COMMIATO
di liberazione, però!
E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto ‒
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu piú dolcezza,
non fu piú abbandonarsi
al sentiero sul fiume ‒
‒ non piú servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto ‒
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu piú dolcezza,
non fu piú abbandonarsi
al sentiero sul fiume ‒
‒ non piú servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
Cesare Pavese
«E mi chiedevi come comincia il risveglio,
il riscatto, dallo schifo e dalla vergogna…
Se ti basta, almeno per iniziare per
davvero, prova a leggere questi versi di Cesare Pavese.
Leggili con cura, però.
Cerca di andar dentro alla situazione.
Emozioni di chi 70 anni fa, timoroso,
titubante incerto, vergognoso quasi di farlo, decise di alzare la testa. Per
uscire dall'ignominia che allora era colorata di nero brutale.
E non dire le tue sciocchezze futili, che
ti pare troppo grosso usare il termine fascismo ora qui. E che tu e il tuo
degno compare non voterete più lega… la prossima volta… Aggiungendo, che a te
la politica non interessa. Che ti disturba parlarne. E ti disturba anche
prendere decisioni che riguardano la tua vita personale.
Ricordo quando mi venisti a cercare, anni
fa, e con vezzo lascivo, ridendo compiaciuta e sorniona, provasti a farti bella
con me, che ritenevi un donnaiolo incallito, a raccontarmi di quando ti regalasti
alle perversioni del porco, così lo chiamavi, che anziché massaggiarti la
cervicale, ti aveva fatto sentire il suo nerbo osceno. E ridevi compiaciuta.
Malata e immatura anche allora.
E ti pareva una liberazione quella. Passare
dal disprezzo di chi ti viveva fianco, come donna e compagna, e mai ti cercava,
a chi abusava così di una donnotta di mezza età, piccolo borghese, meschina.
E di
quando fuggi quotidianamente con piccole meschine bugie, a cercare di nuovo
qualcosa di ineffabile, di sordido, adducendo alibi e pretesti…
Liberarsi è sempre uscire dallo schifo. Dal
letamaio in cui si è immersi. Nella vita personale e nel vivere quotidiano.
Ignava, vigliaccamente credesti in un
riscatto. Passando dalla trascuratezza colpevole di quell'omuncolo che avevi
creduto di scegliere, ad un abusatore che approfittava del tuo appetito morboso
e insoddisfatto!
E stai ancora dentro nella tua tampa e nel tuo
letamaio. E ti piace. Ti consola e ti rassicura.
Mai più avere vergogna di se stessi.
Neanche per una donnetta modesta come tu ti sentivi e ti ritieni. Ricercando
una nuova schiavitù alle pulsioni perverse.
La rinascita riguarda tutto noi stesso.
Scelte di vita, di letto, di visione del mondo, e il riscatto non lo si fa
regalando allo scempio di uno sconosciuto la propria lascivia malata. E neppure
dicendo: aiutiamoli a casa loro. Io ho già i miei
problemi. Prima mi curo e poi vedrò.
Ho provato, forse inutilmente a quel che
vedo, a insegnarti a leggere la vita e il reale.
Mi dicevi: "sì, sì… però parliamone
un'altra volta, ti prego… Ora andiamo di là a fare i nostri giochini…"
Coazione a ripetere.
In tanti te l'abbiamo già detto. Per uscire
dal morbo occorre forse allontanarsi dalla fonte del contagio. Uscire dal
letamaio e smettere di compiacersi del caldo puzzolente che ci ha ospitato.
Io, noi, oggi usciamo da tutti i letamai possibili.
Ci proviamo almeno. Da quello personale, dal suo fetido tepore, ma soprattutto
e anche da quello che tu e quelli come te degni, avete guardato e ammirato.
E non so più neanche come spiegartelo. Solo
tu, se vorrai, potrai capirlo.
Ma dovrai volerlo. Decidere di non essere più
una merdina piccola piccola nel vissuto domestico casalingo.
Nella visione generale. Nei contatti. Nella
vita insomma…
Mi guardi e mi ascolti annoiata. "Ma
sì, dai, lasciamo perdere ora… Ne riparleremo un'altra volta. Ora sono stanca.
E ho tutti i miei pensieri. A te piace sempre parlare. Sono d'accordo con te,
però…"
Il risveglio, l'uscita dal fango, dal
torpore languido e complice, è ancora una volta differito.
La speranza, almeno la mia, almeno con te,
dolcezza languida e scurrile, dovrò metterla da parte. Rinviarla sine die.
Rinunciarci?
Vuol dire che questa volta la speranza non
sarà l'ultima a morire.
Perché sta morendo, e tu, morbido batuffolo
pigro, alla vita non risorgerai mai…»
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