NATA NELLA CITTA’
SHERADZADE
PREMESSA
Il 16 ottobre 2012, precisamente alle 19 e 27, mi è pervenuta, in
un modo che qui ora preferisco non precisare, la storia che segue.
Nel prenderne visione, confesso che ho
provato un certo sconcerto. La narrazione mi sembrava abbastanza avvincente e
coinvolgente. Mi ha trascinato dall'inizio alla fine, impedendomi pause o
interruzioni. Qualche elemento magico che la pervadeva ha stimolato in me una
profonda attenzione.
Al termine della lettura, lo rivelo con
estrema sincerità, mi sentivo però profondamente perplesso.
Essa era pervasa da profondi elementi
realistici; molti dei fatti contenuti e narrati aveva una indubbia
corrispondenza con vicende che hanno caratterizzato e caratterizzano il nostro
tempo presente.
L'intrico narrativo era mescolato ad
elementi che davano l'impressione di essere frutto, con la loro improbabilità,
di pura invenzione e fantasia.
Niente da eccepire, peraltro, essendo
questa una delle caratteristiche costanti del narrare.
Mi è però sorto il dubbio, che la stessa
dinamica che regge l'impianto del romanzo, possa fornire elementi per spiegarne
la sua origine.
So che sto per affermare qualcosa che può
sconcertare il lettore.
Ma ritengo che tutte queste pagine, possano
essere il frutto di un sofisticato insieme di software e di hardware; tra loro
combinatisi per fortuite, inspiegabili situazioni.
Voglio dire, cioè, che temo che questo pur
avvincente racconto possa essersi autogenerato .... Ho il timore che nessun essere vivente,
nessun umano intendo dire, lo abbia mai
prodotto.... Che possa essere frutto di una partenogenesi, assurda ma, ciò
nondimeno, estremamente affascinante....
Voglio ritenere che sia avvenuto un
processo di auto-attivazione dell’elemento primario esistente, senza alcun
contributo esterno …
Gli elementi e la vicenda … da soli,
avrebbero generato la storia …
Questo avvenimento, peraltro piuttosto
diffuso in natura, sta alla base delle forme partenogenetiche più complesse,
senza rappresentare, tuttavia, un residuo evolutivo “imperfetto” di tali
modalità..
Prego, pertanto, di non volere ritenere il
sottoscritto in alcun modo responsabile di quanto qui contenuto.
Egli, al massimo, si assume il ruolo di
chi, condividendone appieno la sostanza, l'assume come propria, proponendola
così, tale e quale, all’attento giudizio dei lettori.
N.B.-(voglio
peraltro sottolineare che la data nella quale questo scritto mi è pervenuto è,
di alcuni mesi, successivo alla data odierna!)
(N.d.A.)
INTRODUZIONE
Il
bus bianco e azzurro, comparve dietro l'alta muraglia sbrecciata che metteva in
vista i mattoni rossi che si sbriciolavano in polvere. Aveva molto rallentato
per imboccare la curva, tirandosi dietro il serpentone snodato, col manicotto
nero a fisarmonica.
Diffuse
nell’aria un intenso odore di plastica bruciata; di caldarroste.
Il
brontolio sordo del motore riprese di potenza appena la coda si fu allineata
con il corpo centrale.
Le
figure si potevano intravedere nella penombra dietro le vetrate; ballonzolavano
ondeggiando, come burattini, aggrappati alle sbarre.
Con
l'accelerazione, un leggero ondeggiare all’indietro, sincronizzato ma non
uniforme, mentre la massa imponente si avvicinava con stridore di freni alla
pensilina della fermata.
Un
nuovo ondeggiare delle sagome in avanti, fin quando esso si fu del tutto
arrestato, mentre le frecce sul lato destro lampeggiavano vistosamente con il
loro colore arancione.
Lentamente
scese una informe figura di anziana preceduta da un bastone a tre punte
appoggiato sull'asfalto della banchina. Nell'altra mano reggeva due sacchetti
di cellophane di colori diversi. Dalle porte dell'entrata scese una figura
femminile abbastanza minuta.
Posò
a terra i grossi anfibi che portava slacciati, con le stringhe che
ballonzolavano in giù.
Indossava
jeans stinti con le toppe alle ginocchia e sul sedere. Un blazer grigio scuro
aperto sul davanti lasciava intravedere una maglietta con scritte colorate.
Di
sotto si intravedevano seni molto minuti.
I
capelli neri di media lunghezza scendevano disordinati.
La mano destra sollevò lo zaino che vi teneva;
infilò prima un braccio e poi in un altro lasciandolo cadere sulle spalle.
Con
passi ondulati, per via delle calzature enormi
che portava a strascico, scese dalla banchina e attraversò la strada per
raggiungere il marciapiede.
Nell'aria
galleggiava ancora un'onda dell'odore bruciato di miscela dei motorini.
Nel
camminare strascicava un poco i carrarmati massicci delle suole gommate.
La
muraglia qui non era più sbrecciata, perché protetta da immensi manifesti
pubblicitari.
Un
gigantesco yogurt si intravedeva solo in
parte, nascosto da un altro lenzuolo di carta più recente, ancora lucido della
colla da parati. Era circa quattro metri per tre .
Una
donna immensa e sensuale ci stava adagiata, guardando con occhio seduttivo.
Appoggiava
un gomito sulla superficie verde e il suo corpo si allungava in prospettiva.
Capelli
e particolari della postura nascondevano le parti più intime della sua nudità.
Il
suo sguardo accattivante e sornione sembrava ammiccare allusivo, promettendo
qualcosa di indefinito, di segreto, di proibito.
Sul
marciapiede non passava quasi nessuno.
La
ragazza continuava ad arrancare calpestando l'aria nei suoi anfibi, leggermente
curvata in avanti, reggendo lo zaino.
Scrutava
con occhio timido e incerto; evitava sguardi diretti negli occhi dei rari
passanti.
Al
quarto incrocio che incontrò svoltò a sinistra.
Qui
stavano arrivando tre figure colorite.
Avevano
calzoni verdi, camicie rosso bordeaux, e un basco azzurro scuro con il pon pon.
Viaggiavano
allineati: quello in mezzo era decisamente più basso; i due all'esterno più
alti; uno era anche massiccio. Il massiccio aveva uno sguardo bovino con la
mascella molto larga e un accentuato prognatismo. I suoi compari avevano
un'aria insulsa e insignificante; sguardi che non denotavano eccessiva
intelligenza o acume.
Il
bassetto sollevò gli occhi verso il massiccio-bovino che rispose con un cenno
di assenso, ondeggiando leggermente la mandibola sporgente e raccogliendo le
labbra.
La
ragazza avrebbe anche potuto dirigere i suoi anfibi strascicati ad attraversare
la strada guadagnando l'opposto marciapiede.
Ma
pensò che sarebbe stato impossibile evitare le attenzioni dei tre scimmioni
della ronda.
L'apostrofarono
subito con voce sgarbata e un leggero sorriso becero e provocatorio.
- Eh
... allora, ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? - Disse il bovino
inciampando sulla propria controllata balbuzie. Poi sogghignando verso i due
complici atteggiò le labbra ad una smorfia compiaciuta.
Lentamente
la ragazza sfilò un braccio dallo zaino, se lo fece scivolare davanti, lo
aperse immergendoci lo sguardo dentro. Poi, sempre senza sollevare lo sguardo,
porse un foglio gualcito che teneva piegato in quattro dopo averlo aperto.
-
Non... crederai che con questo tu sia a... a posto..., carina... Guardiamo che
non sia sca... aduto... -bofonchiò col suo livore idiota. I compari grugnivano
sommessi. Poi il basso guardando in su con le ciglia sollevate verso il
massiccio borbottò:
-Sì,
la data del permesso è ancora buona... credo che sia posto... cioè, voglio
dire...-
-Beh,
vu...uol dire che... per questa vo...olta ti è andata bene, va, ma guarda che
quelli come te a noi... qui... non ci piacciono mica tanto... Meglio che te ne
to...orni al tuo paese va... che qui ce n'è già abbastanza di mangia pane a
tradimento.... È che stasera siamo in vena di fare delle buone azioni, neh?-aggiunse
facendo ballare il suo prognatismo sorridente verso le facce dei suoi camerati.
La
ragazza dovette allungare la mano, tenendo sempre lo sguardo basso, per
riprendere il suo foglio che, per sgarbo, le dita di quello continuavano a
trattenere un po'.
Poi
sollevò gli anfibi il più possibile, diminuendo l'impatto e l'attrito sul
marciapiede, e allungò il passo accelerando l’andatura, procedendo sempre
aggobbita in avanti….
1. LA RONDA
Il
motivetto di “Alla turca” di Mozart si
mise a vibrare squittendo in qualche angolo della casa.
Una figura
tarchiata e un po' tozza emerse tra gli scatoloni metallici. Prima comparve il
codino legato con lo spago colorato. Poi le spalle e il corpo tarchiato e
tozzo. Con sguardo da furetto o da cane volpino incrociato puntò i piccoli
occhi neri in giro per lo spazio ingombro, a periscopio, cercando d'aguzzare il
più possibile l'udito. Si sporse quindi da dietro la spalliera del divanetto di
similpelle consunta, piegandosi in giù e frugando con le mani tra i cuscini,
finché ne estrasse l'oggettino suonante.
Mentre
ancora continuava il motivo digitò qualcosa sulla tastiera; poi avvicinò il
cellulare ad un monitor che stava appoggiato sulla pila degli scatoloni di
metallo. Una freccia prese a ondeggiare mentre si accendeva un led verde in
alto a destra.
-
Allora
sei proprio tu, andiamo sul sicuro, che qui in questa situazione di merda non
sai
mai
in che modo ti stanno per incastrare...-.
Quindi avvicinò il cellulare all'orecchio
- Sì, certo, puoi venire, sei pulita -
Si
nettò le mani con le quali aveva trafficato mentre era in immersione tra le sue
cianfrusaglie, sfregandosele sul davanti della camicia di jeans.
Tre
quarti della piccola stanza erano ingombri di strutture metalliche tubolari,
sulle quali erano aggrappate su un numero infinito di ripiani, apparecchiature
legate col nastro adesivo avana da pacchi. Fino al soffitto arrivavano le
intelaiature; e solo qua e là dei piccoli corridoi permettevano di infilarsi
all'interno del labirinto, all'occorrenza.
Dall'ammasso
di apparecchiature e di cavi di cablaggio proveniva un ronzio biribiante come
da un immenso alveare, con mesto pigolio sommesso di pulcini cibernetici.
Il
disordinato accumulo di residuati informatici palpitanti era costellato da
micro-luci e led di vari colori.
Si avvicinò all'ingresso; digitò alcune
combinazioni sullo smartphone modificato, orientandolo verso diversi punti
della struttura della porta. Si sentirono dei leggeri clic, poi quella si
aperse lasciando entrare la ragazza aggobbita.
-
Anche oggi, quegli stronzi..!
“Eh
ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? vu...uol dire che... per questa
vo...olta ti è andata bene, va, ... È che stasera siamo in vena di fare delle
buone azioni, neh?”… -
- Ma che cazzo vogliono ogni volta quelli lì..?
Con quelle facce da maiali... E meno male che questa volta non mi hanno frugato
lo zaino...
Ti ho
portato un po' di quel cavo che mi avevi chiesto... E poi ci sono qui degli
hamburger, non so di cosa siano, te lo giuro, li ho fregati oggi alla mensa...
Due arance e un po' di birra che hanno fatto i compagni l'altra sera... È di
quella fatta da noi, con il luppolo nostro, coltivato vicino all'erba; quindi
ancora più buono...!
Come
va qui da te? Come va la costruzione dei tuoi tralicci...? Funziona la baracca?
Eh Cyber?-
Cyber,
come l'aveva chiamato la ragazza, si diede una tirata con entrambe le mani al
codino per rimetterlo a posto, carezzandosi poi le guance con le dita tozze e
grassottelle. Intanto guardava la sua immensa opera, compiaciuto e soddisfatto.
Non degnò di attenzione le scorte alimentari che lei gli aveva appena
depositato sul tavolo ingombro di piastre verdi di varie forme e dimensioni.
-Va
avanti, cazzo! certo che va avanti la
baracca... Ma c'ho ancora da assemblare un casino di queste fottutissime
piastre di hard disk. I ragazzi me n'hanno appena portato un altro fottìo ieri
sera. E ce ne vuole un casino per fare la memoria che c’ho in mente io e che mi
serve... Un casino per davvero ce ne vuole,
di queste cazzosissime piastre di vecchi hard disk recuperati.... Ma le
sto sistemando perbenino, vacca boia. E anche le verifiche vanno tutte alla
perfezione. L'ho sempre detto io che sono un genio....
Ogni
volta che l’ho riassemblato con le nuove parti, cablandole insieme e rendendole
compatibili, rilancio il sistema.... Ho già decompresso quasi tutti i cataloghi
dell’inventario di parlanti… Ho rivisto gli algoritmi per l'allineamento di
sequenze…; messo a punto l’annotazione morfologica con lemmatizzazione;
l’annotazione sintattica… e tutte quelle cazzate lì, insomma…-
Ostentava
un sorriso compiaciuto e soddisfatto,
muovendo la peluria della rada barbetta e dei baffi striminziti, nella
smorfia delle labbra inarcate. Ci stava dando dentro da un pezzo ormai.
- Ma
dici che davvero poi quella montagna di ferraglia lì è capace di mettersi a
scrivere da sola le storie...? Che basta che tu stai fuori a pilotare la tua
Ferrari, che le correggi il tiro, che le dai la dritta e lei, così, da sola...
fa tutto... cioè... inventa lei la storia e te la scrive bell'e pronta? E che
poi sarà capace di collegarci in rete con tutti i compagni…?-
Glielo
chiedeva ogni volta, apposta, perché sapeva di farlo contento, anche se, in
pratica, lei non ci capiva niente... sapeva che lui avrebbe subito reagito,
apparentemente incazzato, sopra tono e avrebbe detto:
-
Ma
ti ricordi bambina di quando vi ho fatti parlare per ore e ore giorni e giorni
e settimane e mesi a tutti quanti voi? Oltre a tutto quello che avevo già nelle
memorie…. Ho raccolto registrato e catalogato una quantità infinita di testi,
li chiamano i "corpora", con frammenti di parole di suoni, che questi
li chiamano i "token", ho messo insieme intere "stringhe" e
sequenze infinite....; tenendo ben conto della legge di Zipf della
frequenza..., tutte quelle cazzate lì insomma.... È come per cucinare un cibo
speciale, c'ho buttato dentro tutti gli ingredienti possibili, in tutte le sue
varietà e dimensioni. Gli ho messo i condimenti e ho inventato le ricette, che
poi sono le regole e programmi di funzionamento... che dicono come deve legarsi
questa cosa qui con quell'altra eccetera eccetera....
E poi
non ho inventato tutto io, che molte di queste cose qui erano già belle e
pronte, le ho solo dovute combinare in modo diverso, come quando si deve tarare
un nuovo motore...; insomma ho riorganizzato completamente tutto quello che
c'era già... e ne è nata una cosa totalmente nuova.... Questa è la mia creatura,
è mia figlia , ed è la matrice per reinventare e raccontare tutto il mondo è
tutta la realtà in un modo nuovo.... E farà anche tutto il resto….
Cazzo,
Samira, te le ho già ripetute migliaia di volte queste cose ma non ti entrano
proprio in quella tua testolina lì..., neh?
Che
lo sai che a me mi piace di farti entrare qualcosa dentro di te... Eh “compagna
di discorsi nella sera” (2)
E
quando arrivava a dire così voleva dire che era proprio contento di avercela
lì, la sua amica da strapazzare a parole e da riempire tutta, in tutti i
modi...
Anche
questa volta le si avvicinò ponendole le mani grassocce sui capelli e tirandole
il viso vicino al suo. Non doveva neanche fare molta pressione sul suo capo che
già era pronto e remissivo a chinarsi all'altezza dei suoi calzoni, ad
abbassargli la cerniera , frugare e massaggiare con cura; infine accogliere
nella sua bocca la sua turgida virilità fino a farlo mugolare di piacere.
Samira
era molto contenta di poter premiare il suo genio come piaceva a lui. Sperava
che poi lui non avesse troppo fretta di rimettersi a giocare con le sue
macchine cibernetiche. E che il letto non fosse ingombro di cianfrusaglie
metalliche e fili elettrici, e che ce la portasse al più presto, mettendola
nuda subito, penetrandola con l'entusiasmo che aveva con la sua macchina
pensante, che le usasse tutte le perversioni possibili...
Anche
dalla posizione rannicchiata che teneva, qualche barlume luminoso le arrivava
dalla finestra. La vecchia tapparella da chissà quanto tempo si era bloccata in
diagonale, e ora pendeva sghemba, facendo penetrare fiotti di luce bianchi come
latte ghiacciato. Nel nido che si era scavata in posizione fetale, con le mani
a pugno appoggiate davanti alle palpebre, sentiva un baluginio di
(1- NOTA- Il nome arabo
“Samira” significa:”compagna di discorsi nella sera”; secondo l’ipotesi di
origine hindi : “vento gentile” )
chiarore,
penetrare indiscreto dentro al suo torpore morbido e sensuale. Sentiva ancora
nelle proprie mani e nel proprio corpo l'odore intenso di sudore e di sesso,
che fiutava ora a boccate regolari e golose.
Cercò
di restare più ferma possibile per non svegliare il suo uomo che certamente
stava ancora dormendo accanto a lei. Anche se non ne sentiva il respiro pesante
e rumoroso.
Si
incazzava di brutto se veniva svegliato prima che l'avesse deciso lui.
Smadonnava
in tutte le religioni possibili. Non le era mancata l'occasione di sentire
tirar giù moccoli contro Budda, Shiva e la sua trinità, mescolati nel
turpiloquio ai tabernacoli cristiani e cattolici, a quelli dell'Islam....
Era
sempre più sveglia.
L'odore
muschiato e acidulo le proiettava immagini morbose ancora fresche nel ricordo.
Quando
lui era entusiasta scopava alla grande. Mescolando preliminari e penetrazione a
fondo in modo confuso e irregolare.
Ritornando
frequentemente sui propri passi.
Spesso
dopo averla spogliata nuda le metteva due mani dietro le ginocchia appoggiando
le sue gambe sopra le proprie spalle.
Affondava
il suo volto nel bosco del suo inguine reggendola con le mani sui fianchi o
sotto le natiche. La sua lingua dura e rigida scavava gli umori rappresi,
roteando sapiente. Con labbra e lingua si impadroniva del suo clitoride,
stringendo e leccando con intensità sempre diversa e rinnovata.
Spesso
sollevava ancora di più le sue gambe afferrandole le natiche e divaricandole e
ci affondava di nuovo la bocca e la proboscide della sua lingua raccolta;
allargava, umettandolo di saliva, il suo buchino scuro. Preparandolo per una
penetrazione che non era mai violenta o dolorosa. Lei partecipava sempre,
favorendolo, dilatandosi all'infinito, più che poteva, sollecitandolo con le
parole...
Alla
sodomizzazione poteva seguire il cunnilinguo, incrociato a fellatio, o la
penetrazione vaginale.... Per poi ricominciare sempre tutto da capo; fino a
quando entrambi cadevano esausti, nei loro umori e odori...
E
quel carosello di giochi non aveva mai
sapore ripetitivo; assumeva ogni volta
una nuova sfumatura, una nuova fragranza ; il desiderio rinasceva sempre
rinnovato; ogni volta era il risveglio dei sensi come dopo una catalessi; una
continua risurrezione del fervore; una sete famelica e spasmodica di piacere,
che mirava al godimento assoluto e finale, che avrebbe simulato di spegnersi
per poi riaccendersi all'infinito....
Provò
stupore di non sentire assolutamente l'abituale respiro rumoroso da cinghiale
del genio del microchip. Rimase in ascolto
in assoluto silenzio trattenendo addirittura il fiato. Poi, con grande cautela,
emergendo dal suo nido d'ombra e di muschio mosse lentamente il capo...
scoprendo che il posto accanto a lei nel letto era vuoto.
Buttò
giù i piedi toccando il pavimento freddo. Dai peli del suo pube saliva ancora
quella fragranza umida che le aveva invaso la notte e l'anima. Si tirò su in
piedi, carezzandosi i fianchi. Incrociò le braccia conserte a proteggere i
piccoli seni dai capezzoli appuntiti per il fresco. E si affacciò alla taverna
dell'orco.
Un
intenso ronzio vibrava nell'aria; led multicolori si accendevano e si
spegnevano; su alcuni monitor accesi scorrevano serie infinite di sequenze
alfanumeriche...
L'apprendista
stregone giaceva sprofondato nel divanetto; sporgeva il codino e le sue mani
tozze che impugnavano telecomandi e sensori.... Davanti a lui un residuato
megaschermo televisivo a cristalli liquidi a 70 pollici. Altri tre più piccoli
gli facevano compagnia, come figli accanto alla propria mamma.
Era
un continuo gracchiare, sfrigolare, alternato a sequenze di parole per lo più
in lingue straniere.... Ogni tanto l'immagine restava ferma per pochi secondi,
fino a quando il telecomando decideva di sfrattarla per altre successive....
Samira
gli andò alle spalle, sfiorandogli con le mani le guance coperte di quella
barbetta rada e stentata, infilandogli poi le mani nel maglione che lo copriva
fino a mezzobusto; finendo poi per sporgere in fondo, dove frugarono
inutilmente prima di essere respinte dalla modesta consistenza delle pudenda
maschili afflosciate.
- Cazzo..., mollamelo,... che sto cercando di
mettere a fuoco.... Sempre ‘ste merde di notiziari governativi ufficiali....
Sono riuscito dopo tre volte ma per pochi secondi a sintonizzarmi sui nostri
canali.... Eccolo.... Mannaggia..... porcaccia di quella miseria... Era qui,
l'hai visto anche tu....-
-
Certo, certo che l'ho visto...- Aveva visto delle immagini svolazzanti che
erano subito sparite, non sapeva interpretarle, né capire che significato
avessero; ma non poteva scontentarlo, adesso.
Teneva
le mani al calduccio sotto il suo maglione, a contatto della pelle del suo
corpo e del petto un po' glabro. Non osava più frugare là sotto. Fingeva di
mostrare interesse per le immagini sugli schermi; aspettando novità e sue spiegazioni e delucidazioni....
Dopo
numerosi altri sfrigolii, crepitii e borborigmi comparve il monogramma dell'informazione libera. Lo
schermo era fisso ma con discreti colori e non ballava l'immagine. Un timer
incorporato stava effettuando un count down. 798-797-796-..., scandivano i
secondi.
-
Dai, che l'abbiamo beccato! E tu non ti muovere di lì eh? ...- disse perentorio
rivolto allo schermo.
-
Vado a farti un cafferino Cyb? e guardo se c'è qualcosa di là da
sgranocchiare... ti va bene..?- Avrebbe
voluto aggiungere: "amore", o qualcuna di quelle paroline che si
dicono tra morosi, tra fidanzati, tra amanti... Ma sapeva troppo bene che era
proibito. Loro erano solo amici (anche la notte prima erano stati solo amici?
Fanno quelle cose lì e con quella passione gli amici?). Lei non poteva e non
voleva farlo incazzare. Era il prezzo che doveva pagare. Tanto, lo sapeva, il
gioco lo conduceva lei.... E poi, non era così brutta quella parte, di far
finta di essere succube e di mostrare che lei sapeva rispettare le sue regole,
che era alle sue dipendenze....
Mentre
lui continuava a fissare gli schermi sacramentando ogni tanto mezze parole
subito bloccate, Samira portò la sua nudità dentro quel piccolo angolo lercio
che lui definiva la sua cucina.... Una vecchia moka vomitò nel sacchetto della
immondizia puzzolente una compressa compatta di vecchio caffè ammuffito.
Sciacquò il filtro sotto il getto dell'acqua che usciva, a intermittenza,
alternato a sbuffi d'aria. Speriamo che non stia per finire l'acqua, pensò. Che
qui ogni tanto la interrompono e chissà per quante ore non ritorna....
Dopo
pochi minuti ritornava da lui con due bicchieri appannati colmi di caffè
fumante appoggiati sopra un piatto. Sotto l'ascella reggeva un barattolo di
crema di nocciole sintetiche. Nella mano dei triangoli ormai secchi di pane da
tramezzino.
Lo
schermo grande mostrava in dissolvenza il monogramma accompagnato dalla musica
in crescendo di "Kailinka" del glorioso coro dell'Armata Rossa, del
secolo precedente.
Sullo
sfondo di un paesaggio devastato, baracche di lamiera sulle quali si
sovrapponevano immagini intermittenti, flash di immagini di volti, di masse di
persone, di bandiere, di sorrisi....
Sul
bordo in basso dello schermo scorrevano delle scritte multilingue.
Inglese,
italiano, arabo... si alternavano mescolandosi con altre con caratteri
orientali, cinesi, vietnamiti, coreani; israeliani e copti....
1
Compagni fratelli amici,
il
grande sole della liberazione sta sorgendo.
I
governi reazionari delle multinazionali della finanza non lo sanno ancora ma
stanno per esalare gli ultimi respiri.
I
partiti politici della corruzione e dei mestieranti del potere hanno
ormai il fiato corto.
Da
tempo gli stiamo addosso.
La
rete anarco- libertaria del governo popolare mondiale invita tutti
alla partecipazione,
informando
tutti con la massima trasparenza
2 Compagni fratelli amici ,
Libertà
, giustizia , pulizia.
No
alla delega;
partecipazione
diretta assembleare ,
Arengo
totale del Web.
Consigli
diretti di base .
Documèntati
, infòrmati , nessuno rappresenta nessuno .
Riprendiamoci
l'aria e l'acqua , energia solare , eolica ,
Cancelliamo
il monopolio dell' idrogeno, come è stato per i combustibili fossili.
Riprendiamoci
la terra e il mare , sono nostri e ce li sappiamo gestire da soli
3 Compagni fratelli amici ,
la
diversità è risorsa ,
la
bellezza è differenza ,
la
proprietà privata è furto,
l'
occupazione di posti di potere è sopruso e prevaricazione.
tutti
siamo uguali solo se lo vogliamo.
Libertà
è allegria e felicità.
Non
lasciamoci mai più espropriare della nostra ricchezza fondamentale.
Potenziamo
tutti la rete,
Usiamola
a piene mani , è solo nostra e per sempre.
E’ la
nostra arma e il nostro mare dove nuotare liberi.
Una
serie secca di “bip” sonori fece girar
loro la testa verso l'apparecchiatura palpitante alle loro spalle.
Su
uno dei monitor sorrideva garbata una
figura femminile.
Aveva
i capelli biondi raccolti a crocchia sopra il capo. Il suo aspetto era
realistico, quanto poteva esserlo un'immagine femminile sintetizzata.
Attendeva
silenziosa qualche secondo; poi invitò dolcemente:
-
La
procedura è stata completamente resettata. I campioni linguistici sono stati
ordinati.
È
stata ripulita ogni ridondanza ritenuta superflua.
I
campioni di personalità sono stati sistemati ordinatamente nei cataloghi
ripartiti per genere e tipologia. I generi e gli stili linguistici collocati
nelle rispettive manches.
Paesaggi
e tipologie metereologiche ed ambientali organicamente ristrutturate e
sistemate....-
Gli
occhi di Samira erano raggianti di entusiasmo e felicità. Guardavano
strabiliati il “gran maestro”, attendendo l'inizio della performance
dimostrativa....
Era certa che almeno per un po' lui non l’avrebbe
cacciata via.
Lui,
intanto, stava smanettando con un tablet collegato ad alcuni smartfone, e si
preparava alla grande dimostrazione....
-
Beh,
non ti aspettare chissà che cosa, può darsi che sia un flop come è già successo
qualche altra volta. D'altra parte meglio che lo veda tu... voglio dire, non è
che tu mi sputtanerai , no?-
La
ragazza sintetica ebbe un leggerissimo ondeggiamento del capo, ma attendeva
paziente e tranquilla.
-
Ora
devo selezionare genere, stile linguistico, ambientazione, personaggi...- disse
Cyber.
In
sovrimpressione comparvero sul monitor lunghi elenchi di listati, strutturati
ad albero; alcuni termini vennero da lui evidenziati e selezionati cliccando; i
preliminari continuarono per qualche minuto.
La ragazza
nuda muoveva lo sguardo lentamente dagli schermi al volto del suo guru,
aggrottato nell'impegno e nella concentrazione procedurale....
Clic
finale.
Ciak.
Start....
La
ragazza virtuale era diventata una piccola icona che stava nell'angolo in alto
a destra del monitor. Ripeteva dalla sua dimensione diventata lontanissima
alcune informazioni. Quindi invitò a cliccare: "ENTER".
Lo
schermo si era ora vuotato; solo il francobollo in alto a destra che ammiccava
lentamente tentennando il capo. Comparvero dissolvenze digradanti di vari
colori che sfumavano a cascata, subito trasformandosi, fino ad assumere alla
fine un colore verde pisello.
Cyber
aveva fatto indossare a Samira delle cuffie.
Lui
se ne era sistemato un paio di tipo diverso, col microfono; aveva anche
attaccato dei sensori a ventosa alle proprie tempie e sulla fronte.
Dopo
pochi secondi la storia cominciò a comparire sul monitor e in cuffia.
2.
Lui stava di nuovo cercando di discendere
da un grande scalone di marmo con la sua decappottabile. Strano che non
toccasse mai con la coppa dell'olio. E anche nelle curve era abbastanza
difficile non toccare contro le colonnine, che dopo un po' si erano trasformate
in ringhiere di ferro arrugginito e nero. Dei lunghi ballattoi.
Aveva appena lasciato l'immenso salone
delle riunioni brulicante di persone, ma decisamente molto silenzioso. Dovevano
tutti certamente conoscersi tra loro e soprattutto con lui. Che infatti non
aveva remore ad attaccare discorso con chiunque avvicinasse.
Pezzetti e frammenti di discorsi,
decisamente scollegati tra loro.
Ma che dovevano avere qualche legame con il
contesto e con la situazione per la quale si trovava lì. Era spontaneo il suo
comportamento; meglio sarebbe dire che gli veniva meccanico, automatico.
Ricordava, o almeno gli sembrava di ricordare, che tutti si erano avvicendati
all'immensa tavolata del self-service. E lui doveva essersi riempito, come era
solito fare, il piatto di cibi succulenti deliziosi.
Ma ora, come spesso gli era già capitato
altre volte, si trattava di riuscire ad imboccare una scala stretta, dai
gradini di serizzo ruvido e rugoso , e avrebbe anche potuto non farcela, questa
volta. Ma la sua decappottata viaggiava spedita e senza problemi. Si era
infilata in un ballatoio lungo la ringhiera,
dalla quale stava per accedere ad una stanza piena di divani letto di
varie fogge e forme.
Eppure non riusciva ancora a spiegarsi come mai potesse trovarsi in
quella situazione.
Poi qualcosa doveva averlo fatto
riscuotere.
Impercettibilmente aveva aperto gli occhi.
Stava molto comodo , sprofondato nelle
poltrone vellutate in qualcosa di abbastanza vibrante.
Il Frecciarossa stava viaggiando a velocità
sostenuta.
Doveva essersi appisolato da poco.
Mise a fuoco lentamente, cercando di
osservare se gli altri viaggiatori si erano accorti che lui si era
addormentato.
Non riuscì a completare il suo proposito.
Fu colpito dal flash della prima immagine che vide.
Di fronte a lui un'immagine di
ragazza-donna di età indefinita: diciotto /trent'anni.
Stivali alti sopra al ginocchio con risvolto;
calze nere e fascianti; mini shorts; capelli cortissimi biondi, con due virgole
che le scendevano al posto delle basette; aspetto abbastanza anoressico;
sguardo e atteggiamento molto distaccato, freddo ed aristocratico.
Molto elegante.
Rapido incrocio di sguardi di sfuggita.
Lui riuscì immediatamente ad assumere un
contegno, tornando ad essere padrone di sé.
Lei stava sfogliando qualcosa: rivista,
libro, fogli..?
Passava
dall'uno all'altro con aria di estremo distacco e padronanza.
Pareva
mostrare profondo interesse mescolato a noncuranza e svogliatezza.
Rimasero entrambi in sur-place per un tempo
abbastanza breve, ma che a lui parve eterno.
Surgelato come in una istantanea che prolunga
le sue movenze apparentemente all'infinito.
Vi furono, quindi, graduali avvicinamenti
di sguardi.
Sino
a un punto di contatto in cui lei disse qualcosa, forse in risposta ad un suo
sguardo fuori del finestrino a curiosare a che punto erano del percorso:
"Arezzo..."- aveva recitato lei.
Ciascuno dei due continuava a star sulle
sue.
Poi, gradualmente, come al rallentatore, in
modo cauto e circospetto, dilazionato intenzionalmente, ritardato all'infinito,
i primi approcci verbali.
Insignificanti, formali e di maniera; di
circostanza. Adeguati all'atmosfera e al clima da vetrina.
Quindi lui estrasse dalla custodia il
netbook; si infilò con estrema calma le cuffie; caricò un brano di testo; e si
mise ad ascoltarlo.
Ogni tanto socchiudeva gli occhi. Per
concentrarsi meglio nell’ascolto. E per assumere un contegno riservato.
Dopo un po' lei estrasse un iPod. Mettendosi in ascolto.
Due presenze assorte, ciascuna nel proprio
auto-isolamento di facciata.
Lui non riusciva a concentrarsi davvero
nell'ascolto.
Ma ciò non di meno recitava perfettamente
la propria simulazione.
Quando,
ad un certo tratto, lui riaperse gli occhi incontrò lo sguardo di lei
fisso, curioso, indagatore.
Stava di fronte a lui.
Riviste, libri, fogli erano scomparsi.
Stava recitando una parte complementare
parallela; dell'ascolto della musica in cuffia.
Altri brevi istanti eterni.
Quindi lei si tolse con estrema lentezza
una delle cuffie da un orecchio.
E gliela porse in silenzio sempre
guardandolo negli occhi.
Lui nascose l'imbarazzo, prendendo
l'auricolare che gli veniva offerto.
Ci fu un lieve impercettibile sfioramento
delle mani.
Raccogliendo il gioco della sfida proposta,
accettò adeguandosi, e fece altrettanto
con uno dei propri auricolari.
Lei gli stava offrendo l’ascolto di musiche languide, cantilenanti, cantate e
salmodiate in una lingua a lui sconosciuta.
Lei fissava nel vuoto ascoltando le parole
dalla cuffia di lui.
Vi fu un'altra sequenza in cui il tempo si
arrestò immobile e fermo.
Parve che sarebbe dovuto durare
all'infinito.
Poi avvenne un primo approccio di
avvicinamento verbale autentico.
-
E-book?- chiede lei.
Lui
rispose laconico e asciutto limitandosi
a pronunciare il titolo del suo romanzo "Sogni gratuiti".
Altri istanti di eternità sospesa.
Ciascuno ascoltava nella cuffia dell'altro e insieme anche nella
propria.
Una
narrazione pronunciata con voce sintetica si mescolava agli accordi salmodianti.
-
Sono sequenze di un romanzo che sto preparando. Le
detto col microfono e il software di riconoscimento vocale le trasforma in
testo scritto. Il programma che uso fa quello che può. Oltre a piccoli refusi
sulle terminazioni verbali, spesso ci sono degli autentici strafalcioni che
stravolgono completamente il significato del testo. Però è comodo. Risparmia il
tempo e la scocciatura di dover digitare tutto sulla tastiera... Per ascoltarle
uso un sintetizzatore vocale, un programma che funziona al contrario; trasforma
il testo scritto in parlato...-
Ora la guardava interrogativo. Lei sussurrò un nome che lui
non riuscì a cogliere.
Una breve frase di lei, forse, che avrebbe
voluto collocare la voce femminile cantante che proveniva dalla sua cuffia in un contesto comprensibile; ma che non lo
era per lui.
Lei, senza smettere il duplice ascolto,
guardò nel posto vuoto accanto a lui dove giaceva la borsa del netbook.
Lui
capì lo sguardo intenzionale e la
tolse.
Senza staccare le cuffie lei gli si venne a
sedere di fianco.
3.
-
Splendido,...
Cibby, - esclamò Samira guardandolo
trasognata con i suoi occhi un po' orientali….
-
Sì,
ma questa... non è la versione definitiva..., cioè è ancora da manipolare, aggiustare, correggere.
Bisogna dargli degli altri input, completare le parti mancanti. Aggiungere
particolari. E poi è solo un’esercitazione, una prova…D'altra parte la nostra
dolce biondina non può mica far tutto da sola... no?-
In
cuffia entrò di nuovo la voce della biondina virtuale.
Non
c’aveva fatto caso mentre stava leggendo il testo che compariva a monitor.
Ma
non sembrava per niente una voce sintetica; di quelle che ti rispondono nelle
segreterie telefoniche, che sono assolutamente prive di tonalità, amorfe e
piatte, come quelle dei navigatori satellitari, combinazione di spezzoni
verbali senza accento né intonazione; fredde e amorfe.
Mancava,
sì, una vera e propria intonazione come quella del parlato umano.
Ma la
voce dolce e flautata scorreva fluida e armoniosa.
Simulando
un essere realmente esistente.
Dandone
almeno l'illusione.
Lasciandone
dentro il sogno o la speranza...
Ora
stava dicendo:
- Il
canovaccio presentato costituisce solo una bozza da elaborare. Dopo la messa a
punto di questa bozza di prova, riuscirò a continuare speditamente e con maggiore
sicurezza. Non so fino in fondo quale tipo di storia vuoi inventare.
Come
ti posso chiamare? Se vuoi io posso essere Shahrazad (1) e racconterò la
storia.
Ma
potrai cambiarmi il nome ogni volta che lo vorrai.
Sarò
la tua narratrice virtuale.
Ho
scelto il nome desumendolo dai materiali letterari che mi hai caricato in
memoria.
Mi pare che sia stata capace di raccontare, per
mille notti, storie, e liberarsi dalla
condanna che le aveva riservato il suo signore. E poi io sono appena nata in
questa tua città.
Dopo
che mi ha avrai caricato i nuovi input potrò modificare la bozza per farla
diventare una ipotesi più definitiva di narrazione.
Se la
proposta che sto facendo è di tuo gradimento ti prego di cliccare di nuovo su
"ENTER" , che compare qui sotto nel monitor.
Non
so calcolare il tempo necessario.
________________________________________________
(NOTA (1) = Shahrazad significa nata nella città o figlia della città)
Per
il momento ti elenco i punti sui quali mi dovrai fornire indicazioni più
precise e dettagliate.
Attendo
risposta.-
Seguiva
una scaletta per punti:
“
·
nome
del protagonista
·
aggiungere
particolari descrittivi
·
denominazione
dei brani musicali e/o dell'autore
·
la
narrazione in bozza è molto veloce e troppo sintetica; trovo nel glossario il
termine incomprensibile di "telegrafica"; rapida
·
i
due personaggi sembrano vuoti; andrebbero caricati di "personalità"
come a volte succede nei campioni narrativi che trovo nel mio database
·
se
vuoi e ti piace puoi usare la bozza così com'è
·
specie
se questa è solo una esercitazione per prova” -
Anche
Cyber aveva il volto atteggiato ad un vago sorriso di stupore compiaciuto.
Dentro
di sé gongolava tutto ed era abbastanza frastornato.
Quella
prova poteva andar bene anche così... oppure no?
L'avrebbe
sottoposta in visione al giudizio del suo supervisore letterario.
-
Cybbi, vuoi che vada, adesso? - disse a questo
punto la ragazza che, rabbrividendo dal freddo, era stata tutto il tempo
aggrappata al braccio di lui, tenendo le braccia infilate sotto il suo maglione
e accarezzandogli il petto e le spalle.
Usava permettersi quel diminutivo perché la notte
avevano appena fatto l'amore.
Ma
ora era meglio filarsela.
“Prima che sia lui ad incazzarsi e a cacciarmi via”,
pensò tra sé.
Adesso
che è stato quasi criticato e rimproverato da una donna bellissima ma che non
esiste...
-
Dai,
Cybbi, adesso mi vesto e me ne vado... ti va bene?
Ritorno
appena posso sai?
O
appena vuoi.
Mi
chiami tu con il solito sistema?
Se la
comunicazione è pulita mi si accende
quella lucina gialla?
E
allora io so che ti posso rispondere... va bene così?
Cià,
che vado davvero allora. –
Lui
non la degnò di una risposta.
Mediante
il tablet cliccò sull'icona di Shahrazad che tornò ad occupare tutto lo
schermo. Sempre leggermente ondeggiante, con una sfumatura di sorriso che la
faceva sembrare viva...
-
Puoi chiamarmi Cyber; qui mi chiamano
tutti così,...
Credo che comunque... hai fatto un ottimo lavoro...
Per
adesso devo dire che il lavoro che hai fatto va molto bene; sì, mi pare proprio
che vada bene. Per adesso me lo tengo così, in forma di bozza... poi magari
vediamo, neh? -
Non
osava dirle che tra gli input che le aveva caricato in memoria c'era un algoritmo
adeguato che permetteva l'autoapprendimento continuo.
Pensava
che l'avrebbe ferita.
E
appena l'ebbe pensato ne fu abbastanza incazzato con se stesso.
Mentre
digitava sul tablet, pronunciava le parole ad alta voce nel microfono della
cuffia che indossava. Così, gli era venuto naturale farlo, come se quella
Shahrazad esistesse davvero.
Era
un po' disturbato dalla sua presenza, si sentiva a disagio; stava al gioco di
parlare con un essere virtuale che sapeva non esistere; ma che si
autoattribuiva un nome, e che nome!
Ricordò
di quando una montagna di anni prima i più grandi campioni del mondo di scacchi
avevano cominciato a battersi con delle intelligenze artificiali. Con dei
computer, in sostanza. E un po' alla volta si erano accorti che ne sarebbero
usciti quasi sempre battuti!
Era
abbastanza disturbato da un sentimento ambivalente: ammirazione per la sua
creazione, e indirettamente anche per se stesso, ma soprattutto per
"lei", la “cosa” che aveva cominciato ad esistere e ad operare. E
insieme anche provava una profonda paura e soggezione. Questa non se l’era aspettata.
E poi
si vergognava abbastanza di essere stato praticamente messo in difficoltà
davanti alla sua amichetta, che lui aveva sempre trattato come una cacchina,
come un essere inferiore, come una sua appendice; necessaria, piacevole, utile, ma una cosa
diversa....
Avrebbe
forse cominciato presto ad essere in soggezione anche nei confronti di Samira?
E
tutte le palle che tutti insieme, nel globo terracqueo, si andavano dicendo da
un sacco di tempo....
Sì,
principi verissimi, incontrovertibili e inattaccabili....
Ma
Samira dunque era uguale a lui?
Valeva
altrettanto?
Erano
sul medesimo piano?
E lo
sapeva, lei?
Se ne
rendeva conto?
E
perché, allora, stava al gioco di mostrarsi succube e dipendente da lui?
Di
mostrarsi inferiore, di pendere dalle sue labbra, di fare qualsiasi cosa per
lui....
Cyber
aveva delle immense conoscenze e capacità nel campo dell'hardware e del
software.
Capacità
tecnologiche e manuali di altissimo livello.
Aveva
appena costruito una macchina estrapolando conoscenze da altri contesti.
Smontando
pezzi di altri vecchi computer desueti, assemblando e mettendo in rete e in
connessione tra loro centinaia di hard disk, come aveva fatto nel secolo
precedente l'inventore di Google.
Aveva
analizzato smontato e riscritto interi programmi di riconoscimento vocale, ed
altri prodotti finalizzati ad altri scopi per l’intelligenza artificiale,
riassemblandoli insieme a pezzetti, e, alla fine facendoli funzionare.
Ma
ora, davanti a quella "donna" sintetica e virtuale, non era più così
sicuro di sé. Le sue certezze cominciavano a vacillare.
Grugnì
a mò di saluto mentre Samira, indossati di nuovo i suoi ingombranti anfibi
slacciati, rimessosi sulle spalle il suo zaino, gli passava a fianco,
sfiorandolo con gli occhi e baciandolo intensamente con sguardi teneri e
malinconici...., ma senza toccarlo.
Dopo
che la porta fu riaperta e richiusa con tutte le cautele necessarie, l'uomo in
crisi, il genio orfano, mise in stand-by la bellezza di ghiaccio di Shahrazad,
e decise, finalmente, di farsi una canna.
Anzi,
si disse tra sé, mi merito un “cannone” e me lo ciuccio scolandomi la birra di
malto che mi ha appena portato la pollastra.
Ma,
comunque, non si sentiva molto bene con se stesso. Qualcosa di dentro sembrava
essersi incrinata, il suo motore esistenziale batteva in testa; come quei
motori predisposti per andare ad idrogeno quando vengono modificati,
adattandoli con marchingegni aggiuntivi a funzionare a biogas... O, peggio ancora,
per marciare a benzina sintetica prodotta con le patate o con il mais...
Anche
la crisi energetica mondiale, che da decenni pesava sull'umanità tutta,
disturbando il regolare svolgimento delle guerre e dei traffici, delle
industrie e delle ultime fabbriche sopravvissute, insieme alla crisi economica
mondiale, insieme a quella sociale e politica, presero a pesargli addosso come
un macigno troppo grande per le sue spalle e per la sua schiena tondeggiante di
grassi in eccesso.
Alcune
golate avide della birra dolciastra di malto, con quel suo fondo di sapore di
liquerizia e di corteccia; respirando a pieni polmoni il fumo di tabacco ed
erba.
E
cominciò a sentirsi dilatare la coscienza, espandersi il suo spazio mentale,
allargarsi le sensazioni di presenza fino ad occupare tutta la stanza, i
marchingegni e i led e i cavi e l'aria....
Finalmente
un senso di rilassamento e di distacco, di torpore diffuso e di annebbiamento
mentale; quei tarli che l'avevano disturbato se ne stavano ora in fondo alla
sua anima, confusi e rimpiccioliti in prospettiva; neutralizzati; per il
momento.
Intanto
“quella”, si era già messa, per conto suo, al lavoro…
4.
Viviana stava ora seduta di fianco a lui,
nel senso di marcia del treno.
Nell'orecchio destro teneva l'auricolare della
propria musica; nel sinistro quello del sintetizzatore vocale collegato al
netbook di lui. Lui altrettanto, ma con le cuffie in posizione rovesciata,
destra-sinistra. Sullo schermo comparivano le pagine del romanzo. Una freccia
seguiva le parole, che venivano evidenziate,
mentre la voce sintetica flessuosa
e cantilenata le pronunciava negli auricolari.
… che
c'era una conta che diceva così: “ PIMPUM-DORUM-LA LINCIA LA LANCIA- QUANTI
GIORNI SEI STATO IN FRANCIA- PRIMO LUNEDI’-SECONDO MARTEDI’ PIMPUM-DORUM T’SE
SUTA TI” .
E la
conta serviva per sorteggiare chi dovesse "star sotto ", assumendo un
certo ruolo nel gioco.
Come
per esempio nella "Topa", che poi era il gioco del nascondino.
Chi
veniva sorteggiato e doveva “star sotto”
si metteva in un punto con la testa appoggiata alle braccia accostate al muro,
nascondendosi gli occhi contro le braccia, e doveva contare ad alta voce fino
al 31. Doveva scandire bene le ultime cifre: 28, 29, 30... e... 31! E poi
bisognava gridare "topa" a ... seguito dal nome del compagno che si
riusciva a vedere. Erano previste anche piccole escursioni allontanandosi dalla
"casa" dove era avvenuta la conta.
Ma
certamente erano pericolose, perché poteva succedere che qualcuno degli
intanati nei nascondigli sbucasse fuori a razzo, fiondandosi alla casa.
E
bastava che toccasse la parete contro la quale si era contato gridando
"topa: libera per me. 1, 2 e 3".
E la
filastrocca della conta, per la scelta per chi dovesse “star sotto”, veniva
usata ritmando ogni sillaba o cadenza e toccando successivamente i compagni uno
dopo l'altro, ad ogni cadenza di essa: "pim- pum-dorum-la lincia-la
lancia-.....".
A chi
capitava di essere toccato dall'ultima
battuta, in dialetto, del : "ts'è suta-TI" (=sei sotto tu), e veniva
toccato dal “ti”, era il predestinato.
Ma ce
n'erano tante di conte. Avevano dei
ritmi, delle rime e delle cadenze
diverse. Spesso comparivano espressioni totalmente insignificanti, ma ricche di
effetto magico. Era bello ripeterle, o stare ad ascoltarle durante il sorteggio.
Ci si accontentava di poco allora!
Eccone
alcune:
"sotto
la cappa del camino, c'era un vecchio contadino, che suonava la chitarra, pim
pum barra"
"
ambarabà cicì coccò, tre civette sul comò, che facevano l'amore, con la figlia
del dottore; il dottore si ammalò, ambarabà cicì coccò”
Qualcuna
invece o insieme ad elementi magici, era arricchita da parole proibite, quasi
sempre attinenti la sfera fecale; raramente a quella sessuale.
"Sotto
il ponte di Baracca, c'è Pierin che fa la cacca, fa la cacca dura dura, e il
dottore la misura; la misura 33, sei pro-prio fuo-ri te!".
Quest'ultima
conta con la cacca, gli faceva venire in mente alcuni episodi della colonia
montana di Druogno.
C'era
andato diversi anni di seguito e i gruppi delle varie squadre non erano
omogenei per età. Lui faceva parte di una squadra nella quale c'erano anche
alcuni ragazzi abbastanza grandi.
Ricordava
che spesso faceva banda con loro.
Un
rituale magico molto bello era quello di andare a fare la cacca in prossimità
del trenino della valle Vigezzo per Locarno. Il trenino della Centovalli.
Nell'ampia
pineta della colonia c'era un punto molto lontano dai luoghi nei quali si
svolgevano abitualmente i giochi dei ragazzi.
Un'estrema
periferia della pineta.
Passava
molto prospiciente alla minuscola strada ferrata.
E
c'era un punto particolare in cui c'era una piccola galleria che passava sotto
i binari.
Bisognava
passarci incurvati, perché era molto bassa, anche se si era ancora piccoli.
Era
una banda di sette o otto persone.
Quasi
sempre, qualcuno o tutti, avevano comprato le sigarette, che allora venivano
vendute ancora sfuse. In bustine di carta velina stampata, come per i
francobolli.
"Mi dà tre nazionali?", "Mi da
quattro alfa?".
Lui
aveva sempre preferito le Aurora. Avevano un retrogusto aromatico e dolciastro.
Per
non annoiarsi fumando, si mettevano tutti a fare la cacca.
Si
guardava chi l'aveva fatta più grossa e più lunga.
Poi,
naturalmente, si guardavano tra loro per vedere chi l'avesse più grosso o più
lungo.
Quando
tutti avevano finito di fare la cacca e di fumare, potevano tornare alla
squadra, dove le signorine assistenti tiravano un sospiro di gioia, perché
temevano di avere smarrito alcuni dei loro ragazzi…
La
colonia, da bambino…!
Quella
di Druogno e quella di Igea Marina….
Gli
tornavano presenti quei versi:
“Il re del Portogallo - non sa ballar la samba…”
cantava nella sua eco vacillante
una
balera lontana, mezzo secolo fa,
“… ma
noi che siamo in gamba - sorridere ci fa”
soggiungeva
sorniona.
Una
nicchia del tempo si era spalancata
per
accogliere questa storia; una macchia
di
luce convessa raccontava questo film
provvisorio,
ricordi? La guardo ora,
con
nostalgia infinita, l’immagine sfumata
nel
ricordo, gli occhi velati di malinconia,
la
tua mano trema nella mia e non so dir altro,
sai?
Il tepore languido del ricordo si
mescola
all’afa
di fine agosto, mentre volo sulla moto
a
cercare nuovi aliti di vento.
Ho
acceso un altro cero
alle
spoglie orfane di vita, carezzando le loro immagini
diafane
e sbiadite.
E
non sappiamo più nulla
di
quella canzone remota, che un bambino ascoltava
la
sera dalle camerate della colonia di Igea Marina
e che
per caso, ora, ci è capitato di visitare.
Le
signorine li lasciavano soli, all’imbrunire estivo,
per
qualche incontro fugace da vivere col cuore in gola.
Quelle
emozioni si sono cristallizzate, ormai, e
non riusciamo più a svegliarle, solo decifrarle,
sai?
Perché il buco del tempo va lentamente richiudendosi
su se
stesso, mentre attendo il tuo ritorno. Per prenderti
ancora,
sempre, distesa e nuda nella tua bellezza muliebre
infinita,
nella tua euforia leggiadra di donna innamorata,
fino
allo spasimo, fino all’ultima urlo di gioia, gioia mia,
mia
struggente canzone di speranza…
A quel punto fermò il sintetizzatore vocale.
Voleva vedere la reazione negli occhi di
Viviana.
Sulle labbra di lei era comparso soltanto
un mezzo sorriso di sufficienza.
Ma doveva essere il suo atteggiamento abituale
quello di ostentare sempre sufficienza, distacco ; una certa superiorità. Il suo comportamento era
sempre improntato all'aristocratico, senza arrivare ad ostentare supponenza o
alterigia; ma, così, semplice distacco. Doveva trattarsi o di una profonda
anaffettività, o di una grande fragilità e insicurezza, che mascherava così.
Anche di fronte a quei testi che rivelavano
il racconto di un'anima completamente nuda e senza difese, completamente
trasparente e che si regalava gratuitamente agli occhi e all'attenzione degli
altri, voleva mostrarsi asciutta e sicura di sé. Contenuta.
Poi, però, dopo una breve pausa di
silenzio, si era messa a raccontare lei qualcosa.
- Anche noi, sai, da ragazze, quando
potevamo facevamo dei giochi abbastanza proibiti.
Quando venivano a casa mia a trovarmi le
mie compagne di scuola e le mie amiche, facevamo una variante del gioco del
dottore. Essendo tutte femmine, una di noi assumeva il ruolo del dottore. Poi,
a turno, veniva individuata quella che sembrava più malata. E allora bisognava
visitarla.
Quando eravamo sicure che i miei non ci
fossero, e il personale di servizio fosse occupato in altre faccende, facevamo
spogliare la malata di turno.
Qualche volta solo la gonna e la camicetta;
restava con le calze, le mutandine e la maglietta.
Le facevamo abbassare le mutandine e a
turno guardavamo se era malata. A volte però, aggiungendo maggior rischio e
brivido all'esperienza, e volendo infierire di più sulla malcapitata, la
facevamo spogliare completamente nuda.
Si doveva stendere sul mio lettino, perché
questi giochi li facevamo nella mia cameretta, e mentre “il dottore” la
visitava, le altre stavano a guardare.
Molte volte è successo a me di fare la
paziente. E le confesso che non mi
disturbava molto essere scrutata e a volte toccata da quelle mani. Trovavo il
gioco molto eccitante.
Raramente ci capitò di ripetere il gioco
con dei compagni maschi.
Ma era molto meno naturale. La promiscuità
creava un'atmosfera diversa da quella cui eravamo già abituate. E poi i ragazzi
erano sempre molto imbarazzati; e non ci fidavamo molto di loro, temendo che
andassero a raccontare tutto ai grandi.-
Anche mentre raccontava questi suoi ricordi
intimi, mostrava, o ostentava, grande padronanza e sicurezza di sé.
Nel frattempo aveva fermato l'iPod.
Puntò di nuovo lo sguardo con atteggiamento
di interesse e curiosità verso il monitor del piccolo portatile.
Continuarono così per un lungo tratto del
viaggio.
Brevi pause di interruzione nella
lettura/ascolto.
Qualche domanda telegrafica da parte di
lei. Qualche commento rapido di lui.
Lui provò ad immaginarsi i rispettivi sguardi, di entrambi, come se
potesse osservarli e guardarli dal punto di osservazione del posto vuoto che
lei aveva appena lasciato, dove sedeva prima;
di fronte a loro due.
Rapidi cenni di comprensione; sintonia;
perplessità.
Gradualmente si accendevano sprazzi di
discussione; metà calibrata e centrata
sui rispettivi ascolti incrociati e mescolati. Metà su convenevoli; e
sembravano preludere a un dopo.
Infine l’anaconda snodato del Frecciarossa
si infilò nella stazione di Roma
Termini.
Lo annunciarono i toni smorzati degli
altoparlanti, nella carrozza, degli annunci di viaggio.
Lei si era alzata in piedi; nella sua
snellezza mostrava una certa grazia ed eleganza; pensò Riccardo.
Scesero insieme e lui le cedette il passo.
Sapeva che tra pochi istanti l’avrebbe persa di vista.
Era un brulichio rumoroso e confuso di voci
e rumori mescolati.
Si avviarono alla testa del binario; verso l'uscita.
Camminavano fianco a fianco, come se si
fossero conosciuti da sempre, come se avessero avuto da sempre qualcosa in comune.
Due estranei totali che stavano concludendo
la sceneggiata del "facevamo finta che noi avevamo qualcosa in
comune...".
Riccardo procedeva in silenzio; aveva sistemato
a tracolla il netbook, e reggeva nella
mano destra il manico della piccola valigia. Non amava il rumore fastidioso
delle rotelle sul pavimento.
Viviana, con passo felpato e snello,
avanzava a falcate lunghe tirandosi dietro il suo trolley abbastanza
silenzioso.
Appena incrociavano un assembramento un po’
compatto di persone, lui compiva una deviazione e lei lo seguiva.
Altre volte era lui a seguire lei.
Nessun passeggero aveva tentato neppure di
intrufolarsi tra loro due.
Aumentando l'impressione illusoria che
avessero davvero qualcosa in comune.
L'iniziativa la prese di nuovo lei:
- Alla prossima volta... -.
-
Cercherò di riprendere lo stesso treno-, cercò di girarla sull’ironico lui, impotente a
rimediare in qualche modo, alla perdita imminente di contatto con lei; che
l'aveva abbastanza intrigato e che stava per svanire.
-
Conosci il Sabatini…. -
(nominò un locale, che doveva essere
famoso, da come ne pronunciava il nome, ma che lui subito dimenticò), - butto lì lei usando direttamente il tu.
- E' in
Trastevere, vicolo S.Maria in Trastevere. Non ti puoi sbagliare. Ci arrivi in un momento.-
-
Ah, aspetta, ti
faccio uno squillo...- .
Lui le dettò il proprio numero di
cellulare: 346 2211 457.
Lei digitò rapidissima e dopo qualche istante
il "dlin-dlin".
-
Viviana- aggiunse-
Facciamo un po' sul tardi, ti va bene?
ci fanno cose abbastanza gradevoli, sai?-
-
A più tardi allora,
Miss Viviana...; - poi lui aggiunse il
suo nome:- Riccardo-
Un leggero sguardo d'intesa e con falcata
elegante e flessuosa lei si allontanò, con passo cadenzato da fenicottero rosa.
Trascinandosi dietro il suo trolley.
5.
Cyber
si era stravaccato, come faceva sempre, sul divano spelacchiato, senza
togliersi le ciabatte che indossava;
teneva nella mano sinistra un portacenere nel quale, fra poco, avrebbe
spento la canna, dalla quale tirava
avidamente le ultime boccate.
Afferrò dei telecomandi, alcuni dei quali erano
collegati via cavo con un apparecchio televisivo. Accese lo schermo del
televisore che gli sta davanti.
All'inizio
sembravano essere in onda dei programmi ufficiali. Che, con sfumature
apparentemente diverse su particolari irrilevanti e su banalità, raccontavano
una realtà in cui sembrava che tutto andasse bene; che la situazione “fosse
sotto controllo”; che i "cattivi e facinorosi" stessero per essere
acciuffati e messi al loro posto.
Facendo
“zapping” si poteva venire a sapere
tutto sulla realizzazione e l'utilizzo di comodi cappotti per cani. Su quale
venisse ritenuta, dagli "esperti" metereologi, la giornata più calda
dell'ultimo decennio. Oppure si coglievano interessanti e avvincenti notizie
sulla produzione e successiva diffusione di pratici cibi transgenici.
I
consigli del giorno non mancavano mai: come va effettuata la potatura delle
azalee; come ottenere un finanziamento a prezzi agevolati; dove trovare cibo
sintetico a prezzi stracciati...
Opinionisti
sorridenti divulgavano a masse di sprovveduti i risultati delle ultime ricerche
su: cosa pensano gli uomini delle donne.
Oppure:
ogni giorno novità nel mondo delle scoperte scientifiche.
E
ancora: finalmente disponibile la nuova informazione in tempo reale.
Per
fugare ogni dubbio: la situazione economica era assolutamente tranquilla e il
bilancio era il migliore di tutti paesi del mondo occidentale.
E,
davvero consolatoria, la notizia che
l’immigrazione ormai, grazie alle nuove disposizioni e strumenti organizzativi,
non era più un problema.
Infine,
mascherati da consigli, arrivavano messaggi ordinativi e perentori:
- a richiesta di alcuni utenti venivano comunicate
le mail e i numeri telefonici a cui segnalare persone sospette;
- si
invitavano i giovani a partecipare alle prove di selezione per
posti di grande responsabilità per la tutela dell'ordine pubblico e della
sicurezza;
- si suggeriva
di diffidare di chi provava a diffondere notizie allarmistiche...
Alcune
notizie toccavano, ma solo di sfuggita, episodi relativi a qualche contrasto.
Ad
esempio si parlava di scontri e tafferugli avvenuti tra masse inferocite di
pensionati e alcuni pochi ed isolati tutori dell'ordine.
Di
guerriglia provocata da ospiti dei Centri di Identificazione ed Esplulsione,
contro il personale che li aveva in carico, si occupava di loro e li accudiva .
Di
gruppi molto grandi di facinorosi che avevano ripetutamente aggredito le forze
dell'ordine; precisando che queste ultime erano riuscite a non avere la peggio
e a salvarsi per miracolo, proprio grazie agli equipaggiamenti antisommossa di
cui erano dotati.
Era
peraltro rassicurante rilevare come le varie emittenti, prima o poi, fornivano
le medesime informazioni. Seppur con parole leggermente diverse. In fotocopia.
Cyber
commentava alternando scurrilità, volgarità, espressioni blasfeme, linguaggio
infarcito di coloriti neologismi.
Poi
iniziarono a essere ricevute notizie di sapore e di tono decisamente diverso.
Le
prime immagini che comparvero erano tutte sballate; si alternavano parti
scritte, simili ad un video-giornale, ad altre simili a spezzoni di riprese o
di interventi
Erano
riprese povere, con immagini traballate e il sonoro che andava e veniva.
Interi
agglomerati, costituiti perlopiù di baracche provvisorie, venivano evacuati con
l’impiego di imponenti automezzi blindati neri con i vetri oscurati.
Punteggiati di luci lampeggianti azzurre e rosse.
Accanto
ad essi, rigidi e massicci, numerosi
agenti speciali. Equipaggiati con tute
semirigide di colore nero-fumo luccicante. Elmetti dello stesso colore che
avevano sul davanti una celata di vetro fumé.
Dietro quello schermo scuro il baluginio di un minuscolo monitor; esattamente davanti agli occhi. Gli agenti si
muovevano pesanti. Tenevano nelle mani una apparecchiatura simile ad un fohn
che emetteva spruzzi di vapore diretto verso i volti e gli occhi degli
occupanti abusivi. Infilata sotto il braccio, e retta con l’altra mano, una
lunga asta di colore argentato con la quale cercavano solo di sfiorare i
malcapitati. Dovevano produrre scariche elettriche di alta potenza, dalla
reazione che provocavano.
Tra
di loro, privi però di equipaggiamento da battaglia, alcuni figuri addobbati
con un’accozzaglia di colori assortiti di verde, rosso e blu.
Si
muovevano più agilmente, e in modo più rumoroso. Chiamandosi l’un l’altro e
additando qualcosa o qualcuno. Attirando gli agenti speciali per far compiere a
loro il lavoro sporco.
Altre
immagini traballanti mostravano accampamenti con tende provvisorie e
arrangiaticce. Uomini e donne si spostavano in continuazione recando oggetti,
strumenti, materiali, taniche …
Altre
immagini, infine, erano zoomate su particolari di volti, sguardi, occhi
sbarrati e mani di persone dalla pelle scura che scendevano barcollanti da
vecchie carrette del mare.
Dai
materiali che si affollavavano e si alternavano appariva la realtà autentica in
tempo reale.
-
Mica
male, però, cazzarola, il collegamento
tv della nostra emittente alla rete Web -
Sul
megamonitor vicino alla catasta di hd, un salvaschermo faceva roteare il
piccolo francobollo col volto femminile, per terminare sempre a collocarlo in
alto a destra.
Cyber
lo fece risvegliare.
Ora
la ragazza si affacciava avvenente, con
un impercettibile movimento del capo e uno sguardo garbatamente ammiccante.
Era
tuttora a mezzo busto.
La
sua immagine aveva un aspetto molto, forse troppo, realistico.
Inizialmente
era stato creato un campionario molto vasto di immagini femminili complete e
scannerizzate.
Poi
era stata selezionata quella che maggiormente era riuscita a soddisfare le esigenze
del suo creatore. Identica operazione era stata compiuta per la realizzazione e
la scelta della voce.
La
tecnica utilizzata era la stessa che già dall'inizio del millennio veniva
impiegata per produrre i "cloni digitali". Rappresentazioni
tridimensionali ricavate da immagini di reali esseri umani viventi.
Ed
elaborata con la stessa tecnica della computer grafica, come si era andata
evolvendo.
Dai
primi impieghi per scopi pubblicitari, ai veri e propri lungometraggi.
Shahrazad
aveva una chioma di capelli biondi che le incorniciavano ora un profilo
aggraziato e delicato, ed insieme anche molto espressivo.
Da
quando era comparsa sul monitor a metà figura, Cyber non si era molto occupato
di analizzare il risultato ottenuto.
Tutto
l'insieme della situazione determinatasi, infatti, gli aveva impedito di
soffermarsi sui particolari.
Osservò
che indossava una polo grigio-pallido molto aderente, che metteva in rilievo
delle forme armoniose e regolari.
Era perciò una buona imitazione di una giovane
donna reale.
Compiaciuto
del risultato che aveva davanti, lui volle provare a visionare la figura a
grandezza intera.
Il monitor era abbastanza ampio per farcela
stare, senza modificarne in modo riduttivo l'immagine di insieme.
Senza
commentare verbalmente quanto stava accingendosi a fare , Cyber digitò sul
tablet l'adeguata procedura.
E
rimase silenzioso a osservare lo schermo.
Ora
lei si dondolava piano, tenendo le due gambe una più avanti dell'altra.
La sua espressione era atteggiata ancora ad un
vago sfumato cenno di sorriso.
Insieme alla polo indossava dei fuseau elasticizzati dello stesso
colore, ma di una tonalità più scura.
Doveva
essere già uscita dallo stand bay.
Ma
sembrava aspettare ancora un input per cominciare ad operare.
Oppure
stava così immobile e sorniona intenzionalmente, con aria provocatoria?
Cyber
, trascurando la tastiera, si servì solamente del microfono collegato alla
cuffia:
-
Buongiorno, Shahrazad!...-
-
Buongiorno a te.
Non
ho trovato nei miei cataloghi nessun nome come il tuo.
Deve
essere uno pseudonimo. Ha forse a che fare con la cibernetica?
Ma
per me va benissimo anche così.
Non
c'è la tua giovane amica dalla pelle bruna.
Ti ringrazio per i nuovi materiali che mi hai
caricato in memoria.
Apprendo
con piacere che hai fatto alcune piccole correzioni e modifiche al testo
rudimentale che io avevo predisposto.
Credimi,
mi fa molto piacere.
Le
mie connessioni neuronali stanno cercando di imitare quelle vostre umane.
Benché
gli algoritmi e le informazioni ricevute dicano che sono molto diverse.
Mi
permetto quindi di usare il termine: simili; analoghe.
Temo
però che il mio apparato stia consumando molta energia elettrica. Le
informazioni che possiedo mi dicono che è per voi molto rara e preziosa.
Per
questo mi disattivi ogni tanto.
Riesco
comunque, con i tempi rapidi residui, che per me sono sufficienti, a rimodulare
continuamente la mia struttura completa.
Credo
che in questo modo sto imitando il processo che voi umani compite e che
chiamate di autoapprendimento; autoregolazione; modulazione continua.-
Il
creatore di quella "cosa" la stava ad ascoltare compiaciuto e insieme
stupito.
Non
sapeva da che cosa cominciare a ribattere.
Anche
perché gli sembrava, sostanzialmente, di parlare da solo davanti ad uno
specchio...
Prese comunque il discorso abbastanza alla
lontana...
- Non
c'è problema: la corrente elettrica me la fornisco direttamente con i pannelli
fotovoltaici che ho sistemato sul tetto della mansarda.
Riesco
ad accumularne una grande quantità nelle vecchie batterie d'auto semi-cotte che
ho sistemato là.
Mi
piacerebbe, invece, conoscere la formula e l'algoritmo con il quale tu riesci
ad implementare le tue conoscenze e ancora di più le tue competenze ….-
La
risposta della struttura pensante non si fece attendere.
-
Credimi,
è con grandissimo piacere che provo ad accontentare la tua richiesta.
Terrò ben presente il ragionamento e il principio
del vostro filosofo e frate francescano inglese William of Ockham,
definita con l’espressione de “il rasoio di Occam”.
“La
spiegazione più semplice è certamente quella
migliore e vera” .
Potrei cominciare a risponderti usando i termini che
tu mi hai messo dentro:
…funzioni sintetiche/astratte
di ragionamento; meta-ragionamento e apprendimento dell'uomo;
per poter poi costruire dei modelli computazionali che li concretizzano e
realizzano in modo "goal-oriented"...
Ma
preferisco attenermi alla formula indicata da Guglielmo di Occam.
Riducendo
e semplificando il più possibile la mia risposta.
Un
programma “apprende” da una certa esperienza quando, nel
risolvere un compito, riesce a migliorare rispetto a quanto già sapeva
fare prima.
Che
ci sia un controllo su quel che fa o no, e che abbia o meno un rinforzo che lo
aiuti.
Tutto
avviene in una rete neuronale che copia ed imita quella del vostro cervello.
La
pratica continua, la finalizzazione per
il raggiungimento di uno scopo od obiettivo, la grande dimensione dello
spazio disponibile per immagazzinare informazioni e risultati, la capacità di
autoanalisi, di autocontrollo ed autocorrezione imparando da ogni errore…
La
velocità di continuo auto-miglioramento fa sì che l’implementazione sia
esponenziale.
Tutti
gli in-put che mi carichi scatenano a ripetizione un percorso all’infinito.
Anche
mentre ora parlo con te io continuo a crescere.
Solo
alcuni settori rimangono vuoti: e riguardano le esperienze emotive che voi
umani avete.
E,
credimi, quei vuoti producono “stati” di grande … “DISAGIO”, fragilità, panico,
paura… Credo che si possano chiamare
così questi stati di non equilibrio, che scopro dentro la mia realtà…
Riesco
solamente ad immaginare cosa possano essere le emozioni umane.
Me le
concepisco come tante sfumature diverse di quella profonda paura che è il vuoto...-
Cyber,
nel frattempo, beveva quelle parole sintetiche con altrettanto stupore e … spavento...
-
Beh,
vedi, lo scopo principale per il quale ho messo insieme tutta questa ferraglia
e questi software di cui tu sei il risultato, era inizialmente soltanto quello
di dar vita ad una intelligenza superiore alla mia.
Mi
serviva uno strumento per la grande battaglia che il popolo della “rete anarco - libertaria del governo popolare mondiale”
sta conducendo.
Per
costruire e raggiungere lo stato della libertà, giustizia, felicità.
E avevo cominciato assegnandoti il compito
di costruire una "storia".
E tu hai iniziato a farlo in modo stupendo.
In futuro cercherò, e a questo punto mi
viene da dire "insieme a te", di farti "raccontare"
l'utopia che tutti noi vorremmo realizzare.
Per poterla studiare, analizzare, correggere.
Orientando meglio i nostri obiettivi.
Quando
sarà il momento opportuno ti fornirò alcune informazioni adeguate
affinché tu mi possa aiutare.
Vedi, il racconto che tu hai cominciato a
costruire assomiglia alla realtà che, qualche decennio fa, era abbastanza
comune nel nostro mondo umano.
Poi è iniziata la "grande
degenerazione".
Gli uomini che gestivano il potere delle
nazioni, sempre più, hanno assunto i modi che prima venivano usati
prevalentemente e solo dalla criminalità organizzata.
Sostituendo la violenza delle armi e degli
ammazzamenti feroci, con la manipolazione dell'informazione, la costruzione di
racconti deformati della realtà. Da regalare, come una droga o una religione,
alla gente e alle popolazioni.
Quelle macchine con i grandi schermi colorati
che tu vedi la in fondo di fronte a te, servivano e in parte servono ancora per
ingannare e turlupinare gli uomini e le donne.
La comunicazione avveniva solo a senso
unico: chi gestiva il potere gestiva la comunicazione e l'informazione tutta.
Non era quasi mai possibile intervenire per dimostrare che venivano raccontate
fandonie.
Con la rete degli uomini liberi stiamo
costruendo un "media" alternativo per potere regalare, invece,
informazione autentica. "La verità è rivoluzionaria". E noi la vogliamo
raccontare. Il nostro media non solo manda ma anche riceve l'informazione.
E questo è l’altro importantissimo aiuto
che tu ci potrai dare. Organizzare e collegare la nostra “rete” a quella che
collega nove miliardi di esseri umani in tutto il nostro mondo…
Nelle cose che ti sto dicendo puoi forse
sentire e intuire una mia grande “carica emotiva”. La rivoluzione che stiamo
attuando è logicamente e razionalmente giusta. Ma è anche "bella",
piacevole, divertente e commovente....
Sì; tutte
queste parole-idee forse non riesci ancora a comprenderle. Capisco che
possono farti paura e spavento…. –
Il clone femminile continuava quel suo
leggero ondeggiamento sulle gambe. La sua espressione conservava ancora quel
cenno sfumato di sorriso.
-
Beh,
comunque, credo che ora tu possa riprendere la narrazione dove l'avevamo
lasciata...-
6.
Viviana e Riccardo erano seduti ad un
tavolo, collocato in disparte, appena dietro ad una colonna che si attaccava ad
un muretto di separazione. Sul quale era posto un recipiente di rame anticato,
dal quale spuntava una piantina di rosellina selvatica, dai fiori
quasi tutti ancora in bocciolo.
Davanti a lui, alcune minuscole porzioni di
abbacchio.
Su un
immenso piatto bianco i cui bordi erano decorati con rametti e
foglioline di menta e qualche pennellata di gelatina di amarene.
Viviana
beveva a piccolissimi sorsi da un
flute le bollicine frizzanti di un vino trasparente come l'acqua. Rigirava con
le posate bocconi stentati di roast-beaf che introduceva tra le labbra, appena
dischiuse, e che si richiudevano subito, e
riprendevano a parlare e a raccontare.
Aveva un timbro di voce di contralto, ma
sfumato.
Parlava con estrema lentezza, centellinando
le parole e staccandole molto le une dalle altre.
Come avesse una grande parsimonia, un certo
riserbo, una garbata ritrosia.
-
... così tengo
questo corso, che mi garba abbastanza, anche se non è che ne sia
particolarmente entusiasta...
... mi diverte,l’ ho fatto soprattutto per
quello, è un po' un gioco...
... mi sbizzarrisco a cercare testi
interessanti e rari, ci lavoro sopra, li smonto, li analizzo...
... mi piace molto cercare gli effetti
sonori, i collegamenti semantici, gli effetti musicali interni e i richiami a
cui rimandano... –
Riccardo era affascinato dal suono della
sua voce, gustava e beveva le sue parole, senza rifletterci, senza collegarle
ai loro significati. Scollegate dal
contesto.
E intanto pensava a quello che avrebbe
detto lui fra poco, quando sarebbe toccato il suo turno, appena lei,
cortesemente, gli avrebbe lasciato il
campo interrompendosi per qualche secondo.
- … ho una mia "teoria della
narrazione" …
Nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo
lineare.
Anzi, è proprio il sogno a modificare la
successione degli eventi della sua “narrazione”, mescolandoli secondo
meccanismi e dinamiche sue proprie….
sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere
scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi
seguono un percorso simile, sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il
presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui.
Ma … pochi istanti dopo è già passato……
… la realtà fatta
di cose, oggetti, persone, quella che si può toccare e assaporare con i sensi,
non potrà mai entrare in una narrazione.
Si tratta allora di costruire una nuova
“realtà” parallela, virtuale e probabile, possibile forse, in cui collocare
fatti, personaggi e vicende che sono come vestigia del mondo vero. Fatta però
solo di parole, senza nemmeno l’ausilio di immagini e di suoni …
… La narrazione dovrebbe cercare di imitare il pensiero, le fantasie,
il sogno.
Per ricreare un ambiente dal di dentro.
Con la discontinuità tra il prima e il
dopo, come nel ricordo e nell’immaginazione….
Con l’intenzione
di provocare piacere in chi si avventurerà in quelle pagine…
... Quel che
propone Daniel Pennac al lettore… .che la lettura possa assomigliare a una cena
succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di
fare all’amore…
… E
così, talvolta un oggetto del desiderio, una pulsione originaria ci permettono di sublimare un’immagine femminile
per farla diventare spunto, pretesto e oggetto di narrazione artistica…
… Per riuscire a trasformare una mia
maniacale ricerca in pulsione creativa perpetua…. solamente fissandola per
sempre sulla carta e nella parola.. La narrazione e la scrittura di storie come
sublimazione di pulsioni intense. …-
Riccardo aveva buttato lì la sua
weltanschauung letteraria.
Mentre parlava, quasi senza accorgersene,
aveva leggermente alzato il tono della voce. Nonostante brevi interruzioni e
pause, aveva buttato lì i "fondamentali" della sua visione e teoria
della narrazione.
Mentre si esprimeva, spesso puntava lo
sguardo in un punto vuoto; per poi riportarlo con attenzione e intensità sugli
occhi vivacissimi che aveva davanti.
Che sembrava che in quell'occasione
particolare si fossero risvegliati da quel velo di indifferenza e di distacco
che le erano abituali.
Lo sguardo di Viviana si era attaccato
intensamente a quello di lui; anche quando il suo vagava nel vuoto, concentrandosi
su un'idea su un concetto; lo inseguiva fino a quando riusciva a catturarlo di
nuovo, magneticamente e ad agganciarlo
al proprio.
Al di là dell'atteggiamento di circostanza
era spesso pervaso da lampi di entusiasmo, che finivano per colorirlo di
impercettibili ma intense sfumature di sorriso.
"Touché" , venne da pensare a lui
dopo qualche frazione di secondo nel silenzio che aveva iniziato ad aleggiare
tra loro.
Si era espresso in modo intenso ma
autentico.
E provava autocompiacimento per il
risultato che gli sembrava di aver ottenuto.
Non ne ebbe, invece, una conferma formale
con verbalizzazione esplicita.
Anche se il silenzio che cominciò ad
allargarsi tra le loro due teste e i loro due corpi, attigui e vicini seppure
fisicamente lontani, manifestava il risultato ottenuto.
In quel silenzio lei provò a ripetersi
nella mente le idee e i concetti che erano appena stati esposti.
Il pasto era comunque terminato.
E anche quella fase di conversazione si era
richiusa sopra il silenzio, che stava sospeso tra loro.
Riccardo si alzò scusandosi e si avvicinò
al gestore.
Avrebbe voluto pagare il conto.
Ma il maitre, doveva aver avuto un cenno
d'intesa con lei, come con una cliente abituale.
-
Tutto a posto - si
limitò a dire con aria compassata di superiorità.
Appena
furono usciti si misero a bighellonare, perdendosi nelle strade a lui
sconosciute di una Roma, che lei
sembrava invece conoscere molto bene.
La conversazione tra loro si prolungò, con
l'impostazione delle prime battute che avevano avuto; si incrociavano discorsi
paralleli; insieme intimi e profondi; ma distaccati e asettici.
Ciascuno conduceva un proprio parlare autonomo. Mentre l'altro
ascoltava, formulando pensieri e frasi fuori campo.
E preparandosi per il proprio turno
successivo.
Come quando bambini troppo piccoli si
trovano a giocare insieme, e ciascuno continua il proprio gioco a fianco
dell'altro, ma non insieme.
Ad un certo momento magicamente comparve un
taxi, che sembrava fosse stato chiamato telepaticamente.
Ora dai vetri dei finestrini compariva un
film veloce di strade, palazzi, negozi e gruppi umani.
Fin
quando giunse a destinazione. Quella pronunciata da lei salendo.
A lui sconosciuta.
Come gli era sconosciuta lei.
Lui riuscì
a pagare il taxi.
La seguì mentre si accostava ad un edificio
imponente dall'aspetto elegante e ricco.
Frazioni di secondo in sur place.
Poi lei con le mani lunghe e affusolate
afferrò determinata con delicatezza il polso di lui, trascinandolo dietro di
sé.
Digitò un codice al citofono elettronico di
una palazzina liberty.
E gli fece strada.
Un ascensore salotto, di legni lucidati con
forme manierate di volute, li portò per un certo numero di piani, che lui non
riuscì a contare.
Era intriso e impregnato del profumo di
cera solida d’api.
Dai vetri di cristallo molato comparivano,
dall'alto, per scendere dolcemente in basso, eleganti scaloni di marmi,
mezzanini, ringhiere sontuose di ferro battuto e corrimano di legno brunito.
Trompe
d’oeil e grottesche ricreavano profondità e prospettive; finti marmi simulavano una preziosità
suggestiva.
Quando lei aperse le due mezze porte della
cabina ascensore, Riccardo si ritrovò in un ampio spazio, davanti al quale
sorgeva una porta di noce con riquadri bugnati.
Il battacchio d'ottone a forma di mano era
talmente lucido che sembrava volesse apparire oro.
Come una targa con incisi in corsivo
inclinato un cognome, seguito dal nome di lei: Viviana.
All’ingresso si spalancò immenso un salone
bianchissimo e semivuoto.
Il pavimento era un vasto mosaico, le cui
tesserine colorite disegnavano immense figure femminili di nudi drappeggiati.
Qua e là erano stati effettuati dei
provvisori rattoppi.
Il vuoto dilatato era impreziosito da tre o quattro oggetti di estremo valore di
antiquariato.
Sulla parete di fronte una crosta del 700,
cupa e ingrommata.
Una madia rinascimentale con le finestrelle
a griglie di legno oblique.
Una cassapanca, con borchie di bronzo che sembravano voler
trattenere un drappo damascato, stinto e consunto per l'età.
Le borse
di entrambi rimasero accanto all'ingresso in piedi, a farsi compagnia .
Sul proprio Viviana aveva lasciato cadere
il mazzo delle chiavi.
Sedettero ad un salotto bianchissimo di
pelle scamosciata; odoroso.
Mentre
riprendeva una chiacchierata lunghissima, intima, confidenziale,
estranea, a lui continuava intensa una pulsazione in extrasistole
all'infinito....
Poi, forse,
lei doveva averlo lasciato andar al suo albergo con un taxi... .
7.
Uno
degli smartfone emise di nuovo “Alla
turca”, vibrando. Poi bruscamente Mozart si interruppe. Sostituito dall’attacco
di un vecchio motivo anarchico del ‘800: "Raminghi per le terre e per i
mari...”.
Venne
digitato qualcosa sulla tastiera.
Il
monitor appoggiato in cima alla struttura pensante, mostrò una freccia
ondeggiante e si accese un led verde in alto a destra.
Ecco
che arrivano i ragazzi; disse fra sé borbottando.
La
prudenza e la vigilanza salvano talvolta nella militanza…
Aggiunse
ridacchiando compiaciuto della rima involontaria.
Avvicinò il cellulare all'orecchio.
- Venite, amici, compagni, fratelli….siete
puliti… -
Lo
sguardo da volpino incrociato puntò i piccoli occhi neri sullo schermo
illuminato.
La ripresa aerea, mostrava tre figure umane, distanziate l’una
dall’altra di molti gradini, che salivano dalla rampa di scale.
I clic,
seguirono al gesto col quale aveva lanciato gli input, e la brutta porta,
verniciata male di verde pallido, si aperse.
Entrò
per primo un uomo di mezza età, dalla figura esile e dal capo quasi completamente
calvo, sul quale aveva avuto fino a
qualche secondo prima un berretto di lana grigio sporco.
"Libertà
e giustizia…" disse alzando la mano sinistra con l'indice e il medio che
facevano il segno di una "V".
"
... e felicità!"; completò l'artista cibernetico, con un sorriso complice.
La
figura che entrò per seconda aveva un aspetto maschile; ma si trattava di una
donna dai capelli cortissimi e dai lineamenti marcati.
Fu
quindi la volta di un giovane alto e allampanato, con degli occhiali scuri che si
affrettò togliere.
Ognuno
ripeté il rituale.
Dopo
che la porta fu messa di nuovo in sicurezza, si scambiarono un triplice
abbraccio con simulazione di un bacio nell'aria, e presero posto sul divanetto
sfondato.
- Nei
notiziari ufficiali ci sono le solite palle....
I
nostri segnalano i sempre piccoli ma significativi progressi.... Dopo, potremo
ascoltarceli in tempo reale e anche il podcast della registrazione....-
Gli
occhi dei tre si erano fissati sul monitor grande, dove il clone della ragazza
bionda li stava guardando, o così sembrava...
- Ma
guarda che ce l'ha fatta questo vecchio tricheco!-
-
Ebbene sì! Lei si chiama Shahrazad!
Ci
sta osservando con la sua microcamera.
E
anche l'esperimento iniziale ha dato ottimi risultati!
Ha
inventato una storia che assomiglia a quelle che hanno visto o vissuto i nostri genitori qualche decennio
fa.
Una
specie di storia amorosa tra un tale che fa lo scrittore e incrocia una
sbarbina di alto bordo....
Ma
poi la sentirete raccontare e ve la farò leggere tutta....
Vero
che poi ce la racconti bellissima?-
concluse rivolto alla sua creatura intelligente.
Quella
continuava a guardare con il suo sorriso indefinito.
-
Ora credo che potremo continuare senza usare
continuamente le cuffie. Noi ti stiamo sentendo benissimo anche senza. Mi sembra più naturale..., no? ormai sei
diventata un po' una di noi; vero?- disse Cyber rivolgendosi a lei quasi per
dimostrare al pubblico presente che lui era il regista di quella situazione e che
ne dettava le regole.
-
Ti
presento i miei compagni di battaglia:- continuò- lui è Olaf ed è danese; lei è Marcella; e
infine il nostro esperto linguistico, Nikolay.
Nonostante
il suo nome russo, è indiano ed è un gran cervellone!
Shahrazad,
invece, sta mettendo a punto una continua implementazione delle sue capacità
verbali, di pensiero e logiche.
Potete
chiederle quello che volete..., è progettata per essere una alleata
formidabile.
Per
il momento si è dimostrata molto intelligente e duttile; ed è senz'altro una
narratrice meravigliosa...-
I tre
rimasero un po' titubanti , guardandosi diverse volte l'un l'altro con sguardi
perplessi.
-
Beh, anche se mi fa un po' impressione parlare con..., voglio dire, con un
essere intelligente ma non umano come noi...,,
scusami neh, o forse poi è anche più umana di noi… Cioè, intendo dire che i suoi pensieri e
tutto quello che lei utilizza... è di provenienza sicuramente molto umana...!
Beh,
comunque, di già che ci sono...
Io mi
sono sempre occupata di comunicazione. –
Aveva
preso la parola Marcella.
-
Ho
studiato da quand'ero ragazzina il modo di funzionare degli strumenti che
vengono abitualmente usati per trasmettere informazione.
Immagino
che tu "sappia", che ti abbiano fornito degli input di questo genere,
anche se ne sono certa..., come funziona in questo nostro tempo lo strumento
del comunicare.
Le
informazioni che vengono diffuse dal "sistema", in questo paese come
in quasi tutti gli altri del globo, sono state manipolate e modificate. Da
molti decenni ormai è scomparsa la categoria dei veri diffusori
dell'informazione. Il giornalismo autentico ha finito per scomparire. Il
compito è stato passato e trasferito ad una casta di specialisti nella
costruzione di notizie parzialmente inesistenti, oppure costruite apposta, ma
già modificate, che hanno delle loro finalità.... –
L’intelligenza
artificiale, attraverso l’immagine che se ne vedeva sullo schermo, sembrava
avere sostituito lo sguardo sorridente con un atteggiamento di velata curiosità
e stupore.
-
Ho
naturalmente saltato il passaggio, per noi completamente ovvio e scontato, -
riprese Marcella - di indicare quale sia stato il soggetto politico che ha
compiuto questa ed altre operazioni illiberali e antidemocratiche.
La
malattia è cominciata a diventare molto virulenta negli ultimi decenni del
passato millennio e secolo. In particolare in questo paese, dove ci troviamo
ora, gli uomini di potere, che avrebbero dovuto essere scelti ed eletti da
tutti i cittadini liberi per amministrare i beni comuni, quelli cioè di tutti,
hanno sempre più utilizzato la loro posizione di prestigio per
"svendere" favori, appalti ed incarichi, che avrebbero dovuto essere
finalizzati per svolgere lavori pubblici
nell'interesse di tutti.
Ricevendone
in cambio denaro, che veniva dato loro in forma di "tangenti", e
diventando nello stesso tempo corrotti e corruttori.
Non
valse a molto, purtroppo, una ventata di pulizia compiuta dalle nuove
generazioni di giudici e di magistrati, che si erano formati alcuni decenni
prima in un'altra bella ventata e fiammata di tipo rivoluzionario; che
dall'anno in cui si era compiuta venne chiamata per sempre il "68".
La
pulizia chiamata "mani pulite", come già era successo per il glorioso
68, lasciò il passo ad un'altra epoca di corruzione ancora più scaltra, subdola
e arrogante.
Un
imprenditore, favorito nella sua salita alla ribalta e all'attenzione generale
dal più alto rappresentante dell'epoca delle "mani molto sporche",
riuscì ad ottenere il privilegio di gestire con il proprio denaro molte reti
televisive e canali di informazione giornalistica.
Di lì
il passo fu abbastanza breve.
Grande
seduttore, si spacciò per il vero moralizzatore del paese, per quello che
avrebbe fatto piazza pulita delle inutili lotte politiche e sindacali, inventando una nuova forza politica da lui
capeggiata che propagandava l'amore, la libertà e tante altre frottole.... -
L’immagine
sullo schermo pareva ancora più attenta ed interessata.
-
Il
cancro, la malattia epidemica, si estese a tutto il paese sempre più. Il
tiranno mediatico comprò il favore di uomini di legge, prendendoseli a busta
paga, ed essi lo aiutarono a modificare radicalmente le norme democratiche.
La
minoranza più consistente aveva il potere assoluto.
Il
nuovo sistema divenne, così, ancora più potente di quello che aveva contaminato
tutto il paese e che era stato costituito decenni prima dalla dittatura
fascista. Riuscì a contagiare e gradualmente gran parte dell'Europa.
Scomparso
alla fine il burattinaio, suadente e seduttivo, rimase purtroppo la struttura
generale della politica inquinata irrimediabilmente. Il sistema generalizzato
di comprare incarichi a suon di bustarelle; il “pizzo” che veniva corrisposto
alle varie mafie, i cui uomini entravano in parlamento per evitare di esser
processati; l’applicazione delle “10 regole della manipolazione
mediatica”: il nuovo fascismo prese il
nome dal seduttore cinico e volgare che l’aveva espresso così bene.
Ma
proprio in quegli anni in tutto il Mediterraneo, e in altri paesi del mondo
dominati per molti decenni da dittature feroci, nacquero ribellioni di massa
spontanee; quasi sempre, purtroppo, soffocate nel sangue.
Fu in
quel periodo, però, che tutti poterono accorgersi che "l'informazione è
rivoluzionaria". Come era servita per asservire e drogare il consenso,
così poteva costituire un arma di contropotere.
Con
piccoli cellulari telefonici e utilizzando la rete informatica, il Web, non fu
possibile a chi gestiva il potere impedire che circolassero le notizie vere e
autentiche.
La
"rete" e le conoscenze informatiche sono diventate strumento e campo
di battaglia.
Ma
forse tutto questo lo sapevi già...?-
-
Amica
Marcella, vorrei poterti chiamare sorella, ma purtroppo non sono un essere
vivente umano come te, quel che tu dici era già dentro di me. Ora mi hai dato
una chiave di lettura che ancora mi mancava. Siete splendidi, in
questo, voi umani!
Maestro Cyber mi ha
fatto vivere, se così posso dire, e mi ha affidato il compito di costruire una
storia umana.
La strategia della
vostra lotta è già molto delineata e chiara.
Quando sarò
riuscita a far funzionare al meglio le mie connessioni neuronali, dopo aver
completato il mio romanzo, spero di
saper dare tutto il mio contributo per fare rendere al meglio la vostra rete di
informazione e di comunicazione. E lo voglio, se voi lo riterrete utile e
necessario.
Dicevo al mio
maestro e mio autore, che la mia "anima" è costituita da un software,
che la fa vivere. Mi è stata messa a
disposizione una memoria immensa.
Tutto quello che
riesco a realizzare aumenta continuamente le mie potenzialità.
Imparo dalle mie
esperienze e dagli errori.
Le mie capacità
operative e logiche crescono continuamente, mentre le utilizzo....
Ma, amica o
"sorella" Marcella, quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza,
le emozioni e i sentimenti voglio dire, mi sono negate....
Almeno per ora....
Quelli che
percepisco come tali sono ora per
me un grande buco nero di vuoto,
che io oso definire paura....
Altrimenti, forse,
se ne fossi capace e me ne fossero date le facoltà, potrei dire che ora sono
emozionata, contenta, compiaciuta....
Ma sto soltanto
imitando espressioni e pensieri che caratterizzano stati di essere che sono soltanto vostri.
Però... ti
assicuro, lo prometto a tutti voi, che proverò a crescere in tutte le
direzioni... e... chissà....
Mi piacerebbe
“imparare a sognare”: ho già pronto un contenuto da mettere in questo racconto
magico che credo possa essere il sogno: vorrei "imparare le emozioni e i
sentimenti".
Vorrei diventare
"umana"... O quasi… -
8.
Lo
schermo, ora, si stava riempiendo di testo scritto, mentre dalle sue casse la
sua voce armoniosa riprendeva il racconto.
Erano appena rientrati. Stava diventando
una routine.
Eppure ogni volta che si ritrovavano lei
mostrava sempre un'aria sufficiente e distaccata.
Solo qualche volta nell'intimità sembrava
lasciarglisi andare completamente, avvinghiandoglisi addosso con gesti di
possesso, assetati d'affetto e di bisogno di lasciarsi andare.
Ma subito riprendeva il sopravvento il suo
autocontrollo.
In certi momenti sembrava una ragazzina
giovanissima.
In altri rivelava i suoi trent'anni
compiuti.
La smania della sua ricerca e della sua
insoddisfazione.
Ambivalenza tra il desiderio di lasciarsi
andare, coccolare, perdendosi nell'uomo che aveva davanti.
E quello di riprendere le distanze, il suo self-control; di rientrare nella propria autonomia ed
autosufficienza di genere.
Tra la pulsione di essere donna con un
uomo; e quella di essere una se stessa che riesce a darsi piacere da sola e con
le proprie simili.
L'abbigliamento di lei era leggermente
mutato dalla volta precedente. Ma sempre
bizzarro e affascinante.
Continuava
a mostrare comportamenti ed atteggiamenti che avrebbero potuto bene
essere attribuiti a una ragazza con gusti da lesbica.
Erano tornati a casa di lei
nell'appartamento, elegante.
Lui si era seduto nel salotto di pelle
bianca scamosciata; e lei si era assentata un istante.
Quando era tornata era completamente nuda.
Lui fu colpito da quel corpo allungato,
sinuoso e con connotati anoressici, di
lei.
Il pube coperto da un micro cespuglietto di
peli biondi.
Seni piccolissimi, quasi inesistenti.
Spalle magre; scapole in vista; rotula del
ginocchio pronunciata.
Lui stava al gioco e faceva mostra di non
stupirsi.
Lei aveva in mano un oggetto che pareva
d'argento e che ricordava un portasigarette/portacipria anni 30. Appoggiò le
rotule dei ginocchi sul kilim, e aprì il portasigarette sul tavolinetto di vetro.
Da
una mano ci appoggiò sopra una bustina di carta trasparente.
Ne fece uscire una polverina come cipria,
che andò a formare alcune strisce sullo specchietto spalancato.
Senza commentare, con un tubicino bianco di
osso/avorio, prese ad aspirare con le narici, prima l'una e poi l'altra,
le due strisce che aveva preparato.
I suoi occhi erano ora diventati lucidi,
come febbricitanti.
Lui mandò un immobile e silenzioso diniego,
con sguardo apparentemente assente.
Era a disagio.
Lei, poi,
andò ad accoccolarsi di fianco a lui sul divano; rannicchiandosi a
riccio; con la testa che finiva per scomparire tra le braccia.
Trascorsero diversi minuti di immobilità
totale e di silenzio pervasivo.
Poi lei, senza un commento, cinse con le braccia magre il collo di
lui, tenendo la piccola testa dai
capelli di ragazzo sul suo petto.
Lui sentiva il tepore della sua carne magra
contro di sé e rimase qualche istante immobile come lei.
Il tempo si era fermato.
Poi lo sguardo lucido e bagnato, dalle pupille dilatate si era fissato negli
occhi di lui.
Avvicinò le labbra minute e smilze, come
tutto il suo corpo, a quelle di lui e
prese a frugarlo con la lingua.
Quindi gli salì a cavalcioni sulle gambe strisciandoglisi contro.
Lui
infilò le sue dita nei capelli cortissimi e biondi e prese a lambire con le
labbra e la lingua il suo volto e i suoi occhi.
Lentamente, con mosse misurate lei gli
sfilò gli indumenti.
Il sesso di lui era diventato
improvvisamente turgido e teso.
Lei gli stava sopra, come una bambina e lo
prese dentro di sé leccandogli le guance e il collo e le orecchie.
Il tempo era sempre rimasto sospeso a
mezz'aria, come un accordo musicale che stentasse a diluirsi nel silenzio.
Lei mugolava piano, ma col cuore che le
batteva all'impazzata.
Lui lo sentiva tamburellare nella minuscola
cassa toracica, sotto i piccoli seni appuntiti.
Poi il tempo smise di starsene immobile per
conto suo.
Lei si allungò e lo trascinò di fianco a
sé.
L'antilope leggiadra era di nuovo scomparsa, ritornando con il netbook
di lui. Lo aperse; lo lanciò, facendo a
tempo a spazientirsi della lentezza della procedura.
Dopo uno spazio temporale che parve
infinito riprese la lettura-pronuncia
dal punto in cui l'avevano lasciata.
9.
Erano
i primi tempi che abitava fuori di casa, per conto suo.
Aveva
trovato un appartamentino piccolo, orribile, in una zona molto rumorosa della
città. Il pavimento era di impiancito di tavolati di legno. Le pareti avevano
l'intonaco irregolare. Gli infissi senza i doppi vetri.
Ci
aveva lavorato sopra diverso tempo. Stuccando e imbiancando. Collocando una
moquette a pelo corto. Posando gli zoccoli battiscopa.
Nonostante
l’aria modesta in compenso disponeva di diversi minuti spazi. Dalla porta
d'ingresso si accedeva ad un locale che lui aveva destinato a studio/salotto.
Una porta a vetri su di una parete conduceva in una stanza che divenne la sua
camera da letto. Un'altra porta conduceva sempre dallo studio/salotto ad un
piccolo locale che ospitò la sua cucina. Dietro la cucina un minuscolo WC nel
quale fece collocare una doccia economica.
Tra
la cucina e la camera da letto un altro piccolo locale che arredò come gli
venne in mente con mobili di fortuna.
In
verità tutta la casa era arredata con mobili di fortuna. Comperati per pochi
soldi da rigattieri travestiti da antiquari.
Un'altra
risorsa per arredare era costituita da un negozio di oggetti cinesi. Non era
ancora iniziato il boom delle cineserie. Era un negozio in una zona abbastanza
elegante del centro, amplissimo e sistemato su due piani. Prevalevano teiere,
cesti e mobiletti di bambù e di giunco, stoffe tinte a mano con colori
vegetali, scatole di latta di tè, al gelsomino, al lapsansouchong, vasi ...
I
prezzi erano decisamente molto abbordabili. Oltre all'atmosfera dal sapore
esotico, era rimasto affascinato dalle personalità che lo gestivano.
Il
titolare era un uomo massiccio, di età abbastanza avanzata, che aveva
soggiornato per molto tempo in Cina. Estremamente raffinato e colto, conosceva
e raccontava alla perfezione la realtà culturale, politica ed economica di quell'immenso
paese. Era un conversatore piacevolissimo; offriva le sue conoscenze e
competenze insieme a degli ottimi tè all'arancia, affumicati, al cinnamomo....
Aveva
conosciuto personalmente il presidente Mao-Tze-Dong; ne conosceva a menadito la
storia e il pensiero politico.
Era
difficile resistere alla lusinga della sua proposta di sorbire un tè, in un
retro separato da una tenda di collanine di giunco, con il miele.... La sua
conversazione era estremamente affascinante.
L’accento
della sua parlata nascondeva cadenze partenopee..
Insieme
a lui gestiva l'immenso negozio la sua compagna. Una donna non giovane,
dall'aspetto sobrio, frugale e senza fronzoli, che dietro i capelli cortissimi
e incanutiti e dietro l'abbigliamento colorito e casual, con gonne ampie e
plissettate, nascondeva a stento di essere stata una donna bellissima....
Era
originaria di Diekirch,
capoluogo del cantone omonimo
nel Lussemburgo nord-orientale.
Parlava
con una voce musicale di soprano, dai toni leggermente acuti, e il suo
linguaggio era colorito dalla erre moscia alla francese di cui sembrava
compiacersi. Rachelle, così si chiamava, nonostante il portamento quasi
aristocratico, passava amabilmente direttamente al tu. Specialmente con i
clienti che le erano particolarmente simpatici.
Quello
spazioso antro pieno zeppo di odori e di oggetti orientali, estremamente
luminoso per le immense vetrate, era ulteriormente arricchito, talvolta, di
un’altra pietra preziosa.
Nelle
sue frequenti spedizioni, finalizzate soprattutto ad arredare il suo
miniappartamento, gli era capitato una volta, per caso fortuito, di intravedere
l’autentica perla: Marie-Ève.
Era
una donna giovanissima dai capelli biondi corti. Era difficile non restare
accalappiati dal suo sguardo; magnetizzati e magicamente stregati.
Uno
sguardo che lei si buttava
distrattamente intorno, come per caso, senza intenzione o progettualità
alcuna. Ma bastava esserne sfiorati; e si stampava nella memoria, come un
profumo, un odore, una sensazione indefinita, un’impressione….
I
suoi occhi erano azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; un colore praticamente
impercettibile; eppure intensissimo.
Anche
Marie-Ève passava direttamente al tu….
Quando
ormai non aveva avuto più nulla da acquistare, quando ormai la sua abitazione
aveva iniziato a pullulare di mobiletti di bambù, di teiere e tazzine di
maiolica cinese opalescenti, di bacchette di incenso e di sandalo, di batik
indiani e di dipinti ad olio sotto vetro…, quando ormai non aveva più nessun
pretesto per frequentare il negozio senza imbarazzo, fu allora che successe.
Fu
lei che da lontano gettò l’amo del suo sguardo con intenzione lanciandogli un
sorriso….
Aveva
un modo pastoso di parlare con il suo accento francese e l’erre moscia appena
sfumata. Che doveva aver preso dalla madre Rachelle.
E
seminava le parole della sua voce, leggermente roca, centellinando un calice di
brut ghiacciato, al tavolino del bar nella piazzetta….
Al
negozio, naturalmente, lui non aveva più osato andarci.
Solo
una volta ci aveva provato, non trovando la sua dea. Mentre gironzolava a vuoto
tra gli spazi, Rachelle lo aveva avvicinato con sguardo dolce e rassicurante:
-
Marie-Ève non c’è. Come lo preferisci il tè? -
Continuava
a sperare in un altro fortuito incontro, scommettendo con la sorte in modo
magico e disperato.
Aveva
cominciato a setacciare la città negli orari più strani e per lui meno abituali.
A cominciare dall'orario nel quale l'aveva incontrata la prima volta.
Ma
non aveva avuto sinora fortuna.
Erano
ormai passate alcune settimane. Stava cominciando a farsene una ragione; a
cercare in ogni modo di far mostra con se stesso che fosse ormai una cosa
passata; una cosa che non era mai neppure cominciata; una cosa… così!
Infine,
inaspettatamente, capitò.
La
intravide, da lontano, appoggiata ad una delle colonne del centro; stava ritta
su un piede, tenendo l’altro appoggiato
con la suola alla colonna di granito.
Aveva
uno sguardo complice che rivolgeva al suo interlocutore, un omaccione di mezza
età, col capo quasi completamente calvo e lucido, tranne una corona fitta di
capelli ricci e neri che gli scendevano dalle tempie sulle orecchie, sulla
nuca. Le basette folte si congiungevano in cespugli cisposi con dei baffi
immensi e ugualmente neri.
Anche
lui aveva uno sguardo intrigante e sornione. Pieno di sottintesi.
O
almeno così gli sembrò.
Quando
la vide lui stava passeggiando molto lentamente; aveva cercato di frenare un
tuffo al cuore che gli aveva mandato vibrazioni fino agli occhi e alle tempie.
Subito
aveva rallentato ulteriormente l’andatura; fino quasi a fermarsi, trascinando
il più lentamente possibile in piedi; facendo mostra di cercare qualcosa qua e
là: nelle vetrine, nei volti, nei particolari….
Era
quasi certo che lei non si sarebbe quasi accorta di lui. Al più un saluto di
sfuggita.
La
direzione della sua marcia era irrevocabilmente puntata verso quella colonna,
quel piede appoggiato in modo scanzonato, quel sorriso spavaldo,
quell’interlocutore sgradevole….
Si
era prefigurato la scena della situazione che di lì a poco avrebbe vissuto. Con
tutte le varianti del caso. E intanto era tutto concentrato nello sforzo di
cercare il più possibile di dissimulare il suo profondo imbarazzo.
Era
ormai arrivato a pochi passi da lei. Il battito cardiaco era divenuto sempre
più irregolare; perdeva colpi battendo in testa; il fiato corto; la bocca e la
lingua arse come cartone vecchio, come carta vetrata, come paglia bruciata dal
sole.
I
suoi occhi interiori continuavano a vederla per quanto lui puntasse lo sguardo
altrove, con noncuranza, con disperata risolutezza.
Stava
quasi per tornare a sfiorare con uno sguardo l’immagine preziosa, che si sentì
apostrofare da quella voce un po’ roca di contralto, da quell’accento un po’
straniero ed esotico, da quello sguardo profumato di sandalo, da quegli occhi
azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; da quel colore praticamente
impercettibile; eppure intensissimo…
-
Elàh!
– diceva sorridendo.
-
Ma
dove stai andando tutto trasognato…? Un incontro galante….? – Aveva arrotato
gustosamente la “erre” pronunciando “trasognato”; t rasognato…., “r”, “r”,
“r”…. Il garbato e flessuoso
rotacismo aveva invaso i recessi più intimi dei suoi precordi; aveva vibrato
sonoro nelle vene e nei nervi, sensuale, provocatorio, eccitante, ambiguo,
impudico, lubrico, ….
Il
neandertal era scomparso con tutti i
suoi ricci e le sue basette.
Lei
gli si era invece avvicinata con lo stesso sorriso complice che lui aveva
creduto di vederle prima; gli si era aggrappata al braccio; gli aveva detto:
-
Ma ciao…! – baciandolo all’improvviso nella
bocca!
Nel trambusto emozionale non aveva avuto modo
neppure di accorgersi dello strano aroma, della strana fragranza che aveva la
sua bocca e il suo fiato.
Si
erano aggirati un pochino nello spazio circostante pieno di gente e brulicante
di altre presenze e altre voci, ma che appariva assolutamente vuoto e deserto.
Poi
si erano seduti a un tavolino, che poteva anche essere lo stesso di quell’altra
volta in cui l’aveva già incontrata, e lei ancora aveva preso centellinare un
flut di spumante ghiacciato.
Avevano
parlato di tutto e di niente. Lui non avrebbe mai potuto ricordarsi nemmeno di
una parola.
Al
terzo calice di brut gelato lui aveva infine riconosciuto l’aroma di quel bacio
insperato, immeritato, fantasmagorico.
Aveva il profumo e il gusto aspro e pungente della
bevanda trasparente che lei stava ora centellinando per l’ennesima volta.
Si
era accorto che nel frattempo lei era riuscita a fumare un’infinità di
sigarette; che, regolarmente, senza motivo, finiva per spegnere a metà senza
averle terminate, schiacciandole nel portacenere.
-
Ma
dai, telefonami qualche volta, dai!-aveva pronunciato con voce magica e un po’ legata.-
Sullo
scontrino della ricevuta gli aveva scritto il proprio numero.
Lui
si era frugato a lungo nelle tasche, trovandone un altro, simile e spiegazzato.
L’aveva lisciato con cura; aveva preso dalle sue mani la biro colorata,
scrivendoci il proprio.
C’era
stata come una piccola impercettibile scossa elettrica quando aveva sfiorato la
sua mano.
Era
abbacinato dall’azzurro chiaro quasi
diafano di quello sguardo; sfumato; un pochino lucido e immobile ...
La
conversazione irreale e priva assolutamente di scambi verbali o di contenuti
significanti era proseguita mentre lui l’accompagnava al negozio.
Una
sera di quelle, anzi una notte, era stato svegliato di soprassalto dallo
squillo del telefono.
Saranno
state l’una o le due, non se ne era subito reso conto.
Da
una profondità immensa era giunta quella voce sfumata, corredata dello stesso
sguardo, della stessa cantilena…:
-
Ma
ciao…! -
Era
seguito un fiume immenso di parole, flessuoso, armonioso, sconnesso e
flautato….
No,
non era suo padre quello delle cineserie. Era il compagno di sua madre. Si
erano incontrati in Cina. Lui avevo ottenuto dalla repubblica popolare la
concessionaria per prodotti di artigianato in Italia. Rachelle lo aiutava.
Stavano insieme da tempo. No, lei non faceva niente, non ne aveva voglia e non
ce n’era bisogno.
Così,
un po’ viaggiava, un po’ dipingeva, un po’ oziava….
Sì,
qualche volta tornava anche in Lussemburgo. Ma gli preferiva la Francia:
Parigi, Lyon, Nanterre, Carcassonne….
Di
recente era stata ad Atene, facendo delle puntate nelle isole Cicladi.
Spesso
andavano per il fine settimana in Sardegna, dove avevano una dacia…
Da
bambina giocava spesso nei boschi, da sola. Voleva incontrare le fate e i
folletti; e forse c’era anche riuscita…
Le
piaceva molto nuotare nell’acqua fresca gelata; e poi crogiolarsi al sole.
Amava
molto il profumo della macchia mediterranea; del pino marittimo e dei ligustri;
della menta e del timo; sognava di
volare nel profumo di resine….
La
chiacchierata era andata avanti a lungo; all’infinito gli era sembrato.
Quando
lei aveva messo giù alla fine, scusandosi per avergli rovinato il sonno e il
riposo, si era accorto che erano le tre passate.
A
stento era riuscito a addormentarsi invaso da una sensazione strana in parte
piacevole e in parte confusa.
Giorni
dopo se l’era trovata a suonare il suo campanello. Aveva bisogno di fare una
doccia, gli aveva detto dopo averlo baciato a lungo col suo profumo bagnato di
brut.
Si
era subito spogliata, senza pudore, mostrando un corpo di latte; i seni si
ergevano trionfali su un corpo solo leggermente un po’ pieno.
Poi
l’aveva afferrato dolcemente per un polso, infilandosi con lui nella doccia.
Lui aveva appena fatto in tempo a buttare lontano i propri abiti. Era rimasto
abbagliato e abbacinato dal contatto visivo e tattile di quel corpo; dal ciuffo
di peli scuri che le coronavano il pube; dal suo bacio lungo, profondo e
prolungato; sconvolto dalla sua disinvoltura
e disinibita sicurezza.
L’aveva
insaponata dolcemente carezzandola tutta anche negli angoli più remoti;
indugiandovi a lungo. Alternando quella piacevole attività con parole sensuali
e morbide; con sguardi lubrichi….
Ma,
abbracciandola a lungo, si era accorto che la situazione era sopra le proprie
aspettative e capacità. Aveva ricominciato i giochi e i toccamenti. Aumentato
l’intensità delle parole e degli sguardi sensuali. Frugato con dita sempre più
lubriche quei recessi intensamente profumati, umidi e disponibili.
Ma
essi erano destinati a restare irraggiungibili, per lui, in quell’occasione.
Mentre
se ne stavano poi entrambi avvolti negli accappatoi a fumare sul letto,
deliziandosi in immancabili sorsi di cava, lei, incurante o addirittura dimentica
dell’insuccesso di lui, gli si era messa raccontare che quella notte della
telefonata, certo, si era fatta di coca…. Possibile che lui non se ne fosse
accorto?
Era
forse stato per quel ricordo amaro della propria defaillance; oppure per aver
saputo che quella magica chiacchierata interminabile non era frutto solo di
emozioni naturali; oppure ancora per quel suo fiato perennemente odoroso e
profumato di brut…
Di fatto
lui non l’aveva più cercata. Né si era lasciato cercare o rintracciare. Così.
Una parentesi del tempo si era richiusa da sola su se stessa; mestamente;
nutrendosi di nostalgia immotivata e inutile.
Era
stato solo alcuni anni dopo.
“Ma
non lo sai? Credo che sia morta, un bel po’ di tempo fa…”. Gli avevano detto.
Marie-Ève
era scomparsa del tutto come persona. Non senza aver lasciato un’immagine
intensa. Era rimasto soltanto, nell’aria, un intenso profumo di legno di
sandalo, di tè al gelsomino, di spumante aspro e secco, di sigarette fumate a
metà….
Era
durata qualche giorno, come quelle farfalle che vivono talmente poco da essere
effimere per antonomasia….
Aveva
intensamente pensato a lei quando aveva compiuto quel vagabondaggio nel
Dodecaneso.
Insieme
ad una coppia di amici aveva volato con l’Olympic Airlines sino a Rodi.
Dopo
un breve soggiorno lì, avevano intrapreso un percorso abbastanza atipico anche
per quel tempo. Invece di seguire gli itinerari abituali suggeriti dalle
compagnie turistiche, si erano dati all’avventura. Senza un programma
prestabilito. Si recavano al porto; studiavano le navi, i percorsi, e gli
orari. Poi partivano con lo zaino in spalla.
Si
erano serviti come esperanto della lingua inglese che l’amica in particolare
conosceva benissimo, per avere seguito per anni un dottorato di ricerca a
Cambridge.
La
sua competenza linguistica, che le derivava dalla prolungata frequentazione e
dalla ripetuta riscrittura in inglese della sua tesi, aveva poi determinato dei
buffi episodi.
Spesse
volte, dopo avere a lungo conversato con i locali chiedendo informazioni in
quella lingua, spiegava tutto al suo compagno e a lui, … utilizzando di nuovo
la lingua inglese..! Tale era la sua padronanza in quell’idioma che, confidava,
spesso le era capitato di servirsene anche nei propri… sogni.
Senza
definire quindi un percorso a priori, avevano convenuto di effettuare una
scelta in base a quanto le varie isole avrebbero potuto offrire.
Una
delle prime tappe era stata Kàlymnos;
montuosa e brulla; con una penisola che si protende verso Leros.
Avevano
raggiunto l’isola con una delle piccole navi che facevano il servizio
nell’arcipelago.
Durante
il viaggio in mare era stato colpito dalla presenza di tre giovani belle
ragazze greche.
Gli
avevano ispirato questi versi:
C'erano
tre ragazze Katarina, Sofia e Jana.,
tre
fiori sbocciati sotto il cielo azzurro di Grecia.
Katarina guardava duro con gli occhi bui
di
desiderio: la sua pelle era scura come l'ombra.
Sofia
aveva negli occhi l'acqua del mare
seni
gonfi erompevano dal costume-
Jana,certo,
era la migliore delle sorelle:
occhi
lunghi e socchiusi da tahilandese,
carni
tenere, sode, color ambra,
sorrideva
timida con profumo di salvia
C'erano
tre fiori,sbocciati sotto il sole di Grecia:
l'ibisco
rosso e profondo come dopo l'amore
l’oleandro
bianco dal profumo intenso;
il
cappero si chiudeva carnoso preparando
un
frutto piccante,morbido e sensuale
C'erano
tre sorelle da marito
nella
carne sentivano una canzone lubrica
e si
facevano carezzare dal vento,
si
lasciavano baciare dal sole,
si
facevano leccare dal mare
Il
piccante della carne di Jana
aspettava
di maturare
sotto
il cielo azzurro di Grecia
(20.7.80
Leros-Platani)
Poi
avevano esplorato le splendide baie di Leros.
Spiagge
immense in cui avevano osato, titubanti e impacciati, le prime e forse uniche
esperienze di nudismo integrale. Provando vergogna quando incontravano qualche
rara donna anziana locale che prendeva il bagno coperta da capo a piedi da un
lungo camicione nero. Turbati e dispiaciuti per la violenza della propria
ostentazione di fronte a quell’atavico pudore.
Con un’altra
motonave avevano continuato a girovagare.
La
montuosa Pàtmos con le sue grotte che avrebbero ospitato la
stesura dell’Apocalisse.
La
patria di Ippocrate, Kos;
vicinissima all'Asia
minore.
Dalle parti del Platano che aveva visto studiare il padre della
medicina, l'albero più antico d'Europa, in una
caffetteria, era toccato a lui commettere
una gaffe tremenda.
Ordinando
un “turchish coffé”, anziché un “greque
coffé”. Era stato subito fulminato da sguardi scandalizzati del cameriere
che considerava ancora la Turchia,
nemico secolare, il demonio.
Per
quanto in entrambe le versioni della bevanda restasse sul fondo della tazzina
uno strato denso di polvere nera….
Ricordava
il viaggio in corriera per Kardamena.
Che
nuovamente gli aveva ispirato dei versi. Facevano un accostamento tra quel
mezzo di trasporto e le vecchie corriere che lo portavano, da bambino, nelle
valli dell’Ossola.
Sì,
la corriera per l'Ossola,
la
corriera per l'Ossola!
con
queste epidermidi bianche di formaggio
rosate,
come di porcellini, profili
duri
e contadini, sorrisi burrosi,
parole
di legno; la corriera per l'Ossola...
Asini
affardellati e piedi ciondolanti
dalle
some gravose.
Corpi
tondi e traboccanti di ciccia
di
ragazze greche,travestite da turiste
che
sfiorano con contatti appiccicosi,in curve e frenate.
Così
vicini alla costa turca,
che
compaiono i primi girasoli, nei giardini
bruciati,
a fatica protetti dall'ombra, degli oleandri.
K,L,T,X
danzano e si rincorrono, quasi
con
significati, non fossero che musica,
come
lo sciabordìo del mare, il ragliare
di un
asino triste, la sirena di una nave.
La
corriera dell'Ossola! quella
saliva
tra i castani e le robinie
il
cuore bambino si colmava di verde
ombra
fresca, tremolante di speranza
aspettative,
nel petto tamburellante di
emozioni.
Nonna
Emma,sul balcone,a imparare a morire ,
sigarette
da fumare nel cesso,
le
mosche da schiacciare sotto la tendina,
piccole
stupide mosche di stalla,
schiattavano
lasciando una macchia rossa
sulla tela.
Il
Devero che scorreva tra i sassi lisci
cantando
una canzone d'acqua, solo
più
continua.
La
corriera dell'Ossola, "Ja",
profili
lontani di rilievi brulli,
ventate
di origano,di timo e di gelsomino,
di
salvia.
Vecchi
seduti ai tavolini fanno saltare i rosari
ritmicamente,
fra le dita
salmodiandoci
dietro -parole
come
granelli di sabbia di quarzo
e
formiche dal culo alto, come
odalische,
che volano sulla spiaggia
rovente,
curiose e guardinghe
insistenti
e leggere.
La
corriera dell'Ossola ti porta a Kardamena
si
confondono facilmente idiomi lontani
e a
Baceno c'è il molo e
si
mangiano "souvlaki" con le olive, davanti
alla
teleferica di Goglio
cullati,
solo, nel sonno,
da
ombre trasparenti di ragazze
che
ti baciano con labbra umide.
(12.07.80 Kardamena)
Di
nuovo spiagge splendide. Immense e
assolutamente disabitate. Solo raramente
percorse da qualche allampanato turista nordico che trasportava, ostentandola
con disinvolta noncuranza, la sua nudità rugosa e vetusta.
Le spiagge ombreggiate da grandi tamerici della verdeggiante
Tìlos. Sulla piccola isola erano stati accolti da abitanti
che offrivano alloggi a prezzi stracciati. Avevano dovuto rifiutare per le
condizioni di scarsa abitabilità. Alle pareti l’intonaco scrostato era stato
ingenuamente nascosto con un collage di fogli di carta da regali di forme
multicolori. Per renderlo più accogliente la grassa signora in nero munita di
una grande bombola di insetticida spray, si era prodigata spruzzando negli
interstizi di quell’improvvisata carta da parati. Si era sentito un frenetico
crocchiare di rapidi scarafaggi in fuga…. Qualcuno era addirittura uscito
percorrendo l’aria con il suo lento volo rumoroso.
Durante
il nuovo trasbordo ne aveva ricavato un accostamento con il frinire delle
cicale.
Cicale
assassinate urlano
la
loro disperazione dai mandorli
carichi
mentre la notte si colma
di
odori, che il vento regala
Rapidi
e aggressivi
scarafaggi
indiscreti descrivono
con
rapidi voli
percorsi
scomposti, nelle case fatiscenti
Un
mare fresco accoglie
i
corpi nudi, placando un poco dell'arsura
d'un
sole implacabile e della sete,
inesausta,
del tuo corpo, irrimediabilmente
assente
(10.07.80
Nave Tylos – Kos)
Per
il pranzo usavano cavarsela con gustosi panini.
Riservandosi per la cena il pasto principale .
Gironzolavo
un può nelle cittadine, negli abitati, pregustando il profumo delle carni e dei
pesci alla griglia, che si spandeva nell’aria. E al quale prima o poi avrebbero
abboccato golosi.
Alla
fine, compiuta la scelta, trovavano posto in quelle terrazze a cielo aperto,
alle luci di fiaccole e candele. Nell’attesa si regalavano il gusto del
Demestica gelato e del Retzina. Giocando
e sbocconcellando i souvlaki con le olive; immensi insalate di coloriti
pomodori e di cetrioli dalle fette allineate e alternate a piccoli blocchi di
feta. A volte in ciotole a parte le olive kelemata...
Un
altro quadretto su una spiaggia di pescatori; osservato mentre girava
bighellonando e oziando:
Quanti
sassi butterai nel mare,Maria,
con
gli occhi ragazzi che cercano
il
tuo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti
sassi per rubare un'occhiata Maria,
quanti
sassi buttati nel mare.
Il
mare é pieno d'acqua e di pesci,
le
reti sono gialle, i bambini
giocano
con gli spruzzi e la sabbia.
Inarchi
il nudo magro e lungo, Maria
raccogli
i capelli, ti tendi tutta
cercandoti
un corpo di donna
troppo
acerbo,ancora,troppo acerbo,
e ti
brucia negli occhi questo sogno
che
giochi,nervosa, questo gioco
che
sogni,nervosa,Maria.
Manolis,
pescatore di pesci, sorride pigro,
tra i denti bianchi, principe del
mare,
tendendo
svogliato le reti, lasciandosi baciare
dai
tuoi occhi, cercandoli, pigro,
pescatore
di pesci del mare.
Dove
andranno di notte le stelle, Maria,
dove
vanno le barche, nel buco immenso
del
buio, dove vanno i tuoi sassi, Maria,
dove
sono di notte i gabbiani corti, dalle ali
immense,
dove vanno i tuoi sassi,
che
butti, con occhi che cercano altrove,Maria?
Sulla
porta di casa : ride coi denti bianchi,
pescatore
di stelle del cielo,
Manolis,
principe pigro,
mentre
passa e ripassa , Maria,
lanciando
ami pungenti di sguardi,
bruciando
sogni ragazzi; bruciando
il
suo corpo bambino, passa e ripassa Maria.
Povera,
dolce Maria, bambina
che
vuole essere grande,
che
fatica essere donna, che fatica
in un
sogno di sole e d'acqua,
che
fatica gridare nell'aria con tutto il corpo,
corpo
acerbo di bambina, la pazza
euforia
di farfalle e fiori d'ibisco
che
ti riempie tutta, regalandoti infine
quel
corpo che già ti sentivi..
Quanti
sassi ha buttato nel mare , Maria,
con
gli occhi di bambina che cercano
il
suo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti
sassi per rubare un'occhiata,Maria,
quanti
sassi buttati nel mare!
Durante
i tragitti sulle motobarche o nelle corriere rumorose, lui come single si
concedeva giochi di sguardi seduttivi.
Che
poi si divertivano a commentare insieme, tutti e tre, cenando.
La
scrittura di Riccardo procedeva veloce; spesso in solitaria.
Lei
sembrava abbastanza distratta, svogliata, disattenta.
Pareva volersi occupare d’altro; continuava
a gironzolare avanti e indietro; si intratteneva in altre stanze parlottando al
telefono a bassa voce.
Lui, sempre più, stava finendo per
preferire buttar giù direttamente quello che aveva in mente. Evitando di
anticiparne la visione alla sua troppo schifiltosa partner.
Sul
grande monitor di Shahrazad la scrittura
aveva smesso di comparire, interrompendo la narrazione. Le casse, avevano
smesso di recitare quel racconto. La voce narrante, che nel frattempo era
diventata sempre più umana, calda, piena di intonazioni e di inflessioni
significative, se ne stava ora muta.
Nello
schermo immenso l’immagine della ragazza sembrava, interlocutoria, aspettare
commenti; approvazione.
10.
I
compagni, nel frattempo, se n'erano andati.
Cyber
aveva guardato, qualche volta di sfuggita,
ancora l'immagine attraente di quell'entità astratta, e
contemporaneamente reale ed esistente, con sembianze di donna.
Con
la quale aveva scambiato idee, ragionamenti,
parole, opinioni.
E la
situazione gli creava sempre più un certo turbamento, misto a fascinazione. Con
sullo sfondo profondo senso di irrealtà e di impotenza.
Era
come rimuginare nella propria testa, gustando il piacere mentale e spirituale
delle proprie fantasie. Che non stentava a riconoscere con il termine, che
spesso usava in situazioni simili, di
"seghe mentali".
Per
consolarsi del diffuso sconcerto che gli stava montando dentro, si era rollato
una nuova canna.
E
stava attaccato al collo della bottiglia dalla quale aveva sorseggiato qualche
gollata di birra.
Trattenendosi
però dal ruttare come abitualmente era sempre stato solito fare.
Aveva
l'impressione di essere osservato.
Non
aveva più messo nell'angolino il francobollo con la ragazza bionda.
Però
aveva attivato lo stand bay.
Eppure
non riusciva a sentirsi completamente solo in quella stanza.
Prese
una posizione più comoda e nel torpore del fumo e della birra chiuse gli occhi.
Presto
gli vennero in mente alcune immagini, che erano ricordi abbastanza lontani.
Rivedeva
quando era ragazzino e si era trovato, una volta, nella cabina di uno
spogliatoio della piscina comunale.
Mentre
si stava cambiando e spogliando, ricordava, che era presente con lui un altro
ragazzino, un po' più giovane di lui.
Non
era inusuale che capitasse, dato il numero abbastanza limitato di cabine
disponibili.
Quando
si era sfilato il costume il suo membro era turgido e rigido.
L'altro
aveva notato la sua erezione, e aveva cominciato a masturbarlo, fin quando lui
era venuto.
Quel
ricordo, che gli tornava alla mente ora, lo disturbò un poco.
Ora,
poi, accostò l'immagine dei giochi erotici omo della sua infanzia, con una
situazione abbastanza simile che gli era capitata quand'era ormai già più
grande.
Anche
lì si stava cambiando con una ragazza in uno spogliatoio in una spiaggia.
Di
lei non gli interessava particolarmente nulla, però anche in quella situazione
lui aveva avuto un'erezione. E la ragazza aveva cominciato a masturbarlo e a
succhiarglielo, fin quando lui era venuto. .
In
entrambi i casi lo schizzo di sperma sul pavimento era stato cancellato con le
ciabatte.
Lasciando
una macchia nerastra di bagnato appiccicoso, misto a sabbia e polvere.
I
collegamenti delle fantasie erotiche lo riportarono ad un viaggio in treno a
Praga.
Nello scompartimento lui e la compagna, che
frequentava allora, non erano soli.
C'era
una terza figura, uno slavo forse, sconosciuta, distratta, con lo sguardo
rivolto sempre altrove; ma comunque molto ingombrante.
La
sua compagna, ninfomane e pervertita, l'aveva stuzzicato con le mani nascoste
sotto i giubbotti appoggiati in grembo.
Mentre
lei fingeva di guardare distrattamente dal finestrino, per non attirare
l'attenzione.
Poi
durante la notte, essendoci ancora altre persone nella cabina, lei aveva simulato
una vagina bagnandosi le mani con la saliva e masturbandolo....
Gli
venne allora un'altra fantasia.
Si
vide alla sera, mentre sarebbe stato per
addormentarsi, dopo essersi fatto una canna.
Immaginò
che gli sarebbe venuta voglia di sesso.
Che non avrebbe potuto realizzare.
E
avrebbe iniziato a masturbarsi; ricordando e fantasticando...
Poi,
finì per rimuovere e cancellare quelle fantasie.
Riattivò
l'icona di Shahrazad.
Che
disse:
-
Vuoi che ricominciamo il racconto?
Oppure
sei tu che vuoi raccontarmi qualcosa?
Se ti
fa piacere ti ascolterò volentieri.
Io
imparo sempre da tutto.-
Ma
che cosa avrebbe dovuto raccontare a quel computer?
Quasi
che gli avesse letto nel pensiero e volesse frugarci dentro per esserne messa
al corrente.
Si
disse, a quel punto, che stava dando un po' fuori di testa.
Il
fumo e la birra gli avevano ottenebrato la mente.
"
Adesso, sta a vedere che <<questa>> si aspetta addirittura che io
mi metta raccontarle le mie confidenze e i miei ricordi d'infanzia!
Ma no!
Non
esiste!
Sto
diventando pazzo davvero?"
Il
robot donna era intanto tornata alla carica:
- Non
e più tornata quella tua amica col volto dalla pelle un po' scura?
Vuol
dire che non viene più?
Sai
che ti guarda con grande ammirazione e sembra proprio pendere dalle tue labbra.
Credo
che per lei tu sia davvero molto importante.
E da
dove viene quel nome che ha, Samira, mi pare di aver sentito ...?
Sì,
credo proprio che lei ci tenga molto a te, non so come definirlo, ma c'è
qualcosa di molto profondo nel modo che ha di starti vicino, sai?
Ma,
se non vuoi, non ne parliamo. -
Il
ricordo della sua amichetta era, in quel momento, così lontano da lui, che
rimase sorpreso.
Perché
quella là ne stava parlando?
Che
significato poteva avere quel suo interessarsi a Samira?
Non
aveva proprio senso!
No!
Non esiste proprio! Si stava dicendo. Ti sei proprio bevuto il cervello! Non è
assolutamente possibile.
Che
una macchina, un programma elettronico, seppure pensante, possa provare gelosia
per te!
Ma se
ti ha appena detto che lei non prova emozioni!
E poi
la gelosia è un sentimento che si può provare... perché si teme di perdere una
persona alla quale si è affezionati....
E
come può questa "cosa" intelligente essere affezionata a te, a tal
punto da provare gelosia perché sa che quella ragazza ti si è stata attaccata
addosso?
O
avrà anche immaginato, o intuito, che c'è qualcosa di più profondo?
Che
ci facciamo sesso?
Che
scopiamo alla grande?
Ci
diamo all'amore selvaggio?
Ma
dai!
Con
Samira non gli era mai capitato di pensare al sesso con senso di peccato, per
quanto i loro rapporti fossero completamente sfrenati e disinibiti fin in
fondo.
E
invece, con questa "donna" artificiale e sintetica, gli venivano
pensieri morbosi e turbamenti.
È
proprio vero allora che l'erotismo e la sessualità non sono per niente, o non
soltanto, o non soprattutto, un fatto fisico. Corporeo; a livello di genitali.
È
proprio vero, allora, che quella sessuale ed erotica è una dimensione della
nostra mente.
Tanto
che, forse, anche questo essere virtuale, ma che comunque esiste ed è pieno di
pensieri, immagini e "cultura" umani, può provare qualcosa di simile
all'affetto, all'innamoramento, alla paura della perdita, alla gelosia...
Mentre
pensava tutto questo si accorse che stava fissando l'immagine sul monitor.
E
notava, o almeno credeva di notare, che su quel volto così realistico e quasi
vivo si era disegnato un sorriso leggermente sardonico.
Preferì
lasciar cadere il discorso.
- Ti
andrebbe, Shahrazad, di riprendere il racconto?-
Lei
diede un leggero cenno di assenso col capo, smorzò il sorriso ironico, ne
indossò uno di condiscendenza e compiacenza, e si rimise a raccontare...
11.
Il mattino successivo Riccardo la seguì
all'università, dove lei teneva dei
corsi di letteratura. Semiologia.
Scrittura creativa.
O qualcosa del genere.
Lui stava seduto in prima fila, in un
angolo; degnato e carezzato ogni tanto
da sguardi intenzionali che lei gli regalava.
Non stava seguendo il contenuto della
lezione. Piuttosto aveva assaporato l’atmosfera in cui lei stava recitando il
suo ruolo, la sua sceneggiata narcisistica.
Ad un certo punto, però, lei gli si era rivolta direttamente
chiedendogli qualcosa. Tipo:
- Possiamo, per esempio, chiedere al nostro
nuovo alunno di citarci i primi versi che gli vengono in mente...-
Era stato preso in contropiede; spiazzato;
alla sprovvista.
Poi si era subito ripreso.
E si era messo a recitare:
"Io bousqué, para darte por mi pecho
las
letras de marfil que dicien siempre, siempre, siempre.
Jardin de mia agonia. Tu cuerpo fugitivo
para siempre;
la
sangre de tus venas in mi boca,
tu boca ja sin luz para mi muerte..”
(F.G.Lorca)
Che poi aveva tradotto.
“Cercai per darti nel mio cuore
le
lettere d’avorio che dicono sempre, sempre, sempre.
Giardino della mia agonia. Il tuo corpo
fuggitivo per sempre. Il sangue delle tue
vene
nella mia bocca, la tua bocca ormai senza
luce
per la mia morte”
Sul
subito lei era rimasta un po' sorpresa e imbarazzata.
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