LE
PIETON DE L'AIR- N.8
nostalgia
del futuro
Ma aveva, però, quel maledetto vizio di usare la
fantasia.
Tutto
era già previsto da provvidenziali entità superiori. Una impresa inverosimile.
Tutto calcolato al millesimo. Un miracolo l'avrebbero definito un tempo i
santoni delle varie fedi.
Eppure…
Quel
tarlo, quella farfalla magica della fantasia lo faceva correre avanti. A
prefigurare. A proiettare sullo schermo celeste quel futuro. Promesso.
Immancabile. Per quanto incredibile.
Cominciò
a guardare il tramonto sulla terra nuova. Un sole rosso incandescente
sovrastava l'orizzonte. Da un lato. Mentre dall'altro una gigantesca stella
nana rossa purpurea invadeva quel cielo verdeazzurro. L'orizzonte era poi
soltanto un modo di dire. Lontanissime catene di rilievo. Scheggiate e scoscese
da una parte. Si andavano poi degradando verso rilievi più morbidi,
arrotondati, quasi fossero immensi nudi umani distesi.
Nella
sommità del cielo una luna piccola giallastra si avvicinava ad un'altra più
grande, argentata e metallica. La stava aggirando.
Brillanti
tremavano sul tappeto di velluto. Si confuse di di nebbie galattiche sembravano
nubi e cirri terminato un temporale
LE PIETON DE l’AIR-9. exodus. Exit
Tutto doveva essere stato preparato bene.
Nelle abitazioni la parete visiva si era dilungata.
Con tutte le abituali variazioni. Messaggi pubblicitari accattivanti. Seduzione
della parola e dell'immagine. Musica, musica, musica. A bizzeffe. Suadente.
Alla maniera del Canone di Pachebel. Organo a perdifiato quasi quello delle
festività natalizie dei tempi passati.
Il
recitativo verbale passava dai toni fermi e severi. A quelli suadenti. A quelli
girati a mò di burla.
Ma lo
strumento mediale, diffusivo, a tratti ridondante, a persuadere, era
accompagnato dal media mentale neuronico. Che si insinuava compiacente come un
vento di brezza di primavera, negli spiragli mentali.
Regnava
un livello generale di stand-by. Chiunque si occupava delle cose abituali senza
perdere mai d'occhio di testa di orecchio in mente il fatto dominante. L’
exodus.
Il tempo era maturo. E si faceva vie più ogni
istante più maturo. Tutto era saturo della aspettativa.
L'integralismo
barbuto dei tagliateste.
Il
ghigno beffardo del ricco magnate dalla zattera gialla.
Gli
occhi a mandorla che stavano per premere il pulsante dei desueti missili
nucleari.
Lo
zar beveva il tè del San Novara nella sua dacia.
Sultani
e califfi avevano aperto palestre e stadi lasciando liberi gli schiavi
ideologici in mutande.
I
celoduristi nostrani.
Le
tifoserie nazi avevano abbassato il braccio teso e il sorriso becero.
Gli
orchi avevano lasciate libere mogli bambine, spose, conviventi.
Riposte
inerti le fiocine sulle baleniere.
Sospesa
l'esalazione di veleni fumosi dalle ciminiere.
Ciascuno
osservava se stesso nel proprio specchio interiore.
Sentendosi
controllato con la coda dell'occhio da ogni parte.
Una
sospensiva generale incombeva.
I
pesci nei ruscelli e nei mari cominciavano a togliere la maschera antiveleno.
Gli
orsi bianchi e le foche mutavano gli ultimi pezzi di plastica.
Preferendo
sardine e aringhe.
Spalancati
i lager per pollame e suini.
Coste
e ravanelli in salsa di soia in bandivano le tavole.
Ovini
e capretti vivevano una pasqua serena.
Sciami
di api raccoglievano bottini di polline per le loro arnie.
Chierichetti
giocavano di nuovo a saltarello lontani dalle sacrestie.
I
malati di AIDS toglievano le flebo nel braccio guardando con speranza l'azzurro
del cielo.
Gli
oncologi dimettevano pallidi pazienti sorridenti dal cranio lucido.
Tutto
il pianeta si stiracchiava garantendoci le gambe. Pronto alla propria
resurrezione.
E
tutto questo stava nell'aria, nell'etere, nel pensiero diffuso, sospeso…
Aleggiava come la speranza quando torna.
L'eccellente
catalizzatore prescelto, viveva entusiasta il proprio sogno.
I
cloni replicanti parevano fanciulle e donne umane. Iniziavano danze e girotondi
cantando nenie trascinanti e sensuali.
Lui
le guardava goloso. Le ammirava. Le desiderava. Le incontrava con gli sguardi.
E talvolta anche non solo.
Umani,
di tutti i sessi, respiravano tranquilli.
Nei
gerontocomi nascevano nuove storie d'amore.
Nelle
aule di ogni grado tutti gli alunni erano i primi della classe. Amici e …
[13:35,
6/1/2018] +39 346 221 1457: LE PIETON DE l’AIR-9. exodus. Exit
Tutto doveva essere stato preparato bene.
Nelle abitazioni la parete visiva si era dilungata.
Con tutte le abituali variazioni. Messaggi pubblicitari accattivanti. Seduzione
della parola e dell'immagine. Musica, musica, musica. A bizzeffe. Suadente.
Alla maniera del Canone di Pachebel. Organo a perdifiato quasi quello delle
festività natalizie dei tempi passati.
Il
recitativo verbale passava dai toni fermi e severi. A quelli suadenti. A quelli
girati a mò di burla.
Ma lo
strumento mediale, diffusivo, a tratti ridondante, a persuadere, era
accompagnato dal media mentale neuronico. Che si insinuava compiacente come un
vento di brezza di primavera, negli spiragli mentali.
Regnava
un livello generale di stand-by. Chiunque si occupava delle cose abituali senza
perdere mai d'occhio di testa di orecchio in mente il fatto dominante. L’
exodus.
Il tempo era maturo. E si faceva vie più ogni
istante più maturo. Tutto era saturo della aspettativa.
L'integralismo
barbuto dei tagliateste.
Il
ghigno beffardo del ricco magnate dalla zattera gialla.
Gli
occhi a mandorla che stavano per premere il pulsante dei desueti missili
nucleari.
Lo
zar beveva il tè del San Novara nella sua dacia.
Sultani
e califfi avevano aperto palestre e stadi lasciando liberi gli schiavi
ideologici in mutande.
I
celoduristi nostrani.
Le
tifoserie nazi avevano abbassato il braccio teso e il sorriso becero.
Gli
orchi avevano lasciate libere mogli bambine, spose, conviventi.
Riposte
inerti le fiocine sulle baleniere.
Sospesa
l'esalazione di veleni fumosi dalle ciminiere.
Ciascuno
osservava se stesso nel proprio specchio interiore.
Sentendosi
controllato con la coda dell'occhio da ogni parte.
Una
sospensiva generale incombeva.
I
pesci nei ruscelli e nei mari cominciavano a togliere la maschera antiveleno.
Gli
orsi bianchi e le foche vomitavano gli ultimi pezzi di plastica.
Preferendo
sardine e aringhe.
Spalancati
i lager per pollame e suini.
Gli
occhi azzurri dei lupi cercavano merende raggiungibili per la selezione
naturale.
Coste
e ravanelli in salsa di soia imbandivano le tavole.
Ovini
e capretti vivevano una pasqua serena.
Sciami
di api raccoglievano bottini di polline per le loro arnie. E ronzavano
sorridenti.
Chierichetti
giocavano di nuovo a saltarello lontani dalle sacrestie.
I
malati di AIDS toglievano le flebo dal braccio guardando con speranza l'azzurro
del cielo.
Gli
oncologi dimettevano pallidi pazienti sorridenti dal cranio lucido.
Tutto
il pianeta si stiracchiava sgranchendosi le gambe. Pronto alla propria
resurrezione.
E
tutto questo stava nell'aria, nell'etere, nel pensiero diffuso, sospeso…
Aleggiava come la speranza quando torna.
L'eccellente
catalizzatore prescelto, viveva entusiasta il proprio sogno.
I
cloni replicanti parevano ed erano fanciulle e donne umane. Iniziavano danze e
girotondi cantando nenie trascinanti e sensuali.
Lui
le guardava goloso.
Le
ammirava.
Le
desiderava.
Le incontrava
con gli sguardi. E talvolta anche non solo.
Umani,
di tutti i sessi, respiravano tranquilli.
Nei
gerontocomi nascevano nuove storie d'amore.
Nelle
aule di ogni grado tutti gli alunni erano i primi della classe. Amici e sodali.
Golosi di conoscenza, di relazione, di affetto.
Lui
sentiva e ammirava dentro di sé tutto questo. E solo a tratti era colto dal
dubbio che fosse solo un bellissimo
sogno. Una specie di incubo positivo radioso e piacevole.
Ed
era in dubbio anche con se stesso e sulla propria capacità di percepire.
Quante
volte già gli era capitato nella sua lunghissima vita di provare stati d'animo
del genere!
Di
borbottare dentro di sé che forse quel momento piacevole, bellissimo,
fantastico, incredibile poteva benissimo anche non essere mai esistito.
Apparirgli e basta. Essere una gradevole e sana allucinazione.
Quali
e quanti amori lo avevano turbato facendogli sorgere il dubbio.
Quante
volte gli era toccato risvegliarsi da sogni, cercando di afferrare nel vuoto le
mosche di quella fantasia gradevole. Con le dita che stringevano l'aria.
E qui
ora il sogno era ancora più incredibile. Improbabile. Eppure con radici salde,
robuste, piantate nella dimensione dello spazio tempo.
Il
tempo continuava a far scendere granelli impalpabili nella clessidra
dell'esistenza.
Si
prese ancora un attimo di tempo. Mandò in circolo una dose di endorfine di
speranza benessere e felicità.
E si
concesse il piacere di giacere nella penombra con l'ultima clone replicante.
Con il suo corpo. Con la sua voce. Con la sua anima di donna.
LE
PIETON DE l’AIR-10. terra promessa
Tutto sembrava ora assestarsi e sistemarsi.
L'immensa
moltitudine di viventi, anime, pensieri, infanzie, nostalgie, lutti,
separazioni e perdite, stava da sola sistemandosi quasi automaticamente. Finché
avrebbe retto quella pulsione galattica che durava l'evento.
Nessuno
aveva dimenticato le chiavi di casa, il gatto, la lettura prediletta serale.
Le
nuove abitazioni autogeneratesi rendevano inutili serrature e chiavi.
Le
galline razzolavano libere e felici.
I
maiali grufolavano nel fango già dimentichi delle gabbie feroci di costrizione.
Mandrie
di emù si apprestavano ad attraversare le nuove savane sconosciute.
Verso
i guadi.
Dove
i coccodrilli si sarebbero saziati soltanto degli animali più inutili e
invalidi.
Un
falco pellegrino roteava studiando le sue prede.
Negli
animali la ferocia vera non era mai esistita per davvero.
Sembrava
che anche gli umani, per il momento almeno, avessero accantonato il gusto di
conquista, latrocinio, devastazione, e morte.
La
morte annotava sul suo taccuino i prossimi impegni. Mesta . Rassegnata al suo
ruolo.
La
ruota cominciava a girare. Calma. Lenta. Senza intoppi.
Nelle
coppie umane, non si riusciva più a litigare come una volta. E il tradimento
era una soluzione in extremis, un atto dovuto, completamente meritata da
partner insulsi e inadeguati.
I
bambini giocavano a girotondo. I disabili a turno venivano aiutati o portati in
groppa dagli altri. La terra nuova con i suoi colori e odori diversi, stava
studiando e programmando il suo ruolo di terra promessa.
Candide
redivivo abitava nelle anime dei più. Utòpia prendeva le misure per durare più
a lungo possibile.
Negli
opifici la retribuzione era identica per tutti, indipendentemente dal genere e
dal ruolo. I dirigenti alla mensa si mettevano in coda con gli altri scambiando
battute scherzose.
Le
classi scolastiche sceglievano il buon tempo per studiare la natura nuova, all’aria
aperta, ripassando come una leggenda nefasta la storia terrestre.
I
maestri e gli insegnanti tutti si accanivano laboriosamente per studiare le
migliori soluzioni di apprendimento, di vita, di relazione, di serenità.
Fanciulle
e donne nubili giocavano a dama e cavalieri per cercare il partner ideale.
Il
senso di colpa e la vergogna erano banditi, in quanto inutili, sciocchi,
dannosi.
Gli
anziani abbellivano di fiori di carta i loro ospizi per conferenze in cui
raccontare tutta la loro vita.
Il
freddo pungente, timoroso e pudico, si scusava per il disagio arrecato.
Il
caldo dei soli faceva maturare i frutti e le verdure.
Il
sudore veniva tollerato come male minore.
I
popoli stavano inventando modalità di autogestione.
Chi
veniva eletto diventava il servitore pubblico, senza potere di prevaricare, la
rotazione avveniva di frequente perché era troppo fastidioso e faticoso essere
rappresentanti del popolo.
I
fidanzati di qualsiasi genere o età si attardavano, terminate le occupazioni
quotidiane, e spesso si tenevano per mano, baciandosi dietro i cespugli e gli
arbusti.
Regalare
amore era il dono prediletto e preferito. Dava piacere a chi dava e a chi
riceveva. Come d'altronde in ogni dono
che sia davvero tale.
Il
consenso e il dissenso sociale sostituivano regole e divieti.
La
vergogna e il ludibrio sostituivano carceri e lavori forzati.
Le
parole venivano pronunciate leggere e lievi come farfalle.
I
pensieri volavano ancora più veloci e raggiungevano destinatari e uditori
dovunque.
Nei
luoghi di cura prestavano servizio fuori orario suonatore di jazz, di
clavicembalo, di viola da gamba… e clown emangiatori di fuoco… fatuo.
Lui
si guardava sempre intorno perplesso. Compiaciuto. Titubante.
I
pensieri suoi, degli altri viventi umani, e quelli ancora più semplici degli
animali inferiori, erano un linguaggio privilegiato.
I
vegetali e le piante osavano mormorare silenziosi i loro parlari muti e densi
di significati.
La
nostalgia lasciava il posto a un ricordo pacato. In equilibrio sulla linea del
tempo. Ciascuno ricordava. I ricordi erano libellule leggere. Quelli più brevi
e pesanti finivano per sdrucciolare al suolo. Mescolandosi alla sabbia e ai
sassi del terreno.
Lui
ripensava con tenerezza estrema quel volto, quel corpo, quello sguardo, quella
voce, quel profumo di donna… Il cuore piano gli tremava. Nostalgia, o piuttosto
saudade, più morbida, vellutata, garbata e gentile.
Solo
i cloni qualche volta ancora l'avevano chiamato eccellenza.
Lui
conversava. Andava a visitare gli alloggi. Le famiglie. I luoghi di lavoro.
La
traduzione simultanea gli aveva permesso di girare tutto il nuovo globo.
Conoscere
i nuovi volti. Sentire racconti di vita.
Ed
era stato proprio visitando una terra dell'est, dietro le alture dalle forme
umane color ocra, che l'aveva scorta tra la folla. Stava raccogliendo delle
drupe simili alle amarene. E le poneva in un cesto che teneva sotto il braccio.
La riconobbe dal riso squillante.
Il
cuore nel petto si mise a battere intensamente, piacevolmente.
Tu
Tum tu tum. Sembrava che stesse giocando.
Non
più extrasistole o fibrillazione atriale. Un battito caldo. Di vita.
Come
già in passato era avvenuto, fu lei a scorgerlo. Gli occhi lampeggiarono
luminosi.
Lasciò
il cesto a terra, sorrise e salutò la compagnia con la quale stava raccogliendo
frutti.
Lui
la sentì mormorare: «non so se torno presto però ci vediamo…»
Un
mormorio piacevole e ridente assentì e le fece coro.
Il
tempo dell'esodo aveva tenuto tutto in sospeso.
Ora,
nella terra promessa, avuta in regalo, tutto poteva riprendere a pulsare. A
rivivere.
Gli
si avvicinò. Guardandolo sempre negli occhi.
E
senza pudore alcuno allungò la sua bocca e le sue labbra a baciarlo.
Intensamente.
A fondo.
Quel
bacio aveva un sapore antico. Remoto e insieme nuovo. Come i racconti alla sera
intorno al fuoco e ai falò. Anche l'aria intorno rimase in sur place. I falchi,
le colombe, le api, le farfalle e le libellule rimasero sospese a mezz'aria
come tanti colibrì.
Quel
bacio gli fece riscoprire la dolcezza profonda, sensuale, assoluta che una
ragazza o una donna vera ha rispetto a una pur deliziosa mutante femmina.
In
quel nuovo eden ritrovò l'entusiasmo della giovinezza che credeva di avere
lasciato di là, in quell'altra terra malata.
«Sì,
tu sei sempre stato senza età…» Gli diceva ancora lei, incurante che lui avesse
ormai maturato 213 anni anagrafici.
Tenendo
in bocca il gusto vellutato e fragrante di quel bacio, le cinse la vita, e
lentamente mossero i passi per qualsiasi altro luogo.
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