Conosceva la tana perfettamente. Ci
stava a proprio agio. Da sempre ci si era acquattata da finire addirittura per
credere di starci bene. Gli odori, le ombre, le piccole foglie, il terreno
battuto, tutto le sembrava rassicurante.
Ma sempre di più le era scattato
l'allarme. Drizzava continuamente le orecchie senza darlo a vedere neanche a se
stessa. C'era un nuovo odore diffuso in quel pezzo di bosco. Odore di salvia,
di mirto, di rami bruciati, affumicato.
E quel nuovo che individuava appariva a
momenti alterni una sorpresa felice, una via di salvezza, una liberazione;
oppure all'opposto si alternava con un terrore panico. Il suo piccolo cuore
fragile delicato allora batteva all'impazzata.
Tu Tum tu Tum tu Tum tu Tum.
E poi ancora: tu Tum tu Tum tu Tum tu
Tum…
Fino a quando riusciva ad assopirsi sul
battuto di terra dall'intenso odore. Ma anche allora sogni, fantasmi, incubi le
incombevano.
Sapeva benissimo, ne aveva la certezza
che il nemico, padrone, predatore, tiranno stava da sempre appostato. Col suo
ghigno beffardo e disumano. Silenzioso, tranne quando si spostava un momento
per bere dalla sua bottiglia. O quando nel silenzio del bosco vibrava la sua
voce robotica.
Stava sospesa a un filo della propria paura,
del proprio terrore. Credeva di essercisi adattata. Abituata. Assuefatta. Di
trovare tutto normale. Si raccontava da sola che era quasi piacevole tutto
così.
Ma il predatore padrone tiranno non era
solo. Aveva fatto un patto con quella là. Ne aveva ricevuto le consegne. Che da
sempre eseguiva, addirittura mostrandosi distratto, ma in modo determinato
assoluto fino a quando ci sarebbe riuscito.
E doveva sentirsi certo e sicuro che ci
stava riuscendo da tempo. Immobile. Freddo. Senza emozioni. Governava quello
statu quo.
Era un gioco perverso. Ci si divertiva
da sempre.
Conosceva bene la sua preda e vittima.
E la vittima preda accettava il gioco da
sempre. Addirittura turbata e spaventata solo al pensare che la libertà potesse
esistere. Che il mostro smettesse definitivamente il suo gioco perverso. Che
lei fosse costretta a battere le zampe sul terreno. E a fuggire verso la
libertà col cuore in gola.
Sentiva l'odore di quella là che doveva
starsene acquattata tra i cespugli. Ne aveva sentito talvolta la voce
biascicante con il suono delle esse accentuate come ai vespri.
Insomma tutto normale si diceva. Tranne
quando aveva creduto di vedere il salvatore che le regalava il messaggio di
libertà. Non era sicura. Forse l'aveva soltanto sognato. Desiderato.
O comunque l'aveva spesso rimosso dalla
sua mente e fuori dell'odore della tana.
Qualche volta aveva anche addirittura
finito per odiarlo. Per essere venuto a instillarle quella speranza, che ora la
disturbava come un veleno.
Solo verso di lui aveva osato mostrare
apertamente rancore.
Ribellandosi.
Perché lui glielo lasciava fare.
Si diceva che avrebbe voluto esser solo
lei a decidere di battere le zampe posteriori iniziando la fuga.
Perché era venuto a portare
sconvolgimento turbamento nella sua tana?
Dai tremori della foresta aveva sentito
i passi della ragazza che pure voleva aiutarla.
L'ombra della tana tremava e vacillava.
Gli odori diventavano ora incerti. Non più rassicuranti. Stava preparandosi a
scoppiare sempre di più la tempesta. Sarebbero venuti lampi e tuoni. Il nemico
e la sua complice erano appostati pronti per ghermirla.
Le pareva un sogno, un incubo. Aveva da
un lato certezza di quella realtà. Da un altro lato temeva o anche sperava che
fosse una sua autoillusione.
Aveva sperato, sognato, fantasticato di
battere le zampe posteriori iniziando la fuga dalla tana, dal terrore, dai
fantasmi e dall'incubo.
E continuava a starsene rannicchiata. Le
orecchie che le coprivano i lati, pronte a drizzarsi a ogni rumore sospetto.
Col piccolo naso rosa e tremante che
esplorava gli odori.
Restava ferma immobile quasi fosse
calma.
E dentro il cuore rosso continuava il
suo tamburellare selvaggio: tu Tum tu Tum tu tum. Tu Tum tu Tum tu tum.
Aveva anche sperato con la sua piccola
anima timorosa che non fossero neanche mai arrivati segnali di liberazione e di
tempesta.
Ma ormai da tempo galleggiavano
nell'aria.
E continuava a restare incerta, sospesa,
dubbiosa.
Cos'avrebbe fatto allora?
Sollevando di nuovo le orecchie e
fiutando con le narici, mormorò incerta:
non so…
Chissà…
Vedrò…
Intanto nella foresta tutto era
immobile. Silenzioso. Fermo.
Incombeva una grande calma tra i rami e
le foglie.
Non sapeva decidersi a uscire da quel
sogno incubo affrontando la realtà.
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