Recensione
allo spettacolo di ieri sera a San Maurizio d'Opaglio.
Non
te l'aspetteresti forse…! Eppure, in un piccolo teatro di un paese del lago
d'Orta, San Maurizio d'Opaglio, io continuo ad assistere sempre più a
spettacoli di altissimo livello.
È di
ieri sera: "QUEL CHE L'ACQUA NASCONDE".
Un
racconto teatrale molto serrato, senza pause, che non ti lascia tirare il
fiato, trascinandoti all'indietro, negli anni 70.
Con
la struttura del thriller, ma che non vuole e non può essere assolutamente fine
a se stesso.
Rimando
per la trama, a quanto in modo esaustivo compare nel Web.
Ho
inutilmente cercato tre miei scritti anche quelli pubblicati in passato da me
qui in FB: non ho trovato riflessioni che già avevo buttato giù. Tanto vale
quindi riscriverle daccapo.
A
cavallo dell'esperienza politica del gruppo di "il manifesto" di
Novara, si intreccia quella del "Circolo Rosa Luxemburg". Io allora
ero un giovane insegnante molto precario, e mi arrampicavo nelle valli dell'Ossola
con treni e altri mezzi per fare il professore…
Il
pendolarismo, per quanto molto pesante faticoso, mi permetteva di frequentare
il circolo.
I
ricchi e vivaci fermenti che vi taglieggiavano allora la vita culturale e
politica, anche nella piccola città di provincia di Novara, avevano permesso di
affondare l'attenzione sulla realtà manicomiale. Mi limito a raccontare flashes
ed episodi.
Con
competenza meticolosa, come pure stava avvenendo in molte parti del paese, e
nella vicina Torino, era venuto alla luce la realtà del lager di viale Roma.
Gran parte dei pazienti ivi reclusi, era risultata non affetta da patologie
mentali tali da giustificare la detenzione pseudo curativa. Dal racconto che ne
sentii in situazioni pubbliche, non era raro ma molto frequente che molte e
molti ricoverati ci si fossero trovati senza motivo. Fin da bambini a volte. O
per lievi disturbi comportamentali. Con le motivazioni allora narrate, di
secondi fini… Motivi economici, beghe familiari, interessi legati all'eredità…
Il
fenomeno emergente di quel tempo di cui parlo, era quello legato alla terapia
del lavoro. "Ergo terapia". Lavoretti seriali venivano imposti come
forma di cura, spesso a tempo pieno, senza quasi nessuna retribuzione.
Giustificando ciò con il mantenimento nel nosocomio.
Per
farla breve, ricordo in particolare una serata pubblica nel salone dell'arengo
cittadino del Broletto. Moltissimi, serrati, appassionati e sofferte
interventi. Di chi forniva dati, argomentazioni, o narrava i propri vissuti
personali subìti là.
Al
termine della serata, un nutrito e consistente gruppo di aderenti al circolo,
decise di muovere nel cuore della notte, verso il manicomio. Il percorso fu in
gran parte compiuto correndo, e scandendo lo slogan: "ERGO TERAPIA-CARNE
UMANA".
Una
delegazione riuscì a farsi ricevere dal primario e direttore.
Poi
gli eventi portarono alla legge Basaglia. Innovativa è rivoluzionaria quanto
castrata e orfana. L'abolizione e la chiusura delle strutture manicomiali, non
ebbe seguito con quanto necessario, opportuno, indispensabile: creazione sul
territorio di supporti, ambulatori, consultori o case famiglia adeguati. In
ciò, nulla di diverso da quello che avveniva nel resto del paese.
Unica
voce che si levò nel dibattito serale, fu quella di un insigne psichiatra. Ora
affermato e brillante curatore di testi non solo specialistici. Ricordo le sue
parole, pronunciate con voce stentorea, non certo a contrastare il caso che la
protesta, ma piuttosto a proporre di non fare di tutta l'erba un fascio.
"Signori,
badate bene, nonostante la grande verità che ora emerge, non dimentichiamo che:
LA SOFFERENZA PSICHICA ESISTE!"
Già
da ragazzo, ero stato alcune volte nei rari momenti in cui trascorrevo qualche
giorno a casa rispetto alla istituzione in cui vivevo in quanto orfano di
padre, ad accompagnare mia madre. Brillante soprano per cinque anni al Teatro
alla Scala, rimasta vedova, dava lezioni private al pianoforte di casa nostra,
di "bel canto". Aiutando gli appassionati della lirica a sviluppare
la propria passione e le proprie doti, con l'impostare la voce sui fiati
secondo il metodo Garcia.
Ogni
tanto, quando poteva, gratuitamente, andava al manicomio di Novara a trovare
"quei ragazzi". Con i quali faceva musica. Musicoterapia.
Qualche
volta mi aveva portato con lei.
Al confronto
con l'orfanotrofio dove vivevo, e che già mi sembrava terribile, quel luogo che
doveva essere di cura mi spaventò!
Su
un'ampia area sorgevano palazzine che ricordavano molto la disposizione delle
baracche nei lager di sterminio nazisti. Fortunatamente in muratura. I soffitti
bassi dei locali. Imponenti e massicce inferriate a tutte le finestre. Volti
miserevoli, profondamente onesti e tristi. Frutto delle cure prevalenti che
sentivo descrivere, per l'elettroshock. E per le iniezioni di zolfo come dicevano
i poverini. Ricordo in particolare uno di loro. Lo chiamavano Nicolino.
Abitualmente vestiva con giacche malandate, ostentando però al collo un numero
infinito di cravatte… Appena mia madre arrivava le andava incontro. "Ciao,
professoressa, che ho portato un regalo…" E pronunciava “poesoressa”, con
voce tremante e sguardo che navigava intorno. E metteva nelle sue mani fogli di
carta su cui aveva vergato grafemi incomprensibili…
L'ambiente
di questi incontri veniva sorvegliato da massicci infermieri armadio, che alla
cintola, sopra il grembiule bianco,
avevano una cintura con appesi sonanti e minacciose mazzi di chiavi.
Più
di una volta avevano rivolto un rimprovero burbero anche a Nicolino: "stai
attento tu… Non avvicinarti troppo…"
Mia
madre dolce, gentile e accogliente, cercava di tranquillizzare il severo
guardiano…
Ieri
sera, al TEATRO DELLE SELVE, di San Maurizio d'Opaglio, ho rivissuto
mentalmente quei ricordi… Soprattutto quando nella narrazione teatrale venivano
descritti gli spazi, gli ambienti, la contenzione, i corpi ignudi, bambini e
bambine legati ai termosifoni o ai letti…
Dentro
gli episodi che venivano dolorosamente portati alla luce, riuscivo a vedere dei
flashes che avevo già vissuto. Per quanto io avessi avuto da ragazzo la fortuna
di vederli nei momenti ufficiali, di rappresentanza, formali… Ma le brutalità
le avevo intuite, immaginate, temute…
Non
ho appurato se il romanzo di Alessandro Perissinotto da cui venne tratto il
lavoro teatrale si basava su un particolare oggettivamente localizzabile.
Parlava di "villa azzurra" nel manicomio di Collegno…
Spesso
nella narrazione i connotati i nomi e i luoghi vengono intenzionalmente
modificati. Lasciando viva autentica profondamente vera la sostanza narrata!
Noi
del circolo Rosa Luxemburg ci eravamo limitati al dibattito pubblico, acceso,
appassionato, seguito poi dalla marcia a passo di corsa urlando lo slogan… Al
colloquio col primario… Al volantinaggio della città sulla vergogna
manicomiale…
Non
ricordo di aver ascoltato situazioni analoghe a quelle che lo pièce teatrale ha
portato alla luce ieri sera. Il che non significa assolutamente che non
esistessero, che non ci fossero, che fosse un piccolo eden dove al massimo
venivano sfruttati i pazienti…
Nella
vicenda ambientata a Torino, alcune vittime, si erano organizzate in una
vendetta… Mescolando la propria giusta protesta alle modalità dei brigatisti
rossi.
"LA
SOFFERENZA PSICHICA ESISTE"!
Ma
forse non bisogna dimenticare che anche la sofferenza, i maltrattamenti, le
brutalità nei confronti dei sottoposti, adulti o meno che fossero, ESSA PURE
ESISTE!
È
esistita. Ha lasciato le sue ferite e le sue cicatrici. E anche nel nostro bel
paese, sommersa, nascosta, celata e clandestina, forse sta ancora covando,
chissà dove.
Prima
o poi emergerà!
Un
grazie sentito a Franco Acquaviva per avere offerto questo stupendo spaccato di
quasi cinquant'anni fa. Agli attori meravigliosi. Alla regista Ivana Ferri.
A
tutti noi che ci siamo stati. Abbiamo assistito. Abbiamo partecipato.
Una
vera autentica opera d'arte, sia essa poesia, narrazione, pièce teatrale,
composizione musicale, grafica o figurativa, perché possa a ragione e con
diritto definirsi tale, deve riuscire a farvi vivere profonde autentiche
emozioni!
In un
piccolo teatro di un piccolo paese del piccolo lago d'Orta, in provincia di
Novara, tutto questo è avvenuto ieri sera. E avviene frequentemente.
Non
basta a definire teatro, poesia, narrazione, un qualcosa… Non basta l'aspetto
formale esteriore. Quello è solo un contenitore! Ieri sera il contenitore era
impeccabile, stupendo, è perfettamente adeguato al contenuto! GRAZIE!
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