Non posso assicurarlo al millesimo di secondo, ma ai fini che ora mi propongo è sufficiente una discreta approssimazione. Diciamo allora che erano le 17.29. Minuto più minuto meno. Contrariamente al solito, data la calura di questo agosto avanzato, invece che con la moto o addirittura con la bicicletta mi ero avventurato in città a piedi.
Sì,
da tempo tu me lo stavi a dire. "Devi cercare di fare un po' di moto sei
troppo pigro ti fa bene molto per la circolazione e per smaltire il colesterolo
e le tossine".
Ebbene
si. Mi ero legato l'esiguo codino di capelli, per il quale avrei dovuto
aspettare ancora qualche mese per poterlo esibire in modo più dignitoso,
calzavo dei sandali di cuoio, un paio di vecchi jeans, una camicia svolazzante
senza colletto e sul capo uno dei miei Panama bianchi della collezione.
Venti
minuti sotto il sole stavano cominciando a dare i loro effetti sulla mia
camicia. Ma tirai avanti di buon passo.
Avevo
percorso il lungo viale alberato dove passano solo auto ed è raro incontrare
persone. Perciò arrivai in vista della stazione dal suo lato sinistro.
C'erano
in coda, e contai sulle dita mentalmente, 11 persone. Due ragazze africane.
Una famigliola di ladini che subito individuai come peruviani, un ragazzo
allampanato con gli occhiali che continuava a guardarsi in giro, e aveva un tic
nervoso.
Proprio
davanti a me un ciuffo di capelli cortissimi che non capivo se erano di un
ragazzo o di una ragazza.
Ad un
certo punto girò la testa e mi guardò in su. Due occhi intensi azzurro cielo.
Se
era un ragazzo, temetti di non avere le idee chiare circa la mia definizione di
genere.
Ne ero
abbastanza attirato, attratto e piacevolmente incuriosito. Le ciglia lunghe e
il tono di voce mi rassicurarono. Non era una voce acuta di ragazzetta ma era
sicuramente femminile.
Aveva
un tono di voce e una pronuncia che denotavano che non eri italiana anche se
parlava molto bene la nostra lingua.
Come
fanno spesso i giovani ma anche gli stranieri a volte, mi apostrofò dandomi del
tu.
«Ma è
sempre così lento questo posto dove si fanno i biglietti del treno? Tu non ti
sei ancora scocciato? Devo solo prenotare fra una settimana e sono qui già da
20 minuti… Fra un po' mi piscio addosso…» E fece un sorriso malizioso, nella
convinzione di aver detto qualcosa di trasgressivo.
«Ha
ragione mademoiselle, è imperdonabile che ci facciano perdere che ci facciano perdere
tanto tempo, e che siano così lenti… Ma forse se non ci fosse stata la coda
lunga non avrei potuto ammirare i suoi occhi…!»
Fece
una risata, e i suoi occhi mandavano una musica piacevolissima…
«Ma tu,
fai così con tutte le donne e ragazze…?»
«Certo
che no… Solo con le ragazze che mi sconvolgono affascinanti e seducenti come te
con i tuoi capelli corti da ragazzetto…»
Ero
passato anch'io a darle del tu… Ridacchiavo sornione… E sentivo dentro degli accordi
di violino che mi pizzicavano il plesso solare fino alle scapole.
Più
tardi eravamo seduti insieme a un tavolino rotondo nella piazzetta delle erbe.
Il gelato faceva schifo. Ne avanzai
metà. E mi feci portare un'acqua
tonica con ghiaccio e limone.
Capelli
corti si era messa ad arrotolare una sigarettina. Io davo boccate alla pipa.
Mi
raccontava di posti in cui era vissuta, che aveva visitato, di persone bizzarre
che aveva incontrato… Non le stavo però prestando molta attenzione… Le
sorridevo compiaciuto, seguivo a senso quello che mi diceva, ma ero pervaso
completamente dall'atmosfera e dell'effetto di insieme. Non sentivo neanche più il caldo e il sudore che
avevo addosso.
Vedevo e seguivo a flash le immagini che mi
raccontava. Passando continuamente da una all'altra. Galleggiavo.
Le
risparmiai il lunghissimo e travagliato racconto della mia esistenza. Anch'io
con brevi flash. Quelli che mi venivano. Buttai fuori il mio repertorio di
frammenti di Lorca, Dante, Beckett... Spezzoni.
Ascoltava
attenta, tirando boccate di fumo dal suo sigarettino un po' storto.
Mi regalò visioni rapide colorite profumate
della sua infanzia di bambina, pregne di saporosi odori di legno di bosco di
prato di pioggia sul terreno… Di visioni d'acqua di fiumi, laghi, lembi di
mare… Nella sua terra remota dell'infanzia. Di cui diverse volte mi pronunciò
il nome, e io ridendole confessai che non l'avrei mai ricordato, ma che avrei
ricordato sempre il tono della sua voce, le immagini che mi aveva regalato e il
suo sguardo…
Quando
ci alzammo dal tavolino mi chiede consiglio per dove pernottare. Buttai lì
alcune cose che mi venivano in mente, non sapendo le sue disponibilità
economiche… Poi ricordo che ci avviammo in una danza di lenti passi, a tirare
in lungo… Il più possibile… Almeno da parte mia.
Gironzolammo
un po' di qua e di là. Senza una meta
senza una direzione. Lasciandoci trascinare dai passi. Traversammo probabilmente il viale delle carrozze. Ne ho
delle visioni verdi, indistinte, ma comunque vivide. Tutto quello che esisteva era circondato immerso
sprofondato e nuotava nell'atmosfera magica e sognata. Cullato dalla sua voce,
dalla sua pronuncia talvolta un po' ostentata su alcuni termini, e della mia
voce che mi rimbombava dentro nel torace, nella testa, nella mente.
Ad un
certo punto ripiombammo nella realtà.
«Allora dici che devo cercare un albergo di quelli
che mi ha elencato tu? Una pensioncina? Torno a prendere in stazione il
bagaglio che ho depositato. Quale dici che è meglio secondo te?»
Come
atto involontario e istintivo il nostro passeggiare mi aveva spinto ho portato
dalle parti di casa mia. Ricordandomi la frase che aveva detto mentre eravamo
in coda alla stazione, le chiesi se ancora avesse bisogno di fare la pipì.
Buttò
fuori una risata sonora, tonale, calda…
«Ma
mica vuoi che la faccia come voi uomini qui in mezzo alla strada…!»
Poi
fu incuriosita da venire su a vedere dove io abitavo. Rise quando vide la
palestrina con tutti gli attrezzi, e seppe che non la usavo quasi mai… Volle
staccare una piccola rosa carnosa nel giardinetto pensile della terrazza in
mansarda. Dopo avermene chiesto il permesso con uno sguardo supplice implorante
e seduttivo.
Si
sedette sul lettuccio della camera degli ospiti in mansarda. Ci saltò sopra
facendo un po' suonare le molle.
Poi
mi diede uno sguardo che era una domanda.
«Tu
vivi da solo in questa grande casa? No, voglio dire, c'è una donna che vive con
te?»
La
rassicurai e la tranquillizzai. Vivevo da solo. In quel periodo ero
particolarmente singolo. In una delle
mie fasi ricorrenti di scapolo impenitente.
«Ma
le donne che hai conosciuto sono tutti un po' stupida allora…! Non ti hanno mai
guardato bene e valorizzato… Comunque fatti loro…»
La
portai in moto al deposito bagagli a
ritirare il suo zaino. Lo buttò in un angolo e mi chiese se avevo qualcosa da
mangiare. Però in quel momento né io né lei avevamo ancora appetito di cibo.
Mi
sedetti sul divano di pelle rossa. Lei si mise in ginocchio davanti a me
accucciata. Per alcuni lunghi momenti ne io ne lei dicemmo nulla. Poi sfiorai i
suoi capelli cortissimi con la mano. Mi lasciò fare. Quando la mano discese
sulla guancia accostai un dito alle sue labbra. Me lo lasciò entrare.
Stavo
per accendere il condizionatore, ma lei fu più veloce di me.
«Fa
un po' caldo qui, io mi tolgo la maglietta se tu non ti scandalizzi…»
Aveva
un seno minuto e piccolissimo. Grazioso. Mentre tirava boccate di fumo da
un'altra sigarettina che si era arrotolata, le sfiorai il seno sinistro e
sentìi il capezzolo irrigidirsi.
Non fu
disturbata ma piacevolmente contenta della mia confidenza manuale.
«Però
è da quand'eravamo alla tua stazione che devo andare a fare una pisciata, da
che parte è?» E ci si diresse spigliata tranquilla e sicura. Poco dopo vidi il
suo nudo bianco di latte ritornare. Rimase ancora un pochino accucciata in
ginocchio, seduto sui propri talloni. Poi cominciò slacciarmi la camicia. La
buttò in un angolo. Mi sfilai la cinta dei pantaloni.
A
quel punto mi salì a cavalcioni sulle gambe, e accostò la sua guancia alla mia.
Aveva
delle labbra profumate morbide delicate solo leggermente umide. Frugò con le
lingua e le labbra la mia bocca. Mentre io le mettevo una mano dietro la
schiena carezzandole delicatamente e garbatamente i glutei.
Sentivo
il suo petto minuto e sodo contro il mio peloso.
I
capezzoli rigidi come due piccole caramelle mi carezzavano.
La
mia mano destra si infilò tra i suoi glutei, e con il dito col quale ero
entrato nella sua bocca ancora umido di saliva, esplorai il suo piccolo nido
posteriore. Si dilatò per farmi passare.
Le
posi le mani sotto entrambe le cosce, la sollevai contro di me alzandomi dal
divano. Si reggeva avvinghiandomi con le braccia al collo.
La
camera attigua era già fresca e il condizionatore stava facendo il suo lavoro.
La
feci sedere sul bordo del letto. Io rimasi in piedi davanti a lei. Prese
garbatamente dolcemente la mia carne e cominciò a leccarmi e a succhiarmi…
Era
piacevolissimo. Prima che la piacevolezza diventasse eccessiva, scostai
delicatamente la sua piccola testa dalla mia carne. La misi sdraiata in mezzo
al letto. Le posi un cuscino sotto le natiche. Lei teneva le ginocchia
sollevate e le cosce alte.
Tutt'intorno
gli specchi ci regalavano il cinema come avevano fatto mentre lei mi prendeva
in bocca. Senza farci troppo distrarre dalle immagini, ci concentrammo sulle
nostre carni congiunte, io ero entrato nel suo morbido pube di ragazza glabro e
depilato, sentivo la sua carne accogliermi generosa, morbida, carezzevole,
intensa…
Poi
restammo un pochino sdraiati. Io guardavo i suoi occhi azzurro cielo. Ne ero
estasiato. Cercavo di parlare il meno possibile.
La
baciai sul collo, sui seni, le carezzai a lungo la valle morbida della sua
schiena.
Poi fu lei a girarsi e a mettersi ginocchioni. Visitai
con un dito e poi con due il suo piccolo sfintere bruno, umettato di olio
extravergine pronto nel cassetto del comodino.
Poi
entrai nel paradiso della sua carne in piccoli morbidi colpi e pulsioni.
Afferrandola e tenendola per i fianchi. Assecondando i movimenti pelvici miei e
suoi.
Lei
girò lo sguardo qualche volta e seduttiva e accattivante mi chiese di
picchiarla sui glutei.
«Dammi
delle sberle, e intanto inculami forte mio bel bestione… Mi piace… Mi piace
tanto così…»
Seguii
con la coda dell'occhio le ore digitali proiettate sul soffitto. Credo di
ricordare di avere continuato così per 20 o 30 minuti.
Poi finalmente mi lasciai andare. Ululando e mandando grugniti da bestie in calore.
Avevo
incontrato questa ragazza da poco. Non ricordavo neanche la terra e la località
da cui arrivava. Ma avevo goduto come non mi era mai capitato nel suo corpo
fantastico.
Rimanemmo
a carezzarci la pelle il sudore reciprocamente.
Quindi
allargare le sue piccole cosce bianche e accostai le labbra alla sua vagina di
ragazza.
Con
la lingua carezzavo in tutte le direzioni le piccole labbra e il clitoride.
Avevo il fiato affannoso. Ad un certo punto cominciò ripetutamente a
pronunciare: «sì, così, si, Siiiiiiiiiii…»
Finché
fu il suo turno di urlare di gioia, come una cagna in calore scatenata.
Posi
il capo sul suo piccolo ventre bianco. Percorso da ondate che andavano dalla
vagina al plesso solare. Con la guancia gustavo la carezza di quelle pulsioni.
Credo
che dopo ci addormentammo per un po' di tempo entrambi.
Quando
parti per la sua destinazione che non ricordo, gli regalò definitivamente
l'immagine di quell'istantanea apparizione concreta reale fantastica onirica
meravigliosa.
È
forse improprio dire che parti.
Probabilmente
non partì mai.
E
continuò a venirmi a trovare per giocare con me di nuovo. Le piaceva il film che vedevamo negli specchi e
con gli occhi interiori.
A questo punto non so più dire dove finisca la
realtà del ricordo. E dove invece cominci la realtà quotidiana. Certo è che la
vita è sogno. E questo sogno me lo porterò avanti il più a lungo possibile.
All'infinito. E anche oltre.
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