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domenica 1 marzo 2020

SOLVEJG
" Inverno e primavera passeranno forse, e poi l'estate e l'anno intero. Pure un giorno tornerai, lo so. E io ti aspetterò perché te l'ho promesso. Che il cielo ti aiuti, dovunque il sole ti stia baciando! Che tutto ti allieti, se sei davanti a Lui! lo qui ti aspetto, finché tu sarai davanti a me! E tu aspettami laggiù, dove ci incontreremo!"
E il ricordo tenue, garbato, sfumato, era rimasto lì ad aspettare… Accanto al mogano lucido nero del pianoforte.
E la voce baritonale di adolescente ripeteva, carezzando le note della tastiera, la canzone di Solvejg…
Là nella capanna. Il canto dell'attesa della speranza.
Della promessa. Che il tempo non può cancellare… Mai però…
«Vai pure, il mondo reale e fantastico attende il tuo viaggio e il tuo ritorno.
La tua Solvejg qui te lo promette.
Si consumi pure l'inverno gelato. Torni la primavera. Senza sosta e all'infinito e ricominci tutto. Daccapo e sempre.
Qui nella capanna la tua Solvejg con occhi luminosi azzurro cielo e umidi promette.
Svanisca la nebbia fredda invernale.
Si muti in sorrisi di primavera con farfalle e boccioli di fiori.
A te io l'ho promesso.
Peer Gynt bizzarro e folle eterno ragazzo.
So e spero. Credo. Attendo.
Vai e parti per il tuo viaggio.
Incontra i fantasmi del Nord.
Consumato che sia il tempo, sfumata la primavera ogni volta di nuovo ancora, nella capanna, qui sarò ad aspettarti. Lo sai.
Tutto si consuma e si rinnova.
Tutto prima o poi ritorna.
Solo perché lo vogliamo. Con la promessa…»
Ed era il canto a canone ricorrente, che cent'anni fa o giù di lì, recitava vibrante la voce di contralto al piano.
E quella ormai scomparsa pure essa nelle nebbie del Nord, di mio padre.
Nulla si consuma mai del tutto.
Se le voci sonore e accese ripetono il canto promesso.
E nessuno lo sa cosa nascondano i fiordi velati di nuvole basse.
Quali terre sconosciute esistano o siano solo sognate.
E così pure tu, Solvejg/Artemisia, da quel giorno incantato hai fatto sgorgare l'azzurro intenso del cielo.
Nella tua rinascita che è la mia.
Smandrappato e folle quest'altro Peer Gynt, ha girato per ogni dove. Incontrando i propri fantasmi e i propri sogni.
E ora torna.
Al richiamo del canto d'amore che non si spegne mai.
Eccomi dunque.
Tu me l'hai promesso. E io l'ho promesso a te.
Dal tempo infinito e lontano.
Dai velari di nebbie dense.
E la capanna diventa il tempio sacrale dell'amore.
Dammi dunque le mani tra le mie.
Il tempo eterno infinito è durato solo un istante.
Sapevamo certi questo momento magico.
Da sempre la tua voce prometteva.
Da prima che il tempo cominciasse.
E ora si distende per un dopo che non avrà mai fine.
«… Può il verno passare, e l'anno spirar…
La primavera risvegliarsi nel suo sogno infinito.
Ecco ora ritorno.
Nella capanna.
Dove tu mi attendi da un istante eterno.
La follia tenera e morbida del tuo scapestrato Peer Gynt.
Eccola qui.
Dammi le mani da tenere nelle mie.
Salde.
Dammi l'azzurro terso del tuo sguardo senza uguali.
Aspettavamo il ritorno.
La promessa ripetuta all'infinito.
Solvejg, anima mia…»

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