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mercoledì 10 novembre 2021

MATILDE NON ABITA PIU' QUI? Cap 2

 MATILDE NON ABITA PIU' QUI...?

Cap.2.
“… Ma che cazzo di modo di raccontare è mai questo? “
[Non se ne abbia a male, lettrice/lettore, si tratta di un procedimento definito flash-forward; in senso inverso e opposto al più comune flash back. Chi narra si permette un salto in avanti oppure all’indietro … La narrazione continua, ma la memoria oppure la fantasia anticipano o ricordano …]
Lo sformato di melanzane, patate e carne, che in certi casi diventa emblema simbolo esclusivo della cucina greca, (ma c’è ben dell’altro…) era stato gustato e gradito.
Intanto l’ipotesi di prosecuzione delle indagini aveva buttato lì un percorso a zig-zag, cioè a casaccio… Le briciole di informazioni avevano ancora un carattere abbastanza vago. Definendo il tempo libero della “ricercata” (sia preso il termine in senso buono) come un generico girovagare, andarsene a zonzo, di qua e di là… la fanciulla/donna si era limitata a denotare la sua carenza di informazioni dettagliate e precise.
E non trattandosi, a onor del vero, di una vera e propria indagine, ma di una generica ricerca nei confronti di una persona, poteva anche andar bene così.
E anche ai fini della presente narrazione, che ambirebbe ad assumere connotati di “giallo”, ci si può limitare, per il momento, a una ricerca generica, alla buona, a casaccio.
Un vago, stentato e incerto solicello rendeva la temperatura ambientale, se non primaverile o estiva, quantomeno sopportabile. Perciò si optò ancora per la due ruote.
Il coprigambe, impermeabile e dotato di pelo sintetico, sinora tenuto ravvolto e arrotolato contro lo scudo anteriore sotto il manubrio, venne srotolato. E fu estratta la componente complementare, per le gambe del passeggero posteriore.
Per brevi spostamenti tali protezioni potevano risultare eccessive: ma averla riattivate poteva denotare più evidente la prospettiva di fare durare più a lungo e per distanze più considerevoli il viaggio.
Attraverso il vecchio ponte di ferro sul Ticino, l’ingresso nella Lombardia e nel Varesotto. Via Gallarate, poi quei leggeri tornanti che sfioravano l’imboccatura per la Malpensa. Ma proseguendo dritto.
Non mancavano, anzi pullulavano a macchia d’olio, complessi agglomerati classici nell’aspetto e nella struttura che denotavano centri commerciali. Iperstore. Mega strutture galattiche variamente articolate. Dal reparto abbigliamento; calzature; elettrodomestici telefonia mobile compresa; seriali ristoranti all’americana per braciole, costolette, asado spacciato per argentino, stinchi di maiale e quant’altro…
Disturbante, l’odore che emanavano al passaggio tali vivande più o meno alla brace o affumicate, naturalmente venne evitato. Avendo da poco pranzato lautamente. Preferendo invece, secondo le intenzioni progettuali, i superstore non alimentari. I reparti femminili: un tripudio di tailleurs, attillati calzoni elasticizzati, bolerini, maglioni di cachemire e non, collant, biancheria intima di varie fogge e colori, fino alle scarpe. Da quelle sormontanti zeppe altissime per alzare e sollevare la statura della indossante. A quelle invece nu-pied: con vari morbidi finimenti ad avvolgere piede e caviglia. Talvolta arrampicate su fino al polpaccio valorizzandole visivamente oltremodo.
Più in là: gioiellerie, oreficerie, bigiotteria.…
Quindi: parrucchieri, estetisti, massaggiatori…
Centri benessere. Spa.
Da quando il narratore qui protagonista, aveva assunto il ruolo complementare di pseudo detective, aveva imparato un po’ alla volta a girovagare senza capo né coda tra strutture di vendita di questo genere. Sinora evitate e fuggite con grande fastidio schifato.
Ma le probabilità di riuscire magari a scovare, rintracciare, raggiungere la chioma rossa in fuga, suggerivano anche di ricercare in posti del genere.
Si erano già persi gironzolando tra le casotte seriali e omologate sparse tra le risaie. Girando praticamente proprio a vuoto.
All’imbocco della Valdossola la grossa chiesona e la bettola osteria odorante di vinaccio scadente. Un modesto alloggetto pied-à-terre …
Non è che fosse poi così davvero importante, né per la ragazza né per il suo cavaliere accompagnatore, trovare a tutti i costi quella persona.
Ma, di fatto, era stato un caso fortuito, che aveva fatto scattare il “la” per quegli imprevisti, occasionali, ma discretamente graditi incontri gastronomici e di colloqui verbali, linguistici e di altro genere. Per dirla fuori dei denti: Filippa era molto contenta di avere ritrovato con una sempre crescente assiduità quel suo vecchio e insieme giovane amico contatto.
Lui era, a dire il vero, e più che altro per darsi un contegno, impegnato e occupato a fare il narratore/detective. Però, come ogni single maschio che si rispetti la buona cucina gli piaceva e gli andava esattamente a fagiuolo. E sapeva e riusciva a mettere a frutto quel gradevole ritrovato approccio femminile: dicendosi: avrei potuto anche, magari, cercarla prima io… Ora c’è… Finché dura questo menage, mi va abbastanza bene.
E fu, proprio in quel modo, girando senza meta e a casaccio, che l’occhio di lei intravedesse, tra la folla frenetica brulicante in quegli spazi di vetri, luci e paccottiglia varia, una macchia attribuibile a capigliatura, che ostentava capelli rossi.
All’ingresso di uno degli innumerevoli esercizi affiliati, outlett, franchising, si intrufolarono. Lui, per la sua più alta statura, assunse l’incarico di seguire la macchia rossa dei capelli.
Per un po’, non riuscirono a scorgere il profilo o di faccia chi ne era proprietaria…
Girata e voltata come era verso giovani uomini e donne, che con seduzione, garbo fin troppo eccessivo, maniere professionali raffinate, cercava di compiacere la nuova acquirente. Seguendo e cercando di interpretare il prevenire i suoi desideri e la sua ricerca.
Un piccolo approccio, vago, incompleto, per farle dire cosa cercava… E poi buttandosi a pesce e al volo a mostrare di avere intuito l’oggetto della sua ricerca. Prontissimi, però, a cambiare direzione, ogni volta, inseguendo i pensieri che provavano, cercavano, simulavano di avere telepaticamente intuito. Confermando che lei, a quanto rilevavano, aveva degli ottimi gusti….
Secondo la modalità, leccosa, di complimentarsi con l’acquirente per il suo orientamento ogni volta che costei ne mutava l’indirizzo e la direzione.
Ormai le erano alle spalle.
L’abbigliamento che era visibile posteriormente, poteva anche riferirsi a lei.
Non si riusciva a intendere con precisione la voce e l’accento.
Purtroppo, bisogna pur dirlo alla fin fine, si accorsero infine che la voce era decisamente diversa. E quando la acquirente dubbiosa aveva seguito la mano della commessa verso una vetrinetta, girando leggermente lo sguardo e il volto: si accorsero assolutamente che non si trattava di lei…!
Parzialmente rassegnati. Ma senza perdersi d’animo… Mossero all’indietro i propri passi introducendosi in un nuovo hangar, tempio, cattedrale del consumo…
La mano femminile, stava stringendo il suo braccio, cercando di confortare se stessa e il compagno di ricerche e di indagini.
Alla prossima… Concepirono e pensarono all’unisono. Da qualche giorno infatti un legame empatico e forsanche telepatico, favoriva i loro pensieri paralleli, che pertanto muovevano nelle stesse direzioni.
Ma l’avrebbero poi alla fin fine rintracciata, trovata, incontrata e messa in contatto con la Fardelli&C.?
Boh… Difficile o improbabile una risposta.
Ma per il momento andava bene così.
Lui aveva sempre in mente l’espressione di qualcuno, che l’aveva affascinato:
“nel viaggiare, spostarsi, andare, non è tanto importante la destinazione che ci si prefigge di raggiungere e lo scopo… perché a dire il vero, la vera meta di ogni viaggiare è il viaggiare stesso…” (E forse l’espressione viene da “L'alchimista” di Paulo Coelho).
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