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giovedì 18 ottobre 2018

Martedì 12 MARZO-




Martedì 12 MARZO-
-Ma che occhiaie…! Hai fatto davvero bene a staccare oggi... Una pausa di evasione te la meriti… Un giorno di ferie... Ne hai talmente poche, che diventano ancora più preziose.
Ieri sera eri davvero cotta. Neppure tolto tutto il trucco…
Di là arriva odore di caffè. Magari una tazzina di corsa.
-Metto questo? Ma no, dai, meglio questa roba qui. Mi sembra che fosse piaciuta tanto. Abbastanza, almeno.
Prendo subito il controviale. Poi al primo semaforo a destra. A quest'ora il trambusto di auto che portano a scuola è appena terminato. Ma sì, prendila pure con calma. Non  c'è fretta. Allo stop vado avanti qualche centinaio di metri. Il parcheggio è sempre abbastanza libero. Di qua o di là un posto lo trovo.
-Io vado…! Buona giornata…
-Anche a te. Sì. Anche a te…
Devo tirare fuori dalla borsa di ieri tutte le cose più importanti. Portafogli. Le chiavi… Quelle dell'auto sono qui. Quelle di casa… Altrimenti come faccio a chiudere? E poi a rientrare, naturalmente…
Vai tranquilla. Calma. Oggi sei in ferie, no? Martedì 12 marzo. Il civico 67.
Intanto finisci di truccarti. Il doppio ascensore è comodo. Uno l'avranno appena chiamato al settimo piano. Ma questo qui è libero e sta arrivando.
Si accende subito.
È sempre un ascensore da corsa come lo chiamo io. E anche lui a volte. Solo oggi sembra attardarsi. Pigro. Lazzarone. Mascalzone. Provocatorio. Sembra volermi fare un dispetto. Ma alla fine non può che arrivare. E arriva. Infatti. Ci salgo.
E' meglio che finisci con un po' di fard qua e là.
Gli occhi meritano molta attenzione.
Le borse e il gonfiore le ho già nascoste abbastanza bene.
Ho tutto? Un'ultima occhiata veloce per la casa. Sembra tutto a posto.
Andiamo ragazza. Sì, siamo pronte. Ma non c'è fretta.
Anche se dentro c'è un battito accelerato, aritmico, che forse la pensa diversamente.
Clic. Il telecomando mormorando fa alzare la saracinesca. E sono in strada.
A ritirare il piumone ci posso benissimo passare domani.
Al citofono  potrò aspettare qualche secondo. Poi vedrò sul piccolo schermo azzurro comparire il sorriso. Solo un piccolo batticuore. Accelerato. Che riesco a smorzare. «Sto salendo…»
Ma andiamo piano. Una cosa alla volta. Ora penso a guidare.
Ma questo qui davanti ha deciso se andare a destra o a sinistra?
Stai tranquilla. La lancetta dei minuti sul cellulare, mi tranquillizza. Perché andare in ansia ogni volta? Non sono mai arrivata in ritardo. E anche adesso. Naturalmente. E poi…
I soliti gesti abituali. Che rimangono sospesi in stand-by. Tergiversano. Intrattengono. Predispongono. Introducono. E poi…
«Eccomi»
Rimetto le chiavi dell'auto nella borsa.
«Questo specchio immenso anche lui oleopneumatico, che mi rimanda un'immagine che assomiglia molto a me. Ma che non so riconoscere. Estranea. Famigliare anche.
Ma chi cazzo è questa qui? E dove sta andando? Anche lei?
Io e lei siamo me.
Lei vista dall'esterno, estranea. Sicura di sé. Nasconde bene il suo batticuore frenato. Io non ci riesco. Ma questo lo so solo io.»
«Eccoti. E allora buongiorno. Ben arrivata. Ben attesa.»
Oppure  anche qualche variante secondo il suo cliché abituale…
Ma l'ascensore è fermo al quarto. Ho già schiacciato più volte il pulsante. Ma rimane lì.
Qualcuno sale, oppure scende. Dai, muoversi… Salite. Scendete. Ma datevi una mossa.
Il led dice che ora è ripartito per il quinto piano.
Sembra che lo faccia apposta.
Appena si decide ad arrivare, voglio vedere la mia immagine nello specchio. Studiare il mio sguardo. Ripasso gli sguardi che mi riconosco. Niente di troppo sbilanciato. Meglio lasciare la sorpresa. Uno sguardo così. A mezz'aria. Che dice e non dice. Che c'è ma non si sbilancia. Aspetta di essere decifrato e indovinato fin in fondo.
Oppure è meglio uno sguardo aperto spalancato in un sorriso? Le labbra leggermente socchiuse in un saluto. La borsetta al braccio.
Poi, avvicinarsi alla porta. Interno 17. Lo spioncino immobile e muto. Mi starà guardando?
Come vengo vista? Come prima nella fotografia mia nello specchio?
Quella che mi ero immaginata e prefigurata? Oppure quella che avevo vista per davvero mentre salivo?
Ho preso un giorno di ferie. Tutto normale. Mi gusto il mio aperitivo di esistenza. Dove  so io. Me lo merito. Lo voglio.
Ma lo voglio proprio davvero? Non sto facendo una cavolata come altre volte?
A quest'ora potevo già essere là. Dopo i "ciao-ciao" delle solite figure che vedo tutti i giorni al lavoro. Già seduta al tavolo. A tirarmi davanti agli occhi quel l'ultima cosa, in quelle carte che avevo lasciato in sospeso ieri.
E invece sono qui. Mi sento sospesa. Pronta per quel che ricordo e che aspetto. Abituale e inusitato. Desiderato e insieme temuto. Meglio ripensarci? Prima che sia troppo tardi?
Ma che cazzo vai pensando. L'hai progettato. Voluto. Previsto. Eccoti.
Il semaforo finalmente si è deciso. Giro di qua. Là in fondo c'è un posto. Niente zona disco. Niente ticket. Lo sapevo già. Me lo ricordavo, infatti.
Ci infilo l'auto. Il dlin-dlin dei sensori mentre parcheggio. Spengo il quadro. Tolgo le chiavi. La portiera si chiude sbattendo col solito rumore. Ammortizzato.
Guardo il condominio. Un aspetto abbastanza abituale. Noto. E insieme completamente estraneo e straniero.
Il civico 67 è lì pronto ad aspettarmi. Ad aspettare proprio me.
"Buongiorno signor civico 67. Sono arrivata. Come vede."
Mentre cammino mi sento abbastanza, forse un po' troppo, sollevata in alto sui miei tacchi a pianta larga. Ondeggio. Mi sento flessuosa. Attraente. E insieme imbarazzata e troppo vistosa. Rallento l'onda del mio corpo, che sta navigando nello spazio e nel tempo.
Trovo subito in basso, il terz'ultimo sinistra, quel pulsante.
Con quel nome.
Che so io.
Il cancelletto d'ingresso è già socchiuso e accostato.
Faccio una mezza sorpresa. Mi infilo dentro nell'androne. Un altro ascensore. Esattamente identico a quello che avevo pensato mentre guidavo arrivando qui.
Mi viene incontro. Seleziono il piano.
Sale morbido, più delicato e calmo di quanto sia il mio fiato e il mio battito cardiaco.
Più rallentato di come nelle era immaginato poco fa.
La porta, quella in fondo al corridoio buio. Non accendo la luce a tempo. Preferisco arrivare nel buio della penombra.
Una forma di pudore. Di riserbo. Di mistero. Di clandestinità.
La minuscola targa luminosa dice quel nome. Aspetto alcuni secondi. Poi la premo.
Leggero ronzio interno. Ovattato.
Il tempo e il battito rimangono sospesi qualche istante.
Che si prolunga. Ancora. E ancora e ancora e ancora…
Come mai?
Una telefonata imprevista?
Ho lasciato passare abbastanza tempo. Saranno già alcuni minuti. E non succede niente. Premo di nuovo il pulsante. Di nuovo il ronzio ovattato all'interno. Sornione. Apparentemente estraneo.
Il cuore accelera.
Ma che cazzo succede?
Estraggo dalla borsetta il cellulare. Quello col quale ci scambiamo i messaggi in chat. Da cancellare subito. Non si sa mai…
Lo schermo si illumina subito. La simulazione di orologio con la lancetta che gira a piccoli scatti rallentati. "Martedì 10 marzo…"
«Ma, CAZZO CAZZO CAZZO CAZZO! Che oca! Erano giorni che me lo rimuginava in testa. E continuavo a ripetermi MARTEDÌ 12 MARZO… Un atto mancato? La frenesia mentale di avvicinare il tempo di questo momento? E ho finito per arrivare due giorni prima. E ho anche chiesto un giorno di ferie!»
La porta naturalmente non si apre. Certo, il giorno è sbagliato.
I tacchi alti e massicci ora risuonano sull’ impiantito. Clamorosamente. Addirittura assordanti. Quasi a sfottere. Cerco di muovere i passi in modo più prudente. Ma quelli continuano a risuonare nell'aria con scherno. Per il mio scorno.
Il cuore ha cambiato ritmo. Ora batte sordo, basso, incazzato.
Ritorno all'auto, che è ancora là che mi aspetta. Mi ci infilo. Delusa. Devo avvisare al lavoro.
«Sì, ciao, sono io… Avevo chiesto ferie per oggi vero? Come? Non per oggi? Per dopodomani? Per giovedì 12 marzo… Ah già, è vero... Arrivò subito… Recupero la mezz'ora oggi pomeriggio quando esco»
Devo cercare di rimediare. Voglio farmi un regalino consolatorio. Un ripiego. Un cerotto.
Comincio con un messaggio whatsapp.
«Ciao. Oggi non avevo voglia di fare le solite cose. Che ne dici se nel tardo pomeriggio ci si vede? Mi sono regalata un giorno di ferie. Sbrigo cose ma sono libera se ti va per cena e anche dopo… Se non ti scoccia e se non ti disturba la improvvisata… Ti piace questa sorpresa? Ahahah … Se mi dai l'ok ti chiamo subito…»
Mi sento una stronza.
Mi ero già prefigurata tutto quanto. Particolari compresi. Odori. Suoni. Atmosfere.
E ora vado a ripescare un incontro di riserva. Chissà quante volte anche gli altri lo avranno fatto con me. Farmi credere che mi stavano regalando una sorpresa. Quando magari qualche progetto gli era andato buco. Quel che conta è il risultato. Che ancora deve arrivare. Almeno questo di ripiego sì… Cazzo cazzo cazzo…
Non mi capitava da tempo di fare una cappella così grande. Con me stessa.
Ma ora: cosa fatta capo ha.
Blip. Sta arrivando un messaggio whatsapp. Lo lascio fermentare un secondo.
Infine mi decido. E lo apro.  Ottimo.
Compongo il numero di telefono…

Al civico 67 lo spioncino ora è stato abbassato.
Qualche istante di imbarazzo. Sorpresa. Self-control. Poi i passi coi tacchi rumorosi risuonano nel corridoio verso l'ascensore. Scampato pericolo.
«Ma cosa le è successo? Una sorpresa? Un equivoco? Un sospetto? Mi stava venendo a controllare? Ma no, dai, non diciamo cazzate… Mi discosto dalla porta. Perché di là sento quella voce che ancora ripete: "ma allora…? Me la vuoi portare quest'acqua tonica? Sei andato giù al bar a ordinarla? Oppure per aver a più fresca sei andato a prenderne una in Norvegia?ahahahah… "
L'avevo già appoggiata sul piano cucina, nel bicchiere imperlato…»
-Ecco qui una bella acqua tonica fresca, con una fettina di limone… Pronti…!
Appena arrivata dalla Norway Airlines… Più fresca di così…!-
«Ma no. Macchè sospetto. Macchè controllo. Anche lei è come me. Mica siamo gelosi. E le cose vanno avanti così. Lei di là nella sua vita. Io di qua nella mia. Ci regaliamo qualche 12 marzo. Ce lo pregustiamo. E magari prima o poi arriva davvero. Il 12 marzo. Il 4 settembre. L'8 agosto…
I giorni arrivano; prima o poi. Come arrivano le stagioni. Come arriva il bel tempo e la pioggia. Come arriva l'influenza. Come arriva il sole al mattino.
Finché l'orologio del tempo non si inceppa. Finché i giorni non inciampano nei macigni sulla strada.
Reggo in mano il bicchiere che si sta ricoprendo di goccioline e di vapore. E mi sta congelando le dita. Un'acqua tonica ha sempre un'acqua tonica, no?»
Però, confesso che non riesco a capire. Gelosa, lei, proprio no. Non avrebbe senso. Non solo perché me l'ha sempre affermato e sostenuto. Ma più che altro dimostrato. Io sono di qua. Lei e al di là.
Ciascuna delle due vite con il proprio habitat. Il proprio humus esistenziale. Col proprio passato. I propri ricordi. Le proprie infanzie. I propri gesti abituali. La propria intimità, intima solo per ciascuno di noi. Assoluta estraneità per gli altri. Per chiunque altro.
Bellezza e fascino della reciproca diversità. Un fascino attraente, accattivante e insieme spaventosamente terrificante.
Lei è se stessa. Si avvicina a me quel tanto per poterla scrutare. Curiosare le l'aspetto esteriore. Frugarle per quanto è possibile nell'anima. Ma nulla più.
E io? Come sono io per lei? Estraneo, sconosciuto, attraente, oppure anch'io spaventosamente terrificante nella mia diversità da lei?
L'acqua tonica, di una marca diversa dal solito, è anche lei molto estranea.
Come chi la beve. Come chi la trova ora un po' troppo frizzante. Aspra. Amara sul fondo.
Con quel vago sapore di aromi sconosciuti. Inconoscibili.
Forse perché provengono dalla terra di Norvegia… Ahahahahahah…
Ma cosa era venuta a fare?
Un po' come un treno che si avvicina ad una stazione per la coincidenza.
Là proprio dove la coincidenza in quel momento non c'è e non ci sarà.
Spostata e differita su un'altra sintonia.
Incroci di attimi, di tempi, di momenti, di contatti, di ipotesi mentali.
Incroci disattesi.
Impossibilità probabile di incontri completi totali definitivi.
Occasionali sfiorarsi. Previsti. Programmati. Differiti. Procrastinati.
Improbabili o forse impossibili.
Io e te, io e chiunque, tue chiunque, sempre e per sempre mondi separati in galassie lontanissime.
Tranne che nel sogno e nel desiderio. In certi momenti magici. Molto magici. Forse fin troppo magici e fatati. Ma anche la magia e la fiaba sono reali.
E forse sono reali anche i contatti.
Forse almeno qualche volta avvengono davvero. Forse qualche volta si dilatano all'infinito.
Forse. Però sarebbe bello.

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