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sabato 23 luglio 2022

CHINOTTO, TAMARINDO, SPUMA…
Sciagure vere e proprie, consistenti, pareva non ce ne fossero ancora a quel tempo. Perché si viaggiava sospesi, e quella risultava l’unica condizione, perché era quella reale, oggettiva quotidiana. Silenzioso come un ladro il cataclisma era avvenuto qualche anno addietro. Il vuoto irreparabile portava su se stessa le stigmate. Poi, appena dopo, era iniziata quella dimensione definitiva.
Anche in colonia a Druogno, si doveva sempre camminare tutti in fila. Ma era un’altra cosa. L’abbigliamento era diverso. Una specie di divisa di identificazione, col maglioncino uguale per tutti. Ma non così lugubre come prima.
Una parziale autonomia che riusciva quasi ad apparire libertà e autogestione.
Si potevano avere oggetti personali, e portare con sé, limitatamente alle disponibilità personali, soldi. Addirittura un vecchio orologio da polso, brutto a vedere, ma che segnava le ore. Non avvenivano perquisizioni fisiche e corporali: chi voleva poteva per quanto bambino o ragazzino, tenere in saccoccia delle sigarette e dei fiammiferi. Gli zolfanelli si diceva allora. I tubicini bianchi nelle tasche di tela finivano spesso per fare rendere il tabacco che andava a colmare il fondo della tasca. Si poteva recuperarlo, e con qualche sistema rinfilarlo a fatica nel tubicino. Rimpinguando la sigaretta, magari frammisto a briciolo di qualcos’altro.
Quando volevi fumare dovere aspettare i momenti propizi. E ce ne erano molti a disposizione in cui non stavi in gruppo con gli altri. Non eri perseguitato ossessivamente da occhi di controllo.
I bambini e ragazzi con lo stesso maglioncino uscivano tutti formando una lunga fila un po’ disordinata. A volte era quasi materna, o addirittura sorella maggiore, la signorina che curava il gruppo. La destinazione della camminata passeggiata non era un segreto o un’imposizione. L’adulta democraticamente la proponeva, ed era addirittura disposta ad accettare proposte di varianti.
Nei percorsi abituali di frequente si passava accanto ai luoghi magici: potevi entrare un momento a comprare qualcosa da bere, delle caramelle, delle liquerizie, e anche, di nascosto però, delle sigarette e i loro complementari zolfanelli.
Insomma una pacchia!
Allora, primi anni del dopoguerra, non erano ancora comparse le bibite americane; coca-cola per prima.
Delle bottigliette di una bibita autoctona, con qualche variante. Il chinotto… Il tamarindo… La spuma…
Gli era tornato in mente proprio quella mattina, andando con la moto nei negozi/magazzini dei prodotti esotici per immigrati. Era alla ricerca dei noedless. Quegli spaghetti cicciottelli e corposi, originariamente fatti a mano.
Li vedeva spesso nei film del lontano oriente: cinesi, giapponesi, coreani, vietnamiti…
Venivano pescati in una tazza di brodo denso con verdure galleggianti, da mani sapienti che maneggiavano le bacchette/posate.
Quel brodo aveva alla base la pasta di miso. Residuo polposo della fermentazione con acqua e sale sui piccoli portentosi fagioli della soia. Oppure del riso. Una variante del dado vegetale o di carne di cui era stato ghiotto.
Salato, con un leggero aroma sconosciuto nel fondo. E anche richiami e riflessi dolciastri.
In un grande supermercato cittadino non gli era stato dato di trovare il miso; neppure nella postazione che voleva vendere sushi, sashimi e altri cibi asiatici.
Neppure in molti negozi da migranti.
In compenso, in uno di questi aveva rinvenuto in confezioni di plastica appiccicose e mollicce, un impasto marmellatoso di frutti di tamarindo.
E gli era risuonato in mente quell’accenno nel verso della poesia canzone di Paolo Conte. “Gustando un’acqua al tamarindo”.
Ma il tamarindo non era venuto da solo: distrattamente, senza forse neanche volerlo o saperlo, era arrivato portandosi per mano un’altra bevanda; rabarbaro!
Aveva imparato a riconoscere i cespuglietti erbosi nell’orto giardino, su a Casale Corte Cerro. In quella vacanza di qualche settimana nella casa di quei suoi amici che avevano ereditato da una lontana zia o parente.
Ecco…!
Succhiando la polpa aromatica e piacevolmente aspra del tamarindo, era venuto da molti decenni indietro nel tempo anche in forma di rabarbaro. Che lui lo accostava a quello.
E lo accostava anche al verso della poesia cantata dell’avvocato di Asti.
E i rimandi erano a catena. Succhiava la marmellata di tamarindo, come aveva succhiato e gustato le bacchette nere o i legnetti di liquerizia. Inzuppandoli di saliva per ricavarne più piacere e più gusto possibile. Quand’era bambino…
Erano abbastanza bui quei negozi della migrazione. Lunghi scaffali ricolmi di cibi inusitati, strani, in parte esotici e in parte per lui bizzarri.
Molti decenni addietro aveva acquistato delle sagome scheletriche secche di pesci seccati al sole e perciò liofilizzati. Fino a quando l’intenso odore di pesce l’aveva costretto a liberarsene.
Una cappa di calura avvolgeva ora e inzuppava come un sacco a pelo la sua amara e modesta cittadina di rane e zanzare.
I ghiacciai, uno dopo l’altro, sulle cime delle montagne si stavano sciogliendo…
Le risaie si stavano prosciugando e seccando.
Ancora per un po’ di tempo non sarebbero arrivate le piogge torrenziali, attese, necessarie, ma nefaste e nefande per il suo terrazzo che un tempo era stato un giardino. Il “lastrico solare”. Che solo lo sprovveduto addetto alla amministrazione condominiale ignorava a chi competesse la manutenzione nel caso di perdite sugli alloggi sottostanti.
Quello che era stato il suo giardinetto pensile, con il salice piangente, gli alberelli di ciliegie ferrovia e vignola, il limone, l’alloro, il ribes, l’uva spina… Si era dileguato.
Quando ci dava un’occhiata, su in mansarda, vedeva soltanto un modesto terrazzo cortiletto totalmente vuoto. Sul quale aveva infierito un improvvisato artigiano che non sapeva affatto fare lavori di impermeabilizzazione.
E in quel vuoto desolato e desolante aleggiava il sorriso sprezzante di chi gli aveva detto di arrangiarsi lui da solo a rimediare; che il resto del condominio non c’entrava; lui ignorava le norme…
Si accorse, riflettendo, che sempre più gente indebitamente ricopre incarichi importanti per conservare l’ambiente, le cose e le case, i paesi, i territori, gli ambienti, il clima, la tranquillità e la pace della gente.
Aveva riposto il barattolo del miso, i noedless, il piccolo involto appiccicoso di marmellata di tamarindo…
Una leggera quasi impercettibile brezza fresca arrivava fino alla sua poltrona dallo split del condizionatore arrampicato in alto quasi verso il soffitto.
Ritirò suoi pensieri, i suoi ricordi, il chinotto, la spuma, il tamarindo è anche il rabarbaro.
Riaprì spalancandoli gli occhi interiori.
Verso nuove narrazioni da scrivere, da ascoltare in voce nel repertorio Rai Web, da gustare nelle antologie di film in streaming…
Aveva scartato ormai uno dopo l’altro quasi tutti i prodotti scadenti in cui si era imbattuto. Più faticosi da seguire e da gustare: nonostante il sonoro in lingua esotica e straniero, leggendo di volta in volta le traduzioni dei sottotitoli, aveva trovato dei gioielli e se li andava gustando, succhiando come bacchette di liquerizia o come bocconi di tamarindo…
Nanni Omodeo Zorini
Margherita Palladino
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