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giovedì 15 dicembre 2016

TAGLIARE LA NEBBIA COL COLTELLO?

TAGLIARE LA NEBBIA COL COLTELLO 
Era già arrivato alla stazione con l'auto. A fianco a lui la sua bambina con il cane e gli zaini. Il braccio falsamente ingessato per quell'esperimento che lui non riusciva ancora a capire.
"Ciccio, mi accorgo adesso che ho dimenticato a casa il cellulare, cazzo! Ti dispiace se torniamo indietro un secondo a prenderlo? Lo so che magari ti faccio fare tardi…"
Lui aveva evitato di aspettare di girare alla rotonda e aveva fatto velocemente una inversione di marcia. Era tornato, aveva piazzato l'auto alla bell’e meglio ed era salito di corsa a recuperare il cellulare che era ancora in carica.
 
Proprio dove qualche giorno prima l'aveva lasciato anche la sua ciccina.
 
Naturalmente con la nebbia che c'era sapeva che avrebbe fatto tardi, era scontato.
 
In quel momento, qualche istante dopo, quando aveva imboccato la strada piena di nebbia gli era tornato in mente un episodio di molti decenni prima.
 
Aveva ancora la sua meravigliosa Appia coupé, stava tornando dalla Valle Anzasca dove insegnava. E passando dalla strada di Megolo e di Pieve Vergonte si era inoltrato improvvisamente in un bagno immenso come un lenzuolo di nebbia fittissima. Non riusciva a scorgere le strisce discontinue in mezzo alla strada, e tra l'una e l'altra passavano alcune frazioni di secondo, prima di riuscire a scorgere la successiva. Da sentirsi perduti. Smarriti.
E anche allora gli era tornata in mente una frase che diceva il ragioniere Porrazzi al dicastero, alla ragioneria di Stato. Quando parlava del caffè romano, e diceva a “a Roma se beve un caffè che se taja cor cortello…”
Qui sarebbe quasi venuto da dire che era la nebbia che si dovesse tagliare col coltello ( con un'espressione corrente che lui non usava mai).
 
Si era buttato ora in quella strada nebbiosa. E nei rari rettilinei, solo quando scorgeva di fronte molto lontane e diafane delle lucine che arrivavano, si azzardava a sorpassare.
 
Il sistema di navigazione dell'auto gli aveva anticipato che sarebbe arrivato in ritardo di almeno 20 minuti.
 
Riuscì a recuperarne almeno una meta.
 
Aveva anche provato a sfogarsi dicendo parolacce o bestemmie : porco qui e porco là … ma si accorgeva che ora, da quando si era fatto rimettere a posto il cuore, non si incazzava più come una volta. Lo faceva in modo distaccato, quasi sereno, molto più disteso… la nebbia non era più una nemica …qui poteva affrontarla molto meglio di come aveva fatto dalle parti di Pieve Vergonte tanti anni prima. E andava, sereno, disteso, dove avrebbe visto il sorriso che era in più adatto antidoto contro la nebbia.
 
Contro ogni nebbia .
 
Il navigatore continuava a guadagnare minuti sull'orario previsto. Lui non faceva nessun atto azzardato.
Dentro la gabbia toracica la macchina cardiaca viaggiava tranquilla.
 
Non batteva più in testa. Non perdeva colpi. Macinava attimi di tempo, versava fiumi rossi per ogni angolo del corpo, carburava bene.
Si accorgeva che quelle corse del cuore all'impazzata, quelle fughe e quei rallentamenti improvvisi, avevano ora cambiato il ritmo. Sicuro; deciso; robusto e determinato con calma risoluta.
Niente più crampi contratti. Niente più voglia o impulso irrefrenabile di buttar fuori fiumi arrabbiati di parole. Contenuto. Padrone della situazione.
Con lei in quei brevi istanti in cui l'aveva incontrata, avevano di corsa e di sfuggita guardato il volto della luna.
 
E nel blu intenso nero del cielo pareva calata una tenda ricamata bianca. Di lembi.
Poi si era affrettato ritorno infilandosi nel mare di nebbia a mezz'aria.
E intanto il sorriso dolce di lei gli era accanto gli faceva compagnia.
Ora, nel ritorno appariva di nuovo tra le cime scure degli alberi la luna, ma non più imbronciata con quei lembi lattiginosi. Ora per magia qualcosa era successo. La regina del cielo, orgogliosa e bianca come latte di mandorla, continuava a sorridere come aveva sempre fatto, senza nuvole, nebbia, turbamenti di ogni tipo.
E anche sulla strada niente del genere delle nebbie dense e fitte oltremisura che ricordava di avere attraversato, quasi alla cieca, nella vallata su nell'Ossola. Non serviva il coltello per tagliarla a fette. Come il caffè romano del collega ragioniere di tanti anni prima.
 
Quando per raggranellare qualche soldino, per pagarsi le tasse universitarie, aveva svolto quel lavoro noioso, inutile, di cui non capiva la ragione e lo scopo.
 
Tanto più che allora lo chiamavano ragioniere, battendogli paternalisticamente le mani sulle spalle:
"vedrà, caro ragioniere, questo lavoro noioso come dice lei, finirà per piacerle, finirà per adattarcisi, l'abbiamo fatto tutti… Vede, sa, noi ci siamo adattati…
E venga allora a bersi un caffè con noi. Anche se non sarà mai come quello che si beve a Roma… Che quello, davvero, è così denso che se pò tagliallo cor cortello".
Nanni OmodeoZorini Qfwfq
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