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giovedì 1 novembre 2018

VIAGGIARE SOTT'ACQUA



VIAGGIARE SOTT'ACQUA
« Avrò avuto poco più di vent'anni. Massimo 25. Unico episodio ricorrente per un po' di tempo di frequentazione di un gruppo di amici stabile. Un odontotecnico. Un lavoro autonomo autosufficiente. Totalmente indipendente. Un dipendente di banca particolarmente dotato nella grafica. E per questo distaccato a coordinare il lavoro del giornale aziendale. Altri amici variabili di volta in volta.
Me l'avevano proposto inaspettatamente una delle sere in cui ci si trovava al bar caffè novecento. Mi era saltato subito il cuore in gola. Si trattava di partire da lì a qualche settimana. Isola del Giglio. Viaggio in treno.
Allora sui terreni si fumava ancora.
C'era di bello con questi amici che erano molto divertente nelle cose che narravano. Aneddoti. Episodi. Personaggi particolari e caratteristici.
Il viaggio da Novara fino a Porto Santo Stefano era volato via piacevolmente.
Mi ero procurato diversi costumi da bagno. Si usavano ancora gli slip. E un paio di salviettoni da spiaggia.
A Porto Santo Stefano avevo atteso con loro che arrivasse il traghetto.
Dal Giglio Porto un piccolo pullman portava poi al Campese sul lato opposto dell'isola verso nord.
Disponevamo di qualche piccola tenda canadese. E ci dormivamo sistemandoci in un vecchio campo di ulivi dismesso e abbandonato.
Solo al mattino, al sorgere del sole, quando la temperatura nella tenda diventava insopportabile per i raggi solari, sentivamo arrivare il vecchio custode. Che con la sua parlata toscana ci  invitava ad andarsene.
"Oh… Giovinotti… …Un se pole restare qui dentro… Codesta l’è proprietà privata… La vonno capì che se ne deveno annar via…!?"
E con garbo e discrezione rituale, si limitava a scuotere un pochino in qua e in là la struttura della tenda afferrandola per i paletti che la reggevano.
Lo sentivo arrivare tutte le mattine. Prima da una tenda poi da un'altra… Bastava solo rimanere zitti zitti… Far finta di non esserci dentro. E alla fine lui se ne andava e non ritornava più. Poi con calma ci alzavamo. E andavamo in spiaggia. Nella zona antistante, lì al Campese, c'era il ristorante Da Giovanni. Pranzavamo lì e anche la cena la consumavamo da lui. Ci conosceva. E ci lasciava usare i servizi, la toilette, e ci lavavamo e facevamo la doccia.
Restavamo praticamente tutto il giorno e spiaggia. Bisognava stare attenti alle insolazioni. Ogni tanto ci alzavamo e ci spostavamo all'ombra perché non avevamo ombrelloni. Ricordo che a volte dopo pranzo anche a me era capitato di addormentarmi nella esigua fetta d'ombra di una barca rovesciata.
Dopo qualche giorno, nonostante le creme che ci mettevamo diventavamo rossi come gamberi. Qualche volta avevamo dovuto ricorrere ad apposite pomate per ridurre il rossore. E di notte nella tenda era come avere la febbre.
Degli amici comuni arrivavano più o meno nello stesso periodo. Lui era titolare di un negozio di fiori a Torino. Con l'auto trainava fin lì un catamarano. Che ci ospitava benissimo tutti. Disponeva di un piccolo motore a cinque cavalli. Lentissimo. Con quello andavamo al largo. E a volte ci spostavamo sulla costa ad ovest nella baia dell'Allume.
C'era una vecchia miniera e cava di allume di rocca. Già dal tempo dei romani pareva. Il minerale col quale si facevano quelle piccole matite emostatiche, con le quali bloccare i piccoli tagli che ci si faceva radendoci col rasoio a lama.
Mi ero procurato delle pinne. Una maschera con boccaglio. E la cintura di nylon corredata dei piombi per riuscire ad andare sott'acqua. Per poco prezzo mi ero trovato anche un piccolo profondimetro da polso pure  di plastica. Aveva un quadrante numerato. E sulla circonferenza ci girava un tubicino di plastica. Chiuso da un lato. Era abbastanza approssimativo ma dava indicazioni sufficienti per verificare a quanti metri si scendeva. Ricordo che una volta, mi stavano quasi scoppiando i polmoni scendendo in apnea, il quadrante indicava che ero arrivato a 16 m addirittura…!
Da una ditta di generi da sub avevo acquistato un fucile ad aria compressa con fiocina. Gli amici ne avevano altri ad elastici.
Alla cintura tenevo un coltello di acciaio inossidabile con l'impugnatura di plastica gialla e blu.
Fucile e coltello non mi servirono mai.
La cosa bella, affascinante, era la visione che si riusciva ad avere guardando il fondale. Pesci vari aspetti e colori. Cespugli di alghe che ondeggiavano di qua e di là. E i fondali di roccia meravigliosi da osservare e da guardare.
Il vetro della maschera faceva da lente d'ingrandimento per cui tutti gli oggetti risultavano molto più grandi del reale.
Ricordo che una volta avevo visto un piccolo polipo color bruno, che muoveva i suoi tentacoli come piedi spostandosi su una roccia. Mi guardava con aria tenera. Muoveva qualche passo. Si arrestava. Tornava a guardarmi. Sembrava implorarmi. Di non fargli del male.
Lo lasciai tranquillo. E andò a rimpiattarsi in una piccola rientranza. Continuando a sporgere il capo e i suoi occhioni affettuosi.
Quando tornai in superficie mi resi conto che avevo avuto un contatto del terzo tipo. Il suo mondo si era incontrato con il mio. Col mio aspetto buffo. Maschera. Boccaglio. Cintura coi piombi. Pugnale alla cintola di plastica giallo azzurro. Prolunga dei piedi nelle pinne. Avrei potuto anche ucciderlo. Ma lui mi aveva scongiurato. E senza parole, come può avvenire tra dimensioni esistenziali diverse, e soprattutto in fondo al mare, ci eravamo parlati.
Un'altra preda, abbastanza inutile da catturare, erano delle grosse conchiglie della stessa forma delle cozze. Ma grigie. Con incrostazioni. Stavano con la punta piantata nella sabbia. A volte raggiungevano addirittura dimensione di 30 o 50 cm di lunghezza. Nella parlata locale le chiamavano le “gnacchere”. A volte qualcuno degli amici ne aveva catturata una. Poverina. Aperta con il coltello, aveva mostrato quello che chiamavamo il muscolo. E talvolta dentro ci stava qualcosa di simile ad una perla. Con forme strane e colori vari. Ricordo che qualche volta avevano trovato una perla a forma di spilla. Con una capocchia grossa tonda, e un prolungamento dall'altro lato. La tenera polpa del muscolo era stata fatta soffriggere per l'amico fiorista, che aveva un bambino piccolo e sua moglie l'aveva cucinata.
Noi non avevamo assolutamente attrezzatura per cucinare. Ed eravamo più che soddisfatti dei pasti che consumavamo da Giovanni.
Ricordo che si beveva a tavola un vino giallo oro, gelato, che dentro aveva tanti aromi. Come di resina. Di bosco. Forse anche di mare.
Uno di quegli anni, ci saremmo tornati almeno cinque o sei volte, andammo nella parte alta del paese, al Giglio Castello. E ne comprammo delle taniche di quel vino antico e molto sapido. Da portare a casa.
Nel frattempo negli anni successivi l'amico odontotecnico ci era venuto con l'auto. Una Dyane, con la quale rimorchiava un carrello sul quale teneva in un cassone ripiegato un gommone e il suo motore.
Con il gommone credo che riuscissimo a spostarci molto più rapidamente. Viaggiava a 30 o 40 nodi all'ora. Ci stavamo comodamente fino a sei o otto persone. Il catamarano ci seguiva lentamente con il suo piccolo motore borbottante. Poi ci si ritrovava alla destinazione o al largo.
Mi avevano anche insegnato a reggere la randa. Il fiocco. Talvolta il controfiocco. Oppure a stare al timone. In quel caso il motore veniva sollevato fuori dell'acqua. E si viaggiava a vela.
Avevo scoperto quanto fosse pesante e difficile reggere il cavo che teneva la randa in tensione per il vento. Qualche volta addirittura, si stava con i piedi puntati sul bordo dell'imbarcazione, orizzontali sul pelo dell'acqua, finché il vento reggeva. A volte, purtroppo per la mia pigrizia, decine e decine di minuti…!
A parte gli spostamenti e i pasti insieme chiacchierando, ciascuno di noi viaggiava sott'acqua per conto proprio. E io lo trovavo molto funzionale con il mio carattere. Molto consono. Già allora infatti mi divertivo a chiacchierare con me stesso. Ed era strano, affascinante, meraviglioso, il periodo che riuscivo a trascorrere in apnea, nell'azzurro sempre più cupo man mano che si scendeva verso il fondo. Chiacchierando con me stesso e con le immagini che non dimenticherò mai.
Quei viaggi subacquei e quelle vacanze continuano a galleggiare nell'azzurro intenso marino del ricordo.
Qualcuno degli amici poi si era sposato.
Qualcun altro pure.
Forse l'avevo poi fatto anch'io qualche volta.
Avevo smesso di frequentarli.
Incontrandoli magari solo qualche volta di sfuggita.
Solo ora ci sto tornando per trovarli, guardare quel tempo, e lo sguardo implorante del mio amico piccolo tenero timido spaventato amico polpo…."

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