faccio per dire....
Mi piace abbastanza l'idea di andare in Italia, sai?
Ma dovremo prima stare ad aspettare che il nipote del mio professore dongiovanni combini la cosa e si faccia vivo.
Tu, Rada, sei la prima persona a cui ho finora confidato il mio progetto.
Sono molto contenta di questa chiacchierata che abbiamo fatto. Anche se mi rendo conto che ho parlato quasi sempre solo io.... Appena so qualcosa di più sicuro ti chiamo, ti racconto tutto e ti chiedo tanti consigli...!
Adesso ti do un bacione grande grande! Un abbraccio al tuo Pavel.
Ciao ciao ciao.»


7.
Mentre  Orazio aveva esposto queste sue riflessioni, Clara aveva spesso tenuto gli occhi bassi, sulla tovaglia. Come se stesse mentalmente confrontando quelle considerazioni con il risultato del suo colloquio con la polizia inquirente.
Solo a tratti, ogni tanto, aveva alzato lo sguardo, puntandolo su di lui. Curiosa di leggere dentro a quel che lui le stava dicendo.
Aveva occhi neri molto luminosi. Guardava attenta, spostando solo a tratti il fuoco dei suoi pensieri su qualche punto che era un po' più in là.
Poi erano rimasti  assorti a meditare; tutti e due.
«Hai ragione. Qualche cosa del genere era balenato anche a me. È comunque molto probabile, quasi certo, che da quei messaggi si possa ricavare almeno che c'è stata una relazione. Sarebbe utile e interessante, a questo punto, poter conoscere anche i messaggi che Olga ha mandato. Provando a collegare quelli che sono in relazione e in risposta a quelli che abbiamo insieme analizzato.
Non so ancora quanti siano registrati nella memoria del cellulare. Quando li avranno trascritti tutti, potremo avere qualche elemento in più».

«Mah, forse io mi sono lasciato un pò influenzare dei discorsi che m'hai fatto l'altro giorno. Quello  sulle nigeriane che vengono convinte a imbarcarsi in un'impresa per trovare un lavoro in Europa. E che poi si trovano ad essere sfruttate, malmenate e costrette a prostituirsi. Qui la situazione sembrerebbe essere stata diversa. Ma qualche dubbio sei riuscita comunque  a comunicarmelo e a instillarmelo. La storia come l'ha interpretata la tua amica Ragusa mi sembra che faccia acqua da qualche parte. Sì, alcuni particolari lascerebbero credere ad una storia di gelosia. Però è un'ipotesi che traballa un po'. Sembra che a te, mi pare, no?
Non sono capace a fare l'investigatore e il poliziotto, io! Forse mi lascio troppo guidare da intuizioni, fantasie, emozioni.  Non  riesco a trovare una logica molto serrata nei ragionamenti che ho fatto. Eppure...
Boh; staremo un po' a vedere se riescono a tirar fuori qualche cosa ancora da quel cellulare.
In quel telefono c'è stato anche il mio numero..! Avrei anche potuto chiamarlo. Non l'ho mai fatto. Un essere umano se ne sta a dormire definitivamente  in una cella frigorifera. Una persona che per un istante mi aveva lasciato sfiorare la sua umanità e la sua essenza....»
Orazio aveva abbassato il volto passandosi la mano sugli occhi. Restando così a lungo in quella posizione. Clara aveva rispettato quel silenzio turbato.
Quando lui aveva tolto la mano dagli occhi, sfregandoseli, luccicavano.
Lei, allora, aveva posto una delle sue piccole mani affusolate sulla sua ancora umida. L'aveva dapprima solo sfiorata. Con garbo. Poi gli aveva dato una stretta forte. Che lui aveva ricambiato.
Le mani erano rimaste lì, a consolarsi e a confortarsi vicendevolmente. Un calore piacevole passava dalle dita magre di lei, alle sue. Non si guardavano. Eppure un contatto profondo di teneva collegati. In quel gesto così discreto e insieme così intimo. La comunicazione e la conoscenza tra i due proseguiva il suo cammino. Senza fretta. In modo molto dignitoso, pudico, umanissimo.
Poi erano venuti a sparecchiare. Lasciando un bigliettino del conto.

Poco dopo l'aveva lasciata al 119 di via Spreafico. Mentre apriva la portiera, guardandolo con quel suo sguardo pulito e terso, lei con la mano gli aveva sfiorato la guancia. Era scesa in silenzio. Aveva raggiunto il massiccio condominio informe di cemento grigio. Chiudendosi dietro la porta a vetri. Senza  voltarsi.
«Alessiuccia mia…,  sorellina mia bella! Voglio scrivere a te questa volta. Pregandoti di usare tutte le cautele possibili e la prudenza e il tatto che tu sai... nel raccontare a mamma quello che ti sto confidando. Tu e  lei avete fatto moltissimo per me. Lasciamelo dire. E senza mai farmelo pesare. E non ci sono ragioni per dire che io me lo meritavo, che ero più brava negli studi.... Da quando papà se ne è andato voi due avete cercato in tutti modi di coccolarmi. Lo so. Me ne sono sempre accorta. Con la scusa che ero la sorella minore. E con l'idea che certo avevate di non farmi sentire troppo il disagio di esser lasciate sole, noi tre. Se alle superiori ero stata abbastanza brava, era anche perché facevo solo quello. E anche l'università, poi. Voi a sgobbare tutto il giorno in fabbrica; per farmi fare la signorina per bene che studia e vuole laurearsi! Non sentitevi assolutamente in colpa per non essere riuscite, ad un certo punto, a mandarmi quei soldi che toglievate dalle vostre modeste economie familiari. Si vede che la vita fatta così! Ho trascorso un periodo bellissimo della mia vita a leggere e studiare. E soprattutto ad arricchirmi dentro. Di questo mi sono che vi sarò sempre eternamente grata.
I lavoretti che avevo trovato negli ultimi tempi all'università gli permettevano di mettere insieme delle cifre modestissime. Quando mi sono messa un po' a fare i conti, ho capito benissimo e lucidamente e non ce l'avrei mai fatta. Un mio professore è stato gentile nel consigliarmi quello che sto per fare. Un suo nipote ha dei contatti in Italia. Sta brigando e interessandosi per trovarmi una famiglia benestante in qualche città del Nord, nella quale io possa andare. Mi ospiterebbero e mi manterrebbero, in cambio di lavoretti in casa: tenere pulito, rigovernare, occuparmi dei bambini o degli anziani. Mi darebbero anche un piccolo stipendio col quale potermi iscrivere all'università. E anche dei permessi per andare a sostenere gli esami.
D'altra parte, la laurea che avrei conseguito qui non avrei mai potuto spenderla all'estero. E qui nel nostro paese, lo sapete benissimo meglio di me, sarebbe moltissimo difficile trovare un lavoro. Con una laurea italiana, invece,.... In quel paese il livello economico e molto migliore del nostro. E ci sono ancora discrete possibilità di trovare occupazioni.
La  loro lingua, poi, è abbastanza simile alla nostra. E a scuola ho già avuto modo di impararla un po'. Almeno nei primi tempi potrei cavarmela a spiegarmi e a farmi capire.
Come vedi, dalla situazione "brutta" che si era determinata, possono nascere prospettive nuove e addirittura migliori..!
Io non mi arrenderò mai! Quando riuscirò  andrò in quel paese, studierò, prenderò una laurea che vale molto, troverò un lavoro stabile e ben retribuito. A quel punto, spero, potrò finalmente ricambiare tutte le fatiche e sacrifici che avete fatto per il mio bene. E di cui, lo ripeto un'altra volta, vi sono e vi sarò sempre infinitamente riconoscente!
Di nuovo ti prego: spiega tu nel modo migliore la situazione alla mamma. Quando  le ho telefonato l'ultima volta piangeva, povera mammuccia mia. Si sentiva colpevole di essere in difficoltà a farmi continuare l'università. Ma  sono sicura che tu riuscirai a parlarle con calma e a farle capire bene la situazione. Convincendola  che non è per niente disperata. Anzi che si stanno aprendo prospettive ancora migliori. Io sto inventando in un modo nuovo il mio futuro.
Certo, si tratta di lasciare tutto quanto, di fare un viaggio lunghissimo verso un mondo che è per me, ora, sconosciuto. Il grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno che, nonostante qualche incognita, potrà rivelarsi molto migliore della realtà che viviamo qui nel nostro paese. E  mi auguro tanto che tutto questo porti miglioramenti e felicità anche a voi due.
Per ora ti abbraccio, sorelluccia splendida! Ti prego di riempire di baci e di abbracci la nostra mammusca. Di coccolarmela tanto. Non credo che riuscirò a venire a salutarvi prima di partire per l'Italia. Ci risparmieremo ( a me e a voi, voglio dire) le sofferenze della separazione..., le lacrime degli addii.... Cercherò di telefonarvi quando saprò i dettagli della partenza.
Un bacione grande!!!
Olga»



8.
Arrivava sempre in anticipo, lui.
Il brutto edificio  era rimasto sempre lì, freddo e grigio. Immerso, senza merito alcuno, nel rigoglio incontrollato dei platani.
Il piantone di servizio, alla porta, aveva fatto un cenno di assenso, quando lui aveva chiesto, con gli occhi, il permesso di parcheggiare lì.
Da un'altra zona parcheggio poco distante vide arrivare Clara. Si strinsero la mano con un cenno di sorriso.
All’ingresso dovevano avere riconosciuto la donna, perché non li fecero neanche entrare nella stanzetta vetrata del posto di guardia. E, neppure, a lui fecero consegnare i documenti.
Venne loro  risparmiato, così, il forte tanfo rancido di caserma e di cicche spente, che vi stagnava dentro.
Lei  andava spedita su per quelli scaloni, e si avvicinò alla porta della Ragusa, che era spalancata. E vuota. Mentre stavano lì in piedi, entrambi, sulla soglia, la videro arrivare. Con quel vago cenno di sorriso sul volto, dalla pelle abbronzata, come cuoio antico.
«Venite, prego! Allora,...; dunque immagino che la signorina Florio l’abbia già informata circa i nuovi elementi. Il quadro, a dire la verità, è tuttora abbastanza confuso. Ma sembrerebbero,... ripeto sembrerebbero, apparire segnali e indizi... che potrebbero... suggerire che tra la malcapitata e un qualcuno, di cui non sappiamo nulla, possa esserci stata una conoscenza abbastanza confidenziale.... Di qui la supposizione di una ipotetica relazione. Che potrebbe essere poi degenerata... malamente.... Il condizionale, come si suol dire in queste situazioni, è davvero d'obbligo...!
Ma io..., in questo momento, vi confesso che ho la testa un po' troppo piena.... Come immaginerete, non seguo solo questo caso…!
Lei, signor Bignardi...» rimase perplessa e interdetta qualche secondo «spero di non avere sbagliato il suo cognome, come mi capita talvolta...»
«Berardi, Berardi, sì, ma non fa niente... se vuole può chiamarmi anche più semplicemente Orazio...o anche Bignardi, se le fa piacere…», aggiunse guardando Clara.
«... Orazio, certo va benissimo il nome soltanto... e anche voi, chiamatemi pure semplicemente Matilde.... Lei, Orazio, è certamente molto meno condizionato di me, in questo contesto spiacevole.... E, se vogliamo, anche di Clara..., che si occupa prevalentemente di questa aberrante "tratta".... Voglio dire, cioè,...che  lei ha soltanto quella breve e fugace conoscenza..., e ora il testo di questa serie di messaggi telefonici.... Ha, intendo dire, la mente più sgombra...; è probabilmente meno influenzabile di me...; di noi..., non le pare?...»
Mentre la donna parlava, lui stava riorganizzando le idee che aveva formulato la sera prima in pizzeria.
«Ma sì.... Direi proprio di sì.... Dal contenuto degli SMS di cui ho conoscenza, sembra di intravedere una evoluzione..., anzi, direi meglio, una involuzione.... Gentilezza, corteggiamento, incontri galanti; poi un tono più brusco, categorico, che non ammette replica. Infine minacce aperte....
L'ipotesi che lei ha formulato a Clara ha discreti elementi di supporto. Il  "qualcuno" sembrerebbe roso dal tarlo del sospetto. La fa  pedinare da qualcuno. Le intima di non fare di nuovo di testa sua, di essere puntuale e obbediente. Se no lui gliela farà pagare....
Però subito  mi sorgono  dei dubbi: un partner/amante che ha a disposizione qualcuno che poi gli riferirà i comportamenti di lei; e lei che deve stare ad aspettare finché lo deciderà lui all'ingresso..., (ma all'ingresso di dove? ); e lei che non deve parlare con “certi tipi” di persone... 
Non  sembrano certo espressioni e comportamenti da amante geloso.... Sembra di notare una componente persecutoria..., vessatoria; ambiguamente protettiva nel vietarle di parlare con qualcuno di particolare; di poco raccomandabile? O al contrario, come se fosse in vacanza, le vieta di conoscere qualche persona normale..., con cui entrare in amicizia o in confidenza...?
Ma, come dicevo ieri sera, a Clara, non ho assolutamente competenze dal punto di vista di indagini. Le mie sono pure congetture..., basate su buon senso...; o su non so che cosa...»
Matilde aveva mosso la testa, alle sue parole, come assentendo o condividendo. Con perplessità.
«Sì. Ieri sera, quando ne abbiamo parlato con Orazio, l'ipotesi comoda e funzionale della pura gelosia morbosa, ha cominciato anche per me ad incrinarsi. Era  come se quelle espressioni, in quella lingua straniera che c'è stata tradotta, stessero assumendo il carattere di una sirena d'allarme. Guai a conoscenze ed amicizie; non stai divertendoti; fai così e non cosà; rimani lì ferma ad aspettare; obbedisci. Altrimenti è peggio per te!...»
«Certo, certo.... Che poi quelle espressioni, a parziale giustificazione di omicidi di donne, che parlano di "delitto passionale..."… Ma  che passione e passione! La passione, l'abbiamo ben provata tutti, no? La passione un'altra cosa!...
Guarda...», e si corresse subito, «guardi, per cercare di capire le situazioni, specie quelle complicate come questa, bisogna metterci tutta la propria anima, le proprie esperienze... i propri vissuti...
E non me ne frega niente, a questo punto..., tanto voi siete fuori del mio ambiente professionale, vi voglio raccontare una mia esperienza..., ma proprio mia..., che ho vissuto sulla mia pelle...»
Si  erano, a quel punto, guardati in faccia tutt’e  tre. Con una sempre maggiore confidenza. Quasi complicità.
«Di già che ci siamo, possiamo fare che darci del tu tutti e tre,... se non lo ritiene una cosa sconveniente...!»
«M certo… E allora vi dico questa cosa, ragazzi miei. Non sono più giovanissima. Non mi vedete l'anello nuziale. Ma sono stata sposata. Anche se, forse,  non è il termine più appropriato.
Lui era un mio superiore. Un gran bell'uomo. Con una decina d’anni più di me. Ero appena uscita dalla scuola di polizia. Dove m'avevano indottrinata di tutte le loro cazzate..., passatemi il termine...; l’arma…, il fascino del capo..!
Abbiamo cominciato una relazione. Di nascosto dai colleghi, naturalmente. Per  evitare pettegolezzi, nel limite del possibile. In poco tempo ero innamorata pazzamente di lui. Come una cretinetta. Avevo l'età per esserlo! Aveva cominciato a farmi anche dei favori. Benché io non glieli chiedessi e in tutti modi cercassi di dirgli che non è volevo sapere. Finii , addirittura, per non accorgermene neanche più. Per credere che si trattasse solo dei miei meriti professionali ed investigativi….
Quando cominciarono a parlare le malelingue, lui fu d'accordo con me: e ci sposammo.
Non vi sto a raccontare la routine della vita coniugale....
Insomma, per farla breve, in capo a qualche anno tutto era diventato un inferno. Figli lui non ne voleva. Avrebbero intralciato la carriera sua e anche la mia. Diceva.
Non eravamo per niente una coppia alla pari. Dava gli ordini anche in casa. Li urlava.
Ma ho anch'io il mio carattere abbastanza tosto. Passata la fase dell'infatuazione per il capo-padrone, cominciai a puntare i piedi. Anche sul lavoro,eh…? Ci  tenevo a tutti costi a far passare il mio punto di vista. E poi, come donna, in casa e nella vita a due, volevo essere trattata come una persona! Lo esigevo... ca…volacci…!
E fu allora che i diverbi divennero sempre più aspri e duri. Molte volte arrivammo addirittura alle mani..! E picchiava duro, lui..! Era abituato da poliziotto...! Non ho vergogna a dirlo: tanti, troppi nel nostro lavoro picchiano intenzionalmente, con determinazione..., con livore.... Con sadismo in qualche caso! Gli piace farlo…
Perdonatemi questo sfogo..! Non sono solo ed esclusivamente un tutore dell'ordine.... Sono, e mi ritengo di essere, una persona. Una donna, per essere più precisa!
Tutto questo..., per dire che conosco, per averlo vissuto direttamente, quanto e come un uomo possa essere brutale e crudele. E poi saltano fuori, come pretesto, ma anche perché all'uomo-padrone comincia a vacillare il trono della sicurezza sulla quale credeva di essere seduto...;  voglio dire, saltano fuori le gelosie.... "Lo bell’e che capito, ormai non mi ami più, non te ne frega più un bel niente di me, senz'altro c'è qualcuno che te la batte.... Siete tutte così, voi donne..!" Vi risparmio le parolacce di cui faceva abitualmente uso…
Anch'io, a modo mio, le conosco e le capisco queste cose.
Ma, Orazio, tu Orazio, se mi permetti, stai ponendo il dubbio: ma è davvero gelosia quella che trapela da quegli SMS ? Nella  gelosia maniacale tu vieni controllata, ti frugano nella borsetta, ti curiosano nel il cellulare; ascoltano i tuoi colloqui; e scrutano il modo in cui tu ti comporti con gli altri uomini.... Ma non ho mai sentito, che vengano dati ordini di quel tipo....
Forse hai ragione, … oltre e insieme ad un atteggiamento di gelosia, sembra di notare un comportamento rivolto... a una dipendente, una subordinata.... Una che lavora per te...!»
Si era instaurata una sintonia, abbastanza inusuale per il contesto.
I tre, nel breve silenzio successivo, si scambiavano intensi sguardi di intesa.
Sempre più stavano diventando "complici", alleati, sodali.

«Ma adesso sono stufa di stare qui dentro. Quei ricordi che vi ho confidato mi hanno risvegliato quel senso di autocritica.... Quella parziale antipatia.... È il mio lavoro, d'accordo; lo faccio e continuerò a farlo. Con  il massimo della serietà e della correttezza.... Ma, ogni tanto, mi viene un po' a nausea, questo ambiente qui....»
Aveva concluso quelle parole con una risata; di autoironia. Aveva messo un braccio intorno alle spalle  di Clara; e posato una mano su quella di Orazio.
«Ormai, il servizio bello è stato rotto.... Nessuno può impedirmi qualche critica su questo mondo qui.... E, tanto più, nessuno può vietarmi di invitarvi a bere qualcosa a casa mia.... Se vi va..., naturalmente; e se non avete impegni.... Soprattutto!»
Poi, prima che i due potessero ripensarci, li sospinse delicatamente verso la porta: «Dài, fatemi andar via un po' da questo tanfo di mozziconi di sigaretta e di deodorante scadente.... Stavo per dirla grossa: da questo puzzo di soldatacci.... Ma, per fortuna, non l'ho detto... vero?»
Ridevano insieme, mentre scendevano gli squallidi e lugubri scaloni; come amici.
Il piantone all'ingresso, alzò il braccio destro, la mano nell'impugnatura del mitra, all'altezza della spalla. Battè i tacchi, irrigidendosi, e disse: "Comandi!... Dottoressa!".

Egregio professore,... innanzitutto mi voglio scusare.... Beh, lei avrà certamente già capito a cosa mi voglio riferire....
Ma è stata un po' la situazione, il contesto, voglio dire,....
Come si sarà accorto, ero già  imbarazzatissima quando sono venuta nel suo studio quel giorno. Sì, è vero, ci ero già venuta, ma questa volta la situazione era decisamente diversa. Prima, sapevo che lei mi avrebbe fatto tante gentilezze e tanti complimenti.... Ma potevo avere le mie difese! Quando lei mi prendeva la mano, guardandomi negli occhi..., potevo sempre abbassare lo sguardo,... togliere la mano con un pretesto, di mettermi a posto una ciocca di capelli...,per esempio;  scusarmi che dovevo scappar via subito che ero in ritardo....
Ma l'altro giorno, no, la situazione era molto diversa. Io venivo a chiederle un favore! Lei si era dichiarato molto disponibile...., appena le avevo accennato che volevo lasciare l'università e cercare di venire in Europa....
Avevo molto bisogno del suo aiuto. Lei mi stava dicendo che suo nipote Vasile aveva molti contatti in Europa..;, in Italia per la precisione. Che conosceva molte famiglie agiate, che avrebbero potuto volentieri farsi carico di ospitarmi..., di offrirmi qualche lavoretto da fare in casa, di aiutarmi economicamente.... Addirittura di permettermi di frequentare l'università per gli esami....
Mi creda, professore, in quel momento ero al settimo cielo. Lei mi aveva mostrato la foto di suo nipote.... Già nella foto io potevo notare che erauna persona fine; e anche  un uomo bellissimo. Molto attraente, voglio dire.... Ho poi potuto verificare che nella realtà, oltre al suo aspetto, aveva anche modi molto gentili, signorili, pieni di garbo e delicatezze. Che era una persona coltissima ed eccezionale....
Sapevo che in quel momento e dipendevo completamente da lei. Dalla sua disponibilità e compiacenza. Dalla sua generosità a farsi in quattro per aiutare una studentessa del suo corso....
La guardavo, perciò, con grande ammirazione. Sorridevo contenta, prefigurandomi il futuro che mi veniva spalancato per merito suo.
Sì, credo proprio sia stato per colpa dei miei sorrisi..., del mio sguardo pieno di gratitudine e di riconoscenza.... Forse, avrei dovuto contenermi un po'. E invece sono stata così ingenua e sciocca, troppo spontanea,  forse.... Mi sono alzata e ho voluto abbracciarla. Era, glielo posso giurare, un abbraccio affettuoso, di tipo filiale....
Ma, in quel momento, devo avere sottovalutato, o dimenticato del tutto, in preda all'entusiasmo..., che lei aveva molte volte accennato gesti e approcci nei miei confronti.... Manifestando attrazione e interesse per me... come donna. Per quanto molto più giovane di lei. Non me ne voglia, la prego, per questa notazione; peraltro oggettiva.
Il suo sguardo, ricordo, si è profondamente illuminato. Ha contraccambiato l'abbraccio con ancora maggiore calore..., entusiasmo.... Mi ha stretta a sé con entrambe le braccia. Ha preso ad accarezzarmi le guance... mi ha baciato sulla fronte e sugli occhi....
È stato soltanto quando ho sentito le sue labbra contro le mie, che mi sono resa conto di quanto la situazione fosse equivoca.... Intendo dire che i nostri gesti, i miei e i suoi, avevano contenuti e significati molto diversi tra loro....
Ricorderà che ho serrato le labbra. Che ho cercato lentamente di divincolarmi  dal suo abbraccio, di uscire da quella situazione malintesa.... Le assicuro che non era assolutamente mia intenzione farle uno sgarbo. Ho sempre avuto profonda stima di lei come insegnante. Ho apprezzato molto le sue lezioni; le idee che esponeva; i suoi punti di vista. Che sempre condividevo appieno.
Soltanto che..., mi perdoni questa confidenza, da quand'ero ragazzina mio padre non è più stato accanto a me.... Voglio dire che mi è sempre mancata una figura paterna. Se non nel ricordo. Non me ne voglia pertanto, se le confesso che ho sempre visto in lei una figura positiva dal punto di vista professionale; e dal punto di vista relazionale ed emotivo l'ho sempre vista... come un padre!
Sono ancora mortificata, molto, del mio stesso comportamento... Del mio divincolarmi frenetico.... Delle gomitate e degli spintoni con i quali ho reagito. Della foga con cui mi sono buttata sulla porta.... E, trovandola chiusa, ho trafficato qualche istante per aprire girando la chiave....
Mi scuso, in sostanza, del mio comportamento impacciato e goffo.
È stato con infinito piacere che  poi l’ho incontrata di nuovo. Quando ormai il rossore delle mie guance se n'era andato.... E lei mi ha guardato sorridendo rassicurante: "Tranquilla, ragazza... le cose stanno andando per il meglio. Vasile, mia nipote, ti vuole incontrare uno di questi giorni per accordarsi con te. Non devi assolutamente preoccuparti per le spese del viaggio e della prima sistemazione. Penserà a tutto lui, anche con la mia collaborazione economica; eventualmente. Non abbiamo alcun dubbio che senz'altro presto potrai saldare iltsuo debito... se così lo possiamo chiamare".
In quel momento le giuro che mi sono sentita completamente una cretina.
Vasile mi ha detto che domattina partiremo. Mi ha già fatto vedere il biglietto del volo aereo. Era raggiante di tornare in Italia, dove abitualmente soggiorna. Credo, anche,  di tornare al suo lavoro. Alla sua occupazione. Che ritengo senz'altro degna e adeguata alla sua personalità.
Di nuovo scusandomi della confidenza che mi prendo con questa mia... mi dichiaro profondamente riconoscente verso di lei. Per quanto ha fatto e per quanto ha promesso che ancora vorrà e potrà fare. Perdoni la sua sciocca alunna..., e le sue rozze paure e fughe.
Di nuovo, con profonda stima. I miei ringraziamenti più sentiti.
Olga.

9.
Nel salotto dove li aveva fatti accomodare, l'atmosfera era decisamente diversa da quella dell’uffici,o inutilmente appariscente e grandioso.
Divani e poltrone erano di bambù imbottito.
Sul piano di vetro del tavolinetto erano state sistemate diverse bottiglie.
Birre scure a doppio malto, dal vetro delle  bottiglie imperlato di vapore.
Rum e grappa.
Era stato aperto un rosso del Salento.
Delle fette di pane pugliese. Un piatto di prosciutto crudo. Delle olive nere di Capri.
«... il matrimonio,... voglio dire la vita di coppia stabile..., se lo possono permettere solamente persone molto mature.... Che si conoscono profondamente, si stimano e si apprezzano. Sanno accettare pregi e difetti del proprio partner. Sanno voler bene anche a  questi ultimi....
Scusami, tu che sei l'unico rappresentante del tuo sesso.... Ma mi sembra che molti, troppi uomini ancora, siano profondamente fragili e immaturi. Nella compagna cercano insieme l'amante, l'amica, la complice, la madre....
Quando scoprono, o credono, che tutte queste componenti non riescano a coesistere nella propria donna..., allora, spesso, finiscono per andare in crisi...
E decidono di accontentarsi della sorella/madre, da stimare e rispettare. Che  accudisca la casa, si occupi dei figli....
L'amante, per trasgredire e farci le porcate, passatemi il termine..., per farci solo il sesso, se la troveranno fuori. Tradimenti e amanti sono spesso diffusi. Ma anche la soluzione comoda, per chi non ha troppa autostima da reinventarsi un rapporto, spesso, sembra loro quella del sesso a pagamento.
Ma anche una vera prostituta, non si lascia facilmente mettere sotto i piedi. Intendo dire una professionista che ha deliberatamente scelto quel tipo di attività per sbarcare il lunario.
E allora, come ci insegnano Clara e Liberazione e Speranza, ecco che salta fuori una nuova figura. Apparentemente simile a quella della prostituta. Ma che è stata forzata con la violenza, l'inganno, il ricatto e la paura. Che è stata comprata e venduta. Una "cosa" da usare e maltrattare a proprio piacimento.  Più funzionale  e adeguata al proprio immaginario erotico e alle proprie perversioni. "Usa e getta". E così nasce il commercio e la tratta delle nuove schiave....»
Clara ha sinora assentito.
Matilde si era alzata, aggiungendo qualcosa sul tavolo dello spuntino. Poi aveva fatto partire un CD.
Gli accordi vibranti di Goran Bregovic. Violini stridenti all'impazzata si inseguivano in una danza frenetica. Rincorsi dagli aghi pungenti di fiati e ottoni vari. Raggiunti, si intrecciavano, si mescolavano, si abbracciavano in girotondi euforici ed ubriachi. Cantando, si richiamavano i motivi zigani, in un tripudio di sonorità maghrebine, islamiche e balcaniche. Passi di tango facevano il verso ai flamenco, con rapide toccate e fughe, intorno ai falò….
Quei  gorgheggi andavano celebrando la fratellanza dei popoli e delle culture del Mediterraneo. Come proposta di cordialità amicale e definitiva. Fin  su all'Ungheria, alla Polonia, alla Romania,.... Fino a lanciarsi, nel ballo pazzo e sfrenato, dei gesti cantanti di ghirigori zingari, in un'ipotesi di fratellanza totale....
Era come essere invasi da una ventata primaverile. Da una fontana sprizzante vini vivaci e gorgoglianti. Da un fremito contagioso e trascinante....
Poi, di colpo, il fraseggio euforico ed ubriaco si era arrestato. Lasciando la sua eco a risuonare. E il silenzio per appoggiarci dentro e sopra delle altre parole.
«In termini generali, resta abbastanza poco da aggiungere. Questo commercio, un po’ come nei secoli in cui la tratta degli schiavi era più fiorente, si rifornisce prevalentemente nei paesi più poveri del globo. L'Africa, e in particolare la Nigeria, hanno il triste primato per questa "materia prima".
Ma i nuovi schiavisti non usano le armi per reclutare le proprie vittime. Almeno nelle prime fasi del percorso, uomini e donne dall'apparenza molto rispettabile, spesso addirittura parenti o congiunti prossimi, individuano le prede.
La grande penuria di mezzi economici. L'assoluta mancanza di risorse. Il vuoto spesso totale di sbocchi professionali e di occupazione. L'ingannevole chimera del "bengodi”, promesso dai paesi cosiddetti benestanti, offerto dalle reti televisive satellitari, o più semplicemente i sentito dire…, preparano il bisogno. Predispongono il terreno di coltura perché il morbo possa svilupparsi.
Una rete molto diffusa, organica e capillare. E spesso si appoggia sulle macchie locali o su quelli internazionali. Per l'Africa e per l'America Latina, spesso si aggiunge, come strumento di coercizione psicologica, il ricatto conseguente alla pratica del voodoo. O meglio, di una versione di basso livello di esso. Con pratiche di stregoneria terroristica. Il rito serve a spaventare. Le vittime temono sciagure per sé e per i propri cari, se non pagheranno il debito contratto. Che, sulla piazza in cui verranno collocate, aumenterà in modo esponenziale. Verranno conteggiate, aumentate all'inverosimile, le spese per il viaggio, per il mantenimento, per l'alloggio, per pagarsi la "postazione", addirittura per i preservativi.... Gli schiavisti uomini, nelle tappe finali, consegneranno le "schiave terrorizzate" alle colleghe donne. Le "madame", che sapranno brutalizzare con ripetuti ricatti e botte le malcapitate. Le quali  saranno, così, pronte per essere vendute ai consumatori finali. Gli squallidi maschi che Matilde descritto poco fa.»
«Credo, di avere da aggiungere qualcosa, dal mio punto di osservazione maschile.
Il panorama, infatti, dal mio punto di vista, si complica ancora di più.
Ricordo un'esperienza che ho avuto con una donna, che definirei, con il linguaggio corrente "normale".
Dopo una fuggevole conoscenza, fu lei, sostanzialmente a conquistarmi.
Usava, con grande capacità e destrezza, un ricco repertorio abbastanza diffuso, nell’immaginario non solo maschile.
Ripeto che era una persona che poteva apparire molto comune. Pur non essendo particolarmente bella di aspetto, usava un abbigliamento molto studiato e civettuolo. Niente di così appariscente da ricordare il marciapiede.... Ma molto più sottile e seduttivo. Trucco, abbigliamento intimo, linguaggio. Indossava dei finti reggiseni, con coppe potenziate che spingevano quella parte del corpo molto in su; spesso lasciando intravedere l’areola o addirittura tutto il capezzolo. Tanga millimetrici; in cui la parte posteriore era costituita da un nastro filiforme che scompariva nell'incavo tra i glutei. La parte anteriore era un microscopico triangolino che copriva a malapena i peli pubici. Anche questi spesso erano completamente rasati. A simulare una preadolescente. Le prime volte che ci trovammo per i primi approcci amorosi, mi chiese, con voce suadente se la preferivo bambina, schiava, o gheisha.... Durante  i rapporti, poi, mi proponeva di legarla, di picchiarla....
Durante gli amplessi, o prima di essi, cercava di eccitarmi mentalmente raccontandomi la parte che stava impersonando. Sperava e voleva risvegliare in me componenti pedofile, sadiche ,di dominio o addirittura di abuso. Simulava e recitava la parte della ragazzina sedotta, della donna violentata, della schiava posseduta....
Quella modalità perversa, che voleva essere seduttiva, finì per apparirmi brutalmente per quello che era.  Cercai di farla recedere da tali comportamenti, che ritenevo completamente squallidi. Di impostare un menage di normali approcci. Mi parve delusa. Sosteneva che la trasgressione costituisse il sale e il sapore della sessualità e dell'erotismo.
Preferii lasciar perdere!
Ma, al di là di questa mia esperienza che racconto, mi viene da domandarmi: forse il quadro è un pochino più complesso di come l'abbiamo fin qui analizzato. Ed  è un po’ più complicato il circolo vizioso, nel quale siamo immersi. L'immaginario diffuso si arricchisce di ulteriori elementi. Dei quali è abbastanza difficile riuscire a riconoscere l'origine. Fin dove, cioè, l'immaginario erotico si limita a giocare sulle fantasie di perversione. E dove invece si trasforma. E i comportamenti raggiungono quello che in psicoterapia si definisce il "passare all'atto". »
«Beh..., la persona dalla quale tu ci hai appena parlato, non è, forse, poi così singolare.... Intendo dire che ho sentito abbastanza raccontare storie del genere.... Tu ci stai ora raccontando di una donna condizionata da quelle che ritiene le aspettative dell'immaginario erotico maschile....»
«Ho omesso sin qui qualche altro particolare. Che io volli utilizzare per cercare di darmi una spiegazione. Una parziale giustificazione. Forse un'attenuante....
Credendo di farmi piacere e di ingolosirmi, di adattarmi e di adeguarmi alle sue aspettative (perché confesso di essere convinto che a lei realmente quelle modalità piacessero molto!), volle raccontarmi alcune sue esperienze infantili.
Mi diceva che quand'era ancora una ragazzina, di dodici o tredici anni, la madre la portò dal vecchio medico di famiglia. Del quale aveva profonda stima e conoscenza. La  ragazza soffriva di problemi di stitichezza.
Disse che il medico, le effettuò la visita su di un lettino, che era collocato dietro un paravento. La madre perciò non vedeva direttamente nulla. Raccontò compiaciuta e con un sorriso malizioso, che il medico l'aveva fatta mettere nuda ginocchioni. Diverse  volte le aveva toccato l'orifizio anale, penetrandolo con le dita o con qualche cos'altro. Aveva alternato tali manipolazioni anali, con altri toccamenti alla vagina e alle grandi labbra.
"Ma tu non potevi lamentarti? Bastava che chiamassi tua madre! Era appena lì dietro quel paravento. Non  ti davano fastidio quei maneggiamenti ?" Le dissi.
"Ma no, non mi faceva male. Solo che mi vergognavo molto che mi stesse toccando in quel modo. A dirla verità non era né bello né brutto. Quando mi toccava dentro di dietro mi piaceva quasi un po'. Ma mi vergognavo tantissimo a dirlo a mia madre. Sia durante la visita, che specialmente dopo. Penso che non mi avrebbe assolutamente creduto. Avrebbe pensato e detto che mi ero inventata tutto. E così, per molte volte, ha continuato a portarmi da quel medico. Quel che mi faceva era schifoso. Ma non l'ho mai detto a nessuno. Solo a te, ora."
Con quei toccamenti licenziosi era stata ovviamente abusata. Diceva di provare schifo e ribrezzo per quegli episodi. Eppure li ricordava con piacere morboso.
In seguito, aveva preso a giocare con i suoi coetanei maschi al dottore. La facevano spogliare nuda, e la toccavano penetrandola con le dita. Sosteneva, addirittura, che a volte si divertivano ad introdurre dei piccoli sassolini lisci sia davanti che dietro. E a carezzarle i piccoli capezzoli.
Tutto  questo lo raccontava con un sorriso malizioso. Probabilmente credeva di divertirmi e di eccitarmi.
Chissà quante donne, da bambine o da ragazze, senza subire vera e propria violenza, sono state abusate in questo modo. E hanno conservato un gusto morboso nel ricordo. Forse, le loro fantasie erotiche si nutrono, deformandole e ingigantendole, di quelle situazioni e di quei giochi perversi....
Sarà riuscita, prima o poi, quella donna ad "addestrare ed educare" qualche suo partner per rivivere da adulta quelle esperienze? Per realizzare quel suo sogno malato? Per divenire, di fatto, oggetto di manipolazione e di dominio totale?...
O credete che queste mie congetture siano soltanto delle ipotesi astruse? Che io ora stia facendo dello "psicologismo"?»
Lo avevano ascoltato entrambe assorte. Con aria curiosa e perplessa.
«Credo di aver letto qualcosa in proposito. Anche se mi pare abbastanza difficile e forzato attribuire solo a donne abusate da bambine il fenomeno. Quante ce ne dovrebbero essere in giro per aver a tal punto condizionato la mentalità di gran parte del genere maschile?
L'immaginario erotico. Certo.
Forse le fantasie di perversione e trasgressione nascono nella mente delle persone anche in altri modi.
Ho avuto una relazione, qualche anno fa, con un uomo col quale mi trovavo abbastanza bene. Avevamo una grande confidenza. Lo stimavo moltissimo. Facevamo splendide conversazioni e discussioni. Ci scambiavamo libri e ne parlavamo. Quando ci decidemmo ad avere dei rapporti intimi, scopersi una sua grandissima fragilità. Dopo  i primi baci e toccamenti, lui non riusciva a resistere.... Insomma,… eiaculava immediatamente. Forse non riusciva a reggere la forte reazione emotiva. Credo si chiami "eiaculatio precox". Insomma ..., non riuscimmo mai ad avere rapporti completi. Non riuscì mai a penetrarmi.
Eravamo poi andati in vacanza insieme in campeggio. Lui stava nella tenda a riposare. Quando tornai dopo avere lavato le stoviglie, scopersi una cosa che mi disgustò e mi agghiacciò. Dalla cerniera socchiusa della tenda, vidi che stava leggendo una rivista.... E stava masturbandosi...! Quando, il giorno dopo, frugai un po' in giro, rimase ancora più stordita. Era un miscuglio di fotografie e di disegni decisamente squallidi e volgari. Atti sessuali multipli.... Torture. Donne legate e violentate....»
A pezzetti e frammenti, andava un po' alla volta delineandosi un quadro più ampio, complesso, contorto e complicato. Malato, fondamentalmente.
Matilde, a quel punto, preferì spostare la discussione su altri argomenti più leggeri. Parlarono di vacanze. Di viaggi. Di escursioni. Lo spuntino andò consumandosi fin in fondo.
Nell'aria, intanto, restava sospesa quella tematica scabrosa che avevano toccato.
Forse, dentro quel groviglio, si sarebbero potute cavar fuori interpretazioni e spiegazioni.
Anche se, rispetto alla vicenda che li aveva coinvolti ed accomunati, stavano ancora soltanto girando intorno. Erano ancora alla periferia di quella storia.


SMS di Olga

A (Rada)
 viaggio massacrante    . Niente aereo… bus…!Vasile però è gentile <3  . Abito con lui in una mansarda. Mi lascia tranquilla e mi rispetta. Però mi piace <3

Trovato qualche lavoretto. Metto insieme qualche €. Non voglio però pesare su di lui. Lui ride ;-))   e dice che tanto è un prestito £$€. E che gli restituirò tutto. La famiglia che doveva ospitarmi non c'è. Lui dice di aspettare

Da qualche giorno non sento Nadia. Doveva andare a Verbania. Scomparsa . Andava presso una famiglia sul Lago Maggiore. Vasile dice che forse sul lago non c'è campo per il cellulare!  Come faremo a studiare insieme?

Vasile da giorni non viene più dove vivo io. Ho scoperto che è sposato . Dice che penserà sempre a me e mi verrà a trovare appena può. E sempre più brusco e sbrigativo, però. Ho conosciuto un italiano: una persona splendida. Tipo noi!!! Magari qualche volta gli telefono

V.: sta pensando ad un'altra soluzione. Dice che me la dirà fra qualche giorno. Non ha mai provato a farmi delle avances. Ieri xò all'improvviso mi ha buttata sul letto e stava per violentarmi! Ho reagito in tutti i modi. Ha ridacchiato un po' scocciato. Dicendo che voleva solo fare la lotta. Non so!

È arrivato in casa all'improvviso. Ero in mutande e maglietta. Ci ha provato di nuovo. Ha anche cominciato a picchiarmi quando ha visto che reagivo. Poi però ha di nuovo rinunciato dicendo che io ho un brutto carattere.

Il bastardo c'è riuscito! Ha cominciato con gentilezza, tenendomi le mani. Poi me le ha legate con un filo elettric!!!. È riuscito a spogliarmi e ha fatto tutto con grande brutalità... è un vero stronzo. Ha detto che devo darmi una mossa. E devo abituarmi... (?)

Questa volta erano in due. Mi hanno violentata in tutti modi e da tutte le parti. Dopo avermi legata. Poi hanno cominciato a picchiarmi. Tutti e due. Dove sono finita? continuano a parlare dei soldi che gli devo restituire. Dicono  che presto avrò il mio lavoro (?!?). E ridono

Credo di essere caduta dalla padella nella brace. Sono finita in un immenso buco nero che mi sta inghiottendo e distruggendo. Devo  continuamente nascondere il cellulare e il carica batterie. Spero che non li trovino! Ho mandato gli stessi messaggi anche a Nadia.

Avuto sms da Nadia: anche lei una storia simile!!! Questi stronzi sono dei veri criminali! Se non avrai mie notizie cerca di contattare lei. Il suo numero è:  xxxxxxxxxxx

SMS a Nadia

Ho provato a chiamarti ma non rispondi mai.    Dove sei finita? Sto da un tipo che potrebbe anche piacermi. Ma  lui sta sulle sue e mi rispetta.

Che fine hai fatto? Qui la situazione per me è cambiata. Lui  deve essere sposato ed è tornato alla sua casa. Continua a cercare di violentarmi ogni volta che viene!!! A te come va??

Stronzo bastardo! È riuscito a legarmi le mani e a violentarmi! Un male tremendo, e sangue…A te cosa succede? sono sempre più spaventata e preoccupata. Ma dove siamo finite? Scappare…!!!Digitare l'equazione qui.

Mi hanno violentata in due in tutti i modi e da tutte le parti. Poi si sono divertiti a picchiarmi. Continuano a parlare del debito e degli euro che gli dobbiamo. Parlano di una cifra spaventosa! € 58.000! E per ciascuna! Dicono che presto comincerò a lavorare !?






10.
Appena era entrata Clara, gli aveva rivolto uno sguardo desolato. Guardandolo di sotto in su. Aveva lasciato cadere a terra la borsa che aveva a tracolla. E gli si era aggrappata con le mani alle spalle. Mettendogli la testa sul petto e cominciando a piangere piano. Con leggeri mugolii. Brevi singhiozzi, che la squassavano, con scatti improvvisi. A lungo lui non aveva potuto far altro che passarle una mano sulle spalle e sulla schiena. Massaggiando e carezzando quella sofferenza.
Poi era riuscito a trascinarla, dolcemente, verso il divano facendola sedere.
Infine lei aveva ripreso a guardarlo, fissandolo con occhi cerchiati e disperati.
«Abbiamo..., hanno decifrato dei suoi messaggi..., che vengono ormai dal passato e dalla sua nuova dimensione....»
Ancora qualche singulto, che le  faceva scattare tutto il volto in su. Mentre  cercava di tirar su col naso...
«... ha seminato tracce del suo percorso....
Comincia con sorrisi di speranza. Addirittura riesce a provare attrazione e  affetto per quello che diventerà il suo carnefice. Si stupisce che lui non le faccia delle avances.... Che non ammiri la sua bellezza di donna. Ottimista e radiosa, attende, fiduciosa....  Ingenua. Poi la maschera, un po' alla volta viene calata.... Lui non ha interesse per lei perché è già sposato e ha un'altra donna, altrove.... E salta fuori l'aguzzino: cerca ripetute volte di violentarla. Non riuscendoci, finge di scherzare: voleva solo giocare a fare la lotta..! Le prende le mani con dolcezza, un'altra volta..., ma per legargliele insieme, a tradimento,  con del filo elettrico... e infine violentarla...! Di nuovo la violenterà con l'aiuto di un complice. Non cerca un atto sessuale: insieme la picchiano selvaggiamente.... Vogliono piegare la sua volontà.... Le stanno passando il messaggio di quale sarà il lavoro a cui  è destinata...: fare ripetutamente l'atto sessuale contro la propria volontà..!»
Orazio è rimasto ad ascoltare. Vede mentalmente le scene che lei descrive. Legge sul foglio, che lei gli ha passato, la traduzione degli SMS. Assiste, impotente e pieno di rabbia muta e silenziosa, allo scempio che avviene in quelle parole. Che è stato perpetrato nei fatti in un passato abbastanza recente. Che ha martoriato un'esistenza. Che ha vilipeso, brutalizzato, umiliato e ridotto all'impotenza una bella persona. Che cercava il sorriso della vita.
Che è caduta in un immenso buco nero senza fondo, nel quale sta sprofondando.
La sua compagna di viaggio e di disavventura non dà notizie. Poi lei scopre che anche Nadia ha una situazione parallela.
Cercano di sottrarle il cellulare. Glielo  sfasceranno scagliandolo sul pavimento. L'ultimo messaggio stenta a partire, dal cellulare tenuto insieme con il nastro adesivo; che fa fatica a fare contatto.
Quel cellulare è un'ultima metafora di una vita che sta per essere troncata e annullata per sempre. Il telefono distrutto potrà finire in un cassonetto della differenziata. La bella persona massacrata, in una culla d'acciaio.  Ibernata per sempre con le sue speranze i suoi sogni. Con l'ultimo contatto elettrico e l'ultimo guizzo di vita. Ma qualcosa riesce a sopravvivere a quello scempio. Il telefonino comunica ancora…. Lei, la sua presenza…. aleggia… intorno…, garbata, discreta…., nello stupore indignato…. Nell’orrore per quello sgarbo estremo….  Lo sguardo annichilito…., freddo e devastato…. Da quell’offesa  disumana…. 
Lui legge le parole sul foglio. Vede scorrere, in moviola, i brevi segmenti ripetuti. Non parla.
Lo sguardo bagnato di lei assiste muto quel percorso mentale. Con profonda tenerezza sofferta.

Insieme hanno sbocconcellato qualche tarallo. Sorseggiando la schiuma amara  e bianca di una birra.

Sono rimasti a lungo abbracciati sul letto, nella sua camera. Hanno preso, dolcemente, a consolarsi reciprocamente. Con carezze e baci umidi di pianto. Sullo sfondo di quel dolore, che prende sempre più le distanze della prospettiva. Hanno mescolato le reciproche emozioni. Esplorato con i sensi e con il corpo, vicendevolmente, gli altrui umori. Un doloroso, consolatorio, atto di conoscenza e d'amore.
I capelli di lei sono sulla sua spalla. Come la sua guancia. Il silenzio è riuscito a dominare, diffuso, singhiozzi soffocati e respiri concitati. E cerca conforto nel vuoto.

Ora lei si infilata una camicia di lui per consolare, almeno, il freddo della pelle.
«Forse, abbiamo anche fatto bene a regalarle questa nostra tenerezza intima. Grazie a te  per avermela regalata. Grazie ad entrambi per esserci incontrati....»
Lui la carezza con sguardi dolci. Che risuonano, in lontananza, di echi amari.
«Quel che non riesco a capire..., soprattutto..., ora è qui... è proprio lo scarto mostruoso che esiste tra quel che ci siamo ora regalati, … Inequivocabilmente  un atto d'amore... E, invece,  la gestualità compulsiva, frenetica e consumistica, di quel che nel linguaggio corrente viene definito il "fare l'amore". E non voglio assolutamente sembrare bigotto e bacchettone. Se vuoi ci possiamo anche mettere dentro, a metà strada, … una dimensione di sessualità un po' più spicciola. Senza legami intimi  emotivi profondi, voglio dire…. Quel reciproco darsi piacere, per il gusto di darselo. Il piacere sessuale puro, anche svincolato da vincoli affettivi.... E, da tutt'altra parte ancora, l'acquisto e il consumo materiale di un corpo... da usare, senza coinvolgimento reciproco, dove una delle due parti è oggetto, in balia dell'altra....
Eppure, tutte queste tre dimensioni della sessualità vengono impropriamente accomunate nella stessa espressione: "fare l'amore". Dove il termine “fare”, finisce per violentare il termine “amore”.
Forse noi, possiamo dire di avere vissuto un atto d'amore. Anche come scoperta, conoscenza, esplorazione della profonda diversità dell'altro, conforto e consolazione....
Poi, c'è l'atto sessuale, pur piacevole e reciprocamente soddisfacente, ma fine a se stesso. Bello e gradevole in sé; che regala altruisticamente gioie e godimento anche all'altro. Oltre  che a se stessi.
E, infine, questa ginnastica rabbiosa di dominio e penetrazione; cui corrisponde una totale sudditanza. Una passività che esclude la partecipazione reale. Ma che ne pretende una fittizia e simulata. E il partner-oggetto, la vittima, è quasi sempre una donna. Costretta a subire. A fingere piacere. E allora si può anche comprare la sudditanza di una schiava.... Dopo avere violentato e brutalizzato la sua persona, la sua essenza, la sua volontà.
Esistono anche subdole vie intermedie tra l'atto d'amore, il gioco sessuale e l’ "usare della donna" (come ho letto in un testo del 1500! Espressione mostruosa!).
E tutte hanno come connotato caratterizzante lo svilimento della sessualità e del corpo a "merce di scambio". L'immagine omologata del proprio corpo, offerta da usare e possedere, in cambio di favori. Carriera politica? Professionale? Successo?
Per esempio quella candidata "gheisha", di cui avevo raccontato l'altra sera a casa di Matilde. Che vantava di essersi fatta intestare una casa,… in cambio dei propri favori.... E di aver ottenuto un posto di prestigio sul lavoro usando le proprie moine, indossando biancheria intima quasi inesistente, trucco provocante....»
Clara aveva ascoltato e bevuto le sue parole in silenzio. Col suo sguardo lucido e ancora bagnato.
«Ma te li immagini quegli idioti che "comprano" il corpo di una donna, non libera, schiavizzata, per soddisfare le proprie fantasie erotiche malate..?  Passando dalla masturbazione, come gioco di simulazione sterile, in cui un individuo fa sesso con se stesso, alla "realizzazione" delle proprie paranoie e dei propri fantasmi..!
Avranno mai quel minimo di coscienza per rendersi conto dell'abominio che essi stessi rappresentano?
Noi, siamo qui ora, vicini. In un'intimità profonda che ancora perdura. Ne siamo compiaciuti, e insieme addolorati per quella presenza fredda che aleggia sullo sfondo.... Pensa, invece, a quanto si devono sentire profondamente delle merde, i fruitori terminali di qualcosa che viene spacciato per merce, ma che assolutamente merce non è..!»
Orazio le sta ora passando una mano sui capelli scomposti. Carezza il cotone della propria camicia che nascondeva l'involucro intimo, tenero e caldo che aveva appena incontrato. E imparato a esplorare. Sconosciuto fino ad allora. Un regalo inaspettato e immeritato. Come era stata anche la sciagura recente.
«Domani ci vediamo da Matilde?»


La funzionaria di polizia aveva indossato, di nuovo, il piglio e l'atteggiamento professionale che aveva nel primo incontro.
Solo dopo che i due furono entrati e si furono seduti, smorzò e attenuò un poco quella maschera.
Aveva guardato prima l'uno e poi l'altro. Finì  per addolcirsi. Sentiva che i due viaggiavano abbastanza in sintonia. Leggeva e intuiva qualcosa, nel tono degli sguardi che si scambiavano tra loro. Ne parve compiaciuta.
«Questo lavoro è abbastanza monotono e lento.... Lungaggini, procedure, formalità... Ma quando si riesce ad imprimergli sistematicità e metodo...un po' alla volta i risultati arrivano....
Soprattutto... quando trovi gente che capisce quello che sta facendo... e dove vuoi arrivare.... Ma l'autocritica al sistema l'ho già fatta, mi pare, o no?
Beh,... i messaggini sul cellulare rattoppato..., li conoscete, no? un pezzetto di ricostruzione ci hanno permesso di compierla....»
Aveva fatto una breve pausa, tirando fuori dei fogli stampati al computer.
«Questa è la traduzione del rapporto della polizia moldava sul professore e sul suo nipote Vasile .... Che aveva anche un altro nome a quello che risulta....
... ecco qui...
"Il giorno... presso il comando della polizia municipale di... è stato sentito il sedicente signor Vasile... il cui vero nome risulta essere...
Ma dov'è che comincia ad arrivare al dunque..?
... Sì, dev'essere qui... dichiaro assolutamente di non aver mai conosciuto la menzionata signorina Olga... È pur vero che mi sono impegnato per favorire l'espatrio di una giovane studentessa di mio zio... professore presso l'Università di... Il cui nome è Oana.... la quale è giunta, per il mio interessamento, in Italia e precisamente nella località di Novara... a far capo dal giorno... La detta allieva di mio zio, Oana....., ha stabilito il proprio domicilio presso.... Io disponevo di un suo contatto telefonico rispondente al numero xxxxxxxxx. Dichiaro, in fede, di non aver nulla preteso per il favore compiuto a vantaggio della detta persona..., in quanto a tutto aveva voluto provvedere il professore mio zio..."
Dunque, abbiamo potuto verificare che a quell'indirizzo, e a quella utenza telefonica mobile corrisponde per l'appunto certa Oana.... Donna di mezza età, non studentessa, che risulta svolgere attività di "maitresse"...,una "madama", una sfruttatrice di proprie connazionali, che aveva precedentemente "comprato".... Nel suo alloggio, infatti, furono trovate tre giovani moldave. Quando fu fatta l'irruzione nell'alloggio cercarono inutilmente di fuggire. Fermate, risultarono prive di documenti di identità e di passaporto, oltre che di regolare permesso di soggiorno.
Non ho qui davanti ora i verbali degli interrogatori. Ma mi pare di ricordare che solo una di queste, messa alle strette, confessò che in un alloggio attiguo, ma da  quello separato, era stata reclusa una connazionale che le sembrava rispondere al nome di Olga.... Confessò che alcune settimane fa, e per diversi giorni, aveva sentito forti  rumori e urla in tale alloggio....
Quindi, il finto Vasile, e si era sbagliato e involontariamente aveva dato nome a utenza telefonica di una sua complice, schiavista e sfruttatrice.... Oppure, cosa forse più probabile, aveva intenzionalmente cercato di fare incastrare la maitresse.... Per togliersela di mezzo? Per qualche vendetta?»
Aveva, a quel punto, guardato negli occhi i suoi interlocutori. Poi aveva ripreso, pescando delle altre carte.
«E questo, invece, é quanto risulta … circa il brillante docente universitario....
"... il menzionato... insegnante presso l'Università di..., risulta essere stato oggetto di denunce da parte di svariate sue studentesse, per via di suoi tentativi di approccio..., di atteggiamenti intimidatori e ricattatori nei loro confronti...,  Poiché aveva promesso, in svariate occasioni, a diverse di loro, il conseguimento fittizio e fraudolento di buone votazioni..., in cambio di prestazioni sessuali.... Una di tali denunce venne presentata dal padre della studentessa...; che in seguito, preferì ritirare la denuncia.... Nel corpo di polizia era più volte circolata la voce che il docente disponeva di ingenti somme di denaro, con le quali, talvolta, riusciva a tacitare le vittime dei suoi approcci e, insieme, anche i loro genitori e congiunti..."
Come vedi, Clara, un altro elemento costante che abbiamo potuto ritrovare in altri diversi contesti geografici: Nigeria, Somalia, Albania.... Una rete molto organica e ben strutturata. Che ha come primo terminale di adescamento persone dall'apparente grande "rispettabilità". Alle quali giunge una più o meno cospicua fetta del ricavato dell'impresa criminosa. Presumo, anche se non ne ho assolutamente le prove, né sono in grado di fornirmele i colleghi di quel paese dell'est, ripeto presumo... che il primo, che ha “venduto” Olga, sia stato il professore. Che l'ha barattata, per denaro, al suo finto nipote … che si faceva chiamare Vasile. Questi, alla fine, deve averla venduta alla maitresse Oana.  Dopo averle fatto subire il trattamento violento che abbiamo in parte ricostruito.
Ma Olga scriveva :  "Ma dove siamo finite? Scappare…!!! Dove? Come?". Deve averci provato. Oppure ha continuato a ribellarsi.... Il trattamento punitivo e coercitivo deve essersi  alzato di tono, … oltre i limiti della sopportabilità.... Ad opera del Vasile? Della Oana? Di entrambi? Di qualche altro loro complice?
Ah….Mi è giunta anche notizia che sia stata rintracciata Nadia dalla polizia di Verbania.
Attendo  il loro verbali.
Da  anticipazioni telefoniche, che mi hanno fatto i colleghi, pare che Nadia abbia descritto il viaggio con particolari sinora inediti.
Vi  potrò far conoscere anche frammenti  di interrogatori di altre donne moldave.
Domani, o al massimo doman l’altro cercheremo di effettuare una telefonata a Rada, un'amica di Olga molto intima.  Il mediatore linguistico le parlerà dal mio ufficio.
...
mi chiamo Adela xxxxxxxx, e sono nata a Hîncesti, in Moldavia, il....
Mia madre Ecaterina.... e mio padre Dumitru ..... svolgevano il lavoro di operai in una fabbrica chimica... fino a quando vennero licenziati ... e riducendosi infine a sopravvivere con i prodotti agricoli di un campo di proprietà di mia madre... e allevando qualche capretta e alcune galline...
Ho dovuto interrompere gli studi presso l'istituto d'arte.... Insieme ad una amica, Vera, che era stata mia compagna di scuola, eravamo rimaste colpite da alcuni manifestini dei quali una associazione turistica prometteva lavoro sicuro in Italia.... Non ci eravamo mai decise fino a quando la zia di Vera ci fece incontrare un suo conoscente... tale xxxxxxxx dell'apparente età di anni 56... che ci assicurò di interessarsi personalmente a farci arrivare in quel paese d'Europa, dove avremmo trovato un lavoro sicuro.... Noi finimmo per fidarci perché sembrava una persona molto perbene... era ricco ed elegante...
.... Il predetto xxxxxx dell'apparente età di anni 35, che parlava in lingua albanese, disse a me e a Vera che gli dovevamo € 78.000... e che ci aveva "comprate"... e avremmo potuto restituirgli tale somma concedendo i nostri favori a pagamento in un appartamento alla periferia di Novara... O, sulla strada.... Dipendeva da come ci saremmo comportate. Ci spiegò che dovevamo pretendere € 50 per ogni rapporto... della durata massima di 10 minuti... Alle nostre proteste e urla, aiutato da due suoi complici, cominciò a picchiarci tutte e due selvaggiamente, con pugni e calci.... Mentre ancora eravamo piangenti e insanguinate, tutti e tre si violentarono ripetutamente....
Ci spaventarono dicendo che, se avessimo provato a fuggire, avrebbero informato le nostre famiglie che eravamo delle prostitute.... Una volta, dal mio telefono cellulare chiamarono, e forse finsero soltanto di chiamare, la mia famiglia.... Urlai, spaventata e disperata, per farle smettere....
Una notte mentre mi trovavo al "lavoro" si avvicinò alla mia postazione una giovane donna... che mi chiese se volevo smettere quell'attività.... In seguito chiamai il numero di cellulare che mi aveva lasciato.... Ci fu una retata della polizia.... La donna che ci aveva salvate ci ospitò in una comunità...
...

...
... il giorno... alle ore... presso il comando di polizia di Pallanza-Verbania, compare, Nadia xxxxxx, di nazionalità moldava, nata a..., il...
La suddetta, intercettata mentre si trovava in atteggiamento ed abbigliamento equivoco in località Fondotoce, bivio per Mergozzo, risultava priva di documenti di identità, di passaporto e tantomeno di permesso di soggiorno.... Interrogata con l'aiuto della mediatrice linguistica ….. raccontò quanto segue:
... alcuni mesi or sono, insieme alla mia amica Olga ...., più giovane di un anno di me, che avevo conosciuto  alle scuole superiori, e avevo ripreso a frequentare all'università... progettammo di venire a cercare fortuna e lavoro in Italia. Ero a conoscenza di una mia lontana parente ucraina che, come molte altre donne di quel paese, aveva trovato lavoro in Italia per curare persone anziane, come "badante". Olga venne consigliata da un suo professore, che le fece incontrare un certo Vasile, che diceva essere suo nipote.... L'aspetto di questo signore era certamente molto rassicurante: gentile, elegante e premuroso.... Si assicurava di conoscere molte famiglie benestanti nel Nord Italia; dove lui si trovava spesso per lavoro. No. Non so quale fosse la sua professione. Non l'ha mai detto né a me né alla mia amica. Aveva già assicurato di aver comperato i biglietti da Chisinau per Milano. Ma il giorno prima della partenza ci disse che c'erano stati dei contrattempi per via dei nostri passaporti e per i permessi di soggiorno.
Il viaggio avvenne con un furgone di marca Peugeot, scomodissimo. Oltre a lui, e a noi due viaggiavano altre quattro ragazze. Due di loro dovevano essere molto più giovani di noi. ... il giorno... alle ore... presso il comando di polizia di Pallanza-Verbania, compare, Nadia xxxxxx, di nazionalità moldava, nata a..., il...
La suddetta, intercettata mentre si trovava in atteggiamento ed abbigliamento equivoco in località Fondotoce, bivio per Mergozzo, risultava priva di documenti di identità, di passaporto e tantomeno di permesso di soggiorno.... Interrogata con l'aiuto della mediatrice linguistica ….. raccontò quanto segue:
... alcuni mesi or sono, insieme alla mia amica Olga ...., più giovane di un anno di me, che avevo conosciuto  alle scuole superiori, e avevo ripreso a frequentare all'università... progettammo di venire a cercare fortuna e lavoro in Italia. Ero a conoscenza di una mia lontana parente ucraina che, come molte altre donne di quel paese, aveva trovato lavoro in Italia per curare persone anziane, come "badante". Olga venne consigliata da un suo professore, che le fece incontrare un certo Vasile, che diceva essere suo nipote.... L'aspetto di questo signore era certamente molto rassicurante: gentile, elegante e premuroso.... Si assicurava di conoscere molte famiglie benestanti nel Nord Italia; dove lui si trovava spesso per lavoro. No. Non so quale fosse la sua professione. Non l'ha mai detto né a me né alla mia amica. Aveva già assicurato di aver comperato i biglietti da Chisinau per Milano. Ma il giorno prima della partenza ci disse che c'erano stati dei contrattempi per via dei nostri passaporti e per i permessi di soggiorno.
Il viaggio avvenne con un furgone di marca Peugeot, scomodissimo. Oltre a lui, e a noi due viaggiavano altre quattro ragazze. Due di loro dovevano essere molto più giovani di noi.
Percorremmo in una sola tirata circa 700 KM e ci fermammo in un casolare vicino a Marghita, che si trova quasi al confine tra Romania e Ungheria.
Ci  fermammo in Ungheria  a Nagykanizsa  vicino al confine con la Slovenia , per circa altri 500 KM.
Poi cambiammo il percorso e dalla Slovenia scendemmo giù in Croazia, sulla costa. Non ricordo in che località. E lì ci fermammo 4 giorni…
Poi riprendemmo il percorso verso Trieste, dopo che Vasile ebbe ricevuto alcune telefonate. Non capii che cosa dicessero. Parlavano serbo e albanese, lingue che non conoscevamo.
Credo che in tutto, compresa la deviazione in Croazia, abbiamo compiuto circa 2500 KM.
Arrivati a Novara, Olga si fermo lì con Vasile. Che aveva un piccolo appartamentino in una mansarda. Io continuai il viaggio con il Peugeot sino a Verbania; dove l’amico di Vasile disse che mi stavano aspettando nella famiglia che mi avrebbe ospitato. Ero molto dispiaciuta di lasciare Olga. Avevo saputo infatti che saremmo state alla distanza di circa 80 KM  l’una dall’altra. Vasile e il suo amico mi rassicurarono: avrei comunque potuto frequentare l’università a Milano con Olga, andandoci direttamente con il treno; distava poco più di un’ora. Olga, da Novara, ci avrebbe impiegato poco meno di un’ora. Ci abbracciammo e ci baciammo …


11.
Stava suonando il cellulare.
«Ciao, sono Clara... sarò rapidissima. Mi ha appena telefonato Matilde... hanno trovato quel bastardo... sì, insomma, quello che si faceva chiamare Vasile... il finto nipote.... L’ha trovato, per caso, la polizia rumena... era appena entrato dall'Ungheria. Probabilmente era stato segnalato il numero della sua targa... da Nadia, non so.... L'hanno tenuto in stato di fermo.... Ne chiedono l'estradizione.... Con tutte le lentezze e i ritardi... dovranno vedere cosa dicono le leggi internazionali... e gli accordi tra i due paesi....
... ah sì? Stai cercando sul tuo cellulare? Chiamate perse..? SMS?... sì, dài, fammi sapere... ciao ciao ciao, a presto...»
Orazio stava segnando in un file aperto date e orari di chiamate che aveva trovato sul proprio cellulare. Un certo numero di essere era concentrato in un determinato periodo. Corrispondevano al numero che Olga gli aveva dato... in un tempo ormai lontanissimo....
Ci aveva trovato anche un SMS, proveniente da quel numero.... Doveva essergli sfuggito, allora.
"Scusa l'invadenza. Se ti ricordi ancora chi sono... potrebbe essere importante per me poterti vedere e parlare...".
Un messaggio dimenticato e perso. Proveniente da un'altra dimensione. Da un ricordo. Da un fantasma....
Tolse dall'elenco che stava scrivendo i numeri delle utenze sconosciute.
La lista si componeva di sette chiamate da lei non risposte. Più quel messaggio sibillino. Allora, …se l'avesse guardato. Ora, invece, dolorosamente chiaro ed esplicito. Un appello disperato. Anche se formulato con linguaggio discreto e schivo.
Troppo tardi! Terribilmente troppo tardi! Da collocare insieme alle immagini devastate che aveva sistemato, a fatica, in un cassetto doloroso della memoria.
"Trovato sette chiamate non risposte. Settimana precedente scomparsa. + un SMS non letto. POTREBBE ESSERE IMPORTANTE PER ME POTERTI VEDERE E PARLARE... lo era. Troppo tardi...! Mando mail a Matilde. A presto".
La mail e di risposta della poliziotta diceva: "non colpevolizzarti. arrivate copie di lettere ad amica sorella e madre. Appena tradotte ve ne condivido il contenuto. Promesso  la spedizione anche di diario personale"

SMS Rada

Complicato il bel tenebroso. Vedrai che tutto si sistemerà. Fin troppo generoso con il prestito. Peccato per il viaggio, che immagino lunghissimo! Vedrai che l'Italia sarà la tua fortuna...
qui da noi la solita vita piatta e monotona. Quasi quasi ti invidio

Tutti uguali gli uomini. Se è sposato non fidarti troppo. Magari  avrà davvero scherzato e voleva giocare a far la lotta. E l'italiano splendido? Dài, telefonagli. Un bacio e... in bocca al lupo!

Eh…? Ma  è terribile. Molla tutto e vai altrove. Telefona subito all'italiano! Se è il caso va alla polizia... al massimo ti danno il foglio di via! Avverti Nadia: trovate insieme un'altra soluzione. Fai sapere.
Circolavano  storie del genere... ma non poteva capitare proprio a te! Nadia non risponde al telefono

SMS di Nadia

Il mio autista, invece non è molto timido! Si dà da fare anche se è un po' violento... del lavoro non so ancora nulla. Sto in un monolocale. Baci. A presto

È troppo violento..! Cerca continuamente di prendermi con la forza. Dice che prima o poi ci sarà il lavoro. Che devo imparare il mestiere... mi viene un sospetto ma è troppo tremendo! Ciao

Olga..! Ma questi sono dei criminali! Picchia e non da solo. Dice che dovrò restituirgli i soldi andando a fare la puttana.... Che non sono qui in vacanza sul suo Lago Maggiore! Ho paura che mi rubino  cellulare e il passaporto. Mettiamoci  d'accordo per scappare al più presto

Pagine  dal diario di Olga, spedite da Alessia all'ispettorato di polizia.

"Ormai è deciso. Ho cercato di essere gentile con il professore, anche se ha cercato di fare il porco con me; per non inimicarmi il nipote. Lui  invece è carino e forse un po' timido. ha una faccia che ispira abbastanza fiducia. La partenza è imminente. Sembra ci sia un volo da Chisinau. Staremo a vedere....
... mi sono rassegnata a partire senza andare a salutare mamma e Alessia. Forse è meglio così. Però mi dispiace molto. Sto per fare il salto nel vuoto. Come sarà quest'Italia? Qui da noi si sta male. Il totale fallimento di quello che chiamavano "il socialismo reale" i tovarish della vecchia grande famiglia della stella rossa sovietica. E quest'Italia? Là governa un ometto squallido ricchissimo e potentissimo. Si è fatto trapiantare capelli... e forse qualcos'altro! Si è attorniato di una harem che ha portato anche nel governo e nel parlamento. Però  economicamente stanno meglio che qui da noi. Forse non saranno tutte rose e fiori.... Ma qualche lavoretto da infermiera e da badante forse potrò trovarlo. Magari anche riprendendo a studiare seppure con immensi sacrifici....
Sono molto decisa e determinata. Ma anche e insieme disperata e spaventata!...
... Vasile via fatto vedere il passaporto e il biglietto aereo. Dice che preferisce conservarlo lui. Per sicurezza. Forse è meglio così. La partenza è fissata per dopodomani. Ho messo le cose essenziali in una borsa non troppo grande. Qui nell'alloggio universitario cercherò di non lasciare nulla. Ho preparato degli scatoloni con i libri e tutte le altre mie cose. Prima di chiuderlo ci infilano anche questo diario. Ho dato l'incarico al custode di farlo spedire con la corriera a casa, perché lo custodisca Alessia....
... Addio! Terra di Moldavia. Dove ho trascorso tutta la mia vita. I miei affetti, i miei ricordi, i miei studi, le mie esperienze.... Li lascio qui. Resteranno ad aspettarmi per quando potrò ritornare. Amo la mia terra povera. La mia gente. Spero di tornare presto ad abbracciarti.

12.
Con il presidente di LIBERAZIONE e SPERANZA, Clara  aveva organizzato una fiaccolata per la città;  per Olga.
Una  iniziativa simile si era tenuta poco più di un anno prima, dopo l'omicidio della transessuale brasiliana.
In  quell'occasione molte centinaia di persone silenziose avevano sfilato per la città. A mo' di preghiera, era stato letto l'elenco delle vittime  dell'ultimo anno in Italia. Una litania dolorosa e composta. Laica.
Per Olga avevano selezionato dei brani delle sue lettere, del suo diario, dei messaggini del suo telefonino. Anche questa volta si sarebbe trattato di una preghiera laica. Una manifestazione accorata di solidarietà. Un abbraccio doloroso all'ultima vittima.
Un annuncio dell'iniziativa era comparso sulla stampa locale. Che riportava anche la cronaca degli atti giudiziari e dell'inizio della procedura per direttissima nei confronti del cittadino moldavo. Accusato di [riduzione in schiavitù, avvio alla prostituzione, maltrattamenti e malversazioni violente e prolungate, sospetto omicidio].

«La cosa è organizzata per la settimana prossima. Venerdì sera alle 21.
Peccato solo per una cosa. Che, molto probabilmente, tra i partecipanti non ci sarà nessuno di quelli che vengono definiti i "clienti". Quei maschi fragili e immaturi, umanamente e sessualmente. Che fanno ricorso al sesso a pagamento. Che realizzano le loro masturbazioni mentali, "usando" il corpo di queste "schiave sessuali". Come vedi, ho usato il termine che tu avevi citato, del "cinquecento". "Usare della donna". Credo che, comunque, siano molto importanti queste azioni collettive. Queste manifestazioni di solidarietà e di sdegno.»
Orazio aveva assentito. Vergognoso di far parte di quella categoria..., di quel "genere" a cui appartenevano i consumatori terminali del sesso a pagamento. Su donne schiavizzate e ricattate.
«Sì. Anche il rito è molto importante. Noi laici, atei, agnostici e non credenti, dobbiamo sempre di più ricordarcene. Del rito. Oltre alle modalità abituali delle manifestazioni di lotta per il lavoro, per la difesa della costituzione repubblicana, della resistenza e dell'antifascismo.... Mi ha colpito molto la ritualità della fiaccolata dell'anno scorso. Quelle fiammelle portate in silenzio. Quelle parole scandite. Quei nomi pronunciati.»
« Per la nostra Olga abbiamo preso le sue frasi.  Dalle lettere, gli SMS, i diari. Pronunceremo le sue parole. Parleremo con la sua voce.
Anzi, ti voglio far vedere i brani che abbiamo messo insieme. È importante il tuo parere e la tua collaborazione. Poi le trascriveremo e le stamperemo. Perché vengano scandite.
Ci ho pensato anch'io, sai, all'effetto del rito. Ai nuovi modi di manifestare in pubblico. Degli "Indignados” iberici, di quelli greci.... Delle migliaia che occupano le piazze in America. Dei nuovi linguaggi per professare la pace e il disarmo. Il no al nucleare. La difesa dell'acqua e del suolo. Del mare. Del rifiuto di inutili imprese faraoniche.»
Lui le aveva stretto il braccio, tenendolo con la mano calda. E le aveva sfiorato la guancia.

Clara aveva distribuito i fogli stampati. Ora stavano nelle mani di una decina di donne. Alcune erano sue colleghe mediatrici; altre, ragazze che la speranza e l'impegno avevano già liberato.
Un collage da pronunciare, a turno. Con un microfono che si sarebbero passate l'un l'altra. Altre due di loro reggevano le casse di un altoparlante.
Vennero accese le fiaccole.
Alla luce della fiammella tremolante la prima ragazza della fila prese a leggere. Con voci diverse Olga cominciò a raccontare frammenti della sua vita.
«Diceva … devi andare all'università, continuare gli studi, laurearti.... e io …mi impegno più che posso, …
… La borsa di studio non è stata sufficiente a coprire tutte le spese. Mia madre deve rimetterci ancora qualcosa …
….alla fine, avrò finalmente il diploma di laurea, … poi la trafila lunga e faticosa per trovare un posto fisso di lavoro….
Ma diamo tempo al tempo! A presto. … quando torno, voglio fare ancora quelle belle e lunghe chiacchierate ….
…Saprò ben bastare a me stessa..., almeno adesso.... riusciremo a sistemare anche questa...
…lascio l'università …trovo la soluzione e basta! … ti bacio, mammuccia cara ma .., ti prego, non ti mettere anche piangere.... Lo so, siamo state molto disgraziate e sfortunate.... Ma la soluzione ci deve pur essere  e allora la troveremo!
…ma  lui ora dice di essere sicuro che potrà aiutarmi... a venire in Europa...! Pare abbia delle conoscenze importanti in Italia… è sicuro che troverà qualche famiglia per bene che mi tenga a vivere da loro …occuparmi dei bambini, tenere pulita la casa e fare i lavori domestici, accudire gli anziani.... mi aiuteranno economicamente...., in quel momento ero al settimo cielo.…
…  ci sarà soprattutto il problema della lingua. Quel poco di italiano che io conosco… mi basterà a malapena per farmi capire e arrangiarmi i primi tempi.... non mi arrendo facilmente. …
… una parente ucraina è andata per anni in Italia a lavorare. Si occupava delle persone anziane. Là le chiamano "badanti"; …si occupano, di persone anziane o malate. … mandava quasi tutti i soldi in a casa … due o tre volte all'anno…. organizzavano dei pulmini per tornare a trovare la famiglia. Un viaggio massacrante ….
 …Certo, si tratta di lasciare tutto quanto, di fare un viaggio lunghissimo in un mondo che è per me, ora, sconosciuto. Il grande salto verso il mio futuro. Verso un sogno che è ancora pieno di incognite. ..potrà rivelarsi molto migliore della realtà che viviamo qui nel nostro paese…che porti miglioramenti e felicità anche a voi …
…la situazione…. non è per niente disperata. Anzi …si stanno aprendo prospettive ancora migliori. Io sto inventando in un modo nuovo il mio futuro.
…  possono nascere prospettive nuove e addirittura migliori..!… non mi arrenderò mai ..  andrò in quel paese, studierò, prenderò una laurea che vale molto, troverò un lavoro stabile e ben retribuito….
…Ormai è deciso.... mi sono rassegnata a partire senza andare a salutare mamma … mi dispiace molto. Sto per fare il salto nel vuoto. Come sarà quest'Italia? Qui … si sta male…. E quest'Italia… …non saranno tutte rose e fiori....ma  qualche lavoretto da infermiera o da badante forse potrò trovarlo. Magari anche riprendendo a studiare seppure con immensi sacrifici....
…però sono anche molto … disperata e spaventata!..
... Addio! Terra di Moldavia. Dove ho trascorso tutta la mia vita. I miei affetti, i miei ricordi, i miei studi, le mie esperienze.... Li lascio qui. Resterai ad aspettarmi per quando potrò ritornare. Amo la mia terra povera. La mia gente. Spero di tornare presto ad abbracciarti.
… domattina partiremo.
…  viaggio massacrante   . Niente aereo… bus…!...
….Trovato qualche lavoretto. Metto insieme qualche euro. …

Era una litania in cui Orazio sentiva parlare quella persona.
Le frasi venivano pronunciate inframmezzate da pause di silenzio, ampie, significative; che echeggiavano il loro vuoto nell'aria della città. Fluttuante di fiammelle.
Lasciò che la cantilena mesta si depositasse sullo sfondo. E ripercorse, a passi rapidi e veloci, le sequenze del suo viaggio. Quasi un pellegrinaggio.
Il volo Meridiana IG 271 era partito da Malpensa alle otto. Alle 5.40 parcheggiava l'auto. Il check in era stato abbastanza sbrigativo. Nessuno che facesse la fila. Si era portato solo un piccolo zaino come bagaglio a mano. La partenza era stata annunciata diverse volte. Ma di fatto partì soltanto alle 8.35.
Si muoveva impacciato. Sentendosi fuori posto. Estraneo a quel viaggio. A quel volo. A quella vicenda.
«Ma dove cazzo stai andando? Cosa vai cercando? Cosa centri tu, con questa storia?
Con questo zainetto quasi vuoto sulle spalle. Con dentro agli occhi quel volto sfigurato. Sotto quel lenzuolo di ghiaccio. Con l'anima piena di freddo.
Ora resetto l'immagine. Con quell'altra di quel sorriso lontano. Sfocato. Estraneo e intimo insieme.
Per un assurdo pellegrinaggio essenziale.
Ma tu lo permetti? Posso? Mi lasci venire a frugare le atmosfere e la terra che ti hanno conosciuta? Non è ormai troppo tardi? Perdona l'invadenza. Ma devo venire fin in fondo. Devo contagiarmi l'anima con il tuo mondo. Stammi vicino, se vuoi. Parlami, anche tu, come faccio io.
Porto con me la testimonianza per tutti gli altri. Per chi non vuole saper nulla. Per chi non guarda così in basso. Ignora queste tenebre, per non sporcarsene. Per chi é indifferente a tutte le miserie. Perché cammina sempre un po' al di sopra di tutto.
Dammi la tua mano fredda da tenere. Da scaldare, se posso, con il ricordo del sorriso luminoso che mi hai prodigato. Che ho lasciato a fermentare in un cassetto della mia memoria." Non omnis moriar"; non tutta sei morta. Riporto a casa tua il profumo della tua giovane bellezza martoriata. Scrutando con amarezza le ombre dei tuoi ricordi.»
Aveva allacciato la cintura di sicurezza, quando gliel'avevano detto. Reclinando il capo sul poggiatesta scomodo.
Ondate di tepore primaverile lottavano per risvegliare un gelo rappreso. Riusciva quasi a sentire quella mano pensata....riprendere consistenza. Risvegliava dal torpore di quel sonno freddo. Che a stento e a fatica emergeva nel vento ronzante che emettevano le bocche dell'aria condizionata.
«È tardi, lo so. Ma dovevo. Volevo, anche. Voglio.
Tu sei fuori del tempo, ormai. E dalle terre e dai luoghi che ti hanno conosciuta bambina. E questo è forse, soltanto, un viaggio interiore. E la memoria si distende, all'infinito. Per un'eternità ingannevolmente promessa. Che vogliamo regalarci con pensieri e parole. Cancellando l'indifferenza e il cinismo feroce. Per inventare una dimensione nuova. Di sogno e di speranza. Di tenera dolcezza diffusa.»
Nel piazzale antistante l'aeroporto di Chisinau, scelse la prima auto in servizio di taxi. Una vecchia "lada" grigio fumo. Dallo scappamento vapori della benzina povera di ottani. L'autista del taxi aveva mormorato qualcosa leggendo il bigliettino che lui gli aveva passato. In una lingua che era un miscuglio di suoni latini e slavi. Non aveva saputo né potuto ribattere.
Si era bevuto e sorbito le immagini che sfioravano la strada. Come in un vecchio documentario.
Ritrovandosi, infine, con i borborigmi del motore acceso. L'auto si era fermata davanti ad un palazzone di cinque piani. Indefinibile. Gli euro con cui aveva pagato erano stati accolti senza commento. Un breve suo cenno del capo aveva negato ogni calcolo di cambio per il resto.
Si era avvicinato al numero indicato sul foglietto che teneva in mano. Ai campanelli mancavano i nomi. In compenso il portone era soltanto accostato.
Al quarto piano una targhetta di cartone recava il cognome di lei. Scritto a mano con pennarello. In caratteri cirillici e latini.
Sollevò il battacchio e lo fece vibrare alcune volte sulla base.
Quando la porta si aperse, uscì un flusso di vapore di cucina. Con aromi di aglio e di cavolo. Estranei per lui; e insieme familiari.
La donna lo guardò con occhi fermi e indagatori. Poi si tirò indietro facendolo entrare.
«Alessia...», disse, appoggiando una mano magra sul proprio petto...
L'aveva fatto accomodare nella cucina. Confidenzialmente. O, anche, per penuria estrema di spazio. Si era seduta di fronte a lui, su una sedia impagliata simile alla sua.
Fu un colloquio silenzioso. Fatto di sguardi significativi.
Quella visita era stata annunciata. E le parole non servivano. Gli sguardi erano invece molto eloquenti. Quelli di lei partivano da due occhi nerissimi e lucidi. Contornati da un alone mesto di lacrime accumulate.
Si era alzata e da una piccola madia, verniciata di verde, aveva estratto una bottiglia di colore scuro e due piccoli bicchieri. Aveva pronunciato il nome del liquore di prugne. A più riprese, entrambi, ne avevano inghiottito boccate aromatiche.
La conversazione di sguardi si era conclusa quando gli aveva fatto cenno di seguirlo in un'altra stanza. Una donna più anziana stava seduta su un piccolo divano di tessuto stinto. L'aveva inquadrato con uno sguardo obliquo. Che sembrava non interrompersi mai.
Di nuovo le parole erano state inutili.
Si era ritrovato a discendere le scale. Con la pressione di quelle dita scarne che gli avevano tenuto la mano.
Il rito si stava concludendo. Le parole superflue.
Un'auto simile alla prima aveva contaminato l'aria con il suo scappamento.
Il Boeing era partito vibrando. Strappandolo da quell'estraneità con la quale aveva iniziato a familiarizzare.
2000 km circa. Altrettanti al ritorno.
Non sapeva neppure più se si era fermato no una notte a dormire, almeno.

Ora stava di nuovo camminando a fianco a Clara. Reggevano entrambi la propria fiaccola. Lei gli aveva rivolto degli sguardi rapidi. Quasi cogliendo la fatica di quel viaggio interiore, che aveva ripercorso, da solo.
Le  voci femminili, stentoree e asettiche, continuavano a scandire le parole di Olga...

… poi, però ha … cominciato a picchiarmi quando ha visto che reagivo….
…Mi hanno violentata in tutti modi e da tutte le parti. ….. Poi hanno ricominciato a picchiarmi. Tutti e due. Dove sono finita? continuano a parlare dei soldi che gli devo restituire. Dicono  che presto avrò il mio lavoro (?!?). E ridono
 …Credo di essere caduta dalla padella nella brace. Sono finita in un immenso buco nero che mi sta inghiottendo e distruggendo. Devo  continuamente nascondere il cellulare e il carica batterie. Spero che non li trovino!
… Questi … sono dei veri criminali
“…Se ti ricordi ancora chi sono... … potrebbe essere importante per me poterti vedere e parlare...".




Le ultime battute erano state pronunciate nella piazza, dove alcune centinaia di persone si erano assiepate con le loro fiammelle tremolanti. Avevano scorto entrambi il cenno di saluto della loro amica ispettrice capo. La dottoressa Matilde Ragusa stava accanto ad alcuni agenti di polizia. Poco discosto dal punto in cui si erano raccolte le donne che avevano dato voce al ricordo. Col microfono e gli altoparlanti. In mezzo a loro un uomo brizzolato con la barba corta e gli occhiali.
Il silenzio era di nuovo rimasto sospeso nell'aria. Eloquente e pieno di significati.
Poi, lentamente, compostamente, la piazza aveva cominciato a vuotarsi.

"... il giorno... alle ore... davanti alla sezione penale del tribunale…., avrà luogo l'udienza preliminare per il processo contro......, cittadino moldavo... Accusato di riduzione in schiavitù, avvio alla prostituzione, maltrattamenti e malversazioni violente e prolungate, sospetto omicidio. ... ai danni della connazionale ... Olga...
... dalle risultanze delle indagini della polizia, pare che l'uomo, in combutta con altri complici, abbia raggirato la vittima, studentessa universitaria presso la facoltà di,… dell'università di…
... Sembrerebbe che nell'operazione sia coinvolto un docente della sventurata studentessa moldava ... Da indiscrezioni pare che la polizia di quel paese lo ritenga responsabile anche di ulteriori altri reati nei confronti delle sue allieve... Alle quali avrebbe in più occasioni richiesto prestazioni sessuali in cambio di votazioni favorevoli....
Insieme alla vittima, il menzionato cittadino moldavo, avrebbe favorito l'espatrio di un'altra giovane studentessa amica intima della vittima. Quest'ultima sarebbe stata rintracciata in provincia di Verbania... e avrebbe fornito elementi utili per l'indagine e per la ricostruzione dell'abominevole operazione.
A quanto risulta veniva promesso il viaggio e il trasferimento, e la collocazione presso famiglie abbienti, nelle abitazioni delle quali avrebbero svolto compiti di collaborazione domestica. In cambio di vitto e alloggio e del fabbisogno per la prosecuzione degli studi.
Gli intermediari, nelle fasi finali, erano soliti abusare sessualmente delle proprie vittime, costringendole con ricatti e violenze di ogni genere, ad esercitare la prostituzione.
Il fenomeno si ricollega a quello molto più vasto che riguarda donne provenienti da molte parti del mondo. In particolare dall'Africa: Nigeria, Somalia. Ma anche da paesi dell'America Latina e dalla penisola balcanica.
La consistenza del fenomeno viene definita "nuova tratta delle schiave". Da informazioni fornite dalla associazione Liberazione e Speranza, che cerca di contrastare il fenomeno aiutando le vittime a liberarsi riportando le ad una vita dignitosa e decorosa, questo squallido commercio di vite umane produce immense ricchezze. Le associazioni criminali coinvolte dispongono di una rete, che si avvale di collaborazioni mafiose nei territori di vari paesi. Nella madre patria di provenienza sono attivi personaggi, dall'apparenza molto rispettabile , che si occupano del reclutamento e delle prime operazioni di raggiro.
Nei territori dove vengono costrette al meretricio, donne e uomini, spesso connazionali delle malcapitate le "comprano”..! Le organizzazioni criminali e schiavistiche dispongono di ingenti quantità di denaro che proviene, oltre che da questo squallido mercato, anche dallo spaccio di droga.
Venerdì... sera alle ore 21, si è svolta per le vie della città una mesta e significativa manifestazione. Centinaia di concittadini hanno partecipato alla fiaccolata. Nel corso della quale sono stati letti a turno, da giovani donne, brani delle lettere, dei diari e degli SMS della sventurata Olga.
Un richiamo accorato è stato rivolto, anche in questa occasione, dal presidente di Liberazione e Speranza, a quanti "fruiscono" delle prestazioni forzate di queste giovani schiave...
La  fine terribile della giovane universitaria moldava è l'epilogo di una faticosa battaglia che spesso le stesse vittime conducono, in solitudine,  per ribellarsi e liberarsi dal giogo!
Anche la nostra testata rivolge un pensiero mesto e solidale verso questa ennesima vittima. Che ci ricorda analoghi episodi non troppo lontani. E invita coloro che si riducono a pagare per avere i favori di una donna, a rifletterci a lungo. Essi sono di fatto corresponsabili di queste oscene brutture, diventandone  complici.
I funerali si sono già svolti in forma riservata, a cura della associazione onlus. A cui va tutta la gratitudine della cittadinanza civile!....”

13.

WORDCLOUD  -  nuvola di parole  wordcloud
"... senza un dove, sai... e neanche un prima e un dopo... senza tutto, insomma, ma con tutto dentro... lo so che è difficile da dire... e lo penso dicendolo...
... per fartelo capire, sai... di quando avevo letto dello sciame di farfalle,… a Petaloudes …nell'oasi della valle  di Rodi... ecco, sì, quella leggerezza, sfumata...
... nella soffice brezza... galleggiare sospesa... sfiorando e carezzando tutto...
... il tuo nome, poi,  Orazio, mi aveva fatto tornare in mente quel seminario di filologia romanza... con i primi rudimenti della tua lingua... e quei versi latini leggeri e soavi che dicevano...
"vides ut alta stet- nive candidum Soracte- nec iam sustineant onus- flumine constiterint acuto..."... parole che aleggiavano soavi... come in questa dimensione qui, di ora... e la lingua rumena, che noi chiamavamo il moldavo, si intrecciava, giocando a nascondino con la tua lingua italiana, con la madre comune latina... e ti sentivo profondamente vicino... sai?... intrecciavo pensieri con parole... ed emozioni pulite e terse... come sentivo essere anche le tue... lo sai, vero?...
... e stava  sullo sfondo del rimosso la paura per le minacce appena subite... obnubilata dal vento leggero di speranza che spirava, gentile e melodioso... e già mi raccontavo quel sogno di fuga, dall'incubo che aveva iniziato ad incatenarmi... uscire dalla palude gelata di fuoco, per entrare nel tuo mondo, camminando a passi leggeri... perché, ne ero certa, non potevo ingannarmi, quella brezza avvolgeva anche te... con la speranza che volava, libera, nell'aria...
... e lo racconto per tutti e per sempre... per chi sa ascoltare e sentire davvero...
... che non so neppure come definirlo, sai? Forse, calmo e cauto innamoramento... o pacato stupore e compiacimento... nella totale assenza di affanno... liberata ormai dall'ansia che mi aveva attanagliato l'anima... panteistica partecipazione... onnipresente... immediatezza nella lenta velocità... presente e diffusa dovunque.... Lo so che mi senti, Orazio, in questo distacco partecipato... che era un po' quello che abbiamo provato sfiorando le nostre esistenze... quando ancora era possibile... quando il tempo non si era ancora chiuso su se stesso... e c’era un dopo probabile suggerito e promesso da quel distacco partecipato... che spirava confortante e seducente...
... e ti raccontavo  pezzetti della mia infanzia... della mensa del collettivo di caseggiato...
... e di quando avrò avuto otto anni, non so, … a letto con l'influenza..., la febbre molto forte... e frammenti di delirio e incubi,... sentivo tutti gli odori diversi, ... e una immensa spossatezza, sai? ... ma era qualcosa di simile a questa cosa qui... a questo racconto... e anche la guarigione... galleggiando in un mondo nuovo... prova a capire...
... o quando a 12 anni, ci perdevamo il senso del tempo e del mondo a giocare, nel parco, con le compagne...  credo lo facciate anche voi... al gioco della campana... disegnando col gesso per terra la casa della settimana... a buttarci il sasso... e saltare su un piede solo...
... era la mamma poi... a venirci a chiamare... disperata... per riportarci nelle case e nel mondo reale... e ci faceva uscire da quel mondo magico, dove era bello smarrirsi ….  e perdersi...
... le sto riprovando ora  quelle forti emozioni, vere... mentre lasciavamo intrecciare pensieri e parole... nella magica sintonia... ti sentivo profondamente vicino... sai?... intrecciavo pensieri con parole... ed emozioni pulite e terse... come sentivo essere anche le tue... lo sai questo, vero?...
... e sto sognando il sogno... che sogniamo... e quasi non mi meraviglio... che le parole che parlo sognando sono quelle della tua lingua italiana... che è diventata così tanto mia... da sembrarmi quasi il moldavo... cioè il rumeno... voglio dire... o anche... pure i linguaggi sanno diventare così assoluti... definitivi... universali... dopo il salto improvviso che si compie...
... ma senza rancore e rabbia... sai?... solo un pacato stupore ...
... e diceva quel vostro poeta che ha cesellato la tua bellissima lingua "e il modo ancor m'offende..."... meravigliata e frastornata di quella violenza inaudita e assoluta... e subito ero già entrata  nella nuvola... nel cloud... nella nuvola di parole... nel cloudword... se così posso dire... lasciamelo dire, ti prego!... e mi distendo all'infinito in questa atmosfera magica e assorta... per giocare a campana... con te e con tutti i ricordi dolci e saporosi...
... col compiacimento ... di questa ultima... estrema consolazione...
... mentre tu e altri parlate... anche di me... e mi sentite presente... lo sono...
... la speranza profonda... di liberazione definitiva... cautamente si è trasformata... in un caparbio desiderio...
... risoluto e determinato... che riesce a distendere il velario immenso di questo nuovo stato... di questa dimensione mentale... colorita di ricordi ed emozioni intense... che sconfigge la sciagura... e prova a cantare leggiadra un tempo senza minuti né orologi...
... in questo sogno infinito che esisterà finché vorrò sentirlo e crederlo... come tutti... d'altronde... o no?
... nelle luci tremanti della fiaccolata... pronunciavo con voi le stesse parole che venivano lette... le ho pronunciate con te... sconosciuto amico di un istante... prolungandolo all'infinito...
... in questo "ora" che non ha prima né dopo... mi distendo... galleggiando nelle parole... aggrappata ad esse... a cavalcioni dei ricordi e dei pensieri... perché le parole non possono essere spente...”



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