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martedì 17 maggio 2016

L’AMORE DELLE TRE MELAGRANE -.10. ESSERI UMANI E LAGER

L’AMORE DELLE TRE MELAGRANE -.10. ESSERI UMANI E LAGER
(narrazione regalata per la lettura; rintracciabile sul blognanniomodeozorini.blogspot.com
, è possibile leggere, scaricare, NON COMMERCIALIZZARE, riprodurre Identica citando l'autore; " Creative Common")

Il fiume logorroico era diventato inarrestabile. Qualche pausa abbastanza lunga per volare nell'etere dei sensi. Per ubriacarsi d'amore. A stento tenendo a freno la voglia di dire e di parlare anche lì.
Oppure per fare uno spuntino che lui preparava nella cucina al lume di molte candele.
Poi tornavano sul divano rosso. Lei gli appoggiava le gambe oppure la testa sul petto e sul grembo. E con uno sguardo complice e molto gentile e garbato lo invitava a raccontare…
"Beh, sì, ma oltre agli episodi di brutalità dei nostri carcerieri aguzzini assistenti, ne ho in mente anche alcuni molto teneri. Ricchi di umanità. Che già allora mi facevano tremare il cuore.
Quell'attività di nostri guardiani era naturalmente poco ricercata è assolutamente sottopagata. Venivano i più disperati. Uno studente polacco di origine italiana profondamente alcolizzato sadico e con l'anima nazista. Un imbecille cacciato dal seminario dopo essere stato ripetutamente bocciato perché troppo ignorante. E poi, alla fine, la moglie del rettore notabile in via di beneficenza, aveva fatto venire degli ex carcerati, che sceglieva talvolta in modo abbastanza fortunato, tra gli ospiti di una casa di accoglienza dove venivano accolti.
Ne ricordo soprattutto due.
Era un uomo alto di bell'aspetto. Il volto era leggermente deformato e avevo un occhio molto fisso forse artificiale.
Ci aveva poi raccontato che proveniva da una famiglia molto benestante. Aveva avuto per sua colpa un incidente terribile in auto nel quale forse erano morti tutti. Lui si era salvato molto a fatica ed era stato rimesso in sesto un po' come un uomo bionico, dopo aver subito per anni interventi chirurgici che gli avevano deformato la struttura del corpo e soprattutto quella del volto.
Era molto simpatico. Sapeva ridere molto bene. E ci raccontava storie deliziose. Anche se forse non era un maestro ideale. Ma a noi piaceva.
Ci intratteneva quando stavamo nello studio per ore tra un'ora di ricreazione l'altra con la sua narrazione dall'accento milanese.
Era un suo modo di evitare problemi disciplinari. Anche se spesso, purtroppo, dopo che ci aveva fatto ridere e ci eravamo messi a fare schiamazzi di giubilo e di esultanza, piombava dentro il nostro rettore con lo sguardo allucinato e feroce. E cominciava ad insultarlo ferocemente. A quel punto lui era costretto a far finta di avere già individuato e segnato su un fogliettino che teneva in mano, sul quale però non c'era scritto nulla, i nomi dei ragazzi colpevoli di aver fatto chiasso e di aver provocato disordine.
E improvvisava l'elenco: 17; 14; 6… Infatti come di regola in una istituzione totale, venivamo chiamati e individuati per il numero che ci era stato appioppato all'inizio della nostra sciagurata entrata in quel luogo. In quella bolgia infernale.
I malcapitati venivano messi in castigo per molto tempo. Talvolta anche prese sberle. Ma quando lo faceva lui, faceva molto rumore con la voce, ma di fatto stava molto attento a non fare più male del dovuto.
Appena viene rettore, si scusava con noi tutti e soprattutto con le vittime sorteggiate a caso: ho dovuto fare così, ragazzi, scusatemi, mi dispiace…
Noi eravamo abbastanza solidali con lui anche se ancora ci bruciava un po' la pelle per le sberle che c'eravamo presi indebitamente. Eravamo suoi complici e lui era nostro complice. Entrambi odiavamo la guardavamo con rancore il cerbero regista del nostro girone diabolico.
E poi, ci piacevano molto le storie che il nostro bizzarro e folle assistente ci raccontava.
Come tutti i suoi squallidi colleghi, riceveva una paga da fame. Compensata da vitto e alloggio.lui aveva l'incarico di sostituire ogni giorno della settimana gli altri suoi colleghi. Quindi non dormiva dietro la tenda come facevano gli altri in ciascuna delle nostre camerate. Sostituiva talvolta anche la portinaia, una donnina alta 1 m e 10, buona ma un po' rimbambita; e anche l'ometto delle pulizie, un ex convittore, leggermente claudicante, che chiamavamo tra noi "Crapin” (testa piccola, per via del capo molto minuto e dell'aria un po' tonta che aveva).
Talvolta riusciva a sostituire anche il cuoco… Anche se i risultati erano abbastanza terrificanti.
Arrivato a fine mese, appena li consegnavano a mano contandoli uno sull'altro i biglietti del suo magro salario, spesso si faceva prendere da un raptus consumistico. Io ero uno dei suoi prediletti per questa funzione: gli sembrava che avesse un aspetto adeguato e gli ero simpatico; aveva sfilato un elenco con le piccole gioie che voleva subito comperare. E benché fosse assolutamente vietato dal rettore che noi potessimo essere senza sua preventiva approvazione e autorizzazione fatti uscire dall'Istituto, mi chiamava vicino a lui, non osando il numero ma il mio nome, Nanni, mi consegnava la sua lettera per babbo Natale dello stipendio, e mi autorizzava seduta stante a raggiungere a poche centinaia di metri da lì una tabaccheria dove c'erano le sue delizie. In genere l'elenco comprendeva 10 pacchetti di sigarette alfa, le più scadenti ma anche la più economiche; un flacone di profumo colonia molto dozzinale da poveri; qualche saponetta a buon mercato.
E al mio sguardo preoccupato di essere rimproverato dal rettore, lui ribatteva ribellandosi al terrore che ovviamente non viveva e nel quale non gliene fregava niente "se ti chiede qualcosa digli che ti ho autorizzato io!"
Per miracolo le mie imprese commerciali erano andate sempre tutte quante lisce.
Al ritorno dalla missione avevo l'incarico di portare la preda acquistata direttamente a "casa sua". Evidente eufemismo: gli avevano dato un alloggetto meschino umido scrostato al quale si accedeva soltanto dall'esterno dell'istituto. E nel quale…
Mi apriva sempre immancabilmente una vecchina, dolcissima che parlava con un fortissimo accento romanesco. Mi faceva una carezza, mi chiamava per nome, e mi diceva che il suo figliolo amatissimo mi stimava molto mi voleva molto bene. Perché anche lui si sentiva come me pur in quella condizione un vero signore è un vero aristocratico.
Era la sua mamma. E quelle uscite avevano il fascino del proibito tollerato, e la visione di questa anziana dolcissima ex signora benestante romana, della sua gentilezza e della sua dolcezza nella voce nei gesti e negli occhi.
Al ritorno nello studio, dopo essermi guardato in giro se potevo parlare liberamente, per quanto sottovoce, riferivo balbettando piano: tutto a posto; missione compiuta; la sua mamma era molto contenta!
Un altro personaggio profondamente umano che per un errore dei carcerieri c'era stato assegnato per un tempo purtroppo rimasto molto breve, era quello di un ometto di mezza età. L'abito non fa il monaco: aveva pochi capelli pur non essendo molto anziano; ed era di quei tipi che hanno la barba talmente fitta e talmente nera, che anche se si radeva ogni giorno scrupolosamente, gli restava un alone grigio nero sulle guance fin sotto le basette. Ricordava certe caricature dei delinquenti o dei galeotti. O quelle di qualcuno dei membri della banda bassotti disneyana.
Ricordo che una volta, non essendo io andato a scuola perché avevo avuto l'influenza, mi trovavo con pochissimi altri nella sala studio dove in genere venivamo a lungo parcheggiati inutilmente. Quand'era l'ora del pranzo per il personale come lui, cioè intorno alle 11.30, perché poi alle 12 avremmo pranzato nove, dava l'incarico a qualcuno di noi ragazzi di andare in cucina a prendere un vassoio sul quale erano appoggiati un piatto fondo con il primo è un piatto piano con il secondo, entrambi coperti da un altro piatto a mò di scaldavivande. Una mezza bottiglietta di vino era coperta da un bicchiere rovesciato.
Mentre stava per accingersi a mangiare, di sottecchi aveva lanciato uno sguardo su noi tapinelli.
Con una forchetta, perché probabilmente anche per loro erano vietate le posate da taglio come coltelli, aveva dimezzato il filo uncino di pane, l'aveva tagliato a metà e ne aveva fatto un sandwich rudimentale. Dentro ci aveva infilato un po' di pasta scotta, qualche frammento di tonno in scatola, qualche foglia di insalata…
Poi, fatto il calcolo se ce n'era abbastanza per i tapinelli che stavano lì a guardarlo facendo finta di niente e mostrando di non essersi quasi accorti che lui stava mangiando, chiamava uno alla volta noi e senza dire una parola ci metteva in mano il frammento del suo pasto. Una volta addirittura mi aveva chiesto a me o qualcun altro se volevamo assaggiare un goccino di vino.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci e la divisione del suo mantello gastronomico molto modesto erano un miracolo semplice umile che avveniva nel più assoluto silenzio.
Ricordo di esserne rimasto profondamente turbato e commosso. Molto probabilmente dopo l'episodio che ho appena raccontato l'ex scarcerato dalla faccia da brigante e dall'anima di angelo, era stato licenziato in tronco perché non abbastanza feroce cinico sadico e persecutorio.
Potrei forse accennare anche ad un altro personaggio ma mi sembrava un po' stupidotto. Non essendo feroce cattivo sadico o autoritario abbastanza, anzi per niente, aveva creduto di riuscire a mantenere la disciplina facendoci fare dei cori. Ricordo che con la sua faccia un po' becera che forse adesso potrei dire assomigliare a quella di Mr. Bean, che aveva fatto cantare "sur le pont d’Avignon”, “alouette”… E altre cose del genere.
La disciplina andava comunque a farsi fottere, invece di fare schiamazzi, noi ragazzi cantavamo in modo sguaiato e facevamo divertendoci molto casino.
E poiché lo studio e l'ufficio del rettore era proprio sotto il locale definito studio dove stavamo stipati per ore, probabilmente era salito il nostro minosse con lo sguardo infuocato che aveva assestato sberle e calci a destra e a manca. E infine credo dopo qualche giorno avesse licenziato l'ingenuo fessacchiotto alter-Mr.Bean…."
Durante tutta la narrazione Artemisia era rimasta tra le mie braccia regalandomi il tepore del suo corpo, con gli occhi della mente che pendevano dalle mie labbra. Intenerita, solo un pochino intristita da quella mia infanzia sgradevole e brutta. e subito aggiungeva:
"amore, dentro di te ci sono ancora pezzettini di quel bambino la’... Sono innamorata di te e sono innamorata anche di quel bambino … Coccolo la sua immagine, la sua animuccia ferita, carezzo la sua testa e i suoi capelli rapati a zero, mi piace che tu butti fuori quelle immagini lontane e dolorose, e che me le regali, da tenere tra le mie braccia e nel mio cuore.…"
(come potrei, Artemisia, non capire come vivono migliaia e migliaia di persone adultI, donne e bambini nei lager dove vengono reclusi da chi cerca di impedire loro di fuggire da paesi devastati? spesso devastati da bombe vendute la' dai paesi che ora allestiscono il lager. E ci stanno anni, nei centri di raccolta e detenzione per scontare la pena di essere dei disperati!)
Nanni Omodeo Zorini Qfwfq

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