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mercoledì 22 giugno 2022

 VACANZA-VILLEGGIATURA MENTALE

Musica.
C’erano nell’aria brandelli di musica.
Dilagava senza metodo. Senza una chiara logica o scaletta o criterio…
C’era della musica e basta.
Struggenti, melanconiche cantate, appoggiate a suon di pifferi e altri strumenti a fiato.
Ci camminavano a cavalcioni.
E questi stralci e frammenti venivano intervallati da commenti sonori parlati.
Difficile seguire il filo logico del discorso.
E non era neanche importante per chi stava ascoltando.
Fluiva.
Era un acqua fresca zampillante autonoma e autosufficiente.
Sapeva molto bene bastare a se stessa.
Allo stesso modo, su un binario parallelo per conto proprio, pensieri, narrazioni interiori, immagini e parole.
Anche questo torrente viaggiava a sé stante.
Si facevano compagnia i due diversi rivoli.
Amari, accartocciati, in via di atrofizzazione come foglie secche autunnali, i fotogrammi intrisi del sonoro ormai desueto venivano dall’indietro, molto da lontano.
Frasi smozzicate scritte sullo schermo del tablet dal socialnetwork.
Raggiunte, corrette, intinte e mescolate con frasi sonore di telefonate al cellulare.
Minuscole luminose diapositive che avevano avuto pure un senso.
Cercavano di aprire un colloquio.
Lo aprivano inaugurandolo.
Subito richiudendosi e scusandosi come se non l’avessero fatto apposta.
Dialogo.
Dilagamento di sensi e di significati.
Qui lo dico;
qui lo nego;
qui lo dimentico…
Con lo scooterone grand-dink che aveva attraversato il Tirreno nella cambusa del traghetto. Odorosa di olio meccanico. Di motori. Ti scarichi di marmitte.
Si era arrampicato in cima alla collina del piccolo campeggio. Un minuscolo bungalow. Le zanzariere distese fermavano gli insetti. Lasciando fluire l’aria che sotto gli alberi era quasi fresca.
In linea d’aria, a qualche centinaio di metri, la piccola siepe cintata per l’oasi del villaggio turistico. La sera, rasente la spiaggia e i suoi sassi e scogli, varcava il confine.
Per perdersi e incontrare la sua cocotte clandestina. Che gli ordinava le cene variate nei vari ristoranti saporiti.
Annaffiate di cannoau corposo e micidiale.
Il mattino, la catturava all’ingresso del lussuoso villaggio, dal quale uscivano flussi di fresco verde e onde sonore musicali frammiste, per portarla in giri turistici con improbabili pullman di linea locali.
Entrambi mezzi nudi col solo costume aggrappati all’argento, luccicante sotto il sole, dello scooter.
Aria rovente che diventava fresca sui corpi sudati.
Ogni volta una nuova caletta da raggiungere scorticandosi i piedi nei sandali.
La pelle reciprocamente totalmente nuda sguazzava quasi in una fontana nell’azzurro marino.
Bracciate di allontanamento.
Fughe.
Ritorni improvvisi.
Avvinghiamenti.
Corpi che scivolavano nell’acqua gelata per incontrare il caldo dell’altro corpo altrettanto e forse ancor di più nudo del proprio.
Il filmato scivolava via scomparendo tra le onde mentali.
Sinuosa, come un pianto allegro, la musica dalla radio continua a divertirsi e a lambire.
Dallo smartphone cellulare sembrava arrivare la vocetta modulata della telefonata rituale.
Si negava.
Prometteva e si offriva di nuovo. Saltabeccante, non regalava certezze ma ipotesi, probabili, che lui riusciva a colorire coi pennarelli della parola.
Descrivendo minuti particolari che facevano tremare lei e ridere e godere di ascolto.
Buio.
Tapparelle abbassate.
Candele e bacchette di legno di sandalo profumato fumiganti.
Frescura dallo split del condizionatore.
Caldo del proprio sangue, della propria carne, e del corpo femminile da invadere, gustare e dominare.
L’espace d’un matin, anzi di un pomeriggio. Una cena frugale, anch’essa in mezz’ombra, con indosso le vestaglie di seta cruda.
Sinuoso il canto accompagnato dai flauti.
In quel pot-pourri sonoro.
In quella vacanza mentale.
Libera da presenze ingombranti, superflue, fastidiose, fasulle.
Altri corpi femminili, di altre figure, di altre presenze per fortuna ora assenti…
Tornarci in quell’intenso odore di ligustri della macchia mediterranea corsa e sarda...
Prima, forse però, andare a dissetarsi alle bocchette delle fontane di legno della Frua. Gustata sulla panchina di tronco una ghiotta merenda.
Asciutti salami di capra e di cervo.
Grasse tome di alpeggio.
Pane con uva e albicocche, all’ossolana. Affettati con la lama tagliente del coltellino tascabile.
Sgollando acqua di neve, disciolta dai vicini nevai.
Raccontando i racconti mentali.
La radio si era assopita, ora.
Il telecomando l’aveva mandata a dormire.
Le immagini, i fotogrammi, le sequenze di corpi sole e azzurro marino, avevano ripreso a galleggiare nell’altrove del passato. Materiale mnestico da accantonare.
Avevano fatto il loro tempo.
Dopo essere apparse roventi e infuocate nel ricordo vivo, erano ritornate fredde, insulse, come le vecchie foto color ocra dell’infanzia.
Nanni Omodeo Zorini
Maria Teresa Grano
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