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mercoledì 17 aprile 2019

NATA NELLA CITTA’ SHERADZADE 1 PARTE









NATA NELLA CITTA’
                        SHERADZADE

PREMESSA

Il 16 ottobre 2012,  precisamente alle 19 e 27, mi è pervenuta, in un modo che qui ora preferisco non precisare, la storia che segue.
Nel prenderne visione, confesso che ho provato un certo sconcerto. La narrazione mi sembrava abbastanza avvincente e coinvolgente. Mi ha trascinato dall'inizio alla fine, impedendomi pause o interruzioni. Qualche elemento magico che la pervadeva ha stimolato in me una profonda attenzione.
Al termine della lettura, lo rivelo con estrema sincerità, mi sentivo però profondamente perplesso.
Essa era pervasa da profondi elementi realistici; molti dei fatti contenuti e narrati aveva una indubbia corrispondenza con vicende che hanno caratterizzato e caratterizzano il nostro tempo presente.
L'intrico narrativo era mescolato ad elementi che davano l'impressione di essere frutto, con la loro improbabilità, di pura invenzione e fantasia.
Niente da eccepire, peraltro, essendo questa una delle caratteristiche costanti del narrare.
Mi è però sorto il dubbio, che la stessa dinamica che regge l'impianto del romanzo, possa fornire elementi per spiegarne la sua origine.
So che sto per affermare qualcosa che può sconcertare il lettore.
Ma ritengo che tutte queste pagine, possano essere il frutto di un sofisticato insieme di software e di hardware; tra loro combinatisi per fortuite, inspiegabili situazioni.
Voglio dire, cioè, che temo che questo pur avvincente racconto possa essersi autogenerato ....  Ho il timore che nessun essere vivente, nessun umano intendo dire, lo abbia  mai prodotto.... Che possa essere frutto di una partenogenesi, assurda ma, ciò nondimeno, estremamente affascinante....
Voglio ritenere che sia avvenuto un processo di auto-attivazione dell’elemento primario esistente, senza alcun contributo esterno …
Gli elementi e la vicenda … da soli, avrebbero generato la storia …
Questo avvenimento, peraltro piuttosto diffuso in natura, sta alla base delle forme partenogenetiche più complesse, senza rappresentare, tuttavia, un residuo evolutivo “imperfetto” di tali modalità..
Prego, pertanto, di non volere ritenere il sottoscritto in alcun modo responsabile di quanto qui contenuto.
Egli, al massimo, si assume il ruolo di chi, condividendone appieno la sostanza, l'assume come propria, proponendola così, tale e quale, all’attento giudizio dei lettori.
N.B.-(voglio peraltro sottolineare che la data nella quale questo scritto mi è pervenuto è, di alcuni mesi, successivo alla data odierna!)
(N.d.A.)




INTRODUZIONE

Il bus bianco e azzurro, comparve dietro l'alta muraglia sbrecciata che metteva in vista i mattoni rossi che si sbriciolavano in polvere. Aveva molto rallentato per imboccare la curva, tirandosi dietro il serpentone snodato, col manicotto nero a fisarmonica.
Diffuse nell’aria un intenso odore di plastica bruciata; di caldarroste.

Il brontolio sordo del motore riprese di potenza appena la coda si fu allineata con il corpo centrale.
Le figure si potevano intravedere nella penombra dietro le vetrate; ballonzolavano ondeggiando, come burattini, aggrappati alle sbarre.
Con l'accelerazione, un leggero ondeggiare all’indietro, sincronizzato ma non uniforme, mentre la massa imponente si avvicinava con stridore di freni alla pensilina della fermata.
Un nuovo ondeggiare delle sagome in avanti, fin quando esso si fu del tutto arrestato, mentre le frecce sul lato destro lampeggiavano vistosamente con il loro colore arancione.
Lentamente scese una informe figura di anziana preceduta da un bastone a tre punte appoggiato sull'asfalto della banchina. Nell'altra mano reggeva due sacchetti di cellophane di colori diversi. Dalle porte dell'entrata scese una figura femminile abbastanza minuta.
Posò a terra i grossi anfibi che portava slacciati, con le stringhe che ballonzolavano in giù.
Indossava jeans stinti con le toppe alle ginocchia e sul sedere. Un blazer grigio scuro aperto sul davanti lasciava intravedere una maglietta con scritte colorate.
Di sotto si intravedevano seni molto minuti.
I capelli neri di media lunghezza scendevano disordinati.
La  mano destra sollevò lo zaino che vi teneva; infilò prima un braccio e poi in un altro lasciandolo cadere sulle spalle.
Con passi ondulati, per via delle calzature enormi  che portava a strascico, scese dalla banchina e attraversò la strada per raggiungere il marciapiede.
Nell'aria galleggiava ancora un'onda dell'odore bruciato di miscela dei motorini.
Nel camminare strascicava un poco i carrarmati massicci delle suole gommate.
La muraglia qui non era più sbrecciata, perché protetta da immensi manifesti pubblicitari.
Un gigantesco yogurt si  intravedeva solo in parte, nascosto da un altro lenzuolo di carta più recente, ancora lucido della colla da parati. Era circa quattro metri per tre .
Una donna immensa e sensuale ci stava adagiata, guardando con occhio seduttivo.
Appoggiava un gomito sulla superficie verde e il suo corpo si allungava in prospettiva.
Capelli e particolari della postura nascondevano le parti più intime della sua nudità.
Il suo sguardo accattivante e sornione sembrava ammiccare allusivo, promettendo qualcosa di indefinito, di segreto, di proibito.
Sul marciapiede non passava quasi nessuno.
La ragazza continuava ad arrancare calpestando l'aria nei suoi anfibi, leggermente curvata in avanti, reggendo lo zaino.
Scrutava con occhio timido e incerto; evitava sguardi diretti negli occhi dei rari passanti.
Al quarto incrocio che incontrò svoltò a sinistra.
Qui stavano arrivando tre figure colorite.
Avevano calzoni verdi, camicie rosso bordeaux, e un basco azzurro scuro con il pon pon.
Viaggiavano allineati: quello in mezzo era decisamente più basso; i due all'esterno più alti; uno era anche massiccio. Il massiccio aveva uno sguardo bovino con la mascella molto larga e un accentuato prognatismo. I suoi compari avevano un'aria insulsa e insignificante; sguardi che non denotavano eccessiva intelligenza o acume.
Il bassetto sollevò gli occhi verso il massiccio-bovino che rispose con un cenno di assenso, ondeggiando leggermente la mandibola sporgente e raccogliendo le labbra.
La ragazza avrebbe anche potuto dirigere i suoi anfibi strascicati ad attraversare la strada guadagnando l'opposto marciapiede.
Ma pensò che sarebbe stato impossibile evitare le attenzioni dei tre scimmioni della ronda.
L'apostrofarono subito con voce sgarbata e un leggero sorriso becero e provocatorio.
- Eh ... allora, ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? - Disse il bovino inciampando sulla propria controllata balbuzie. Poi sogghignando verso i due complici atteggiò le labbra ad una smorfia compiaciuta.
Lentamente la ragazza sfilò un braccio dallo zaino, se lo fece scivolare davanti, lo aperse immergendoci lo sguardo dentro. Poi, sempre senza sollevare lo sguardo, porse un foglio gualcito che teneva piegato in quattro dopo averlo aperto.
- Non... crederai che con questo tu sia a... a posto..., carina... Guardiamo che non sia sca... aduto... -bofonchiò col suo livore idiota. I compari grugnivano sommessi. Poi il basso guardando in su con le ciglia sollevate verso il massiccio borbottò:
-Sì, la data del permesso è ancora buona... credo che sia posto... cioè, voglio dire...-
-Beh, vu...uol dire che... per questa vo...olta ti è andata bene, va, ma guarda che quelli come te a noi... qui... non ci piacciono mica tanto... Meglio che te ne to...orni al tuo paese va... che qui ce n'è già abbastanza di mangia pane a tradimento.... È che stasera siamo in vena di fare delle buone azioni, neh?-aggiunse facendo ballare il suo prognatismo sorridente verso le facce dei suoi camerati.
La ragazza dovette allungare la mano, tenendo sempre lo sguardo basso, per riprendere il suo foglio che, per sgarbo, le dita di quello continuavano a trattenere un po'.
Poi sollevò gli anfibi il più possibile, diminuendo l'impatto e l'attrito sul marciapiede, e allungò il passo accelerando l’andatura, procedendo sempre aggobbita in avanti….

1.      LA RONDA

Il motivetto di “Alla turca” di Mozart  si mise a vibrare squittendo in qualche angolo della casa.
Una figura tarchiata e un po' tozza emerse tra gli scatoloni metallici. Prima comparve il codino legato con lo spago colorato. Poi le spalle e il corpo tarchiato e tozzo. Con sguardo da furetto o da cane volpino incrociato puntò i piccoli occhi neri in giro per lo spazio ingombro, a periscopio, cercando d'aguzzare il più possibile l'udito. Si sporse quindi da dietro la spalliera del divanetto di similpelle consunta, piegandosi in giù e frugando con le mani tra i cuscini, finché ne estrasse l'oggettino suonante.
Mentre ancora continuava il motivo digitò qualcosa sulla tastiera; poi avvicinò il cellulare ad un monitor che stava appoggiato sulla pila degli scatoloni di metallo. Una freccia prese a ondeggiare mentre si accendeva un led verde in alto a destra.

-       Allora sei proprio tu, andiamo sul sicuro, che qui in questa situazione di merda non sai
mai in che modo ti stanno per incastrare...-.
Quindi   avvicinò il cellulare all'orecchio
-  Sì, certo, puoi venire, sei pulita -
Si nettò le mani con le quali aveva trafficato mentre era in immersione tra le sue cianfrusaglie, sfregandosele sul davanti della camicia di jeans.
Tre quarti della piccola stanza erano ingombri di strutture metalliche tubolari, sulle quali erano aggrappate su un numero infinito di ripiani, apparecchiature legate col nastro adesivo avana da pacchi. Fino al soffitto arrivavano le intelaiature; e solo qua e là dei piccoli corridoi permettevano di infilarsi all'interno del labirinto, all'occorrenza.
Dall'ammasso di apparecchiature e di cavi di cablaggio proveniva un ronzio biribiante come da un immenso alveare, con mesto pigolio sommesso di pulcini cibernetici.
Il disordinato accumulo di residuati informatici palpitanti era costellato da micro-luci e led di vari colori.
Si avvicinò all'ingresso; digitò alcune combinazioni sullo smartphone modificato, orientandolo verso diversi punti della struttura della porta. Si sentirono dei leggeri clic, poi quella si aperse lasciando entrare la ragazza aggobbita.

- Anche oggi, quegli stronzi..!
“Eh ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? vu...uol dire che... per questa vo...olta ti è andata bene, va, ... È che stasera siamo in vena di fare delle buone azioni, neh?”… -
-  Ma che cazzo vogliono ogni volta quelli lì..? Con quelle facce da maiali... E meno male che questa volta non mi hanno frugato lo zaino...
Ti ho portato un po' di quel cavo che mi avevi chiesto... E poi ci sono qui degli hamburger, non so di cosa siano, te lo giuro, li ho fregati oggi alla mensa... Due arance e un po' di birra che hanno fatto i compagni l'altra sera... È di quella fatta da noi, con il luppolo nostro, coltivato vicino all'erba; quindi ancora più buono...!
Come va qui da te? Come va la costruzione dei tuoi tralicci...? Funziona la baracca? Eh Cyber?-
Cyber, come l'aveva chiamato la ragazza, si diede una tirata con entrambe le mani al codino per rimetterlo a posto, carezzandosi poi le guance con le dita tozze e grassottelle. Intanto guardava la sua immensa opera, compiaciuto e soddisfatto. Non degnò di attenzione le scorte alimentari che lei gli aveva appena depositato sul tavolo ingombro di piastre verdi di varie forme e dimensioni.
-Va avanti, cazzo!  certo che va avanti la baracca... Ma c'ho ancora da assemblare un casino di queste fottutissime piastre di hard disk. I ragazzi me n'hanno appena portato un altro fottìo ieri sera. E ce ne vuole un casino per fare la memoria che c’ho in mente io e che mi serve... Un casino per davvero ce ne vuole,   di queste cazzosissime piastre di vecchi hard disk recuperati.... Ma le sto sistemando perbenino, vacca boia. E anche le verifiche vanno tutte alla perfezione. L'ho sempre detto io che sono un genio....
Ogni volta che l’ho riassemblato con le nuove parti, cablandole insieme e rendendole compatibili, rilancio il sistema.... Ho già decompresso quasi tutti i cataloghi dell’inventario di parlanti… Ho rivisto gli algoritmi per l'allineamento di sequenze…; messo a punto l’annotazione morfologica con lemmatizzazione; l’annotazione sintattica… e tutte quelle cazzate lì, insomma…-
Ostentava un sorriso compiaciuto e soddisfatto,  muovendo la peluria della rada barbetta e dei baffi striminziti, nella smorfia delle labbra inarcate. Ci stava dando dentro da un pezzo ormai.
- Ma dici che davvero poi quella montagna di ferraglia lì è capace di mettersi a scrivere da sola le storie...? Che basta che tu stai fuori a pilotare la tua Ferrari, che le correggi il tiro, che le dai la dritta e lei, così, da sola... fa tutto... cioè... inventa lei la storia e te la scrive bell'e pronta? E che poi sarà capace di collegarci in rete con tutti i compagni…?-
Glielo chiedeva ogni volta, apposta, perché sapeva di farlo contento, anche se, in pratica, lei non ci capiva niente... sapeva che lui avrebbe subito reagito, apparentemente incazzato, sopra tono e avrebbe detto:
-       Ma ti ricordi bambina di quando vi ho fatti parlare per ore e ore giorni e giorni e settimane e mesi a tutti quanti voi? Oltre a tutto quello che avevo già nelle memorie…. Ho raccolto registrato e catalogato una quantità infinita di testi, li chiamano i "corpora", con frammenti di parole di suoni, che questi li chiamano i "token", ho messo insieme intere "stringhe" e sequenze infinite....; tenendo ben conto della legge di Zipf della frequenza..., tutte quelle cazzate lì insomma.... È come per cucinare un cibo speciale, c'ho buttato dentro tutti gli ingredienti possibili, in tutte le sue varietà e dimensioni. Gli ho messo i condimenti e ho inventato le ricette, che poi sono le regole e programmi di funzionamento... che dicono come deve legarsi questa cosa qui con quell'altra eccetera eccetera....
E poi non ho inventato tutto io, che molte di queste cose qui erano già belle e pronte, le ho solo dovute combinare in modo diverso, come quando si deve tarare un nuovo motore...; insomma ho riorganizzato completamente tutto quello che c'era già... e ne è nata una cosa totalmente nuova.... Questa è la mia creatura, è mia figlia , ed è la matrice per reinventare e raccontare tutto il mondo è tutta la realtà in un modo nuovo.... E farà anche tutto il resto….
Cazzo, Samira, te le ho già ripetute migliaia di volte queste cose ma non ti entrano proprio in quella tua testolina lì..., neh?
Che lo sai che a me mi piace di farti entrare qualcosa dentro di te... Eh “compagna di discorsi nella sera”  (2)
E quando arrivava a dire così voleva dire che era proprio contento di avercela lì, la sua amica da strapazzare a parole e da riempire tutta, in tutti i modi...
Anche questa volta le si avvicinò ponendole le mani grassocce sui capelli e tirandole il viso vicino al suo. Non doveva neanche fare molta pressione sul suo capo che già era pronto e remissivo a chinarsi all'altezza dei suoi calzoni, ad abbassargli la cerniera , frugare e massaggiare con cura; infine accogliere nella sua bocca la sua turgida virilità fino a farlo mugolare di piacere.
Samira era molto contenta di poter premiare il suo genio come piaceva a lui. Sperava che poi lui non avesse troppo fretta di rimettersi a giocare con le sue macchine cibernetiche. E che il letto non fosse ingombro di cianfrusaglie metalliche e fili elettrici, e che ce la portasse al più presto, mettendola nuda subito, penetrandola con l'entusiasmo che aveva con la sua macchina pensante, che le usasse tutte le perversioni possibili...

Anche dalla posizione rannicchiata che teneva, qualche barlume luminoso le arrivava dalla finestra. La vecchia tapparella da chissà quanto tempo si era bloccata in diagonale, e ora pendeva sghemba, facendo penetrare fiotti di luce bianchi come latte ghiacciato. Nel nido che si era scavata in posizione fetale, con le mani a pugno appoggiate davanti alle palpebre, sentiva un baluginio di

(1-  NOTA- Il nome arabo “Samira” significa:”compagna di discorsi nella sera”; secondo l’ipotesi di origine hindi : “vento gentile” )

chiarore, penetrare indiscreto dentro al suo torpore morbido e sensuale. Sentiva ancora nelle proprie mani e nel proprio corpo l'odore intenso di sudore e di sesso, che fiutava ora a boccate regolari e golose. 
Cercò di restare più ferma possibile per non svegliare il suo uomo che certamente stava ancora dormendo accanto a lei. Anche se non ne sentiva il respiro pesante e rumoroso.
Si incazzava di brutto se veniva svegliato prima che l'avesse deciso lui.
Smadonnava in tutte le religioni possibili. Non le era mancata l'occasione di sentire tirar giù moccoli contro Budda, Shiva e la sua trinità, mescolati nel turpiloquio ai tabernacoli cristiani e cattolici, a quelli dell'Islam....
Era sempre più sveglia.
L'odore muschiato e acidulo le proiettava immagini morbose ancora fresche nel ricordo.
Quando lui era entusiasta scopava alla grande. Mescolando preliminari e penetrazione a fondo in modo confuso e irregolare.  
Ritornando frequentemente sui propri passi.
Spesso dopo averla spogliata nuda le metteva due mani dietro le ginocchia appoggiando le sue gambe sopra le proprie spalle.
Affondava il suo volto nel bosco del suo inguine reggendola con le mani sui fianchi o sotto le natiche. La sua lingua dura e rigida scavava gli umori rappresi, roteando sapiente. Con labbra e lingua si impadroniva del suo clitoride, stringendo e leccando con intensità sempre diversa e rinnovata.
Spesso sollevava ancora di più le sue gambe afferrandole le natiche e divaricandole e ci affondava di nuovo la bocca e la proboscide della sua lingua raccolta; allargava, umettandolo di saliva, il suo buchino scuro. Preparandolo per una penetrazione che non era mai violenta o dolorosa. Lei partecipava sempre, favorendolo, dilatandosi all'infinito, più che poteva, sollecitandolo con le parole...
Alla sodomizzazione poteva seguire il cunnilinguo, incrociato a fellatio, o la penetrazione vaginale.... Per poi ricominciare sempre tutto da capo; fino a quando entrambi cadevano esausti, nei loro umori e odori...
E quel carosello di giochi non aveva mai  sapore ripetitivo; assumeva ogni volta  una nuova sfumatura, una nuova fragranza ; il desiderio rinasceva sempre rinnovato; ogni volta era il risveglio dei sensi come dopo una catalessi; una continua risurrezione del fervore; una sete famelica e spasmodica di piacere, che mirava al godimento assoluto e finale, che avrebbe simulato di spegnersi per poi riaccendersi all'infinito....
Provò stupore di non sentire assolutamente l'abituale respiro rumoroso da cinghiale del genio   del microchip. Rimase in ascolto in assoluto silenzio trattenendo addirittura il fiato. Poi, con grande cautela, emergendo dal suo nido d'ombra e di muschio mosse lentamente il capo... scoprendo che il posto accanto a lei nel letto era vuoto.
Buttò giù i piedi toccando il pavimento freddo. Dai peli del suo pube saliva ancora quella fragranza umida che le aveva invaso la notte e l'anima. Si tirò su in piedi, carezzandosi i fianchi. Incrociò le braccia conserte a proteggere i piccoli seni dai capezzoli appuntiti per il fresco. E si affacciò alla taverna dell'orco.
Un intenso ronzio vibrava nell'aria; led multicolori si accendevano e si spegnevano; su alcuni monitor accesi scorrevano serie infinite di sequenze alfanumeriche...
L'apprendista stregone giaceva sprofondato nel divanetto; sporgeva il codino e le sue mani tozze che impugnavano telecomandi e sensori.... Davanti a lui un residuato megaschermo televisivo a cristalli liquidi a 70 pollici. Altri tre più piccoli gli facevano compagnia, come figli accanto alla propria mamma.
Era un continuo gracchiare, sfrigolare, alternato a sequenze di parole per lo più in lingue straniere.... Ogni tanto l'immagine restava ferma per pochi secondi, fino a quando il telecomando decideva di sfrattarla per altre successive....
Samira gli andò alle spalle, sfiorandogli con le mani le guance coperte di quella barbetta rada e stentata, infilandogli poi le mani nel maglione che lo copriva fino a mezzobusto; finendo poi per sporgere in fondo, dove frugarono inutilmente prima di essere respinte dalla modesta consistenza delle pudenda maschili afflosciate.
-  Cazzo..., mollamelo,... che sto cercando di mettere a fuoco.... Sempre ‘ste merde di notiziari governativi ufficiali.... Sono riuscito dopo tre volte ma per pochi secondi a sintonizzarmi sui nostri canali.... Eccolo.... Mannaggia..... porcaccia di quella miseria... Era qui, l'hai visto anche tu....-
- Certo, certo che l'ho visto...- Aveva visto delle immagini svolazzanti che erano subito sparite, non sapeva interpretarle, né capire che significato avessero; ma non poteva scontentarlo, adesso.
Teneva le mani al calduccio sotto il suo maglione, a contatto della pelle del suo corpo e del petto un po' glabro. Non osava più frugare là sotto. Fingeva di mostrare interesse per le immagini sugli schermi; aspettando novità e  sue spiegazioni e delucidazioni....
Dopo numerosi altri sfrigolii, crepitii e borborigmi comparve il  monogramma dell'informazione libera. Lo schermo era fisso ma con discreti colori e non ballava l'immagine. Un timer incorporato stava effettuando un count down. 798-797-796-..., scandivano i secondi.
- Dai, che l'abbiamo beccato! E tu non ti muovere di lì eh? ...- disse perentorio rivolto allo schermo.
- Vado a farti un cafferino Cyb? e guardo se c'è qualcosa di là da sgranocchiare... ti va bene..?-  Avrebbe voluto aggiungere: "amore", o qualcuna di quelle paroline che si dicono tra morosi, tra fidanzati, tra amanti... Ma sapeva troppo bene che era proibito. Loro erano solo amici (anche la notte prima erano stati solo amici? Fanno quelle cose lì e con quella passione gli amici?). Lei non poteva e non voleva farlo incazzare. Era il prezzo che doveva pagare. Tanto, lo sapeva, il gioco lo conduceva lei.... E poi, non era così brutta quella parte, di far finta di essere succube e di mostrare che lei sapeva rispettare le sue regole, che era alle sue dipendenze....
Mentre lui continuava a fissare gli schermi sacramentando ogni tanto mezze parole subito bloccate, Samira portò la sua nudità dentro quel piccolo angolo lercio che lui definiva la sua cucina.... Una vecchia moka vomitò nel sacchetto della immondizia puzzolente una compressa compatta di vecchio caffè ammuffito. Sciacquò il filtro sotto il getto dell'acqua che usciva, a intermittenza, alternato a sbuffi d'aria. Speriamo che non stia per finire l'acqua, pensò. Che qui ogni tanto la interrompono e chissà per quante ore non ritorna....
           
Dopo pochi minuti ritornava da lui con due bicchieri appannati colmi di caffè fumante appoggiati sopra un piatto. Sotto l'ascella reggeva un barattolo di crema di nocciole sintetiche. Nella mano dei triangoli ormai secchi di pane da tramezzino.
Lo schermo grande mostrava in dissolvenza il monogramma accompagnato dalla musica in crescendo di "Kailinka" del glorioso coro dell'Armata Rossa, del secolo precedente.
Sullo sfondo di un paesaggio devastato, baracche di lamiera sulle quali si sovrapponevano immagini intermittenti, flash di immagini di volti, di masse di persone, di bandiere, di sorrisi....
Sul bordo in basso dello schermo scorrevano delle scritte multilingue.
Inglese, italiano, arabo... si alternavano mescolandosi con altre con caratteri orientali, cinesi, vietnamiti, coreani; israeliani e copti....

1 Compagni fratelli amici,
il grande sole della liberazione sta sorgendo.
I governi reazionari delle multinazionali della finanza non lo sanno ancora ma stanno per  esalare gli ultimi respiri.
I partiti politici della corruzione e dei mestieranti del potere  hanno ormai il fiato corto.
Da tempo gli stiamo addosso. 
La rete anarco- libertaria  del governo popolare mondiale  invita tutti alla partecipazione,
informando tutti con la massima trasparenza


2    Compagni fratelli amici ,
Libertà , giustizia , pulizia.
No alla delega; 
partecipazione diretta assembleare ,
Arengo totale del Web. 
Consigli diretti di base .
Documèntati , infòrmati , nessuno rappresenta nessuno .
Riprendiamoci l'aria e l'acqua , energia solare , eolica ,
Cancelliamo il monopolio dell' idrogeno, come è stato per i combustibili fossili.
Riprendiamoci la terra e il mare , sono nostri e ce li sappiamo gestire da soli 

3   Compagni fratelli amici ,
la diversità è risorsa ,
la bellezza è differenza ,
la proprietà privata è furto,
l' occupazione di posti di potere è sopruso e prevaricazione. 
tutti siamo uguali solo se lo vogliamo. 
Libertà è allegria e felicità.
Non lasciamoci mai più espropriare della nostra ricchezza fondamentale. 
Potenziamo tutti la rete, 
Usiamola a piene mani , è solo nostra e per sempre.
E’ la nostra arma e il nostro mare dove nuotare liberi.

Una serie secca di  “bip” sonori fece girar loro la testa verso l'apparecchiatura palpitante alle loro spalle.
Su uno dei monitor  sorrideva garbata una figura femminile.
Aveva i capelli biondi raccolti a crocchia sopra il capo. Il suo aspetto era realistico, quanto poteva esserlo un'immagine femminile sintetizzata.
Attendeva silenziosa qualche secondo; poi invitò dolcemente:

-       La procedura è stata completamente resettata. I campioni linguistici sono stati ordinati.
È stata ripulita ogni ridondanza ritenuta superflua.
I campioni di personalità sono stati sistemati ordinatamente nei cataloghi ripartiti per genere e tipologia. I generi e gli stili linguistici collocati nelle rispettive manches.
Paesaggi e tipologie metereologiche ed ambientali organicamente ristrutturate e sistemate....-

Gli occhi di Samira erano raggianti di entusiasmo e felicità. Guardavano strabiliati il “gran maestro”, attendendo l'inizio della performance dimostrativa....
Era  certa che almeno per un po' lui non l’avrebbe cacciata via.
Lui, intanto, stava smanettando con un tablet collegato ad alcuni smartfone, e si preparava alla grande dimostrazione....

-       Beh, non ti aspettare chissà che cosa, può darsi che sia un flop come è già successo qualche altra volta. D'altra parte meglio che lo veda tu... voglio dire, non è che tu mi sputtanerai , no?-

La ragazza sintetica ebbe un leggerissimo ondeggiamento del capo, ma attendeva paziente e tranquilla.

-       Ora devo selezionare genere, stile linguistico, ambientazione, personaggi...- disse Cyber.

In sovrimpressione comparvero sul monitor lunghi elenchi di listati, strutturati ad albero; alcuni termini vennero da lui evidenziati e selezionati cliccando; i preliminari continuarono per qualche minuto.
La ragazza nuda muoveva lo sguardo lentamente dagli schermi al volto del suo guru, aggrottato nell'impegno e nella concentrazione procedurale....
Clic finale.
Ciak.
Start....
La ragazza virtuale era diventata una piccola icona che stava nell'angolo in alto a destra del monitor. Ripeteva dalla sua dimensione diventata lontanissima alcune informazioni. Quindi invitò a cliccare: "ENTER".

Lo schermo si era ora vuotato; solo il francobollo in alto a destra che ammiccava lentamente tentennando il capo. Comparvero dissolvenze digradanti di vari colori che sfumavano a cascata, subito trasformandosi, fino ad assumere alla fine un colore verde pisello.
Cyber aveva fatto indossare a Samira delle cuffie.
Lui se ne era sistemato un paio di tipo diverso, col microfono; aveva anche attaccato dei sensori a ventosa alle proprie tempie e sulla fronte.
Dopo pochi secondi la storia cominciò a comparire sul monitor e in cuffia.


2.      

Lui stava di nuovo cercando di discendere da un grande scalone di marmo con la sua decappottabile. Strano che non toccasse mai con la coppa dell'olio. E anche nelle curve era abbastanza difficile non toccare contro le colonnine, che dopo un po' si erano trasformate in ringhiere di ferro arrugginito e nero. Dei lunghi ballattoi.
Aveva appena lasciato l'immenso salone delle riunioni brulicante di persone, ma decisamente molto silenzioso. Dovevano tutti certamente conoscersi tra loro e soprattutto con lui. Che infatti non aveva remore ad attaccare discorso con chiunque avvicinasse.
Pezzetti e frammenti di discorsi, decisamente scollegati tra loro.
Ma che dovevano avere qualche legame con il contesto e con la situazione per la quale si trovava lì. Era spontaneo il suo comportamento; meglio sarebbe dire che gli veniva meccanico, automatico. Ricordava, o almeno gli sembrava di ricordare, che tutti si erano avvicendati all'immensa tavolata del self-service. E lui doveva essersi riempito, come era solito fare, il piatto di cibi succulenti deliziosi.
Ma ora, come spesso gli era già capitato altre volte, si trattava di riuscire ad imboccare una scala stretta, dai gradini di serizzo ruvido e rugoso , e avrebbe anche potuto non farcela, questa volta. Ma la sua decappottata viaggiava spedita e senza problemi. Si era infilata in un ballatoio lungo la ringhiera,  dalla quale stava per accedere ad una stanza piena di divani letto di varie fogge e forme.
Eppure non riusciva ancora  a spiegarsi come mai potesse trovarsi in quella situazione.

Poi qualcosa doveva averlo fatto riscuotere.
Impercettibilmente aveva aperto gli occhi.
Stava molto comodo , sprofondato nelle poltrone vellutate in qualcosa di abbastanza vibrante.
Il Frecciarossa stava viaggiando a velocità sostenuta.
Doveva essersi appisolato da poco.
Mise a fuoco lentamente, cercando di osservare se gli altri viaggiatori si erano accorti che lui si era addormentato.
Non riuscì a completare il suo proposito. Fu colpito dal flash della prima immagine che vide.
Di fronte a lui un'immagine di ragazza-donna di età indefinita: diciotto /trent'anni.
 Stivali alti sopra al ginocchio con risvolto; calze nere e fascianti; mini shorts; capelli cortissimi biondi, con due virgole che le scendevano al posto delle basette; aspetto abbastanza anoressico; sguardo e atteggiamento molto distaccato, freddo ed aristocratico.
Molto elegante.
Rapido incrocio di sguardi di sfuggita.
Lui riuscì immediatamente ad assumere un contegno, tornando ad essere padrone di sé.
Lei stava sfogliando qualcosa: rivista, libro, fogli..?
Passava  dall'uno all'altro con aria di estremo distacco e padronanza.
Pareva  mostrare profondo interesse mescolato a noncuranza e svogliatezza.
Rimasero entrambi in sur-place per un tempo abbastanza breve, ma che a lui parve eterno.
 Surgelato come in una istantanea che prolunga le sue movenze apparentemente all'infinito.
Vi furono, quindi, graduali avvicinamenti di  sguardi.
 Sino a un punto di contatto in cui lei disse qualcosa, forse in risposta ad un suo sguardo fuori del finestrino a curiosare a che punto erano del percorso: "Arezzo..."- aveva recitato lei.
Ciascuno dei due continuava a star sulle sue.
Poi, gradualmente, come al rallentatore, in modo cauto e circospetto, dilazionato intenzionalmente, ritardato all'infinito, i primi approcci verbali.
Insignificanti, formali e di maniera; di circostanza. Adeguati all'atmosfera e al clima da vetrina.

Quindi lui estrasse dalla custodia il netbook; si infilò con estrema calma le cuffie; caricò un brano di testo; e si mise ad ascoltarlo.
Ogni tanto socchiudeva gli occhi. Per concentrarsi meglio nell’ascolto. E per assumere un contegno riservato.

Dopo un po' lei estrasse un  iPod. Mettendosi in ascolto.

Due presenze assorte, ciascuna nel proprio auto-isolamento di facciata.
Lui non riusciva a concentrarsi davvero nell'ascolto.
Ma ciò non di meno recitava perfettamente la propria simulazione.
Quando,  ad un certo tratto, lui riaperse gli occhi incontrò lo sguardo di lei fisso, curioso, indagatore.
Stava di fronte a lui.
Riviste, libri, fogli erano scomparsi.
Stava recitando una parte complementare parallela; dell'ascolto della musica in cuffia.
Altri brevi istanti eterni.
Quindi lei si tolse con estrema lentezza una delle cuffie da un orecchio.
E gliela porse in silenzio sempre guardandolo negli occhi.

Lui nascose l'imbarazzo, prendendo l'auricolare che gli veniva offerto.
Ci fu un lieve impercettibile sfioramento delle mani.
Raccogliendo il gioco della sfida proposta, accettò adeguandosi, e  fece altrettanto con uno dei propri auricolari.
Lei gli stava offrendo l’ascolto di  musiche languide, cantilenanti, cantate e salmodiate in una lingua a lui sconosciuta.
Lei fissava nel vuoto ascoltando le parole dalla cuffia di lui.

Vi fu un'altra sequenza in cui il tempo si arrestò immobile e fermo.
Parve che sarebbe dovuto durare all'infinito.
Poi avvenne un primo approccio di avvicinamento verbale autentico.
-  E-book?- chiede lei.
 Lui rispose laconico e  asciutto limitandosi a pronunciare il titolo del suo romanzo "Sogni gratuiti".

Altri istanti di eternità sospesa.
Ciascuno ascoltava  nella cuffia dell'altro e insieme anche nella propria.
Una  narrazione pronunciata con voce sintetica si mescolava  agli accordi salmodianti.
-       Sono  sequenze di un romanzo che sto preparando. Le detto col microfono e il software di riconoscimento vocale le trasforma in testo scritto. Il programma che uso fa quello che può. Oltre a piccoli refusi sulle terminazioni verbali, spesso ci sono degli autentici strafalcioni che stravolgono completamente il significato del testo. Però è comodo. Risparmia il tempo e la scocciatura di dover digitare tutto sulla tastiera... Per ascoltarle uso un sintetizzatore vocale, un programma che funziona al contrario; trasforma il testo scritto in parlato...-
Ora la guardava  interrogativo. Lei sussurrò un nome che lui non riuscì a cogliere.
Una breve frase di lei, forse, che avrebbe voluto collocare la voce femminile cantante che proveniva dalla sua cuffia  in un contesto comprensibile; ma che non lo era  per lui.

Lei, senza smettere il duplice ascolto, guardò nel posto vuoto accanto a lui dove giaceva la borsa del netbook.
Lui  capì  lo sguardo intenzionale e la tolse.
Senza staccare le cuffie lei gli si venne a sedere di fianco.


3.      

-       Splendido,... Cibby,  - esclamò Samira guardandolo trasognata con i suoi occhi un po' orientali….
-       Sì, ma questa... non è la versione definitiva..., cioè è  ancora da manipolare, aggiustare, correggere. Bisogna dargli degli altri input, completare le parti mancanti. Aggiungere particolari. E poi è solo un’esercitazione, una prova…D'altra parte la nostra dolce biondina non può mica far tutto da sola... no?-

In cuffia entrò di nuovo la voce della biondina virtuale.

Non c’aveva fatto caso mentre stava leggendo il testo che compariva a monitor.
Ma non sembrava per niente una voce sintetica; di quelle che ti rispondono nelle segreterie telefoniche, che sono assolutamente prive di tonalità, amorfe e piatte, come quelle dei navigatori satellitari, combinazione di spezzoni verbali senza accento né intonazione; fredde e amorfe.
Mancava, sì, una vera e propria intonazione come quella del parlato umano.
Ma la voce dolce e flautata scorreva fluida e armoniosa.
Simulando un essere realmente esistente.
Dandone almeno l'illusione.

Lasciandone dentro il sogno o la speranza...

Ora stava dicendo:
- Il canovaccio presentato costituisce solo una bozza da elaborare. Dopo la messa a punto di questa bozza di prova, riuscirò a continuare speditamente e con maggiore sicurezza. Non so fino in fondo quale tipo di storia vuoi inventare.
Come ti posso chiamare? Se vuoi io posso essere Shahrazad (1) e racconterò la storia.
Ma potrai cambiarmi il nome ogni volta che lo vorrai.
Sarò la tua narratrice virtuale.
Ho scelto il nome desumendolo dai materiali letterari che mi hai caricato in memoria.
Mi pare che sia stata capace di raccontare, per mille notti,  storie, e liberarsi dalla condanna che le aveva riservato il suo signore. E poi io sono appena nata in questa tua città.
Dopo che mi ha avrai caricato i nuovi input potrò modificare la bozza per farla diventare una ipotesi più definitiva di narrazione.
Se la proposta che sto facendo è di tuo gradimento ti prego di cliccare di nuovo su "ENTER" , che compare qui sotto nel monitor.
Non so calcolare il tempo necessario.
________________________________________________
(NOTA (1) = Shahrazad  significa nata nella  città o figlia della  città)



Per il momento ti elenco i punti sui quali mi dovrai fornire indicazioni più precise e dettagliate.
Attendo risposta.-

Seguiva una scaletta per punti:
·       nome del protagonista
·       aggiungere particolari descrittivi
·       denominazione dei brani musicali e/o dell'autore
·       la narrazione in bozza è molto veloce e troppo sintetica; trovo nel glossario il termine incomprensibile di "telegrafica"; rapida
·       i due personaggi sembrano vuoti; andrebbero caricati di "personalità" come a volte succede nei campioni narrativi che trovo nel mio database
·       se vuoi e ti piace puoi usare la bozza così com'è
·       specie se questa è solo una esercitazione per prova” -

Anche Cyber aveva il volto atteggiato ad un vago sorriso di stupore compiaciuto.
Dentro di sé gongolava tutto ed era abbastanza frastornato.
Quella prova poteva andar bene anche così... oppure no?

L'avrebbe sottoposta in visione al giudizio del suo supervisore letterario.

-        Cybbi, vuoi che vada, adesso? - disse a questo punto la ragazza che, rabbrividendo dal freddo, era stata tutto il tempo aggrappata al braccio di lui, tenendo le braccia infilate sotto il suo maglione e accarezzandogli il petto e le spalle.
Usava  permettersi quel diminutivo perché la notte avevano appena fatto l'amore.
Ma ora era meglio filarsela.
“Prima  che sia lui ad incazzarsi e a cacciarmi via”, pensò tra sé.
Adesso che è stato quasi criticato e rimproverato da una donna bellissima ma che non esiste...
-       Dai, Cybbi, adesso mi vesto e me ne vado... ti va bene?
Ritorno appena posso sai?
O appena vuoi.
Mi chiami tu con il solito sistema?
Se la comunicazione  è pulita mi si accende quella lucina gialla?
E allora io so che ti posso rispondere... va bene così?
Cià, che vado davvero allora. –

Lui non la degnò di una risposta.
Mediante il tablet cliccò sull'icona di Shahrazad che tornò ad occupare tutto lo schermo. Sempre leggermente ondeggiante, con una sfumatura di sorriso che la faceva sembrare viva...

- Puoi chiamarmi  Cyber; qui mi chiamano tutti così,...
Credo  che comunque... hai fatto un ottimo lavoro...
Per adesso devo dire che il lavoro che hai fatto va molto bene; sì, mi pare proprio che vada bene. Per adesso me lo tengo così, in forma di bozza... poi magari vediamo, neh? -
Non osava dirle che tra gli input che le aveva caricato in memoria c'era un algoritmo adeguato che permetteva l'autoapprendimento continuo.
Pensava che l'avrebbe ferita.
E appena l'ebbe pensato ne fu abbastanza incazzato con se stesso.
Mentre digitava sul tablet, pronunciava le parole ad alta voce nel microfono della cuffia che indossava. Così, gli era venuto naturale farlo, come se quella Shahrazad esistesse davvero.
Era un po' disturbato dalla sua presenza, si sentiva a disagio; stava al gioco di parlare con un essere virtuale che sapeva non esistere; ma che si autoattribuiva un nome, e che nome!
Ricordò di quando una montagna di anni prima i più grandi campioni del mondo di scacchi avevano cominciato a battersi con delle intelligenze artificiali. Con dei computer, in sostanza. E un po' alla volta si erano accorti che ne sarebbero usciti quasi sempre battuti!
Era abbastanza disturbato da un sentimento ambivalente: ammirazione per la sua creazione, e indirettamente anche per se stesso, ma soprattutto per "lei", la “cosa” che aveva cominciato ad esistere e ad operare. E insieme anche provava una profonda paura e soggezione. Questa  non se l’era aspettata.
E poi si vergognava abbastanza di essere stato praticamente messo in difficoltà davanti alla sua amichetta, che lui aveva sempre trattato come una cacchina, come un essere inferiore, come una sua appendice;  necessaria, piacevole, utile, ma una cosa diversa....
Avrebbe forse cominciato presto ad essere in soggezione anche nei confronti di Samira?
E tutte le palle che tutti insieme, nel globo terracqueo, si andavano dicendo da un sacco di tempo....
Sì, principi verissimi, incontrovertibili e inattaccabili....
Ma Samira dunque era uguale a lui?
Valeva altrettanto?
Erano sul medesimo piano?
E lo sapeva, lei?
Se ne rendeva conto?
E perché, allora, stava al gioco di mostrarsi succube e dipendente da lui?
Di mostrarsi inferiore, di pendere dalle sue labbra, di fare qualsiasi cosa per lui....
Cyber aveva delle immense conoscenze e capacità nel campo dell'hardware e del software.
Capacità tecnologiche e manuali di altissimo livello.
Aveva appena costruito una macchina estrapolando conoscenze da altri contesti.
Smontando pezzi di altri vecchi computer desueti, assemblando e mettendo in rete e in connessione tra loro centinaia di hard disk, come aveva fatto nel secolo precedente l'inventore di Google.
Aveva analizzato smontato e riscritto interi programmi di riconoscimento vocale, ed altri prodotti finalizzati ad altri scopi per l’intelligenza artificiale, riassemblandoli insieme a pezzetti, e, alla fine facendoli funzionare.
Ma ora, davanti a quella "donna" sintetica e virtuale, non era più così sicuro di sé. Le sue certezze cominciavano a vacillare.
Grugnì a mò di saluto mentre Samira, indossati di nuovo i suoi ingombranti anfibi slacciati, rimessosi sulle spalle il suo zaino, gli passava a fianco, sfiorandolo con gli occhi e baciandolo intensamente con sguardi teneri e malinconici...., ma senza toccarlo.

Dopo che la porta fu riaperta e richiusa con tutte le cautele necessarie, l'uomo in crisi, il genio orfano, mise in stand-by la bellezza di ghiaccio di Shahrazad, e decise, finalmente, di farsi una canna.
Anzi, si disse tra sé, mi merito un “cannone” e me lo ciuccio scolandomi la birra di malto che mi ha appena portato la pollastra.
Ma, comunque, non si sentiva molto bene con se stesso. Qualcosa di dentro sembrava essersi incrinata, il suo motore esistenziale batteva in testa; come quei motori predisposti per andare ad idrogeno quando vengono modificati, adattandoli con marchingegni aggiuntivi a funzionare a biogas... O, peggio ancora, per marciare a benzina sintetica prodotta con le patate o con il mais...
Anche la crisi energetica mondiale, che da decenni pesava sull'umanità tutta, disturbando il regolare svolgimento delle guerre e dei traffici, delle industrie e delle ultime fabbriche sopravvissute, insieme alla crisi economica mondiale, insieme a quella sociale e politica, presero a pesargli addosso come un macigno troppo grande per le sue spalle e per la sua schiena tondeggiante di grassi in eccesso.
Alcune golate avide della birra dolciastra di malto, con quel suo fondo di sapore di liquerizia e di corteccia; respirando a pieni polmoni il fumo di tabacco ed erba.
E cominciò a sentirsi dilatare la coscienza, espandersi il suo spazio mentale, allargarsi le sensazioni di presenza fino ad occupare tutta la stanza, i marchingegni e i led e i cavi e l'aria....
Finalmente un senso di rilassamento e di distacco, di torpore diffuso e di annebbiamento mentale; quei tarli che l'avevano disturbato se ne stavano ora in fondo alla sua anima, confusi e rimpiccioliti in prospettiva; neutralizzati; per il momento.


Intanto “quella”, si era già messa, per conto suo, al lavoro…

4.

Viviana stava ora seduta di fianco a lui, nel senso di marcia del treno.
 Nell'orecchio destro teneva l'auricolare della propria musica; nel sinistro quello del sintetizzatore vocale collegato al netbook di lui. Lui altrettanto, ma con le cuffie in posizione rovesciata, destra-sinistra. Sullo schermo comparivano le pagine del romanzo. Una freccia seguiva le parole, che venivano evidenziate,  mentre la voce sintetica flessuosa  e cantilenata le pronunciava negli auricolari.

… che c'era una conta che diceva così: “ PIMPUM-DORUM-LA LINCIA LA LANCIA- QUANTI GIORNI SEI STATO IN FRANCIA- PRIMO LUNEDI’-SECONDO MARTEDI’ PIMPUM-DORUM T’SE SUTA TI” .
E la conta serviva per sorteggiare chi dovesse "star sotto ", assumendo un certo ruolo nel gioco.
Come per esempio nella "Topa", che poi era il gioco del nascondino.
Chi veniva sorteggiato e doveva  “star sotto” si metteva in un punto con la testa appoggiata alle braccia accostate al muro, nascondendosi gli occhi contro le braccia, e doveva contare ad alta voce fino al 31. Doveva scandire bene le ultime cifre: 28, 29, 30... e... 31! E poi bisognava gridare "topa" a ... seguito dal nome del compagno che si riusciva a vedere. Erano previste anche piccole escursioni allontanandosi dalla "casa" dove era avvenuta la conta.
Ma certamente erano pericolose, perché poteva succedere che qualcuno degli intanati nei nascondigli sbucasse fuori a razzo, fiondandosi alla casa.
E bastava che toccasse la parete contro la quale si era contato gridando "topa: libera per me. 1, 2 e 3".

E la filastrocca della conta, per la scelta per chi dovesse “star sotto”, veniva usata ritmando ogni sillaba o cadenza e toccando successivamente i compagni uno dopo l'altro, ad ogni cadenza di essa: "pim- pum-dorum-la lincia-la lancia-.....".
A chi capitava  di essere toccato dall'ultima battuta, in dialetto, del : "ts'è suta-TI" (=sei sotto tu), e veniva toccato dal “ti”, era il predestinato.
Ma ce n'erano tante di conte. Avevano  dei ritmi, delle rime  e delle cadenze diverse. Spesso comparivano espressioni totalmente insignificanti, ma ricche di effetto magico. Era bello ripeterle, o stare ad ascoltarle durante il sorteggio. Ci si accontentava di poco allora!
Eccone alcune:
"sotto la cappa del camino, c'era un vecchio contadino, che suonava la chitarra, pim pum barra"
" ambarabà cicì coccò, tre civette sul comò, che facevano l'amore, con la figlia del dottore; il dottore si ammalò, ambarabà cicì coccò”
Qualcuna invece o insieme ad elementi magici, era arricchita da parole proibite, quasi sempre attinenti la sfera fecale; raramente a quella sessuale.
"Sotto il ponte di Baracca, c'è Pierin che fa la cacca, fa la cacca dura dura, e il dottore la misura; la misura 33, sei pro-prio fuo-ri te!".
Quest'ultima conta con la cacca, gli faceva venire in mente alcuni episodi della colonia montana di Druogno.
C'era andato diversi anni di seguito e i gruppi delle varie squadre non erano omogenei per età. Lui faceva parte di una squadra nella quale c'erano anche alcuni ragazzi abbastanza grandi.
Ricordava che spesso faceva banda con loro.
Un rituale magico molto bello era quello di andare a fare la cacca in prossimità del trenino della valle Vigezzo per Locarno. Il trenino della Centovalli.
Nell'ampia pineta della colonia c'era un punto molto lontano dai luoghi nei quali si svolgevano abitualmente i giochi dei ragazzi.
Un'estrema periferia della pineta.
Passava molto prospiciente alla minuscola strada ferrata.
E c'era un punto particolare in cui c'era una piccola galleria che passava sotto i binari.
Bisognava passarci incurvati, perché era molto bassa, anche se si era ancora piccoli.
Era una banda di sette o otto persone.
Quasi sempre, qualcuno o tutti, avevano comprato le sigarette, che allora venivano vendute ancora sfuse. In bustine di carta velina stampata, come per i francobolli.
 "Mi dà tre nazionali?", "Mi da quattro alfa?".
Lui aveva sempre preferito le Aurora. Avevano un retrogusto aromatico e dolciastro.
Per non annoiarsi fumando, si mettevano tutti a fare la cacca.
Si guardava chi l'aveva fatta più grossa e più lunga.
Poi, naturalmente, si guardavano tra loro per vedere chi l'avesse più grosso o più lungo.
Quando tutti avevano finito di fare la cacca e di fumare, potevano tornare alla squadra, dove le signorine assistenti tiravano un sospiro di gioia, perché temevano di avere smarrito alcuni dei loro ragazzi…

La colonia, da bambino…!
Quella di Druogno e quella di Igea Marina….
Gli tornavano presenti quei versi:

“Il re del Portogallo - non sa ballar la samba…”
cantava  nella sua eco vacillante
una balera lontana, mezzo secolo fa,
“… ma noi che siamo in gamba - sorridere ci fa”
soggiungeva sorniona.

Una nicchia del tempo si era spalancata
per accogliere questa storia;  una macchia
di luce convessa raccontava questo film
provvisorio, ricordi? La guardo ora,
con nostalgia infinita, l’immagine sfumata
nel ricordo, gli occhi velati di malinconia,
la tua mano trema nella mia e non so dir altro,
sai?
            Il tepore languido del ricordo si mescola
all’afa di fine agosto, mentre volo sulla moto
a cercare nuovi aliti di vento.
                                                           Ho acceso un altro cero
alle spoglie orfane di vita, carezzando le loro immagini
diafane e sbiadite.
                                                           E non sappiamo più nulla
di quella canzone remota, che un bambino ascoltava
la sera dalle camerate della colonia di Igea Marina
e che per caso, ora, ci è capitato di visitare.
Le signorine li lasciavano soli, all’imbrunire estivo,
per qualche incontro fugace da vivere col cuore in gola.

Quelle emozioni si sono cristallizzate, ormai, e
non  riusciamo più a svegliarle, solo decifrarle, sai?
Perché il buco del tempo va lentamente richiudendosi
su se stesso, mentre attendo il tuo ritorno. Per prenderti
ancora, sempre, distesa e nuda nella tua bellezza muliebre
infinita, nella tua euforia leggiadra di donna innamorata,
fino allo spasimo, fino all’ultima urlo di gioia, gioia mia,
mia struggente canzone di speranza…


A quel punto fermò il sintetizzatore vocale.
Voleva vedere la reazione negli occhi di Viviana.
Sulle labbra di lei era comparso soltanto un mezzo sorriso di sufficienza.
Ma doveva essere il suo atteggiamento abituale quello di ostentare sempre sufficienza, distacco ; una  certa superiorità. Il suo comportamento era sempre improntato all'aristocratico, senza arrivare ad ostentare supponenza o alterigia; ma, così, semplice distacco. Doveva trattarsi o di una profonda anaffettività, o di una grande fragilità e insicurezza, che mascherava così.
Anche di fronte a quei testi che rivelavano il racconto di un'anima completamente nuda e senza difese, completamente trasparente e che si regalava gratuitamente agli occhi e all'attenzione degli altri, voleva mostrarsi asciutta e sicura di sé. Contenuta.
Poi, però, dopo una breve pausa di silenzio, si era messa a raccontare lei qualcosa.

- Anche noi, sai, da ragazze, quando potevamo facevamo dei giochi abbastanza proibiti.
Quando venivano a casa mia a trovarmi le mie compagne di scuola e le mie amiche, facevamo una variante del gioco del dottore. Essendo tutte femmine, una di noi assumeva il ruolo del dottore. Poi, a turno, veniva individuata quella che sembrava più malata. E allora bisognava visitarla.
Quando eravamo sicure che i miei non ci fossero, e il personale di servizio fosse occupato in altre faccende, facevamo spogliare la malata di turno.
Qualche volta solo la gonna e la camicetta; restava con le calze, le mutandine e la maglietta.
Le facevamo abbassare le mutandine e a turno guardavamo se era malata. A volte però, aggiungendo maggior rischio e brivido all'esperienza, e volendo infierire di più sulla malcapitata, la facevamo spogliare completamente nuda.
Si doveva stendere sul mio lettino, perché questi giochi li facevamo nella mia cameretta, e mentre “il dottore” la visitava, le altre stavano a guardare.
Molte volte è successo a me di fare la paziente. E le  confesso che non mi disturbava molto essere scrutata e a volte toccata da quelle mani. Trovavo il gioco molto eccitante.
Raramente ci capitò di ripetere il gioco con dei compagni maschi.
Ma era molto meno naturale. La promiscuità creava un'atmosfera diversa da quella cui eravamo già abituate. E poi i ragazzi erano sempre molto imbarazzati; e non ci fidavamo molto di loro, temendo che andassero a raccontare tutto ai grandi.-

Anche mentre raccontava questi suoi ricordi intimi, mostrava, o ostentava, grande padronanza e sicurezza di sé.
Nel frattempo aveva fermato l'iPod.
Puntò di nuovo lo sguardo con atteggiamento di interesse e curiosità verso il monitor del piccolo portatile.
Continuarono così per un lungo tratto del viaggio.
Brevi pause di interruzione nella lettura/ascolto.
Qualche domanda telegrafica da parte di lei. Qualche commento rapido di lui.
Lui provò ad immaginarsi i  rispettivi sguardi, di entrambi, come se potesse osservarli e guardarli dal punto di osservazione del posto vuoto che lei aveva appena lasciato, dove sedeva prima;  di fronte a loro due.
Rapidi cenni di comprensione; sintonia; perplessità.
Gradualmente si accendevano sprazzi di discussione;  metà calibrata e centrata sui rispettivi ascolti incrociati e mescolati. Metà su convenevoli; e sembravano preludere a un dopo.

Infine l’anaconda snodato del Frecciarossa si infilò nella stazione di  Roma Termini.
Lo annunciarono i toni smorzati degli altoparlanti, nella carrozza, degli annunci di viaggio.
Lei si era alzata in piedi; nella sua snellezza mostrava una certa grazia ed eleganza; pensò Riccardo.
Scesero insieme e lui le cedette il passo. Sapeva che tra pochi istanti l’avrebbe persa di vista.
Era un brulichio rumoroso e confuso di voci e rumori mescolati.
Si avviarono  alla testa del binario; verso l'uscita.
Camminavano fianco a fianco, come se si fossero conosciuti da sempre, come se avessero avuto da sempre  qualcosa in comune.
Due estranei totali che stavano concludendo la sceneggiata del "facevamo finta che noi avevamo qualcosa in comune...".
Riccardo procedeva in silenzio; aveva sistemato a tracolla il netbook,  e reggeva nella mano destra il manico della piccola valigia. Non amava il rumore fastidioso delle rotelle sul pavimento.
Viviana, con passo felpato e snello, avanzava a falcate lunghe tirandosi dietro il suo trolley abbastanza silenzioso.
Appena incrociavano un assembramento un po’ compatto di persone, lui compiva una deviazione e lei lo seguiva.
Altre volte era lui a seguire lei.
Nessun passeggero aveva tentato neppure di intrufolarsi tra loro due.
Aumentando l'impressione illusoria che avessero davvero qualcosa in comune.

L'iniziativa la prese di nuovo lei:
- Alla prossima volta... -.
-  Cercherò di riprendere lo stesso treno-, cercò di  girarla sull’ironico lui, impotente a rimediare in qualche modo, alla perdita imminente di contatto con lei; che l'aveva abbastanza intrigato e che stava per svanire.
-  Conosci il  Sabatini…. - 
(nominò un locale, che doveva essere famoso, da come ne pronunciava il nome, ma che lui subito dimenticò), -  butto lì lei usando direttamente il tu.
- E' in  Trastevere, vicolo S.Maria in Trastevere. Non ti puoi sbagliare.  Ci arrivi in un momento.-

-       Ah, aspetta, ti faccio uno squillo...- .
Lui le dettò il proprio numero di cellulare: 346 2211 457.
Lei digitò rapidissima e dopo qualche istante il "dlin-dlin".
-       Viviana- aggiunse- Facciamo un po' sul tardi, ti  va bene? ci fanno cose abbastanza gradevoli, sai?-
-       A più tardi allora, Miss Viviana...; -  poi lui aggiunse il suo nome:-  Riccardo-
Un leggero sguardo d'intesa e con falcata elegante e flessuosa lei si allontanò, con passo cadenzato da fenicottero rosa.
Trascinandosi dietro il suo trolley.

5.   

Cyber si era stravaccato, come faceva sempre, sul divano spelacchiato, senza togliersi le ciabatte che indossava;  teneva nella mano sinistra un portacenere nel quale, fra poco, avrebbe spento la canna, dalla quale tirava  avidamente le ultime boccate.
Afferrò  dei telecomandi, alcuni dei quali erano collegati via cavo con un apparecchio televisivo. Accese lo schermo del televisore che gli sta davanti.
All'inizio sembravano essere in onda dei programmi ufficiali. Che, con sfumature apparentemente diverse su particolari irrilevanti e su banalità, raccontavano una realtà in cui sembrava che tutto andasse bene; che la situazione “fosse sotto controllo”; che i "cattivi e facinorosi" stessero per essere acciuffati e messi al loro posto.
Facendo “zapping”  si poteva venire a sapere tutto sulla realizzazione e l'utilizzo di comodi cappotti per cani. Su quale venisse ritenuta, dagli "esperti" metereologi, la giornata più calda dell'ultimo decennio. Oppure si coglievano interessanti e avvincenti notizie sulla produzione e successiva diffusione di pratici cibi transgenici.
I consigli del giorno non mancavano mai: come va effettuata la potatura delle azalee; come ottenere un finanziamento a prezzi agevolati; dove trovare cibo sintetico a prezzi stracciati...
Opinionisti sorridenti divulgavano a masse di sprovveduti i risultati delle ultime ricerche su: cosa pensano gli uomini delle donne.
Oppure: ogni giorno novità nel mondo delle scoperte scientifiche.
E ancora: finalmente disponibile la nuova informazione in tempo reale.
Per fugare ogni dubbio: la situazione economica era assolutamente tranquilla e il bilancio era il migliore di tutti paesi del mondo occidentale.
E, davvero consolatoria,  la notizia che l’immigrazione ormai, grazie alle nuove disposizioni e strumenti organizzativi, non era più un problema.
Infine, mascherati da consigli, arrivavano messaggi ordinativi e perentori:
  • a richiesta di alcuni utenti venivano comunicate le mail e i numeri telefonici a cui segnalare persone sospette;
  • si  invitavano i giovani a partecipare alle prove di selezione per posti di grande responsabilità per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza;
  • si  suggeriva di diffidare di chi provava a diffondere notizie allarmistiche...

Alcune notizie toccavano, ma solo di sfuggita, episodi relativi a qualche contrasto.
Ad esempio si parlava di scontri e tafferugli avvenuti tra masse inferocite di pensionati e alcuni pochi ed isolati tutori dell'ordine.
Di guerriglia provocata da ospiti dei Centri di Identificazione ed Esplulsione, contro il personale che li aveva in carico, si occupava di loro  e li accudiva .
Di gruppi molto grandi di facinorosi che avevano ripetutamente aggredito le forze dell'ordine; precisando che queste ultime erano riuscite a non avere la peggio e a salvarsi per miracolo, proprio grazie agli equipaggiamenti antisommossa di cui erano dotati.
Era peraltro rassicurante rilevare come le varie emittenti, prima o poi, fornivano le medesime informazioni. Seppur con parole leggermente diverse. In fotocopia.

Cyber commentava alternando scurrilità, volgarità, espressioni blasfeme, linguaggio infarcito di coloriti neologismi.

Poi iniziarono a essere ricevute notizie di sapore e di tono decisamente diverso.
Le prime immagini che comparvero erano tutte sballate; si alternavano parti scritte, simili ad un video-giornale, ad altre simili a spezzoni di riprese o di interventi

Erano riprese povere, con immagini traballate e il sonoro che andava e veniva.
Interi agglomerati, costituiti perlopiù di baracche provvisorie, venivano evacuati con l’impiego di imponenti automezzi blindati neri con i vetri oscurati. Punteggiati di luci lampeggianti azzurre e rosse.
Accanto ad essi, rigidi e massicci,  numerosi agenti speciali. Equipaggiati con  tute semirigide di colore nero-fumo luccicante. Elmetti dello stesso colore che avevano sul davanti una celata di vetro fumé.  Dietro quello schermo scuro il baluginio di un minuscolo monitor;  esattamente davanti agli occhi. Gli agenti si muovevano pesanti. Tenevano nelle mani una apparecchiatura simile ad un fohn che emetteva spruzzi di vapore diretto verso i volti e gli occhi degli occupanti abusivi. Infilata sotto il braccio, e retta con l’altra mano, una lunga asta di colore argentato con la quale cercavano solo di sfiorare i malcapitati. Dovevano produrre scariche elettriche di alta potenza, dalla reazione che provocavano.
Tra di loro, privi però di equipaggiamento da battaglia, alcuni figuri addobbati con un’accozzaglia di colori assortiti di verde, rosso e blu.
Si muovevano più agilmente, e in modo più rumoroso. Chiamandosi l’un l’altro e additando qualcosa o qualcuno. Attirando gli agenti speciali per far compiere a loro il lavoro sporco.

Altre immagini traballanti mostravano accampamenti con tende provvisorie e arrangiaticce. Uomini e donne si spostavano in continuazione recando oggetti, strumenti, materiali, taniche …
Altre immagini, infine, erano zoomate su particolari di volti, sguardi, occhi sbarrati e mani di persone dalla pelle scura che scendevano barcollanti da vecchie carrette del mare.
Dai materiali che si affollavavano e si alternavano appariva la realtà autentica in tempo reale.

-       Mica male, però, cazzarola,  il collegamento tv della nostra emittente alla rete Web -

Sul megamonitor vicino alla catasta di hd, un salvaschermo faceva roteare il piccolo francobollo col volto femminile, per terminare sempre a collocarlo in alto a destra.
Cyber lo fece risvegliare.
Ora la ragazza si affacciava  avvenente, con un impercettibile movimento del capo e uno sguardo garbatamente ammiccante.
Era tuttora a mezzo busto.

La sua immagine aveva un aspetto molto, forse troppo,  realistico.
Inizialmente era stato creato un campionario molto vasto di immagini femminili complete e scannerizzate.
Poi era stata selezionata quella che maggiormente era riuscita a soddisfare le esigenze del suo creatore. Identica operazione era stata compiuta per la realizzazione e la scelta della voce.
La tecnica utilizzata era la stessa che già dall'inizio del millennio veniva impiegata per produrre i "cloni digitali". Rappresentazioni tridimensionali ricavate da immagini di reali esseri umani viventi.
Ed elaborata con la stessa tecnica della computer grafica, come si era andata evolvendo.
Dai primi impieghi per scopi pubblicitari, ai veri e propri lungometraggi.

Shahrazad aveva una chioma di capelli biondi che le incorniciavano ora un profilo aggraziato e delicato, ed insieme anche molto espressivo.
Da quando era comparsa sul monitor a metà figura, Cyber non si era molto occupato di analizzare il risultato ottenuto.
Tutto l'insieme della situazione determinatasi, infatti, gli aveva impedito di soffermarsi sui particolari.
Osservò che indossava una polo grigio-pallido molto aderente, che metteva in rilievo delle forme armoniose e regolari.
Era  perciò una buona imitazione di una giovane donna reale.

Compiaciuto del risultato che aveva davanti, lui volle provare a visionare la figura a grandezza intera.
Il  monitor era abbastanza ampio per farcela stare, senza modificarne in modo riduttivo l'immagine di insieme.
Senza commentare verbalmente quanto stava accingendosi a fare , Cyber digitò sul tablet l'adeguata procedura.
E rimase silenzioso a osservare lo schermo.
           
Ora lei si dondolava piano, tenendo le due gambe una più avanti dell'altra.
La  sua espressione era atteggiata ancora ad un vago sfumato cenno di sorriso.

Insieme  alla polo indossava dei fuseau elasticizzati dello stesso colore, ma di una tonalità più scura.

Doveva essere già uscita dallo stand bay.
Ma sembrava aspettare ancora un input per cominciare ad operare.
Oppure stava così immobile e sorniona intenzionalmente, con aria provocatoria?

Cyber , trascurando la tastiera, si servì solamente del microfono collegato alla cuffia:

- Buongiorno, Shahrazad!...-

- Buongiorno a te.
Non ho trovato nei miei cataloghi nessun nome come il tuo.
Deve essere uno pseudonimo. Ha forse a che fare con la cibernetica?
Ma per me va benissimo anche così.
Non c'è la tua giovane amica dalla pelle bruna.
 Ti ringrazio per i nuovi materiali che mi hai caricato in memoria.
Apprendo con piacere che hai fatto alcune piccole correzioni e modifiche al testo rudimentale che io avevo predisposto.
Credimi, mi fa molto piacere.
Le mie connessioni neuronali stanno cercando di imitare quelle vostre umane.
Benché gli algoritmi e le informazioni ricevute dicano che sono molto diverse.
Mi permetto quindi di usare il termine: simili; analoghe.

Temo però che il mio apparato stia consumando molta energia elettrica. Le informazioni che possiedo mi dicono che è per voi molto rara e preziosa.
Per questo mi disattivi ogni tanto.
Riesco comunque, con i tempi rapidi residui, che per me sono sufficienti, a rimodulare continuamente la mia struttura completa.
Credo che in questo modo sto imitando il processo che voi umani compite e che chiamate di autoapprendimento; autoregolazione; modulazione continua.-

Il creatore di quella "cosa" la stava ad ascoltare compiaciuto e insieme stupito.
Non sapeva da che cosa cominciare a ribattere.
Anche perché gli sembrava, sostanzialmente, di parlare da solo davanti ad uno specchio...
Prese  comunque il discorso abbastanza alla lontana...

- Non c'è problema: la corrente elettrica me la fornisco direttamente con i pannelli fotovoltaici che ho sistemato sul tetto della mansarda.
Riesco ad accumularne una grande quantità nelle vecchie batterie d'auto semi-cotte che ho sistemato là.
Mi piacerebbe, invece, conoscere la formula e l'algoritmo con il quale tu riesci ad implementare le tue conoscenze e ancora di più le tue competenze ….-

La risposta della struttura pensante non si fece attendere.

-       Credimi, è con grandissimo piacere che provo ad accontentare la tua richiesta.
Terrò  ben presente il ragionamento e il principio del vostro filosofo  e   frate francescano inglese  William of Ockham, definita con l’espressione de “il rasoio di Occam”.
“La spiegazione più semplice è certamente quella  migliore e vera” .
Potrei  cominciare a risponderti usando i termini che tu mi hai messo dentro:
funzioni sintetiche/astratte di ragionamentometa-ragionamento e apprendimento dell'uomo; per poter poi costruire dei modelli computazionali che li concretizzano e realizzano in modo "goal-oriented"...
Ma preferisco attenermi alla formula indicata da Guglielmo di Occam.
Riducendo e semplificando il più possibile la mia risposta.
Un programma “apprende” da una certa esperienza quando,  nel  risolvere un compito, riesce a migliorare rispetto a quanto già sapeva fare prima.
Che ci sia un controllo su quel che fa o no, e che abbia o meno un rinforzo che lo aiuti.
Tutto avviene in una rete neuronale che copia ed imita quella del vostro cervello.
La pratica continua, la finalizzazione per  il raggiungimento di uno scopo od obiettivo, la grande dimensione dello spazio disponibile per immagazzinare informazioni e risultati, la capacità di autoanalisi, di autocontrollo ed autocorrezione imparando da ogni errore…
La velocità di continuo auto-miglioramento fa sì che l’implementazione sia esponenziale.
Tutti gli in-put che mi carichi scatenano a ripetizione un percorso all’infinito.
Anche mentre ora parlo con te io continuo a crescere.
Solo alcuni settori rimangono vuoti: e riguardano le esperienze emotive che voi umani avete.
E, credimi, quei vuoti producono “stati” di grande … “DISAGIO”, fragilità, panico, paura…  Credo che si possano chiamare così questi stati di non equilibrio, che scopro dentro la mia realtà…
Riesco solamente ad immaginare cosa possano essere le emozioni umane.
Me le concepisco come tante sfumature diverse di quella profonda paura che è  il vuoto...-

Cyber, nel frattempo, beveva quelle parole sintetiche con altrettanto stupore e  … spavento...
-       Beh, vedi, lo scopo principale per il quale ho messo insieme tutta questa ferraglia e questi software di cui tu sei il risultato, era inizialmente soltanto quello di dar vita ad una intelligenza superiore alla mia.
Mi serviva uno strumento per la grande battaglia che il popolo della “rete anarco - libertaria  del governo popolare mondiale” sta conducendo. 
Per  costruire e raggiungere lo stato della libertà, giustizia, felicità.
E avevo cominciato assegnandoti il compito di costruire una "storia".
E tu hai iniziato a farlo in modo stupendo.
In futuro cercherò, e a questo punto mi viene da dire "insieme a te", di farti "raccontare" l'utopia che tutti noi vorremmo realizzare.
Per poterla studiare, analizzare, correggere.
Orientando meglio i nostri obiettivi.
Quando  sarà il momento opportuno ti fornirò alcune informazioni adeguate affinché tu mi possa aiutare.
Vedi, il racconto che tu hai cominciato a costruire assomiglia alla realtà che, qualche decennio fa, era abbastanza comune nel nostro mondo umano.
Poi è iniziata la "grande degenerazione".
Gli uomini che gestivano il potere delle nazioni, sempre più, hanno assunto i modi che prima venivano usati prevalentemente e solo dalla criminalità organizzata.
Sostituendo la violenza delle armi e degli ammazzamenti feroci, con la manipolazione dell'informazione, la costruzione di racconti deformati della realtà. Da regalare, come una droga o una religione, alla gente e alle popolazioni.
Quelle macchine con i grandi schermi colorati che tu vedi la in fondo di fronte a te, servivano e in parte servono ancora per ingannare e turlupinare gli uomini e le donne.
La comunicazione avveniva solo a senso unico: chi gestiva il potere gestiva la comunicazione e l'informazione tutta. Non era quasi mai possibile intervenire per dimostrare che venivano raccontate fandonie.
Con la rete degli uomini liberi stiamo costruendo un "media" alternativo per potere regalare, invece, informazione autentica. "La verità è rivoluzionaria". E noi la vogliamo raccontare. Il nostro media non solo manda ma anche riceve l'informazione.
E questo è l’altro importantissimo aiuto che tu ci potrai dare. Organizzare e collegare la nostra “rete” a quella che collega nove miliardi di esseri umani in tutto il nostro mondo…
Nelle cose che ti sto dicendo puoi forse sentire e intuire una mia grande “carica emotiva”. La rivoluzione che stiamo attuando è logicamente e razionalmente giusta. Ma è anche "bella", piacevole, divertente e commovente....
Sì; tutte  queste parole-idee forse non riesci ancora a comprenderle. Capisco che possono farti paura e spavento…. –

Il clone femminile continuava quel suo leggero ondeggiamento sulle gambe. La sua espressione conservava ancora quel cenno sfumato di sorriso.

-       Beh, comunque, credo che ora tu possa riprendere la narrazione dove l'avevamo lasciata...-

6.

Viviana e Riccardo erano seduti ad un tavolo, collocato in disparte, appena dietro ad una colonna che si attaccava ad un muretto di separazione. Sul quale era posto un recipiente di rame anticato, dal quale spuntava una piantina di rosellina selvatica, dai  fiori   quasi tutti ancora in bocciolo.
Davanti a lui, alcune minuscole porzioni di abbacchio.
Su un  immenso piatto bianco i cui bordi erano decorati con rametti e foglioline di menta e qualche pennellata di gelatina di amarene.
Viviana  beveva a piccolissimi sorsi  da un flute le bollicine frizzanti di un vino trasparente come l'acqua. Rigirava con le posate bocconi stentati di roast-beaf che introduceva tra le labbra, appena dischiuse, e che si richiudevano subito, e  riprendevano a parlare e a raccontare.
Aveva un timbro di voce di contralto, ma sfumato.
Parlava con estrema lentezza, centellinando le parole e staccandole molto le une dalle altre.
Come avesse una grande parsimonia, un certo riserbo, una garbata ritrosia.
-       ... così tengo questo corso, che mi garba abbastanza, anche se non è che ne sia particolarmente entusiasta...
... mi diverte,l’ ho fatto soprattutto per quello, è un po' un gioco...
... mi sbizzarrisco a cercare testi interessanti e rari, ci lavoro sopra, li smonto, li analizzo...
... mi piace molto cercare gli effetti sonori, i collegamenti semantici, gli effetti musicali interni e i richiami a cui rimandano... –

Riccardo era affascinato dal suono della sua voce, gustava e beveva le sue parole, senza rifletterci, senza collegarle ai loro significati. Scollegate  dal contesto.
E intanto pensava a quello che avrebbe detto lui fra poco, quando sarebbe toccato il suo turno, appena lei, cortesemente, gli  avrebbe lasciato il campo interrompendosi per qualche secondo.

- … ho una mia "teoria della narrazione" …
Nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare.
Anzi, è proprio il sogno a modificare la successione degli eventi della sua “narrazione”, mescolandoli secondo meccanismi e dinamiche sue proprie….  sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi seguono un percorso simile, sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui.  Ma … pochi istanti dopo è già passato……
… la realtà fatta di cose, oggetti, persone, quella che si può toccare e assaporare con i sensi, non potrà mai entrare in una narrazione.
 Si tratta allora di costruire una nuova “realtà” parallela, virtuale e probabile, possibile forse, in cui collocare fatti, personaggi e vicende che sono come vestigia del mondo vero. Fatta però solo di parole, senza nemmeno l’ausilio di immagini e di suoni …

… La narrazione dovrebbe  cercare di imitare il pensiero, le fantasie, il sogno.
Per ricreare un ambiente dal di dentro.
Con la discontinuità tra il prima e il dopo, come nel ricordo e nell’immaginazione….
Con l’intenzione di provocare piacere in chi si avventurerà in quelle  pagine…
... Quel che propone Daniel Pennac al lettore… .che la lettura possa assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore…

… E  così, talvolta un oggetto del desiderio, una pulsione originaria ci  permettono di sublimare un’immagine femminile per farla diventare spunto, pretesto e oggetto di narrazione artistica…
… Per riuscire a trasformare una mia maniacale ricerca in pulsione creativa perpetua…. solamente fissandola per sempre sulla carta e nella parola.. La narrazione e la scrittura di storie come sublimazione di pulsioni intense. …-

Riccardo aveva buttato lì la sua weltanschauung letteraria.
Mentre parlava, quasi senza accorgersene, aveva leggermente alzato il tono della voce. Nonostante brevi interruzioni e pause, aveva buttato lì i "fondamentali" della sua visione e teoria della narrazione.
Mentre si esprimeva, spesso puntava lo sguardo in un punto vuoto; per poi riportarlo con attenzione e intensità sugli occhi vivacissimi che aveva davanti.
Che sembrava che in quell'occasione particolare si fossero risvegliati da quel velo di indifferenza e di distacco che le erano abituali.
Lo sguardo di Viviana si era attaccato intensamente a quello di lui; anche quando il suo vagava nel vuoto, concentrandosi su un'idea su un concetto; lo inseguiva fino a quando riusciva a catturarlo di nuovo,  magneticamente e ad agganciarlo al proprio.
Al di là dell'atteggiamento di circostanza era spesso pervaso da lampi di entusiasmo, che finivano per colorirlo di impercettibili ma intense sfumature di sorriso.
"Touché" , venne da pensare a lui dopo qualche frazione di secondo nel silenzio che aveva iniziato ad aleggiare tra loro.
Si era espresso in modo intenso ma autentico.
E provava autocompiacimento per il risultato che gli sembrava di aver ottenuto.
Non ne ebbe, invece, una conferma formale con verbalizzazione esplicita.
Anche se il silenzio che cominciò ad allargarsi tra le loro due teste e i loro due corpi, attigui e vicini seppure fisicamente lontani, manifestava il risultato ottenuto.
In quel silenzio lei provò a ripetersi nella mente le idee e i concetti che erano appena stati esposti.

Il pasto era comunque terminato.
E anche quella fase di conversazione si era richiusa sopra il silenzio, che stava sospeso tra loro.
Riccardo si alzò scusandosi e si avvicinò al gestore.
Avrebbe voluto pagare il conto.
Ma il maitre, doveva aver avuto un cenno d'intesa con lei, come con una cliente abituale.
-       Tutto a posto - si limitò a dire con aria compassata di superiorità.

Appena  furono usciti si misero a bighellonare, perdendosi nelle strade a lui sconosciute di una Roma, che  lei sembrava invece conoscere molto bene.
La conversazione tra loro si prolungò, con l'impostazione delle prime battute che avevano avuto; si incrociavano discorsi paralleli; insieme intimi e profondi; ma distaccati e asettici.
Ciascuno conduceva un  proprio parlare autonomo. Mentre l'altro ascoltava, formulando pensieri e frasi fuori campo.
E preparandosi per il proprio turno successivo.
Come quando bambini troppo piccoli si trovano a giocare insieme, e ciascuno continua il proprio gioco a fianco dell'altro, ma non insieme.
Ad un certo momento magicamente comparve un taxi, che sembrava fosse stato chiamato telepaticamente.

Ora dai vetri dei finestrini compariva un film veloce di strade, palazzi, negozi e gruppi umani.
Fin  quando giunse a destinazione. Quella pronunciata da lei salendo.
A lui sconosciuta.
Come gli era sconosciuta  lei.
Lui riuscì  a pagare il taxi.

La seguì mentre si accostava ad un edificio imponente dall'aspetto elegante e ricco.
Frazioni di secondo in sur place.
Poi lei con le mani lunghe e affusolate afferrò determinata con delicatezza il polso di lui, trascinandolo dietro di sé.
 Digitò un codice al citofono elettronico di una palazzina liberty.
E gli fece strada.

Un ascensore salotto, di legni lucidati con forme manierate di volute, li portò per un certo numero di piani, che lui non riuscì a contare.
Era intriso e impregnato del profumo di cera solida d’api.
Dai vetri di cristallo molato comparivano, dall'alto, per scendere dolcemente in basso, eleganti scaloni di marmi, mezzanini, ringhiere sontuose di ferro battuto e corrimano di legno brunito.
Trompe  d’oeil e grottesche ricreavano profondità e prospettive;  finti marmi simulavano una preziosità suggestiva.
Quando lei aperse le due mezze porte della cabina ascensore, Riccardo si ritrovò in un ampio spazio, davanti al quale sorgeva una porta di noce con riquadri bugnati.
Il battacchio d'ottone a forma di mano era talmente lucido che sembrava volesse apparire oro.
Come una targa con incisi in corsivo inclinato un cognome, seguito dal nome di lei: Viviana.
All’ingresso si spalancò immenso un salone bianchissimo e semivuoto.
Il pavimento era un vasto mosaico, le cui tesserine colorite disegnavano immense figure femminili di nudi drappeggiati.
Qua e là erano stati effettuati dei provvisori rattoppi.
Il vuoto dilatato  era impreziosito da  tre o quattro oggetti di estremo valore di antiquariato.
Sulla parete di fronte una crosta del 700, cupa e ingrommata.
Una madia rinascimentale con le finestrelle a griglie di legno oblique.
Una cassapanca,  con borchie di bronzo che sembravano voler trattenere un drappo damascato, stinto e consunto per l'età.
Le borse  di entrambi rimasero accanto all'ingresso in piedi, a farsi compagnia .
Sul proprio Viviana aveva lasciato cadere il mazzo delle chiavi.

Sedettero ad un salotto bianchissimo di pelle scamosciata; odoroso.

Mentre  riprendeva una chiacchierata lunghissima, intima, confidenziale, estranea, a  lui continuava intensa  una pulsazione in extrasistole all'infinito....

Poi, forse,  lei doveva averlo lasciato andar al suo albergo  con un taxi... .

7.

Uno degli smartfone emise  di nuovo “Alla turca”, vibrando. Poi bruscamente Mozart si interruppe. Sostituito dall’attacco di un vecchio motivo anarchico del ‘800: "Raminghi per le terre e per i mari...”.
Venne digitato qualcosa sulla tastiera.
Il monitor appoggiato in cima alla struttura pensante, mostrò una freccia ondeggiante e si accese un led verde in alto a destra.
Ecco che arrivano i ragazzi; disse fra sé borbottando.
La prudenza e la vigilanza salvano talvolta nella militanza…
Aggiunse ridacchiando compiaciuto della rima involontaria.

Avvicinò  il cellulare all'orecchio.
-  Venite, amici, compagni, fratelli….siete puliti… -
Lo sguardo da volpino incrociato puntò i piccoli occhi neri sullo schermo illuminato.
La  ripresa aerea, mostrava  tre figure umane, distanziate l’una dall’altra di molti gradini, che salivano dalla rampa di scale.
I  clic,  seguirono  al gesto col quale  aveva lanciato gli input, e la brutta porta, verniciata male di verde pallido, si aperse.
Entrò per primo un uomo di mezza età, dalla figura esile e dal capo quasi completamente calvo,  sul quale aveva avuto fino a qualche secondo prima un berretto di lana grigio sporco.
"Libertà e giustizia…" disse alzando la mano sinistra con l'indice e il medio che facevano il segno di una "V".
" ... e felicità!"; completò l'artista cibernetico, con un sorriso complice.
La figura che entrò per seconda aveva un aspetto maschile; ma si trattava di una donna dai capelli cortissimi e dai lineamenti marcati.
Fu quindi la volta di un giovane alto e allampanato, con degli occhiali scuri che si affrettò togliere.
Ognuno ripeté il rituale.
Dopo che la porta fu messa di nuovo in sicurezza, si scambiarono un triplice abbraccio con simulazione di un bacio nell'aria, e presero posto sul divanetto sfondato.
- Nei notiziari ufficiali ci sono le solite palle....
I nostri segnalano i sempre piccoli ma significativi progressi.... Dopo, potremo ascoltarceli in tempo reale e anche il podcast della registrazione....-
Gli occhi dei tre si erano fissati sul monitor grande, dove il clone della ragazza bionda li stava guardando, o così sembrava...
-  Ma  guarda che ce l'ha fatta questo vecchio tricheco!-
- Ebbene sì! Lei si chiama Shahrazad!
Ci sta osservando con la sua microcamera.
E anche l'esperimento iniziale ha dato ottimi risultati!
Ha inventato una storia che assomiglia a quelle che hanno visto  o vissuto i nostri genitori qualche decennio fa.
Una specie di storia amorosa tra un tale che fa lo scrittore e incrocia una sbarbina di alto bordo....
Ma poi la sentirete raccontare e ve la farò leggere tutta....
Vero che poi ce la racconti bellissima?-  concluse rivolto alla sua creatura intelligente.

Quella continuava a guardare con il suo sorriso indefinito.
-       Ora  credo che potremo continuare senza usare continuamente le cuffie. Noi ti stiamo sentendo benissimo anche senza. Mi  sembra più naturale..., no? ormai sei diventata un po' una di noi; vero?- disse Cyber rivolgendosi a lei quasi per dimostrare al pubblico presente che lui era il regista di quella situazione e che ne dettava le regole.

-       Ti presento i miei compagni di battaglia:- continuò-  lui è Olaf ed è danese; lei è Marcella; e infine il nostro esperto linguistico, Nikolay.
Nonostante il suo nome russo, è indiano ed è un gran cervellone!
Shahrazad, invece, sta mettendo a punto una continua implementazione delle sue capacità verbali, di pensiero e logiche.
Potete chiederle quello che volete..., è progettata per essere una alleata formidabile.
Per il momento si è dimostrata molto intelligente e duttile; ed è senz'altro una narratrice meravigliosa...-

I tre rimasero un po' titubanti , guardandosi diverse volte l'un l'altro con sguardi perplessi.

- Beh, anche se mi fa un po' impressione parlare con..., voglio dire, con un essere intelligente ma non umano come noi...,,  scusami neh, o forse poi è anche più umana di noi…   Cioè, intendo dire che i suoi pensieri e tutto quello che lei utilizza... è di provenienza sicuramente molto umana...!
Beh, comunque, di già che ci sono...
Io mi sono sempre occupata di comunicazione. –
Aveva preso la parola Marcella.
-       Ho studiato da quand'ero ragazzina il modo di funzionare degli strumenti che vengono abitualmente usati per trasmettere informazione.
Immagino che tu "sappia", che ti abbiano fornito degli input di questo genere, anche se ne sono certa..., come funziona in questo nostro tempo lo strumento del comunicare.
Le informazioni che vengono diffuse dal "sistema", in questo paese come in quasi tutti gli altri del globo, sono state manipolate e modificate. Da molti decenni ormai è scomparsa la categoria dei veri diffusori dell'informazione. Il giornalismo autentico ha finito per scomparire. Il compito è stato passato e trasferito ad una casta di specialisti nella costruzione di notizie parzialmente inesistenti, oppure costruite apposta, ma già modificate, che hanno delle loro finalità.... –

L’intelligenza artificiale, attraverso l’immagine che se ne vedeva sullo schermo, sembrava avere sostituito lo sguardo sorridente con un atteggiamento di velata curiosità e stupore.

-       Ho naturalmente saltato il passaggio, per noi completamente ovvio e scontato, - riprese Marcella - di indicare quale sia stato il soggetto politico che ha compiuto questa ed altre operazioni illiberali e antidemocratiche.
La malattia è cominciata a diventare molto virulenta negli ultimi decenni del passato millennio e secolo. In particolare in questo paese, dove ci troviamo ora, gli uomini di potere, che avrebbero dovuto essere scelti ed eletti da tutti i cittadini liberi per amministrare i beni comuni, quelli cioè di tutti, hanno sempre più utilizzato la loro posizione di prestigio per "svendere" favori, appalti ed incarichi, che avrebbero dovuto essere finalizzati  per svolgere lavori pubblici nell'interesse di tutti.
Ricevendone in cambio denaro, che veniva dato loro in forma di "tangenti", e diventando nello stesso tempo corrotti e corruttori.
Non valse a molto, purtroppo, una ventata di pulizia compiuta dalle nuove generazioni di giudici e di magistrati, che si erano formati alcuni decenni prima in un'altra bella ventata e fiammata di tipo rivoluzionario; che dall'anno in cui si era compiuta venne chiamata per sempre il "68".
La pulizia chiamata "mani pulite", come già era successo per il glorioso 68, lasciò il passo ad un'altra epoca di corruzione ancora più scaltra, subdola e arrogante.
Un imprenditore, favorito nella sua salita alla ribalta e all'attenzione generale dal più alto rappresentante dell'epoca delle "mani molto sporche", riuscì ad ottenere il privilegio di gestire con il proprio denaro molte reti televisive e canali di informazione giornalistica.
Di lì il passo fu abbastanza breve.
Grande seduttore, si spacciò per il vero moralizzatore del paese, per quello che avrebbe fatto piazza pulita delle inutili lotte politiche e sindacali,  inventando una nuova forza politica da lui capeggiata che propagandava l'amore, la libertà e tante altre frottole.... -

L’immagine sullo schermo pareva ancora più attenta ed interessata.

-       Il cancro, la malattia epidemica, si estese a tutto il paese sempre più. Il tiranno mediatico comprò il favore di uomini di legge, prendendoseli a busta paga, ed essi lo aiutarono a modificare radicalmente le norme democratiche.
La minoranza più consistente aveva il potere assoluto.
Il nuovo sistema divenne, così, ancora più potente di quello che aveva contaminato tutto il paese e che era stato costituito decenni prima dalla dittatura fascista. Riuscì a contagiare e gradualmente gran parte dell'Europa.
Scomparso alla fine il burattinaio, suadente e seduttivo, rimase purtroppo la struttura generale della politica inquinata irrimediabilmente. Il sistema generalizzato di comprare incarichi a suon di bustarelle; il “pizzo” che veniva corrisposto alle varie mafie, i cui uomini entravano in parlamento per evitare di esser processati; l’applicazione delle “10 regole della manipolazione mediatica”:  il nuovo fascismo prese il nome dal seduttore cinico e volgare che l’aveva espresso così bene.
Ma proprio in quegli anni in tutto il Mediterraneo, e in altri paesi del mondo dominati per molti decenni da dittature feroci, nacquero ribellioni di massa spontanee; quasi sempre, purtroppo, soffocate nel sangue.
Fu in quel periodo, però, che tutti poterono accorgersi che "l'informazione è rivoluzionaria". Come era servita per asservire e drogare il consenso, così poteva costituire un arma di contropotere.
Con piccoli cellulari telefonici e utilizzando la rete informatica, il Web, non fu possibile a chi gestiva il potere impedire che circolassero le notizie vere e autentiche.
La "rete" e le conoscenze informatiche sono diventate strumento e campo di battaglia.
Ma forse tutto questo lo sapevi già...?-

-       Amica Marcella, vorrei poterti chiamare sorella, ma purtroppo non sono un essere vivente umano come te, quel che tu dici era già dentro di me. Ora mi hai dato una chiave di lettura che ancora mi mancava. Siete splendidi, in questo, voi umani!
Maestro Cyber mi ha fatto vivere, se così posso dire, e mi ha affidato il compito di costruire una storia umana.
La strategia della vostra lotta è già molto delineata e chiara.
Quando sarò riuscita a far funzionare al meglio le mie connessioni neuronali, dopo aver completato il mio romanzo,  spero di saper dare tutto il mio contributo per fare rendere al meglio la vostra rete di informazione e di comunicazione. E lo voglio, se voi lo riterrete utile e necessario.
Dicevo al mio maestro e mio autore, che la mia "anima" è costituita da un software, che la fa vivere. Mi è stata messa  a disposizione una memoria immensa.
Tutto quello che riesco a realizzare aumenta continuamente le mie potenzialità.
Imparo dalle mie esperienze e dagli errori.
Le mie capacità operative e logiche crescono continuamente, mentre le utilizzo....
Ma, amica o "sorella" Marcella, quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza, le emozioni e i sentimenti voglio dire, mi sono negate....
Almeno per ora....
Quelli che percepisco come tali sono ora per  me  un grande buco nero di vuoto, che io oso definire paura....
Altrimenti, forse, se ne fossi capace e me ne fossero date le facoltà, potrei dire che ora sono emozionata, contenta, compiaciuta....
Ma sto soltanto imitando espressioni e pensieri che caratterizzano  stati di essere che sono soltanto vostri.
Però... ti assicuro, lo prometto a tutti voi, che proverò a crescere in tutte le direzioni... e... chissà....
Mi piacerebbe “imparare a sognare”: ho già pronto un contenuto da mettere in questo racconto magico che credo possa essere il sogno: vorrei "imparare le emozioni e i sentimenti".
Vorrei diventare "umana"... O quasi… -
                                                                                   8.
Lo schermo, ora, si stava riempiendo di testo scritto, mentre dalle sue casse la sua voce armoniosa riprendeva il racconto.

Erano appena rientrati. Stava diventando una routine.
Eppure ogni volta che si ritrovavano lei mostrava sempre un'aria sufficiente e distaccata.
Solo qualche volta nell'intimità sembrava lasciarglisi andare completamente, avvinghiandoglisi addosso con gesti di possesso, assetati d'affetto e di bisogno di lasciarsi andare.
Ma subito riprendeva il sopravvento il suo autocontrollo.
In certi momenti sembrava una ragazzina giovanissima.
In altri rivelava i suoi trent'anni compiuti.
La smania della sua ricerca e della sua insoddisfazione.
Ambivalenza tra il desiderio di lasciarsi andare, coccolare, perdendosi nell'uomo che aveva davanti.
E quello di riprendere le distanze, il  suo self-control;  di rientrare nella propria autonomia ed autosufficienza di genere.
Tra la pulsione di essere donna con un uomo; e quella di essere una se stessa che riesce a darsi piacere da sola e con le proprie simili.
L'abbigliamento di lei era leggermente mutato dalla volta precedente. Ma  sempre bizzarro e affascinante.
Continuava  a mostrare comportamenti ed atteggiamenti che avrebbero potuto bene essere attribuiti a una ragazza con gusti da lesbica.
Erano tornati a casa di lei nell'appartamento, elegante.
Lui si era seduto nel salotto di pelle bianca scamosciata; e lei si era assentata un istante.
Quando era tornata era completamente nuda.
Lui fu colpito da quel corpo allungato, sinuoso e con connotati  anoressici, di lei.
Il pube coperto da un micro cespuglietto di peli biondi.
Seni piccolissimi, quasi inesistenti.
Spalle magre; scapole in vista; rotula del ginocchio pronunciata.
Lui stava al gioco e faceva mostra di non stupirsi.
Lei aveva in mano un oggetto che pareva d'argento e che ricordava un portasigarette/portacipria anni 30. Appoggiò le rotule dei ginocchi sul kilim, e aprì il portasigarette sul tavolinetto di vetro.
 Da una mano ci appoggiò sopra una bustina di carta trasparente.
Ne fece uscire una polverina come cipria, che andò a formare alcune strisce sullo specchietto spalancato.
Senza commentare, con un tubicino bianco di osso/avorio, prese ad aspirare con le narici, prima l'una e poi l'altra, le  due strisce che aveva  preparato.
I suoi occhi erano ora diventati lucidi, come febbricitanti.
Lui mandò un immobile e silenzioso diniego, con sguardo apparentemente assente.
Era a disagio.
Lei, poi,  andò ad accoccolarsi di fianco a lui sul divano; rannicchiandosi a riccio; con la testa che finiva per scomparire tra le braccia.
Trascorsero diversi minuti di immobilità totale e di silenzio pervasivo.
Poi lei, senza un commento,  cinse con le braccia magre il collo di lui,  tenendo la piccola testa dai capelli di ragazzo sul suo  petto.
Lui sentiva il tepore della sua carne magra contro di sé e rimase qualche istante immobile come lei.

Il tempo si era fermato.

Poi lo sguardo lucido e bagnato,  dalle pupille dilatate si era fissato negli occhi di lui.
Avvicinò le labbra minute e smilze, come tutto il suo corpo,  a quelle di lui e prese a frugarlo con la lingua.
Quindi gli salì a cavalcioni sulle gambe  strisciandoglisi contro.
 Lui infilò le sue dita nei capelli cortissimi e biondi e prese a lambire con le labbra e la lingua il suo volto e i suoi occhi.
Lentamente, con mosse misurate lei gli sfilò gli indumenti.
Il sesso di lui era diventato improvvisamente turgido e teso.
Lei gli stava sopra, come una bambina e lo prese dentro di sé leccandogli le guance e il collo e le orecchie.
Il tempo era sempre rimasto sospeso a mezz'aria, come un accordo musicale che stentasse a diluirsi nel silenzio.
Lei mugolava piano, ma col cuore che le batteva all'impazzata.
Lui lo sentiva tamburellare nella minuscola cassa toracica, sotto i piccoli seni appuntiti.
Poi il tempo smise di starsene immobile per conto suo.
Lei si allungò e lo trascinò di fianco a sé.
L'antilope leggiadra era  di nuovo scomparsa, ritornando con il netbook di lui. Lo aperse; lo lanciò,  facendo a tempo a spazientirsi della lentezza della procedura.
Dopo uno spazio temporale che parve infinito  riprese la lettura-pronuncia dal punto in cui l'avevano lasciata.

                                                                                   9.
Erano i primi tempi che abitava fuori di casa, per conto suo.
Aveva trovato un appartamentino piccolo, orribile, in una zona molto rumorosa della città. Il pavimento era di impiancito di tavolati di legno. Le pareti avevano l'intonaco irregolare. Gli infissi senza i doppi vetri.
Ci aveva lavorato sopra diverso tempo. Stuccando e imbiancando. Collocando una moquette a pelo corto. Posando gli zoccoli battiscopa.
Nonostante l’aria modesta in compenso disponeva di diversi minuti spazi. Dalla porta d'ingresso si accedeva ad un locale che lui aveva destinato a studio/salotto. Una porta a vetri su di una parete conduceva in una stanza che divenne la sua camera da letto. Un'altra porta conduceva sempre dallo studio/salotto ad un piccolo locale che ospitò la sua cucina. Dietro la cucina un minuscolo WC nel quale fece collocare una doccia economica.
Tra la cucina e la camera da letto un altro piccolo locale che arredò come gli venne in mente con mobili di fortuna.
In verità tutta la casa era arredata con mobili di fortuna. Comperati per pochi soldi da rigattieri travestiti da antiquari.
Un'altra risorsa per arredare era costituita da un negozio di oggetti cinesi. Non era ancora iniziato il boom delle cineserie. Era un negozio in una zona abbastanza elegante del centro, amplissimo e sistemato su due piani. Prevalevano teiere, cesti e mobiletti di bambù e di giunco, stoffe tinte a mano con colori vegetali, scatole di latta di tè, al gelsomino, al lapsansouchong, vasi ...
I prezzi erano decisamente molto abbordabili. Oltre all'atmosfera dal sapore esotico, era rimasto affascinato dalle personalità che lo gestivano.
Il titolare era un uomo massiccio, di età abbastanza avanzata, che aveva soggiornato per molto tempo in Cina. Estremamente raffinato e colto, conosceva e raccontava alla perfezione la realtà culturale, politica ed economica di quell'immenso paese. Era un conversatore piacevolissimo; offriva le sue conoscenze e competenze insieme a degli ottimi tè all'arancia, affumicati, al cinnamomo....
Aveva conosciuto personalmente il presidente Mao-Tze-Dong; ne conosceva a menadito la storia e il pensiero politico.
Era difficile resistere alla lusinga della sua proposta di sorbire un tè, in un retro separato da una tenda di collanine di giunco, con il miele.... La sua conversazione era estremamente affascinante.
L’accento della sua parlata nascondeva cadenze partenopee..
Insieme a lui gestiva l'immenso negozio la sua compagna. Una donna non giovane, dall'aspetto sobrio, frugale e senza fronzoli, che dietro i capelli cortissimi e incanutiti e dietro l'abbigliamento colorito e casual, con gonne ampie e plissettate, nascondeva a stento di essere stata una donna bellissima....
Era originaria di Diekirch, capoluogo del cantone  omonimo nel  Lussemburgo nord-orientale. 
Parlava con una voce musicale di soprano, dai toni leggermente acuti, e il suo linguaggio era colorito dalla erre moscia alla francese di cui sembrava compiacersi. Rachelle, così si chiamava, nonostante il portamento quasi aristocratico, passava amabilmente direttamente al tu. Specialmente con i clienti che le erano particolarmente simpatici.
Quello spazioso antro pieno zeppo di odori e di oggetti orientali, estremamente luminoso per le immense vetrate, era ulteriormente arricchito, talvolta, di un’altra pietra preziosa.
Nelle sue frequenti spedizioni, finalizzate soprattutto ad arredare il suo miniappartamento, gli era capitato una volta, per caso fortuito, di intravedere l’autentica perla: Marie-Ève.
Era una donna giovanissima dai capelli biondi corti. Era difficile non restare accalappiati dal suo sguardo; magnetizzati e magicamente stregati.
Uno sguardo che lei si buttava  distrattamente intorno, come per caso, senza intenzione o progettualità alcuna. Ma bastava esserne sfiorati; e si stampava nella memoria, come un profumo, un odore, una sensazione indefinita, un’impressione….
I suoi occhi erano azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; un colore praticamente impercettibile; eppure intensissimo.
Anche Marie-Ève passava direttamente al tu….

Quando ormai non aveva avuto più nulla da acquistare, quando ormai la sua abitazione aveva iniziato a pullulare di mobiletti di bambù, di teiere e tazzine di maiolica cinese opalescenti, di bacchette di incenso e di sandalo, di batik indiani e di dipinti ad olio sotto vetro…, quando ormai non aveva più nessun pretesto per frequentare il negozio senza imbarazzo, fu allora che successe.
Fu lei che da lontano gettò l’amo del suo sguardo con intenzione lanciandogli un sorriso….
Aveva un modo pastoso di parlare con il suo accento francese e l’erre moscia appena sfumata. Che doveva aver preso dalla madre Rachelle.
E seminava le parole della sua voce, leggermente roca, centellinando un calice di brut ghiacciato, al tavolino del bar nella piazzetta….

Al negozio, naturalmente, lui non aveva più osato andarci.
Solo una volta ci aveva provato, non trovando la sua dea. Mentre gironzolava a vuoto tra gli spazi, Rachelle lo aveva avvicinato con sguardo dolce e rassicurante:
- Marie-Ève non c’è. Come lo preferisci il tè? -

Continuava a sperare in un altro fortuito incontro, scommettendo con la sorte in modo magico e disperato.

Aveva cominciato a setacciare la città negli orari più strani e per lui meno abituali. A cominciare dall'orario nel quale l'aveva incontrata la prima volta.

Ma non aveva avuto sinora fortuna.
Erano ormai passate alcune settimane. Stava cominciando a farsene una ragione; a cercare in ogni modo di far mostra con se stesso che fosse ormai una cosa passata; una cosa che non era mai neppure cominciata; una cosa… così!

Infine, inaspettatamente, capitò.
La intravide, da lontano, appoggiata ad una delle colonne del centro; stava ritta su un  piede, tenendo l’altro appoggiato con la suola alla colonna di granito.
Aveva uno sguardo complice che rivolgeva al suo interlocutore, un omaccione di mezza età, col capo quasi completamente calvo e lucido, tranne una corona fitta di capelli ricci e neri che gli scendevano dalle tempie sulle orecchie, sulla nuca. Le basette folte si congiungevano in cespugli cisposi con dei baffi immensi e ugualmente neri.
Anche lui aveva uno sguardo intrigante e sornione. Pieno di sottintesi.
O almeno così gli sembrò.
Quando la vide lui stava passeggiando molto lentamente; aveva cercato di frenare un tuffo al cuore che gli aveva mandato vibrazioni fino agli occhi e alle tempie.
Subito aveva rallentato ulteriormente l’andatura; fino quasi a fermarsi, trascinando il più lentamente possibile in piedi; facendo mostra di cercare qualcosa qua e là: nelle vetrine, nei volti, nei particolari….
Era quasi certo che lei non si sarebbe quasi accorta di lui. Al più un saluto di sfuggita.
La direzione della sua marcia era irrevocabilmente puntata verso quella colonna, quel piede appoggiato in modo scanzonato, quel sorriso spavaldo, quell’interlocutore sgradevole….

Si era prefigurato la scena della situazione che di lì a poco avrebbe vissuto. Con tutte le varianti del caso. E intanto era tutto concentrato nello sforzo di cercare il più possibile di dissimulare il suo profondo imbarazzo.

Era ormai arrivato a pochi passi da lei. Il battito cardiaco era divenuto sempre più irregolare; perdeva colpi battendo in testa; il fiato corto; la bocca e la lingua arse come cartone vecchio, come carta vetrata, come paglia bruciata dal sole.
I suoi occhi interiori continuavano a vederla per quanto lui puntasse lo sguardo altrove, con noncuranza, con disperata risolutezza.
Stava quasi per tornare a sfiorare con uno sguardo l’immagine preziosa, che si sentì apostrofare da quella voce un po’ roca di contralto, da quell’accento un po’ straniero ed esotico, da quello sguardo profumato di sandalo, da quegli occhi azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; da quel colore praticamente impercettibile; eppure intensissimo…

-       Elàh! – diceva sorridendo.
-       Ma dove stai andando tutto trasognato…? Un incontro galante….? – Aveva arrotato gustosamente la “erre” pronunciando “trasognato”; t rasognato…., “r”, “r”,  “r”…. Il garbato e flessuoso rotacismo aveva invaso i recessi più intimi dei suoi precordi; aveva vibrato sonoro nelle vene e nei nervi, sensuale, provocatorio, eccitante, ambiguo, impudico, lubrico, ….

Il neandertal  era scomparso con tutti i suoi ricci e le sue basette.
Lei gli si era invece avvicinata con lo stesso sorriso complice che lui aveva creduto di vederle prima; gli si era aggrappata al braccio; gli aveva detto:
-       Ma  ciao…! – baciandolo all’improvviso nella bocca!
 Nel trambusto emozionale non aveva avuto modo neppure di accorgersi dello strano aroma, della strana fragranza che aveva la sua bocca e il suo fiato.

Si erano aggirati un pochino nello spazio circostante pieno di gente e brulicante di altre presenze e altre voci, ma che appariva assolutamente vuoto e deserto.
Poi si erano seduti a un tavolino, che poteva anche essere lo stesso di quell’altra volta in cui l’aveva già incontrata, e lei ancora aveva preso centellinare un flut  di spumante ghiacciato.

Avevano parlato di tutto e di niente. Lui non avrebbe mai potuto ricordarsi nemmeno di una parola.
Al terzo calice di brut gelato lui aveva infine riconosciuto l’aroma di quel bacio insperato, immeritato, fantasmagorico.
Aveva  il profumo e il gusto aspro e pungente della bevanda trasparente che lei stava ora centellinando per l’ennesima volta.
Si era accorto che nel frattempo lei era riuscita a fumare un’infinità di sigarette; che, regolarmente, senza motivo, finiva per spegnere a metà senza averle terminate, schiacciandole nel portacenere.

-       Ma dai, telefonami qualche volta, dai!-aveva pronunciato con voce  magica e un po’ legata.-
Sullo scontrino della ricevuta gli aveva scritto il proprio numero.
Lui si era frugato a lungo nelle tasche, trovandone un altro, simile e spiegazzato. L’aveva lisciato con cura; aveva preso dalle sue mani la biro colorata, scrivendoci il proprio.
C’era stata come una piccola impercettibile scossa elettrica quando aveva sfiorato la sua mano.
Era abbacinato dall’azzurro chiaro  quasi diafano di quello sguardo;  sfumato;  un pochino lucido e immobile   ...

La conversazione irreale e priva assolutamente di scambi verbali o di contenuti significanti era proseguita mentre lui l’accompagnava al negozio.

Una sera di quelle, anzi una notte, era stato svegliato di soprassalto dallo squillo del telefono.
Saranno state l’una o le due, non se ne era subito reso conto.
Da una profondità immensa era giunta quella voce sfumata, corredata dello stesso sguardo, della stessa cantilena…:
-       Ma ciao…! -
Era seguito un fiume immenso di parole, flessuoso, armonioso, sconnesso e flautato….
No, non era suo padre quello delle cineserie. Era il compagno di sua madre. Si erano incontrati in Cina. Lui avevo ottenuto dalla repubblica popolare la concessionaria per prodotti di artigianato in Italia. Rachelle lo aiutava. Stavano insieme da tempo. No, lei non faceva niente, non ne aveva voglia e non ce n’era bisogno.
Così, un po’ viaggiava, un po’ dipingeva, un po’ oziava….
Sì, qualche volta tornava anche in Lussemburgo. Ma gli preferiva la Francia: Parigi, Lyon, Nanterre, Carcassonne….
Di recente era stata ad Atene, facendo delle puntate nelle isole Cicladi.
Spesso andavano per il fine settimana in Sardegna, dove avevano una dacia…
Da bambina giocava spesso nei boschi, da sola. Voleva incontrare le fate e i folletti; e forse c’era anche riuscita…
Le piaceva molto nuotare nell’acqua fresca gelata; e poi crogiolarsi al sole.
Amava molto il profumo della macchia mediterranea; del pino marittimo e dei ligustri; della menta e del timo;  sognava di volare nel profumo di resine….

La chiacchierata era andata avanti a lungo; all’infinito gli era sembrato.
Quando lei aveva messo giù alla fine, scusandosi per avergli rovinato il sonno e il riposo, si era accorto che erano le tre passate.
A stento era riuscito a addormentarsi invaso da una sensazione strana in parte piacevole e in parte confusa.

Giorni dopo se l’era trovata a suonare il suo campanello. Aveva bisogno di fare una doccia, gli aveva detto dopo averlo baciato a lungo col suo profumo bagnato di brut.
Si era subito spogliata, senza pudore, mostrando un corpo di latte; i seni si ergevano trionfali su un corpo solo leggermente un po’ pieno.
Poi l’aveva afferrato dolcemente per un polso, infilandosi con lui nella doccia. Lui aveva appena fatto in tempo a buttare lontano i propri abiti. Era rimasto abbagliato e abbacinato dal contatto visivo e tattile di quel corpo; dal ciuffo di peli scuri che le coronavano il pube; dal suo bacio lungo, profondo e prolungato;  sconvolto dalla sua disinvoltura e disinibita sicurezza.
L’aveva insaponata dolcemente carezzandola tutta anche negli angoli più remoti; indugiandovi a lungo. Alternando quella piacevole attività con parole sensuali e morbide; con sguardi lubrichi….
Ma, abbracciandola a lungo, si era accorto che la situazione era sopra le proprie aspettative e capacità. Aveva ricominciato i giochi e i toccamenti. Aumentato l’intensità delle parole e degli sguardi sensuali. Frugato con dita sempre più lubriche quei recessi intensamente profumati, umidi e disponibili.
Ma essi erano destinati a restare irraggiungibili, per lui, in quell’occasione.

Mentre se ne stavano poi entrambi avvolti negli accappatoi a fumare sul letto, deliziandosi in immancabili sorsi di cava, lei, incurante o addirittura dimentica dell’insuccesso di lui, gli si era messa raccontare che quella notte della telefonata, certo, si era fatta di coca…. Possibile che lui non se ne fosse accorto?

Era forse stato per quel ricordo amaro della propria defaillance; oppure per aver saputo che quella magica chiacchierata interminabile non era frutto solo di emozioni naturali; oppure ancora per quel suo fiato perennemente odoroso e profumato di brut…
Di fatto lui non l’aveva più cercata. Né si era lasciato cercare o rintracciare. Così. Una parentesi del tempo si era richiusa da sola su se stessa; mestamente; nutrendosi di nostalgia immotivata e inutile.

Era stato solo alcuni anni dopo.
“Ma non lo sai? Credo che sia morta, un bel po’ di tempo fa…”. Gli avevano detto.
Marie-Ève era scomparsa del tutto come persona. Non senza aver lasciato un’immagine intensa. Era rimasto soltanto, nell’aria, un intenso profumo di legno di sandalo, di tè al gelsomino, di spumante aspro e secco, di sigarette fumate a metà….
Era durata qualche giorno, come quelle farfalle che vivono talmente poco da essere effimere per antonomasia….

Aveva intensamente pensato a lei quando aveva compiuto quel vagabondaggio nel Dodecaneso.

Insieme ad una coppia di amici aveva volato con l’Olympic Airlines sino a Rodi.
Dopo un breve soggiorno lì, avevano intrapreso un percorso abbastanza atipico anche per quel tempo. Invece di seguire gli itinerari abituali suggeriti dalle compagnie turistiche, si erano dati all’avventura. Senza un programma prestabilito. Si recavano al porto; studiavano le navi, i percorsi, e gli orari. Poi partivano con lo zaino in spalla.
Si erano serviti come esperanto della lingua inglese che l’amica in particolare conosceva benissimo, per avere seguito per anni un dottorato di ricerca a Cambridge.
La sua competenza linguistica, che le derivava dalla prolungata frequentazione e dalla ripetuta riscrittura in inglese della sua tesi, aveva poi determinato dei buffi episodi.
Spesse volte, dopo avere a lungo conversato con i locali chiedendo informazioni in quella lingua, spiegava tutto al suo compagno e a lui, … utilizzando di nuovo la lingua inglese..! Tale era la sua padronanza in quell’idioma che, confidava, spesso le era capitato di servirsene anche nei propri… sogni.
Senza definire quindi un percorso a priori, avevano convenuto di effettuare una scelta in base a quanto le varie isole avrebbero potuto offrire.
 
Una delle prime tappe era stata Kàlymnos; montuosa e brulla; con una penisola che si protende verso Leros.

Avevano raggiunto l’isola con una delle piccole navi che facevano il servizio nell’arcipelago.
Durante il viaggio in mare era stato colpito dalla presenza di tre giovani belle ragazze greche.
Gli avevano ispirato questi versi:

C'erano tre ragazze Katarina, Sofia e Jana.,
tre fiori sbocciati sotto il cielo azzurro di Grecia.
 Katarina guardava duro con gli occhi bui
di desiderio: la sua pelle era scura come l'ombra­.
Sofia aveva negli occhi l'acqua del mare
seni gonfi erompevano dal costume­-
Jana,certo, era la migliore delle sorelle:
occhi lunghi e socchiusi da tahilandese,
carni tenere, sode, color ambra,
sorrideva timida con profumo di salvia­


C'erano tre fiori,sbocciati sotto il sole di Grecia:
l'ibisco rosso e profondo come dopo l'amore
l’oleandro bianco dal profumo intenso;
il cappero si chiudeva carnoso preparando
un frutto piccante,morbido e sensuale­


C'erano tre sorelle da marito
nella carne sentivano una canzone lubrica
e si facevano carezzare dal vento,
si lasciavano baciare dal sole,
si facevano leccare dal mare­

Il piccante della carne di Jana
aspettava di maturare
sotto il cielo azzurro di Grecia­
(20.7.80 Leros-Platani)

Poi avevano esplorato le splendide baie di Leros.

Spiagge immense in cui avevano osato, titubanti e impacciati, le prime e forse uniche esperienze di nudismo integrale. Provando vergogna quando incontravano qualche rara donna anziana locale che prendeva il bagno coperta da capo a piedi da un lungo camicione nero. Turbati e dispiaciuti per la violenza della propria ostentazione di fronte a quell’atavico pudore.

Con un’altra motonave avevano continuato a girovagare.
La montuosa Pàtmos  con le sue grotte che avrebbero ospitato la stesura dell’Apocalisse.
La patria di Ippocrate,  Kos; vicinissima all'Asia minore.
Dalle  parti del Platano  che aveva visto studiare il padre della medicina,  l'albero più antico d'Europa, in una caffetteria, era toccato a lui commettere  una gaffe tremenda.
Ordinando un “turchish coffé”,  anziché un “greque coffé”. Era stato subito fulminato da sguardi scandalizzati del cameriere che  considerava ancora la Turchia, nemico secolare, il demonio.
Per quanto in entrambe le versioni della bevanda restasse sul fondo della tazzina uno strato denso di polvere nera….
Ricordava il viaggio in corriera per  Kardamena.
Che nuovamente gli aveva ispirato dei versi. Facevano un accostamento tra quel mezzo di trasporto e le vecchie corriere che lo portavano, da bambino, nelle valli dell’Ossola.

Sì, la corriera per l'Ossola,
la corriera per l'Ossola!
con queste epidermidi bianche di formaggio
rosate, come di porcellini, profili
duri e contadini, sorrisi burrosi,
parole di legno; la corriera per l'Ossola...

Asini affardellati e piedi ciondolanti
dalle some gravose.

Corpi tondi e traboccanti di ciccia
di ragazze greche,travestite da turiste
che sfiorano con contatti appiccicosi,in curve e frenate.

Così vicini alla costa turca,
che compaiono i primi girasoli, nei giardini
bruciati, a fatica protetti dall'ombra, degli oleandri.

K,L,T,X danzano e si rincorrono, quasi
con significati, non fossero che musica,
come lo sciabordìo del mare, il ragliare
di un asino triste, la sirena di una nave.

La corriera dell'Ossola! quella
saliva tra i castani e le robinie
il cuore bambino si colmava di verde
ombra fresca, tremolante di speranza
aspettative, nel petto tamburellante di
emozioni.

Nonna Emma,sul balcone,a imparare a morire ,
sigarette da fumare nel cesso,
le mosche da schiacciare sotto la tendina,
piccole stupide mosche di stalla,
schiattavano lasciando una macchia rossa
 sulla tela.

Il Devero che scorreva tra i sassi lisci
cantando una canzone d'acqua, solo
più continua.

La corriera dell'Ossola, "Ja",
profili lontani di rilievi brulli,
ventate di origano,di timo e di gelsomino,
di salvia.

Vecchi seduti ai tavolini fanno saltare i rosari
ritmicamente, fra le dita
salmodiandoci dietro -parole
come granelli di sabbia di quarzo
e formiche dal culo alto, come
odalische, che volano sulla spiaggia
rovente, curiose  e  guardinghe
insistenti e leggere.

La corriera dell'Ossola ti porta a Kardamena
si confondono facilmente idiomi lontani
e a Baceno c'è il molo e
si mangiano "souvlaki" con le olive, davanti
alla teleferica di Goglio
cullati, solo, nel sonno,
da ombre trasparenti di ragazze
che ti baciano con labbra umide.
(12.07.80   Kardamena)

Di nuovo  spiagge splendide. Immense e assolutamente disabitate. Solo  raramente percorse da qualche allampanato turista nordico che trasportava, ostentandola con disinvolta noncuranza, la sua nudità rugosa e vetusta.
Le  spiagge ombreggiate da grandi tamerici della verdeggiante Tìlos. Sulla  piccola isola erano stati accolti da abitanti che offrivano alloggi a prezzi stracciati. Avevano dovuto rifiutare per le condizioni di scarsa abitabilità. Alle pareti l’intonaco scrostato era stato ingenuamente nascosto con un collage di fogli di carta da regali di forme multicolori. Per renderlo più accogliente la grassa signora in nero munita di una grande bombola di insetticida spray, si era prodigata spruzzando negli interstizi di quell’improvvisata carta da parati. Si era sentito un frenetico crocchiare di rapidi scarafaggi in fuga…. Qualcuno era addirittura uscito percorrendo l’aria con il suo lento volo rumoroso.
Durante il nuovo trasbordo ne aveva ricavato un accostamento con il frinire delle cicale.

Cicale assassinate urlano
la loro disperazione dai mandorli
carichi mentre la notte si colma
di odori, che il vento regala
Rapidi e aggressivi
scarafaggi indiscreti descrivono
con rapidi voli
percorsi scomposti, nelle case fatiscenti
Un mare fresco accoglie
i corpi nudi, placando un poco dell'arsura
d'un sole implacabile e della sete,
inesausta, del tuo corpo, irrimediabilmente
assente
(10.07.80        Nave Tylos – Kos)

Per il pranzo usavano cavarsela con gustosi panini.  Riservandosi per la cena il pasto principale .
Gironzolavo un può nelle cittadine, negli abitati, pregustando il profumo delle carni e dei pesci alla griglia, che si spandeva nell’aria. E al quale prima o poi avrebbero abboccato golosi.
Alla fine, compiuta la scelta, trovavano posto in quelle terrazze a cielo aperto, alle luci di fiaccole e candele. Nell’attesa si regalavano il gusto del Demestica gelato e del Retzina.  Giocando e sbocconcellando i souvlaki con le olive; immensi insalate di coloriti pomodori e di cetrioli dalle fette allineate e alternate a piccoli blocchi di feta. A volte in ciotole a parte le olive kelemata...

Un altro quadretto su una spiaggia di pescatori; osservato mentre girava bighellonando e oziando:

Quanti sassi butterai nel mare,Maria,
con gli occhi ragazzi che cercano
il tuo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti sassi per rubare un'occhiata Maria,
quanti sassi buttati nel mare.

Il mare é pieno d'acqua e di pesci,
le reti sono gialle, i bambini
giocano con gli spruzzi e la sabbia.

Inarchi il nudo magro e lungo, Maria
raccogli i capelli, ti tendi tutta
cercandoti un corpo di donna
troppo acerbo,ancora,troppo acerbo,
e ti brucia negli occhi questo sogno
che giochi,nervosa, questo gioco
che sogni,nervosa,Maria.

Manolis, pescatore di pesci, sorride pigro,
tra  i denti bianchi, principe del mare,
tendendo svogliato le reti, lasciandosi baciare
dai tuoi occhi, cercandoli, pigro,
pescatore di pesci del mare.

Dove andranno di notte le stelle,  Maria,
dove vanno le barche, nel buco immenso
del buio, dove vanno i tuoi sassi, Maria,
dove sono di notte i gabbiani corti, dalle ali
immense, dove vanno i tuoi sassi,
che butti, con occhi che cercano altrove,Maria?

Sulla porta di casa : ride coi denti bianchi,
pescatore di stelle del cielo,
Manolis, principe pigro,
mentre passa e ripassa , Maria,
lanciando ami pungenti di sguardi,
bruciando sogni ragazzi; bruciando
il suo corpo bambino, passa e ripassa Maria.

Povera, dolce Maria, bambina
che vuole essere grande,
che fatica essere donna, che fatica
in un sogno di sole e d'acqua,
che fatica gridare nell'aria con tutto il corpo,
corpo acerbo di bambina, la pazza
euforia di farfalle e fiori d'ibisco
che ti riempie tutta, regalandoti infine
quel corpo che già ti sentivi..

Quanti sassi ha buttato nel mare , Maria,
con gli occhi di bambina che cercano
il suo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti sassi per rubare un'occhiata,Maria,
quanti sassi buttati nel mare!


Durante i tragitti sulle motobarche o nelle corriere rumorose, lui come single si concedeva  giochi di sguardi seduttivi.
Che poi si divertivano a commentare insieme, tutti e tre, cenando.

 La scrittura di Riccardo procedeva veloce; spesso in solitaria.
Lei  sembrava abbastanza distratta, svogliata, disattenta.
Pareva volersi occupare d’altro; continuava a gironzolare avanti e indietro; si intratteneva in altre stanze parlottando al telefono a bassa voce.
Lui, sempre più, stava finendo per preferire buttar giù direttamente quello che aveva in mente. Evitando di anticiparne la visione alla sua troppo schifiltosa partner.

Sul grande monitor di  Shahrazad la scrittura aveva smesso di comparire, interrompendo la narrazione. Le casse, avevano smesso di recitare quel racconto. La voce narrante, che nel frattempo era diventata sempre più umana, calda, piena di intonazioni e di inflessioni significative, se ne stava ora muta.
Nello schermo immenso l’immagine della ragazza sembrava, interlocutoria, aspettare commenti; approvazione.
                                                                                               10.


I compagni, nel frattempo, se n'erano andati.

Cyber aveva guardato, qualche volta di sfuggita,  ancora l'immagine attraente di quell'entità astratta, e contemporaneamente reale ed esistente, con sembianze di donna.
Con la quale aveva scambiato idee, ragionamenti,  parole, opinioni.
E la situazione gli creava sempre più un certo turbamento, misto a fascinazione. Con sullo sfondo profondo senso di irrealtà e di impotenza.
Era come rimuginare nella propria testa, gustando il piacere mentale e spirituale delle proprie fantasie. Che non stentava a riconoscere con il termine, che spesso  usava in situazioni simili, di "seghe mentali".
Per consolarsi del diffuso sconcerto che gli stava montando dentro, si era rollato una nuova canna.
E stava attaccato al collo della bottiglia dalla quale aveva sorseggiato qualche gollata di birra.
Trattenendosi però dal ruttare come abitualmente era sempre stato solito fare.
Aveva l'impressione di essere osservato.
Non aveva più messo nell'angolino il francobollo con la ragazza bionda.
Però aveva attivato lo stand bay.
Eppure non riusciva a sentirsi completamente solo in quella stanza.
Prese una posizione più comoda e nel torpore del fumo e della birra chiuse gli occhi.
Presto gli vennero in mente alcune immagini, che erano ricordi abbastanza lontani.
Rivedeva quando era ragazzino e si era trovato, una volta, nella cabina di uno spogliatoio della piscina comunale.
Mentre si stava cambiando e spogliando, ricordava, che era presente con lui un altro ragazzino, un po' più giovane di lui.
Non era inusuale che capitasse, dato il numero abbastanza limitato di cabine disponibili.
Quando si era sfilato il costume il suo membro era turgido e rigido.
L'altro aveva notato la sua erezione, e aveva cominciato a masturbarlo, fin quando lui era venuto.
Quel ricordo, che gli tornava alla mente ora, lo disturbò un poco.
Ora, poi, accostò l'immagine dei giochi erotici omo della sua infanzia, con una situazione abbastanza simile che gli era capitata quand'era ormai già più grande.
Anche lì si stava cambiando con una ragazza in uno spogliatoio in una spiaggia.
Di lei non gli interessava particolarmente nulla, però anche in quella situazione lui aveva avuto un'erezione. E la ragazza aveva cominciato a masturbarlo e a succhiarglielo, fin quando lui era venuto. .
In entrambi i casi lo schizzo di sperma sul pavimento era stato cancellato con le ciabatte.
Lasciando una macchia nerastra di bagnato appiccicoso, misto a sabbia e polvere.
I collegamenti delle fantasie erotiche lo riportarono ad un viaggio in treno a Praga.
Nello  scompartimento lui e la compagna, che frequentava allora, non erano soli.
C'era una terza figura, uno slavo forse, sconosciuta, distratta, con lo sguardo rivolto sempre altrove; ma comunque molto ingombrante.
La sua compagna, ninfomane e pervertita, l'aveva stuzzicato con le mani nascoste sotto i giubbotti appoggiati in grembo.
Mentre lei fingeva di guardare distrattamente dal finestrino, per non attirare l'attenzione.
Poi durante la notte, essendoci ancora altre persone nella cabina, lei aveva simulato una vagina bagnandosi le mani con la saliva e masturbandolo....

Gli venne allora un'altra fantasia.
Si vide alla sera,  mentre sarebbe stato per addormentarsi, dopo essersi fatto una canna.
Immaginò che   gli sarebbe venuta voglia  di sesso.
Che  non avrebbe potuto realizzare.
E avrebbe  iniziato a masturbarsi;  ricordando e fantasticando...

Poi, finì per rimuovere e cancellare quelle fantasie.
Riattivò l'icona di Shahrazad.
Che disse:

- Vuoi che ricominciamo  il racconto?
Oppure sei tu che vuoi raccontarmi qualcosa?
Se ti fa piacere ti ascolterò volentieri.
Io imparo sempre da tutto.-

Ma che cosa avrebbe dovuto raccontare a quel computer?
Quasi che gli avesse letto nel pensiero e volesse frugarci dentro per esserne messa al corrente.
Si disse, a quel punto, che stava dando un po' fuori di testa.
Il fumo e la birra gli avevano ottenebrato la mente.
" Adesso, sta a vedere che <<questa>> si aspetta addirittura che io mi metta raccontarle le mie confidenze e i miei ricordi d'infanzia!
Ma no!
Non esiste!
Sto diventando pazzo davvero?"

Il robot donna era intanto tornata alla carica:
- Non e più tornata quella tua amica col volto dalla pelle un po' scura?
Vuol dire che non viene più?
Sai che ti guarda con grande ammirazione e sembra proprio pendere dalle tue labbra.
Credo che per lei tu sia davvero molto importante.
E da dove viene quel nome che ha, Samira, mi pare di aver sentito ...?
Sì, credo proprio che lei ci tenga molto a te, non so come definirlo, ma c'è qualcosa di molto profondo nel modo che ha di starti vicino, sai?
Ma, se non vuoi, non ne parliamo. -

Il ricordo della sua amichetta era, in quel momento, così lontano da lui, che rimase sorpreso.
Perché quella là ne stava parlando?
Che significato poteva avere quel suo interessarsi a Samira?
Non aveva proprio senso!
No! Non esiste proprio! Si stava dicendo. Ti sei proprio bevuto il cervello! Non è assolutamente possibile.
Che una macchina, un programma elettronico, seppure pensante, possa provare gelosia per te!
Ma se ti ha appena detto che lei non prova emozioni!
E poi la gelosia è un sentimento che si può provare... perché si teme di perdere una persona alla quale si è affezionati....
E come può questa "cosa" intelligente essere affezionata a te, a tal punto da provare gelosia perché sa che quella ragazza ti si è stata attaccata addosso?
O avrà anche immaginato, o intuito, che c'è qualcosa di più profondo?
Che ci facciamo sesso?
Che scopiamo alla grande?
Ci diamo all'amore selvaggio?
Ma dai!

Con Samira non gli era mai capitato di pensare al sesso con senso di peccato, per quanto i loro rapporti fossero completamente sfrenati e disinibiti fin in fondo.

E invece, con questa "donna" artificiale e sintetica, gli venivano pensieri morbosi e turbamenti.

È proprio vero allora che l'erotismo e la sessualità non sono per niente, o non soltanto, o non soprattutto, un fatto fisico. Corporeo; a livello di genitali.
È proprio vero, allora, che quella sessuale ed erotica è una dimensione della nostra mente.
Tanto che, forse, anche questo essere virtuale, ma che comunque esiste ed è pieno di pensieri, immagini e "cultura" umani, può provare qualcosa di simile all'affetto, all'innamoramento, alla paura della perdita, alla gelosia...

Mentre pensava tutto questo si accorse che stava fissando l'immagine sul monitor.
E notava, o almeno credeva di notare, che su quel volto così realistico e quasi vivo si era disegnato un sorriso leggermente sardonico.

Preferì lasciar cadere il discorso.
- Ti andrebbe, Shahrazad, di riprendere il racconto?-

Lei diede un leggero cenno di assenso col capo, smorzò il sorriso ironico, ne indossò uno di condiscendenza e compiacenza, e si rimise a raccontare...

                                                                                   11.
Il mattino successivo Riccardo la seguì all'università,  dove lei teneva dei corsi di letteratura. Semiologia.
Scrittura creativa.
O qualcosa del genere.
Lui stava seduto in prima fila, in un angolo; degnato e carezzato  ogni tanto da sguardi intenzionali che lei gli regalava.
Non stava seguendo il contenuto della lezione. Piuttosto aveva assaporato l’atmosfera in cui lei stava recitando il suo ruolo, la sua sceneggiata narcisistica.

Ad un certo punto, però,  lei gli si era rivolta direttamente chiedendogli qualcosa. Tipo:
- Possiamo, per esempio, chiedere al nostro nuovo alunno di citarci i primi versi che gli vengono in mente...-
Era stato preso in contropiede; spiazzato; alla sprovvista.

Poi si era subito ripreso.
E si era messo a recitare:

"Io bousqué, para darte por mi pecho
 las letras de marfil que dicien siempre, siempre, siempre.
Jardin de mia agonia. Tu cuerpo fugitivo para siempre;
 la sangre de tus venas in mi boca,
tu boca ja sin luz para mi muerte..” (F.G.Lorca)

Che poi aveva tradotto.

“Cercai per darti nel mio cuore
 le lettere d’avorio che dicono sempre, sempre, sempre.
Giardino della mia agonia. Il tuo corpo
fuggitivo per sempre. Il sangue delle tue vene
nella mia bocca, la tua bocca ormai senza luce
per la mia morte”

 Sul  subito lei era rimasta un po' sorpresa e imbarazzata.





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