scegli argomenti:

domenica 7 novembre 2021

CHE FINE HA FATTO ZIA MATILDE? (completo)



 CHE FINE HA FATTO ZIA MATILDE? Cap.1.  È  chiaro da subito, che se si vogliono avere informazioni più dettagliate, occorre ci si rechi sul posto.  Perché, non basta la telefonata ricevuta: ""qui succede una cosa imprevista, ci stiamo diventando matti…"" Magari aggiungendo col contagocce qualche particolare: chi è stato coinvolto, in che situazione, dove… Troppo poco. Soprattutto se tu ti trovi da tutt'altra parte. Fuori da quel contesto. E sai pochissimo di quella persona. Se non indirettamente e di seconda mano.  Per fare un po' di luce; meglio collocare la vicenda nell'ambiente suo proprio. Per farla un po' breve: è successo qualcosa nelle ultime case antiche residue del centro storico. Sì, visto che la maggior parte di esse sono state ristrutturate e trasformate in abitazioni di lusso, residenziali, estremamente eleganti. Ma non tutte!  Per qualcuna è vero anche che c'avevano provato. Grossi o piccoli modesti investitori. Imprese immobiliari. Équipe di professionisti e relative maestranze… Macché! Non c'era stato verso.  Si trattava in effetti, mediante successivi passaggi ereditari, della residuale proprietà attribuibile soltanto a una certa persona. Ma con lacci e lacciuoli residuali. Chi deteneva parte della nuda proprietà, era affiancato, come descrivevano gli atti notarili, di usufruttuari. Si sa che nel caso si voglia alienare una proprietà siffatta, e qualora la trattativa non abbia ulteriori ostacoli, all'usufruttuario spetta una quota proporzionale rispetto alla proprietà commisurata a quella del o dei nudi proprietari. Trattative complicate. Farraginose. Con continui ostacoli e imprevisti. La proprietà in parola consisteva in circa 87 m² calpestabili. Al quarto piano di un edificio già soggetto a parziale ristrutturazione ma solo nei piani sottostanti. Anche la facciata residuale pertinente questa proprietà, risultava ancora ad intonaco fatiscente e malandato. Alla immobiliare Fardelli &C. era infine giunta una notizia sottobanco. Qualcuno, di cui non si sapeva e non si faceva il nome, aveva avuto l'informazione: un usufruttuario e proprietario, per problemi di necessità economica, avevano rivisto la propria posizione. Erano ora intenzionati a vendere! Ma detta così sembra una cosa semplicissima. Facile da comprendere, da affrontare e da risolvere. Restava però ancora un lato oscuro. L'inghippo, per dirla in parole povere e brutali. Il nudo proprietario si era aggiravato, abitandolo ancora in quell'alloggio. Ora non più. Ma non si avevano più da tempo notizie della usufruttuaria. Da tempo è un eufemismo: con quasi certezza, da svariati mesi. Con grande probabilità da qualche anno. Addirittura! Difficile rintracciare e e raggiungere la persona: non abitava in zona. Abitava addirittura in un'altra località. Provincia. Regione. E per farla ancora più complicata: nessuno, e tantomeno l'unico proprietario, aveva informazioni o indicazioni in merito. Qualcuno aveva passato la notizia che la usufruttuaria, perché si trattava di una donna, si fosse addirittura trasferita all'estero. Olanda… O addirittura Belgio… Ovviamente era ignota la via, l'indirizzo, e il numero del telefono fisso o del cellulare… Ma secondo altre voci, in fase di verifica e di accertamento, si era trasferita da tempo ad abitare in un cascinale nella campagna novarese. E le preferenze a designare la località, vertevano su Agnellengo, Sologno di Caltignaga, o addirittura Vaprio d'Agogna. Per non dar peso al fondamento a chi la diceva addirittura in piacevole convivenza a Cuzzego se non a Vogogna! Ma cercando di tirare i remi in barca, le rogne ce le aveva adesso la immobiliare Fardelli &C. Che aveva adocchiato da tempo quella minuscola porzione di edificio. Puntando a ristrutturarla, farla diventare un elegante alloggio residenziale e lussuoso, e infine commercializzarlo ricavandone un cospicuo utile. Non mancavano loro i parametri previsionali circa i costi dei materiali, della manodopera, della definitiva regolarizzazione dal punto di vista igienico sanitario… Sapevano benissimo alla Fardelli quanto più o meno avrebbero dovuto spendere. Nonché quanto avrebbero potuto ricavarne. Ma da un alloggio, porzione di un fabbricato più ampio, che afferisce ancora ad un nudo proprietario con il gravame di una usufruttuaria, non si ricava assolutamente niente se non si comincia prima di tutto ad acquisirlo. Comperarlo. Alienarlo agli attuali diversi proprietari. E questa operazione indispensabile necessaria risulta impossibile fintanto che una delle due parti, l'usufruttuaria cioè, è assolutamente irreperibile. La convivenza… Beata lei che aveva potuto, stando a quello che si diceva, trovare una compagnia con la quale convivere in qualcuna delle località citate.  Il residuale proprietario, benché vestito e ben agghindato, definito per sua sfortuna terminologica ""nudo"", da anni avrebbe voluto convincere costei a vendere. Infatti lui da tempo ci abitava ma solo saltuariamente. Faceva altre cose. E si sarebbe volentieri liberato di quella palla al piede. Che tra l'altro, aveva visto si o no qualche volta quando l'aveva ereditata dal prozio buonanima.  In effetti non basta la telefonata ricevuta: ""qui è successa una cosa imprevista, ci stiamo diventando matti…"" Magari aggiungendo col contagocce qualche particolare: chi è stato coinvolto, in che situazione, dove… Aveva ascoltato la telefonata senza mostrare alcun interesse. E si era anche sorbito, più che col contagocce col conta parole, i particolari successivi. «Ma tu, per arrivare al nocciolo della questione, che cazzo centri con questa faccenda dell'alloggio di via tal dei tali a Novara? C'entri anche tu in qualche modo con la tipa che si è resa uccel di bosco andando ad abitare, o magari addirittura a coabitare e a convivere, chissà dove con qualcuno? In parole povere perché questo è per te un problema?»  Con imbarazzo, titubanza, pudore addirittura eccessivo, la sua interlocutrice finalmente uscì dalla propria reticenza sbilanciandosi… «Sì, te lo dico, tanto so che tu sei molto riservato e non ne parlerai a nessuno. Forse te ne avevo parlato tempo addietro. Ti ricordi di quando avevo accennato a quella mia giovanissima  zia, ancora abbastanza piacente e vivace, che dopo una separazione per lei molto fruttuosa, viveva di rendita andando da tutte le parti e girando di qua e di là?  Sì, zia Matilde. Proprio quella.  E ora la stanno cercando per mari e monti. Perché il suo cugino di secondo grado, Arturo, finalmente vorrebbe completare la vendita che aveva già in mente da anni di quell'alloggio scalcagnato in quella stradina di Novara. Ma la zia si è resa assolutamente irreperibile…» L'amica che gli aveva telefonato, buttando lì quella patata bollente, ora se ne stava zitta all'altro capo del cellulare. Non riusciva a capire bene perché costei si fosse rivolta proprio a lui, ora per questa rogna che le era capitata. Sapeva benissimo, però, di essere considerato abbastanza creativo, cervellotico, fantasioso, curioso… Con i suoi dubbi e le ipotesi che aveva formulato, aveva spesso risolto casi molto complicati in situazioni esistenziali. O  gli era andata di culo. Oppure anche, per dar ragione ai conoscenti e alla amica telefonicamente preoccupata,  per il suo porsi continuamente domande. La sua metodologia di indagine sistematica e addirittura scientifica, avevano chiarito e illuminato rebus che sembravano assolutamente indecifrabili.  Questioncelle di poco conto. Raccogliendo informazioni, dettagli, particolari, era riuscito a cavare un ragno dal buco di questioni che apparivano inestricabili. Era forse, ci ripensò in quel momento, per quella sua modalità di non fermarsi alla realtà dei fatti semplici ed evidenti sotto gli occhi. Soprattutto quando c'era puzzo nell'aria di qualcosa di non estremamente chiaro.  Rimuginava. Si poneva domande. Si dava delle risposte provvisorie. Formulava continuamente ipotesi. Ragionava con se stesso, con le notizie, con i fatti… E in questo continuo rimasticamento, dopo aver a lungo ruminato, riusciva a giungere a delle conclusioni totalmente nuove, inaspettate, e quasi sempre corrispondenti alla vera realtà.  Probabilmente anche l'amica Filippa, conosceva questi suoi connotati cerebrali e di pensiero. Ragion per cui aveva pensato di rivolgersi proprio a lui. Anziché ad un investigatore privato, detective, o quant'altro. Ne fu abbastanza compiaciuto.  Ma si accorse che Filippa, dopo avere ricevuto una patata bollente, l'aveva sbolognata  bella calda a lui.  Non gli dispiaceva. Avrebbe continuato a utilizzare le sue facoltà di pensiero ipotetico, congetturale, di analisi sistematica. E, sperava, pur non avendone certezza per il momento, di risolvere la faccenda. Concluse, tra sé e sé, provvisoriamente: avrebbe dovuto avere nuovi particolari da Filippa. Si sarebbe recato nella bassa novarese a cercare di rintracciare le possibili probabili abitazioni della Matilde scomparsa. Magari anche nell'Ossola. Per l'Olanda o il Belgio, però, non se ne parlava…  Con ottimismo, cominciò ad arrovellarsi. Che cosa avrebbe dovuto chiedere all'amica rispetto a quella zia uccel di bosco? Che tipo di informazioni gli sarebbero state utili e necessarie per cercare di rintracciarla o almeno di suggerire un percorso finalizzato lì? Ma gli restava sempre, pur ruminando e arrovellandosi, un puntino interrogativo dentro gli occhi della mente… Il suo pensiero ipotetico non riusciva per il momento a suggerirgli un'immagine mentale più o meno fantasiosa, che descrivesse, tra le tante, la zia in parola… Nel senso di: non riusciva ancora a vedersela, in che luogo, in che condizioni, e facendo che cosa…  Si disse, tra sé e sé, che forse era ancora troppo presto per quella fotografia mentale conclusiva. Annegata in un torrente? Tra le braccia di un amante convivente assatanato che l'aveva requisita? In volo transoceanico per raggiungere il Canada? Assopita in un giardino su in valle su un'amaca, all'ombra di un noce o di un castagno? Per il momento si dette una frenata. Mandò un breve messaggio WhatsApp a Filippa. Preannunciandole che sarebbe andato con la sua moto a trovarla. Per fare una lunga chiacchierata.  Era una persona abbastanza noiosa. Ma in passato era stata anche una sua intima amica. E dall'immagine mentale che ne aveva, metaforicamente si diede una pacca sulla spalla.  Non era poi malaccio. Come donna. Molto più giovane di lui. Probabilmente ancora abbastanza attraente come anni prima. L'utile e il dilettevole… Chissà mai… Intanto stava prendendo gusto a questa impresa di ricerca congetturale. Tra le altre doti, Filippa sapeva anche cucinare abbastanza bene! Mise da parte, per il momento, tutte queste strade di percorrenza mentale.  Tornò in cucina a recuperare la padellata di cozze e vongole che ormai si erano totalmente aperte.  Cercò di mettere in un cassetto mentale la ricerca per mari e monti della zia uccel di bosco. E poi zia neanche sua, ma di altri.   Cap.2 La novità non era prevista. Filippa, più di un amica era una conoscente… Anche se a dir la verità, da qualche punto di vista aveva lei scelto di farsi conoscere molto nel profondo e intimamente. Mise a fuoco, come riusciva a mente, il profilo dell'amica, che venne subito sostituito da quello di quell'altra. Matilde.  Di costei non si poteva dire che l'avesse conosciuta intimamente… Ma molto molto superficialmente.  Doveva essere stato anni prima ad un convegno eco pacifista. Nell'aula magna di una scuola media di periferia. In quella che abitualmente viene chiamata pausa pranzo, ma che in sostanza meglio meriterebbe il nome di pausa spuntino, erano stati disposti sul tavolone che stava giù in basso alla fine delle gradinate dei vassoi di cartone. Sui quali, mani premurose, solerti e sostanzialmente di buon gusto, avevano predisposto alcune ""leccornie"". Se così si possono chiamare nonostante i gusti personali. Tramezzini triangolari di pan carré casereccio, facevano emergere si lamenti di carota, basilico, e gocce di maionese. Talvolta al posto delle carote si vedeva spuntare qualche frammento di carciofino e di tonno in scatola. Poi c'erano alcune zuppiere di vetro o ceramica. E lì il colore e il morbido della maionese era dominante. Spuntavano frammenti di barbabietola rossa, finocchio e altri vegetali. E nel centro, poggiata su un lato del bordo della zuppiera, una posata di plastica. Appena fu dato il la da chi teneva il microfono, tutti erano scesi alla spicciolata. E lui, cercando di non darlo troppo a vedere, a passi lunghi e molleggiati aveva sceso i gradoni. C'era già però la fila, che faceva una curva verso destra. Prese il suo posto guardandosi in giro. Come capita spesso quando si attende il proprio turno in fila, quatton quattoni, aveva sentito un gomito sfiorare il suo. Il gomito e la proprietaria reggevano con l'altro braccio e mano un cellulare tenendolo accostato all'orecchia. Con l'alibi della telefonata in corso, costei si era intrufolata, con apparente nonchalance davanti a lui. E senza smettere il colloquio via etere, gli aveva rivolto uno sguardo, con un mezzo sorriso accennato, che voleva essere di saluto compiacente. E che sostituiva l'atteggiamento doveroso in quel caso, di chiedere scusa per l'intromissione. Mentre stava afferrando alcuni tramezzini, rigorosamente vegetariani o vegani, l'ex telefonante infiltrata, gli aveva rivolto alcune parole. ""… Siamo amici in FB. Dove leggo sempre tutte le tue meravigliose narrazioni, commenti e versi… Magari ti ricordi di me: sono Matilde…"" Mediamente alta. Ostentava una capigliatura mogano rossiccio. Dai riflessi luminosi. A occhio e croce doveva avere qualche decina d'anni meno di lui. Di aspetto abbastanza gradevole rilevò il suo occhio esperto.  Tutto qui. Questa dunque era la Matilde che era scomparsa. A detta dell'amica Filippa. Diventando uccel di bosco. In modo inspiegabile: anche se a lui non gliene fregava proprio un tubo.. Le due immagini femminili smisero di essere a fuoco nel suo ricordo.  Intervenne a questo punto il percorso tracciato su una mappa come aveva spesso seguito nel Web.  La strada indicava il percorso che lo aspettava.  Aveva mandato un breve messaggio WhatsApp annunciando che sarebbe arrivato ad Oleggio in poco tempo.  Tolse la moto dal cavalletto centrale, dopo averla fatta ondeggiare avanti e indietro due o tre volte come faceva sempre. Chiuse la serranda del box. Calcò sul capo il casco abbassandone la celata. E infilò la strada. Filippa lo stava aspettando dalla finestra socchiusa al primo piano. Un villino come tanti. Con intorno una striscia verde di cespugli di rose e di aromi da cucina. Il cancelletto di legno a stecche, era socchiuso. Fece in due balzi i gradini ed entrò nella porta d'ingresso che intanto si era spalancata. «… Scusami, sai… Dirai che sono una rompiballe… Ma la faccenda come te l'ho spiegata non è così semplice. Ci terrei da un lato a fare un favore a Matilde. Da un sacco di tempo era entrata nell'ordine di idee di liberarsi, vendendolo, di quell'alloggetto alla periferia di Novara. E anche se non lo conosco di persona, quel suo pro cugino Arturo aspettava da tempo e cercava di convincerla a fare il passo.  Addirittura mi è arrivata notizia da voci traverse che c'è un'impresa immobiliare interessata all'acquisto… Ragion per cui…» Certo, rispose lui, cercando di bloccare la spiegazione che stava per arrivargli, raccontandole di nuovo daccapo la rava e la fava. Il caffè che gli venne offerto su una tazzina color arancione, era fin troppo lungo per i suoi gusti. Senza quella schiuma cremosa che lui amava tanto. Su un piattino a fiorellini erano stati sistemati dei cantuccini. Che per quanto non fossero la sua passione, potevano essere gradevoli con quella loro consistenza e sapore di frutta secca.  Sorbendo il caffè nel quale aveva intinto un dolcetto, prefigurò il percorso.  Avrebbe imboccato la strada per Momo. Col suo passaggio a livello. Quindi al semaforo avrebbe girato a sinistra per Caltignaga, Sologno e poi girando verso il raccordo per la Valsesia, Agnellengo , Morghengo e via andare. Prima di uscire di casa Filippa gli aveva lasciato scrutare che cosa aveva preparato nel forno. In una pirofila di vetro ceramica faceva bellavista di sé uno stinco suino. In mezzo a spicchi di patate dorate. Qua e là qualche rametto di rosmarino. Certamente recuperato dal giardinetto esterno. Davanti alla fragile cinzione di listelli di legno, la massiccia e imponente sagoma della Honda stava aspettando entrambi. Estrasse dal sottosella il casco passeggero. Indossò intorno alla gola e al collo la guaina elastica per evitare il freddo. Passò un foulard verde di seta sintetica alla sua passeggera. Lo zainetto nero di finta pelle sulle spalle. Dentro ci aveva collocato il portafogli e il tablet. Che si facevano compagnia con il piccolo coltellino a serramanico che usava per le sue merende frugali da viaggio. L'aveva acquistato a Premia, sotto i tendoni dei polacchi. Che a quelle bancarelle vendevano gli oggetti oltrecortina. E ostentavano, in modo osceno, squallido e sgradevole, minuscole raffigurazioni del duce e del fuhrer. Accanto ai residui di baionette, e di caschi militari risalenti all'ultimo conflitto mondiale. C'erano anche occhialoni da moto di quel tempo. Inutile assolutamente indossando ora i caschi moderni.  I coltellini a serramanico mostravano lame d'acciaio. E diverse volte, col suo, ci aveva tagliato il pane dell'Ossola farcito di uvette, di noci e di fichi. I salamini di capra e di cavallo. E assolutamente, in ogni caso, le tome stagionate. Si era dotato intenzionalmente di quei coltellini. Qualche volta aveva dovuto spezzare con le mani il formaggio. E consumarne la polpa fino alla crosta coi denti. Un coltello era proprio essenziale. Perciò se ne era procurato uno a Premia. Avviò il motore e partì. Ripercorrendo, ora fisicamente, il tracciato che aveva già visto mentalmente. Non aveva installato, questa volta, sull'apposito sostegno, lo smartphone che non usava più per telefoare e che utilizzava come navigatore. Sprovvisto di scheda Sim, ma collegato al Wi-Fi del modem portatile, che in quel caso usava attivare. Il passaggio a livello si era appena alzato. Appena le auto al verde del semaforo si furono mosse, girò verso sinistra… Neppure aveva attivato, probabilmente l'aveva lasciato nel box, il marchingegno inter vocale per collegare i due caschi e poter colloquiare durante la marcia. Meglio così. Si disse. Carina e simpatica, l'amica aveva già parlato troppo.  Per cui continuò il suo dialogo interiore. Gli aveva spiegato a che punto a Sologno avrebbero cercato la casa che era stata descritta molto sommariamente solo per l'aspetto per il colore. La stessa cosa anche per le altre tappe.  Le ricerche e i tentativi risultarono comunque infruttuosi. Nessuno dei vicini interpellati disturbati dal suono del campanello, ricordava assolutamente di quella Matilde. Mai sentita. Forse, qualcuno aveva aggiunto, qualche volta avevano intravisto una ragazza di bell'aspetto, non più giovanissima, dalla folta criniera rossiccia. Ma niente di più.  E poi, loro non sapevano assolutamente il suo cognome. All'altezza di Omegna la galleria per evitare l'abitato risultava interrotta e bloccata. Lavori di manutenzione. Mancanza di fondi da parte delle amministrazioni e dell'Anas. Avevano percorso la strada normale, costeggiando i residui della zona industriale. Sulla quale svettavano ancora altissime le torri rosso mattone delle ciminiere. Prima di imboccare il tratto che conduceva a Gravellona Toce, arrestò la moto accanto ad una trattoria dove altre volte si era fermato a mangiare qualcosa di buono. Immancabili gnocchi all'ossolana. Morbidi che si disfavano con la lingua sul palato. Carezzarti da un sugo non troppo saporito di pomodoro.  Di secondo: cervo in umido, con patate.  Qualcosa del genere l'aveva trovato anche la volta precedente quando ci si era fermato per caso. Si era accontentato come faceva da molto tempo di una brocca d'acqua fresca. Dove il vetro si imperlava per il vapore dell'aria.  L'amica non aveva particolari predilezioni. Disse che solo in certe occasioni, quando le capitava, assaggiava un sorso di vino. Ma non ne era una patita. Ne faceva benissimo a meno.   Cap.3  L'abituale percorso mentale del dialogo interiore intanto continuava. E con esso, in parallelo, anche il percorso sulla mappa del territorio. In passato, anni addietro, aveva scoperto casualmente la geolocalizzazione Google. Gli sembrava molto strano quel fenomeno. Aveva a volte dubitato della esattezza della descrizione che ne veniva fatta. E anche qualche conoscente si era mostrato poco convinto. Addirittura si era inimicata una persona a cui ci teneva a quel tempo abbastanza. La quale sosteneva, offesa oltre misura, di non essere mai passata nei luoghi, negli orari descritti dal sistema.  Con beneficio di inventario, prese per buone tali affermazioni, aveva perciò da molto tempo accantonato quella procedura. Con la quale qualche volta aveva curiosato, bonariamente, per scoprire che fine avesse fatto qualcuna che non si faceva viva.  In siti e su piattaforme specializzate aveva chiesto ragguagli e spiegazioni. Parziali risposte.  GPS, Wi-Fi intenzionalmente collaboravano tra loro per scopi commerciali. Non essendo lui un commerciante o un bottegaio, aveva lasciato perdere. Ma dagli stessi siti interpellati gli avevano fatto una proposta. Di sperimentare una nuova modalità alternativa. Sempre spinto dalla curiosità e dal desiderio di sapere qualcosa di nuovo, aveva accettato. Movimenti, luoghi, immagini, conversazioni: pur senza disporre, avendoci rinunciato, ai parametri delle identità account da visualizzare. Funzionava...! Per il momento aveva messo da parte anche questo marchingegno. Che gli era stato di fatto donato come ricompensa per la ricerca sperimentale test). Terminato il pranzo gustoso all'osteria di Crusinallo, si era diretto in compagnia, verso l'imbocco dell'Ossola. Nella brevissima sosta per rifornirsi di carburante, l'amica aveva ricevuto una telefonata sul cellulare.  Niente di nuovo o di sufficientemente chiaro. Solo un indirizzo. Il nome di una via. Probabilmente riferita a Cuzzego. Anche se non precisato o confermato. La frazione di Beura Cardezza. La via, o meglio sarebbe dire il vicolo, la strada oltre ad essere confusamente definita da un nome, erano state descritte. Con il suggerimento e l'indicazione di chiedere della signora Venanzia. O in sua assenza del fratello Annibale. Quelle indicazioni ""da paese"": entri nell'abitato, vada sempre dritto; quando si trova sulla destra una grossa casa sempre di beole con tre gradini davanti alla porta, è proprio lì. Via Cantoni. Al numero cinque mi pare. Ma non sono sicuro. Annibale, era uscito dall'osteria e aveva suggerito di raggiungere la sorella che andava a fare pulizia nella chiesa. La parrocchiale di San Giovanni. Trovarono la porta della chiesa sbarrata. Bussarono. E alla fine comparve una donnina minuta. Dal volto raggrinzito. Con un fazzoletto grigio e nero che le copriva i capelli a crocchia. «Si sono io la Venanzia… Per servirla… Adesso che me lo dice bene mi viene in mente. Una donna giovane, con tanti capelli di colore rosso. Sì che me la ricordo. Tenevo io le chiavi di una stanzetta giù in fondo al paese. Lei ci veniva qualche volta. Ma non da sola. Non so descriverle che aria e che aspetto avesse l'uomo che era con lei. Abbastanza alla buona. Ordinario. Semplice. Prendevano l'acqua alla fontana con un secchiello e una brocca. Poi verso sera, o qualche volta il giorno dopo, venivano a riportarmi le chiavi e se ne andavano via. Credo di aver capito che si fermavano solo poco tempo perché andavano a fare camminate su per i bricchi.  Tutto qui. Mi scusino ma non so dire proprio di più. Per quelle poche volte che li ho visti quei due. Ma certo, se hanno ancora bisogno qualche altra volta sanno dove trovarmi. Buonasera. E che il signore sia con voi…» Filippa lo aveva guardato negli occhi con sguardo implorante. Erano praticamente al punto di partenza. Ne sapevano tanto quanto prima. Solo erano un po' più disorientati e confusi.  Tornarono dall'Annibale. Che con la parlata un po' impastata dai bicchieri bevuti, provò a descrivere possibili destinazioni delle camminate che da lì si potevano fare. E che forse, anche la ragazza rossa e il suo amico avevano fatto. Alla bell'e meglio indicò la direzione nell'aria. E sulla piantina che i due gli avevano mostrato, col dito rozzo delle unghie nere e sporche, indicò un percorso. Poi anche un altro. E un altro ancora. In dialetto novarese i ricercatori si dissero: ""siamo al pian di babi"". Espressione dalle origini e dal significato oscuro. Invalsa e usata per dire: siamo al punto di partenza. Insomma, riepilogando: una dei due comproprietari di un'abitazione giù a Novara, non aveva lasciato recapiti, e c'era chi la stava cercando perché la sua presenza era essenziale. La vendita dell'alloggio era possibile solo a patto che il nudo proprietario e l'usufruttuaria si accordassero e infine perfezionassero l'atto davanti a un notaio.  Mentre tornavano a cavalcioni della moto, la donna era demoralizzata, sfiduciata e pessimista. Per quanto non fosse possibile comunicare verbalmente durante la guida, per via del casco e del rombo del motore, come le era possibile trasmetteva sconforto e delusione. Non era una grande dominatrice di pensieri, di congetture e strategie come chi stava guidando la moto, ciò nonostante si disse tra sé: ma chi me l'ha fatto fare? Ma la gita e il percorso in moto avevano invece rinvigorito le facoltà e le pulsioni di ricerca e di analisi dell'uomo. Rise dentro di sé ripensando a una frase che un'amica gli aveva riferito. Mesi addietro costei aveva chiesto informazioni a un ometto compaesano. Se sapesse o meno dirgli qualcosa rispetto a una sua conoscente di cui sapeva solamente il nome e il nomignolo. Doveva essere abbastanza facile e semplice: il paese non era immenso. Lui sembrava cascare dal pero. Per quanto fosse un chiacchierone e conoscesse un sacco di gente nel paesello, disse che quel nome non gli diceva assolutamente niente. E tantomeno il diminutivo. Aggiungendo che lui abitava lì ""solo"" da una ventina d'anni. E aveva aggiunto con aria stupidamente stizzita da allocco quale era: ma queste ricerche fanno pensare a un'indagine poliziesca o di un detective privato. Nella sua anima semplice e un po' stupidotta, cercare qualcuno in un paese dove non si abita, è un atto singolare e strano.  Chi cerca un conoscente o un amico che non trova assume i connotati del controspionaggio… Ma ormai, si stava appassionando al gioco di ricerca che gli aveva proposto l'amica. Pur senza mezzi o strumenti adeguati, gli ronzava dentro l'idea che avrebbe soddisfatto la richiesta di Filippa. E che si sarebbe meritato, quella sera lo stinco al forno con patate e rosmarino. E magari anche qualche altro cibo, un'altra volta… Eh… non si poteva dirlo… ma magari anche qualche altro favore… Filippa, in fin dei conti era ancora una donna attraente e gradevole. Tranne quando cercava di risolvere enigmi come in quel caso.  Dopo la cena, quando insieme ebbero sparecchiato e rigovernato, lei riconoscente gli disse che le dispiaceva che lui tornasse a casa col buio guidando la moto. E si offerse di ospitarlo lì, da lei. Gli fece addirittura vedere una camera degli ospiti… Attigua a quella dove dormiva lei.  Lui gradì molto l'invito, ma se la sbrigò dicendo che da Oleggio a Novara ci volevano sì o no una ventina di minuti. E che avrebbe accettato l'invito magari un'altra volta. Lei non ci rimase male. Lo ringraziò ancora. Oltre a dargli la mano gli diede un bacio abbastanza umido sulla guancia.  Mentre avviava la sua Honda, lui la rassicurò: era stata una giornata piacevole; l'imboccatura dell'Ossola gli ricordava i tempi passati; ci sarebbe tornato a frugare, cercare, e prima o poi avrebbe saputo qualcosa di più sui percorsi in Valle che la gente compiva. Soprattutto la gente forestiera come quella che loro stavano cercando.  Guidando, non aveva ancora le idee chiare. Però intuiva, sentiva, forse per un sesto senso che sempre lo accompagnava, che avrebbe trovato il bandolo della matassa..  E si fece una scaletta mentale: informarsi sui cammini e i percorsi che da Cuzzego si potevano fare; buttare in giro domande qua e là ai rari passanti e abitanti del paese; qualcosa prima o poi sarebbe venuto fuori; qualche traccia; qualche indizio… Mica poteva davvero essere caduta in un burrone o in un torrente la donna dai capelli rossi. E prima o poi sarebbe saltata fuori. Non era certo al cento percento, ma nutriva una discreta convinzione. Nessuno sparisce nel nulla. Con le tecnologie telematiche aveva rintracciato infinite volte le persone che stava cercando. Sapeva esattamente dove erano state, dove erano passate transitando, si erano fermate, avevano pernottato, a che ora in che giorno…  Ora, apparentemente, senza marchingegni sofisticati, si trattava soltanto di gironzolare e porre le domande giuste alle persone giuste nel momento giusto.  Prima di coricarsi, con ancora la pipa accesa in bocca, ridendo sornione tra sé e sé, mormorò:  ""… Matilde… vieni fuori… prima o poi ti rintraccio… veh...""  Cap.4.   Aprì il calendario sul tablet. Unieuro: minipimer; prezzi smartfon Ipercoop: ventosa sgorga lavandini verdure, frutta, formaggi, farina integrale per pane Ora legale: inserire nello scooter e aggiornare lavastoviglie: vuotare e riavviare stendere il bucato; fare partire un'altro lavaggio… Routine.  Prima di mettere di nuovo in stand by l'apparecchio, notò alcune notifiche. ""… E perché non continui a farti solo i fatti tuoi…?"" ""Taffo: se vuoi dormire senza problemi e metterci una pietra sopra"" ""lascia perdere. Non ti conviene"" ""INSTAGRAM: abbiamo notato che la tua password è stata rimossa. Controlla. Se l'hai fatto tu: ok. Altrimenti impostane una nuova"" Qualcosa  di simile riguardava FB, Twitter, Flickr, e altre applicazioni e software. Cazzo di Budda. Ogni tanto capitava qualcosa del genere. Purché non gli si fossero distrutti, cancellati o rimossi messaggi o documenti essenziali. Ripristinò tutto. Stranamente riuscì ad inserire in ogni caso la password precedente che risultava ancora valida.  Fece partire l'antivirus: nessun problema! La lavastoviglie procedeva quasi silenziosa. Proiettando sul pavimento antistante il dischetto di luce che indicava l'attività. In mansarda: caricò indumenti e oggetti vari; quindi fece partire. Nel terrazzo giardinetto: i cassonetti risultavano ancora abbastanza colmi di terra umida. Limitò l'irrorazione. Poi chiuse subito i rubinetti. Taffo. Bizzarra e quasi divertente pubblicità dell'impresa funebre romana e nazionale. Farcita spesso di espressioni gustosissime. Ironiche. Addirittura sarcastiche. Ma gli altri? Che cazzo volevano da lui? E come mai, guarda caso, proprio il giorno dopo di quando si era avventurato con l'amica nei vari paesi della bassa novarese, e poi figli su all'ingresso nella valdossola?  Banalissimo e ovvio il collegamento.  Ma a che pro?  L'amica di un'amica non si era fatta trovare da tempo. Fatto in sé e per sé perfettamente legittimo. Non doveva costei rispondere a nessuno della propria presenza o assenza.  Solo preoccupava un po' la intrigante e un po' pettegola amica. Dopo aver fatto il casalingo per un po', sentì squillare il tablet. «… Certe cose al telefono non si dicono mai… Però sappi che non so cucinare solo lo stinco suino al forno con patate. Mi viene molto bene anche la pasta al forno… E a volte mi risulta stupenda e deliziosa la mussaka… Pensaci…» Anche a lei dunque. Stavano dando fastidio a qualcuno? Evidentemente sì. Indossò la bardatura. Una giacca a vento in particolare era particolarmente calda e imbottita. Per il difetto o pregio di non avere una cerniera per aprire e chiudere: doveva essere indossata dal capo come un maglione. Però era caldissima.  Infilo anche i guanti.  Forse non era il caso di stare a ripararsi srotolando e addossando il grembiulino protettivo anteriore. Quello era comodo prevalentemente per i viaggi più lunghi e per gli spostamenti. Invernali. Ma d'inverno c'era l'altro problema: rischio di gelate, brinate, o addirittura neve. Le previsioni davano: minimo 3° massimo 14°. Perciò si avventurò con il suo destriero.  20 minuti. Tempo abbastanza sufficiente per qualche riflessione. Ipotesi: a chi poteva dare fastidio che lui e l'amica stessero cercando la giovane donna rosso crinuta? Già. Bella domanda… Difficilissima la risposta… Anzi addirittura impossibile. Già buono, comunque, il fatto di porsela. L'amica, riflettendo, si era detta tra sé e sé: ma chi me l'ha fatto fare?  Curiosa, impicciona forse, ma sostanzialmente buona, disponibile, pronta a dare una mano a chi ne avesse bisogno. I paesoni della bassa novarese si erano dileguati in quattro e quattr'otto. Ma, chissà mai, magari le domande poste avevano stuzzicato qualche curiosità, ho fatto drizzare le antenne a qualcuno? Difficile dirlo, anche questo.  Ottimo, delizioso e gustoso il pranzo all'ossolana della trattoria osteria di Crusinallo. E poi a quell'ora del giorno non faceva neanche freddo a gironzolare sulle due ruote.  Le mani e le braccia dell'amica, dal sedile posteriore del mezzo, si erano aggrappate al suo gusto. Piacevolmente peraltro. Non si era dimenticato del tutto di quando, diverso tempo prima, lo avevano fatto in altre posizioni… E senza indossare bardature, giacconi, o indumenti… Una piacevole occasione di contatto per ora messa da parte. Ma per nulla dileguata o cancellata.  Le perplessità però cominciavano ad emergere nel borgo di Cuzzego. Quei due personaggi, fratello e sorella, che dicevano e non dicevano. La pseudo zia uccel di bosco pare avesse l'abitudine di andare da quelle parti. Talvolta. Magari anche per farsi delle camminate o passeggiate nel verde, al bordo di torrenti, o su per le cime. Ma si intratteneva spesso, o almeno qualche volta, da sola o in compagnia, in un minuscolo alloggetto in fondo al paese. Talvolta, pare a detta loro, passandoci la notte.  Cerco di analizzare i particolari. Entrambi avevano detto che si trattava di un uomo.  Non un gran figo straordinario ma un ometto così alla buona.  E i soggiorni, il mordi e fuggi, avveniva con una certa regolarità. Abbastanza di frequente insomma. A volte tutte le settimane. A volte con delle lunghe interruzioni. Ma dove faceva le camminate? Cioè tra una sosta nell'altra. E poi, quanto duravano le soste? Perché dalla durata di ciascuna di esse si sarebbe potuto desumere che non stessero certo a passare il tempo leggendo poesie o recitando salmi. In parole povere significando che tra i esisteva qualcosa di abbastanza intimo. Strano e difficile a comprendere però. Lei, ancora abbastanza giovane, piacente e vistosa. Attraente e di bell'aspetto.  Lui: veniva descritto con un aspetto dimesso, da sempliciotto, da ometto qualsiasi e qualunque.  Nulla da eccepire però. Avrebbe potuto benissimo nascondere qualità e virtù eccezionali. Tanto eccellenti per diventare oggetto di desiderio della bella giovane fulva. Ricordava, in proposito, che Gabriel Vasquez Montalbán, nella sua serie gustosissima sul detective privato Pepe Carvalho, definiva se stesso e quelli che svolgevano la sua professione: ""annusa patte"". Con  chiaro riferimento a uno degli scopi principali per cui ci si rivolge a un poliziotto privato perché le indagini. Scoprire relazioni, ovviamente molto intime, tra qualche maschio, e la sua appendice patta nei calzoni, e qualche donna. Però, anche dopo aver ripensato divertito alla scrittura dello spagnolo ambientata a Barcellona, provo a tirare un pochino le somme. Poteva essere una questione di tradimenti? Di corna? Di controllo di un amante ferito per le trasgressioni di colei che lui riteneva la sua donna? Boh…! La cosa, per quanto plausibile, non gli pagava affatto l'occhio (per dirla con un'espressione novarese). E allora?  Dare l'ok alla pasta al forno oleggese? Meglio, forse, propendere per la mussaka. Che però richiede richiedeva tempi più lunghi per la preparazione.  Si limitò pertanto ad un brevissimo WhatsApp: ""… Ma certo…"". Senza sbilanciarsi a scrivere e a dire che cosa avrebbe fatto di lì a poco. Ma lasciando intuire che si sarebbe recato subito da lei. Lasciando in sospeso il menu che non era forse la cosa più importante.  Lavatrice e lavastoviglie facevano il proprio lavoro. Un quarto d'ora dopo si stava dirigendo verso la stradetta di terra battuta, il recinto di stecche di legno, la striscia di giardinetto con rose, alloro, salvia e rosmarino. E via andare, allora!  Cap.5. Per essere sinceri e onesti, Filippa non era di quelle donne che possono essere descritte come ""strafighe"". Senza nulla volerle togliere.  Di media statura. Corporatura snella. Capelli scuri tagliati a caschetto.  Sguardo acuto, occhi neri, sorriso affettuoso e gentile. Non si trattava ora di stare a fare tanto difficile nella descrizione. Tanto più mentre si stava guidando una moto che volendolo può raggiungere i 160 km/h.  Una donna interessante, piacente e piacevole. Come si ricordava bene, d'altronde…  Contrariamente alle loro recenti abitudini di contatti e incontri, appena lui fu entrato, gli buttò le braccia al collo. Lo baciò su entrambe le guance. E, dubbiosa e incerta, dopo aver sfiorato con le proprie labbra la sua bocca, gli diede un bacio. Non troppo in profondità. Non troppo sensuale o libidinoso. Comunque: gli diede un bacio sulla bocca!  Poi lo trascinò con sé nel soggiorno/cucina. Lo fece sedere accanto a sé sul divano color ocra. Tenne il proprio braccio infilato nel suo. E rimase in silenzio. Stessi giochini, stessi messaggi, con qualche variante e/o sfumatura.  Sostanzialmente: stessa finalità e stesso scopo. Far capire ai due aspiranti detective di lasciar perdere la partita, che non era cosa per loro.  La donna, pur senza dirlo esplicitamente, avrebbe propeso per chiudere in un cassetto la propria curiosità. Lasciando perdere.  Lui, al contrario, secondo una sua inveterata consuetudine, quando iniziava qualcosa, non mollava. Finché l'avesse portata a compimento. Fino ad aver raggiunto l'obiettivo. Se possibile. Rinunciando, solo eccezionalmente, qualora ciò risultasse impossibile.  Si sentiva nella cucina soggiorno il ronzio del forno. Se ne vedeva attraverso il vetro termico la luce accesa. Pasta al forno? Improbabile che lei si fosse buttata nella mussaka: troppi preparativi preliminari. Troppi ingredienti da predisporre a parte prima.  Poteva comunque andar bene anche la pasta al forno. Lei stava zitta. Fu lui a prendere la parola. «Ti sei rivolta a me… Hai sempre saputo e sai che non lascio mai le cose a metà. Le imprese impossibili non esistono. Stai cercando, e io insieme a te, una persona di cui non sappiamo più nulla. Conosciamo pochissimi particolari.  Probabilmente facendo domande qua e là a Sologno e ad Agnellengo, abbiamo svegliato il can che dormiva. Chi c'entra con questa faccenda ha cominciato a drizzare le antenne. Ma allora: la pseudo zia non si è volatilizzata così alla buona. Non si è resa introvabile perché pasticciona a non aver lasciato i recapiti o notizie di sé.  La cosa è un pochino più complicata.  C'è, lo ripeto, un cane che stava dormendo credendosi tranquillo. Ora ha drizzato le orecchie. Fiuta, sospetta, è scocciato che qualcuno vada a cercare una donna, per quanto bella e attraente, che abitualmente non raccontava mai a nessuno dove andava e cosa faceva. Ergo: io assolutamente non mollo! Come senz'altro hai già immaginato. Non avertene a male: se tu non te la senti più me lo dici; puoi anche lasciar perdere; continuerò da solo…»  Filippa aveva ora gli occhi lucidi. Quasi stesse per piangere o fosse comunque turbata e commossa. Accostò la sua guancia alla sua. Rimase zitta qualche minuto. Poi ripeté il gesto affettuoso e gentile col quale l'aveva accolto poco prima. Ma con maggiore intensità. Nel bacio collaborarono anche saliva e lingua. Insomma: gli diede un bacio per davvero!  «La chiamavo zia perché di fatto la sua parentela verso di me è ed era di quel tipo. Non era una mia amica particolarmente intima. Però mi sento presa per i fondelli e per il culo. Probabilmente era nelle sue abitudini di scomparire ogni tanto. Dopo quel vecchio matrimonio fallito, da quando viveva da single, spesso non si faceva trovare per un sacco di tempo. Il matrimonio era quello che le aveva permesso di avere una rendita vitalizia discretamente cospicua che le permetteva di vivere senza un lavoro stabile.  La ammiro. La apprezzo. Un pochino, confesso che l'ho anche invidiata.  Ma il fatto essenziale e importante è molto semplice: non è possibile che sia scomparsa così di colpo e non sia più trovabile. Se fosse successa a me una cosa del genere: vorrei che ci fosse qualche conoscente simile a me. Vorrei che ci fosse un amico stupendo, intrigante, geniale come ti sei sempre dimostrato tu. Vorrei che tu e qualcun altro mi trovaste. Tutto qui…»  Il discorso, il problema, il folletto fantasmatico, l'enigma rimase perciò sospeso a mezz'aria.  Lui preparò la tavola. L'aiutò a portarci lo sformato di patate, formaggi e uova. A servire nei piatti. Bevve qualche sorso dell'acqua del rubinetto.  Si parlarono soltanto a sguardi.  Gli sguardi di lui erano affettuosi, protettivi, rassicuranti per quanto possibile. E lei rispondeva con piccoli flash ricchi di sfumature, di rimandi, se possibile addirittura di allusioni.  Non l'aveva assolutamente guardato così, a lui pareva, il giorno precedente. Salendo in moto. All'osteria ossolana. Gironzolando nel paesello tra chiese e case di beola. Ora il suo sguardo si era fatto più intenso. Approfondiva e penetrava. Gli faceva venire in mente, chissà come e perché, di quando anni prima si erano guardati molto intimamente stando sdraiati a mezza penombra. «Proviamo a riepilogare quel poco che abbiamo. La stavano cercando perché volevano acquistare la sua parte di proprietà in quell'alloggio. Ti hanno contattata, sapendo che tu la conoscevi almeno un po'. Voci gli sono arrivate che lei si aggirava a volte in terra di risaie. Che arrivava fino all'Ossola. Che là ci aveva un pied-à-terre. Che talvolta ci andava. Ma non ci andava da sola. Era sempre lo stesso il suo compagno di gitarelle? Quello con l'aspetto modesto, da tonto e da stupidotto? Noi l'abbiamo cercata.  Dove siamo stati abbiamo fatto domande. Non abbiamo ricevuto risposte… La risposta è arrivata sia a te che a me stamattina con i messaggini intimidatori… Non rispondendo a tono: non ci dice dove è che fine ha fatto… Ma è un indizio. Lei si sta nascondendo. Oppure qualcuno la sta nascondendo. E quando qualcuno si incazza, si offende, si arrabbia, minaccia chi curiosa o fa domande, dà una risposta a modo suo interessante, basta interpretarla. Chi nasconde se stesso o qualcun altro, non vuole far sapere cosa fa e dove è. Quindi ha qualcosa da nascondere che non vuole far sapere!»  Cap.6. Mentre consumavano e gustavano l'ottimo sformato, continuavano, ciascuno per conto proprio, le proprie riflessioni. «Io e te, ad esempio, quando ci frequentavamo abitualmente non ci ritenevamo, né lasciavamo che gli altri ci giudicassero una ""coppia fissa"". Non eravamo per gli altri, ma neanche per noi stessi, morosi o fidanzati.  Eravamo una cosa così. Io ci tenevo moltissimo a te. Tu ci tenevi molto a me. Ti volevo bene, se la parola non è troppo scontata: insomma ti amavo. Eppure sia tu che io avevamo altre storie e altre relazioni. Niente di brutto, di vergognoso o di proibito. Stavamo in pratica io con te e tu con me, ma non lo escludo, avevamo altri rapporti. Il nostro rapporto non era chiuso ed esclusivo. In quegli anni, specie all'inizio, io ero addirittura ancora sposata. A lui non avevo detto nulla. Perché immaginavo le sue reazioni possibili. Ma a te dicevo e raccontavo tutto. Io non mi nascondevo da te. Tu non ti nascondevi da me. A dir la verità, era abbastanza difficile non essere infastiditi dal saperlo. Eppure io non provavo assolutamente gelosia per te, e mi pare altrettanto, tu non la provavi per me. Se fossi scomparsa, se ti avessi nascosto qualcosa, di altre relazioni subentrate, questo avrebbe avuto un significato consistente. Significava che ritenevo quella relazione alternativa e più importante di quella che avevo con te. E viceversa. Tu hai appena fatto un'affermazione molto importante.  Se qualcuno si nasconde, se nasconde qualche particolare della sua vita pubblica o intima, ritiene che altre persone che ci tengono a lui/loro ne sarebbero disturbate. Per cui, è verissimo quello che tu dici: le omissioni, le cose non dette, denotano un senso di colpa, perché vengono nascoste… Sono l'opposto della trasparenza ovvia, indispensabile, essenziale perché esista davvero la relazione. Altrimenti si tratta di relazioni plurime… Un po' di qua, un po' di là… Questo o quello per me pari sono… Ci provo e poi sto a vedere… Nessuno di loro è il più importante, nessuno ha la precedenza o la prevalenza; e allora se tu intuisci che io ti nascondo qualcosa, ti insospettisci, ne sei offeso, disturbato e vuoi andare fino in fondo a scoprire cosa c'è… Non sapevo tutte le vicende personali e intime di Matilde. Eppure quando ci vedevamo frequentavamo qualche volta, mi parlava a cuore aperto di tutto senza reticenze e senza nascondere nulla.  Ora non la vedo più da un sacco di tempo. E nell'ultimo periodo non mi diceva qualcosa di quello che stava cercando, inseguendo, facendo. Non mi ha mai parlato, ad esempio di quell'ometto modesto di Beura Cardezza.  Ora nasconde se stessa; qualche mese fa nascondeva la propria vita e le proprie relazioni; e sapeva che poteva contare su di me; e che io le dicevo qualsiasi cosa fino in fondo… Anche di me e di te sapeva tutto…» A sguardi assentirono entrambi, e si diedero reciprocamente ragione. Poi, passarono a ipotesi concrete, operative.  Sarebbe stato abbastanza inopportuno che in montagna ci andasse lui da solo. A parlare con i fratelli anzianotti. Meglio tornarci insieme. Magari agendo o incontrando i due ciascuno per conto proprio. Chi sa mai che le reazioni fossero significative.  Prima di partire, si misero l'uno accanto all'altra sull'ampio divano. Senza far nulla di particolare. Lei però sentiva il corpo di lui contro il proprio. Lo sentiva vivo, vivace ed efficiente. Altrettanto lui, che le aveva appoggiato un braccio sul corpo, la sentiva non come una vecchia amica del passato, ma la sentiva profondamente femmina, pronta, sensibile. Anche se per il momento in stand-by.  Cap.7. L'Annibale lo avevano trovato alla bettola osteria. Però ci era entrato lui da solo. Con la scusa di bere un caffè decaffeinato. Si era guardato intorno. Aveva gironzolato qua e là. E l'aveva intravisto con la sua zucca pelata a un tavolino di fianco, sul fondo. Aveva in mano un mazzo di carte da gioco, di quelle napoletane. Con disegnate le spade ricurve, i randelli bastoni verdi con il manico giallo dorato, le coppe anfore ampolle colorate. Probabilmente stavano giocando a scopa d'assi. E sia lui che gli altri accostavano ogni tanto le labbra al bicchiere, sorbendone minuscole quantità. Centellinando al millesimo la loro droga da poveri. Un vinaccio barbera che impregnava del suo odore acre e amaro tutta l'aria. Non aveva voluto interromperlo. Dopo aver ascoltato battute ad alta voce, improperi, parole esultanti e felici, si alzarono dalle seggiole di legno impagliato. La coppia che aveva perso la partita lasciava dei soldi sul tavolo per pagare il prossimo giro del vinaccio.  Poi, quello, si era girato verso di lui. L'aveva anche riconosciuto. Rivoltosi  verso un compagno di gioco, in dialetto dell'Ossola, aveva esclamato: ""sì, questo qui è quell'amico la della rossa. Te ti ricordi da che parte andavano a far le camminate lei e quel suo amico?"" Decifrò tradusse la risposta. Ripeté le indicazioni che aveva biascicato il giorno prima indicando direzioni nell'aria e tracciando percorsi con l'unghia sporca del dito indice sulla cartina che lui gli aveva fatto vedere.  Però aggiunse che era un bel pezzo che non li si vedeva l'nel paese. Magari erano andati via…  Avevano lasciato parcheggiata la moto all'imbocco del paese per non dare troppo nell'occhio… La sua amica si aggirava li intorno e per passare il tempo leggeva i manifesti appesi alle pareti. E addirittura si era soffermata anche a leggere gli annunci funebri listati di nero. Sempre per non dare nell'occhio… Per fortuna che nessuno si aggirava per il paese… Non avrebbero certo trovato strano che qualche sconosciuto leggesse gli annunci funerari relativi a persone che neppure potevano conoscere…! Le avrebbe fatto vedere dopo sulla mappa le indicazioni dei possibili percorsi in montagna.  La parrocchiale questa volta aveva il portone accostato. Fu la volta di lei per entrare. Lui si era tenuto discosto. La sora Venanzia col suo fazzoletto da montagnina legato in testa, non si accorse della presenza di lui. Aveva messo in mano a Filippa qualcosa. Poi la salutò e tornò dentro. A pulire i candelabri. Passare la scopa e lo straccio sui pavimenti. Togliere la polvere dagli inginocchiatoi. «Forse ci sta andando di culo… Dice che le era rimasta la chiave di quell'alloggetto, e ce l'aveva ancora nella tasca del grembiule. Ha detto se volevo andare a darci un'occhiata per cercare la mia amica. Ci andiamo?» Un portoncino al piano terra. Per accedere bisognava salire alcuni gradini di serizzo.  La chiave cigolava girando. Una chiave massiccia, di ferro scuro. Una stanzetta qualunque. Nell'angolo estremo sotto un finestrino con le sbarre, un lavello di marmo. Un tavolo di legno rozzo coperto da una cerata a quadretti rossi e bianchi. Sulla destra, entrando, una turca. Che doveva fare da divano, e da lettuccio; abbastanza largo, da ospitare due persone.  Quattro seggiole di metallo lucido ricoperte di formica gialla. Sopra un piccolo mobiletto accanto alla turca, dei fogli piegati.  Si accostarono alla finestra per non accendere la luce. Ed entrambi, mentalmente, lessero una dopo l'altra le pagine… Non dicevano niente di speciale. Qualche frase abbastanza equivoca.  Nel secchiello  dell'immondizia, accartocciati e appallottolati altri fogli… Li lessero…   ""Sono sempre più stufa. Quasi peggio di quando stavo con quello là. Che però ora mi passa i soldini. Sempre appiccicato addosso. Se esco esce anche lui. Neanche il pane vado a comprare da sola. Guai a lasciare il cellulare in giro. Lo apre e ci curiosa finché può. E chi è questo, e chi è quest'altro… All'inizio sembrava la soluzione ideale. Faceva il gentile. Il galante. Poi ha cominciato a diventare come la colla. Come farò a liberarmene? Se mai ci riuscirò?"" Più in basso un indirizzo e un numero telefonico: via del bosco 49 Ornav. porta a vetri 0324 98 61 80  Provarono a guardarsi intorno e a frugare ancora un po'. Nell'immondizia non trovarono niente d'altro. Nessun avanzo di cibo. Nello stipetto qualche vecchio libro di preghiere. Alcune vecchie cartoline fotografia che probabilmente gli scrivevano il paese. Un vecchio giornale settimanale. Dei ferri da calza. Un gomitolo di lana grigia. Un cavaturaccioli. Inutile paccottiglia.  Sollevata la coperta della turca videro che sotto ci stavano delle lenzuola. Un cuscino lo trovarono raggomitolato nello stipetto.  Sopra il lavello uno scola piatti di metallo plastificato. E qualche stoviglia brutta da vedere. Il nido segreto della ragazza coi capelli rossi si era rivelato molto modesto. Su una parete un calendario con una immagine di Cristo. Ma era dei diversi anni prima. Terminata l'analisi e l'ispezione, preferirono andarsene per non destare troppi sospetti. Riconsegnata la chiave alla badante dei tabernacoli e della sacrestia, raggiunsero la moto.  L'aria cominciava a essere abbastanza pungente. Il sole era scomparso da un po' di tempo. E c'erano strati diffusi bianco grigi che lasciavano intravedere solo qualche piccolo frammento di cielo.  Prima di indossare il casco, si consultarono con lo sguardo.  Si intesero al volo.  Prima di ritornare alle rispettive abitazioni, a terminare lo sformato o a consolarsi in qualche altro modo, avrebbero fatto una puntata a quell'indirizzo. Che per quanto incompleto sembrava riferirsi a Ornavasso. Come a Beura, anche qui non c'era in giro nessuno in circolazione. Tranne qualche auto parcheggiata. Non entrarono con la moto nello spiazzo dove stavano le auto. Ma lanciandosi sguardi d'intesa mossero passi distratti, guardandosi in giro, come aspettando qualcosa o qualcuno.  Non tutti i numeri civici erano presenti, ma il 49 c'era. Da lontano, più che potevano, tenendo in mano ciascuno il cellulare per simulare all'occorrenza di essere impegnati a telefonare, mossero passi distratti. Annoiandosi a lungo. Stava cominciando a diventare buio. Poi, ad un tratto la luce alla finestra accanto al numero 49 si spense. E poco dopo…  Cap-8. Con la fluente capigliatura rosso mogano, era uscita del civico 49 di quella via di Ornavasso. Sbattendo sonoramente la porta e facendo tremare i vetri.  Nessuno l'aveva seguita. E colui che stando alle sue descrizioni le stava appiccicato addosso, rendendo difficile l'esistenza, solo più tardi si era affacciato.  Con aria piagnucolosa. Le aveva sussurrato dietro: « Ti prego, non puoi lasciarmi qui tutto solo. Ho fatto tutto quello che volevi, finora. Ti ho seguita dovunque. Anche qui. In questo paese di merda che neppure conosco. Hai sempre detto che ti facevo ridere, essere felice, divertire. Non lasciarmi… Non andare via…»  Non l'aveva ascoltato. Era decisamente stufa.  Raggiunse una delle auto lì parcheggiate.  Non si era accorta che la vecchia amica Filippa con il suo accompagnatore si aggirava nei dintorni.  Quando già aveva avviato il motore, abbassò il finestrino e commentò:  «E non venire mai più a cercarmi in nessun posto. Ora me ne vado e me ne torno a casa mia. Non azzardati… Vai al diavolo e vai a cagare brutto stronzo…!» Scomparsa l'auto nella stradetta, rientrato in casa il tapino a terminare di piagnucolare, i due si avvicinarono l'uno all'altro. E tornarono alla moto.  Gli occhi di Filippa erano raggianti. Per quanto non fosse mai stata amica intima profondamente della rossa, se l'era davvero presa a cuore. E aveva temuto il peggio… Addirittura aveva temuto di ritrovare l'amica recuperata nel burrone accanto a qualche torrente. Improvvidamente scivolata. Oppure… Aveva davvero pensato al peggio.  Umanissima. Sostanzialmente altruista. Si era fatta carico di quella sventurata e sciagurata scomparsa. A che pro? Permettere a lei e a quel cuginastro di seconda mano di vendere, avendone un utile, quello squallido modesto appartamentino. Ma la sua vecchia amica non aveva certo bisogno urgente di nuovi introiti. Finora era riuscita benissimo a bastare a se stessa. E lei? Cosa c'entrava lei in tutta questa faccenda? Nei prossimi giorni sarebbe andata a cercarla nella casa dove aveva abitato sempre a Novara. Probabilmente non gli avrebbe raccontato delle ricerche a Sologno, Agnellengo, mordendo e men che meno Cuzzego. L'avrebbe semplicemente detto che da tempo la cercava perché l'avevano informata che l'impresa edile  Fardelli &C. la stava cercando per proporre a lei e al suo parente ""nudo proprietario"" di acquistare la casa. Si consolò con se stessa. Mentre saliva sulla moto dopo aver infilato il casco, si avvolse il foulard di seta sintetica intorno al collo perché cominciava a fare un po' freddino… E mentalmente si strinse nelle braccia. Niente di grave o di pericoloso era davvero avvenuto.  E dopo aver stretto le proprie braccia l'una nell'altra, le mise intorno al giubbone scuro del motociclista che aveva davanti sul sellino.  Era stato davvero straordinario, disponibilissimo, fantastico, a dir poco…  E dire che l'aveva perso di vista da un bel po' di tempo.  Abbassò la celata del casco perché l'aria fredda le dava fastidio sul volto e negli occhi.  Strinse ancora di più il giubbotto nero impermeabile che aveva davanti, e anche il contenuto…  Invece di ammannirgli di nuovo lo sformato del mezzogiorno, pensò a qualche leccornia che aveva nel freezer e che gli avrebbe preparato.  Se lo meritava!  E pensò che anche lei si meritava un amico così. Da incontrare. Magari perdere per un po' di tempo. E poi riincontrare. Ora stava pensando contenta di averlo di nuovo vicino.  Era stata lei a a trascurarlo un po' per tutto quel tempo? Forse si. Ma anche lui avrebbe potuto farsi vivo qualche volta… Oppure aveva già, come sempre, come nel passato a disposizione donne a bizzeffe…? Nel pomeriggio, dopo il pranzo, quando si erano distesi un momento sul divano, aveva sentito il suo corpo caldo, solido, robusto. Forse un po' fuori peso. Però molto vivo. Molto gradevole. Dopo avere rigovernarto e sparecchiato, lo invitò addirittura ad accendersi la sua pipa e a fumare accanto a lei lì su divano. Anche se lei in casa non aveva mai fumato.  Fiutò e respirò con piacere l'odore del fumo del suo tabacco.  Le tornarono in mente ricordi un po' lontani ma mai perduti.  «Però, adesso, riconoscilo, è un po' tardi per andare con la tua moto fino a Novara. E poi è sceso un bel freddo. Non trovi?»  Lui non rispose. Appoggiò sul tavolinetto davanti al divano la pipa. Mentre lei andava in camera a preparare il letto dove si sarebbero fatti compagnia.

Nessun commento: