L’AMORE
DELLE TRE MELAGRANE -8- La secondamelagrana
E il vecchierello:
— Figlio mio, chi è bianca non è rossa e
chi è rossa non è bianca. Però, tieni queste tre melagrane. Aprile e vedi cosa
ne vien fuori.
Ma fallo solo vicino alla fontana. Il
giovane aperse allora
…. la seconda melagrana e saltò fuori un'altra bella ragazza dicendo:
(da Italo Calvino, Fiabe italiane; L’amore delle tre melagranae.)
(da Italo Calvino, Fiabe italiane; L’amore delle tre melagranae.)
…"Ma…
e le altre due melagrane…?"
Se ne
stava accucciata tra le sue gambe inginocchiata sul kilim. No, amore, non ho
freddo, stai tranquillo, gli aveva detto quando lui aveva provato a coprirla
almeno sulle spalle con il Pyle rosso morbido leggero se ho freddo te lo dico
io, va bene? E lo guardava adorante di sotto in su. L'aveva stuzzicato, così,
per gusto. Come facevano altre volte. Lo sapeva di sicuro reattivo anche in
quello. Se ne sarebbe stato lì sornione un pochino, poi avrebbe tirato fuori
tutto, frenetico. Lei sapeva molto bene aspettare.
È una vita che aspetto…è una vita che aspetto
te… è una vita che aspetto questo sogno che abbiamo sognato… che stiamo
sognando. E che è vero concreto reale…
Lui,
sempre così irruento in tutto così difficile da tenere a freno, certe volte si
divertiva a farsi pregare. A farsi aspettare. Intanto che lei, come sempre, gli
mandava carezze di sguardi intensi cielo-azzurro, lui le aveva sciolto i
capelli, ghermendole in modo rude e dolce insieme la nuca.divertendosi a
frugare con le dita tra i capelli.
Dopo
qualche boccata di fumo acre della pipa, lasciava che le sue piccole mani si
allungassero, gliela togliessero dolcemente, per aspirare golosamente; e
riconsegnandolo obbediente alle mani lunghe e affusolate di lui.
Sapevano
entrambi che le paratie della cascata stavano per essere levate.
Che
il tappo del cono vulcanico tremolava, mosso dalle fumate.
La
lava incandescente ribolliva brontolando. Pronto ad eruttare.
"Si…
Le altre melagrane…"
Poi,
con voce vibrante, calma pacata all'inizio, e prendendo sempre più la foga
della narrazione, si era messa a sgorgare.
«Il reuccio,
allungò la mano nella bisaccia, e ne cavò fuori un'altra melagrana…
E
l’aperse.»
Facevamo
che, allora, ritorniamo un passettino indietro, a quanto scrivevamo l'altra
sera, nella chat. Con la bacchetta magica, possiamo anche cambiare la storia,
reinventarla, ricrearla da capo, riscriverla…
Il
campanello, aveva fatto un rapido trillo.
Un
delicato vibrante e sensuale tuffo al cuore.
Dietro
la porta c'era lei.
Indossava
una gonna leggera e mossa di lino indiano. Stampata. Colori come farfalle
svolazzavano su quella garza sottile, leggera.
Una
leggera blusetta dai colori bene abbinati, senza collo, che i capelli biondi
corti riuscivano appena sfiorare.
A
tracolla, di lato, una borsa a sacca di cuoio grezzo.
Intorno
al collo ondeggiava lunga, flessuosa, sensuale una sciarpa leggera bianca e
rosa.
Zoccoli
di legno alto, anch'essi di cuoio.
Ma
prima della sua immagine, alla porta socchiusa si era affacciato il suo sorriso
intenso.
Tutto
era rimasto sospeso in stand-by, a mezz'aria, per un tempo indeterminato…
Variabile tra pochi secondi e l'eternità.
Lui
aveva allungato la mano sinistra, invitante. La mano destra di lei ci si era
appoggiata con garbo, ed era entrata.
Poi
il tempo aveva ripreso a scorrere. Un tempo nuovo. Leggiadro. Sognante. Senza
voci fuori campo. Solo il morbido sensuale pulsare del tu tum tu tum tu tum dei
cuori. Martellante nella gabbia toracica di lui, molto più in alto, più
violento.
Delicato,
timido, quasi impacciato, titubante, ma non meno intenso, quello di lei. Sotto
i piccoli minuti e sodi seni di ragazza.
"Ciao"
"ciao!"
Due
diverse intonazioni vocali. Si incontrarono a mezz'aria. Si salutarono. Si
scambiarono un sorriso, i loro saluti.
Nella
clessidra la sabbia lenta minuta e impalpabile aveva ripreso a scorrere venendo
giù morbida.
Sullo
schermo del vecchio orologio nero di latta, appeso alla parete, sul suo bianco
un po' scrostato, con le cifre disegnate da una mano incerta e tremolante, nere
quelle del cerchio esterno, rosse le più minute quelle del cerchio interno
vicino alle sferette. E queste due piccole frecce nere arrugginite. Anche lì
sopra il tempo piano piano riprendeva terreno.
(La
voce di lei fuori campo, suggeriva: ah, forse abbiamo dimenticato, potevo
portare allora forse una collanina di pasta di conchiglia color turchese rosa…
Ce la mettiamo?)
I
gesti non erano forse raccontabili. Tutto avveniva come se la moviola girasse
la scena nell'acqua… Lenta… I gesti avvenivano da soli. Tutto era previsto da
una regia impalpabile, sapiente, avvenivano e basta. Restava solo da viverli
immersi dentro. C'erano già. E basta.
Poteva
essere avvenuto che le offrisse un te al gelsomino. Che bacchette e coni di
incenso diffondessero nell'aria il loro profumo. Le persiane che davano sul
balcone potevano essere chiuse o accostate. Creando una mezz'ombra. Ovattata.
Lui
indossava dei calzoni molli, tenuti in vita da un cordoncino di tela. Una camicia
rossa damascata, senza colletto, lasciata cadere fuori dei calzoni. Camminava
con i piedi scalzi sulla moquette.
Lei
sfilò i propri zoccoli. E mosse qualche passo con i suoi piedi minuti, che mi
seguivano titubanti quelle di lui.
Buttò
a terra la borsa di cuoio grezzo. Aveva intorno al collo la sua sciarpa svolazzante
che le arrivava ai ginocchi davanti e dietro scendeva oltre le morbide colline
dei suoi glutei.
Il
tempo era sospeso in apnea. E comunque continuava a scorrere. Era forse un
mattino, un pomeriggio di luglio. L'aria si era rinfrescata durante la notte.
Le zanzare micidiali non avevano osato entrare per via dei fornelletti dissuasori,
che rimanevano accesi.
L'intimità,
guardinga e discreta, si limitava agli sguardi, ai gesti, attenta a non fare mosse
sbagliate. Pudica.
Non
era avvenuto proprio niente in quel tempo sospeso. E intanto era avvenuto
tutto. Un miracolo andava compiendosi.
Lui
aveva evitato di cingerle con un braccio le spalle, di carezzarle con mani
ampie calde, forti la guancia. Di attirare a sé quel volto delizioso, quello
sguardo di acqua marina. Fosforeggianti. Per baciarlo. Quel bacio restava una
promessa sospesa, cauta, intuite pensata. Mentre muovevano insieme con le tazze
di tè caldo e profumato, lui le aveva fatto vedere l'alloggetto.
Appena
dentro, sulla sinistra una porta finestra sul ballatoio, persiane semiaccostate,
i vetri lasciavano penetrare solo un filo d'aria.
Un
tavolo formato da assi di abete assemblate tra loro che poggiavano su due
cavalletti alla buona. Disteso sopra un ampio telo scuro, con fiori stilizzati
gialli viola rossi blu.
Nell'angolo
contro la parete una brandina ricoperta d'un telo viola sfiorato afgano, era
ricoperta da grandi cuscinoni che lo facevano diventare un divano.
Di
fronte al divano turca una stufa a gas. Spenta.
Poi
appena più in là piccolo locale cucina. Fornelli, forno, quel che pensi le
grezzo di bambù di giunco. Agganciato alla parete Danelli ricorda.
Appena
più a destra un minuscolo vano toilette e doccia.
Dietro
la cucina una minuta sala da pranzo in cirmolo. Cassapanca a elle. Al di qua
del tavolo sui tre lati liberi sedie impagliate.
Sulla
sinistra una credenza abbinata. Con le cerniere di ferro battuto, inchiavardata
di borchie, vetri smerigliati disegnavano cerchi accostati.
Alla sinistra
di questo locale la camera da letto.
Una
branda grande, le lenzuola buttati in un angolo, un cuscino era rotolato a
terra.
Sul
lato opposto, vicino a un'altra porta finestra oscurata, un vecchio tavolo da
cucina. Tarlato. Con cassetto lungo piena di tovaglie ricamate o sfiorate. Una
piccola lampada spenta. Alcuni libri disordinati. Un quaderno cinese nero
aperto con sopra una stilografica. La pagina sinistra era già tutta vergata di
scrittura. Quella destra fino a metà. Qualche frase qualche pensiero erano
rimasti in sospeso. Aspettavano il loro turno.
Nel
tempo rimasto sospeso che continuava comunque a fluire non era venuto
sostanzialmente niente. E quindi era avvenuto tutto. Era avvenuto se stesso.
C'era.
Mentre
curiosava i locali dell'aveva seguito a piccoli passi. Ogni tanto la sua gonna
aveva sfiorato i suoi calzoni bianchi molli. Il suo gomito aveva sfiorato il
suo.
I
fiati, gli sguardi sfumati che si carezzavano garbatamente di sfuggita.
La
voce di lei, di ragazza, sfumava le "s", trascinandole un po',
vezzosamente tra i denti. Non aveva ancora fatto che non l'avrebbe fatto. Ma
col pensiero la stava baciando delicatamente sulle labbra. E lei protendeva
garbatamente col pensiero il suo volto, gli occhi fosforeggianti, le labbra
umide, adolescenti.
E non
se l'erano neppure detto. Che lei non avrebbe raccontato nulla in famiglia.
Forse neppure gli amici che li avevano visti in piazzetta con i coni gelati,
inforcare le biciclette. Bianca quella di lei. Nera, un po' graffiata qua e là,
con le parti metalliche un po' arrugginite.
Era
stato l'incipit. L'inaugurazione. La premessa. L'antipasto.
Al
momento giusto sarebbe tornata. Avrebbe lasciato sollevare la gonna morbida e
delicata. Si sarebbe lasciata accarezzare. Avrebbe sfilato la camicetta colorata.
Avrebbe regalato il bianco lunare del suo corpo al suo sguardo lubrico di lupo
buono.
Avrebbe
donato da assaggiare il latte di mandorla del suo corpo pulito e terso. Alla
sua bocca golosa.
Avrebbe
aperto la conchiglia preziosa che teneva in grembo. Avrebbe donato un po' alla
volta tutta la sua anima, il suo corpo, scoprendo e inventando una sensualità
di donna che neppure ancora conosceva. Se non nei pensieri nascosti. Nelle
fantasie. Nel desiderio.
Il
tempo, finalmente aveva ripreso a pulsare tranquillo. I giorni a essere
sfogliati nel calendario.
Sarebbero
avvenute vicende prevedibili. Desiderate. In modo calmo.La certezza avrebbe
preso il posto risolutamente delle prime titubanze.
Si
sarebbero messi a nuotare nelle parole, nei pensieri, nelle emozioni, nella
carne.
Vacanze
all'Alpe Veglia. Tentativi di approcci amorosi sui letti a castello nel
cameroni dei rifugi. Bevute di vino aspro e sicuro davanti al fuoco del camino.
O intorno alla brace di qualche falò notturno. Lui avrebbe pizzicato la chitarra.
Cantando i canti di lotta, del lavoro, del riscatto. Stornelli toscani.
Con
la dyane verde pisello, una piccola tenda minuta, o la sua microscopica
roulotte che riusciva a spostare con una sola mano, avrebbero imparato il
campeggio al mare, in Provenza, in Normandia, in Bretagna…
Una
nuova casa avrebbe sostituito quella bohemiènne.
Una
casa vera.
I
piccoli seni adolescenti si sarebbero inturgiditi. Piccole bocche urlanti vi si
sarebbero accostate, golose e affamate.
E
poi… E poi… E poi…
Chi
lo sa mai…
Chi
lo potrebbe dire…”
Lei
lo ascoltava assorta con lo sguardo attento. Ogni tanto socchiudeva gli occhi e
cercava la sua mano.
Qualche
nuova boccata avida. Il fumo ora aveva assunto un profumo più delicato intenso
insinuante gradevole, con un leggero sfondo che ricordava l'incenso.
Lei
restituì la pipa alle sue mani, poi, dopo qualche momento di riflessione, con
un leggero sorriso sulle labbra gli aveva chiesto: ma secondo te sarebbe potuto
succedere tutto questo? Noi lo stiamo sognando, desiderando, fantasticando. Ho
sempre pensato che tu sia stato e sia ora quello destinato a me, l'uomo della
mia vita, quello che ho sempre cercato. Ma…
Ed
era rimasta zitta. In stand-by …
Vedi,
disse lui, la macchina del tempo non sempre funziona… Ora noi siamo tornati
all'indietro a frugare nel passato, a provare a modificarlo. E l'abbiamo anche
fatto. Ma, nella fiaba veniva raccomandato di aprire la melagrana solo vicino
all'acqua… E se l'acqua non fosse stata pronta mentre apriavamo il frutto? La
ragazza che fine avrebbe fatto dopo essere uscita dalla melagrana?
Avrebbe
forse dovuto dire anche lei: "-"Giovanottino
dalle labbra d'oro,dammi da bere, se no mi moro !"….
E poi? Sarebbe riuscito il giovanottino dalle labbra d'oro a portare l'acqua nelle
sue mani alle labbra della ragazza uscita nuda dal frutto pieno di chicchi succosi
e rossi come il sangue?
E se
sì, come sarebbe diventata la realtà cominciata in quel momento come l'abbiamo
descritto insieme fantasticando e sognando?
Assomiglierebbe
alla tua situazione di oggi? Dopo tutti questi anni Artemisia cercherebbe ora e
qui ancora nuove soluzioni affettive esistenziali e amorose?
Allora
a quel tempo, non sempre c'era il telefono per comunicare e non tutti ancora
l'avevano. Il protagonista del racconto l'aveva ad esempio appena messo in
quella casina.
Ma
tanti anni dopo, facevamo finta di farli arrivare fino al tempo presente, come
sarebbe stata la situazione loro?
Avrebbe
frugato nel Web, nei social network, nelle chat per cercare qualche soluzione
che le permettesse di ritornare a ridere, magari, dopo aver perduto quel riso che aveva
conosciuto in quel lontano momento magico?
E chi
avrebbe incontrato, visto che lui nel frattempo, compagno della sua vita e
coniuge, non era più un uomo libero, uno scapolo di ritorno, un dongiovanni
impenitente, essendole stato tutta la vita a fare il marito padre accanto a
lei?
Si
sarebbe incrinata la magia che sembrava assoluta, infinita, eterna in quel
momento lontano? Sarebbe diventato anche lui per lei un imbarazzo, un peso, un
fardello ingombrante noioso e fastidioso? Dal quale desiderar evasione e fuga ?
Cercando nuovi amori straordinari?
Lei
aveva tenuto lo sguardo basso mentre lui parlava.
Quindi
aveva aggiunto: sì, forse vero, è stato bello sognare, fantasticare, provare a
inventare un passato diverso. Con una sottile vena di nostalgia e di rimpianto
per ciò che non era avvenuto per davvero.
Ma
forse e meglio il presente… Visto che la macchina del tempo che tu hai usato ci
permette solo di inventare una realtà mentale.
E
allora ti dico: è sempre bello giocare con le parole e con i sogni con te. Ma
preferisco sicuramente la realtà… Questa nostra realtà che ci siamo costruiti,
che abbiamo creato noi. Questo nostro amore che è anche il nostro figlio, la
nostra creatura, il nostro gioiello la nostra opera d'arte.
La
pipa ormai stava spenta nel portacenere, con il camino rivolto in giù. Insieme
lentamente si alzarono, lui le cinse con la mano il collo, e decisero e si dissero
in silenzio con uno sguardo che avevano senz'altro delle cose importanti da
dirsi, di là…
E si
affrettarono subito.
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