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domenica 13 settembre 2020

COSI’ VA IL TEMPO…?

 COSI’ VA IL TEMPO…?

il viaggiare e i regali…
12.165 a. della galassia...

-Ma dài… Non faccia così, la prego… Si limiti, per favore, a raccontare in modo nudo e crudo la realtà dei fatti.-

Fu solo a quel punto che l'improvvisato, incallito, abituale antico e giovane aedo menestrello cantastorie cacciaballe, si schiarì la voce, la tastiera, gli occhi, l'anima, la memoria…
Sorbì lentamente l'ultima dose rimasta in tazzina del caffè.
Accese la pipa,
e si mise a raccontare…
«… Se proprio lo vuole, se me lo chiede, se, poi, come pare esattamente il caso, ciò è opportuno, eccomi…
È di prammatica iniziare un racconto con l'espressione rituale e ricorrente: "… in quel tempo…" ma a lei e a chi mi legge e mi ascolta voglio risparmiare le inutili formalità…
Facciamo, allora, che buttarci dentro a capofitto, come in un tuffo, nel fiume narrativo…
La collocazione temporale, spaziale, e il contesto emergeranno gradualmente da se stessi… Senza bisogno di collocarli qua o là…
Non c'era, forse, ombra di dubbio…
E se c'era non me le frega un tubo…
La situazione andava chiarita.
E presto possibilmente.
Essa, infatti, andava avanti in modo ambiguo, tentennante, pigro, svogliato…
Non si ricordava in quel momento neppure da quando, ma da troppo, andava fatta chiarezza.
Era nato tutto per caso.
Senza uno scopo, un prima e un dopo, una premessa.
Ed era stato così, che di punto in bianco, dall'oggi al domani, o meglio dall’ieri fino al momento presente, si era trovato le tra le mani quella cosa nuova. Indefinibile. Probabile forse, ma incerta, altalenante, zoppicante e balbettante.
Fino a un istante prima non cercava nulla di nuovo. Aveva messo da parte, forse temporaneamente, ogni prospettiva, attesa, progetto o preventivo.
E SBAM…!
La cosa esisteva e c'era. E più non domandare. Avrebbe avuto modo nel corso del cammino di porsi eventuali domande; per poi rimetterle nel cassetto, lasciar perdere e continuare…
Gli era capitato, spesso e purtroppo malvolentieri, che quando si era arrabattato a frugare qua e là, fino negli inguini più profondi e riposti, tenebrosi oppure profumati dell'esistente, a cercare qualcosa di nuovo da gustare e da vivere, gli era andata abbastanza buca. L'espressione corrente remota era stata: DISCULO.
Che meglio ora, in quel momento lì, avrebbe potuto definire con altro neologismo più attuale: SFIGA.
Aveva quasi sempre preferito allora lasciar perdere.
Buttandosi così a repentaglio verso le onde e i marosi. Verso il vento che talvolta diventa la brezza, talaltra infuriava come una bufera. Così. Alla bruto cane (senza nessuna offesa ai quadrupedi citati) per usare un'altra espressione corrente.
Così. Come viene viene.
E la cosa era venuta. Avvenuta. Capitata. Nata. Sorta da se stessa per partenogenesi aveva usato spesso dire.
Boh…
Basta là…
Ci si era ritrovato, sorpreso, compiaciuto, attonito, ma insieme anche un po' titubante.
La cosa c'era. E si era accanito a bracciate poderose a nuotarci dentro.
A camminarci allungando le gambe a passi lunghi e a falcate decise.
Solo qualche volta, va detto, si era fermato sul bordo, tra i cespugli, sulla riva ghiaiosa, a provare a riguardare l'ultimo tratto percorso.
Dal quale stava ora emergendo.
Per poi riprendere a camminare e a nuotare.
Da quale continente, galassia, mondo remoto, habitat la realtà aliena era spuntata fuori?
Ma come camminando nel bosco, tra le foglie della tarda estate che volge all'autunno, ci pare di scorgere, accattivante e promettente la sagoma di un fungo porcino, se n'era fatta una ragione. Tolti gli sterpi e i cespugli proliferati intorno, aveva abbassato le mani, aveva raccolto, intascato è fatto del loro di quel bene e sorpresa inaspettato. E dire che era andato solo a fare due passi, per respirare l'aria umida e odorosa di verde.
Una volta, gli era capitato di togliersi il cardigan a mò di sacco o zainetto, per riempirlo insieme al terriccio di mazzi copiosi, carnosi e promettente di famigliole buone dei funghi chiodini.
La cosa era pronta.
Si era offerta spontaneamente.
Si era regalata da sola e da se stessa.
Prima non c'era assolutamente neanche nel pensiero.
E poi SDENG… Eccola lì.
Lo stupore, l'entusiasmo, la meraviglia piacevole avevano gradualmente lasciato il posto alla consuetudine. Era diventata gradualmente una piacevole realtà abituale.
Come quando ti arriva uno squillo telefonico, sul fisso o sul cellulare: dlin-dlin… Con la musichetta che annuncia che qualcuno o qualcuna da qualche parte ha pensato a te.
E ti vuol dire questo e questo…
Rimani qualche istante sospeso, a mezz'aria.
Se è il solito rompipalle che ti propone di cambiare il contratto del gestore telefonico o dell'energia, hai pronte delle battute secche, per tagliar corto e ritornare al tuo silenzio.
Ma poi, se e quando ti accorgi di chi è che si sta cercando, qui nasce un sorriso dentro. Ti gusti la chiamata e le parole che seguono.
E gli incontri.
E i gesti.
E i contatti…
Ti rimane sempre dentro quel sorriso stupito e compiaciuto insieme.
"Ma guarda un po'… Chi se l'aspettava più…?"
Ma anche nuotare nel mare esistenziale e nel corso del tempo, aveva i suoi ritmi alternati. Talvolta, come pure nel camminare a passi lunghi, c'erano dei leggeri rallentamenti. Il piede restava mezz'aria. E poi riprendeva.
Così va il tempo.
Così va la vita.
Forse…
Se non in casi eccezionali aveva da molto rinunciato al rituale dello scambio dei regali. Compleanni; natali; ricorrenze… Lasciamo perdere…
Per cui la notizia, il barlume, in flash di un dono o di un regalo inaspettato, sulle prime lo spiazzava. Restava quasi interdetto. Poi rientrava nella realtà: allungava la mano incerta, afferrava il dono, continuava a sorridere dentro di sé, decideva di tenerlo, di farne tesoro.
Molto tempo addietro un modello di persona che poi era scomparso nella nebbia, aveva voluto deliberatamente rifiutare un dono, spropositato, inopportuno, che cercava di ottenere favori immeritati. Rifiutare un dono è doloroso, ma talvolta è il gesto migliore quando si sa di non meritarlo, e che dietro quel dono c'è un interesse poco limpido.
Nel caso in parola, aveva forse bisogno da tempo di ricevere una sorpresa, come quando da bambini si rompeva il cioccolato dell'uovo di pasqua, gli occhi golosi di vedere quegli oggettini insulsi e stupidi.
Anellini di metalli scadenti.
Microscopiche finte macchinette fotografiche di plastica; che mostravano il santuario della Madonna tal dei tali o altre puttanate.
Allora, proprio perché eravamo bambini, volevamo, desideravamo, aspettavamo quei doni. Per quanto insulsi e stupidi. Ne facevamo tesoro nella saccoccia dei calzoni o della giacchetta. Fino a quando, estraendoli e guardandoli meglio, accantonavamo la delusione.
L'uovo pasquale della sua vita ed esistenza gli aveva fatto trovare quel fungo. Carnoso. Paffuto. Invitante. E aveva deciso di tenerselo, almeno per un po'.
L'aveva riguardato come le sorpresine dell'uovo. Scrutandolo di qua e di là.
Se l'era gustato.
Ora, però, il suo sguardo si era fatto più attento, terso e limpido.
La polpa carnosa del gambo o della cappella rivelavano delle piccole incisioni.
Dei piccoli cunicoli che già erano stati scavati e aperti.
Rimase perplesso.
Riflessivo.
A riconsiderare la cosa.
Non tutto è oro quel che luccica.
Anzi.
Talvolta è latta verniciata.
Come negli anellini con i topazi di plastica.
E le immagini nella minuscola posticcia microcamera, con i santuari e i paesaggi colorati male, lasciavano il tempo che trovavano…
Così va il tempo.
Non stava cercando nulla.
Né funghi.
Né sorprese infantili.
Aspettava, si fa per dire, senza eccessiva speranza.
La cosa era capitata.
Aveva offerto delizie, bocconi piacevoli, trasgressioni, gustosi sapori che attendevano di essere rivissuti.
Prendere o lasciare.
Per il momento aveva preso.
E non aveva lasciato.
Ora, disponeva di cristallini più limpidi e nuovi.
Disappannata la visione.
Molte altre volte durante il cammino, la nuotata, il viaggio, aveva preferito mettere da parte quel che non era più confacente. Che si era rivelato alla fin fine deludente.
E nel cesto delle cose incontratevi e a suo tempo apprezzate, spuntavano oggetti abbandonati, dismessi, inutili, superflui.
Forse, come sempre, si sarebbe drizzato in tutta la propria altezza e statura.
Alzando il capo con orgoglio dignitoso.
Tendendo le spalle.
Per far scomparire o lasciare solo come residuali tracce quel fastidio lombosacrale che l'aveva disturbato.
Quando aveva forse voluto buttarsi in uno sforzo eccessivo. Spropositato.
Inarcata la schiena. Lo sguardo proteso. Aveva sempre di nuovo provato il gusto di guardare lontano.
Gli orizzonti non sono mai qui dietro l'angolo o dietro la strada.
Il cielo si spalanca nella sua autentica pienezza solo e soltanto e quando alziamo il capo per guardarlo davvero.
Da un po' di tempo la distesa del mare era rimasta a dormire e a poltrire nel ricordo.
Da un po' di tempo le strade da percorrere nel vento erano rimaste inattive.
Da un po' di tempo la fuga verso le acque gelate e ritempranti delle fontane al passo della Frua era rimasta in stand-by. In sur-place. Sorniona.
Ma continuava a covare.
E poi non era neppure pasqua.
E lui non era assolutamente più il bambino goloso e bisognoso di giochini sorpresa.

Aveva gustato i doni ricevuti.
Che ora potevano finire con gli altri nel cesto di vimini delle cose riposte.
Dei ricordi piacevoli.
Delle fotografie che avrebbero potuto anche ingiallire.
Decise di calcare sul capo il casco con la celata alzata per sentire il fresco.
Infilò le chiavi nel cruscotto.
Il carburante era al massimo.
Sarebbe bastato ancora per un bel po' di tempo, per garantirgli altri pezzetti di viaggi.
Avviò il pulsante dell'accensione.
Il rombo strombazzante gli fece compagnia.
Gli disse
“vai pure caro… Andiamo. Il viaggio non termina. Almeno per ora…”
Nanni Omodeo Zorini Qfwfq

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