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lunedì 12 ottobre 2020

LA SCOPERTA DELL'AMERICA... (e... dell'acqua calda..)

 LA SCOPERTA DELL'AMERICA-

E DELL'ACQUA CALDA
Ma va la’, non è vero che il 12 ottobre il genovese Colombo abbia scoperto l'America… Nessuno l'ha mai scoperta, si è scoperta da sola, quando hanno cominciato a violentarla e distruggerla appioppandole quel nome da esploratore
Gli piaceva in particolare quella tazzina. Allungata. Fin troppo snella. Addirittura un po' kitsch con quel suo aspetto di boccale bavarese di birra.
Il liquido denso era sceso giù piano piano, colmandosi in cima di schiuma densa dorata.
Sul fondo, alla base, aveva colato la dose dolcificante di miele.
Solo per qualche istante era rimasto silenzioso a pensare. Quindi aveva ripreso il suo dialogo.
Mentre il suo interlocutore silenzioso lo seguiva ogni istante, con gli occhi, con gli orecchi, dovunque lui si spostasse…
«… Ma sì… Grosso modo più di cinquant'anni fa. Come ti ho raccontato e come già sai o dovresti sapere, era stato il primo impatto… A parte altre sporadiche occasioncelle prive di significato effettivo.
L'imprinting dell'immagine femminile archetipa, era sostanzialmente mancato.
Una figura puramente decorativa, sonora, appariscente…
Ma per nulla materna.
E dopo l'attesa interminabile che terminasse, alla fin fine, lo stillicidio di quel calvario, (più di dieci anni): il colore azzurro velato di nubi; l'aria libera; le strade e i volti delle persone…
Guardate ora con occhi assolutamente nuovi. Da una prospettiva totalmente diversa.
Da restarne esterrefatto e sconvolto.
Ora finalmente era lui a guardare il mondo invece di essere guardato di sottecchi o di sfuggita.
Quell'attesa, interminabile e praticamente eterna, gli era rimasta come sogno abituale ricorrente.
Ci si era ritrovato infinite volte a contare gli istanti i minuti i giorni… e ogni volta incombeva quasi senza limite.
Oppure era lì, prossima a terminare, ma senza decidersi mai.
Le strade grigie. I volti distratti. La gente che andava da qualche parte.
Ci si era trovato quasi per caso.
Occasionali conoscenze travestite da amicizie.
Quella gita in montagna.
E quegli occhi neri che l'avevano guardato, scoperto, ammirato, accettato, sublimato…
La prima volta nella vita.
(La prima volta da dimenticare rabbiosamente con intenzione).
Ed era poi scivolata via.
Dolorosamente.
Amaramente.
In modo lancinante.
Era stato come in un gioco troppo arduo e superiore alle sue risorse.
E poi…
Altri incontri. Altre inflessioni di voce femminile. Altri sguardi. Altri corpi da sfiorare, lambire, far finta di possedere, conoscere…
Già. Quasi fosse facile, quasi fosse possibile conoscere davvero…
E infatti si era spesso ingannato.
Lasciato illudere dalle apparenze.
Altri lutti di nuovo da subire nella carne e nell'anima.
Faticosamente da tentare di elaborare.
Quasi fosse facile…
Non si era subito rassegnato.
L’aveva fatto per anni di mandare quel bouquet di roselline selvatiche in vaso.
La speranza, già allora, come ultima a morire.
Fin quando era morta del tutto.
Il desiderio.
Le fantasie. Le immagini vivide ma subito sfocate e annebbiate del ricordo.
"… Non portar via il tuo ricordo… lascialo… solo… nel mio cuore… tremore di bianco ciliegio nel martirio di gennaio…"
Poi qualche brezza nuova si era decisa a far pulizia di quella specie di ricordo stereotipo.
E aveva ricominciato a perdersi negli occhi di qualche nuova ragazza.
Coazione a ripetere.
Interminabile.
All'infinito…
Nella scatola scrigno delle vecchie foto: immagini, oggetti, fogli di carta vergati a penna stilografica verde, con parole, messaggi, epistole, versi, frammenti di racconti e di storie infinite…»
Mentre parlava, anche l'interlocutore lo scrutava e lo guardava attento.
Come lui pure stava facendo.
C'era come un intenso reciproco interesse partecipato.
Lasciata la tazzina smilza e lunga, dalle tracce azzurre bavaresi. Si era accostato al trespolo accendendo il ferro da stiro.
Lo faceva molto malvolentieri. Da sempre.
Come raccogliere dallo stendino i panni messi ad asciugare.
Malvolentieri. Ma comunque prima o poi bisognava farlo. Altrimenti, provvisoriamente, come faceva spesso quella sua ospite di cui si era qualche decennio prima liberato, cacciare tutto in fondo al ripostiglio del guardaroba. Rinviando a momenti migliori. Che spesso non arrivavano mai, oppure arrivavano troppo tardi.
Già.
Anche quella…
Che giocava a fare la gran dama, civettuola, appariscente, seduttiva…
Ma era fondamentalmente… proprio solo quello che appariva… un niente abbastanza squallido… Ma lui ci si era accontentato…
Da anni lo stillicidio delle trattative per riavere indietro da costei il proprio dovuto.
Non bisognava tenere il ferro troppo alto, e soprattutto andava continuamente rifornito d'acqua nell'apposito sportellino.
Faceva leggeri sbuffi di vapore, intriso dell'odore dello pseudo profumo del detersivo usato.
Di nuovo, ancora, cose che fanno finta di essere altre cose.
Apparenze ingannatrici.
Far finta di essere qualcos'altro e tapparsi il naso accontentandosi.
La parte più laboriosa, benché abbastanza sbrigativa e seriale: distendere i fazzoletti di stoffa, eliminando le pieguzze ai lati, poi passarci sopra con la piatta base liscia d'acciaio del ferro.
Per ripiegare fino a dare l'aspetto definitivo.
Ma comunque non smetteva di parlare…
«… E non si trattava di attribuire colpe a qualcuno o a qualcun altro.
Certo che no… La prima immagine archetipo femminile, usava un altro costume di scena, un'altra maschera. Recitava altrove. Illudendosi di essere ancora sul palcoscenico della Scala. Simulandolo a stessa e agli altri. Che stavano al gioco. Chiamandola soprano, maestra, professoressa… Qualche ingenua conoscente lecchina addirittura si rivolgeva a lei chiamandola principessa. Facendola gongolare.
Lui però la chiamava mamma…
Bon…»
Accumulati i fazzoletti ben piegati sul tavolo della sala, accanto alle camicie e ai calzoni.
Decise che era il momento di dare una regolata alla corta barba che gli ricopriva le guance e il mento.
Magari anche una accorciatina ai ciuffi troppo esuberanti dei capelli a sbuffo.
Facendolo scoperse nuove zone tricologicamente impoveritesi.
«E gli tornò in mente l'epoca di molti decenni prima quando aveva rinunciato a inseguire gli occhi neri che l'avevano ammalato oltre che ammaliato.
Era andato a fare allora delle corse folli notturne, nelle strade vuote che non conducevano in nessun posto, con la vecchia auto, 1100-103, ma carrozzata Viotti…
Anche allora non c'era una meta.
L'andare di corsa urlando senza rassegnazione era già una destinazione indefinita…
C'erano poi stati gli occhi un po' smorti, grigio azzurri, che l'avevano consolato.
Almeno per un po' di tempo.
Fin quando si era ritrovato e scoperto, nelle ore notturne, durante quel convegno residenziale che aveva organizzato, nel salone palestra della scuola che li ospitava.
Sui tappetini ginnici ruvidi e pungenti.
Con quella ragazza lunga, snella, sensuale e appassionata, che gli aveva chiesto di deflorarla perché il suo fidanzato era restio e titubante.
In quei convegni spesso era stato oggetto di lusinghe e attenzioni appassionate.
Si era abituato a tenere banco.
Recitando la parte di protagonista che con la donna dagli occhi neri lucidi di era riuscita solo a metà.
Era entrato in tante storie personali.
Da estraneo e da sconosciuto.
Invitato urgentemente ogni volta.
Desiderato, implorato, richiesto…
Ed era stato al gioco…
Cercava sempre, ogni volta, ancora, compulsivamente l'incontro femminile che gli era stato negato da sempre e forse per sempre.
Quando la sua compagna convivente del momento era fuori di casa per lavoro, sul divano nel salotto, aveva cercato di dare risposte e soddisfazione alle richieste imploranti d'affetto, di tenerezza, di sesso delle questuanti di turno.
Una volta, addirittura dall'Ossola, una sua giovane fiammella era venuta a trovarlo per chiedergli consigli professionali.
Mostrando di gradirli e di riceverli stando tutta nuda aperta e spalancata, accogliente e gustosa, nell'immenso letto matrimoniale.
Nella sua condizione dirigenziale, non aveva avuto il buon gusto di rifiutare le profferte che gli venivano. Spesso lasciando nascere storie pericolose con sue subalterne dipendenti. Una aveva addirittura lasciato il marito per venire a installarsi in casa sua.
Come serva, amante, soprattutto padrona…
E si era tante volte, troppe forse, adattato a quel ruolo che gli avevano attribuito.
Ogni volta, il cliché abituale:
"tu sei l'unico uomo che ho sempre sognato, desiderato, voluto… Finalmente ti ho incontrato… No, lui non è niente in confronto, sei tu che volevo e che voglio… Prendimi… Fai di me quello che vuoi…"
E aveva mostrato ogni volta di crederci.
Per garbo.
Gentilezza d'animo.
Disponibilità.
Altruismo affettivo sensuale ed erotico.
Qualche volta, rischiando addirittura di crederci lui stesso.…»
La ricerca dell'archetipo, si era rovesciata miseramente.
Da ricercatore, pescatore, predatore immaginario, era divenuto di volta in volta preda, oggetto divertente e piacevole.
E aveva ripetuto la sequela a non finire, del subire predazione, uso e possesso.
Compiaciuto e insieme insoddisfatto ogni volta.
Prevedendo prima, durante e dopo la sciabolata della separazione e dell'abbandono.
Il compiacimento non valeva la candela.
Appagava soltanto il narcisismo.
Lasciando subito e presto l'amaro in bocca.
Sublime, almeno così appariva, soltanto il momento dell'amplesso ripetuto all'infinito, con variazioni fantasiose. E l’acme ululato al cielo spalancato…»
In cucina aveva messo a soffriggere degli intingoli. Che emanavano il loro intenso profumo goloso.
Qualche breve attimo di sosta narrativa, regolando il timer per evitare bruciature del pranzo, poi, riprendeva a parlare…
«… Perché ognuna di costoro aveva una propria vita, andava conosciuta, studiata, accettata e capita…
Doveva ricordare i particolari delle rispettive case, le abitudini dei mariti, dei parenti, degli amici frequentati, più o meno intimi… Aveva per questo una buona memoria.
Per evitare lapsus o equivoci, attribuiva lo stesso nomignolo vezzeggiativo a tutte le sue amiche amanti…
Sicuro di non sbagliarsi mai così…
Almeno nei nomi…
Forse sbagliava l'impostazione generale. La weltanschauung del tutto. Stare a questo gioco perverso. Oggetto/conquistatore insieme. Mostrando a sé stesso di illudersi di essere un bravo pescatore con le proprie reti.
Ma come Pinocchio era lui ad essere incappato in reti estranee.
A quel tempo erano le donne, come forse anche oggi, soprattutto giovani belle e sposate, a svolgere il ruolo del coniuge insoddisfatto partner, che fa conquiste fuori casa per proprio piacimento, gusto, ludibrio, soddisfazione… Clandestinamente, certo…
Ogni volta raccontando che lui, il tapinello, ci avrebbe sofferto troppo, era un essere inferiore, modesto, meschino, ma non poteva subire un torto del genere dalla sua compagna di vita.
E ritornavano ogni volta, soddisfatte, compiaciute ed esauste, a cucinare la minestra di porri per il maritino poverello e meschinello.
Un gioco perverso: dominate in buona sostanza da un maschio squallido e insensibile, di cui avevano soggezione e rispetto, al limite del condizionamento e del plagio, andavano a cercare altrove dal talamo nuziale, un letto compiacente nel quale farsi frugare e cercare i mirtilli nell'inguine.
Un gioco al contrappasso.
E lui, il nostro, sapeva benissimo da subito, durante, e anche dopo, tutto quanto.
Lo leggeva nei comportamenti, nei gesti, nelle narrazioni e nei lapsus che le sue compagne di letto si lasciavano scappare e sfuggire.
Leggeva le loro menti con acume e scaltrezza.
Le guardava con sufficienza. Benevolenza compiaciuta. Tolleranza…
E si contentava dei bocconi che gli venivano saporosamente elargiti.
Non era una partita o una battaglia a chi vince o a chi perde.
Era solo un gioco delle parti.
Lui faceva con sè stesso la parte del donnaiolo impenitente; si lasciava definire così da loro, che continuavano a pensarlo e a vederlo e a usarlo, invece, come presa piacevole e ingenua.
"Cosa abbiamo oggi in calendario?
Ah, sì, giusto, una nuova separazione…
Un nuovo piccolo modesto e meschino lutto da elaborare.
Domani torniamo di nuovo liberi, io e te…"
Una apparente partita a tennis, che nascondeva invece un sordido, squallido, banale gioco al massacro…
E il massacro lo subiva lui. Ormai esperto a elaborare lutti, separazioni, cambiamenti…
"… Scusami, per settimana scorsa se non sono venuta, ma lui mi controlla… Mi spia il telefonino… E poi non stavo per niente bene… E poi questo, quest'altro e quest'altro ancora…"
Molti decenni prima quell'amica gliel'aveva detto:
perché non ti metti stabilmente con una sola donna, te la sposi, ci metti su casa, ci fai famiglia… Ma non ti sei ancora stancato di cambiare continuamente partner, letto, amante?
Certe volte ne era stato stanco. Stufo. Deluso…
Ma poi c'era sempre qualcuna nuova che arrivava alla carica:
parlavo l'altro giorno di te con degli amici, ho visto il tuo profilo in un social, ti pensavo da sempre e prima o poi sapevo che ti avrei incontrato… Per questo ti ho cercato… Sai? Sei tu l'uomo che cercavo… Solo tu…»
Stava ora ritto davanti allo specchio del bagno.
Uscito dalla doccia-sauna.
Compiacente, disponibile, il suo interlocutore l'aveva ascoltato sempre in silenzio. Senza mai interromperlo. I suoi occhi lo seguivano. Sorrideva quando lui sorrideva, all'unisono. Non osava, non voleva, soprattutto non poteva ribattere…
Con l'accappatoio rosso di spugna, ammirava nel lungo specchio la propria immagine riflessa. Compiacente. Disponibile. Solidale. Rassegnata anche…
Il soliloquio era quasi terminato.
Andò a sedersi nella poltrona rossa del salotto, e si accese voluttuosamente la pipa aspirando boccate azzurre.
Concludendo, convenne con se stesso, oltre che con il suo interlocutore solipsistico,
che l'America non era stata affatto scoperta del genovese…
E men che meno il 12 ottobre del 1492.
Chiedetelo ai Fenici, agli Egizi e ai Vichinghi…
Come pure la sua realtà quotidiana ed esistenziale.
Non l'aveva scoperta lui quel giorno.
L'aveva sempre saputa ma era stato al gioco con se stesso.
Le occasionali compagne di partita non l'avevano certo gabbato.
Ahahahah






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