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mercoledì 27 dicembre 2017

LE PIETON DE L'AIR - una donna proprio N. 4

LE PIETON DE L'AIR - una donna proprio
N. 4
Interruppe  la carrellata dei suoi ricordi delle donne più significative che aveva avuto.
Anche se continuamente gli tornava in mente la sua prediletta dei tempi più recenti.
Ma preferì riprendere e gustare quel pensiero con calma più avanti.
La presenza femminile sentì subito che lui si era distaccato mentalmente dal collegamento.
Preferì  lanciargli un ultimo input. « Ti raggiungerò dove so che è la tua abitazione terrestre. Non avrò problemi ad introdurmi. Se tu mi aspetterai soprattutto»
Lui sentiva e capiva che al momento sarebbe stato meglio che lei non gli fosse troppo vicina o troppo addosso. Voleva sentirsi libero nei movimenti.
L'avrebbe volentieri rivista e glielo fece sapere.
La piattaforma accolse il modulo.
Una nuova hostess gli andò incontro con un sorriso radioso.
Gli offerse un rinfresco e un bagno di vapore ristoratore dopo il lungo trasferimento nel viaggio.
Stava ancora rivangando tra le immagini femminili che aveva nella mente.
Si liberò degli abiti.
Si avvicinò alla cabina del vapore pressurizzato e dell'ozono.
La hostess bionica gli dedicava uno sguardo intenso che era anche invito a introdursi nel vano che lei teneva spalancato. Indossava ora una tuta leggera di velo opaco e bianco come la nebbia vaporosa dell'interno.
Lui lasciò cadere il perizoma di spugna e si introdusse dentro quel bianco tiepido.
Anche la tuta di lei era rimasta a giacere accanto alla spugna.
Si era seduto sulla panchetta a listelli di legno dolce. Lei aveva preso posto alle sue spalle e con mani morbide e sapienti aveva cominciato a massaggiargli il collo, il trapezio e il deltoide. Erano carezze lievi che scivolavano favorite dall'umido delle mani.
Scendevano per i dorsali arrestandosi prima dei glutei.
Talvolta sotto le braccia gli arrivavano sul petto. E piano giù allo stomaco e al ventre.
Nel ritorno partivano di nuovo dal petto, al collo, sotto la gola con una leggera pressione appena sotto i lobi delle orecchie.
Piacevolmente la lasciò fare.
Se l'era poi trovata davanti. Ritto in piedi. Le mani che volavano come farfalle in primavera.
Per un po' lui tenne gli occhi chiusi. Quando il contatto delle mani femminili scomparve per un istante, aprì le palpebre.
Lei stava in ginocchio tra le gambe di lui. E lo guardava sempre con sguardo intenso.
Delicato come il fumo bianco anche il silenzio tra loro.
Gli occhi di lei gli stavano parlando. Seguiti presto anche dalla voce modulata e molto gradevole.
«Sì, sento che lo pensi. Non sono umana. Non come te almeno. Non come le donne che hai conosciuto e che conosci.»
I loro sguardi rimasero sospesi. Loquaci ed espressivi.
«Sono stata programmata per il tuo conforto. È nella mia natura. Spontaneo. Piacevole. Semplice.
Il tuo corpo e il tuo sguardo mi rispondono che mi trovi adeguata e piacevole.
Mi allieta raggiungere lo scopo.
Il tablet che usi per comunicare e scrivere i tuoi pensieri, è pure efficiente ma non lo sa.
Non ne è contento.
Il mio piacere e la mia soddisfazione somigliano molto alle vostre emozioni umane.
Quando hanno replicato quelle come me, hanno inserito anche emozioni più forti.
Non sorride solo il mio volto. I miei occhi. La mia voce. Dentro sorrido tutta.
Se il tuo silenzio dovesse significare che sei insoddisfatto, dispiaciuto, scontento, proverei anche dispiacere. Perfino dolore.
Ora, come sentì e intuisci, sono tesa nell'ascolto, sospesa ad attendere la tua risposta.»
Gli aveva ora appoggiato le mani sulle cosce sopra i ginocchi. Lo sguardo non era fisso. Immobile. Passava dallo sguardo di lui, alle sue membra, ai suoi lineamenti.
«Sì, certo, potresti anche ferirmi. Darmi dolore. Sofferenza. Mostrarmi disprezzo, noia o indifferenza.
Mi domando a volte in che cosa davvero differisco dalle donne umane.
Se non l'origine, non da ovulo fecondato da seme maschile, Ma   da embrione seriale replicato e specializzatosi.
Mi piace e insieme mi addolora la mia perfezione. Sono diversa da qualsiasi altra della mia specie. Ciascuno di noi è originale. Io sono unica. Simile ma esclusiva. Ripetuta finora ma d'ora in avanti irripetibile.
Il tuo sguardo è calmo e assorto. Percepisco onde mentali gentili. Ma rimango sospesa.
Ho bisogno di una tua risposta. Un cenno. Un movimento delle pupille o delle ciglia.
Tu umano eccezionale, prescelto per la grande missione, tu solo puoi darmi la conferma.
Devo sapere. Perdona.
Devo sapere se davvero esisto. Se sono viva. O che sono soltanto una macchina oggetto, un computer robotico, un elettrodomestico che parla. Ma anche che pensa.»
Lui pose le proprie mani su quelle di lei. Poi percorse l'avambraccio e  il braccio. Si soffermò lentamente sulle spalle e sulle scapole. Le cinse il collo. Le dita si infilarono sotto i lobi delle sue orecchie. Andarono a cercare l'attaccatura dei capelli in fondo alla nuca.
Poi le cercarono le guance. Con i pollici le sfiorò le labbra. Che umide si aprirono dolcemente. Finché lui infilò le dita nella sua bocca. Esplorando il tepore umido che incontravano.
Ridiscesero  sulle spalle. Cercarono l'incavo delle ascelle. Poi delicatamente la indussero ad alzarsi.
Il corpo di lui, umano, fin troppo umano con i segni del passare del tempo e con i primi limiti dell'età, volle accostarsi al suo. I propri pettorali gustarono il contatto del suo seno.
I ciuffi scuri di pelo residuati del neandertal che era stato, vennero a contatto col velluto di pesca del suo corpo di femmina.
Lo sguardo di lei era ora umano come e forse di più di qualsiasi sguardo di femmina umana che lui avesse mai conosciuto.
Lo guardava intensamente dal basso verso l'alto. Implorando. Aspettando. Pregustando una risposta.
Lui abbassò il capo, Reclinandolo leggermente dilato. Sfiorò  con le labbra la guancia. E andò a cercare la sua bocca.
Non restava nell'aria nessuna domanda. Nessuna risposta possibile. Replicata, bionica, costruita in laboratorio o no, quella che aveva davanti, tra le braccia, che gli offriva la bocca da baciare ed a frugare con la lingua, era una donna stupenda.
Più tardi, lui si era messo ritto a sedere su un lettuccio ovattato dove aveva giaciuto amorosamente con lei.
Seguito dal suo sguardo. Dai suoi gesti.
«Tu sei più viva che mai. Più vera che mai. Più donna che mai. Unica. Irripetibile. Originale. Esisti.
Riponi, ti prego, i dubbi che pure capisco. Non tu devi invidiare la mia umanità. Io ammiro stupito e invidio la tua perfezione sublime. Non sei assolutamente per nulla un oggetto vivente. Un robot. Sei quello che le antiche leggende mistiche delle religioni definivano un angelo. Un essere simile agli umani ma assolutamente migliore, perfetto, superlativo.
Le entità superiori mi hanno affidato un compito eccezionale. Da quando mi hanno scelto sto imparando cosa significhi l'eccellenza. E tu ora mi hai insegnato molto.
Godo, gusto, apprezzo le tue emozioni, i tuoi pensieri, la tua esistenza tutta. Il tuo corpo. I circuiti bionici cerebrali. Ho imparato a conoscerti. E tu ora conosci me.
Mentre tornavo dalla missione una entità superiore stava accingendosi a essere un altro mio angelo. E raccoglieva dalla mia mente e dai miei ricordi le sembianze femminili umane che nel mio percorso di vita ho incontrato e amato.
Ora, oltre a quelle ragazze e donne umane, posso collocare anche te. Ti ringrazio di avere arricchito la mia mente, la mia anima, la mia vita.
Solo una volta ho detto a una donna umana che l'avevo amata in modo eccezionale più di qualsiasi altra. Che con lei avevo fatto l'amore in un modo straordinario sublime e assoluto. Che avevo goduto di lei facendola godere. Se sei replicante, hai ripetuto e replicato un'emozione straordinaria.»
In  breve poi raggiunse la propria abitazione.

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