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giovedì 21 febbraio 2019

LA RIVA DEL MARE
Le  spiagge nella stagione invernale hanno un aspetto abbastanza desolato. Compaiono fra la sabbia frammenti di reti di nylon dei pescatori. Pezzi più o meno grandi e bianchi di polistirolo. E qualche macchia nera di catrame inzuppa la sabbia.
Quel giorno un immenso velario azzurro grigio stava sospeso sopra il verde del mare.
Voli di gabbiani che si buttavano tra le onde per riemergere con qualche sardina nel becco.
Sibilavano in aria gli strilli prolungati coi quali si chiamavano l'un l'altro.
La sabbia era umida e compatta. E camminandoci restava l'impronta profonda dei passi.
Qua e là qualche residuo di legno di imbarcazioni. E gli scheletri bianchi di tronchi d'albero, con i rami desolatamente protesi verso il nulla aereo soprastante.
Ne scelse uno e vi si sedette.
Il grigio azzurro disteso pullulava di ciuffi bianchi di spuma delle onde.
La risacca batteva piano, pigramente e lenta, inondando la battigia.
E l'acqua ritornava gorgogliando di dove era venuta.
Grande, immensamente grande e smisurato. Tutto quello che aveva davanti.
La bruma sul pelo dell'acqua arrivava fino all'orizzonte. Lasciando  sognare e sperare che al di là ci fosse qualcosa.
Che poteva forse anche esserci. Chi poteva mai dirlo…
Sentiva in quel momento emozioni coerenti con il paesaggio.
L'ansimare dell'immenso animale acqueo. Gli strilli urlati si dilatavano intorno. Una brezza leggera faceva a tratti arrivare spruzzi minuscoli sul volto e sulle mani.
Era una metafora del suo stato d'animo. E in essa, con i pennelli e le tempere mentali della sua fantasia, Prese a disegnare un bozzetto.
Sulla destra dispose accuratamente, uno accanto all'altro, tronchi di betulle e di platani. Preferì reinventarli ancora colmi di foglie verdi. Rigogliose. Placide e pensose come sa essere il bosco e la selva. Scomparsa la sabbia, poté descrivere e vedere un prato d'erba un po' stentato. Nel quale ancora restavano le foglie dell'autunno precedente. Se ne stava seduto su una panchina verde che sostituiva il tronco bianco di prima.
A sinistra una piccola chiesetta minuta, dalla porta massiccia verniciata di colore bruno.
Sul davanti, da un lato, rugginosa tra i resti di vernice verde, una fontanella di ghisa. Che  in quel momento non buttava acqua come fosse assorta nei suoi pensieri.
Dietro la chiesetta, sfilacciate verso l'alto, le sagome scure e confuse tra loro di altri alberi. Una massa verde intenso, colmo d'ombra.
Mancava soltanto il respiro ansimante della risacca. E gli strilli dei gabbiani erano ora sostituiti da altri volatili, che si rincorrevano con ghirigori visivi sul telone celeste.
Ed era stato proprio poco dopo che la campana stonata del piccolo campanile aveva dato dei suoi rintocchi. Dalla macchia al lato destro, intravide muoversi una sagoma.
E divenne sempre di più distinta man mano che entrava nello spiazzo.
Una leggiadra figura femminile. Un abito lungo fino ai piedi di velluto verde e castano decorato di eleganti losanghe di colore dorato.
Una cintura dello stesso aspetto, cingeva la vita. Molto alta. Appena  sotto il seno. Che per quanto minuscolo prendeva il piglio per ergersi timido, ma insieme deciso e spigliato, dando armonia a tutta la figura.
Una ricca treccia stava raccolta girandole intorno al capo. Dove diademi di grossi rubini e ametiste la tenevano raccolta.
Il suo incedere era insieme deciso e guardingo.
Muoveva passi lentissimi. E anche continuava a venire avanti.
«Permettete, messere? Temo di essermi smarrita nel bosco. Ci ero andata con le mie fantesche a cercare sotto le foglie le fragolette selvatiche. Minuscole. Dolcissime e fragranti. Per i funghi sarebbe stato ancora troppo presto vista la stagione. Ne convenite?
Abbiate la compiacenza, ve ne prego, di dirmi il nome di questo luogo incantevole, dolce, sereno in cui sono venuta a sbucare…»
La grazia del portamento e dei gesti, non era da meno rispetto alla sua voce.
Sfumava la lettera esse, talvolta dandole una cadenza di campagna. Dall'altra facendola vibrare con un sibilo delicato come il richiamo di un'allodola.
Si  alzò allora dalla panchetta. Con gesto ampio e plateale, si tolse l'immenso cappello decorato di piume di struzzo. Lo fece volteggiare in aria. Fece  una riverenza. Piegò leggermente il ginocchio.
«Per servirvi, damigella! La vostra apparizione imprevista, mi ero permesso di immaginarla e di sognarla da tempo. Sarò ben lieto, per compiacervi, di raccontarvi di questa landa e di questo borgo collinare…»
Con la loquela che gli era abituale illustrò il nome del sito le condizioni climatiche prevalenti. La popolazione residente e i luoghi più incantevoli che meritavano di essere visitati.
Intanto la donzella gli si era avvicinata, porgendogli la mano che lui accostò alle labbra
al gesto di lui si sedette al suo fianco sulla panchetta modesta.
Gli ameni conversari intrattennero la deliziosa coppia, per un tempo indefinito.
Ad un tratto fu lei, guardandolo negli occhi col suo sguardo turchino, ad apostrofarlo così:
«Dovete sapere, messer gentiluomo, che il mio nome è Artemisia.
Fin dalla più tenera età, dedicandomi al ricamo, avevo fantasticato incontro come questo
quasi mai mi viene concesso di uscire da sola. E ora, come vedete, ho smarrito per un po' mie fantesche. Palesatemi dunque il vostro nome se vi è consentito… Che io possa ricordarlo nei miei pensieri, e annotarlo nelle pagine dei miei ricordi quotidiani.
Voi siete certamente di nobile lignaggio. E se non lo siete per nascita, dal vostro parlare e dai vostri modi eccellenti, siete certamente nobile d'animo, di pensieri, di propositi.
Il nome di questo luogo  non mi dice assolutamente nulla. Mai prima l'avevo sentito. Perciò come faccio spesso in situazioni simili, mi farò convinta di trovarmi in un "non luogo". E insieme tutte le località della terra dello spazio e del tempo.
E dato che spesso la mia condizione esistenziale me lo impedisce, sicura di non essere vista, scoperta, rimproverata, voglio tirar fuori dal mio portamento regale, il profondo della mia anima autentica…»
E ciò dicendo, allungò le mani dietro la propria schiena e slacciò il corsetto che le legava l'abito.
E lo lasciò così scivolare ai propri piedi.
Con mano ferma e decisa tolse lo spillone che le teneva ferma la treccia sul capo. La sciolse. E una chioma fluente dorata le coprì il bianco del corpo…
Lui fece altrettanto. Sfilò  con un gesto rapido il giustacuore, che quindi mostrò la camicia bianca di batista con i piccoli pizzi sulle maniche e ai polsi..
Gli immensi stivali vennero scacciati via.
Ed entrambi di comune intesa si sdraiarono sul tappeto dei propri indumenti stesi disordinatamente sul terreno erboso.
Lui  le sfiorò la guancia e gli zigomi con dita delicate come quelle suonatore di viuela.
Lei afferrò la mano di lui. La  portò alle labbra e le baciò il palmo.
Nessuno men che mai sarebbe potuto capitare in quel luogo incantevole. Nessuno ne sapeva l'esistenza. Ed era un luogo/non luogo perché l'avevano creato loro due col proprio sogno e il proprio desiderio. Lei gli si accucciò al fianco. Gli  lasciò sfilare gli indumenti di raso che ancora, vezzosi, le nascondevano le pudenda.
Voli rapidi di collane di uccelli sonori percorrevano l'aria.
La dimensione era adatta per lasciarli sbizzarrire in quel sogno stupendo.
Lui la possedette e lei gli si avvinghiò. Lei offerse il frutto più pregiato del suo corpo. E lui se ne cibo golosamente ingordo.
Poi, fu lei che volle aprire la bocca per nutrirsi alla fonte che lui le offriva.
E di nuovo gli regalò l'anfratto umido e scuro che serbava tra le albicocche dei suoi glutei.
Nulla intorno se non il coro dei voli festosi ed ebbri d'allegria.
«Il mio sogno virginale ha avuto compimento. Non più dovrò trastullarmi da sola sotto l'alcova alta del mio letto di ragazza. Tu mi hai iniziato in modo energico e concreto ai piaceri che sognavo e desideravo fin da bambina.
E non importa quale sia questo luogo dove ci troviamo ora. Fantastico lo è. Sappi che ti attendo al più presto nella mia realtà quotidiana.
Come avrai ben immaginato, un maleficio crudele mi ha impedito i movimenti. Come la sirenetta di Andersen ogni passo mi provoca dolori lancinanti. Ma ora so, con certezza assoluta, che il nefasto incantesimo si avvia a scomparire.
Tu mi cercherai anche dopo, fuori da questo sogno leggiadro.
Io ti cercherò come faccio da sempre e ti troverò, stanne ben certo!»
I girotondi dei voli nel cielo si ritirarono sommessi.

Il bosco e la selva si dileguarono come nebbia.
Rimase soltanto la grigia, solitaria, spiaggia del mare di febbraio.
L'onda dava le ultime carezze alla spiaggia sabbiosa.
Lui si alzò dal tronco bianco dove era stato seduto.
E decise di dirigersi verso la realtà.  Verso  il roseto che aveva fatto sbocciare quell'incantevole apparizione. Non avrebbe strappato la rosa appena l'avrebbe trovata.
Lasciandola attaccata al ramo del cespuglio dove era vissuto sinora. Avrebbe accostato le labbra alla rugiada di quei petali carnosi. Per dissetarsi all'infinito. Ora che l'incantesimo e il maleficio stavano scomparendo.
Orientò perciò i suoi passi verso il paradiso che sapeva pronto ad attenderlo. E mentalmente tenne la mano morbido di lei nella propria.

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