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mercoledì 10 febbraio 2021

GIOCANDO A RACCONTARE STORIE

 





GIOCANDO A RACCONTARE STORIE

Era un vezzo pluridecennale.

Partiva da un pretesto, una situazione, un personaggio… Poi andava avanti come capitava… Scoprendo, durante la scrittura stessa, le vicende e i particolari che prima aveva solamente delineato a volo d’uccello senza definirli bene.

Poi, successivamente, a volte addirittura dopo avere reso pubblico il racconto, ne smontava particolari, sfumature, co-protagonisti.

Gli effetti erano buffi, e talvolta provocavano una situazione di estraniamento. La struttura restava tale e quale. Anche gli elementi più salienti. Ma bastava modificare l’ambiente, togliere una cosa di qua e aggiungerne una di là. E il racconto non era più lo stesso ma era totalmente diverso.

Talvolta si divertiva a mettere alla berlina qualcuno che gli stava particolarmente  sui coglioni. Poi, ad una prima ho una seconda lettura, decideva di smorzare alcuni toni, accentuarne altri. Se il protagonista del narrato, che poteva benissimo essere totalmente inesistente e inventato di sana pianta, compariva in compagnia di altri, il risultato era di un certo tipo. Dopo i ritocchi e le modifiche, veniva ribaltata tutta la situazione.

In effetti non ce l’aveva contro qualcuno per davvero. Ma caricava su qualche personaggio degli aspetti che in generale non apprezzava, o addirittura voleva cassare, criticare, sfottere.

Capitava spesso che qualcuno si riconoscesse in quei racconti. E qualcuno glielo diceva anche. Lui si divertiva ma era anche abbastanza amareggiato. I suoi giochini narrativi gli stavano a cuore. Talvolta li annullava e li rimuoveva radicalmente.

Il risultato lo vedeva riflesso nei lettori. Riceveva commenti contestuali sulla piattaforma. O anche attraverso altri canali. Se l’era presa di recente con i sempliciotti stupidotti che si autoritenevano “poeti”, solo perché buttavano giù delle filastrocche in versi e in rima. Aveva scritto diversi componimenti e saggi cercando di illustrare la problematica artistica. Ma non sempre i lettori coglievano e capivano il messaggio. Forse leggevano solo di sfuggita. Non arrivavano al nocciolo. Finivano per credere che lui ce l’avesse personalmente con qualcuno che aveva i connotati, le caratteristiche che lui aveva delineato nel racconto. Credevano che lui ce l’avesse con il tal dei tali. E magari ritenevano addirittura che lui volesse criticare altri personaggi che comparivano di sfuggita, di sfondo e di contorno.

A volte addirittura si imbarcava in discussioni, argomentando in un modo e in un altro. Fino a quando preferiva lasciar perdere. Rinunciava a convincere gli interlocutori riluttanti.

Specie quando gli muovevano critiche dirette sulla narrazione, sulle argomentazioni sostenute, sul nocciolo e sulla finalità che lui voleva raggiungere.

Una narrazione contro i poetastri da strapazzo, da fiera o da cresima, veniva criticata e combattuta partendo da qualche particolare che lui ci aveva messo dentro e che non era essenziale.

Aveva scritto più e più volte in molte proprie pagine che riteneva che scrivere fosse un atto d’amore. A volte si rimangiava la parola. Ma si sa che le situazioni d’amore rischiano di trasformarsi in conflitti o addirittura di rovesciare l’atteggiamento amoroso in livore e in odio.

Qualche persona appassionata alla sua scrittura, si era talmente adombrata, seccata e offesa per alcune sue narrazioni. Addirittura al punto di rischiare di rompere definitivamente l’amicizia.

Ma, si sa, a volte il tempo è una medicina. A volte i giorni e le ore finiscono per diventare involontariamente un lenimento della sofferenza e della ferita che è stata inferta.

Aveva però sempre in mente Quasimodo: “Ognuno sta sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.”

Differiva ed esorcizzava quella sera, quel tramonto, quella notte buia incombente e ferale. Raccontando ad ascoltatori e anche a se stesso che aveva ottenuto una proroga. Sine die.

Però, pur giocando con parole e frasi e narrazioni, sentiva venire da lontano cupa, luttuosa e dolorosa, la resa dei conti. E quando chiedeva a qualche persona cara la propria opinione in proposito, gli veniva risposto, quasi sempre, purtroppo: “vorrei, mi farebbe piacere, ti augurerei che il sipario venisse calato il più tardi possibile anche sul tuo spettacolo teatrale. Ma non possiamo saperlo. Perché forse, anche per te, la vita prima o poi dovrà aver termine”.

Restava ad attendere. Nuove albe. Nuovi tramonti. Nuove risa da ridere e nuovi sorrisi da godere. Ma a volte l’attesa era molto lunga. Quasi da rischiare di temere che il treno fosse in ritardo oppure, addirittura, che fosse stato soppresso definitivamente.

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