VIAGGIARE SOTT'ACQUA
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Avrò avuto poco più di vent'anni. Massimo 25. Unico episodio ricorrente per un
po' di tempo di frequentazione di un gruppo di amici stabile. Un odontotecnico.
Un lavoro autonomo autosufficiente. Totalmente indipendente. Un dipendente di
banca particolarmente dotato nella grafica. E per questo distaccato a
coordinare il lavoro del giornale aziendale. Altri amici variabili di volta in
volta.
Me
l'avevano proposto inaspettatamente una delle sere in cui ci si trovava al bar
caffè novecento. Mi era saltato subito il cuore in gola. Si trattava di partire
da lì a qualche settimana. Isola del Giglio. Viaggio in treno.
Allora
sui terreni si fumava ancora.
C'era
di bello con questi amici che erano molto divertente nelle cose che narravano.
Aneddoti. Episodi. Personaggi particolari e caratteristici.
Il
viaggio da Novara fino a Porto Santo Stefano era volato via piacevolmente.
Mi
ero procurato diversi costumi da bagno. Si usavano ancora gli slip. E un paio
di salviettoni da spiaggia.
A
Porto Santo Stefano avevo atteso con loro che arrivasse il traghetto.
Dal
Giglio Porto un piccolo pullman portava poi al Campese sul lato opposto
dell'isola verso nord.
Disponevamo
di qualche piccola tenda canadese. E ci dormivamo sistemandoci in un vecchio
campo di ulivi dismesso e abbandonato.
Solo
al mattino, al sorgere del sole, quando la temperatura nella tenda diventava
insopportabile per i raggi solari, sentivamo arrivare il vecchio custode. Che
con la sua parlata toscana ci invitava
ad andarsene.
"Oh…
Giovinotti… …Un se pole restare qui dentro… Codesta l’è proprietà privata… La
vonno capì che se ne deveno annar via…!?"
E con
garbo e discrezione rituale, si limitava a scuotere un pochino in qua e in là
la struttura della tenda afferrandola per i paletti che la reggevano.
Lo
sentivo arrivare tutte le mattine. Prima da una tenda poi da un'altra… Bastava
solo rimanere zitti zitti… Far finta di non esserci dentro. E alla fine lui se
ne andava e non ritornava più. Poi con calma ci alzavamo. E andavamo in
spiaggia. Nella zona antistante, lì al Campese, c'era il ristorante Da
Giovanni. Pranzavamo lì e anche la cena la consumavamo da lui. Ci conosceva. E
ci lasciava usare i servizi, la toilette, e ci lavavamo e facevamo la doccia.
Restavamo
praticamente tutto il giorno e spiaggia. Bisognava stare attenti alle
insolazioni. Ogni tanto ci alzavamo e ci spostavamo all'ombra perché non
avevamo ombrelloni. Ricordo che a volte dopo pranzo anche a me era capitato di
addormentarmi nella esigua fetta d'ombra di una barca rovesciata.
Dopo
qualche giorno, nonostante le creme che ci mettevamo diventavamo rossi come
gamberi. Qualche volta avevamo dovuto ricorrere ad apposite pomate per ridurre
il rossore. E di notte nella tenda era come avere la febbre.
Degli
amici comuni arrivavano più o meno nello stesso periodo. Lui era titolare di un
negozio di fiori a Torino. Con l'auto trainava fin lì un catamarano. Che ci
ospitava benissimo tutti. Disponeva di un piccolo motore a cinque cavalli.
Lentissimo. Con quello andavamo al largo. E a volte ci spostavamo sulla costa
ad ovest nella baia dell'Allume.
C'era
una vecchia miniera e cava di allume di rocca. Già dal tempo dei romani pareva.
Il minerale col quale si facevano quelle piccole matite emostatiche, con le
quali bloccare i piccoli tagli che ci si faceva radendoci col rasoio a lama.
Mi
ero procurato delle pinne. Una maschera con boccaglio. E la cintura di nylon
corredata dei piombi per riuscire ad andare sott'acqua. Per poco prezzo mi ero
trovato anche un piccolo profondimetro da polso pure di plastica. Aveva un quadrante numerato. E
sulla circonferenza ci girava un tubicino di plastica. Chiuso da un lato. Era
abbastanza approssimativo ma dava indicazioni sufficienti per verificare a
quanti metri si scendeva. Ricordo che una volta, mi stavano quasi scoppiando i
polmoni scendendo in apnea, il quadrante indicava che ero arrivato a 16 m
addirittura…!
Da
una ditta di generi da sub avevo acquistato un fucile ad aria compressa con
fiocina. Gli amici ne avevano altri ad elastici.
Alla
cintura tenevo un coltello di acciaio inossidabile con l'impugnatura di
plastica gialla e blu.
Fucile
e coltello non mi servirono mai.
La
cosa bella, affascinante, era la visione che si riusciva ad avere guardando il
fondale. Pesci vari aspetti e colori. Cespugli di alghe che ondeggiavano di qua
e di là. E i fondali di roccia meravigliosi da osservare e da guardare.
Il
vetro della maschera faceva da lente d'ingrandimento per cui tutti gli oggetti
risultavano molto più grandi del reale.
Ricordo
che una volta avevo visto un piccolo polipo color bruno, che muoveva i suoi
tentacoli come piedi spostandosi su una roccia. Mi guardava con aria tenera.
Muoveva qualche passo. Si arrestava. Tornava a guardarmi. Sembrava implorarmi.
Di non fargli del male.
Lo
lasciai tranquillo. E andò a rimpiattarsi in una piccola rientranza.
Continuando a sporgere il capo e i suoi occhioni affettuosi.
Quando
tornai in superficie mi resi conto che avevo avuto un contatto del terzo tipo.
Il suo mondo si era incontrato con il mio. Col mio aspetto buffo. Maschera.
Boccaglio. Cintura coi piombi. Pugnale alla cintola di plastica giallo azzurro.
Prolunga dei piedi nelle pinne. Avrei potuto anche ucciderlo. Ma lui mi aveva
scongiurato. E senza parole, come può avvenire tra dimensioni esistenziali
diverse, e soprattutto in fondo al mare, ci eravamo parlati.
Un'altra
preda, abbastanza inutile da catturare, erano delle grosse conchiglie della
stessa forma delle cozze. Ma grigie. Con incrostazioni. Stavano con la punta
piantata nella sabbia. A volte raggiungevano addirittura dimensione di 30 o 50
cm di lunghezza. Nella parlata locale le chiamavano le “gnacchere”. A volte
qualcuno degli amici ne aveva catturata una. Poverina. Aperta con il coltello,
aveva mostrato quello che chiamavamo il muscolo. E talvolta dentro ci stava
qualcosa di simile ad una perla. Con forme strane e colori vari. Ricordo che
qualche volta avevano trovato una perla a forma di spilla. Con una capocchia
grossa tonda, e un prolungamento dall'altro lato. La tenera polpa del muscolo
era stata fatta soffriggere per l'amico fiorista, che aveva un bambino piccolo
e sua moglie l'aveva cucinata.
Noi
non avevamo assolutamente attrezzatura per cucinare. Ed eravamo più che
soddisfatti dei pasti che consumavamo da Giovanni.
Ricordo
che si beveva a tavola un vino giallo oro, gelato, che dentro aveva tanti
aromi. Come di resina. Di bosco. Forse anche di mare.
Uno
di quegli anni, ci saremmo tornati almeno cinque o sei volte, andammo nella
parte alta del paese, al Giglio Castello. E ne comprammo delle taniche di quel
vino antico e molto sapido. Da portare a casa.
Nel
frattempo negli anni successivi l'amico odontotecnico ci era venuto con l'auto.
Una Dyane, con la quale rimorchiava un carrello sul quale teneva in un cassone
ripiegato un gommone e il suo motore.
Con
il gommone credo che riuscissimo a spostarci molto più rapidamente. Viaggiava a
30 o 40 nodi all'ora. Ci stavamo comodamente fino a sei o otto persone. Il
catamarano ci seguiva lentamente con il suo piccolo motore borbottante. Poi ci
si ritrovava alla destinazione o al largo.
Mi
avevano anche insegnato a reggere la randa. Il fiocco. Talvolta il controfiocco.
Oppure a stare al timone. In quel caso il motore veniva sollevato fuori
dell'acqua. E si viaggiava a vela.
Avevo
scoperto quanto fosse pesante e difficile reggere il cavo che teneva la randa
in tensione per il vento. Qualche volta addirittura, si stava con i piedi
puntati sul bordo dell'imbarcazione, orizzontali sul pelo dell'acqua, finché il
vento reggeva. A volte, purtroppo per la mia pigrizia, decine e decine di
minuti…!
A
parte gli spostamenti e i pasti insieme chiacchierando, ciascuno di noi
viaggiava sott'acqua per conto proprio. E io lo trovavo molto funzionale con il
mio carattere. Molto consono. Già allora infatti mi divertivo a chiacchierare
con me stesso. Ed era strano, affascinante, meraviglioso, il periodo che
riuscivo a trascorrere in apnea, nell'azzurro sempre più cupo man mano che si
scendeva verso il fondo. Chiacchierando con me stesso e con le immagini che non
dimenticherò mai.
Quei
viaggi subacquei e quelle vacanze continuano a galleggiare nell'azzurro intenso
marino del ricordo.
Qualcuno
degli amici poi si era sposato.
Qualcun
altro pure.
Forse
l'avevo poi fatto anch'io qualche volta.
Avevo
smesso di frequentarli.
Incontrandoli
magari solo qualche volta di sfuggita.
Solo
ora ci sto tornando per trovarli, guardare quel tempo, e lo sguardo implorante
del mio amico piccolo tenero timido spaventato amico polpo…."
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