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domenica 3 dicembre 2017

LA BOLLA DI SAPONE E LA SFERA DI CRISTALLO









Dietro la curva della ferrovia, i prati in gerbido, pieni di stoppie e di cespugli selvatici.
Ondeggiando molleggiato con la sua andatura cameliforme, il barone ci si stava avventurando infangando i suoi stivali neri,  alti fino al ginocchio.
Aveva lasciato con noncuranza il suo cilindro nero dal pelo lucido e morbido, poggiato sulla pelle bordeaux trapuntata del divano della sua carrozza.
Andava apparentemente a zonzo. Eppure sapeva anche dove stava andando. Da molto tempo lo sapeva.
La collina di fronte mostrava paesaggi improbabili. In una casa inesistente massiccia e anche molto vuota, stava forse ancora rintanata lei.
Di fianco al tratturo, coricato, con le radici impudicamente per aria, stava sdraiato un immenso tronco di ontano.
Sollevando le falde posteriori della sua redingote, ci si sedette.
Dalla tasca aveva estratto la pipa bianca di schiuma. E cominciò a caricarla di tabacco pescando con le dita e con il cammino di essa nella piccola borsa di pelle morbida.
Gli zolfanelli vennero cavati fuori dal taschino del panciotto.
La fiamma produsse una piccola nuvola di fumo che rimase sospesa nell’aria con i suoi disegni e ghirigori.
Aspirò avide boccate tenendo il capo rivolto verso il cielo, i cirri bianchi che vi navigavano, e la collina. Questa ricordava i morbidi declivi della schiena di un immenso animale. Un elefante forse. O un dinosauro. Gli fece venire in mente qualcosa di simile dove aveva camminato molti anni prima sui rilievi  di Colfiorito. Nel folignate.
Aveva preferito così invece della solita galoppata a cavallo.  Lasciato il landau in uno spiazzo libero accanto alla carreggiata. Infilando il sacco della biada sopra il muso del suo sauro. Che si sarebbe trattenuto così con quella colazione. La cavezza legata ad un ramo.
E ripensava la storia della piccola Artemisia. Aveva dovuto disimparare fin da bambina a fare marachelle, ad essere libera e felice. Conservando quel gusto solo per momenti di trasgressione furtiva. Rubare la marmellata; dire qualche bugia; andare a giocare  nel cortile di casa con gli altri bambini. Rigida, ferma, severa , come erano avvezze fare le madri badesse di quel tempo, riteneva importante strigliarla ogni tanto. Per il suo bene pensava. Quando poi l’aveva affidata a quell’uomo, gli aveva passato le consegne. Che lui aveva seguito, mettendoci di suo anche qualcosa di più…
E il barone poeta, fantasioso sognatore guardava quella storia, sospesa nell’aria in una bolla di sapone… nella lanterna magica del suo ricordo e dei racconti della piccola.
Così lei si era abituata fin da piccina, ad aver paura anche della propria ombra. Ingabbiata in una camicia di forza che si era avvezza a portare. E che prima o poi aveva addirittura creduto che le stesse comoda.
L’ombra della badessa si era congiunta e sovrapposta all’ombra incombente che ancora, sempre, la seguiva dovunque. Di quel piccolo squallido drago male in arnese.
Aveva smesso anche di giocare a mosca cieca, a nascondino e a saltarello. E col fiato in gola aveva provato ad assaporare  piccoli momenti proibiti di felicità. Tornando subito nascondersi, addirittura anche alla propria ombra. Aveva paura che la divorarasse.
Era diventata grande. Era diventata ormai una donna. Ma non smetteva mai di avere paura. Anche senza darlo a vedere.
Solo qualche volta, con piccola rabbia aveva provato a ribellarsi, sottovoce, mestamente.
E riusciva a farlo soprattutto con chi glielo aveva permesso e concesso generosamente. Il nobile cavaliere che le aveva indicato e insegnato la strada per liberarsi.
Ora, certo, il barone lo vedeva, nella bolla di sapone sospesa nel cielo dei suoi pensieri, lei stava rimuginando col batticuore, di prendere alla fine una decisione.
E fumando la sua pipa il narratore maestro,  temeva di vedere l’epilogo. Aveva ormai letto chiaramente tutti pensieri in quella testolina che amava tanto. Aveva ormai previsto quasi tutto. E con un rammarico grande ogni tanto si affacciava anche sul  futuro.
La bolla di sapone, galleggiava ancora sospesa nell’aria, come un’astronave. Per un viaggio sulla luna, per raggiungere i sogni, le fantasie e i desideri. Ne parlava quel romanzo francese. Mescolato alla vicenda del paladino carolingio che va a cercare la propria ragione là, dopo averla perduta per amore
Il barone sorrise tra sé malinconico e mesto.
Presto, lo sapeva, la bolla sarebbe potuta scoppiare nell’aria, o sciogliersi ai raggi del sole.
Oppure anche, e lui lo sperava, diventare trasformarsi in una bolla di cristallo.
La bambina donna affermava che ormai si era decisa… e lui sapeva che avrebbe potuto decidere di vivere e di essere felice, diventando finalmente adulta e libera… oppure anche, come faceva da tempo, avrebbe potuto decidere di non decidere nulla… rimanendo lì a dormire sdraiata sul prato del suo letto… a inseguire sogni, a fantasticare ricordi, a cercare nuovi cavalieri erranti,.. improbabili… dopo aver rinunciato alla sua unica via di salvezza e di libertà dai suoi fantasmi, dalle sue ombre, dagli orchi, e dalla sua propria stessa ombra…
Magari senza vedere e riconoscere che i cavalieri erranti che lei fantasticava e sognava erano anche loro degli orchi travestiti…
Dopo l’ultima boccata di fumo voluttuosa, il poeta barone vuotò della cenere il camino della pipa  spenta. Si alzò dal suo sedile arboreo.
Smise di scrutare nella bolla di sapone, e nei pensieri della sua bambina donna.
E si accinse a far ritorno alla realtà.
Conservando il piacevole gusto delle fumate, e la mesta speranza che ancora gli era rimasta, riposta negli angoli e negli anfratti della mente e dell’anima.

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