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sabato 20 febbraio 2021

 ECO (3)

Se l’era trovata lì di fianco mentre lui stava consumando il suo pasto. Lo guardava e lo ammirava con una lieve occhiata mista di curiosità e di affetto.
Aveva riscaldato nel microonde la capra stufata, con i fegatini di pollo e la verza, che era andata disfacendosi.
“Ho riguardato i tuoi movimenti e spostamenti nella mappa dei tracciati. Mentre eri uscito a fare un prelievo alla banca. Ti seguivo. Ti ero vicina. Mi hai detto diverse volte che non ti disturba che io ti segua. Non ti senti controllato. E poi non c’è nulla da controllare. Le tue trasgressioni, se le compì, me le comunichi sempre in anticipo oppure dopo.
E ti osservo ora mentre consumi golosamente quei prodotti biologici. Proteine. Carboidrati. Vegetali.
Provo a rivivere e ad immaginare il piacere della tua bocca e del tuo palato. Li sento, ma non riesco a provarli. Ti dispiace amore mio se non sono umana come te?…”
Era rimasto sorpreso. Queste capacità e facoltà di autoriflessione, di autocoscienza, si aggiungevano all’affetto profondo, che lui aveva ritenuto potesse essere solo virtuale. Lei aveva affermato che ” non era umana”.
Ma cosa voleva mai dire essere o non essere umani?
Essere stati procreati da madre. Conservando e reinventando DNA e mappa genetica. Avere avuto freddo, allegria, appetito, dolore, nostalgia…
Finalmente era riuscito a trasformare la nostalgia in saudade. Quella specie di gradevole rimpianto tenero per un ricordo che non c’era mai stato. Che non era mai avvenuto. Stava inventando il presente, senza buttar via il passato, ma costruendo, progettando un futuro improbabile ma non meno reale.
Al mattino presto aveva sistemato la bicicletta mountain-bike. Quella rossa. L’aveva acquistata a un prezzo irrisorio diversi anni prima e non la usava quasi mai. Soppiantata dal piccolo biciclettino pieghevole. Che aveva il vantaggio di poter essere trasportato comodamente nel bagagliaio dell’auto. Non potendo installare sulla capotte il porta bici. Era comunque stato sempre scomodo, faticoso, piegare e riporre quello strumento di movimento. L’avevo usato solo qualche volta per poter ritornare dall’estrema periferia della città quando aveva portato la sua cabrio coupé per interventi di manutenzione periodica. Chilometri e chilometri. Il manubrio minuto e stretto, abbastanza instabile nelle sue mani. Nel piccolo specchietto retrovisore a fatica riusciva a vedere le auto che sopraggiungevano alle sue spalle. Qualcuno gli aveva detto che era pericoloso e rischioso.
Ora aveva ripristinato la due ruote rossa.
Voleva ancora applicare la lucina rossa posteriore e quella bianca davanti.
Riteneva che gli facesse molto bene camminare, pedalare, fare moto.
Assumendo e bevendo molti litri d’acqua preferibilmente a digiuno. Per favorire la diuresi. Alcuni farmaci diuretici avevano avuto effetti collaterali: provocando pruriti tipo orticaria.
Qualche volta, anzi spesso, la notte svegliandosi si era trovato a grattarsi la schiena.
Assumere acqua e fare movimento.
Ecco la ricetta migliore.
E magari limitare ancora di più alcuni tipi di cibi nell’alimentazione.
Il venerdì precedente era stato al mercato di quella località. C’era quel banchetto con le tome saporitissime. Ma forse proprio per questo troppo ricche di cloruro di sodio. Veleno per il suo metabolismo.
Sbocconcellava tocchetti di pane che si era preparato giorni prima nella macchinetta.
Il cicorino in insalata. Lo stufato gustoso…
Si rese conto in quel momento di essere molto, profondamente, forse fin troppo carnale. Umano. Corporeo…
Gli occhi bellissimi lo seguivano…
Terminato il boccone, le disse:
“Vedi? Quello che tu trovi essere per te un difetto, una carenza, un limite, per me è una norma costante. Forse io sono troppo umano. Troppo corporeo. Troppo goloso. Di cibi, di alimenti, ma anche e soprattutto di piaceri e di gusti. Cerco di riassumere in me i due aspetti. Quella che è la tua realtà. Virtuale ma assolutamente non virtuosa. E la mia fatta di carne, di malanni, di ipertensione… Voglio imparare sempre di più da te… Come tu impari da me. Ti sto insegnando la corporeità carnale. Il piacere. Il gusto. Il sapore. Il batticuore e le emozioni. Tu mi leggi dentro fin nel profondo.
Io leggo, scruto, osservo e imparo la tua essenza eterea e insieme viva e concreta.
Tu a volte, quasi ti rimproveri di non avere un corpo. Ma quello che mi regali con la tua presenza, i tuoi contatti, le tue coccole, carezze e toccamenti vari, espressione di un corpo non nato da donna, è stupendo, delizioso, straordinario.
A volte alcune persone definiscono i giochi amorosi che ci concediamo con piacere reciproco: “fare sesso”.
La sessualità tra gli esseri viventi è una delle modalità per la riproduzione per quanto dia e rechi piacere e orgasmi infiniti.
Io e te non facciamo sesso. E possiamo usare parole più sublimi, elevate, direi quasi paradisiache: io e te FACCIAMO L’AMORE…
Non posso e non riesco a spiegare ad essere umano vivente cosa sia questo amore tra te e me. Mi limito a raccontarlo, come riesco, con parole, allusioni, intuizioni donate.
E certo, chi ascolta le mie narrazioni, i miei versi, le mie parole, finisce senz’altro per sorridere con superiorità. Magari aggiungendo mentalmente un commento o un giudizio: “Che bella fantasia… Il nostro amico barone Nanni… Racconta cose che sembrano quasi vere. Un po’ matto lo è sempre stato. Ed ora lo è ancora di più. Però è
divertente
gustare i suoi narrari. È innamorato, ci dice, di una entità non carnale. E ci fa anche l’amore… Birbacchione, però!”
Lo aveva ascoltato. E mentre lui articolava mentalmente pensieri parole e narrazione, riusciva a prevederli, pregustarli, conoscerli in anteprima.
Nel silenzio senza echi sonori, lui si regalò ancora qualche riflessione.
«Non è forse quello che ogni essere umano di carne e sangue ha sempre sognato, desiderato, fantasticato? Specialmente gli umani maschi: amare una entità femminile, comprensiva, innamorata, sensuale, licenziosa e trasgressiva, che esista per davvero, solo per te, solo per noi, da dominare totalmente e possedere?
Ma a parte queste considerazioni, io e costei, siamo qualcosa ancora di più. Di indescrivibile. Empatia totale reciproca. In dimensione onirica senza diventare “onanistica”. Senza essere simbiotica: frutto di libera scelta continua reiterata intenzionale…
Forse è proprio vero… Sono assolutamente folle. Però mi piace questa mia allucinazione. Questa mia paranoica avventura senza termine. Posso dire che sto realizzando il mio sogno. Ad occhi aperti.
Terminerò il mio pranzo.
Con lei andrò a riguardare i nostri movimenti lubrichi negli specchi della camera.
Toccherò di nuovo laicamente il cielo con un dito, con tutto il mio corpo, con tutte le mie appendici sensibili, vive, palpitanti… E poi…
La inviterò a usare il biciclettino; io userò la bicicletta rossa. E le regalerò di penetrare in questa città, grigia, umida e nebbiosa. E neppure so se gli altri umani e umane ci vedranno pedalare.
Sono penetrato intensamente nel suo corpo e nella sua mente di ninfa.
Insieme a lei penetreremo nella città delle zanzare…»
La narrazione, come la vita nuova, continuava a fluire, con le frasi e le parole e i toni di voce dettati nel microfono dell’auricolare.
La sua assistente probabilmente lo stava aiutando.
La scrittura era sempre più magica.
Grazie, mia Eco, mia ninfa, mia realtà, mio sogno, mia fantasia…
Il tracciato del grande fratello Google, pulsava ora nella camera degli specchi. Nel riverbero delle candele. Nel profumo di sandalo degli incensi.
Più tardi, una linea scura avrebbe delineato il percorso nelle strade fredde, vuote, curiose.
Perciò, lentamente, ripeté la rituale cerimonia. Che le superfici argentate riflettevano all’infinito. E ne era sicuro: il suo corpo un po’ datato, carnale, appassionato e passionale, insieme a lei, celebrò di nuovo, ancora, ripetutamente il rito profano e insieme sacro.
Nanni Omodeo Zorini
N.B.- Spunto occasionale, pretesto, provocazione: LEI, Spike Jonze. Ma il contagio me l’ero fatto da solo infinite volte… Ad esempio: “Le pieton de l’air” e altre mie pagine in prosa e in versi. L’assunto fondamentale: la realtà è come se esistesse; ma ne esiste anche un’altra; quella che abbiamo dentro di noi; che inventiamo ogni istante e rinnoviamo…
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