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martedì 22 agosto 2017

L' I N C O N T R O




Non posso assicurarlo al millesimo di secondo, ma ai fini che ora mi propongo è sufficiente una discreta approssimazione. Diciamo allora che erano le 17.29. Minuto più minuto meno. Contrariamente al solito, data la calura di questo agosto avanzato, invece che con la moto o addirittura con la bicicletta mi ero avventurato in città a piedi.
Sì, da tempo tu me lo stavi a dire. "Devi cercare di fare un po' di moto sei troppo pigro ti fa bene molto per la circolazione e per smaltire il colesterolo e le tossine".
Ebbene si. Mi ero legato l'esiguo codino di capelli, per il quale avrei dovuto aspettare ancora qualche mese per poterlo esibire in modo più dignitoso, calzavo dei sandali di cuoio, un paio di vecchi jeans, una camicia svolazzante senza colletto e sul capo uno dei miei Panama bianchi della collezione.
Venti minuti sotto il sole stavano cominciando a dare i loro effetti sulla mia camicia. Ma tirai avanti di buon passo.
Avevo percorso il lungo viale alberato dove passano solo auto ed è raro incontrare persone. Perciò arrivai in vista della stazione dal suo lato sinistro.
C'erano in coda, e contai sulle dita mentalmente, 11 persone. Due ragazze africane. Una famigliola di ladini che subito individuai come peruviani, un ragazzo allampanato con gli occhiali che continuava a guardarsi in giro, e aveva un tic nervoso.
Proprio davanti a me un ciuffo di capelli cortissimi che non capivo se erano di un ragazzo o di una ragazza.
Ad un certo punto girò la testa e mi guardò in su. Due occhi intensi azzurro cielo.
Se era un ragazzo, temetti di non avere le idee chiare circa la mia definizione di genere.
Ne ero abbastanza attirato, attratto e piacevolmente incuriosito. Le ciglia lunghe e il tono di voce mi rassicurarono. Non era una voce acuta di ragazzetta ma era sicuramente femminile.
Aveva un tono di voce e una pronuncia che denotavano che non eri italiana anche se parlava molto bene la nostra lingua.
Come fanno spesso i giovani ma anche gli stranieri a volte, mi apostrofò dandomi del tu.
«Ma è sempre così lento questo posto dove si fanno i biglietti del treno? Tu non ti sei ancora scocciato? Devo solo prenotare fra una settimana e sono qui già da 20 minuti… Fra un po' mi piscio addosso…» E fece un sorriso malizioso, nella convinzione di aver detto qualcosa di trasgressivo.
«Ha ragione mademoiselle, è imperdonabile che ci facciano perdere che ci facciano perdere tanto tempo, e che siano così lenti… Ma forse se non ci fosse stata la coda lunga non avrei potuto ammirare i suoi occhi…!»
Fece una risata, e i suoi occhi mandavano una musica piacevolissima…
«Ma tu, fai così con tutte le donne e ragazze…?»
«Certo che no… Solo con le ragazze che mi sconvolgono affascinanti e seducenti come te con i tuoi capelli corti da ragazzetto…»
Ero passato anch'io a darle del tu… Ridacchiavo sornione… E sentivo dentro degli accordi di violino che mi pizzicavano il plesso solare fino alle scapole.
Più tardi eravamo seduti insieme a un tavolino rotondo nella piazzetta delle erbe. Il gelato faceva schifo. Ne avanzai  metà. E  mi feci portare un'acqua tonica con ghiaccio e limone.
Capelli corti si era messa ad arrotolare una sigarettina. Io davo boccate alla pipa.
Mi raccontava di posti in cui era vissuta, che aveva visitato, di persone bizzarre che aveva incontrato… Non le stavo però prestando molta attenzione… Le sorridevo compiaciuto, seguivo a senso quello che mi diceva, ma ero pervaso completamente dall'atmosfera e dell'effetto di insieme. Non  sentivo neanche più il caldo e il sudore che avevo addosso.
Vedevo  e seguivo a flash le immagini che mi raccontava. Passando continuamente da una all'altra. Galleggiavo.
Le risparmiai il lunghissimo e travagliato racconto della mia esistenza. Anch'io con brevi flash. Quelli che mi venivano. Buttai fuori il mio repertorio di frammenti di Lorca, Dante, Beckett... Spezzoni.
Ascoltava attenta, tirando boccate di fumo dal suo sigarettino un po' storto.
Mi  regalò visioni rapide colorite profumate della sua infanzia di bambina, pregne di saporosi odori di legno di bosco di prato di pioggia sul terreno… Di visioni d'acqua di fiumi, laghi, lembi di mare… Nella sua terra remota dell'infanzia. Di cui diverse volte mi pronunciò il nome, e io ridendole confessai che non l'avrei mai ricordato, ma che avrei ricordato sempre il tono della sua voce, le immagini che mi aveva regalato e il suo sguardo…
Quando ci alzammo dal tavolino mi chiede consiglio per dove pernottare. Buttai lì alcune cose che mi venivano in mente, non sapendo le sue disponibilità economiche… Poi ricordo che ci avviammo in una danza di lenti passi, a tirare in lungo… Il più possibile… Almeno da parte mia.
Gironzolammo un po' di qua e di là. Senza  una meta senza una direzione. Lasciandoci trascinare dai passi. Traversammo  probabilmente il viale delle carrozze. Ne ho delle visioni verdi, indistinte, ma comunque vivide. Tutto  quello che esisteva era circondato immerso sprofondato e nuotava nell'atmosfera magica e sognata. Cullato dalla sua voce, dalla sua pronuncia talvolta un po' ostentata su alcuni termini, e della mia voce che mi rimbombava dentro nel torace, nella testa, nella mente.
Ad un certo punto ripiombammo nella realtà.
«Allora  dici che devo cercare un albergo di quelli che mi ha elencato tu? Una pensioncina? Torno a prendere in stazione il bagaglio che ho depositato. Quale dici che è meglio secondo te?»
Come atto involontario e istintivo il nostro passeggiare mi aveva spinto ho portato dalle parti di casa mia. Ricordandomi la frase che aveva detto mentre eravamo in coda alla stazione, le chiesi se ancora avesse bisogno di fare la pipì.
Buttò fuori una risata sonora, tonale, calda…
«Ma mica vuoi che la faccia come voi uomini qui in mezzo alla strada…!»
Poi fu incuriosita da venire su a vedere dove io abitavo. Rise quando vide la palestrina con tutti gli attrezzi, e seppe che non la usavo quasi mai… Volle staccare una piccola rosa carnosa nel giardinetto pensile della terrazza in mansarda. Dopo avermene chiesto il permesso con uno sguardo supplice implorante e seduttivo.
Si sedette sul lettuccio della camera degli ospiti in mansarda. Ci saltò sopra facendo un po' suonare le molle.
Poi mi diede uno sguardo che era una domanda.
«Tu vivi da solo in questa grande casa? No, voglio dire, c'è una donna che vive con te?»
La rassicurai e la tranquillizzai. Vivevo da solo. In quel periodo ero particolarmente singolo. In  una delle mie fasi ricorrenti di scapolo impenitente.
«Ma le donne che hai conosciuto sono tutti un po' stupida allora…! Non ti hanno mai guardato bene e valorizzato… Comunque fatti loro…»
La portai in moto  al deposito bagagli a ritirare il suo zaino. Lo buttò in un angolo e mi chiese se avevo qualcosa da mangiare. Però in quel momento né io né lei avevamo ancora appetito di cibo.
Mi sedetti sul divano di pelle rossa. Lei si mise in ginocchio davanti a me accucciata. Per alcuni lunghi momenti ne io ne lei dicemmo nulla. Poi sfiorai i suoi capelli cortissimi con la mano. Mi lasciò fare. Quando la mano discese sulla guancia accostai un dito alle sue labbra. Me lo lasciò entrare.
Stavo per accendere il condizionatore, ma lei fu più veloce di me.
«Fa un po' caldo qui, io mi tolgo la maglietta se tu non ti scandalizzi…»
Aveva un seno minuto e piccolissimo. Grazioso. Mentre tirava boccate di fumo da un'altra sigarettina che si era arrotolata, le sfiorai il seno sinistro e sentìi il capezzolo irrigidirsi.
Non fu disturbata ma piacevolmente contenta della mia confidenza manuale.
«Però è da quand'eravamo alla tua stazione che devo andare a fare una pisciata, da che parte è?» E ci si diresse spigliata tranquilla e sicura. Poco dopo vidi il suo nudo bianco di latte ritornare. Rimase ancora un pochino accucciata in ginocchio, seduto sui propri talloni. Poi cominciò slacciarmi la camicia. La buttò in un angolo. Mi sfilai la cinta dei pantaloni.
A quel punto mi salì a cavalcioni sulle gambe, e accostò la sua guancia alla mia.
Aveva delle labbra profumate morbide delicate solo leggermente umide. Frugò con le lingua e le labbra la mia bocca. Mentre io le mettevo una mano dietro la schiena carezzandole delicatamente e garbatamente i glutei.
Sentivo il suo petto minuto e sodo contro il mio peloso.
I capezzoli rigidi come due piccole caramelle mi carezzavano.
La mia mano destra si infilò tra i suoi glutei, e con il dito col quale ero entrato nella sua bocca ancora umido di saliva, esplorai il suo piccolo nido posteriore. Si  dilatò per farmi passare.
Le posi le mani sotto entrambe le cosce, la sollevai contro di me alzandomi dal divano. Si reggeva avvinghiandomi con le braccia al collo.
La camera attigua era già fresca e il condizionatore stava facendo il suo lavoro.
La feci sedere sul bordo del letto. Io rimasi in piedi davanti a lei. Prese garbatamente dolcemente la mia carne e cominciò a leccarmi e a succhiarmi…
Era piacevolissimo. Prima che la piacevolezza diventasse eccessiva, scostai delicatamente la sua piccola testa dalla mia carne. La misi sdraiata in mezzo al letto. Le posi un cuscino sotto le natiche. Lei teneva le ginocchia sollevate e le cosce alte.
Tutt'intorno gli specchi ci regalavano il cinema come avevano fatto mentre lei mi prendeva in bocca. Senza farci troppo distrarre dalle immagini, ci concentrammo sulle nostre carni congiunte, io ero entrato nel suo morbido pube di ragazza glabro e depilato, sentivo la sua carne accogliermi generosa, morbida, carezzevole, intensa…
Poi restammo un pochino sdraiati. Io guardavo i suoi occhi azzurro cielo. Ne ero estasiato. Cercavo di parlare il meno possibile.
La baciai sul collo, sui seni, le carezzai a lungo la valle morbida della sua schiena.
Poi  fu lei a girarsi e a mettersi ginocchioni. Visitai con un dito e poi con due il suo piccolo sfintere bruno, umettato di olio extravergine pronto nel cassetto del comodino.
Poi entrai nel paradiso della sua carne in piccoli morbidi colpi e pulsioni. Afferrandola e tenendola per i fianchi. Assecondando i movimenti pelvici miei e suoi.
Lei girò lo sguardo qualche volta e seduttiva e accattivante mi chiese di picchiarla sui glutei.
«Dammi delle sberle, e intanto inculami forte mio bel bestione… Mi piace… Mi piace tanto così…»
Seguii con la coda dell'occhio le ore digitali proiettate sul soffitto. Credo di ricordare di avere continuato così per 20  o 30 minuti.
Poi  finalmente mi lasciai andare. Ululando  e mandando grugniti da bestie in calore.
Avevo incontrato questa ragazza da poco. Non ricordavo neanche la terra e la località da cui arrivava. Ma avevo goduto come non mi era mai capitato nel suo corpo fantastico.
Rimanemmo a carezzarci la pelle il sudore reciprocamente.
Quindi allargare le sue piccole cosce bianche e accostai le labbra alla sua vagina di ragazza.
Con la lingua carezzavo in tutte le direzioni le piccole labbra e il clitoride. Avevo il fiato affannoso. Ad un certo punto cominciò ripetutamente a pronunciare: «sì, così, si, Siiiiiiiiiii…»
Finché fu il suo turno di urlare di gioia, come una cagna in calore scatenata.
Posi il capo sul suo piccolo ventre bianco. Percorso da ondate che andavano dalla vagina al plesso solare. Con la guancia gustavo la carezza di quelle pulsioni.
Credo che dopo ci addormentammo per un po' di tempo entrambi.
Quando parti per la sua destinazione che non ricordo, gli regalò definitivamente l'immagine di quell'istantanea apparizione concreta reale fantastica onirica meravigliosa.
È forse improprio dire che parti.
Probabilmente  non partì mai.
E continuò a venirmi a trovare per giocare con me di nuovo. Le  piaceva il film che vedevamo negli specchi e con gli occhi interiori.
A  questo punto non so più dire dove finisca la realtà del ricordo. E dove invece cominci la realtà quotidiana. Certo è che la vita è sogno. E questo sogno me lo porterò avanti il più a lungo possibile. All'infinito. E anche oltre.



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