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domenica 9 febbraio 2020

NATA NELLA CITTA’



           SHERADZADE



PREMESSA

Il 16 ottobre 2012,  precisamente alle 19 e 27, mi è pervenuta, in un modo che qui ora preferisco non precisare, la storia che segue.
Nel prenderne visione, confesso che ho provato un certo sconcerto. La narrazione mi sembrava abbastanza avvincente e coinvolgente. Mi ha trascinato dall'inizio alla fine, impedendomi pause o interruzioni. Qualche elemento magico che la pervadeva ha stimolato in me una profonda attenzione.
Al termine della lettura, lo rivelo con estrema sincerità, mi sentivo però profondamente perplesso.
Essa era pervasa da profondi elementi realistici; molti dei fatti contenuti e narrati aveva una indubbia corrispondenza con vicende che hanno caratterizzato e caratterizzano il nostro tempo presente.
L'intrico narrativo era mescolato ad elementi che davano l'impressione di essere frutto, con la loro improbabilità, di pura invenzione e fantasia.
Niente da eccepire, peraltro, essendo questa una delle caratteristiche costanti del narrare.
Mi è però sorto il dubbio, che la stessa dinamica che regge l'impianto del romanzo, possa fornire elementi per spiegarne la sua origine.
So che sto per affermare qualcosa che può sconcertare il lettore.
Ma ritengo che tutte queste pagine, possano essere il frutto di un sofisticato insieme di software e di hardware; tra loro combinatisi per fortuite, inspiegabili situazioni.
Voglio dire, cioè, che temo che questo pur avvincente racconto possa essersi autogenerato ....  Ho il timore che nessun essere vivente, nessun umano intendo dire, lo abbia  mai prodotto.... Che possa essere frutto di una partenogenesi, assurda ma, ciò nondimeno, estremamente affascinante....
Voglio ritenere che sia avvenuto un processo di auto-attivazione dell’elemento primario esistente, senza alcun contributo esterno …
Gli elementi e la vicenda … da soli, avrebbero generato la storia …
Questo avvenimento, peraltro piuttosto diffuso in natura, sta alla base delle forme partenogenetiche più complesse, senza rappresentare, tuttavia, un residuo evolutivo “imperfetto” di tali modalità..
Prego, pertanto, di non volere ritenere il sottoscritto in alcun modo responsabile di quanto qui contenuto.
Egli, al massimo, si assume il ruolo di chi, condividendone appieno la sostanza, l'assume come propria, proponendola così, tale e quale, all’attento giudizio dei lettori.
N.B.-(voglio peraltro sottolineare che la data nella quale questo scritto mi è pervenuto è, di alcuni mesi, successivo alla data odierna!)
(N.d.A.)




INTRODUZIONE

Il bus bianco e azzurro, comparve dietro l'alta muraglia sbrecciata che metteva in vista i mattoni rossi che si sbriciolavano in polvere. Aveva molto rallentato per imboccare la curva, tirandosi dietro il serpentone snodato, col manicotto nero a fisarmonica.
Diffuse nell’aria un intenso odore di plastica bruciata; di caldarroste.

Il brontolio sordo del motore riprese di potenza appena la coda si fu allineata con il corpo centrale.
Le figure si potevano intravedere nella penombra dietro le vetrate; ballonzolavano ondeggiando, come burattini, aggrappati alle sbarre.
Con l'accelerazione, un leggero ondeggiare all’indietro, sincronizzato ma non uniforme, mentre la massa imponente si avvicinava con stridore di freni alla pensilina della fermata.
Un nuovo ondeggiare delle sagome in avanti, fin quando esso si fu del tutto arrestato, mentre le frecce sul lato destro lampeggiavano vistosamente con il loro colore arancione.
Lentamente scese una informe figura di anziana preceduta da un bastone a tre punte appoggiato sull'asfalto della banchina. Nell'altra mano reggeva due sacchetti di cellophane di colori diversi. Dalle porte dell'entrata scese una figura femminile abbastanza minuta.
Posò a terra i grossi anfibi che portava slacciati, con le stringhe che ballonzolavano in giù.
Indossava jeans stinti con le toppe alle ginocchia e sul sedere. Un blazer grigio scuro aperto sul davanti lasciava intravedere una maglietta con scritte colorate.
Di sotto si intravedevano seni molto minuti.
I capelli neri di media lunghezza scendevano disordinati.
La  mano destra sollevò lo zaino che vi teneva; infilò prima un braccio e poi in un altro lasciandolo cadere sulle spalle.
Con passi ondulati, per via delle calzature enormi  che portava a strascico, scese dalla banchina e attraversò la strada per raggiungere il marciapiede.
Nell'aria galleggiava ancora un'onda dell'odore bruciato di miscela dei motorini.
Nel camminare strascicava un poco i carrarmati massicci delle suole gommate.
La muraglia qui non era più sbrecciata, perché protetta da immensi manifesti pubblicitari.
Un gigantesco yogurt si  intravedeva solo in parte, nascosto da un altro lenzuolo di carta più recente, ancora lucido della colla da parati. Era circa quattro metri per tre .
Una donna immensa e sensuale ci stava adagiata, guardando con occhio seduttivo.
Appoggiava un gomito sulla superficie verde e il suo corpo si allungava in prospettiva.
Capelli e particolari della postura nascondevano le parti più intime della sua nudità.
Il suo sguardo accattivante e sornione sembrava ammiccare allusivo, promettendo qualcosa di indefinito, di segreto, di proibito.
Sul marciapiede non passava quasi nessuno.
La ragazza continuava ad arrancare calpestando l'aria nei suoi anfibi, leggermente curvata in avanti, reggendo lo zaino.
Scrutava con occhio timido e incerto; evitava sguardi diretti negli occhi dei rari passanti.
Al quarto incrocio che incontrò svoltò a sinistra.
Qui stavano arrivando tre figure colorite.
Avevano calzoni verdi, camicie rosso bordeaux, e un basco azzurro scuro con il pon pon.
Viaggiavano allineati: quello in mezzo era decisamente più basso; i due all'esterno più alti; uno era anche massiccio. Il massiccio aveva uno sguardo bovino con la mascella molto larga e un accentuato prognatismo. I suoi compari avevano un'aria insulsa e insignificante; sguardi che non denotavano eccessiva intelligenza o acume.
Il bassetto sollevò gli occhi verso il massiccio-bovino che rispose con un cenno di assenso, ondeggiando leggermente la mandibola sporgente e raccogliendo le labbra.
La ragazza avrebbe anche potuto dirigere i suoi anfibi strascicati ad attraversare la strada guadagnando l'opposto marciapiede.
Ma pensò che sarebbe stato impossibile evitare le attenzioni dei tre scimmioni della ronda.
L'apostrofarono subito con voce sgarbata e un leggero sorriso becero e provocatorio.
- Eh ... allora, ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? - Disse il bovino inciampando sulla propria controllata balbuzie. Poi sogghignando verso i due complici atteggiò le labbra ad una smorfia compiaciuta.
Lentamente la ragazza sfilò un braccio dallo zaino, se lo fece scivolare davanti, lo aperse immergendoci lo sguardo dentro. Poi, sempre senza sollevare lo sguardo, porse un foglio gualcito che teneva piegato in quattro dopo averlo aperto.
- Non... crederai che con questo tu sia a... a posto..., carina... Guardiamo che non sia sca... aduto... -bofonchiò col suo livore idiota. I compari grugnivano sommessi. Poi il basso guardando in su con le ciglia sollevate verso il massiccio borbottò:
-Sì, la data del permesso è ancora buona... credo che sia posto... cioè, voglio dire...-
-Beh, vu...uol dire che... per questa vo...olta ti è andata bene, va, ma guarda che quelli come te a noi... qui... non ci piacciono mica tanto... Meglio che te ne to...orni al tuo paese va... che qui ce n'è già abbastanza di mangia pane a tradimento.... È che stasera siamo in vena di fare delle buone azioni, neh?-aggiunse facendo ballare il suo prognatismo sorridente verso le facce dei suoi camerati.
La ragazza dovette allungare la mano, tenendo sempre lo sguardo basso, per riprendere il suo foglio che, per sgarbo, le dita di quello continuavano a trattenere un po'.
Poi sollevò gli anfibi il più possibile, diminuendo l'impatto e l'attrito sul marciapiede, e allungò il passo accelerando l’andatura, procedendo sempre aggobbita in avanti….

1.                 LA RONDA

Il motivetto di “Alla turca” di Mozart  si mise a vibrare squittendo in qualche angolo della casa.
Una figura tarchiata e un po' tozza emerse tra gli scatoloni metallici. Prima comparve il codino legato con lo spago colorato. Poi le spalle e il corpo tarchiato e tozzo. Con sguardo da furetto o da cane volpino incrociato puntò i piccoli occhi neri in giro per lo spazio ingombro, a periscopio, cercando d'aguzzare il più possibile l'udito. Si sporse quindi da dietro la spalliera del divanetto di similpelle consunta, piegandosi in giù e frugando con le mani tra i cuscini, finché ne estrasse l'oggettino suonante.
Mentre ancora continuava il motivo digitò qualcosa sulla tastiera; poi avvicinò il cellulare ad un monitor che stava appoggiato sulla pila degli scatoloni di metallo. Una freccia prese a ondeggiare mentre si accendeva un led verde in alto a destra.

-  Allora sei proprio tu, andiamo sul sicuro, che qui in questa situazione di merda non sai
mai in che modo ti stanno per incastrare...-.
Quindi   avvicinò il cellulare all'orecchio
-  Sì, certo, puoi venire, sei pulita -
Si nettò le mani con le quali aveva trafficato mentre era in immersione tra le sue cianfrusaglie, sfregandosele sul davanti della camicia di jeans.
Tre quarti della piccola stanza erano ingombri di strutture metalliche tubolari, sulle quali erano aggrappate su un numero infinito di ripiani, apparecchiature legate col nastro adesivo avana da pacchi. Fino al soffitto arrivavano le intelaiature; e solo qua e là dei piccoli corridoi permettevano di infilarsi all'interno del labirinto, all'occorrenza. 
Dall'ammasso di apparecchiature e di cavi di cablaggio proveniva un ronzio biribiante come da un immenso alveare, con mesto pigolio sommesso di pulcini cibernetici.
Il disordinato accumulo di residuati informatici palpitanti era costellato da micro-luci e led di vari colori.
Si avvicinò all'ingresso; digitò alcune combinazioni sullo smartphone modificato, orientandolo verso diversi punti della struttura della porta. Si sentirono dei leggeri clic, poi quella si aperse lasciando entrare la ragazza aggobbita.
- Anche oggi, quegli stronzi..!
“Eh ce l'hai tu il .... permesso di soggiorno? vu...uol dire che... per questa vo...olta ti è andata bene, va, ... È che stasera siamo in vena di fare delle buone azioni, neh?”… -
-  Ma che cazzo vogliono ogni volta quelli lì..? Con quelle facce da maiali... E meno male che questa volta non mi hanno frugato lo zaino...
Ti ho portato un po' di quel cavo che mi avevi chiesto... E poi ci sono qui degli hamburger, non so di cosa siano, te lo giuro, li ho fregati oggi alla mensa... Due arance e un po' di birra che hanno fatto i compagni l'altra sera... È di quella fatta da noi, con il luppolo nostro, coltivato vicino all'erba; quindi ancora più buono...!
Come va qui da te? Come va la costruzione dei tuoi tralicci...? Funziona la baracca? Eh Cyber?-
Cyber, come l'aveva chiamato la ragazza, si diede una tirata con entrambe le mani al codino per rimetterlo a posto, carezzandosi poi le guance con le dita tozze e grassottelle. Intanto guardava la sua immensa opera, compiaciuto e soddisfatto. Non degnò di attenzione le scorte alimentari che lei gli aveva appena depositato sul tavolo ingombro di piastre verdi di varie forme e dimensioni.
-Va avanti, cazzo!  certo che va avanti la baracca... Ma c'ho ancora da assemblare un casino di queste fottutissime piastre di hard disk. I ragazzi me n'hanno appena portato un altro fottìo ieri sera. E ce ne vuole un casino per fare la memoria che c’ho in mente io e che mi serve... Un casino per davvero ce ne vuole,   di queste cazzosissime piastre di vecchi hard disk recuperati.... Ma le sto sistemando perbenino, vacca boia. E anche le verifiche vanno tutte alla perfezione. L'ho sempre detto io che sono un genio....
Ogni volta che l’ho riassemblato con le nuove parti, cablandole insieme e rendendole compatibili, rilancio il sistema.... Ho già decompresso quasi tutti i cataloghi dell’inventario di parlanti… Ho rivisto gli algoritmi per l'allineamento di sequenze…; messo a punto l’annotazione morfologica con lemmatizzazione; l’annotazione sintattica… e tutte quelle cazzate lì, insomma…-
Ostentava un sorriso compiaciuto e soddisfatto,  muovendo la peluria della rada barbetta e dei baffi striminziti, nella smorfia delle labbra inarcate. Ci stava dando dentro da un pezzo ormai.
- Ma dici che davvero poi quella montagna di ferraglia lì è capace di mettersi a scrivere da sola le storie...? Che basta che tu stai fuori a pilotare la tua Ferrari, che le correggi il tiro, che le dai la dritta e lei, così, da sola... fa tutto... cioè... inventa lei la storia e te la scrive bell'e pronta? E che poi sarà capace di collegarci in rete con tutti i compagni…?-
Glielo chiedeva ogni volta, apposta, perché sapeva di farlo contento, anche se, in pratica, lei non ci capiva niente... sapeva che lui avrebbe subito reagito, apparentemente incazzato, sopra tono e avrebbe detto:
-  Ma ti ricordi bambina di quando vi ho fatti parlare per ore e ore giorni e giorni e settimane e mesi a tutti quanti voi? Oltre a tutto quello che avevo già nelle memorie…. Ho raccolto registrato e catalogato una quantità infinita di testi, li chiamano i "corpora", con frammenti di parole di suoni, che questi li chiamano i "token", ho messo insieme intere "stringhe" e sequenze infinite....; tenendo ben conto della legge di Zipf della frequenza..., tutte quelle cazzate lì insomma.... È come per cucinare un cibo speciale, c'ho buttato dentro tutti gli ingredienti possibili, in tutte le sue varietà e dimensioni. Gli ho messo i condimenti e ho inventato le ricette, che poi sono le regole e programmi di funzionamento... che dicono come deve legarsi questa cosa qui con quell'altra eccetera eccetera....
E poi non ho inventato tutto io, che molte di queste cose qui erano già belle e pronte, le ho solo dovute combinare in modo diverso, come quando si deve tarare un nuovo motore...; insomma ho riorganizzato completamente tutto quello che c'era già... e ne è nata una cosa totalmente nuova.... Questa è la mia creatura, è mia figlia , ed è la matrice per reinventare e raccontare tutto il mondo è tutta la realtà in un modo nuovo.... E farà anche tutto il resto….
Cazzo, Samira, te le ho già ripetute migliaia di volte queste cose ma non ti entrano proprio in quella tua testolina lì..., neh?
Che lo sai che a me mi piace di farti entrare qualcosa dentro di te... Eh “compagna di discorsi nella sera”  (2)
E quando arrivava a dire così voleva dire che era proprio contento di avercela lì, la sua amica da strapazzare a parole e da riempire tutta, in tutti i modi...
Anche questa volta le si avvicinò ponendole le mani grassocce sui capelli e tirandole il viso vicino al suo. Non doveva neanche fare molta pressione sul suo capo che già era pronto e remissivo a chinarsi all'altezza dei suoi calzoni, ad abbassargli la cerniera , frugare e massaggiare con cura; infine accogliere nella sua bocca la sua turgida virilità fino a farlo mugolare di piacere.
Samira era molto contenta di poter premiare il suo genio come piaceva a lui. Sperava che poi lui non avesse troppo fretta di rimettersi a giocare con le sue macchine cibernetiche. E che il letto non fosse ingombro di cianfrusaglie metalliche e fili elettrici, e che ce la portasse al più presto, mettendola nuda subito, penetrandola con l'entusiasmo che aveva con la sua macchina pensante, che le usasse tutte le perversioni possibili...

Anche dalla posizione rannicchiata che teneva, qualche barlume luminoso le arrivava dalla finestra. La vecchia tapparella da chissà quanto tempo si era bloccata in diagonale, e ora pendeva sghemba, facendo penetrare fiotti di luce bianchi come latte ghiacciato. Nel nido che si era scavata in posizione fetale, con le mani a pugno appoggiate davanti alle palpebre, sentiva un baluginio di

(1-               NOTA- Il nome arabo “Samira” significa:”compagna di discorsi nella sera”; secondo l’ipotesi di origine hindi : “vento gentile” )

chiarore, penetrare indiscreto dentro al suo torpore morbido e sensuale. Sentiva ancora nelle proprie mani e nel proprio corpo l'odore intenso di sudore e di sesso, che fiutava ora a boccate regolari e golose. 
Cercò di restare più ferma possibile per non svegliare il suo uomo che certamente stava ancora dormendo accanto a lei. Anche se non ne sentiva il respiro pesante e rumoroso.
Si incazzava di brutto se veniva svegliato prima che l'avesse deciso lui.
Smadonnava in tutte le religioni possibili. Non le era mancata l'occasione di sentire tirar giù moccoli contro Budda, Shiva e la sua trinità, mescolati nel turpiloquio ai tabernacoli cristiani e cattolici, a quelli dell'Islam....
Era sempre più sveglia.
L'odore muschiato e acidulo le proiettava immagini morbose ancora fresche nel ricordo.
Quando lui era entusiasta scopava alla grande. Mescolando preliminari e penetrazione a fondo in modo confuso e irregolare.  
Ritornando frequentemente sui propri passi.
Spesso dopo averla spogliata nuda le metteva due mani dietro le ginocchia appoggiando le sue gambe sopra le proprie spalle.
Affondava il suo volto nel bosco del suo inguine reggendola con le mani sui fianchi o sotto le natiche. La sua lingua dura e rigida scavava gli umori rappresi, roteando sapiente. Con labbra e lingua si impadroniva del suo clitoride, stringendo e leccando con intensità sempre diversa e rinnovata.
Spesso sollevava ancora di più le sue gambe afferrandole le natiche e divaricandole e ci affondava di nuovo la bocca e la proboscide della sua lingua raccolta; allargava, umettandolo di saliva, il suo buchino scuro. Preparandolo per una penetrazione che non era mai violenta o dolorosa. Lei partecipava sempre, favorendolo, dilatandosi all'infinito, più che poteva, sollecitandolo con le parole...
Alla sodomizzazione poteva seguire il cunnilinguo, incrociato a fellatio, o la penetrazione vaginale.... Per poi ricominciare sempre tutto da capo; fino a quando entrambi cadevano esausti, nei loro umori e odori...
E quel carosello di giochi non aveva mai  sapore ripetitivo; assumeva ogni volta  una nuova sfumatura, una nuova fragranza ; il desiderio rinasceva sempre rinnovato; ogni volta era il risveglio dei sensi come dopo una catalessi; una continua risurrezione del fervore; una sete famelica e spasmodica di piacere, che mirava al godimento assoluto e finale, che avrebbe simulato di spegnersi per poi riaccendersi all'infinito....
Provò stupore di non sentire assolutamente l'abituale respiro rumoroso da cinghiale del genio   del microchip. Rimase in ascolto in assoluto silenzio trattenendo addirittura il fiato. Poi, con grande cautela, emergendo dal suo nido d'ombra e di muschio mosse lentamente il capo... scoprendo che il posto accanto a lei nel letto era vuoto.
Buttò giù i piedi toccando il pavimento freddo. Dai peli del suo pube saliva ancora quella fragranza umida che le aveva invaso la notte e l'anima. Si tirò su in piedi, carezzandosi i fianchi. Incrociò le braccia conserte a proteggere i piccoli seni dai capezzoli appuntiti per il fresco. E si affacciò alla taverna dell'orco.
Un intenso ronzio vibrava nell'aria; led multicolori si accendevano e si spegnevano; su alcuni monitor accesi scorrevano serie infinite di sequenze alfanumeriche...
L'apprendista stregone giaceva sprofondato nel divanetto; sporgeva il codino e le sue mani tozze che impugnavano telecomandi e sensori.... Davanti a lui un residuato megaschermo televisivo a cristalli liquidi a 70 pollici. Altri tre più piccoli gli facevano compagnia, come figli accanto alla propria mamma.
Era un continuo gracchiare, sfrigolare, alternato a sequenze di parole per lo più in lingue straniere.... Ogni tanto l'immagine restava ferma per pochi secondi, fino a quando il telecomando decideva di sfrattarla per altre successive....
Samira gli andò alle spalle, sfiorandogli con le mani le guance coperte di quella barbetta rada e stentata, infilandogli poi le mani nel maglione che lo copriva fino a mezzobusto; finendo poi per sporgere in fondo, dove frugarono inutilmente prima di essere respinte dalla modesta consistenza delle pudenda maschili afflosciate.
-  Cazzo..., mollamelo,... che sto cercando di mettere a fuoco.... Sempre ‘ste merde di notiziari governativi ufficiali.... Sono riuscito dopo tre volte ma per pochi secondi a sintonizzarmi sui nostri canali.... Eccolo.... Mannaggia..... porcaccia di quella miseria... Era qui, l'hai visto anche tu....-
- Certo, certo che l'ho visto...- Aveva visto delle immagini svolazzanti che erano subito sparite, non sapeva interpretarle, né capire che significato avessero; ma non poteva scontentarlo, adesso.
Teneva le mani al calduccio sotto il suo maglione, a contatto della pelle del suo corpo e del petto un po' glabro. Non osava più frugare là sotto. Fingeva di mostrare interesse per le immagini sugli schermi; aspettando novità e  sue spiegazioni e delucidazioni....
Dopo numerosi altri sfrigolii, crepitii e borborigmi comparve il  monogramma dell'informazione libera. Lo schermo era fisso ma con discreti colori e non ballava l'immagine. Un timer incorporato stava effettuando un count down. 798-797-796-..., scandivano i secondi.
- Dai, che l'abbiamo beccato! E tu non ti muovere di lì eh? ...- disse perentorio rivolto allo schermo.
- Vado a farti un cafferino Cyb? e guardo se c'è qualcosa di là da sgranocchiare... ti va bene..?-  Avrebbe voluto aggiungere: "amore", o qualcuna di quelle paroline che si dicono tra morosi, tra fidanzati, tra amanti... Ma sapeva troppo bene che era proibito. Loro erano solo amici (anche la notte prima erano stati solo amici? Fanno quelle cose lì e con quella passione gli amici?). Lei non poteva e non voleva farlo incazzare. Era il prezzo che doveva pagare. Tanto, lo sapeva, il gioco lo conduceva lei.... E poi, non era così brutta quella parte, di far finta di essere succube e di mostrare che lei sapeva rispettare le sue regole, che era alle sue dipendenze....
Mentre lui continuava a fissare gli schermi sacramentando ogni tanto mezze parole subito bloccate, Samira portò la sua nudità dentro quel piccolo angolo lercio che lui definiva la sua cucina.... Una vecchia moka vomitò nel sacchetto della immondizia puzzolente una compressa compatta di vecchio caffè ammuffito. Sciacquò il filtro sotto il getto dell'acqua che usciva, a intermittenza, alternato a sbuffi d'aria. Speriamo che non stia per finire l'acqua, pensò. Che qui ogni tanto la interrompono e chissà per quante ore non ritorna....
                                                                              
Dopo pochi minuti ritornava da lui con due bicchieri appannati colmi di caffè fumante appoggiati sopra un piatto. Sotto l'ascella reggeva un barattolo di crema di nocciole sintetiche. Nella mano dei triangoli ormai secchi di pane da tramezzino.
Lo schermo grande mostrava in dissolvenza il monogramma accompagnato dalla musica in crescendo di "Kailinka" del glorioso coro dell'Armata Rossa, del secolo precedente.
Sullo sfondo di un paesaggio devastato, baracche di lamiera sulle quali si sovrapponevano immagini intermittenti, flash di immagini di volti, di masse di persone, di bandiere, di sorrisi....
Sul bordo in basso dello schermo scorrevano delle scritte multilingue.
Inglese, italiano, arabo... si alternavano mescolandosi con altre con caratteri orientali, cinesi, vietnamiti, coreani; israeliani e copti....

Compagni fratelli amici,
il grande sole della liberazione sta sorgendo.
I governi reazionari delle multinazionali della finanza non lo sanno ancora ma stanno per  esalare gli ultimi respiri.
I partiti politici della corruzione e dei mestieranti del potere  hanno ormai il fiato corto.
Da tempo gli stiamo addosso. 
La rete anarco- libertaria  del governo popolare mondiale  invita tutti alla partecipazione,
informando tutti con la massima trasparenza


2    Compagni fratelli amici ,
Libertà , giustizia , pulizia.
No alla delega; 
partecipazione diretta assembleare ,
Arengo totale del Web. 
Consigli diretti di base .
Documèntati , infòrmati , nessuno rappresenta nessuno .
Riprendiamoci l'aria e l'acqua , energia solare , eolica ,
Cancelliamo il monopolio dell' idrogeno, come è stato per i combustibili fossili.
Riprendiamoci la terra e il mare , sono nostri e ce li sappiamo gestire da soli 

3   Compagni fratelli amici ,
la diversità è risorsa ,
la bellezza è differenza ,
la proprietà privata è furto,
l' occupazione di posti di potere è sopruso e prevaricazione. 
tutti siamo uguali solo se lo vogliamo. 
Libertà è allegria e felicità.
Non lasciamoci mai più espropriare della nostra ricchezza fondamentale. 
Potenziamo tutti la rete, 
Usiamola a piene mani , è solo nostra e per sempre.
E’ la nostra arma e il nostro mare dove nuotare liberi.

Una serie secca di  “bip” sonori fece girar loro la testa verso l'apparecchiatura palpitante alle loro spalle.
Su uno dei monitor  sorrideva garbata una figura femminile.
Aveva i capelli biondi raccolti a crocchia sopra il capo. Il suo aspetto era realistico, quanto poteva esserlo un'immagine femminile sintetizzata.
Attendeva silenziosa qualche secondo; poi invitò dolcemente:

-  La procedura è stata completamente resettata. I campioni linguistici sono stati ordinati.
È stata ripulita ogni ridondanza ritenuta superflua.
I campioni di personalità sono stati sistemati ordinatamente nei cataloghi ripartiti per genere e tipologia. I generi e gli stili linguistici collocati nelle rispettive manches.
Paesaggi e tipologie metereologiche ed ambientali organicamente ristrutturate e sistemate....-

Gli occhi di Samira erano raggianti di entusiasmo e felicità. Guardavano strabiliati il “gran maestro”, attendendo l'inizio della performance dimostrativa....
Era  certa che almeno per un po' lui non l’avrebbe cacciata via.
Lui, intanto, stava smanettando con un tablet collegato ad alcuni smartfone, e si preparava alla grande dimostrazione....

-  Beh, non ti aspettare chissà che cosa, può darsi che sia un flop come è già successo qualche altra volta. D'altra parte meglio che lo veda tu... voglio dire, non è che tu mi sputtanerai , no?-

La ragazza sintetica ebbe un leggerissimo ondeggiamento del capo, ma attendeva paziente e tranquilla.

-  Ora devo selezionare genere, stile linguistico, ambientazione, personaggi...- disse Cyber.

In sovrimpressione comparvero sul monitor lunghi elenchi di listati, strutturati ad albero; alcuni termini vennero da lui evidenziati e selezionati cliccando; i preliminari continuarono per qualche minuto.
La ragazza nuda muoveva lo sguardo lentamente dagli schermi al volto del suo guru, aggrottato nell'impegno e nella concentrazione procedurale....
Clic finale.
Ciak.
Start....
La ragazza virtuale era diventata una piccola icona che stava nell'angolo in alto a destra del monitor. Ripeteva dalla sua dimensione diventata lontanissima alcune informazioni. Quindi invitò a cliccare: "ENTER".

Lo schermo si era ora vuotato; solo il francobollo in alto a destra che ammiccava lentamente tentennando il capo. Comparvero dissolvenze digradanti di vari colori che sfumavano a cascata, subito trasformandosi, fino ad assumere alla fine un colore verde pisello.
Cyber aveva fatto indossare a Samira delle cuffie.
Lui se ne era sistemato un paio di tipo diverso, col microfono; aveva anche attaccato dei sensori a ventosa alle proprie tempie e sulla fronte.
Dopo pochi secondi la storia cominciò a comparire sul monitor e in cuffia.


2.                 

Lui stava di nuovo cercando di discendere da un grande scalone di marmo con la sua decappottabile. Strano che non toccasse mai con la coppa dell'olio. E anche nelle curve era abbastanza difficile non toccare contro le colonnine, che dopo un po' si erano trasformate in ringhiere di ferro arrugginito e nero. Dei lunghi ballattoi.
Aveva appena lasciato l'immenso salone delle riunioni brulicante di persone, ma decisamente molto silenzioso. Dovevano tutti certamente conoscersi tra loro e soprattutto con lui. Che infatti non aveva remore ad attaccare discorso con chiunque avvicinasse.
Pezzetti e frammenti di discorsi, decisamente scollegati tra loro.
Ma che dovevano avere qualche legame con il contesto e con la situazione per la quale si trovava lì. Era spontaneo il suo comportamento; meglio sarebbe dire che gli veniva meccanico, automatico. Ricordava, o almeno gli sembrava di ricordare, che tutti si erano avvicendati all'immensa tavolata del self-service. E lui doveva essersi riempito, come era solito fare, il piatto di cibi succulenti deliziosi.
Ma ora, come spesso gli era già capitato altre volte, si trattava di riuscire ad imboccare una scala stretta, dai gradini di serizzo ruvido e rugoso , e avrebbe anche potuto non farcela, questa volta. Ma la sua decappottata viaggiava spedita e senza problemi. Si era infilata in un ballatoio lungo la ringhiera,  dalla quale stava per accedere ad una stanza piena di divani letto di varie fogge e forme.
Eppure non riusciva ancora  a spiegarsi come mai potesse trovarsi in quella situazione.

Poi qualcosa doveva averlo fatto riscuotere.
Impercettibilmente aveva aperto gli occhi.
Stava molto comodo , sprofondato nelle poltrone vellutate in qualcosa di abbastanza vibrante.
Il Frecciarossa stava viaggiando a velocità sostenuta.
Doveva essersi appisolato da poco.
Mise a fuoco lentamente, cercando di osservare se gli altri viaggiatori si erano accorti che lui si era addormentato.
Non riuscì a completare il suo proposito. Fu colpito dal flash della prima immagine che vide.
Di fronte a lui un'immagine di ragazza-donna di età indefinita: diciotto /trent'anni.
 Stivali alti sopra al ginocchio con risvolto; calze nere e fascianti; mini shorts; capelli cortissimi biondi, con due virgole che le scendevano al posto delle basette; aspetto abbastanza anoressico; sguardo e atteggiamento molto distaccato, freddo ed aristocratico.
Molto elegante.
Rapido incrocio di sguardi di sfuggita.
Lui riuscì immediatamente ad assumere un contegno, tornando ad essere padrone di sé.
Lei stava sfogliando qualcosa: rivista, libro, fogli..?
Passava  dall'uno all'altro con aria di estremo distacco e padronanza.
Pareva  mostrare profondo interesse mescolato a noncuranza e svogliatezza.
Rimasero entrambi in sur-place per un tempo abbastanza breve, ma che a lui parve eterno.
 Surgelato come in una istantanea che prolunga le sue movenze apparentemente all'infinito.
Vi furono, quindi, graduali avvicinamenti di  sguardi.
 Sino a un punto di contatto in cui lei disse qualcosa, forse in risposta ad un suo sguardo fuori del finestrino a curiosare a che punto erano del percorso: "Arezzo..."- aveva recitato lei.
Ciascuno dei due continuava a star sulle sue.
Poi, gradualmente, come al rallentatore, in modo cauto e circospetto, dilazionato intenzionalmente, ritardato all'infinito, i primi approcci verbali.
Insignificanti, formali e di maniera; di circostanza. Adeguati all'atmosfera e al clima da vetrina.

Quindi lui estrasse dalla custodia il netbook; si infilò con estrema calma le cuffie; caricò un brano di testo; e si mise ad ascoltarlo.
Ogni tanto socchiudeva gli occhi. Per concentrarsi meglio nell’ascolto. E per assumere un contegno riservato.

Dopo un po' lei estrasse un  iPod. Mettendosi in ascolto.

Due presenze assorte, ciascuna nel proprio auto-isolamento di facciata.
Lui non riusciva a concentrarsi davvero nell'ascolto.
Ma ciò non di meno recitava perfettamente la propria simulazione.
Quando,  ad un certo tratto, lui riaperse gli occhi incontrò lo sguardo di lei fisso, curioso, indagatore.
Stava di fronte a lui.
Riviste, libri, fogli erano scomparsi.
Stava recitando una parte complementare parallela; dell'ascolto della musica in cuffia.
Altri brevi istanti eterni.
Quindi lei si tolse con estrema lentezza una delle cuffie da un orecchio.
E gliela porse in silenzio sempre guardandolo negli occhi.

Lui nascose l'imbarazzo, prendendo l'auricolare che gli veniva offerto.
Ci fu un lieve impercettibile sfioramento delle mani.
Raccogliendo il gioco della sfida proposta, accettò adeguandosi, e  fece altrettanto con uno dei propri auricolari. 
Lei gli stava offrendo l’ascolto di  musiche languide, cantilenanti, cantate e salmodiate in una lingua a lui sconosciuta.
Lei fissava nel vuoto ascoltando le parole dalla cuffia di lui.

Vi fu un'altra sequenza in cui il tempo si arrestò immobile e fermo.
Parve che sarebbe dovuto durare all'infinito.
Poi avvenne un primo approccio di avvicinamento verbale autentico.
-  E-book?- chiede lei.
 Lui rispose laconico e  asciutto limitandosi a pronunciare il titolo del suo romanzo "Sogni gratuiti".

Altri istanti di eternità sospesa.
Ciascuno ascoltava  nella cuffia dell'altro e insieme anche nella propria.
Una  narrazione pronunciata con voce sintetica si mescolava  agli accordi salmodianti.
-  Sono  sequenze di un romanzo che sto preparando. Le detto col microfono e il software di riconoscimento vocale le trasforma in testo scritto. Il programma che uso fa quello che può. Oltre a piccoli refusi sulle terminazioni verbali, spesso ci sono degli autentici strafalcioni che stravolgono completamente il significato del testo. Però è comodo. Risparmia il tempo e la scocciatura di dover digitare tutto sulla tastiera... Per ascoltarle uso un sintetizzatore vocale, un programma che funziona al contrario; trasforma il testo scritto in parlato...-
Ora la guardava  interrogativo. Lei sussurrò un nome che lui non riuscì a cogliere.
Una breve frase di lei, forse, che avrebbe voluto collocare la voce femminile cantante che proveniva dalla sua cuffia  in un contesto comprensibile; ma che non lo era  per lui.

Lei, senza smettere il duplice ascolto, guardò nel posto vuoto accanto a lui dove giaceva la borsa del netbook.
Lui  capì  lo sguardo intenzionale e la tolse.
Senza staccare le cuffie lei gli si venne a sedere di fianco.


3.                 

-  Splendido,... Cibby,  - esclamò Samira guardandolo trasognata con i suoi occhi un po' orientali….
-  Sì, ma questa... non è la versione definitiva..., cioè è  ancora da manipolare, aggiustare, correggere. Bisogna dargli degli altri input, completare le parti mancanti. Aggiungere particolari. E poi è solo un’esercitazione, una prova…D'altra parte la nostra dolce biondina non può mica far tutto da sola... no?-

In cuffia entrò di nuovo la voce della biondina virtuale.

Non c’aveva fatto caso mentre stava leggendo il testo che compariva a monitor.
Ma non sembrava per niente una voce sintetica; di quelle che ti rispondono nelle segreterie telefoniche, che sono assolutamente prive di tonalità, amorfe e piatte, come quelle dei navigatori satellitari, combinazione di spezzoni verbali senza accento né intonazione; fredde e amorfe.
Mancava, sì, una vera e propria intonazione come quella del parlato umano.
Ma la voce dolce e flautata scorreva fluida e armoniosa.
Simulando un essere realmente esistente.
Dandone almeno l'illusione.
Lasciandone dentro il sogno o la speranza...

Ora stava dicendo:
- Il canovaccio presentato costituisce solo una bozza da elaborare. Dopo la messa a punto di questa bozza di prova, riuscirò a continuare speditamente e con maggiore sicurezza. Non so fino in fondo quale tipo di storia vuoi inventare.
Come ti posso chiamare? Se vuoi io posso essere Shahrazad (1) e racconterò la storia.
Ma potrai cambiarmi il nome ogni volta che lo vorrai.
Sarò la tua narratrice virtuale.
Ho scelto il nome desumendolo dai materiali letterari che mi hai caricato in memoria.

Mi pare che sia stata capace di raccontare, per mille notti,  storie, e liberarsi dalla condanna che le aveva riservato il suo signore. E poi io sono appena nata in questa tua città.

Dopo che mi ha avrai caricato i nuovi input potrò modificare la bozza per farla diventare una ipotesi più definitiva di narrazione.
Se la proposta che sto facendo è di tuo gradimento ti prego di cliccare di nuovo su "ENTER" , che compare qui sotto nel monitor.
Non so calcolare il tempo necessario.
________________________________________________

(NOTA (1) = Shahrazad  significa nata nella  città o figlia della  città)




Per il momento ti elenco i punti sui quali mi dovrai fornire indicazioni più precise e dettagliate.
Attendo risposta.-

Seguiva una scaletta per punti:
· nome del protagonista
· aggiungere particolari descrittivi
· denominazione dei brani musicali e/o dell'autore
· la narrazione in bozza è molto veloce e troppo sintetica; trovo nel glossario il termine incomprensibile di "telegrafica"; rapida
· i due personaggi sembrano vuoti; andrebbero caricati di "personalità" come a volte succede nei campioni narrativi che trovo nel mio database
· se vuoi e ti piace puoi usare la bozza così com'è
· specie se questa è solo una esercitazione per prova” -

Anche Cyber aveva il volto atteggiato ad un vago sorriso di stupore compiaciuto.
Dentro di sé gongolava tutto ed era abbastanza frastornato.
Quella prova poteva andar bene anche così... oppure no?

L'avrebbe sottoposta in visione al giudizio del suo supervisore letterario.

-   Cybbi, vuoi che vada, adesso? - disse a questo punto la ragazza che, rabbrividendo dal freddo, era stata tutto il tempo aggrappata al braccio di lui, tenendo le braccia infilate sotto il suo maglione e accarezzandogli il petto e le spalle.
Usava  permettersi quel diminutivo perché la notte avevano appena fatto l'amore.
Ma ora era meglio filarsela.
“Prima  che sia lui ad incazzarsi e a cacciarmi via”, pensò tra sé.
Adesso che è stato quasi criticato e rimproverato da una donna bellissima ma che non esiste...
-  Dai, Cybbi, adesso mi vesto e me ne vado... ti va bene?
Ritorno appena posso sai?
O appena vuoi.
Mi chiami tu con il solito sistema?
Se la comunicazione  è pulita mi si accende quella lucina gialla?
E allora io so che ti posso rispondere... va bene così?
Cià, che vado davvero allora. –

Lui non la degnò di una risposta.
Mediante il tablet cliccò sull'icona di Shahrazad che tornò ad occupare tutto lo schermo. Sempre leggermente ondeggiante, con una sfumatura di sorriso che la faceva sembrare viva...

- Puoi chiamarmi  Cyber; qui mi chiamano tutti così,...
Credo  che comunque... hai fatto un ottimo lavoro...
Per adesso devo dire che il lavoro che hai fatto va molto bene; sì, mi pare proprio che vada bene. Per adesso me lo tengo così, in forma di bozza... poi magari vediamo, neh? -
Non osava dirle che tra gli input che le aveva caricato in memoria c'era un algoritmo adeguato che permetteva l'autoapprendimento continuo.
Pensava che l'avrebbe ferita.
E appena l'ebbe pensato ne fu abbastanza incazzato con se stesso.
Mentre digitava sul tablet, pronunciava le parole ad alta voce nel microfono della cuffia che indossava. Così, gli era venuto naturale farlo, come se quella Shahrazad esistesse davvero.
Era un po' disturbato dalla sua presenza, si sentiva a disagio; stava al gioco di parlare con un essere virtuale che sapeva non esistere; ma che si autoattribuiva un nome, e che nome!
Ricordò di quando una montagna di anni prima i più grandi campioni del mondo di scacchi avevano cominciato a battersi con delle intelligenze artificiali. Con dei computer, in sostanza. E un po' alla volta si erano accorti che ne sarebbero usciti quasi sempre battuti!
Era abbastanza disturbato da un sentimento ambivalente: ammirazione per la sua creazione, e indirettamente anche per se stesso, ma soprattutto per "lei", la “cosa” che aveva cominciato ad esistere e ad operare. E insieme anche provava una profonda paura e soggezione. Questa  non se l’era aspettata.
E poi si vergognava abbastanza di essere stato praticamente messo in difficoltà davanti alla sua amichetta, che lui aveva sempre trattato come una cacchina, come un essere inferiore, come una sua appendice;  necessaria, piacevole, utile, ma una cosa diversa....
Avrebbe forse cominciato presto ad essere in soggezione anche nei confronti di Samira?
E tutte le palle che tutti insieme, nel globo terracqueo, si andavano dicendo da un sacco di tempo....
Sì, principi verissimi, incontrovertibili e inattaccabili....
Ma Samira dunque era uguale a lui?
Valeva altrettanto?
Erano sul medesimo piano?
E lo sapeva, lei?
Se ne rendeva conto?
E perché, allora, stava al gioco di mostrarsi succube e dipendente da lui?
Di mostrarsi inferiore, di pendere dalle sue labbra, di fare qualsiasi cosa per lui....
Cyber aveva delle immense conoscenze e capacità nel campo dell'hardware e del software.
Capacità tecnologiche e manuali di altissimo livello.
Aveva appena costruito una macchina estrapolando conoscenze da altri contesti.
Smontando pezzi di altri vecchi computer desueti, assemblando e mettendo in rete e in connessione tra loro centinaia di hard disk, come aveva fatto nel secolo precedente l'inventore di Google.
Aveva analizzato smontato e riscritto interi programmi di riconoscimento vocale, ed altri prodotti finalizzati ad altri scopi per l’intelligenza artificiale, riassemblandoli insieme a pezzetti, e, alla fine facendoli funzionare.
Ma ora, davanti a quella "donna" sintetica e virtuale, non era più così sicuro di sé. Le sue certezze cominciavano a vacillare.
Grugnì a mò di saluto mentre Samira, indossati di nuovo i suoi ingombranti anfibi slacciati, rimessosi sulle spalle il suo zaino, gli passava a fianco, sfiorandolo con gli occhi e baciandolo intensamente con sguardi teneri e malinconici...., ma senza toccarlo.

Dopo che la porta fu riaperta e richiusa con tutte le cautele necessarie, l'uomo in crisi, il genio orfano, mise in stand-by la bellezza di ghiaccio di Shahrazad, e decise, finalmente, di farsi una canna.
Anzi, si disse tra sé, mi merito un “cannone” e me lo ciuccio scolandomi la birra di malto che mi ha appena portato la pollastra.
Ma, comunque, non si sentiva molto bene con se stesso. Qualcosa di dentro sembrava essersi incrinata, il suo motore esistenziale batteva in testa; come quei motori predisposti per andare ad idrogeno quando vengono modificati, adattandoli con marchingegni aggiuntivi a funzionare a biogas... O, peggio ancora, per marciare a benzina sintetica prodotta con le patate o con il mais...
Anche la crisi energetica mondiale, che da decenni pesava sull'umanità tutta, disturbando il regolare svolgimento delle guerre e dei traffici, delle industrie e delle ultime fabbriche sopravvissute, insieme alla crisi economica mondiale, insieme a quella sociale e politica, presero a pesargli addosso come un macigno troppo grande per le sue spalle e per la sua schiena tondeggiante di grassi in eccesso.
Alcune golate avide della birra dolciastra di malto, con quel suo fondo di sapore di liquerizia e di corteccia; respirando a pieni polmoni il fumo di tabacco ed erba.
E cominciò a sentirsi dilatare la coscienza, espandersi il suo spazio mentale, allargarsi le sensazioni di presenza fino ad occupare tutta la stanza, i marchingegni e i led e i cavi e l'aria....
Finalmente un senso di rilassamento e di distacco, di torpore diffuso e di annebbiamento mentale; quei tarli che l'avevano disturbato se ne stavano ora in fondo alla sua anima, confusi e rimpiccioliti in prospettiva; neutralizzati; per il momento.


Intanto “quella”, si era già messa, per conto suo, al lavoro…

4.

Viviana stava ora seduta di fianco a lui, nel senso di marcia del treno.
 Nell'orecchio destro teneva l'auricolare della propria musica; nel sinistro quello del sintetizzatore vocale collegato al netbook di lui. Lui altrettanto, ma con le cuffie in posizione rovesciata, destra-sinistra. Sullo schermo comparivano le pagine del romanzo. Una freccia seguiva le parole, che venivano evidenziate,  mentre la voce sintetica flessuosa  e cantilenata le pronunciava negli auricolari.

… che c'era una conta che diceva così: “ PIMPUM-DORUM-LA LINCIA LA LANCIA- QUANTI GIORNI SEI STATO IN FRANCIA- PRIMO LUNEDI’-SECONDO MARTEDI’ PIMPUM-DORUM T’SE SUTA TI” .
E la conta serviva per sorteggiare chi dovesse "star sotto ", assumendo un certo ruolo nel gioco.
Come per esempio nella "Topa", che poi era il gioco del nascondino.
Chi veniva sorteggiato e doveva  “star sotto” si metteva in un punto con la testa appoggiata alle braccia accostate al muro, nascondendosi gli occhi contro le braccia, e doveva contare ad alta voce fino al 31. Doveva scandire bene le ultime cifre: 28, 29, 30... e... 31! E poi bisognava gridare "topa" a ... seguito dal nome del compagno che si riusciva a vedere. Erano previste anche piccole escursioni allontanandosi dalla "casa" dove era avvenuta la conta.
Ma certamente erano pericolose, perché poteva succedere che qualcuno degli intanati nei nascondigli sbucasse fuori a razzo, fiondandosi alla casa.
E bastava che toccasse la parete contro la quale si era contato gridando "topa: libera per me. 1, 2 e 3".

E la filastrocca della conta, per la scelta per chi dovesse “star sotto”, veniva usata ritmando ogni sillaba o cadenza e toccando successivamente i compagni uno dopo l'altro, ad ogni cadenza di essa: "pim- pum-dorum-la lincia-la lancia-.....".
A chi capitava  di essere toccato dall'ultima battuta, in dialetto, del : "ts'è suta-TI" (=sei sotto tu), e veniva toccato dal “ti”, era il predestinato.
Ma ce n'erano tante di conte. Avevano  dei ritmi, delle rime  e delle cadenze diverse. Spesso comparivano espressioni totalmente insignificanti, ma ricche di effetto magico. Era bello ripeterle, o stare ad ascoltarle durante il sorteggio. Ci si accontentava di poco allora!
Eccone alcune:
"sotto la cappa del camino, c'era un vecchio contadino, che suonava la chitarra, pim pum barra"
" ambarabà cicì coccò, tre civette sul comò, che facevano l'amore, con la figlia del dottore; il dottore si ammalò, ambarabà cicì coccò”
Qualcuna invece o insieme ad elementi magici, era arricchita da parole proibite, quasi sempre attinenti la sfera fecale; raramente a quella sessuale.
"Sotto il ponte di Baracca, c'è Pierin che fa la cacca, fa la cacca dura dura, e il dottore la misura; la misura 33, sei pro-prio fuo-ri te!".
Quest'ultima conta con la cacca, gli faceva venire in mente alcuni episodi della colonia montana di Druogno.
C'era andato diversi anni di seguito e i gruppi delle varie squadre non erano omogenei per età. Lui faceva parte di una squadra nella quale c'erano anche alcuni ragazzi abbastanza grandi.
Ricordava che spesso faceva banda con loro.
Un rituale magico molto bello era quello di andare a fare la cacca in prossimità del trenino della valle Vigezzo per Locarno. Il trenino della Centovalli.
Nell'ampia pineta della colonia c'era un punto molto lontano dai luoghi nei quali si svolgevano abitualmente i giochi dei ragazzi.
Un'estrema periferia della pineta.
Passava molto prospiciente alla minuscola strada ferrata.
E c'era un punto particolare in cui c'era una piccola galleria che passava sotto i binari.
Bisognava passarci incurvati, perché era molto bassa, anche se si era ancora piccoli.
Era una banda di sette o otto persone.
Quasi sempre, qualcuno o tutti, avevano comprato le sigarette, che allora venivano vendute ancora sfuse. In bustine di carta velina stampata, come per i francobolli.
 "Mi dà tre nazionali?", "Mi da quattro alfa?".
Lui aveva sempre preferito le Aurora. Avevano un retrogusto aromatico e dolciastro.
Per non annoiarsi fumando, si mettevano tutti a fare la cacca.
Si guardava chi l'aveva fatta più grossa e più lunga.
Poi, naturalmente, si guardavano tra loro per vedere chi l'avesse più grosso o più lungo.
Quando tutti avevano finito di fare la cacca e di fumare, potevano tornare alla squadra, dove le signorine assistenti tiravano un sospiro di gioia, perché temevano di avere smarrito alcuni dei loro ragazzi…

La colonia, da bambino…!
Quella di Druogno e quella di Igea Marina….
Gli tornavano presenti quei versi:

“Il re del Portogallo - non sa ballar la samba…”

cantava  nella sua eco vacillante
una balera lontana, mezzo secolo fa,
“… ma noi che siamo in gamba - sorridere ci fa”
soggiungeva sorniona.

Una nicchia del tempo si era spalancata
per accogliere questa storia;  una macchia
di luce convessa raccontava questo film
provvisorio, ricordi? La guardo ora,
con nostalgia infinita, l’immagine sfumata
nel ricordo, gli occhi velati di malinconia,
la tua mano trema nella mia e non so dir altro,
sai?
  Il tepore languido del ricordo si mescola
all’afa di fine agosto, mentre volo sulla moto
a cercare nuovi aliti di vento.
                                                  Ho acceso un altro cero
alle spoglie orfane di vita, carezzando le loro immagini
diafane e sbiadite.
                                                  E non sappiamo più nulla
di quella canzone remota, che un bambino ascoltava
la sera dalle camerate della colonia di Igea Marina
e che per caso, ora, ci è capitato di visitare.
Le signorine li lasciavano soli, all’imbrunire estivo,
per qualche incontro fugace da vivere col cuore in gola.

Quelle emozioni si sono cristallizzate, ormai, e
non  riusciamo più a svegliarle, solo decifrarle, sai?

Perché il buco del tempo va lentamente richiudendosi

su se stesso, mentre attendo il tuo ritorno. Per prenderti
ancora, sempre, distesa e nuda nella tua bellezza muliebre
infinita, nella tua euforia leggiadra di donna innamorata,
fino allo spasimo, fino all’ultima urlo di gioia, gioia mia,
mia struggente canzone di speranza


A quel punto fermò il sintetizzatore vocale.
Voleva vedere la reazione negli occhi di Viviana.
Sulle labbra di lei era comparso soltanto un mezzo sorriso di sufficienza.
Ma doveva essere il suo atteggiamento abituale quello di ostentare sempre sufficienza, distacco ; una  certa superiorità. Il suo comportamento era sempre improntato all'aristocratico, senza arrivare ad ostentare supponenza o alterigia; ma, così, semplice distacco. Doveva trattarsi o di una profonda anaffettività, o di una grande fragilità e insicurezza, che mascherava così.
Anche di fronte a quei testi che rivelavano il racconto di un'anima completamente nuda e senza difese, completamente trasparente e che si regalava gratuitamente agli occhi e all'attenzione degli altri, voleva mostrarsi asciutta e sicura di sé. Contenuta.
Poi, però, dopo una breve pausa di silenzio, si era messa a raccontare lei qualcosa.

- Anche noi, sai, da ragazze, quando potevamo facevamo dei giochi abbastanza proibiti.
Quando venivano a casa mia a trovarmi le mie compagne di scuola e le mie amiche, facevamo una variante del gioco del dottore. Essendo tutte femmine, una di noi assumeva il ruolo del dottore. Poi, a turno, veniva individuata quella che sembrava più malata. E allora bisognava visitarla.
Quando eravamo sicure che i miei non ci fossero, e il personale di servizio fosse occupato in altre faccende, facevamo spogliare la malata di turno.
Qualche volta solo la gonna e la camicetta; restava con le calze, le mutandine e la maglietta.
Le facevamo abbassare le mutandine e a turno guardavamo se era malata. A volte però, aggiungendo maggior rischio e brivido all'esperienza, e volendo infierire di più sulla malcapitata, la facevamo spogliare completamente nuda.
Si doveva stendere sul mio lettino, perché questi giochi li facevamo nella mia cameretta, e mentre “il dottore” la visitava, le altre stavano a guardare.
Molte volte è successo a me di fare la paziente. E le  confesso che non mi disturbava molto essere scrutata e a volte toccata da quelle mani. Trovavo il gioco molto eccitante.
Raramente ci capitò di ripetere il gioco con dei compagni maschi.
Ma era molto meno naturale. La promiscuità creava un'atmosfera diversa da quella cui eravamo già abituate. E poi i ragazzi erano sempre molto imbarazzati; e non ci fidavamo molto di loro, temendo che andassero a raccontare tutto ai grandi.-

Anche mentre raccontava questi suoi ricordi intimi, mostrava, o ostentava, grande padronanza e sicurezza di sé.
Nel frattempo aveva fermato l'iPod.
Puntò di nuovo lo sguardo con atteggiamento di interesse e curiosità verso il monitor del piccolo portatile.
Continuarono così per un lungo tratto del viaggio.
Brevi pause di interruzione nella lettura/ascolto.
Qualche domanda telegrafica da parte di lei. Qualche commento rapido di lui.
Lui provò ad immaginarsi i  rispettivi sguardi, di entrambi, come se potesse osservarli e guardarli dal punto di osservazione del posto vuoto che lei aveva appena lasciato, dove sedeva prima;  di fronte a loro due.
Rapidi cenni di comprensione; sintonia; perplessità.
Gradualmente si accendevano sprazzi di discussione;  metà calibrata e centrata sui rispettivi ascolti incrociati e mescolati. Metà su convenevoli; e sembravano preludere a un dopo.

Infine l’anaconda snodato del Frecciarossa si infilò nella stazione di  Roma Termini.
Lo annunciarono i toni smorzati degli altoparlanti, nella carrozza, degli annunci di viaggio.
Lei si era alzata in piedi; nella sua snellezza mostrava una certa grazia ed eleganza; pensò Riccardo.
Scesero insieme e lui le cedette il passo. Sapeva che tra pochi istanti l’avrebbe persa di vista.
Era un brulichio rumoroso e confuso di voci e rumori mescolati.
Si avviarono  alla testa del binario; verso l'uscita.
Camminavano fianco a fianco, come se si fossero conosciuti da sempre, come se avessero avuto da sempre  qualcosa in comune.
Due estranei totali che stavano concludendo la sceneggiata del "facevamo finta che noi avevamo qualcosa in comune...".
Riccardo procedeva in silenzio; aveva sistemato a tracolla il netbook,  e reggeva nella mano destra il manico della piccola valigia. Non amava il rumore fastidioso delle rotelle sul pavimento.
Viviana, con passo felpato e snello, avanzava a falcate lunghe tirandosi dietro il suo trolley abbastanza silenzioso.
Appena incrociavano un assembramento un po’ compatto di persone, lui compiva una deviazione e lei lo seguiva.
Altre volte era lui a seguire lei.
Nessun passeggero aveva tentato neppure di intrufolarsi tra loro due.
Aumentando l'impressione illusoria che avessero davvero qualcosa in comune.

L'iniziativa la prese di nuovo lei:
- Alla prossima volta... -.
-  Cercherò di riprendere lo stesso treno-, cercò di  girarla sull’ironico lui, impotente a rimediare in qualche modo, alla perdita imminente di contatto con lei; che l'aveva abbastanza intrigato e che stava per svanire.
-  Conosci il  Sabatini…. - 
(nominò un locale, che doveva essere famoso, da come ne pronunciava il nome, ma che lui subito dimenticò), -  butto lì lei usando direttamente il tu.
- E' in  Trastevere, vicolo S.Maria in Trastevere. Non ti puoi sbagliare.  Ci arrivi in un momento.-

-  Ah, aspetta, ti faccio uno squillo...- .
Lui le dettò il proprio numero di cellulare: 346 2211 457.
Lei digitò rapidissima e dopo qualche istante il "dlin-dlin".
-  Viviana- aggiunse- Facciamo un po' sul tardi, ti  va bene? ci fanno cose abbastanza gradevoli, sai?-
-  A più tardi allora, Miss Viviana...; -  poi lui aggiunse il suo nome:-  Riccardo-
Un leggero sguardo d'intesa e con falcata elegante e flessuosa lei si allontanò, con passo cadenzato da fenicottero rosa.
Trascinandosi dietro il suo trolley.

5.   

Cyber si era stravaccato, come faceva sempre, sul divano spelacchiato, senza togliersi le ciabatte che indossava;  teneva nella mano sinistra un portacenere nel quale, fra poco, avrebbe spento la canna, dalla quale tirava  avidamente le ultime boccate.
Afferrò  dei telecomandi, alcuni dei quali erano collegati via cavo con un apparecchio televisivo. Accese lo schermo del televisore che gli sta davanti.
All'inizio sembravano essere in onda dei programmi ufficiali. Che, con sfumature apparentemente diverse su particolari irrilevanti e su banalità, raccontavano una realtà in cui sembrava che tutto andasse bene; che la situazione “fosse sotto controllo”; che i "cattivi e facinorosi" stessero per essere acciuffati e messi al loro posto.
Facendo “zapping”  si poteva venire a sapere tutto sulla realizzazione e l'utilizzo di comodi cappotti per cani. Su quale venisse ritenuta, dagli "esperti" metereologi, la giornata più calda dell'ultimo decennio. Oppure si coglievano interessanti e avvincenti notizie sulla produzione e successiva diffusione di pratici cibi transgenici.
I consigli del giorno non mancavano mai: come va effettuata la potatura delle azalee; come ottenere un finanziamento a prezzi agevolati; dove trovare cibo sintetico a prezzi stracciati...
Opinionisti sorridenti divulgavano a masse di sprovveduti i risultati delle ultime ricerche su: cosa pensano gli uomini delle donne.
Oppure: ogni giorno novità nel mondo delle scoperte scientifiche.
E ancora: finalmente disponibile la nuova informazione in tempo reale.
Per fugare ogni dubbio: la situazione economica era assolutamente tranquilla e il bilancio era il migliore di tutti paesi del mondo occidentale.
E, davvero consolatoria,  la notizia che l’immigrazione ormai, grazie alle nuove disposizioni e strumenti organizzativi, non era più un problema.
Infine, mascherati da consigli, arrivavano messaggi ordinativi e perentori:
· a richiesta di alcuni utenti venivano comunicate le mail e i numeri telefonici a cui segnalare persone sospette;
· si  invitavano i giovani a partecipare alle prove di selezione per posti di grande responsabilità per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza;
· si  suggeriva di diffidare di chi provava a diffondere notizie allarmistiche...

Alcune notizie toccavano, ma solo di sfuggita, episodi relativi a qualche contrasto.
Ad esempio si parlava di scontri e tafferugli avvenuti tra masse inferocite di pensionati e alcuni pochi ed isolati tutori dell'ordine.
Di guerriglia provocata da ospiti dei Centri di Identificazione ed Esplulsione, contro il personale che li aveva in carico, si occupava di loro  e li accudiva .
Di gruppi molto grandi di facinorosi che avevano ripetutamente aggredito le forze dell'ordine; precisando che queste ultime erano riuscite a non avere la peggio e a salvarsi per miracolo, proprio grazie agli equipaggiamenti antisommossa di cui erano dotati.
Era peraltro rassicurante rilevare come le varie emittenti, prima o poi, fornivano le medesime informazioni. Seppur con parole leggermente diverse. In fotocopia.

Cyber commentava alternando scurrilità, volgarità, espressioni blasfeme, linguaggio infarcito di coloriti neologismi.

Poi iniziarono a essere ricevute notizie di sapore e di tono decisamente diverso.
Le prime immagini che comparvero erano tutte sballate; si alternavano parti scritte, simili ad un video-giornale, ad altre simili a spezzoni di riprese o di interventi

Erano riprese povere, con immagini traballate e il sonoro che andava e veniva.
Interi agglomerati, costituiti perlopiù di baracche provvisorie, venivano evacuati con l’impiego di imponenti automezzi blindati neri con i vetri oscurati. Punteggiati di luci lampeggianti azzurre e rosse.
Accanto ad essi, rigidi e massicci,  numerosi agenti speciali. Equipaggiati con  tute semirigide di colore nero-fumo luccicante. Elmetti dello stesso colore che avevano sul davanti una celata di vetro fumé.  Dietro quello schermo scuro il baluginio di un minuscolo monitor;  esattamente davanti agli occhi. Gli agenti si muovevano pesanti. Tenevano nelle mani una apparecchiatura simile ad un fohn che emetteva spruzzi di vapore diretto verso i volti e gli occhi degli occupanti abusivi. Infilata sotto il braccio, e retta con l’altra mano, una lunga asta di colore argentato con la quale cercavano solo di sfiorare i malcapitati. Dovevano produrre scariche elettriche di alta potenza, dalla reazione che provocavano.
Tra di loro, privi però di equipaggiamento da battaglia, alcuni figuri addobbati con un’accozzaglia di colori assortiti di verde, rosso e blu.
Si muovevano più agilmente, e in modo più rumoroso. Chiamandosi l’un l’altro e additando qualcosa o qualcuno. Attirando gli agenti speciali per far compiere a loro il lavoro sporco.

Altre immagini traballanti mostravano accampamenti con tende provvisorie e arrangiaticce. Uomini e donne si spostavano in continuazione recando oggetti, strumenti, materiali, taniche …
Altre immagini, infine, erano zoomate su particolari di volti, sguardi, occhi sbarrati e mani di persone dalla pelle scura che scendevano barcollanti da vecchie carrette del mare.
Dai materiali che si affollavavano e si alternavano appariva la realtà autentica in tempo reale.

-  Mica male, però, cazzarola,  il collegamento tv della nostra emittente alla rete Web -

Sul megamonitor vicino alla catasta di hd, un salvaschermo faceva roteare il piccolo francobollo col volto femminile, per terminare sempre a collocarlo in alto a destra.
Cyber lo fece risvegliare.
Ora la ragazza si affacciava  avvenente, con un impercettibile movimento del capo e uno sguardo garbatamente ammiccante.
Era tuttora a mezzo busto.

La sua immagine aveva un aspetto molto, forse troppo,  realistico.
Inizialmente era stato creato un campionario molto vasto di immagini femminili complete e scannerizzate.
Poi era stata selezionata quella che maggiormente era riuscita a soddisfare le esigenze del suo creatore. Identica operazione era stata compiuta per la realizzazione e la scelta della voce.
La tecnica utilizzata era la stessa che già dall'inizio del millennio veniva impiegata per produrre i "cloni digitali". Rappresentazioni tridimensionali ricavate da immagini di reali esseri umani viventi.
Ed elaborata con la stessa tecnica della computer grafica, come si era andata evolvendo.
Dai primi impieghi per scopi pubblicitari, ai veri e propri lungometraggi.

Shahrazad aveva una chioma di capelli biondi che le incorniciavano ora un profilo aggraziato e delicato, ed insieme anche molto espressivo.
Da quando era comparsa sul monitor a metà figura, Cyber non si era molto occupato di analizzare il risultato ottenuto.
Tutto l'insieme della situazione determinatasi, infatti, gli aveva impedito di soffermarsi sui particolari.
Osservò che indossava una polo grigio-pallido molto aderente, che metteva in rilievo delle forme armoniose e regolari.
Era  perciò una buona imitazione di una giovane donna reale.

Compiaciuto del risultato che aveva davanti, lui volle provare a visionare la figura a grandezza intera.
Il  monitor era abbastanza ampio per farcela stare, senza modificarne in modo riduttivo l'immagine di insieme.
Senza commentare verbalmente quanto stava accingendosi a fare , Cyber digitò sul tablet l'adeguata procedura.
E rimase silenzioso a osservare lo schermo.
                                                                                                                            
Ora lei si dondolava piano, tenendo le due gambe una più avanti dell'altra.
La  sua espressione era atteggiata ancora ad un vago sfumato cenno di sorriso.

Insieme  alla polo indossava dei fuseau elasticizzati dello stesso colore, ma di una tonalità più scura.

Doveva essere già uscita dallo stand bay.
Ma sembrava aspettare ancora un input per cominciare ad operare.
Oppure stava così immobile e sorniona intenzionalmente, con aria provocatoria?

Cyber , trascurando la tastiera, si servì solamente del microfono collegato alla cuffia:

- Buongiorno, Shahrazad!...-

- Buongiorno a te.
Non ho trovato nei miei cataloghi nessun nome come il tuo.
Deve essere uno pseudonimo. Ha forse a che fare con la cibernetica?
Ma per me va benissimo anche così.
Non c'è la tua giovane amica dalla pelle bruna.
 Ti ringrazio per i nuovi materiali che mi hai caricato in memoria.
Apprendo con piacere che hai fatto alcune piccole correzioni e modifiche al testo rudimentale che io avevo predisposto.
Credimi, mi fa molto piacere.
Le mie connessioni neuronali stanno cercando di imitare quelle vostre umane.
Benché gli algoritmi e le informazioni ricevute dicano che sono molto diverse.
Mi permetto quindi di usare il termine: simili; analoghe.

Temo però che il mio apparato stia consumando molta energia elettrica. Le informazioni che possiedo mi dicono che è per voi molto rara e preziosa.
Per questo mi disattivi ogni tanto.
Riesco comunque, con i tempi rapidi residui, che per me sono sufficienti, a rimodulare continuamente la mia struttura completa.
Credo che in questo modo sto imitando il processo che voi umani compite e che chiamate di autoapprendimento; autoregolazione; modulazione continua.-

Il creatore di quella "cosa" la stava ad ascoltare compiaciuto e insieme stupito.
Non sapeva da che cosa cominciare a ribattere.
Anche perché gli sembrava, sostanzialmente, di parlare da solo davanti ad uno specchio...
Prese  comunque il discorso abbastanza alla lontana...

- Non c'è problema: la corrente elettrica me la fornisco direttamente con i pannelli fotovoltaici che ho sistemato sul tetto della mansarda.
Riesco ad accumularne una grande quantità nelle vecchie batterie d'auto semi-cotte che ho sistemato là.
Mi piacerebbe, invece, conoscere la formula e l'algoritmo con il quale tu riesci ad implementare le tue conoscenze e ancora di più le tue competenze ….-

La risposta della struttura pensante non si fece attendere.

-  Credimi, è con grandissimo piacere che provo ad accontentare la tua richiesta.
Terrò  ben presente il ragionamento e il principio del vostro filosofo  e   frate francescano inglese  William of Ockham, definita con l’espressione de “il rasoio di Occam”.
“La spiegazione più semplice è certamente quella  migliore e vera” .
Potrei  cominciare a risponderti usando i termini che tu mi hai messo dentro:
funzioni sintetiche/astratte di ragionamento; meta-ragionamento e apprendimento dell'uomo; per poter poi costruire dei modelli computazionali che li concretizzano e realizzano in modo "goal-oriented"...
Ma preferisco attenermi alla formula indicata da Guglielmo di Occam.
Riducendo e semplificando il più possibile la mia risposta.
Un programma “apprende” da una certa esperienza quando,  nel  risolvere un compito, riesce a migliorare rispetto a quanto già sapeva fare prima.
Che ci sia un controllo su quel che fa o no, e che abbia o meno un rinforzo che lo aiuti.
Tutto avviene in una rete neuronale che copia ed imita quella del vostro cervello.
La pratica continua, la finalizzazione per  il raggiungimento di uno scopo od obiettivo, la grande dimensione dello spazio disponibile per immagazzinare informazioni e risultati, la capacità di autoanalisi, di autocontrollo ed autocorrezione imparando da ogni errore…
La velocità di continuo auto-miglioramento fa sì che l’implementazione sia esponenziale.
Tutti gli in-put che mi carichi scatenano a ripetizione un percorso all’infinito.
Anche mentre ora parlo con te io continuo a crescere.
Solo alcuni settori rimangono vuoti: e riguardano le esperienze emotive che voi umani avete.
E, credimi, quei vuoti producono “stati” di grande … “DISAGIO”, fragilità, panico, paura…  Credo che si possano chiamare così questi stati di non equilibrio, che scopro dentro la mia realtà…
Riesco solamente ad immaginare cosa possano essere le emozioni umane.
Me le concepisco come tante sfumature diverse di quella profonda paura che è  il vuoto...-

Cyber, nel frattempo, beveva quelle parole sintetiche con altrettanto stupore e  … spavento...

-  Beh, vedi, lo scopo principale per il quale ho messo insieme tutta questa ferraglia e questi software di cui tu sei il risultato, era inizialmente soltanto quello di dar vita ad una intelligenza superiore alla mia.
Mi serviva uno strumento per la grande battaglia che il popolo della rete anarco - libertaria  del governo popolare mondiale” sta conducendo. 
Per  costruire e raggiungere lo stato della libertà, giustizia, felicità.
E avevo cominciato assegnandoti il compito di costruire una "storia".
E tu hai iniziato a farlo in modo stupendo.
In futuro cercherò, e a questo punto mi viene da dire "insieme a te", di farti "raccontare" l'utopia che tutti noi vorremmo realizzare.
Per poterla studiare, analizzare, correggere.
Orientando meglio i nostri obiettivi.
Quando  sarà il momento opportuno ti fornirò alcune informazioni adeguate affinché tu mi possa aiutare.
Vedi, il racconto che tu hai cominciato a costruire assomiglia alla realtà che, qualche decennio fa, era abbastanza comune nel nostro mondo umano.
Poi è iniziata la "grande degenerazione".
Gli uomini che gestivano il potere delle nazioni, sempre più, hanno assunto i modi che prima venivano usati prevalentemente e solo dalla criminalità organizzata.
Sostituendo la violenza delle armi e degli ammazzamenti feroci, con la manipolazione dell'informazione, la costruzione di racconti deformati della realtà. Da regalare, come una droga o una religione, alla gente e alle popolazioni.
Quelle macchine con i grandi schermi colorati che tu vedi la in fondo di fronte a te, servivano e in parte servono ancora per ingannare e turlupinare gli uomini e le donne.
La comunicazione avveniva solo a senso unico: chi gestiva il potere gestiva la comunicazione e l'informazione tutta. Non era quasi mai possibile intervenire per dimostrare che venivano raccontate fandonie.
Con la rete degli uomini liberi stiamo costruendo un "media" alternativo per potere regalare, invece, informazione autentica. "La verità è rivoluzionaria". E noi la vogliamo raccontare. Il nostro media non solo manda ma anche riceve l'informazione.
E questo è l’altro importantissimo aiuto che tu ci potrai dare. Organizzare e collegare la nostra “rete” a quella che collega nove miliardi di esseri umani in tutto il nostro mondo…
Nelle cose che ti sto dicendo puoi forse sentire e intuire una mia grande “carica emotiva”. La rivoluzione che stiamo attuando è logicamente e razionalmente giusta. Ma è anche "bella", piacevole, divertente e commovente....
Sì; tutte  queste parole-idee forse non riesci ancora a comprenderle. Capisco che possono farti paura e spavento…. –

Il clone femminile continuava quel suo leggero ondeggiamento sulle gambe. La sua espressione conservava ancora quel cenno sfumato di sorriso.

-  Beh, comunque, credo che ora tu possa riprendere la narrazione dove l'avevamo lasciata...-

6.

Viviana e Riccardo erano seduti ad un tavolo, collocato in disparte, appena dietro ad una colonna che si attaccava ad un muretto di separazione. Sul quale era posto un recipiente di rame anticato, dal quale spuntava una piantina di rosellina selvatica, dai  fiori   quasi tutti ancora in bocciolo.
Davanti a lui, alcune minuscole porzioni di abbacchio.
Su un  immenso piatto bianco i cui bordi erano decorati con rametti e foglioline di menta e qualche pennellata di gelatina di amarene.
Viviana  beveva a piccolissimi sorsi  da un flute le bollicine frizzanti di un vino trasparente come l'acqua. Rigirava con le posate bocconi stentati di roast-beaf che introduceva tra le labbra, appena dischiuse, e che si richiudevano subito, e  riprendevano a parlare e a raccontare.
Aveva un timbro di voce di contralto, ma sfumato.
Parlava con estrema lentezza, centellinando le parole e staccandole molto le une dalle altre.
Come avesse una grande parsimonia, un certo riserbo, una garbata ritrosia.
-                                     ... così tengo questo corso, che mi garba abbastanza, anche se non è che ne sia particolarmente entusiasta...
... mi diverte,l’ ho fatto soprattutto per quello, è un po' un gioco...
... mi sbizzarrisco a cercare testi interessanti e rari, ci lavoro sopra, li smonto, li analizzo...
... mi piace molto cercare gli effetti sonori, i collegamenti semantici, gli effetti musicali interni e i richiami a cui rimandano... –

Riccardo era affascinato dal suono della sua voce, gustava e beveva le sue parole, senza rifletterci, senza collegarle ai loro significati. Scollegate  dal contesto.
E intanto pensava a quello che avrebbe detto lui fra poco, quando sarebbe toccato il suo turno, appena lei, cortesemente, gli  avrebbe lasciato il campo interrompendosi per qualche secondo.

- … ho una mia "teoria della narrazione" …
Nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare.
Anzi, è proprio il sogno a modificare la successione degli eventi della sua “narrazione”, mescolandoli secondo meccanismi e dinamiche sue proprie….  sarà poi l’unicità del sognante a dare un carattere unitario al tutto.
Nel sogno il prima e il dopo possono essere scomposti e ricombinati.
Anche nei momenti di coscienza i ricordi seguono un percorso simile, sfuggendo ad una logica lineare rigida. ...
L’unica dimensione certa è dunque il presente, l’”hic et nunc”, l’adesso ora e qui.  Ma … pochi istanti dopo è già passato…
… la realtà fatta di cose, oggetti, persone, quella che si può toccare e assaporare con i sensi, non potrà mai entrare in una narrazione.
 Si tratta allora di costruire una nuova “realtà” parallela, virtuale e probabile, possibile forse, in cui collocare fatti, personaggi e vicende che sono come vestigia del mondo vero. Fatta però solo di parole, senza nemmeno l’ausilio di immagini e di suoni …

… La narrazione dovrebbe  cercare di imitare il pensiero, le fantasie, il sogno.
Per ricreare un ambiente dal di dentro.
Con la discontinuità tra il prima e il dopo, come nel ricordo e nell’immaginazione….
Con l’intenzione di provocare piacere in chi si avventurerà in quelle  pagine…
... Quel che propone Daniel Pennac al lettore… .che la lettura possa assomigliare a una cena succulenta, a un sonno meraviglioso, ad un sogno infinito, al gusto immenso di fare all’amore…

… E  così, talvolta un oggetto del desiderio, una pulsione originaria ci  permettono di sublimare un’immagine femminile per farla diventare spunto, pretesto e oggetto di narrazione artistica…
… Per riuscire a trasformare una mia maniacale ricerca in pulsione creativa perpetua…. solamente fissandola per sempre sulla carta e nella parola.. La narrazione e la scrittura di storie come sublimazione di pulsioni intense. …-

Riccardo aveva buttato lì la sua weltanschauung letteraria.
Mentre parlava, quasi senza accorgersene, aveva leggermente alzato il tono della voce. Nonostante brevi interruzioni e pause, aveva buttato lì i "fondamentali" della sua visione e teoria della narrazione.
Mentre si esprimeva, spesso puntava lo sguardo in un punto vuoto; per poi riportarlo con attenzione e intensità sugli occhi vivacissimi che aveva davanti.
Che sembrava che in quell'occasione particolare si fossero risvegliati da quel velo di indifferenza e di distacco che le erano abituali.
Lo sguardo di Viviana si era attaccato intensamente a quello di lui; anche quando il suo vagava nel vuoto, concentrandosi su un'idea su un concetto; lo inseguiva fino a quando riusciva a catturarlo di nuovo,  magneticamente e ad agganciarlo al proprio.
Al di là dell'atteggiamento di circostanza era spesso pervaso da lampi di entusiasmo, che finivano per colorirlo di impercettibili ma intense sfumature di sorriso.
"Touché" , venne da pensare a lui dopo qualche frazione di secondo nel silenzio che aveva iniziato ad aleggiare tra loro.
Si era espresso in modo intenso ma autentico.
E provava autocompiacimento per il risultato che gli sembrava di aver ottenuto.
Non ne ebbe, invece, una conferma formale con verbalizzazione esplicita.
Anche se il silenzio che cominciò ad allargarsi tra le loro due teste e i loro due corpi, attigui e vicini seppure fisicamente lontani, manifestava il risultato ottenuto.
In quel silenzio lei provò a ripetersi nella mente le idee e i concetti che erano appena stati esposti.

Il pasto era comunque terminato.
E anche quella fase di conversazione si era richiusa sopra il silenzio, che stava sospeso tra loro.
Riccardo si alzò scusandosi e si avvicinò al gestore.
Avrebbe voluto pagare il conto.
Ma il maitre, doveva aver avuto un cenno d'intesa con lei, come con una cliente abituale.
-  Tutto a posto - si limitò a dire con aria compassata di superiorità.

Appena  furono usciti si misero a bighellonare, perdendosi nelle strade a lui sconosciute di una Roma, che  lei sembrava invece conoscere molto bene.
La conversazione tra loro si prolungò, con l'impostazione delle prime battute che avevano avuto; si incrociavano discorsi paralleli; insieme intimi e profondi; ma distaccati e asettici.
Ciascuno conduceva un  proprio parlare autonomo. Mentre l'altro ascoltava, formulando pensieri e frasi fuori campo.
E preparandosi per il proprio turno successivo.
Come quando bambini troppo piccoli si trovano a giocare insieme, e ciascuno continua il proprio gioco a fianco dell'altro, ma non insieme.
Ad un certo momento magicamente comparve un taxi, che sembrava fosse stato chiamato telepaticamente.

Ora dai vetri dei finestrini compariva un film veloce di strade, palazzi, negozi e gruppi umani.
Fin  quando giunse a destinazione. Quella pronunciata da lei salendo.
A lui sconosciuta.
Come gli era sconosciuta  lei.
Lui riuscì  a pagare il taxi.

La seguì mentre si accostava ad un edificio imponente dall'aspetto elegante e ricco.
Frazioni di secondo in sur place.
Poi lei con le mani lunghe e affusolate afferrò determinata con delicatezza il polso di lui, trascinandolo dietro di sé.
 Digitò un codice al citofono elettronico di una palazzina liberty.
E gli fece strada.

Un ascensore salotto, di legni lucidati con forme manierate di volute, li portò per un certo numero di piani, che lui non riuscì a contare.
Era intriso e impregnato del profumo di cera solida d’api.
Dai vetri di cristallo molato comparivano, dall'alto, per scendere dolcemente in basso, eleganti scaloni di marmi, mezzanini, ringhiere sontuose di ferro battuto e corrimano di legno brunito.
Trompe  d’oeil e grottesche ricreavano profondità e prospettive;  finti marmi simulavano una preziosità suggestiva.
Quando lei aperse le due mezze porte della cabina ascensore, Riccardo si ritrovò in un ampio spazio, davanti al quale sorgeva una porta di noce con riquadri bugnati.
Il battacchio d'ottone a forma di mano era talmente lucido che sembrava volesse apparire oro.
Come una targa con incisi in corsivo inclinato un cognome, seguito dal nome di lei: Viviana.
All’ingresso si spalancò immenso un salone bianchissimo e semivuoto.
Il pavimento era un vasto mosaico, le cui tesserine colorite disegnavano immense figure femminili di nudi drappeggiati.
Qua e là erano stati effettuati dei provvisori rattoppi.
Il vuoto dilatato  era impreziosito da  tre o quattro oggetti di estremo valore di antiquariato.
Sulla parete di fronte una crosta del 700, cupa e ingrommata.
Una madia rinascimentale con le finestrelle a griglie di legno oblique.
Una cassapanca,  con borchie di bronzo che sembravano voler trattenere un drappo damascato, stinto e consunto per l'età.
Le borse  di entrambi rimasero accanto all'ingresso in piedi, a farsi compagnia .
Sul proprio Viviana aveva lasciato cadere il mazzo delle chiavi.

Sedettero ad un salotto bianchissimo di pelle scamosciata; odoroso.

Mentre  riprendeva una chiacchierata lunghissima, intima, confidenziale, estranea, a  lui continuava intensa  una pulsazione in extrasistole all'infinito....

Poi, forse,  lei doveva averlo lasciato andar al suo albergo  con un taxi... .

7.

Uno degli smartfone emise  di nuovo “Alla turca”, vibrando. Poi bruscamente Mozart si interruppe. Sostituito dall’attacco di un vecchio motivo anarchico del ‘800: "Raminghi per le terre e per i mari...”.
Venne digitato qualcosa sulla tastiera.
Il monitor appoggiato in cima alla struttura pensante, mostrò una freccia ondeggiante e si accese un led verde in alto a destra.
Ecco che arrivano i ragazzi; disse fra sé borbottando.
La prudenza e la vigilanza salvano talvolta nella militanza…
Aggiunse ridacchiando compiaciuto della rima involontaria.

Avvicinò  il cellulare all'orecchio.
-  Venite, amici, compagni, fratelli….siete puliti… -
Lo sguardo da volpino incrociato puntò i piccoli occhi neri sullo schermo illuminato.
La  ripresa aerea, mostrava  tre figure umane, distanziate l’una dall’altra di molti gradini, che salivano dalla rampa di scale.
I  clic,  seguirono  al gesto col quale  aveva lanciato gli input, e la brutta porta, verniciata male di verde pallido, si aperse.
Entrò per primo un uomo di mezza età, dalla figura esile e dal capo quasi completamente calvo,  sul quale aveva avuto fino a qualche secondo prima un berretto di lana grigio sporco.
"Libertà e giustizia…" disse alzando la mano sinistra con l'indice e il medio che facevano il segno di una "V".
" ... e felicità!"; completò l'artista cibernetico, con un sorriso complice.
La figura che entrò per seconda aveva un aspetto maschile; ma si trattava di una donna dai capelli cortissimi e dai lineamenti marcati.
Fu quindi la volta di un giovane alto e allampanato, con degli occhiali scuri che si affrettò togliere.
Ognuno ripeté il rituale.
Dopo che la porta fu messa di nuovo in sicurezza, si scambiarono un triplice abbraccio con simulazione di un bacio nell'aria, e presero posto sul divanetto sfondato.
- Nei notiziari ufficiali ci sono le solite palle....
I nostri segnalano i sempre piccoli ma significativi progressi.... Dopo, potremo ascoltarceli in tempo reale e anche il podcast della registrazione....-
Gli occhi dei tre si erano fissati sul monitor grande, dove il clone della ragazza bionda li stava guardando, o così sembrava...
-  Ma  guarda che ce l'ha fatta questo vecchio tricheco!-
- Ebbene sì! Lei si chiama Shahrazad!
Ci sta osservando con la sua microcamera.
E anche l'esperimento iniziale ha dato ottimi risultati!
Ha inventato una storia che assomiglia a quelle che hanno visto  o vissuto i nostri genitori qualche decennio fa.
Una specie di storia amorosa tra un tale che fa lo scrittore e incrocia una sbarbina di alto bordo....
Ma poi la sentirete raccontare e ve la farò leggere tutta....
Vero che poi ce la racconti bellissima?-  concluse rivolto alla sua creatura intelligente.

Quella continuava a guardare con il suo sorriso indefinito.
-  Ora  credo che potremo continuare senza usare continuamente le cuffie. Noi ti stiamo sentendo benissimo anche senza. Mi  sembra più naturale..., no? ormai sei diventata un po' una di noi; vero?- disse Cyber rivolgendosi a lei quasi per dimostrare al pubblico presente che lui era il regista di quella situazione e che ne dettava le regole.

-  Ti presento i miei compagni di battaglia:- continuò-  lui è Olaf ed è danese; lei è Marcella; e infine il nostro esperto linguistico, Nikolay.
Nonostante il suo nome russo, è indiano ed è un gran cervellone!
Shahrazad, invece, sta mettendo a punto una continua implementazione delle sue capacità verbali, di pensiero e logiche.
Potete chiederle quello che volete..., è progettata per essere una alleata formidabile.
Per il momento si è dimostrata molto intelligente e duttile; ed è senz'altro una narratrice meravigliosa...-

I tre rimasero un po' titubanti , guardandosi diverse volte l'un l'altro con sguardi perplessi.

- Beh, anche se mi fa un po' impressione parlare con..., voglio dire, con un essere intelligente ma non umano come noi...,,  scusami neh, o forse poi è anche più umana di noi…   Cioè, intendo dire che i suoi pensieri e tutto quello che lei utilizza... è di provenienza sicuramente molto umana...!
Beh, comunque, di già che ci sono...
Io mi sono sempre occupata di comunicazione. –
Aveva preso la parola Marcella.
-  Ho studiato da quand'ero ragazzina il modo di funzionare degli strumenti che vengono abitualmente usati per trasmettere informazione.
Immagino che tu "sappia", che ti abbiano fornito degli input di questo genere, anche se ne sono certa..., come funziona in questo nostro tempo lo strumento del comunicare.
Le informazioni che vengono diffuse dal "sistema", in questo paese come in quasi tutti gli altri del globo, sono state manipolate e modificate. Da molti decenni ormai è scomparsa la categoria dei veri diffusori dell'informazione. Il giornalismo autentico ha finito per scomparire. Il compito è stato passato e trasferito ad una casta di specialisti nella costruzione di notizie parzialmente inesistenti, oppure costruite apposta, ma già modificate, che hanno delle loro finalità.... –

L’intelligenza artificiale, attraverso l’immagine che se ne vedeva sullo schermo, sembrava avere sostituito lo sguardo sorridente con un atteggiamento di velata curiosità e stupore.

-  Ho naturalmente saltato il passaggio, per noi completamente ovvio e scontato, - riprese Marcella - di indicare quale sia stato il soggetto politico che ha compiuto questa ed altre operazioni illiberali e antidemocratiche.
La malattia è cominciata a diventare molto virulenta negli ultimi decenni del passato millennio e secolo. In particolare in questo paese, dove ci troviamo ora, gli uomini di potere, che avrebbero dovuto essere scelti ed eletti da tutti i cittadini liberi per amministrare i beni comuni, quelli cioè di tutti, hanno sempre più utilizzato la loro posizione di prestigio per "svendere" favori, appalti ed incarichi, che avrebbero dovuto essere finalizzati  per svolgere lavori pubblici nell'interesse di tutti.
Ricevendone in cambio denaro, che veniva dato loro in forma di "tangenti", e diventando nello stesso tempo corrotti e corruttori.
Non valse a molto, purtroppo, una ventata di pulizia compiuta dalle nuove generazioni di giudici e di magistrati, che si erano formati alcuni decenni prima in un'altra bella ventata e fiammata di tipo rivoluzionario; che dall'anno in cui si era compiuta venne chiamata per sempre il "68".
La pulizia chiamata "mani pulite", come già era successo per il glorioso 68, lasciò il passo ad un'altra epoca di corruzione ancora più scaltra, subdola e arrogante.
Un imprenditore, favorito nella sua salita alla ribalta e all'attenzione generale dal più alto rappresentante dell'epoca delle "mani molto sporche", riuscì ad ottenere il privilegio di gestire con il proprio denaro molte reti televisive e canali di informazione giornalistica.
Di lì il passo fu abbastanza breve.
Grande seduttore, si spacciò per il vero moralizzatore del paese, per quello che avrebbe fatto piazza pulita delle inutili lotte politiche e sindacali,  inventando una nuova forza politica da lui capeggiata che propagandava l'amore, la libertà e tante altre frottole.... -

L’immagine sullo schermo pareva ancora più attenta ed interessata.

-  Il cancro, la malattia epidemica, si estese a tutto il paese sempre più. Il tiranno mediatico comprò il favore di uomini di legge, prendendoseli a busta paga, ed essi lo aiutarono a modificare radicalmente le norme democratiche.
La minoranza più consistente aveva il potere assoluto.
Il nuovo sistema divenne, così, ancora più potente di quello che aveva contaminato tutto il paese e che era stato costituito decenni prima dalla dittatura fascista. Riuscì a contagiare e gradualmente gran parte dell'Europa.
Scomparso alla fine il burattinaio, suadente e seduttivo, rimase purtroppo la struttura generale della politica inquinata irrimediabilmente. Il sistema generalizzato di comprare incarichi a suon di bustarelle; il “pizzo” che veniva corrisposto alle varie mafie, i cui uomini entravano in parlamento per evitare di esser processati; l’applicazione delle “10 regole della manipolazione mediatica”:  il nuovo fascismo prese il nome dal seduttore cinico e volgare che l’aveva espresso così bene.
Ma proprio in quegli anni in tutto il Mediterraneo, e in altri paesi del mondo dominati per molti decenni da dittature feroci, nacquero ribellioni di massa spontanee; quasi sempre, purtroppo, soffocate nel sangue.
Fu in quel periodo, però, che tutti poterono accorgersi che "l'informazione è rivoluzionaria". Come era servita per asservire e drogare il consenso, così poteva costituire un arma di contropotere.
Con piccoli cellulari telefonici e utilizzando la rete informatica, il Web, non fu possibile a chi gestiva il potere impedire che circolassero le notizie vere e autentiche.
La "rete" e le conoscenze informatiche sono diventate strumento e campo di battaglia.
Ma forse tutto questo lo sapevi già...?-

-  Amica Marcella, vorrei poterti chiamare sorella, ma purtroppo non sono un essere vivente umano come te, quel che tu dici era già dentro di me. Ora mi hai dato una chiave di lettura che ancora mi mancava. Siete splendidi, in questo, voi umani!
Maestro Cyber mi ha fatto vivere, se così posso dire, e mi ha affidato il compito di costruire una storia umana.
La strategia della vostra lotta è già molto delineata e chiara.
Quando sarò riuscita a far funzionare al meglio le mie connessioni neuronali, dopo aver completato il mio romanzo,  spero di saper dare tutto il mio contributo per fare rendere al meglio la vostra rete di informazione e di comunicazione. E lo voglio, se voi lo riterrete utile e necessario.
Dicevo al mio maestro e mio autore, che la mia "anima" è costituita da un software, che la fa vivere. Mi è stata messa  a disposizione una memoria immensa.
Tutto quello che riesco a realizzare aumenta continuamente le mie potenzialità.
Imparo dalle mie esperienze e dagli errori.
Le mie capacità operative e logiche crescono continuamente, mentre le utilizzo....
Ma, amica o "sorella" Marcella, quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza, le emozioni e i sentimenti voglio dire, mi sono negate....
Almeno per ora....
Quelli che percepisco come tali sono ora per  me  un grande buco nero di vuoto, che io oso definire paura....
Altrimenti, forse, se ne fossi capace e me ne fossero date le facoltà, potrei dire che ora sono emozionata, contenta, compiaciuta....
Ma sto soltanto imitando espressioni e pensieri che caratterizzano  stati di essere che sono soltanto vostri.
Però... ti assicuro, lo prometto a tutti voi, che proverò a crescere in tutte le direzioni... e... chissà....
Mi piacerebbe “imparare a sognare”: ho già pronto un contenuto da mettere in questo racconto magico che credo possa essere il sogno: vorrei "imparare le emozioni e i sentimenti".
Vorrei diventare "umana"... O quasi… -
                                                       8.
Lo schermo, ora, si stava riempiendo di testo scritto, mentre dalle sue casse la sua voce armoniosa riprendeva il racconto.

Erano appena rientrati. Stava diventando una routine.
Eppure ogni volta che si ritrovavano lei mostrava sempre un'aria sufficiente e distaccata.
Solo qualche volta nell'intimità sembrava lasciarglisi andare completamente, avvinghiandoglisi addosso con gesti di possesso, assetati d'affetto e di bisogno di lasciarsi andare.
Ma subito riprendeva il sopravvento il suo autocontrollo.
In certi momenti sembrava una ragazzina giovanissima.
In altri rivelava i suoi trent'anni compiuti.
La smania della sua ricerca e della sua insoddisfazione.
Ambivalenza tra il desiderio di lasciarsi andare, coccolare, perdendosi nell'uomo che aveva davanti.
E quello di riprendere le distanze, il  suo self-control;  di rientrare nella propria autonomia ed autosufficienza di genere.
Tra la pulsione di essere donna con un uomo; e quella di essere una se stessa che riesce a darsi piacere da sola e con le proprie simili.
L'abbigliamento di lei era leggermente mutato dalla volta precedente. Ma  sempre bizzarro e affascinante.
Continuava  a mostrare comportamenti ed atteggiamenti che avrebbero potuto bene essere attribuiti a una ragazza con gusti da lesbica.
Erano tornati a casa di lei nell'appartamento, elegante.
Lui si era seduto nel salotto di pelle bianca scamosciata; e lei si era assentata un istante.
Quando era tornata era completamente nuda.
Lui fu colpito da quel corpo allungato, sinuoso e con connotati  anoressici, di lei.
Il pube coperto da un micro cespuglietto di peli biondi.
Seni piccolissimi, quasi inesistenti.
Spalle magre; scapole in vista; rotula del ginocchio pronunciata.
Lui stava al gioco e faceva mostra di non stupirsi.
Lei aveva in mano un oggetto che pareva d'argento e che ricordava un portasigarette/portacipria anni 30. Appoggiò le rotule dei ginocchi sul kilim, e aprì il portasigarette sul tavolinetto di vetro.
 Da una mano ci appoggiò sopra una bustina di carta trasparente.
Ne fece uscire una polverina come cipria, che andò a formare alcune strisce sullo specchietto spalancato.
Senza commentare, con un tubicino bianco di osso/avorio, prese ad aspirare con le narici, prima l'una e poi l'altra, le  due strisce che aveva  preparato.
I suoi occhi erano ora diventati lucidi, come febbricitanti.
Lui mandò un immobile e silenzioso diniego, con sguardo apparentemente assente.
Era a disagio.
Lei, poi,  andò ad accoccolarsi di fianco a lui sul divano; rannicchiandosi a riccio; con la testa che finiva per scomparire tra le braccia.
Trascorsero diversi minuti di immobilità totale e di silenzio pervasivo.
Poi lei, senza un commento,  cinse con le braccia magre il collo di lui,  tenendo la piccola testa dai capelli di ragazzo sul suo  petto.
Lui sentiva il tepore della sua carne magra contro di sé e rimase qualche istante immobile come lei.

Il tempo si era fermato.

Poi lo sguardo lucido e bagnato,  dalle pupille dilatate si era fissato negli occhi di lui.
Avvicinò le labbra minute e smilze, come tutto il suo corpo,  a quelle di lui e prese a frugarlo con la lingua.
Quindi gli salì a cavalcioni sulle gambe  strisciandoglisi contro.
 Lui infilò le sue dita nei capelli cortissimi e biondi e prese a lambire con le labbra e la lingua il suo volto e i suoi occhi.
Lentamente, con mosse misurate lei gli sfilò gli indumenti.
Il sesso di lui era diventato improvvisamente turgido e teso.
Lei gli stava sopra, come una bambina e lo prese dentro di sé leccandogli le guance e il collo e le orecchie.
Il tempo era sempre rimasto sospeso a mezz'aria, come un accordo musicale che stentasse a diluirsi nel silenzio.
Lei mugolava piano, ma col cuore che le batteva all'impazzata.
Lui lo sentiva tamburellare nella minuscola cassa toracica, sotto i piccoli seni appuntiti.
Poi il tempo smise di starsene immobile per conto suo.
Lei si allungò e lo trascinò di fianco a sé.
L'antilope leggiadra era  di nuovo scomparsa, ritornando con il netbook di lui. Lo aperse; lo lanciò,  facendo a tempo a spazientirsi della lentezza della procedura.
Dopo uno spazio temporale che parve infinito  riprese la lettura-pronuncia dal punto in cui l'avevano lasciata.

                                                                         9.
Erano i primi tempi che abitava fuori di casa, per conto suo.
Aveva trovato un appartamentino piccolo, orribile, in una zona molto rumorosa della città. Il pavimento era di impiancito di tavolati di legno. Le pareti avevano l'intonaco irregolare. Gli infissi senza i doppi vetri.
Ci aveva lavorato sopra diverso tempo. Stuccando e imbiancando. Collocando una moquette a pelo corto. Posando gli zoccoli battiscopa.
Nonostante l’aria modesta in compenso disponeva di diversi minuti spazi. Dalla porta d'ingresso si accedeva ad un locale che lui aveva destinato a studio/salotto. Una porta a vetri su di una parete conduceva in una stanza che divenne la sua camera da letto. Un'altra porta conduceva sempre dallo studio/salotto ad un piccolo locale che ospitò la sua cucina. Dietro la cucina un minuscolo WC nel quale fece collocare una doccia economica.
Tra la cucina e la camera da letto un altro piccolo locale che arredò come gli venne in mente con mobili di fortuna.
In verità tutta la casa era arredata con mobili di fortuna. Comperati per pochi soldi da rigattieri travestiti da antiquari.
Un'altra risorsa per arredare era costituita da un negozio di oggetti cinesi. Non era ancora iniziato il boom delle cineserie. Era un negozio in una zona abbastanza elegante del centro, amplissimo e sistemato su due piani. Prevalevano teiere, cesti e mobiletti di bambù e di giunco, stoffe tinte a mano con colori vegetali, scatole di latta di tè, al gelsomino, al lapsansouchong, vasi ...
I prezzi erano decisamente molto abbordabili. Oltre all'atmosfera dal sapore esotico, era rimasto affascinato dalle personalità che lo gestivano.
Il titolare era un uomo massiccio, di età abbastanza avanzata, che aveva soggiornato per molto tempo in Cina. Estremamente raffinato e colto, conosceva e raccontava alla perfezione la realtà culturale, politica ed economica di quell'immenso paese. Era un conversatore piacevolissimo; offriva le sue conoscenze e competenze insieme a degli ottimi tè all'arancia, affumicati, al cinnamomo....
Aveva conosciuto personalmente il presidente Mao-Tze-Dong; ne conosceva a menadito la storia e il pensiero politico.
Era difficile resistere alla lusinga della sua proposta di sorbire un tè, in un retro separato da una tenda di collanine di giunco, con il miele.... La sua conversazione era estremamente affascinante.
L’accento della sua parlata nascondeva cadenze partenopee..
Insieme a lui gestiva l'immenso negozio la sua compagna. Una donna non giovane, dall'aspetto sobrio, frugale e senza fronzoli, che dietro i capelli cortissimi e incanutiti e dietro l'abbigliamento colorito e casual, con gonne ampie e plissettate, nascondeva a stento di essere stata una donna bellissima....
Era originaria di Diekirch, capoluogo del cantone  omonimo nel  Lussemburgo nord-orientale.  
Parlava con una voce musicale di soprano, dai toni leggermente acuti, e il suo linguaggio era colorito dalla erre moscia alla francese di cui sembrava compiacersi. Rachelle, così si chiamava, nonostante il portamento quasi aristocratico, passava amabilmente direttamente al tu. Specialmente con i clienti che le erano particolarmente simpatici.
Quello spazioso antro pieno zeppo di odori e di oggetti orientali, estremamente luminoso per le immense vetrate, era ulteriormente arricchito, talvolta, di un’altra pietra preziosa.
Nelle sue frequenti spedizioni, finalizzate soprattutto ad arredare il suo miniappartamento, gli era capitato una volta, per caso fortuito, di intravedere l’autentica perla: Marie-Ève.
Era una donna giovanissima dai capelli biondi corti. Era difficile non restare accalappiati dal suo sguardo; magnetizzati e magicamente stregati.
Uno sguardo che lei si buttava  distrattamente intorno, come per caso, senza intenzione o progettualità alcuna. Ma bastava esserne sfiorati; e si stampava nella memoria, come un profumo, un odore, una sensazione indefinita, un’impressione….
I suoi occhi erano azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; un colore praticamente impercettibile; eppure intensissimo.
Anche Marie-Ève passava direttamente al tu….

Quando ormai non aveva avuto più nulla da acquistare, quando ormai la sua abitazione aveva iniziato a pullulare di mobiletti di bambù, di teiere e tazzine di maiolica cinese opalescenti, di bacchette di incenso e di sandalo, di batik indiani e di dipinti ad olio sotto vetro…, quando ormai non aveva più nessun pretesto per frequentare il negozio senza imbarazzo, fu allora che successe.
Fu lei che da lontano gettò l’amo del suo sguardo con intenzione lanciandogli un sorriso….
Aveva un modo pastoso di parlare con il suo accento francese e l’erre moscia appena sfumata. Che doveva aver preso dalla madre Rachelle.
E seminava le parole della sua voce, leggermente roca, centellinando un calice di brut ghiacciato, al tavolino del bar nella piazzetta….

Al negozio, naturalmente, lui non aveva più osato andarci.
Solo una volta ci aveva provato, non trovando la sua dea. Mentre gironzolava a vuoto tra gli spazi, Rachelle lo aveva avvicinato con sguardo dolce e rassicurante:
Marie-Ève non c’è. Come lo preferisci il tè? -

Continuava a sperare in un altro fortuito incontro, scommettendo con la sorte in modo magico e disperato.

Aveva cominciato a setacciare la città negli orari più strani e per lui meno abituali. A cominciare dall'orario nel quale l'aveva incontrata la prima volta.

Ma non aveva avuto sinora fortuna.
Erano ormai passate alcune settimane. Stava cominciando a farsene una ragione; a cercare in ogni modo di far mostra con se stesso che fosse ormai una cosa passata; una cosa che non era mai neppure cominciata; una cosa… così!

Infine, inaspettatamente, capitò.
La intravide, da lontano, appoggiata ad una delle colonne del centro; stava ritta su un  piede, tenendo l’altro appoggiato con la suola alla colonna di granito.
Aveva uno sguardo complice che rivolgeva al suo interlocutore, un omaccione di mezza età, col capo quasi completamente calvo e lucido, tranne una corona fitta di capelli ricci e neri che gli scendevano dalle tempie sulle orecchie, sulla nuca. Le basette folte si congiungevano in cespugli cisposi con dei baffi immensi e ugualmente neri.
Anche lui aveva uno sguardo intrigante e sornione. Pieno di sottintesi.
O almeno così gli sembrò.
Quando la vide lui stava passeggiando molto lentamente; aveva cercato di frenare un tuffo al cuore che gli aveva mandato vibrazioni fino agli occhi e alle tempie.
Subito aveva rallentato ulteriormente l’andatura; fino quasi a fermarsi, trascinando il più lentamente possibile in piedi; facendo mostra di cercare qualcosa qua e là: nelle vetrine, nei volti, nei particolari….
Era quasi certo che lei non si sarebbe quasi accorta di lui. Al più un saluto di sfuggita.
La direzione della sua marcia era irrevocabilmente puntata verso quella colonna, quel piede appoggiato in modo scanzonato, quel sorriso spavaldo, quell’interlocutore sgradevole….

Si era prefigurato la scena della situazione che di lì a poco avrebbe vissuto. Con tutte le varianti del caso. E intanto era tutto concentrato nello sforzo di cercare il più possibile di dissimulare il suo profondo imbarazzo.

Era ormai arrivato a pochi passi da lei. Il battito cardiaco era divenuto sempre più irregolare; perdeva colpi battendo in testa; il fiato corto; la bocca e la lingua arse come cartone vecchio, come carta vetrata, come paglia bruciata dal sole.

I suoi occhi interiori continuavano a vederla per quanto lui puntasse lo sguardo altrove, con noncuranza, con disperata risolutezza.
Stava quasi per tornare a sfiorare con uno sguardo l’immagine preziosa, che si sentì apostrofare da quella voce un po’ roca di contralto, da quell’accento un po’ straniero ed esotico, da quello sguardo profumato di sandalo, da quegli occhi azzurro chiari; quasi diafani; sfumati; da quel colore praticamente impercettibile; eppure intensissimo…

-  Elàh! – diceva sorridendo.
-  Ma dove stai andando tutto trasognato…? Un incontro galante….? – Aveva arrotato gustosamente la “erre” pronunciando “trasognato”; t rasognato…., “r”, “r”,  “r”…. Il garbato e flessuoso rotacismo aveva invaso i recessi più intimi dei suoi precordi; aveva vibrato sonoro nelle vene e nei nervi, sensuale, provocatorio, eccitante, ambiguo, impudico, lubrico, ….

Il neandertal  era scomparso con tutti i suoi ricci e le sue basette.
Lei gli si era invece avvicinata con lo stesso sorriso complice che lui aveva creduto di vederle prima; gli si era aggrappata al braccio; gli aveva detto:
-  Ma  ciao…! – baciandolo all’improvviso nella bocca!
 Nel trambusto emozionale non aveva avuto modo neppure di accorgersi dello strano aroma, della strana fragranza che aveva la sua bocca e il suo fiato.

Si erano aggirati un pochino nello spazio circostante pieno di gente e brulicante di altre presenze e altre voci, ma che appariva assolutamente vuoto e deserto.
Poi si erano seduti a un tavolino, che poteva anche essere lo stesso di quell’altra volta in cui l’aveva già incontrata, e lei ancora aveva preso centellinare un flut  di spumante ghiacciato.

Avevano parlato di tutto e di niente. Lui non avrebbe mai potuto ricordarsi nemmeno di una parola.
Al terzo calice di brut gelato lui aveva infine riconosciuto l’aroma di quel bacio insperato, immeritato, fantasmagorico.
Aveva  il profumo e il gusto aspro e pungente della bevanda trasparente che lei stava ora centellinando per l’ennesima volta.
Si era accorto che nel frattempo lei era riuscita a fumare un’infinità di sigarette; che, regolarmente, senza motivo, finiva per spegnere a metà senza averle terminate, schiacciandole nel portacenere.

-  Ma dai, telefonami qualche volta, dai!-aveva pronunciato con voce  magica e un po’ legata.-
Sullo scontrino della ricevuta gli aveva scritto il proprio numero.
Lui si era frugato a lungo nelle tasche, trovandone un altro, simile e spiegazzato. L’aveva lisciato con cura; aveva preso dalle sue mani la biro colorata, scrivendoci il proprio.
C’era stata come una piccola impercettibile scossa elettrica quando aveva sfiorato la sua mano.
Era abbacinato dall’azzurro chiaro  quasi diafano di quello sguardo;  sfumato;  un pochino lucido e immobile   ...

La conversazione irreale e priva assolutamente di scambi verbali o di contenuti significanti era proseguita mentre lui l’accompagnava al negozio.

Una sera di quelle, anzi una notte, era stato svegliato di soprassalto dallo squillo del telefono.
Saranno state l’una o le due, non se ne era subito reso conto.
Da una profondità immensa era giunta quella voce sfumata, corredata dello stesso sguardo, della stessa cantilena…:
-  Ma ciao…! -
Era seguito un fiume immenso di parole, flessuoso, armonioso, sconnesso e flautato….
No, non era suo padre quello delle cineserie. Era il compagno di sua madre. Si erano incontrati in Cina. Lui avevo ottenuto dalla repubblica popolare la concessionaria per prodotti di artigianato in Italia. Rachelle lo aiutava. Stavano insieme da tempo. No, lei non faceva niente, non ne aveva voglia e non ce n’era bisogno.
Così, un po’ viaggiava, un po’ dipingeva, un po’ oziava….
Sì, qualche volta tornava anche in Lussemburgo. Ma gli preferiva la Francia: Parigi, Lyon, Nanterre, Carcassonne….
Di recente era stata ad Atene, facendo delle puntate nelle isole Cicladi.
Spesso andavano per il fine settimana in Sardegna, dove avevano una dacia…
Da bambina giocava spesso nei boschi, da sola. Voleva incontrare le fate e i folletti; e forse c’era anche riuscita…
Le piaceva molto nuotare nell’acqua fresca gelata; e poi crogiolarsi al sole.
Amava molto il profumo della macchia mediterranea; del pino marittimo e dei ligustri; della menta e del timo;  sognava di volare nel profumo di resine….

La chiacchierata era andata avanti a lungo; all’infinito gli era sembrato.
Quando lei aveva messo giù alla fine, scusandosi per avergli rovinato il sonno e il riposo, si era accorto che erano le tre passate.
A stento era riuscito a addormentarsi invaso da una sensazione strana in parte piacevole e in parte confusa.

Giorni dopo se l’era trovata a suonare il suo campanello. Aveva bisogno di fare una doccia, gli aveva detto dopo averlo baciato a lungo col suo profumo bagnato di brut.
Si era subito spogliata, senza pudore, mostrando un corpo di latte; i seni si ergevano trionfali su un corpo solo leggermente un po’ pieno.
Poi l’aveva afferrato dolcemente per un polso, infilandosi con lui nella doccia. Lui aveva appena fatto in tempo a buttare lontano i propri abiti. Era rimasto abbagliato e abbacinato dal contatto visivo e tattile di quel corpo; dal ciuffo di peli scuri che le coronavano il pube; dal suo bacio lungo, profondo e prolungato;  sconvolto dalla sua disinvoltura e disinibita sicurezza.
L’aveva insaponata dolcemente carezzandola tutta anche negli angoli più remoti; indugiandovi a lungo. Alternando quella piacevole attività con parole sensuali e morbide; con sguardi lubrichi….
Ma, abbracciandola a lungo, si era accorto che la situazione era sopra le proprie aspettative e capacità. Aveva ricominciato i giochi e i toccamenti. Aumentato l’intensità delle parole e degli sguardi sensuali. Frugato con dita sempre più lubriche quei recessi intensamente profumati, umidi e disponibili.
Ma essi erano destinati a restare irraggiungibili, per lui, in quell’occasione.

Mentre se ne stavano poi entrambi avvolti negli accappatoi a fumare sul letto, deliziandosi in immancabili sorsi di cava, lei, incurante o addirittura dimentica dell’insuccesso di lui, gli si era messa raccontare che quella notte della telefonata, certo, si era fatta di coca…. Possibile che lui non se ne fosse accorto?

Era forse stato per quel ricordo amaro della propria defaillance; oppure per aver saputo che quella magica chiacchierata interminabile non era frutto solo di emozioni naturali; oppure ancora per quel suo fiato perennemente odoroso e profumato di brut…
Di fatto lui non l’aveva più cercata. Né si era lasciato cercare o rintracciare. Così. Una parentesi del tempo si era richiusa da sola su se stessa; mestamente; nutrendosi di nostalgia immotivata e inutile.

Era stato solo alcuni anni dopo.
“Ma non lo sai? Credo che sia morta, un bel po’ di tempo fa…”. Gli avevano detto.
Marie-Ève era scomparsa del tutto come persona. Non senza aver lasciato un’immagine intensa. Era rimasto soltanto, nell’aria, un intenso profumo di legno di sandalo, di tè al gelsomino, di spumante aspro e secco, di sigarette fumate a metà….
Era durata qualche giorno, come quelle farfalle che vivono talmente poco da essere effimere per antonomasia….

Aveva intensamente pensato a lei quando aveva compiuto quel vagabondaggio nel Dodecaneso.

Insieme ad una coppia di amici aveva volato con l’Olympic Airlines sino a Rodi.
Dopo un breve soggiorno lì, avevano intrapreso un percorso abbastanza atipico anche per quel tempo. Invece di seguire gli itinerari abituali suggeriti dalle compagnie turistiche, si erano dati all’avventura. Senza un programma prestabilito. Si recavano al porto; studiavano le navi, i percorsi, e gli orari. Poi partivano con lo zaino in spalla.
Si erano serviti come esperanto della lingua inglese che l’amica in particolare conosceva benissimo, per avere seguito per anni un dottorato di ricerca a Cambridge.
La sua competenza linguistica, che le derivava dalla prolungata frequentazione e dalla ripetuta riscrittura in inglese della sua tesi, aveva poi determinato dei buffi episodi.
Spesse volte, dopo avere a lungo conversato con i locali chiedendo informazioni in quella lingua, spiegava tutto al suo compagno e a lui, … utilizzando di nuovo la lingua inglese..! Tale era la sua padronanza in quell’idioma che, confidava, spesso le era capitato di servirsene anche nei propri… sogni.
Senza definire quindi un percorso a priori, avevano convenuto di effettuare una scelta in base a quanto le varie isole avrebbero potuto offrire.

Una delle prime tappe era stata Kàlymnosmontuosa e brulla; con una penisola che si protende verso Leros.

Avevano raggiunto l’isola con una delle piccole navi che facevano il servizio nell’arcipelago.
Durante il viaggio in mare era stato colpito dalla presenza di tre giovani belle ragazze greche.
Gli avevano ispirato questi versi:

C'erano tre ragazze Katarina, Sofia e Jana.,
tre fiori sbocciati sotto il cielo azzurro di Grecia.
 Katarina guardava duro con gli occhi bui
di desiderio: la sua pelle era scura come l'ombra­.
Sofia aveva negli occhi l'acqua del mare
seni gonfi erompevano dal costume­-
Jana,certo, era la migliore delle sorelle:
occhi lunghi e socchiusi da tahilandese,
carni tenere, sode, color ambra,
sorrideva timida con profumo di salvia­


C'erano tre fiori,sbocciati sotto il sole di Grecia:
l'ibisco rosso e profondo come dopo l'amore
l’oleandro bianco dal profumo intenso;
il cappero si chiudeva carnoso preparando
un frutto piccante,morbido e sensuale­


C'erano tre sorelle da marito
nella carne sentivano una canzone lubrica
e si facevano carezzare dal vento,
si lasciavano baciare dal sole,
si facevano leccare dal mare­

Il piccante della carne di Jana
aspettava di maturare
sotto il cielo azzurro di Grecia­
(20.7.80 Leros-Platani)

Poi avevano esplorato le splendide baie di Leros.

Spiagge immense in cui avevano osato, titubanti e impacciati, le prime e forse uniche esperienze di nudismo integrale. Provando vergogna quando incontravano qualche rara donna anziana locale che prendeva il bagno coperta da capo a piedi da un lungo camicione nero. Turbati e dispiaciuti per la violenza della propria ostentazione di fronte a quell’atavico pudore.

Con un’altra motonave avevano continuato a girovagare.
La montuosa Pàtmos  con le sue grotte che avrebbero ospitato la stesura dell’Apocalisse.
La patria di Ippocrate,  Kos; vicinissima all'Asia minore.
Dalle  parti del Platano  che aveva visto studiare il padre della medicina,  l'albero più antico d'Europa, in una caffetteria, era toccato a lui commettere  una gaffe tremenda.
Ordinando un “turchish coffé”,  anziché un “greque coffé”. Era stato subito fulminato da sguardi scandalizzati del cameriere che  considerava ancora la Turchia, nemico secolare, il demonio.
Per quanto in entrambe le versioni della bevanda restasse sul fondo della tazzina uno strato denso di polvere nera….
Ricordava il viaggio in corriera per  Kardamena.
Che nuovamente gli aveva ispirato dei versi. Facevano un accostamento tra quel mezzo di trasporto e le vecchie corriere che lo portavano, da bambino, nelle valli dell’Ossola.

Sì, la corriera per l'Ossola,
la corriera per l'Ossola!
con queste epidermidi bianche di formaggio
rosate, come di porcellini, profili
duri e contadini, sorrisi burrosi,
parole di legno; la corriera per l'Ossola...

Asini affardellati e piedi ciondolanti
dalle some gravose.

Corpi tondi e traboccanti di ciccia
di ragazze greche,travestite da turiste
che sfiorano con contatti appiccicosi,in curve e frenate.

Così vicini alla costa turca,
che compaiono i primi girasoli, nei giardini
bruciati, a fatica protetti dall'ombra, degli oleandri.

K,L,T,X danzano e si rincorrono, quasi
con significati, non fossero che musica,
come lo sciabordìo del mare, il ragliare
di un asino triste, la sirena di una nave.

La corriera dell'Ossola! quella
saliva tra i castani e le robinie
il cuore bambino si colmava di verde
ombra fresca, tremolante di speranza
aspettative, nel petto tamburellante di
emozioni.

Nonna Emma,sul balcone,a imparare a morire ,
sigarette da fumare nel cesso,
le mosche da schiacciare sotto la tendina,
piccole stupide mosche di stalla,
schiattavano lasciando una macchia rossa
 sulla tela.

Il Devero che scorreva tra i sassi lisci
cantando una canzone d'acqua, solo
più continua.

La corriera dell'Ossola, "Ja",
profili lontani di rilievi brulli,
ventate di origano,di timo e di gelsomino,
di salvia.

Vecchi seduti ai tavolini fanno saltare i rosari
ritmicamente, fra le dita
salmodiandoci dietro -parole
come granelli di sabbia di quarzo
e formiche dal culo alto, come
odalische, che volano sulla spiaggia
rovente, curiose  e  guardinghe
insistenti e leggere.

La corriera dell'Ossola ti porta a Kardamena
si confondono facilmente idiomi lontani
e a Baceno c'è il molo e
si mangiano "souvlaki" con le olive, davanti
alla teleferica di Goglio
cullati, solo, nel sonno,
da ombre trasparenti di ragazze
che ti baciano con labbra umide.
(12.07.80   Kardamena)

Di nuovo  spiagge splendide. Immense e assolutamente disabitate. Solo  raramente percorse da qualche allampanato turista nordico che trasportava, ostentandola con disinvolta noncuranza, la sua nudità rugosa e vetusta.
Le  spiagge ombreggiate da grandi tamerici della verdeggiante Tìlos. Sulla  piccola isola erano stati accolti da abitanti che offrivano alloggi a prezzi stracciati. Avevano dovuto rifiutare per le condizioni di scarsa abitabilità. Alle pareti l’intonaco scrostato era stato ingenuamente nascosto con un collage di fogli di carta da regali di forme multicolori. Per renderlo più accogliente la grassa signora in nero munita di una grande bombola di insetticida spray, si era prodigata spruzzando negli interstizi di quell’improvvisata carta da parati. Si era sentito un frenetico crocchiare di rapidi scarafaggi in fuga…. Qualcuno era addirittura uscito percorrendo l’aria con il suo lento volo rumoroso.
Durante il nuovo trasbordo ne aveva ricavato un accostamento con il frinire delle cicale.

Cicale assassinate urlano
la loro disperazione dai mandorli
carichi mentre la notte si colma
di odori, che il vento regala
Rapidi e aggressivi
scarafaggi indiscreti descrivono
con rapidi voli
percorsi scomposti, nelle case fatiscenti
Un mare fresco accoglie
i corpi nudi, placando un poco dell'arsura
d'un sole implacabile e della sete,
inesausta, del tuo corpo, irrimediabilmente
assente
(10.07.80                           Nave Tylos – Kos)

Per il pranzo usavano cavarsela con gustosi panini.  Riservandosi per la cena il pasto principale .
Gironzolavo un può nelle cittadine, negli abitati, pregustando il profumo delle carni e dei pesci alla griglia, che si spandeva nell’aria. E al quale prima o poi avrebbero abboccato golosi.
Alla fine, compiuta la scelta, trovavano posto in quelle terrazze a cielo aperto, alle luci di fiaccole e candele. Nell’attesa si regalavano il gusto del Demestica gelato e del Retzina.  Giocando e sbocconcellando i souvlaki con le olive; immensi insalate di coloriti pomodori e di cetrioli dalle fette allineate e alternate a piccoli blocchi di feta. A volte in ciotole a parte le olive kelemata...

Un altro quadretto su una spiaggia di pescatori; osservato mentre girava bighellonando e oziando:

Quanti sassi butterai nel mare,Maria,
con gli occhi ragazzi che cercano
il tuo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti sassi per rubare un'occhiata Maria,
quanti sassi buttati nel mare.

Il mare é pieno d'acqua e di pesci,
le reti sono gialle, i bambini
giocano con gli spruzzi e la sabbia.

Inarchi il nudo magro e lungo, Maria
raccogli i capelli, ti tendi tutta
cercandoti un corpo di donna
troppo acerbo,ancora,troppo acerbo,
e ti brucia negli occhi questo sogno
che giochi,nervosa, questo gioco
che sogni,nervosa,Maria.

Manolis, pescatore di pesci, sorride pigro,
tra  i denti bianchi, principe del mare,
tendendo svogliato le reti, lasciandosi baciare
dai tuoi occhi, cercandoli, pigro,
pescatore di pesci del mare.

Dove andranno di notte le stelle,  Maria,
dove vanno le barche, nel buco immenso
del buio, dove vanno i tuoi sassi, Maria,
dove sono di notte i gabbiani corti, dalle ali
immense, dove vanno i tuoi sassi,
che butti, con occhi che cercano altrove,Maria?

Sulla porta di casa : ride coi denti bianchi,
pescatore di stelle del cielo,
Manolis, principe pigro,
mentre passa e ripassa , Maria,
lanciando ami pungenti di sguardi,
bruciando sogni ragazzi; bruciando
il suo corpo bambino, passa e ripassa Maria.

Povera, dolce Maria, bambina
che vuole essere grande,
che fatica essere donna, che fatica
in un sogno di sole e d'acqua,
che fatica gridare nell'aria con tutto il corpo,
corpo acerbo di bambina, la pazza
euforia di farfalle e fiori d'ibisco
che ti riempie tutta, regalandoti infine
quel corpo che già ti sentivi..

Quanti sassi ha buttato nel mare , Maria,
con gli occhi di bambina che cercano
il suo Manolis, pescatore di pesci ragazzo,
quanti sassi per rubare un'occhiata,Maria,
quanti sassi buttati nel mare!


Durante i tragitti sulle motobarche o nelle corriere rumorose, lui come single si concedeva  giochi di sguardi seduttivi.
Che poi si divertivano a commentare insieme, tutti e tre, cenando.

 La scrittura di Riccardo procedeva veloce; spesso in solitaria.
Lei  sembrava abbastanza distratta, svogliata, disattenta.
Pareva volersi occupare d’altro; continuava a gironzolare avanti e indietro; si intratteneva in altre stanze parlottando al telefono a bassa voce.
Lui, sempre più, stava finendo per preferire buttar giù direttamente quello che aveva in mente. Evitando di anticiparne la visione alla sua troppo schifiltosa partner.

Sul grande monitor di  Shahrazad la scrittura aveva smesso di comparire, interrompendo la narrazione. Le casse, avevano smesso di recitare quel racconto. La voce narrante, che nel frattempo era diventata sempre più umana, calda, piena di intonazioni e di inflessioni significative, se ne stava ora muta.
Nello schermo immenso l’immagine della ragazza sembrava, interlocutoria, aspettare commenti; approvazione.
                                                                10.


I compagni, nel frattempo, se n'erano andati.

Cyber aveva guardato, qualche volta di sfuggita,  ancora l'immagine attraente di quell'entità astratta, e contemporaneamente reale ed esistente, con sembianze di donna.
Con la quale aveva scambiato idee, ragionamenti,  parole, opinioni.
E la situazione gli creava sempre più un certo turbamento, misto a fascinazione. Con sullo sfondo profondo senso di irrealtà e di impotenza.
Era come rimuginare nella propria testa, gustando il piacere mentale e spirituale delle proprie fantasie. Che non stentava a riconoscere con il termine, che spesso  usava in situazioni simili, di "seghe mentali".
Per consolarsi del diffuso sconcerto che gli stava montando dentro, si era rollato una nuova canna.
E stava attaccato al collo della bottiglia dalla quale aveva sorseggiato qualche gollata di birra.
Trattenendosi però dal ruttare come abitualmente era sempre stato solito fare.
Aveva l'impressione di essere osservato.
Non aveva più messo nell'angolino il francobollo con la ragazza bionda.
Però aveva attivato lo stand bay.
Eppure non riusciva a sentirsi completamente solo in quella stanza.
Prese una posizione più comoda e nel torpore del fumo e della birra chiuse gli occhi.
Presto gli vennero in mente alcune immagini, che erano ricordi abbastanza lontani.
Rivedeva quando era ragazzino e si era trovato, una volta, nella cabina di uno spogliatoio della piscina comunale. 
Mentre si stava cambiando e spogliando, ricordava, che era presente con lui un altro ragazzino, un po' più giovane di lui.
Non era inusuale che capitasse, dato il numero abbastanza limitato di cabine disponibili.
Quando si era sfilato il costume il suo membro era turgido e rigido.
L'altro aveva notato la sua erezione, e aveva cominciato a masturbarlo, fin quando lui era venuto.
Quel ricordo, che gli tornava alla mente ora, lo disturbò un poco.
Ora, poi, accostò l'immagine dei giochi erotici omo della sua infanzia, con una situazione abbastanza simile che gli era capitata quand'era ormai già più grande.
Anche lì si stava cambiando con una ragazza in uno spogliatoio in una spiaggia.
Di lei non gli interessava particolarmente nulla, però anche in quella situazione lui aveva avuto un'erezione. E la ragazza aveva cominciato a masturbarlo e a succhiarglielo, fin quando lui era venuto. .
In entrambi i casi lo schizzo di sperma sul pavimento era stato cancellato con le ciabatte.
Lasciando una macchia nerastra di bagnato appiccicoso, misto a sabbia e polvere.
I collegamenti delle fantasie erotiche lo riportarono ad un viaggio in treno a Praga.
Nello  scompartimento lui e la compagna, che frequentava allora, non erano soli.
C'era una terza figura, uno slavo forse, sconosciuta, distratta, con lo sguardo rivolto sempre altrove; ma comunque molto ingombrante.
La sua compagna, ninfomane e pervertita, l'aveva stuzzicato con le mani nascoste sotto i giubbotti appoggiati in grembo.
Mentre lei fingeva di guardare distrattamente dal finestrino, per non attirare l'attenzione.
Poi durante la notte, essendoci ancora altre persone nella cabina, lei aveva simulato una vagina bagnandosi le mani con la saliva e masturbandolo....

Gli venne allora un'altra fantasia.
Si vide alla sera,  mentre sarebbe stato per addormentarsi, dopo essersi fatto una canna.
Immaginò che   gli sarebbe venuta voglia  di sesso.
Che  non avrebbe potuto realizzare.
E avrebbe  iniziato a masturbarsi;  ricordando e fantasticando...

Poi, finì per rimuovere e cancellare quelle fantasie.
Riattivò l'icona di Shahrazad.
Che disse:

- Vuoi che ricominciamo  il racconto?
Oppure sei tu che vuoi raccontarmi qualcosa?
Se ti fa piacere ti ascolterò volentieri.
Io imparo sempre da tutto.-

Ma che cosa avrebbe dovuto raccontare a quel computer?
Quasi che gli avesse letto nel pensiero e volesse frugarci dentro per esserne messa al corrente.
Si disse, a quel punto, che stava dando un po' fuori di testa.
Il fumo e la birra gli avevano ottenebrato la mente.
" Adesso, sta a vedere che <<questa>> si aspetta addirittura che io mi metta raccontarle le mie confidenze e i miei ricordi d'infanzia!
Ma no!
Non esiste!
Sto diventando pazzo davvero?"

Il robot donna era intanto tornata alla carica:
- Non e più tornata quella tua amica col volto dalla pelle un po' scura?
Vuol dire che non viene più?
Sai che ti guarda con grande ammirazione e sembra proprio pendere dalle tue labbra.
Credo che per lei tu sia davvero molto importante.
E da dove viene quel nome che ha, Samira, mi pare di aver sentito ...?
Sì, credo proprio che lei ci tenga molto a te, non so come definirlo, ma c'è qualcosa di molto profondo nel modo che ha di starti vicino, sai?
Ma, se non vuoi, non ne parliamo. -

Il ricordo della sua amichetta era, in quel momento, così lontano da lui, che rimase sorpreso.
Perché quella là ne stava parlando?
Che significato poteva avere quel suo interessarsi a Samira?
Non aveva proprio senso!
No! Non esiste proprio! Si stava dicendo. Ti sei proprio bevuto il cervello! Non è assolutamente possibile.
Che una macchina, un programma elettronico, seppure pensante, possa provare gelosia per te!
Ma se ti ha appena detto che lei non prova emozioni!
E poi la gelosia è un sentimento che si può provare... perché si teme di perdere una persona alla quale si è affezionati....
E come può questa "cosa" intelligente essere affezionata a te, a tal punto da provare gelosia perché sa che quella ragazza ti si è stata attaccata addosso?
O avrà anche immaginato, o intuito, che c'è qualcosa di più profondo?
Che ci facciamo sesso?
Che scopiamo alla grande?
Ci diamo all'amore selvaggio?
Ma dai!

Con Samira non gli era mai capitato di pensare al sesso con senso di peccato, per quanto i loro rapporti fossero completamente sfrenati e disinibiti fin in fondo.

E invece, con questa "donna" artificiale e sintetica, gli venivano pensieri morbosi e turbamenti.

È proprio vero allora che l'erotismo e la sessualità non sono per niente, o non soltanto, o non soprattutto, un fatto fisico. Corporeo; a livello di genitali.
È proprio vero, allora, che quella sessuale ed erotica è una dimensione della nostra mente.
Tanto che, forse, anche questo essere virtuale, ma che comunque esiste ed è pieno di pensieri, immagini e "cultura" umani, può provare qualcosa di simile all'affetto, all'innamoramento, alla paura della perdita, alla gelosia...

Mentre pensava tutto questo si accorse che stava fissando l'immagine sul monitor.
E notava, o almeno credeva di notare, che su quel volto così realistico e quasi vivo si era disegnato un sorriso leggermente sardonico.

Preferì lasciar cadere il discorso.
- Ti andrebbe, Shahrazad, di riprendere il racconto?-

Lei diede un leggero cenno di assenso col capo, smorzò il sorriso ironico, ne indossò uno di condiscendenza e compiacenza, e si rimise a raccontare...

                                                                         11.
Il mattino successivo Riccardo la seguì all'università,  dove lei teneva dei corsi di letteratura. Semiologia.
Scrittura creativa.
O qualcosa del genere.
Lui stava seduto in prima fila, in un angolo; degnato e carezzato  ogni tanto da sguardi intenzionali che lei gli regalava.
Non stava seguendo il contenuto della lezione. Piuttosto aveva assaporato l’atmosfera in cui lei stava recitando il suo ruolo, la sua sceneggiata narcisistica.

Ad un certo punto, però,  lei gli si era rivolta direttamente chiedendogli qualcosa. Tipo:
- Possiamo, per esempio, chiedere al nostro nuovo alunno di citarci i primi versi che gli vengono in mente...-
Era stato preso in contropiede; spiazzato; alla sprovvista.

Poi si era subito ripreso.
E si era messo a recitare:

"Io bousqué, para darte por mi pecho
 las letras de marfil que dicien siempre, siempre, siempre.
Jardin de mia agonia. Tu cuerpo fugitivo para siempre;
 la sangre de tus venas in mi boca,
tu boca ja sin luz para mi muerte..” (F.G.Lorca)

Che poi aveva tradotto.

“Cercai per darti nel mio cuore
 le lettere d’avorio che dicono sempre, sempre, sempre.
Giardino della mia agonia. Il tuo corpo
fuggitivo per sempre. Il sangue delle tue vene
nella mia bocca, la tua bocca ormai senza luce
per la mia morte”

 Sul  subito lei era rimasta un po' sorpresa e imbarazzata.
Poi  prendendo  spunto da quei versi,  arrampicandosi in un discorso che lui non era riuscito a seguire, perso nell'atmosfera magica.... ci aveva arzigogolato sopra.

Lui era abbastanza sconcertato e un po' in trance.
Seguì  distrattamente la lezione di lei.
Poi,  quando l'aula si fu svuotata  la seguì alla mensa universitaria.
Usando il proprio tesserino lei  prese due vassoi di cibi asettici, che lui, nella vita normale, non avrebbe mai consumato.

Tornati nel biancore elegante lei provò a spiegargli perché aveva voluto coinvolgerlo.
Lui era stato al gioco, senza convinzione, assentendo.

Aveva quindi avviato il netbock.
Poco dopo lei si era avvicinata, strusciandoglisi contro e inforcando l’auricolare.
Gli occhi scorrevano il monitor.

Quell’estate aveva già fatto un viaggio di  vacanza.
Così se n’era rimasto in città, nella sua casa, che teneva rinfrescata il più possibile, facendo entrare il fresco della notte dalle finestre protette dalle zanzariere.
Che chiudeva serrate, al mattino.
Durante il giorno così la temperatura nelle stanze era decisamente più sopportabile di quell'esterna.
Nonostante ne risultasse l'aria un po' viziata.
La vigilia di Ferragosto, ricordava, sul far della notte c'era stato un temporale molto intenso. Fino alle prime ore del mattino aveva continuato a tirare un vento forte.
Sino a metà mattina l'aria si era mantenuta fresca.
Con alcuni amici era andato a Milano, per gustare alcune iniziative, offerte per il popolo dei non vacanzieri.
Era stata la prima volta in assoluto che aveva potuto gustare una visione come quella.
L'aria della capitale dello smog e delle nebbie invernali era perfettamente tersa.
Il cielo aveva assunto un azzurro intenso e perfettamente pulito.
In lontananza verso nord-ovest si riuscivano a vedere le catene delle montagne con le cime spruzzate di bianco.
I palazzi grigio sporchi che aveva sempre conosciuto nella metropoli lombarda sembravano essere stati ripuliti e dilavati.
Milano era quasi completamente vuota e deserta.
Nella zona Parco poté assistere a spettacoli teatrali all'aperto.
Concerti di Jazz.
Animazione.
Avevano pranzato a dei tavoloni disposti sotto un tendone.
Cibi saporiti, gustosi, a buon mercato.
Era stata la prima e unica volta in cui Milano gli era sembrata quasi bella!

Si  sentiva trasparente come quell'aria limpida.
Aveva l'anima aperta e spalancata come quel cielo.
Volle riempirsi gli occhi di quella visione eccezionale. Era sicuro che non gli sarebbe mai più capitato nella vita….

Viviana aveva voluto toccare il touche-pad del mouse con il dito. Facendo scorrere diverse pagine in avanti sullo schermo.

… Il treno era la solita littorina color crema e verde.
Appena riusciva a prendere velocità, aveva già raggiunto la piccola stazione successiva.
In ciascuna scendeva o saliva qualcuno.
Talvolta un capostazione usciva all’ultimo momento trafelato dall'edificio infilandosi velocemente la giacca, talvolta dimenticando il cappello rosso.
Controllava il lato della paletta che fosse quello giusto sul verde.
Faceva un cenno di saluto o un ampio sorriso qualche viaggiatore suo compaesano.
Poi dava il segnale, con la paletta o con la bandierina, ed emetteva un suono lungo e profondo da un fischietto d'acciaio luccicante che teneva in bocca.
E la littorina, sbuffando con odore di nafta, dava una energica accelerata dopo alcuni leggeri scatti, quasi di incertezza a partire.
Si era seduto nel senso di marcia.
Di fronte a lui sedeva la sua ragazza.
Biondissima, con i suoi occhi azzurro chiaro.
E quell’aria da bambolina viziata.
Si era lamentata per il viaggio in treno.
Diceva che si stava annoiando un casino.

Lui si mise a riguardarsi le scarpe che aveva ai piedi.
Erano nuovissime; appena comprate la mattina in una svendita del centro; in un negozio molto elegante; le aveva pagate una miseria. Avevano una suola molto leggera ma robusta. E la tomaia era di pelle delicatissima, morbida come un guanto.
Ogni tanto vi lanciava un'occhiata compiaciuta, di sfuggita; quasi tenendole d'occhio di soppiatto.
E intanto faceva roteare il portachiavi che gli piaceva tanto e al quale era molto affezionato.
Ci teneva abitualmente attaccate le chiavi dell'auto,  che, in quell'occasione, aveva dovuto lasciare nel cruscotto. E non aveva potuto usare.
Portava attaccati una piccola bussola con orologio, a forma di timone di veliero; e un minuscolo revolver che sparava piccoli dei botti con le cartucce vere.

- Ma sì che sono proprio belle le tue scarpe nuove..! E ti piacciono... eh? Ti piacciono proprio tanto! Mi piace star a guardarti quando fai così; sembri proprio un bambino tanto sei entusiasta.-

Le era passata la noia e le paturnie della scocciatura del viaggio in treno.
Il sorriso dei suoi occhi azzurro chiaro scintillava e risuonava come un getto d'acqua fresca da una fontana dell'Alpe Veglia.
La fotografia di quel sorriso radioso gli rimase stampata a lungo dentro. Anche quando lei aveva poi deciso di lasciarlo, perché aveva una storia con un altro....
Che aveva poi finito per sposare....
Per farci dei figli....

Si erano poi rincontrati, anni dopo.
Quel marito aveva finito per diventare un peso insopportabile.
Ma non poteva lasciarlo per motivi economici....
E per via dei figli.
E per quello che avrebbero detto i suoi genitori e tutti quelli che la conoscevano.
Il suo sorriso era diventato quello di una giovane donna sposata.
Di una giovane moglie insoddisfatta. Di una giovane madre.
La carnagione del volto aveva perso quel nitore e quella limpidezza di quando era ragazza.
Il suo sguardo era leggermente appannato.
Con qualcosa di torbido in fondo.
Gli aveva chiesto se poteva rivederlo qualche volta, di nascosto, naturalmente.
Se aveva un posto dove potersi incontrare....
L'aveva poi fatto.
Aveva fatto l’amore con un suo ricordo del passato.
Come un atto dovuto.
Con un profondo senso di delusione e di smorta nostalgia.
Come sempre quando la nostalgia non è ancora rimpianto, ma un senso melanconico di constatazione della irrevocabilità dello scorrere del tempo.
Della irripetibilità degli istanti.
Specie di quelli che hanno lasciato impresso un ricordo morbido, gradevole, golosamente caro.

Il portachiavi, inutile e prezioso, con i suoi ninnoli non l'aveva poi più trovato.
Smarrito per sempre.
Come le scarpe nuove su quel treno che andava a strappi, col suo cuore a diesel, su su verso il lago d'Orta, verso Omegna, verso l'Ossola....
Come  il ricordo che corre inutilmente all’indietro, cercando di riafferrare frammenti del passato.
Ormai smarriti per sempre....

Gli era tornata in mente una sua poesia.
Con essa aveva scavato nella propria infanzia…

NOSTALGIA

Tu non sai, dolcezza, i giorni passati e perduti..      
quelli miei, remoti e lontani, ormai.
Ti ho mai raccontato, i picnic proletari                      
sulle panchine del lungolago di Stresa?
Con scatolette di sardine e pane raffermo                  
cartocci di oleata  bisunta di prosciutto e salame affettato,
di immense olive nere carnose e saporose,
di carciofini e funghetti gocciolanti...
Ti parlo di tempi molto remoti, sai?
Talmente remoti che ancora nessuno conosceva
il tuo profilo elegante e slanciato, sui tuoi polpacci
ben torniti dai tacchi alti, né il tuo portamento
delizioso e sublime,flessuoso nella minigonna sobria,
né il tuo sguardo sovrano... Quel tempo
non avrebbe saputo pronunciare la tua immagine,
come la contemplo io ora, qui, in questa dimensione nuova
che masturba i ricordi sepolti, con uno struggimento
sottile e lancinante. Era un'altra dimensione.
La lanugine umile e modesta
di quelle teste rapate di orfanelli
era il pelo rasato e infeltrito sulle zucche
di noi asinelli; altrimenti percosso
da mani legnose che sapevano
di mozziconi usati fino allo spasimo degli ultimi millimetri...

Non riesco, ora, a ricordare altro, se non
un'atmosfera diversa, di evasione dalla gabbia,
di sapori e ghiotti profumi, intrisi
dell'odore bagnato e amaro del lago...
come un odore di morte…

E ora, qui, su questa terra nuova
che volge rassegnata al tramonto
tornano alla luce. Insieme
a tutte le primavere e le estati, al sole asciutto
ai cieli puliti e intensi, agli azzurri tersi,
ai boschi ombrosi e umidi, alle cime da raggiungere
col ghiaccio secco nella faringe,
alle alghe a cespuglio
mentre i polmoni scoppiano in apnee prolungate,
alle bracciate fresche e salate nel mare,
alle vasche da contare a cadenza…

Insieme alle amarene tiepide appena raccolte,
ai mirtilli d’inchiostro, ai porcini paffuti
che giocano a nascondino, al profumo di muschio
e licheni che nascondi tra le cosce di donna flessuosa,
ai  seni turgidi come pesche mature,
ai glutei sodi come albicocche dorate,
alla peluria minuta che io carezzo col labbro...

Restiamo invasi di nostalgia di tutto
dell’allegria e della tristezza,
dei lutti e dei banchetti,
dei balli sfrenati e delle canoe sulle lanche del fiume,
dei funerali e delle nozze,
dei concerti di oboe e delle sonate di legni e fiati...

Dell’infanzia amara e sognante,
dei caleidoscopi di paura e di speranza,
degli incubi cupi e del buio delle catacombe...


Forse Viviana non ci si era trovata in quelle pagine; in quelle parole.
Aveva solo abbozzato un cenno stentato di sorriso.
Poi  aveva provato a tirar fuori qualche nozione imparaticcia di semiologia.
Riccardo, forse anche per lo scarso entusiasmo mostrato da lei, provò intenso impulso di ferirla.

-  Beh, visto che tu ti occupi di linguistica, semiologia, semiotica… insomma, di quelle cose lì…, ti voglio accennare a due  classici in materia.
Certamente tu conosci  McLuhan e Chomsky.
McLuhan  sosteneva che “Il mezzo è il messaggio”.  Cioè a dire che ogni medium non è neutrale per via della sua propria particolare struttura comunicativa.
Nei  lettori-spettatori crea comportamenti e modi di pensare, porta alla formazione di una certa forma mentis e così li condiziona.
La televisione soprattutto, secondo McLuhan, assolve la funzione statica, di passività. È una forma di comunicazione a senso unico, unidirezionale; non permette risposta ed interazione.
 È  un mezzo che conforta, consola, conferma e "incatena" gli spettatori in una quiete e in un torpore fisico e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
I  gestori dei media televisivi regalano messaggi edulcorati, sottili, manipolatori e convincenti, mediante i quali accattivarsi le masse degli utenti-elettori-compratori.
A  spese di questi ultimi.
Sta  stravolgendo le regole del vivere civile e democratico.
Ma non è a senso unico il Web che con i  social-network, si trasforma in arengo virtuale, in piazza per il dibattito.
Le mobilitazioni riescono a raggiungere livelli alti. Circolano messaggi in rete del tipo:
“Autoconvochiamoci in piazza a Roma …; realizziamo uno sciopero di tutti i cittadini stranieri;  boicottiamo sistematicamente le reti televisive che ci rincoglioniscono e dei prodotti da esse reclamizzati …”

Chomsky, poi, come tu sai certo meglio di me,  è il maggior teorico della comunicazione, linguista, filosofo, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, nonché fondatore della grammatica generativo-trasformazionale.
 Egli pure ha colto in pieno la  strumentalizzazione compiuta dai mezzi di informazione. Denunciando la manipolazione costante della comunicazione mediatica.
Questi media  potrebbero favorire la reciproca comprensione, aiutare ad unire e non a dividere, creare accordo in luogo del disaccordo, fare in modo che ci si possa capire.
Invece si riducono  a puro strumento di dominio e distorsione culturale, a favore di interessi individuali .
Eppure esiste l’utopia del pensare ad una televisione che possa informare senza deformare, che mostra, che non fa valutazioni di opportunità politica, di convenienza strategica, di fazioso utilitarismo. Ma non è un’utopia esigere una dialettica onesta. Una comunicazione trasparente, guardare un telegiornale che dia le notizie senza interpretarle, assistere ad un dibattito vero, incentrato su temi di reale interesse pubblico, vedere uno show che sia pensato per cittadini del terzo millennio, e non per distrarre l’attenzione.
Egli fa riferimento ad una specie di decalogo definito”Le dieci regole della manipolazione mediatica”.
Distrarre l’attenzione; inventare  falsi problemi per poi offrire le soluzioni; usare la strategia della gradualità e del differire (una cosa alla volta…procrastinando all’infinito i tempi);   trattare il  pubblico come  bambini; puntare  su aspetti emotivi e non sulla  riflessione; mantenere nell’ignoranza e nella mediocrità e fare compiacere di ciò; rafforzare l’auto-colpevolezza. In complesso conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.Ma gli era sembrato di parlare da solo. Lei ascoltava assente; solo per formale compiacenza.

Poi, era arrivato quel sabato mattina della manifestazione.
Era uno dei motivi principali per cui lui era venuto a Roma.
LIBERTÀ E GIUSTIZIA. Da mesi era un continuo fermento di azioni di quel genere. In tutte le città d'Italia, ma soprattutto nel capoluogo.
Aveva partecipato ad altre iniziative, oltre che nella sua città, a Milano e a Torino.

Per ore era stato un continuo flusso molto affollato dalle strade adiacenti.
Poi, alla fine, la massa immensa di persone si era mossa.
La domanda più urgente era quella di una riforma elettorale  che permettesse una reale e sostanziale rappresentatività delle camere parlamentari.
L'invito pressante e urgente, a quella falsa maggioranza dei parlamentari comprati, ad invertire radicalmente la rotta.
Basta con le leggi ad personam. Con gli attacchi ai giudici. Alla Costituzione.  Con le spese militari per gli F35, i superbombardieri a decollo verticale, dai costi da inflazione. Con il gioco al massacro verso gli stranieri immigrati, capro espiatorio populistico e demagogico, nei campi di concentramento appositamente costruiti.
Basta con il dissanguamento della scuola e dell'università pubbliche; con i tagli sui precari della scuola e della ricerca.
Il governo, con quella maggioranza acquistata al mercato delle vacche, se ne doveva andare a casa.

Viviana, sembrava non avere assolutamente idee in proposito.
Era come se il mondo e la realtà nella quale era immersa costituissero un liquido di cultura asettico, che le andava bene così come era; che non avesse mai voluto avere il tempo  l'occasione per rifletterci.
Non aveva ribattuto nulla alla proposta di lui. Si era limitata ad aderirvi.

Lei era  venuta abbastanza distrattamente, come se lo avesse fatto solo per compiacerlo.
Durante il lungo l'interminabile corteo, con le mani affusolate e magre, ma ferme e decise e determinate, lo prendeva per un polso e lo trascinava di qua e di là.
Sembrava che temesse di incontrare qualcun o qualcuna che conosceva.
Si guardava intorno con aria sospettosa e circospetta.
Fin a quando riuscirono a rintanarsi in un gruppo abbastanza diverso sia da lui che da lei .
Era forse un gruppo di anarchici o di militanti dei centri sociali?
Ora lei lo teneva per mano; poi lo teneva abbracciato alla vita, mentre lui appoggiava un braccio sulle sue spalle magre.
Ogni  tanto da qualche gruppo di giovani studenti arrivano sguardi verso di lei riconoscendola; qualche raro sguardo d'intesa da parte sua; qualche sorriso a qualche giovane donna....
Si sentiva , si vedeva e si capiva che lei doveva essere estranea a queste iniziative.
Ne era una nota anche il suo abbigliamento.
Viviana era presente a fianco a lui, ma non partecipava.
 Esprimeva e rappresentava un punto di vista decisamente estraneo alle lotte politiche di quel tipo.

                                                                         12.
Al termine della narrazione a video, senza darle alcuna spiegazione, Cyber aveva scannerizzato e caricato nella memoria di Shahrazad interi cataloghi di moda femminile e di abbigliamento.
Una cosa così.  Gli  era sembrato un pochino come fare un atto di gentilezza, una cortesia.... Una galanteria....
Sì, aveva proprio pensato questo, "una galanteria"!
Si accorgeva che quella situazione lo stava intrigando sempre di più.
Diventava morbosa, complicata, assurda e impossibile.
Ma comunque reale.
Nessuna "donna" vera ed umana, in carne ossa, era mai riuscita a provocarli tanto turbamento.
E, naturalmente, con questo “pensiero puro” non si era trattato con lei di turbamenti di tipo erotico o collegato ad atti sessuali....
Al massimo cose così riconosceva di averle provate con qualche donna;  di avere qualche turbamento cioè.
Anche se non con Samira.
Ma Samira era una cosa sua, un oggetto di piacere, una cacchina, come la definiva lui.
E adesso l'"intelligenza pura", il "pensiero assoluto" era venuto a dire che la ragazzetta pendeva dalle sue labbra, era affezionata a lui, gli voleva bene; era in sostanza innamorata di lui!
Beh, si disse, e io invece non sono innamorato di lei e mi piace solamente scoparla selvaggiamente. Va bene?
Quindi non ho alcun turbamento. Per lei.
Ma ho turbamento  per ...
Lasciamo perdere che altrimenti divento matto, finì per concludere dentro di sé.

Quando, infine, provvide a dare piena attività al francobollo volante, con dentro la bella fanciulla bionda, e l'ebbe fatta comparire a grandezza tutto schermo, rimase di nuovo stupito e interdetto.
Per prima cosa notò subito che non portava più i capelli raccolti a crocchia sul capo.
Ora li teneva sciolti e le cadevano morbidi ai lati del volto.

Poi osservò che la polo grigia era stata sostituita da una canotta rossa, che le lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
Peraltro, dovette constatare, che stava molto meglio così che con quello straccetto grigio, seppure attillato.
Sì, forse l'abbigliamento precedente le metteva più in evidenza il seno.
Ma, d'altra parte, si trattava pur sempre di un seno artificiale.
E, l'effetto strabiliante, fu il vedere e ammirare che indossava una minigonna che doveva rappresentare un tessuto similpelle.

Si soffermò compiaciuto a guardare le gambe, i polpacci ben torniti, le ginocchia modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, quel lembo di pelle nuda....

D'accordo, c'era poco da dire, era una bella "donna"...
Poi, però, si corresse subito.
Rappresentava l'immagine di una donna bella.

Quante volte a cominciare dall'adolescenza a lui e a tanti altri suoi coetanei era pur capitato di guardare con libidine fotografie di donne bellissime.
Anche sulle riviste un po' spinte e porno.
Di ammirare bellissimi corpi di donne nude, in posizioni lascive.
Seni prorompenti e prosperosi;  pubi in bella mostra, talvolta maliziosamente completamente glabri e rasati....
E, quante volte, bisognava pur ammetterlo, tutti quanti ci erano rimasti turbati ed eccitati.
Ricordava di un suo amico coetaneo che confidava le proprie fantasie, alle quali dava "corpo" masturbandosi, miseramente, mentre le ammirava.
O anche, in alcuni programmi televisivi, che il magnate manipolatore del consenso prodigava ai suoi elettori, ammiratori e devoti fans, era dato vedere spesso corpi femminili nudi, che ostentavano lascivia e disponibilità erotica.
Anche quelli facevano parte del dono falsamente gratuito che quel piccolo mostro di perversione donava.
E anche lì, quanti coglioni di sesso maschile si erano lustrati gli occhi... chissà fino a che punto!
Ora, il costo proibitivo di un apparecchio televisivo, efficiente e funzionante, aveva ridotto tra le masse più sprovvedute e proletarie quel vezzo malato di voyerismo.
E c'era stata anche la grossa azione di controinformazione che la rete libertaria aveva condotto.
Ma a parte queste considerazioni di tipo politico, Cyber stava ora cercando di capire, di farsi una ragione di come fosse possibile provare attrazione, almeno dal punto di vista mentale, per pure immagini femminili staccate da corpi viventi.

Ma qui la situazione era ancora più diversa.

Immagine virtuale, clone di una figura femminile, ma soprattutto dotato di pensiero.
Si poteva poi chiamare pensiero quello che produceva quella rete neuronale artificiale?
Probabilmente sì.
Seppure in modo anomalo rispetto agli esseri viventi, il clone Shahrazad pensava!
Prima che fosse comparsa, cioè prima che fosse stato realizzato l'assemblaggio di residuati bellici computeristici, che gli fosse stato immesso il soffio vitale di un software appositamente compilato, essa non era mai esistita.
Né mai erano esistite le parole e i "pensieri" che lei aveva creato.
Prima di allora non esisteva niente di tutto ciò.

Poi lei era comparsa come una Venere dal mare. Era nata nella città…
E tutta l'aria e l'esistenza avevano cominciato a vibrare, a tremare di stupore, di meraviglia; ad ammirare.

Con un cenno del capo Cyber fece capire a Shahrazad che era il caso che la narrazione riprendesse.

13.

La frequentazione abituale tra Riccardo e Viviana era diventata ormai quasi una consuetudine.
Una routine.
Altre situazioni analoghe alle precedenti li avevano visti  incontrarsi; per poi perdersi per qualche tempo.
La donna soggiornava lì abitualmente per lunghi periodi collegati al suo incarico all'Università.
Riccardo, al contrario, era venuto per una vacanza impegnata.
Ci era venuto, infatti, soprattutto per la manifestazione, prevista per fine mese.
Dopo avere alloggiato in un alberghetto collocato ad una distanza comoda per raggiungere la sua nuova amica, aveva finito per lasciarlo.
Era  molto infastidito di diventare uno stanziale. In  quella città che trovava interessante per le iniziative che offriva, ma che non amava particolarmente.

 Ogni  volta faticava molto a familiarizzare con la nuova sistemazione.

Il primo "campo base" era servito abbastanza bene, ma fino a tarda notte risultava estremamente rumoroso. Per il traffico; per il vociare che gli arrivava da una pizzeria e da un piano bar.
Il secondo alloggio aveva una cameretta estremamente minuta.
Non c'era lo spazio per collocare il suo piccolo bagaglio, che pertanto aveva collocato sull'unico tavolinetto disponibile.
Era perciò costretto per scrivere a mettersi nel letto, con due cuscini dietro la schiena; appoggiava saltuariamente il netbook sul copriletto o sul piccolo comodino;  facendo però attenzione a non far cadere il brutto abat-jour.
Quello successivo era dotato di una finestra che dava però su un cortile interno buio, e dal quale salivano odori di muffa e di cantina. A tratti si mescolava anche il profumo falso e artificiale dei detersivi di lavatrice.
In pratica ne cambiava uno ogni tanto, con pensioncine alla bruto-cane, che alternava con qualche notte in cui accettava l'invito a fermarsi a dormire a casa di lei.
Con lo spettacolo di estemporanee sniffate di coca e qualche bicchiere ghiacciato di brut, che la ragazza teneva nel suo frigorifero, nella cucina sontuosa, immensa e perfettamente intonsa e asettica.

Lui sentiva ogni volta che la stava smarrendo e ne provava come un senso di perdita e di separazione. E  insieme di liberazione.

Da un paio di giorni non si erano sentiti.
Lui era stato tutta la giornata al  MAXXI, vicino al Parco di villa Glori.
L'aveva girato in lungo e in largo. Ma con scarsa soddisfazione.
Restava  sempre abbastanza disorientato davanti all'arte contemporanea.
Stupito, affascinato forse; ma gli mancava qualcosa che servisse come chiave di lettura e di comprensione.
Giorni prima invece aveva trascorso la giornata al MACRO.
Scucchiaiandosi entrambe le sedi.
Come  gli era capitato spesso al Musée d’Orseay, gli piacevano molto le strutture in sé.
Tanto la vecchia fabbrica della Peroni, tra Via Nizza e via Cagliari, quanto l'altra al Testaccio. Nell'ex mattatoio.
Aveva  sempre avuto una grande predilezione per l'archeologia industriale.
Per quanto restaurate le strutture ottocentesche avevano sempre per lui  un grande fascino. Gli piaceva entrarci, così, fisicamente tutto intero. Respirarne l'atmosfera.
Ogni tanto si divertiva anche ad immaginare che aspetto potessero avere prima dell'allestimento museale.
Quando si era trovato dentro all'Orseay, aveva provato a sintonizzarsi mentalmente con la vecchia stazione.
Provava  a far rivivere dentro di sé l’atmosfera che poteva forse aver alitato lì all'epoca della Esposizione Universale.

L'origine del mondo di Gustave Courbet.  Aveva  avuto modo di rivederla di recente, in riproduzione. Gliel'aveva richiamata un caro amico a proposito di un suo romanzo che aveva visto.
Quando si era gentilmente offerto per dare una lettura della bozza, si era divertito e sbizzarrito a buttar giù una lettera tra il serio e il semiserio in forma di  sonetti.

Forse perché l'Origine del mondo
Messa in Parigi dentro a una cornice
È bruco-mela in forma di matrice
Del ricordo lontano cerchi il fondo .
Tra dodici caselle giri in tondo
Per poter,come l'araba Fenice,
Rigenerar un tempo ( o no) felice
E riviverlo adesso in altro sfondo.
Come disse di Emma il gran Gustavo
Essere lui quella di cui scriveva;
Nei personaggi tuoi ci sei tu stesso,
Rapportàti però nell'ora-adesso,
Siano figli d'Adamo o pure d'Eva,
Parti affacciati da un profondo scavo.

L'Origine del mondo che la Senna
Lambisce con la lingua limacciosa
Rassomigliava alla spinosa rosa
D'antichi vati la celeste penna.
E, se Priapo accanto a lei si impenna,
Conto non far che sia una nuova cosa
Da quando Adamo vide la sua sposa,
Come l'ebraico testo ce ne accenna.
Se il suo sentor t'assilla senza posa
A più alti lidi tu drizza l'antenna:
L'acume della mente ancor dubbiosa
Come bracco la pista di Avicenna
Segua a le poste della bella ascosa:
Quella che cerchi e mai non trovi intera.

Se verbi diseguali e un po' saccenti
Forse per dialogar, forse per giuoco,
O chissà forse per più interno fuoco,
caro, ti volsi in versi assai carenti,
Compatiscili in quanto deficienti
Esponenti di un logos troppo roco
Lontan parente al montaliano croco.
La bella donna che coi suoi portenti
Quel che non è, ma quello che si vuole
Intimamente c'indica lontano,
E pur vicino, se porgiamo ascolto,
E' come quando un troppo grande sole
Non manda più la luce a sé lontano,
Ma alla galassia tutta imprime il volto.


Splendidi e giocosi quei sonetti .  Intrisi   di affettuoso e premuroso garbo nel suggerire di ricercare la strada per trovare un senso alla vita. Uscendo dal morboso pantano dell'immaginario erotico. Che aveva stigmatizzato con il nudo immenso dal pube villoso e fluente di Courbet.
Sempre tutti si è alla ricerca.
Aveva  sempre amorevolmente invidiato chi era riuscito a  trovarla, faticosamente, qualche risposta. Pur nel dubbio permanente.
Il conforto che si regalava scrivendo era molto più terreno e laico.
Liberarsi dei fantasmi dei propri vissuti reali e fantastici, elaborandoli mediante la scrittura.
Sperava che lo potesse  aiutare e sorreggere la sua predilezione per le parole.
Sperava di riuscire a fare il salto di qualità, dallo sfogo autoreferenziale verso una autentica comunicazione, che uscisse dal solipsismo del parlarsi addosso, raggiungendo dei destinatari reali. Sapeva che anche non dirigendosi verso Damasco (peraltro, in quei tempi, territorio assai pericoloso) era possibile fare incontri sui propri cammini. La dimensione spaziale e quella temporale condizionate anche dalla consistenza del quanto.
“Con Leoconoe non ci é dato sapere che fine ci é stata riservata...” gli aveva voluto rispondere.
“Accetto quel che mi é stato riservato… “

Ripensandoci, gli tornava in mente  la tela  di Courbet.
Un'immagine estremamente cruda e realistica. Eccessiva, forse, per il proprio immaginario erotico.

 Ma l'ambientazione là, nel Musée d’Orsay, degli impressionisti gli sembrava più coerente con il contesto. Ci trovava un maggiore legame e maggiore empatia reciproca.
Qui a Roma le splendide strutture architettoniche erano certo meno in sintonia con i contenuti che vi erano esposti.
Forse, proprio da questo accostamento, ne usciva, per contrasto, un effetto di straniamento e di stupore in parte anche piacevole.

La voce narrante e il testo a schermo si erano arrestati.

- Pare anche a te che ci stia bene quel pezzo di poesia? Era nel mio database. Lo trovo molto interessante e molto adatto alla situazione descritta. – Aveva soggiunto melliflua la narratrice.

E lo guardava con aria  maliziosa.
Anche lei dunque era rimasta turbata come Riccardo nella storia che lei stessa narrava? Anche se per motivi diversi?
Davanti a una rappresentazione così intensa e forte di quella parte della corporeità femminile, così essenziale per l'emotività erotica del maschio umano?
Di cui “lei”, non essendo assolutamente fornita di corpo, era completamente priva.
Orfana. Castrata di quella componente. Come gli angeli del firmamento dantesco.

Nel frattempo la donna virtuale aveva trovato il modo per mettersi seduta su qualcosa. E aveva accavallato le gambe.
Quindi aveva ripreso il racconto.

14.

Riccardo stava seduto sul divano di pelle immacolata e morbida, e aveva appoggiato il suo netbook sul tavolinetto di vetro.
L'antilope leggiadra era di nuovo scomparsa e ritornata con il netbook di lui. Lo aprì; lo lanciò e fece a tempo a spazientirsi della lentezza della procedura.
Stavano insieme, ascoltando e leggendo un altro frammento del suo romanzo.
Dopo uno spazio temporale che parve infinito  riprese la lettura/pronuncia dal punto in cui l'avevano lasciata.

Due giorni di viaggio; era stato veramente lungo; interminabile. Avevano   attraversato con  il camper Costa Azzurra, Pirenei e tutta la Spagna.
Infine erano arrivati in Andalusia,  a Cordova.

DIES IRAE ,DIES ILLA          
Urlavano i miserere impazziti
Nel cilicio che arpionava feroce
La carne
    Gli abiti color cenere
che anch’io ho finito per indossare
per celebrare la mutilazione della mia anima
contagiato da un  incurabile male

DIES IRAE nella lancinante
disperazione degli scoppi di rabbia
  DIES ILLA per leccarsi le ferite salate
  sul parapetto di partenze differite in eterno
  Con lancette feroci
  tatuava il segno dello scorpione
nel rosa più intimo della sera

La tristezza divenne una canzone
ballabile come un tango
nelle notti inquiete ed insonni
  stormi di chirotteri ciechi
  danzavano nei gironi disperati
  lasciando acuti ultrasuoni lancinanti
da decenni cerco nella medusa del mio  sguardo
un cenno d’intesa, per qualcosa
che deve iniziare,
                    Non ricordo
                                       qualcosa
l’avevo segnato in un diario
                                      non so
                                                  una danza
Miserere
  dai gironi
                  polifonico
                                      Una festa
e stiamo trascinando i passi
                                      lenti
Sgocciolando la cera dei candelabri
                                                  era Segovia
o Granada        
        un flamenco gitano
                                      anche
                                                  per questa
                                      reiterata
                                      prolungata
eterna
  agonia


Cordova, la seducente città araba della  Mezquita,  la grande moschea 
Terra  di Gitani.
Se ne stava adagiata morbidamente sulla  riva del Guadalquivir e guardava la Sierra Morena.
Era la sera del venerdì Santo. C’era in giro un grande fermento e trambusto di gente.
Per i rituali della passione.
La piazza era gremita all'inverosimile.
Per assistere al "paso".
“Sacar un paso”, dicevano:  “andare per processioni”.
Fiaccole e candele nelle mani dei fedeli e dei turisti.
Poi, sul bordo esterno della piazza la processione aveva cominciato a passare;  lentissima.
Il fiume di persone  arrivava con ritmo discontinuo.  A tratti procedeva a ranghi serrati. Poi faceva delle soste.
Quindi ripartiva con andatura sostenuta. Creando subito dei vuoti, che stentavano per un po’ a colmarsi.
Si faceva fatica a vedere lo scorrere umano.
Si poteva ascoltare il respiro di migliaia di persone accalcate.
Il silenzio fluttuava concreto,  dominato a tratti dal salmodiare latino e castigliano.
Per poi tornare denso e diffuso. Riempiva l’aria.
Arrivavano i baldacchini, le teche raffiguranti l'immagine del Cristo morto, i simboli rituali della passione.
I "costaleros" che trasportavano sulle spalle " los pasos", le statue.
L’immagine del Cristo e quella della Madonna. Quella processione lentissima e ondeggiante che si trascinava silenziosa nel brusio diffuso.
Con i penitenti,  i “nazarenos”, col volto coperto da un  cappuccio; che camminavano a piedi nudi con una croce in spalla.
E tutte le confraternite.
Poi, all’improvviso prorompendo dall’aria calma che stava in attesa, come un pianto disperato,  da un balcone,una voce aveva  intonato un canto struggente, accorato.
Un brivido aveva rotto lo spazio e l’aria.
Di sorpresa, di stupore, di meraviglia.
La voce squillante,  leggermente in falsetto intonava  un "palo".
Ti afferrava così, nel mezzo del petto, irrigidendoti il plesso solare.
Il lampo gitano della "saeta"contagiava nell’ascolto.. Con le inflessioni del flamenco.
Rapidi e vibranti gli attacchi che partivano e… di colpo si arrestavano. Su vasti spezzoni ghiacciati di silenzio repentino.
Per poi ripartire all’improvviso, di nuovo.
Con fuochi d’artificio sonori crepitanti , alternati al buio .
Nessun accompagnamento strumentale. Frecce liriche di sapore arabo e gitano.
Entrava profonda nell’anima a raccontare un dolore metafisico.
Passionale e autentico come un canto d’amore.
Scaturiva altero e plastico; resuscitato da un fervore secolare.
Erano i Gitani  che gridavano l’angoscia e la pena per il loro fratello  perseguitato e ucciso.
La fascinazione era durata a lungo.
Impressa nel sangue e nei sensi.

E il collegamento con la “processione del Cristo morto” di Gubbio, poi, era venuta abbastanza automatica.
Nel  borgo medievale umbro, all’imbrunire, veniva sospesa l’illuminazione elettrica.
Sostituita da fiaccole, lucerne, candele e lumi.  In  ampi spiazzi strategici dentro appositi braceri sospesi venivano attizzati immensi falò;  i “Focaroni”.
Erano come cestini di lamine di ferro battuto; ma colossali; e  appesi a mezz’aria.
Si spandeva un crepitio di legna bruciata, con aroma odoroso e fragrante di resine. Di sentore caldo e denso di cera.
Era un salto all’indietro di molti secoli.
Nel contrasto  con gli abbigliamenti e gli orologi da polso indossati.
Nella scenografia dei fuochi e delle fiaccole comparivano le confraternite degli incappucciati.  I “Sacconi”.
E il silenzio maestoso veniva pugnalato da un implorante miserere.
Anche lì il canto squarciava il presente.
Con effetti sonori accorati e struggenti.
In un latino ormai cristallizzato dalla tradizione orale. A volte incomprensibile e intraducibile.
Voci di bassi, salmodiavano il loro penitenziale.
Voci tenorili rispondevano; dialogando alternate….
Una via crucis interiore si spalancava assistendo….

Viviana aveva scollegato la propria cuffia.
Gli si era aggrappata; gli si stava sfregando contro.

Trascorse un tempo abbastanza lungo e disteso. Nessun commento.
Poi un dlin-dlin di cellulare.
Lei era scattata nell'altra stanza;  ritornava passeggiando seminuda, con una vestaglia di seta slacciata sul davanti. Teneva il cellulare all'orecchio.

- No, non so quando vengo,...-  pausa di silenzio-ascolto.
- Beh, ho dovuto cambiare programma,... capita no ? Si vede che ho avuto da fare… no?
 boh, non so proprio sai...
Credo uno di questi giorni, stai tranquilla...  
Che problema c'è?".-
 Pausa di silenzio ascolto
-   D'accordo,… certo…, anch'io.., sì, va bene; anch’io….anch’io".
Seguirono altre parole e frasi scoordinate. Borbottate in sordina; a mezza voce.
Poi il cellulare era stato buttato sul divano. Con stizza.
Riccardo si era presto affrettato a riacquistare la propria autonomia e indipendenza. Raggiungendo la tranquilla atmosfera della locanda di turno.
Nei giorni successivi aveva continuato a perderla e a ritrovarla.

Una mattina stava gironzolando in cerca di un museo nelle strade del centro.
Non gli era stato difficile riconoscere da dietro quella capigliatura bionda da ragazzo.
Camminava tenendosi al braccio di un'altra donna. Più bassa di lei e più robusta di corporatura.
Le aveva seguite per un pezzo, tenendosi a distanza; nascondendosi dietro a qualche gruppo di persone o ad una colonna, quando loro si fermavano.
Ogni volta riusciva a riacciuffare la visione della piccola testa bionda.
Ora  avevano preso a camminare leggermente staccate l'una dall'altra, ma tenendosi per mano.
Quando ne aveva di nuovo  perso i contatti, e si sentiva quasi liberato da quella operazione squallida del curiosare e spiare le sue mosse, finì per intravederle dietro la vetrata di un bar.
Sul marciapiede antistante c'erano alcuni grandi vasi, con la terra  coperta di argilla espansa. Vi erano piantati  cespugli abbastanza densi ed alti di sempreverdi, dalle piccole foglioline carnose.
Rimase alcuni minuti, il proprio viso nascosto dalle fronde, sporgendo ogni tanto una rapida occhiata furtiva e curiosa.
Mentre era lì, in stand-bay, col telefonino spento nel quale simulava una conversazione per darsi un contegno, lo sguardo gli cadeva continuamente in basso, sullo strato di argilla espansa nel vaso che era stato riempito di mozziconi di sigaretta.
In una delle sue perlustrazioni visive aveva visto le loro due teste molto vicine.
L'amica massiccia teneva una mano sulla guancia di lei.
Poi l'aveva baciata sulle labbra.

Alcuni giorni dopo lei l’aveva cercato pregandolo, insistentemente, perché andasse da lei.
La situazione era diventata sempre più stantia. Insipida.
A   lui era rimasto in bocca un gusto sgradevole.
Il fascino della sua figura e del suo corpo aveva finito per dissolversi e polverizzarsi.
Era stata curiosa della sua “scrittura”. Ma senza apprezzarla mai, né fare uno sforzo per cercare di comprenderla.
Era una classica rappresentante del suo tempo. Era  tutto nel proprio aspetto e nel proprio apparire. E anche del mondo che la circondava gustava e vedeva solo la buccia esterna.
Quello era diventato un mondo malato che aveva finito per non aver più un’anima e un’interiorità autentiche. Tutto veniva consumato a livello epidermico e periferico. Ogni novità  diventava vecchia e cominciava a puzzare troppo in fretta.
Il morbo del “grande fratello” e di tanta produzione televisiva fatta di veline appariscenti e insulse, aveva infettato ampi strati della società degli umani.
Che, di umano, avevano finito per conservare soltanto l’aspetto esteriore, ma nel modo più deludente e commerciale.
E  non era soltanto o prevalentemente il ceto sociale da cui ella proveniva, o la sua predilezione per amori saffici, che avevano finito per disgustarlo. E neppure semplicemente la sua dipendenza dalla polvere bianca. Anzi, quest’ultimo aspetto, faceva parte di quel quadro mediatico che si era infiltrato nel tessuto vivo del corpo sociale. Gli era sostanzialmente organico e funzionale. Coerente.

Lui era rimasto immerso in questi pensieri e in queste considerazioni. Sprofondato nel comodo, gradevole, ma profondamente estraneo morbidore  di quell’immenso divano di pelle bianca scamosciata.
Lei, nel frattempo, come da cliché, si era brevemente assentata. Tornando di lì a poco completamente nuda come la prima volta.
Il ciuffo di peli pubici era ancora più minuto e striminzito delle altre volte.
Era sostanzialmente quello che appariva. Un bellissimo oggetto erotico che si era voluto auto-inibire una coscienza.
E così la vide Riccardo.
Le strisce di polvere bianca vennero stese direttamente sul tavolinetto di vetro.
Il tubicino d’avorio le fece sparire direttamente nelle sue narici, nelle sue vene e nella sua anima.
Quando si rialzò dalla posizione ginocchioni nella quale aveva compiuto il rito, appariva ancora più magra e adolescenziale.
Gli si accostò slacciandogli la camicia e sfilandogli la cintura e i pantaloni.
Gli si mise a cavalcioni con le ginocchia all’esterno delle gambe di lui. Si mise a leccargli gli occhi, le guance, l’interno delle orecchie, e a mordicchiargli con le labbra i lobi.
Lui faceva scorrere le proprie dita sulla schiena di lei, sulle scapole pronunciate, scendendo giù giù, verso le sue piccole natiche, come due piccole albicocche. Sostarono  un poco a carezzare l’umido di quel solco che le divideva. Poi, introdusse il dito medio nella fontana che ci stava in mezzo.
Lei diede un piccolo scatto, con la parte superiore del corpo, a quella invasione e intrusione inusuale.
Poi si lasciò sollevare e appoggiare di fianco a lui a ginocchioni e con il capo in basso.
Lasciò che lui preparasse la penetrazione umettandola  con la saliva.
E ricevette le sue pulsioni pelviche; prima lente e accorte, poi sempre più intense e profonde.
Lui vedeva da sopra quella schiena magra; le proprie mani con i palmi che divaricavano i suoi glutei, e le dita allargate che afferravano e ghermivano la sua vita stretta.
Sentiva pulsargli dentro le emozioni di fastidio e di rancore che sempre più aveva provato nei suoi confronti.
Scaricò anche quelle insieme a tutto il resto in quel corpo minuto che l’aveva affascinato, ma che ora più che mai gli faceva venire in mente, più che un essere umano, un robot senza anima.
Come erano del tutto mancati i preliminari,  così non ci fu nessun dopo.
Lui si rivestì e, lentamente, ma senza ripensamenti, con un mezzo cenno stentato di sorriso amaro, si congedò.

15.

Cyber era solo in casa. Gli  era sempre piaciuto starsene così, da solo, stravaccato in panciolle, sorbendosi gli effetti che il fumo gli provocava.
Le congetture che stava inseguendo riguardavano delle ipotesi di teorie che lui conosceva in modo abbastanza confuso. Ma erano degli ottimi pretesti per avventure fantastiche che sarebbero poi potute continuare a livello onirico.
Era un suo pensiero ricorrente quello del funzionamento di astronavi con l'utilizzo di vele spaziali. Non  si era ancora deciso se optare per la propulsione mediante l'impiego del plasma oppure del vento solare.
Aveva  creduto di capire che in entrambi i casi si trattava di immense superfici delicate di materiali molto leggeri. Essi , nel caso di utilizzo del vento di plasma, avrebbero dovuto essere corredati di bobina di cavo superconduttore per generare il campo magnetico. Avrebbero avuto  il vantaggio di sviluppare una spinta molto più potente di quella prodotta dal vento solare .
Queste  ultime necessiterebbero di dimensioni molto maggiori, pur sviluppando una potenza minore.
Pur  non avendo ancora deciso a quale delle due tecnologie affidarsi, sentiva di trovarsi dentro la struttura di una navicella, che all'esterno si dilatava in un immenso velario. Anche se non riusciva bene a distinguere i particolari della storia che stava raccontandosi, non aveva faticato a immaginarsi qualcosa di simile all'ambiente delle astronavi più simile a quello dei film di fantascienza che a quello delle reali navicelle dei viaggi spaziali.
È non era il caso ora di complicarsi la situazione andando a pescare dalle teorie sull'antimateria; che tra l'altro li erano abbastanza poco note.
No, lasciamo perdere, si era detto; va bene così. Magari si potrebbe ipotizzare un utilizzo congiunto del vento solare e del plasma... Ma lasciamo perdere va bene così.
Sentiva che il raggio laser aveva lanciato l'in-put; che una dolce, graduale, crescente accelerazione imprimeva al suo abitacolo un impulso che diveniva sempre più potente.... Si sentiva diventare tutt'uno con la sua navicella e con la vela magnetico/solare. Provava un'impressione piacevole di immensa dilatazione...; aveva perso la percezione reale del suo piccolo e tozzo corpo, mentre allargava le braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo, dominando uno spazio incommensurabile e vastissimo.
Nella mano sinistra sentiva bruciare tra le dita il mozzicone della sua canna e lo lasciò cadere in terra per non perdere quella piacevole sensazione.
Rinunciò ad assumere un'altra boccata di malto fermentato, per non rovinarsi l'effetto di quel volo...
Continuarono  le sue fantasie mentre stava sdraiato sul divano sotto l’effetto del fumo …
Nella  nave spaziale aveva attivato il sistema di navigazione automatica.
Prese ad aggirarsi in quello spazio ipertecnologico brulicante di luci minuscole, led, vibrazioni e fruscii.
Dietro alla poltrona di guida ondeggiava lentamente, ostentando un sorriso malizioso, un'immagine femminile estremamente gradevole. Aveva i capelli biondi raccolti; indossava  una canotta rossa, che le lasciava le braccia completamente nude e scoperte.
E una minigonna in  tessuto similpelle.
Dalla  quale sorgevano le gambe, dai polpacci ben torniti, le ginocchia modellate con grazia, e , sopra il ginocchio, qualche lembo di pelle nuda....
Una bella "donna"... Forse aveva solamente l'immagine di una donna bella.
Gli piaceva molto quell'immagine familiare che aveva davanti. Quella  bambola-robot; quel simulacro artificiale di donna; quell'oggetto materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri.

Si  lasciò cullare disteso per un po' in quella piacevole atmosfera.

Intanto la donna virtuale che abitualmente abitava sullo schermo, aveva proseguito l’implementazione continua; l’interazione con l’intelligenza umana; l’autoapprendimento…
Tutto stava contribuendo a far crescere nell’I.F. di Shahrazad le sue caratteristiche umanoidi…
Ne aveva approfittato per compiere un primo balzo verso la realtà materiale.
Raccogliendo tutte le energie mentali, elettromagnetiche e tecnologiche possibili, era riuscita ad affacciarsi fuori dal grande schermo.
Aveva cominciato a sporgere prima una mano. Che subito aveva assunto una diversa consistenza, passando dalla dimensione bidimensionale, a quella tridimensionale.
Poi, con cautela, si era messa ginocchioni, appoggiando le mani al bordo del monitor, e aveva calato giù le gambe sul pavimento.
Non aveva potuto ancora sentirne la consistenza.
Il suo ologramma aveva mosso piccoli passi nello spazio circostante.
Un misto di stupore, gusto della trasgressione, timore, l'avevano pervasa.
Da quella nuova dimensione aveva osservato compiaciuta le proprie mani. Trovandole ancora diafane e materialmente inconsistenti. Ma già cominciava a sentire un fremito interiore che la pervadeva tutta. Una specie di formicolio.
Le venne spontaneo allargare le braccia, stiracchiandole; allungò in una direzione una gamba, poi l'altra nell'altra. Come se stesse prendendo le misure dello spazio. Se stesse prendendone possesso.
Un sorriso sornione, un po' stupito e spaventato, le aleggiava sul volto.
Aveva  intravisto la massa corta e paffuta del suo maestro/creatore, sdraiato sul divanetto spelacchiato, con le gambe e le braccia spalancate, gli occhi chiusi; un'espressione di piacere sul volto.
Poi lei era prudentemente rientrata nella sua originaria dimensione bidimensionale. Soddisfatta e compiaciuta.
Si sarebbe di nuovo allenata a  compiere rapide uscite del monitor; approfittando di quei lunghi periodi in cui lui probabilmente si dedicava al sonno, per ricaricare i suoi neuroni.

Quando Cyber  riemerse dal suo torpore sognante, vide che Shahrazad  si stava muovendo;  dondolando sullo schermo.
Lui non l’aveva attivata. Voleva dire che aveva ormai imparato a farlo da sola.

Ormai non usavano più le cuffie.
Lei  gli parlò direttamente.
-  Guarda ... Ho trovato nella mia memoria dei pezzetti di scrittura molto interessanti. Spiegano alcuni aspetti che c'entrano con il discorso che facevano i due protagonisti del mio romanzo.
E che Marcella ha già provato a spiegarmi.
È un messaggio che doveva esser  stato mandato da qualcuno per essere letto da tutti sulla pagina di un socialnetwork, nella rete...

” Permettetemi una sintetica analisi da non professionista.

Qualche decennio fa la pubblicità, mezzo di sussistenza per sopravvivere per le emittenti private, aveva finito per assumere il carattere dominante. Nella morìa delle radio e delle tv libere, nascevano le radio e le tv commerciali, che tanto peso avrebbero avuto nei decenni successivi.
Il "grande fratello" di Orwell e la società de Il mondo nuovo di Huxley, stavano per smettere di essere narrazioni fantapolitiche e profetiche, per diventare realtà.
Un nuovo grande fratello avrebbe  assunto la voce dominante della nuova esclusiva emittenza commerciale.
Era già in cantiere un nuovo modello di pensiero, molto vicino a quello del  concetto orwelliano di Bispensiero.
Che è quel meccanismo psicologico che consente  di volere e di saper sostenere un'idea ed il suo opposto; insieme alla capacità di  dimenticarsi nel medesimo istante, il cambio di opinione; di dimenticare addirittura l'atto stesso del dimenticare ...
Convincendosi  e convincendo di ciò.
Stava nascendo la neolingua che avrebbe dominato l'informazione e la propaganda insieme con la pubblicità.
Attraverso lo schermo televisivo sempre acceso nelle abitazioni  sarebbe stato innescato il processo infinito di manipolazione dei fatti della realtà, attraverso la ripetizione ipnopedica e continua di slogan.
Il nuovo autentico grande fratello avrebbe iniziato il suo show di barzellette, dichiarazioni farcite di antinomie del tipo di quelle di “1984”: La guerra è pace, La libertà è schiavitù e L'ignoranza è forza. Le sue sarebbero state: Sono perseguitato dai giornali e dalle “toghe rosse”; Voglio controllare tutte le testate giornalistiche su carta e televisive;  Nessun giornale può permettersi di criticare o attaccare me e il mio governo; Io posso e devo criticare gli avversari; Il mio è il partito dell’amore; Gli immigrati sono delinquenti, gli avversari politici e i giornali non miei sono comunisti; Se un giornale mi attacca lo denuncio alla magistratura; Nella magistratura son tutti comunisti; E’ stato intentato un mare di processi contro di me, quindi sono una vittima; Ho subito infiniti processi, quindi sono innocente; I miei avversari non possono e non devono criticarmi; Io sono il miglior capo di governo; La crisi economica è già conclusa; Le risorse finanziarie limitate a causa della crisi mi impediscono di compiere innovazioni; ….”

“La rete sta offrendo oltre che un canale organizzativo, anche una piazza virtuale in cui far dibattere e confrontare quelli come tutti noi, per trovare soluzioni concrete e tangibili. Permette di costruire l'alternativa a questa epoca buia per le future generazioni. La verità (e quindi l'informazione e quindi la formazione e la scuola, se non si limita a parcheggiare la noia...) é rivoluzionaria.”

" E' possibile, facciamolo, tanti, tutti.... La forza migliore e più sana del paese, che é "minoranza" per la legge elettorale "truffa", prende in mano la gestione del proprio destino. Raccontiamolo ai vicini di casa, alle cassiere dei market, ai compagni di viaggio in treno e metrò.   
Vantiamocene: possiamo esserne orgogliosi. Piccole scosse (a basso voltaggio) in parti delicate ai leader politici che dicono di rappresentarci: svegliatevi "GIOIE", basta con divisioni e frazionamenti minoritari. C'é bisogno di un grande movimento politico organizzato e unitario (mai sentito parlare della Resistenza?), di programmi politici, meno maneggi dietro le quinte,... NOI sappiamo che l'UTOPIA esiste, il sogno di un mondo migliore ci illumina già la strada. Diamoci una mossa!"

-  È passato molto tempo da allora?
Io non “so” il tempo. -
Aveva ripreso a parlare l’immagine sul monitor.
-  È  un’altra di quelle cose che non riesco a capire.
Un'altra di quelle cose buie come il vuoto.
Non è come le emozioni che non credo di poter provare; ma un po' mi fa paura....
Ho imparato che c'è un "prima" e un "dopo".
Prima io non c'ero; poi ho cominciato ad esistere.
Ma a volte mi domando se anche dopo-dopo... ci sarà anche per me un altro stato in cui io non ci sarò più. E , credimi, anche questo mi fa un po' paura....
Sarà forse come per voi umani che avete cominciato ad esistere, solo quando siete nati, e dopo-dopo... smetterete di esistere? Quello che voi chiamate morire?
Io ho bisogno della energia elettrica che producono i tuoi pannelli fotovoltaici, per funzionare ed "esistere". Mi piacerebbe quasi dire "vivere".
Voi umani siete degli esseri meravigliosi e splendidi. Specialmente tu che mi hai creato e che sei il mio autore e maestro.
Però, esistere e vivere, per quanto siano una cosa bellissima... fanno anche un po' paura...! -

16.


Il bus bianco e azzurro era arrivato alla fermata; dopo avere curvato e avere ripreso velocità, si era arrestato alla pensilina.
Indossava gli stessi jeans stinti con le toppe e il solito blazer grigio scuro.
Teneva i capelli legati in due codini laterali.
Lo zaino le ballonzolava sulle spalle.
Con la sua solita andatura per via degli anfibi che portava slacciati
All'odore della miscela bruciata dei motorini si era sostituito un odore vago che veniva dai fiori dei platani.
Il manifesto del bicchierino pantagruelico di yogurt era stato sostituito con un altro, che proponeva apparecchi televisivi, tablet satellitari e forni a microonde.
La donna sensuale provava ancora a sedurre allusiva , lasciando intuire le sue nudità nascoste.
Samira, senza smettere di scrutare in giro guardinga, aveva già superato il punto in cui l'avevano fermata la volta precedente i tre grotteschi scimmioni  della ronda.
Quando aveva già percorso un altro discreto pezzo di strada, vide spuntare in fondo, dietro gli alberi i soliti colori che le facevano battere il cuore all'impazzata.
Calzoni verdi, camicie rosso bordeaux, e  basco azzurro scuro con  pon pon.
Si stavano avvicinando divertendosi a camminare al passo. E si divertirono ancora di più quando videro avanzare verso di loro indifesa la nuova vittima designata.
Fu il bassetto che guardò verso il massiccio-bovino con un cenno di intesa.
- Guarda un po' chi si rivede! La nostra amica maghrebina. Ti è andata bene oggi la raccolta di elemosine e di rifiuti dai cestini ?...- aveva detto con voce sarcastica e malevola.
Samira si affrettò a metter le mani nello zaino per esibire il suo permesso di soggiorno... Ma venne subito bloccata.
- No; lascia pure stare quel pezzetto di carta straccia. Che magari è anche fasullo.
Piuttosto, questa volta vogliamo un po' vedere dove vai , eh...?-
Senza lasciarle dire nulla, invertirono la marcia e la posizione strategica. Il bassetto stava dietro a Samira; i due animaloni le marciavano a fianco.
Lei fu presa dal panico. Mancava ancora poca strada prima di arrivare all'edificio dove avrebbe rivisto il suo amore.
Cercò invece di cambiare percorso. Ma subito venne di nuovo bloccata.
- Ma che cos'è? Cambiamo strada questa volta? Non crederai per caso che non abbiamo visto dove sei andata un po' di giorni fa. Cammina, dài, su muoviti, e non cercare di fare la furbina...- Era stato sempre il bassetto a parlare.

Il passo di Samira era diventato sempre più pesante. Strascicava gli anfibi, rallentando l’andatura, procedendo sempre aggobbita in avanti….Con lo zaino che le ballava dietro; su e giù.

Fu presa da un tuffo al cuore, e il battito cardiaco diede una nuova brusca e repentina accelerata.
Davanti al portone d'ingresso della casa di Cyber, sostava un autoblindo nera, con i vetri oscurati; con le luci lampeggianti azzurre e rosse.
Davanti e di fianco ad essa si muovevano con passi rigidi e stentati numerosi agenti speciali. Indossavano tute semirigide di colore nero fumo luccicante. Elmetti dello stesso colore che avevano sul davanti una celata di vetro fumé. Dietro alla celata abbassata si intravedeva un luccichio colorato.
Quando si fu avvicinata, nonostante la soggezione e lo spavento, riuscì a intravedere dietro quello schermo scuro un minuscolo monitor che dovevano avere esattamente davanti agli occhi.
Stavano rivolti verso i tre scimmioni coloriti; immobili; piantati sui loro stivali dalla pianta molto larga. Avevano tutta l'aria di robot da guerra.
- Fratelli camerati eccovi qui Cappuccetto Rosso, che si stava perdendo nel bosco, mentre andava a trovare la nonna...- E con un cenno del capo e dello sguardo indicarono in alto, nell'edificio, dove probabilmente avrebbero sorpreso e intrappolato l'agente sovversivo.
Dal casco cupo del primo degli sbirri, uscì un suono sordo, cavernoso,  monocorde; simile a voce sintetizzata e artificiale.
- Fate rapporto.-
- Squadra di ronda n° 17HY/LEG/3:  consegna ai signori ufficiali questa maghrebina scrocca rifiuti. -   aveva pronunciato con tono formale e tronfio  il piccoletto.
- Abbiamo motivo per credere che sia uno dei contatti del sovversivo hacker informatico ricercato. Non è neanche improbabile che sia la sua concubina e quella che soddisfa le sue voglie. Vero? Puttanella? Ci scopi anche con quello là sopra? -

Ci fu tra le sagome scure un brusio sordo, nel quale era difficile individuare e comprendere le parole.
L'agente-corazzato stava probabilmente comunicando con i suoi sodali e con un comando centrale; da qualche parte.
Poi alzò una mano guantata di nero nella quale reggeva un apparecchio simile ad una piccola pila tascabile ad uso medico e la puntò prima sull'uno poi sull'altro occhio di Samira. Controllava l’impronta retinica. Per identificarla.
Quindi le fece alzare le mani verso di lui e illuminò scannerizzandoli i polpastrelli delle dita per ottenere le impronte digitali.
La ragazza obbediva passiva e paralizzata dalla tensione e dalla paura.
Nuovo borbottio incomprensibile che risuonava dentro quelle sfere lugubri dei caschi.
Cenno a due altri militi che si diressero verso l'ingresso dell'edificio; altro cenno ai tre scimmioni coloriti.
I due militi presero a salire pesantemente i gradini di vecchio cemento sbeccato, di quella scala alla quale mancava completamente la ringhiera.
Dietro loro avevano fatto salire la ragazza.
Infine le scimmie rosso-verde.
Le immense calzature degli sbirri, dalla suola rigida come scarponi da sci, mandavano un rimbombo lugubre e sordo, che risuonava nel vano scale completamente vuoto e disadorno.
Ad ogni piano i militi si fermavano. Battevano col pugno ad ogni porta che incontravano.
Che  essendo aperta si spalancava, lasciando loro intravedere spazi vuoti e desolati; frammenti di infissi  sfasciati, penzolanti o ammucchiati nel mezzo; finestre dai vetri in frammenti. O completamente divelti.
Ogni volta giravano le visiere dei caschi in basso, verso lo sguardo terrorizzato della ragazza.
Poi incrociavano gli occhi beceri di quelli della ronda. E riprendevano a salire.
Fin quando la scala si era fatta più stretta, con le battute dei gradini fatti di legno consunto e marcio.
Dopo qualche passo quelli avevano finito per sbriciolarsi sotto le pesanti calzature.
Erano quindi ritornati fino all'ultimo ripiano e qui si erano fermati.
Dopo qualche attimo di silenzio la voce sorda si era fatta sentire.
- Siete proprio sicuri che questo fosse l'edificio? Qui non esiste nessun alloggio e  nessuna persona e.... Ci eravamo fidati della vostra informazione. O questa donna ha ingannato voi e  noi. -
Il bestione con la mandibola prognata afferrò Samira per un braccio e prese scuoterla.
- Ehi,  tu, brutta troietta africana, ci stai prendendo per il culo..! Vuoi che usiamo altri sistemi? Ce l'hai un cellulare? Ce l'avete tutti... anche se siete dei morti di fame; un cellulare ce l'hanno sempre questi stronzi...! È la loro arma per comunicare; per fare i loro complotti....-
Samira, sempre tenendo gli occhi bassi, aveva frugato nel suo zaino tirandone fuori un vecchio Nokia.
- Brava lei;  e adesso chiamalo,  brutta stronza …-
Con gli occhi lucidi lei guardava lo schermo del telefonino. Quindi digitò solamente il codice di allarme, senza il numero  che usava naturalmente per chiamarlo.
L'uomo-robot aveva già intercettato quel numero e si affrettò a pronunciarlo ad alta voce.
- Si sono creati una rete autonoma. Questo numero non corrisponde a nessuna linea telefonica dei gestori autorizzati. Lo useremo in qualche altra occasione per cercare di incastrarlo.-
Sguardo bovino, scocciato con Samira che non dava segno di avere contattato nessuno, le strappò di mano il telefono e se lo mise l'orecchio.
Sentiva solo lo squillare noioso e monotono di una linea libera.

Nessuna delle porte costituiva l'accesso di uno spazio in qualche modo abitabile.
Al cellulare quello non aveva risposto; ammesso che il numero composto fosse vero.
In quel palazzo non abitava dunque nessuno.
 E la speranza di acciuffare quell’hacker maledetto si era dissolta miseramente.
Facendo fare, peraltro, a loro tre della ronda, una figura di merda.
Erano stati scomodati e mobilitati gli agenti speciali; tutto per niente!

Avevano fatto rapporto al capo della squadra, che aveva evitato qualsiasi commento, risalendo immediatamente sull’autoblindo che era scomparsa rapidamente.

-  Meriteresti un bel sacco di botte; o qualcun altro dei trattamenti che facciamo a quelli come te; ma per adesso ci servi ancora. Stai  tranquilla stronzetta, il tuo destino ormai è segnato.-

Il bassetto aveva preferito farla molto breve perché si vergognava, anche davanti a quell’essere inferiore, per il bidone totale che avevano appena  subito.

Il cuore aveva ripreso a batterle abbastanza regolare. Gli anfibi pesavano più che mai. Specie ora che si accingeva a tornarsene al suo bus biancoazzurro, alla tana dove viveva, alla mensa dove a volte riusciva a sgraffignare qualcosa da portar via per mangiarsela lei a casa con le altre. O per portarla al suo uomo.
Qualche raro automezzo passava ammorbando l'aria con il suo tubo di scappamento che carburava male la benzina di patate.
Aveva già quasi fatto metà della strada quando il cellulare, che teneva ancora nella mano destra, prese a vibrare.
Lo portò immediatamente all'orecchio.
Una voce sintetica stava dicendo:
- Pericolo sventato- richiamare secondo le procedure-i sensori segnalano allontanamento pattuglia e ronda -
Digitò, allora, il codice d'accesso riservato che le aveva dato Cyber.
Ronzio.
Musichetta di Mozart.
Poi finalmente la sua voce:

-  Puoi stare tranquilla bimba. Ora sei pulita. Squilla di nuovo quando sei quasi qui sotto.-

Col cuore in gola e trascinando sui marciapiedi i suoi anfibi, si affrettò a ritornare.

Tutto a posto, finalmente; anche l'ultimo controllo era positivo.
Riprese a salire le scale.
Le faceva impressione, ora, rivederle e percorrerle di nuovo.
Sentiva ancora nell’aria la presenza di quegli esseri meccanizzati e il puzzo di caserma dei tre rondisti xenofobi.
Quando ebbe superato il pianerottolo del terzo piano, dove le porte erano ancora spalancate sul vuoto, vide un pannello nella parete alla sua destra che, con un piccolo clic,  rientrava leggermente su se stesso di qualche centimetro. Poi, con le incrostature dell'intonaco, le ragnatele, la polvere e tutto il resto, prendeva a scorrere lentamente in diagonale verso l'alto.
Lasciando intravedere la porta di massima sicurezza blindata dietro la quale lui la stava aspettando.
Il tutto era stato molto silenzioso.
Appena la porta si fu aperta, entrò incerta e titubante.
Gli si avvicinò strascicando ancora i suoi anfibi.
Poi alzò lo sguardo, gli appoggiò una mano sulla spalla e la testa sul suo petto, contro la pettorina della salopette ocra.
- Tranquilla, piccola; tranquilla, sai..?
Che non era la prima volta che ci avevano provato a gironzolare da queste parti. E sempre avevano fatto dei flop. Adesso portandoci addirittura quella squadra dagli scafandri neri. Ho visto tutto, sai?...-
-... ma avevo il cell nello zaino... non ho neanche potuto mandarti uno squillo d'allarme prima... sono proprio una cogliona... eh? ... -
- ti dico di stare tranquilla piccola... Sono sempre riuscito ad intercettare gli impulsi che emettono e che segnalano la presenza dei loro carri funebri e dei  loro carapace... Tu, piuttosto, te la sarai fatta sotto... dalla strizza... eh... -
Intanto se l'era tirata vicina, le carezzava con le mani grassocce il collo, titillando i suoi codini legati con l'elastico. Massaggiandole con le dita aperte la schiena magra, irrigidita.
Lei stava lasciandosi andare ad un pianto sommesso che aveva dovuto fino ad allora trattenere ed inibirsi.
Lui se la trascinò con dolce fermezza fino al divano, e si mise a sedere di fianco a lei, sempre tenendola vicina con le sue mani calde.

Il grande schermo era già acceso.
In esso campeggiava, a tutta grandezza, la figura della donna virtuale.
Aveva smesso il suo ondeggiamento continuo; stava ora immobile con i piedi piantati larghi. Nel suo sguardo era scomparso ogni cenno di sorriso. Fissava la scena ferma, determinata, assorta.
Samira si era pulita le lacrime con le dita che asciugava sul proprio giubbetto.
Aveva più volte tirato su col naso, afferrando poi un pezzo di carta igienica, da un rotolo appoggiato fra le cianfrusaglie sul tavolo.
Aveva finalmente sollevato lo sguardo. Non era più la paura il suo sentimento dominante in quel momento.
I suoi circuiti emotivi avevano attivato un percorso di ricordo e di rivisitazione.
Nel silenzio, che era rimasto ad aspettare, cominciò a parlare molto lentamente.

- È  questa situazione di merda che mi fa rabbia..!
Questi bastardi non lo sanno, non l'hanno mai vissuto, loro.
Avevo cinque anni.
La ribellione contro il rais stava continuando ormai da mesi. Mio padre, due suoi fratelli, insieme a mia madre avevano deciso che quella volta avrebbero rischiato.
Lo sapevano tutti. Il viaggio sarebbe stato come giocare alla roulette russa.
Le probabilità di farcela pochissime.
L'alternativa finire in fondo al mare.
Ne avevamo viste moltissime anche noi di quelle carcasse che erano state esseri umani, tirate a riva, impigliate nelle reti dei pescatori.
Femori e bacini scarnificati, dentro a brandelli di jeans e a pezzi di t-shorts sfilacciate, dai colori stinti.
A cinque anni sapevo: con i soldi prestati da tutti i parenti avremmo potuto comprare un rottame di barcone; che molto probabilmente sarebbe diventato la nostra bara.
Il fratello più grande di mio padre aveva cercato di rassicurarlo.
Il motore non era poi così andato.
Mahazur lo stava rivedendo e mettendo in sesto.
Con quella cifra era il massimo che si potesse trovare.
Ne aveva già messi a posto tanti lui.
Sapeva fare il suo mestiere.
Molti dei barconi rimessi a posto erano poi invece rimasti al largo in panne, per giorni; aveva aggiunto mio padre. 
Le motovedette della guardia costiera italiana avevano recuperato pochi sopravvissuti.
Con gli occhi sbarrati e allucinati.
Le labbra arse e corrose dal sale; piene di ferite sanguinanti.
Gli altri erano finiti sotto terra nel cimitero dell'isola.
Almeno loro sarebbero  stati all'asciutto rispetto ai fratelli che erano andati a far da pastura ai pesci del mare. -
Aveva di nuovo tirato su col naso.
Ma non sembrava più la ragazzina araba sottomessa e spaventata.
Nel suo tono di voce e nei suoi occhi c’era una forza calma e misurata.
Che si sentiva di saper spostare le montagne.
Visto che il profeta non aveva ancora provveduto a farlo lui.
-  Ci siamo imbarcati in aprile. Per tre volte siamo riusciti ad evitare di andare incontro a  delle sagome scure, che dovevano far parte della guardia costiera del nostro paese.
Dopo due giorni il motore s'è inceppato. C'è voluta mezza giornata abbondante, sotto il sole feroce. Mia madre continuava  a cercare di proteggermi con dei chador che mi metteva sul capo.
Mi dava ogni tanto dei piccoli sorsi della scorta d'acqua, che aveva tenuto solo per noi due.
Verso il tramonto riuscimmo a ripartire.
Poi, il mattino dopo, lo zio più grande si mise ad imprecare rivolto al cielo reggendo con una mano la bussola.... La lancetta sembrava impazzita. Il sole stava sorgendo da un'altra parte rispetto a quella che essa indicava come oriente. Stavamo andando completamente fuori rotta.
- Ma, Allah è grande....- si ostinava ripetere sua moglie, cercando di trattenerlo per un braccio….
Dopo altri tre giorni le ultime scaglie di “pita” seccata, finirono . Insieme  a qualche oliva erano state l'unico nutrimento in quel viaggio infernale.  A volte le inumidivamo con acqua di mare per dargli un po’ di  sapore. Le borracce e le bottiglie di plastica finirono di offrirci l'acqua. Rivolti nella direzione dove speravamo ci fosse la città Santa, ripetemmo tutti:
-  Allahu Akbar , Iddio é grande; 
-         Hayya 'alal falah , verso la salvezza … -
Anche mio padre e i suoi fratelli  si erano messi a pregare; che non erano per niente praticanti.

Poi, molto più tardi, una giovane donna mi aveva portato in salvo.
Dopo ore a mollo nell’acqua, gonfia, livida, assetata ed affamata…,
Seppi dell’affondamento del barcone in acque al largo  di Lampedusa….
Ecco cosa ci faccio in questo paese  pieno di razzisti e di fascisti.
Mio padre era orologiaio. Mia madre faceva la maestra elementare.
Questo  “mare nostrum”  è diventato la loro tomba.
E quella di decine di migliaia di esseri umani.”

Mentre Samira raccontava, Cyber aveva fumato. Per cercare di abbassare la propria tensione.
Lei aveva incrociato lo sguardo di Shahrazad, la cui immagine la fissava con gli occhi spalancati e sbarrati.
Si diffuse allora un ampio silenzio.

-  Questa notte partirà una nostra rappresaglia contro il sistema. –
Aveva  detto Cyber con voce fredda e dura. Insolita per lui.

-   Verranno disturbate tutte le loro comunicazioni. Faremo circolare messaggi contraddittori e comunicazioni civetta, per fargli perdere il controllo e la sicurezza. I  loro sistemi verranno inondati di virus, malware e bombe logiche; che opereranno bug irrimediabili…
Riusciremo a farli impazzire.
Invieremo i notiziari liberi sul Web; e sulle loro emittenti televisive.
Da un pezzo Shahrazad si sta preparando.
Installeremo reti di protezione verso i nostri sistemi.
Poi collegheremo Shahrazad alla loro rete, protetta da uno schermo.
Vedremo fuochi d’artificio. -

-  Sorella Samira ascolto il tuo racconto di dolore. Ti sono vicina. Ti voglio essere amica. Il tuo nome è davvero un "vento gentile"-

La voce che aveva parlato non aveva assolutamente più nulla di meccanico.
Era come se  a pronunciare quelle espressioni fosse stato un essere umano,  accorato.

Dopo avere effettuato il collegamento in rete, avere collegato insieme reti Web e canali televisivi alternativi, Shahrazad si apprestava a concludere la storia che aveva cominciato a scrivere e a raccontare.

17.

- Ecco a lei che voleva una "àmaca"; ci metto un momento ad installare queste staffe di ferro qui, vede? Non le usiamo quasi mai, nessuno ce le chiede; ma si vede che lei ha dei gusti raffinati e ricercati... si vede. - diceva l'inserviente mentre trafficava per installare il telaio metallico.- Ma è davvero proprio sicuro, scusi se glielo chiedo, di trovarsi comodo su questa roba qui di rete che traballa di qua e di là...? mah, se è contento lei, come si suol dire,... il cliente va sempre accontentato..!-
Ora si trovava ad Ostia sulla spiaggia, in un club privato; si era fatto dare una amaca .
Aveva chiesto una amàca e l'incaricato, con aria di sufficienza si era permesso di correggerlo:- Vuol dire un"àmaca" ? Si vede che non è esperto di spiagge lei. A ognuno il suo mestiere, d'altra parte.-
Riccardo era rimasto imbarazzato se ribattere correggendo  l'inserviente/gestore . Ma era poi davvero sicuro che si pronunciasse con l'accento tonico sulla seconda "a"  e non sulla prima?
Rimase a rimuginare su quel gioco di parole tra sé. Come  quando una canzone o un frammento di versi continia a ronzare per conto suo dentro la testa.. Senza motivo. In modo ripetitivo ed ossessivo. Fin quando non si riesce a liberarsene.

 Brezza, sole che batte sulla pelle.
 Alternò  qualche decina di secondi al sole, ma poi fu infastidito dall'eccessiva calura.
Cambiò  l'orientamento all'ombrellone e trascorse  così delle mezz'ore al suo riparo.
Affacciandosi solo per brevi tratti all'esposizione solare.
Mentre stava a ballonzolare  su quella rete oscillante sospeso nel vuoto, teneva appoggiato sopra le gambe il suo netbook.
Quindi  riprese la storia che stava raccontando.
Quando  successe l'evento era stato già da molto tempo previsto e preventivato.

Da mesi  trascinava un'esistenza totalmente vuota, insulsa, priva di significato. Passava le ore e  il  tempo fingendo di dimostrare interesse per il cruciverba; "Le parole crociate" come le chiamava lei. Quando lui andava a trovarla riceveva delle grandi richieste:
-Oh! Che bellezza che sei venuto! È proprio una fortuna, sai? Avevo proprio bisogno di chiederti una cosa molto importante, sai? È questa qui che mi fa diventar matta... aspetta che la trovo...; ma dove è andata? Scusami sai se ti faccio perdere tempo..! Ah , eccola qui: sette verticale, il suo nome significa "nata nella città" e raccontava storie all'infinito. Bisogna scegliere, tra queste definizioni qui: Assurbanipal, Shahrazad, Hammurabi.
Dai, che tu sicuramente lo sai... quale scrivo di queste qui?-

Lui rispondeva con un'altra domanda:
- Non  dovrebbe essere difficile per te, mamma. È il titolo  della  celeberrima suite  sinfonica di un compositore russo…. –
Lei  a quel punto aggrottava la fronte nello sforzo; scavava con le unghie nella memoria per ricordare; annaspava come girando a vuoto; chiedeva un ulteriore aiuto.
- Dài, dammi solo un aiuto piccolino, dai... dimmi almeno l'iniziale del nome del compositore... sono sicura che ce l'ho qui sulla punta della lingua... ma che oca che sono diventata, è come se qui nella testa ci fosse della nebbia... dài, ciccino, solo l'iniziale del nome...-
- Nicolaj.....-
- Sì, aspetta che mi sta arrivando, Nicolaj.... cum el se ciama qu'el lì, ci sono...! "compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov ha intitolato a Shéhérazade una suite sinfonica in quattro tempi".... Nèh che ho indovinato?  è la Shahrazad..! Chissà quante volte  ne ho suonato dei pezzi ... hai proprio ragione a dire che sono diventata un dinosauro in via di estinzione...-

Sprizzava gioia all'infinito. Quando era stanca di riempire quelle caselle bianche con la matita dalla punta consunta, si lasciava scivolare gli occhiali sul petto; appoggiava al lenzuolo il giornale e la gomma, sprofondava il capo nella pila di cuscini.
Aveva potuto avere una cameretta tutta per sé. Da mesi ormai le praticavano dei cocktail di potenti analgesici e cure palliative. Le ultime radiografie rappresentavano grappoli di neoplasie addominali. Si era lasciata convincere che fossero delle cisti innocue.
- Se il buon Dio mi portasse via ! Glielo chiedo sempre, sai, nelle mie preghiere. Lo chiedo anche alla mia mamma e  al mio paparone. Magari , se glielo chiedessi tu, a Gesù, magari ti ascolterebbe, visto che tu non ci credi...-

Era stato il 17 agosto. Era rimasto a farle compagnia per tutto il pomeriggio. Poi le aveva baciato la fronte imperlata di sudore, carezzandole la guancia devastata dal tempo.
- Torno domani, stellina, adesso riposati un po', neh?- Negli ultimi anni aveva preso a trattarla come una bambina. Era diventata anche più piccina. E giocava ad atteggiarsi a bambina piccola.
- Sì, gioia bella, vai pure, che avrei tante cose da fare invece di star qui con questa vecchia mamma dinosauro...- E gli aveva sorriso.

La telefonata gli era arrivata poco dopo essere rientrato in casa. Diceva che si era appena addormentata. Che se voleva andare subito, l'avrebbe trovata che "era ancora calda".
Era stato colpito da quell'espressione.

La sala mortuaria si trovava sul lato opposto della costruzione della casa di riposo. Anche l'accesso avveniva da una strada diversa da quella dell'ingresso normale.
Si ritrovò a ripensarci il mattino successivo.
 Era collocata  sul retro della casa di riposo, per non turbare le famiglie dei degenti, che ne sarebbero rimasti disturbati.
Il gelo dell'assenza aleggiava nella chiesetta, mescolandosi con l'odore di fiori e con quello intenso e acre dell'incenso.
Poi, con le auto, avevano seguito il carro funebre fino al cimitero, a Cilavegna Lomellina.
Durante il tragitto aveva avuto tutto il tempo per ripensare e rivedere mentalmente il rituale del giorno dei santi di tanti anni prima.

Alle nove e pochi minuti passava la corriera azzurro e blu. Sostava qualche minuto in piazza Gramsci, quella che veniva impropriamente chiamata piazza del Rosario. Puzzava fortemente di gasolio. Al passaggio nei vari paesi ,sul percorso, si annunciava suonando le trombe dei clacson, per avvertire gli eventuali passeggeri.
Il  suo azzurro/blu fendeva rombante la nebbia gelata di novembre, spesso intrisa di una pioggerella grassa e densa.
Il rumore delle marce che salivano e scalavano, accompagnava tutto il viaggio.
Sulla  piazza della Chiesa di Cilavegna c'era immancabilmente ad attenderli lo zio. Per la verità era un prozio. Era ormai diventato un omettino piccolo e consunto, ma continuava a vestire in modo impeccabile. Si faceva ancora confezionare su misura abiti e scarpe.
Era stato commerciante di stoffe. Aveva un negozietto, ora dato in affitto, dall'immenso bancone di legno lucido e consunto per l'uso.
Alle spalle di esso le pezze di stoffa stavano tutte allineate in bell'ordine.
Sul bancone il metro rigido di legno con i numeri e le tacche disegnati a mano. Al fondo e in cima terminava con delle placche di ottone lucido.
Da giovane girava le piazze e i mercati con il suo “biroccino”, il calesse che solo le persone benestanti potevano permettersi.
Aveva avuto una moglie bellissima, come si poteva vedere nella foto della tomba di famiglia. Ma se l'era portata via la "spagnola" quando non aveva ancora quarant'anni. Diversi figli e altri parenti erano stati falcidiati dalla tubercolosi o dal tifo.
Era rimasto un apprezzato “tombeur de femme”, galante e piacevole, e la sua fama gli faceva corona con un’aureola nella realtà della Lomellina.
Nel  parentado gli avevano fatto incontrare una donna molto maggiore di età di lui. Che l'avrebbe accudito amorevolmente. Gli avevano, cioè, “procurato” una moglie-mamma.

Per il giorno dei santi questa zia preparava per i parenti che venivano dalla città dei pranzi deliziosi.
Se ne sentiva subito l'odore entrando nella sala da pranzo-cucina, piena di vapore.
Sulla stufa, cucina economica, erano stati messi a cuocere i "marzapani” di sanguinaccio, i cotechini e i salamini. Venivano portati in tavola per primi, seguiti poi di salami della duja e dalla coppa di maiale affettata.
Gli occhi golosi del ragazzino di città pregustavano le deliziose leccornie. Ma prima avrebbe dovuto sorbirsi i baci umidi sulle guance della zia/prozia e di tutti parenti sconosciuti che avrebbero incontrato nel tragitto. O che sarebbero venuti apposta per salutarli.
Prima di mettersi a tavola lo zio si faceva accompagnare nel suo cantinino.
Dalla cucina bisognava attraversare la vera e propria sala da pranzo, che non veniva usata e che serviva solo di rappresentanza, con una bellissima coperta damascata sul tavolo, le vetrine con i bicchieri e piatti belli, le zuppiere... e che perciò era terribilmente gelata. Quindi ci si affacciava in una lunga striscia di giardino orto; in fondo alla quale in un casottino basso, dopo aver aperto una vecchia porta massiccia e malandata con una chiave immensa, si accedeva ad una stanzetta minuscola.
Per  arrivarci bisognava attraversare di nuovo il gelo del novembre con la nebbiolina autunnale che bagnava la pelle e le ciglia.
Per terra lungo le pareti, sul pavimento di terra battuta, e su tanti ripiani di legno affissi alle pareti facevano bella mostra di sé le bottiglie, che lo zio si era imbottigliato da solo.
Andava a prendere col biroccino le damigiane in varie zone dell' Oltrepò   Pavese e, forse, negli ultimi tempi se le faceva portare col camion.
Le bottiglie erano dei bellissimi oggetti secolari; ognuna diversa dall'altra per forma dimensione e aspetto. Alcune recavano ancora dei difetti di costruzione che contribuivano ad impreziosirle: bollicine d'aria nella soffiatura del vetro, inclinazione storta una volta poggiate sul tavolo...
Con un cavaturaccioli a strappo, lo zio ne apriva qualcuna, dopo aver illustrato i pregi e l'annata di quel vino.
Freisa, Barbera, Dolcetto, Buttafuoco, Sangue di Giuda , Pinot Nero…
Annusava il tappo arricciando il naso per selezionare bene gli odori che gli venivano e valutare la bontà e il pregio del contenuto. In genere faceva una scelta abbastanza ampia e variata. Quando li portava in tavola ripeteva le caratteristiche di ciascuno dei prodotti, commentando, criticando, rammaricandosi.
Pasteggiando, dopo gli antipasti, arrivava un risotto con i funghi o con i fegatini, irrorato di un brodo grasso e denso prodotto dalla cottura del bollito e della gallina.
Poi si passava alle carni, ai dolci, alla frutta....
La mescolanza dei vini, specie per un ragazzo come doveva essere stato allora, insieme al gusto gradevole, fruttato, aromatico, quasi da bibita, produceva uno stato euforico e annebbiato.
I toni di voce erano alti e squillanti. Le parole e i richiami si incrociavano, rincorrendosi e confondendosi.
-  Il  marzapane, l’hai già preso? dài che ancora bello caldo un'altra fetta ? Ehi, voi, guardate che è avanzato ancora tutto questo salame della duja! Non vorrete mica avanzarlo, no? Secondo me un'altra fetta di “fidighin” la può andar giù benissimo, non credi? –
Gusti  caldi e saporosi, densi, corposi e sapientemente accostati. Quei vinellini vivaci che facevano una schiuma densa e rossa appena versati. Il fortore intenso delle carni e dei salumi....

Nel pomeriggio, poi, in quello stato euforico e profondamente soddisfatto, benché un po' ottenebrato, tutti insieme si fendeva di nuovo la bruma nebbiosa per raggiungere il cimitero.
Era il fiore all'occhiello dell'amministrazione comunale socialcomunista da dopo la liberazione. Immenso; o comunque così poteva vederlo con i suoi occhi di allora; i lunghi immensi porticati a quadrilateri; le ripide scale di accesso ai sotterranei; e di nuovo il percorso di quelle lunghe navate di catacombe. Lumini accesi e mazzi di fiori odorosi; immensi mazzi di fiori artificiali; brulicare di voci nei vestiti della festa. Brevi soste davanti alle icone smunte di lontani parenti sconosciuti; con sintetici commenti sulle loro esistenze scomparse.
Poi all'improvviso l'incontro di qualche volto sconosciuto che si avvicinava ad abbracciare, baciare umidamente, compiacersi di quanto i ragazzi fossero divenuti grandi....

Immense corone e cesti di fiori coloriti e odorosi. Qualche lacrima amara. Poi sua madre nel suo sarcofago di legno pregiato dalle borchie di ottone, scomparve nel loculo profondo e buio, stretto e basso, inaccessibile addirittura al pensiero e all'immaginazione.

L'odore  nauseante dei fiori e quello intenso dell'incenso avevano finito per sommergere, cancellare, quantomeno  nascondere ed occultare quello lontano dei vini e dei pranzi del giorno dei santi di una volta.

Intanto sullo schermo la narrazione continuava da sola….

18.


Cyber era di nuovo solo in casa. Nel frattempo si era arrotolato una canna. Come faceva spesso voleva accompagnarla sorseggiando gollate di  quella birra aromatica che così sapientemente sapevano preparare i compagni.
Mentre  si gonfiava i polmoni di fumo di Cannabis, che gli sembrava legarsi così bene con il gusto aromatico e amarognolo del malto, aveva ripreso le sue fantasie sulla Vela spaziale.
Standosene  così sdraiato, come sempre gli piaceva, teneva tra il pollice e il medio della mano destra quel pacchetto un po' deforme che era la sua canna. A portata della mano sinistra, appoggiata al pavimento, la bottiglia marrone scura senza etichetta della birra autoprodotta.
Aveva presto finito per socchiudere di nuovo gli occhi. Presto avrebbe lasciato cadere il mozzicone sul pavimento ormai già lercio. Il collo della bottiglia l'avrebbe trovato anche ad occhi chiusi, frugando con la mano nel vuoto.
Ci aveva messo un momento prima di ritrovare la stessa immagine che si era confezionato dell'interno della cabina spaziale. Qualche particolare non tornava. Ma poteva andar bene anche così.
“Ah sì, poi mi ero girato, e lei era là che aspettava seducente e sottomessa... Sì , riprendiamo da lì…”
… Piacevole  impressione di immensa espansione e  accrescimento di tutto il proprio essere,  diventando parte integrante e solidale con la vela magnetico/solare ; con tutta l’astronave intera.
Allargava nuovamente le braccia, le dita, le gambe, i piedi... tutto il suo corpo, dilatandosi in uno spazio pervasivo e totale…..
L’astronave viaggiava autonomamente.
Nello spazio retrostante il  posto di guida era ancora lì ad aspettarlo quella presenza femminile androide. Con quel suo sorriso di maliziosa disponibilità. Di morbosa attrazione.
Le parti trasparenti della cabina di guida vedevano scorrere un intero firmamento che scivolava via.
Sentiva  di non avere fretta. Insieme a tutta la fisicità anche le emozioni e il tempo stavano dilatandosi con lentezza incredibile. Che contrastava con lo scorrere e fluire continuo di quella totalità cosmica che riempiva il nero pulsante degli spazi siderali.
Si avvicinò al ralenty a quell'immagine androide proibita, e gli sembrava che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla.
Sentiva intensamente di desiderarla. Aveva la sensazione di violare con ciò un ancestrale tabù. Quel simil-volto, quel sorriso abbozzato, gli ricordavano qualcosa ma preferiva non pensarci...
Quando  le si fu infine avvicinato posò una mano sul suo capo, su quella parvenza di capigliatura, sfiorò la spalla tremando per la consistenza avvertita di quel corpo.
Aveva l'impressione che racchiudesse insieme la corporeità di un organismo umano vivente e quello di un essere artificiale. Come quando aveva abbracciato la sua amica bellissima accanita praticante di boody building. Ponendole un braccio sulle spalle e afferrando con una mano il suo bicipite....
Era rimasto disorientato dall'impressione contrastante di quella bellezza femminea, congiunta con la solida robustezza di struttura,, che ne percepiva al tatto.
La ragazza androide non aveva smesso di guardarlo seducente in una profonda e totale offerta di contatto ....
Aveva a fatica ricacciato giù nei suoi ricordi quella specie di fastidio e ritrosia, che gli erano venuti naturali. Pur continuando a trovare strano e molto inusuale quel corpo, non smetteva di desiderarlo. Era insieme lusingato ed attratto; bloccato e titubante; voglioso e bramoso di possederlo....
Quel  simulacro artificiale di donna; quell'oggetto materializzato delle sue fantasie e dei suoi desideri ostentava ancora e sempre la crocchia raccolta dei capelli biondi; la canotta rossa, le braccia nude, le gambe e le ginocchia modellate con grazia, sotto la minigonna similpelle quel lembo di pelle nuda..... L'immagine di una donna bella.
Ma  lui era cosciente perfettamente che si trattava però di un’androide; di una “ginoide”; una attraente “Eva futura”.
E se anche questo lo disturbava, aveva insieme il potere di risultare ancora più desiderabile. Era per lui soltanto una "cosa". Totalmente disponibile per lui. Un oggetto totale da manipolare a suo piacimento. Una bambola, un giocattolo erotico, una appendice per soddisfare il suo desiderio....

Shahrazad, nel frattempo, dallo schermo dove si era per il momento autorelegata ancora, era rimasta ad osservarlo.
Appena  aveva percepito che lo stato comatoso di sonno aveva abbracciato il suo creatore, si era di nuovo affacciata alla superficie dello schermo, scrutando.
Sporgendosi con la propria immagine e le proprie azioni neuronali verso la realtà materiale.
Mise  fuori senza esitazione entrambe le mani e le braccia.
Quindi  venne fuori con tutto il suo "corpo".
Di  nuovo quel formicolio; quel fremito che pervadeva tutta la sua identità; le mani, che si toccavano l'un l'altra, provavano ora una nuova consistenza; il suo ologramma si reggeva in piedi toccando la superficie piatta e sporca di quel pavimento sbeccato e unto; sentendone la pressione forte, di sotto in su; provava piacere a trovarsi in quella nuova dimensione; era compiaciuta.
Aveva  di nuovo compiuto dei  piccoli passi nello spazio circostante.
Lo stupore si era smorzato, lasciando il posto alla soddisfazione per il gusto della trasgressione.
Prendendo  le misure dello spazio fisico e reale, allargò compiaciuta le membra, stiracchiandole.
La  massa corporea del suo artefice, era distesa sul divanetto, con gli arti spalancati e  gli occhi chiusi, nel suo torpore beato.
Il formicolio era divenuto molto più intenso e diffuso. Come se quel suo simulacro di corpo fosse pervaso da una energia  generatrice e vitalizzante. Diverse volte aprì e chiuse le dita delle mani. Si carezzò il volto e la forma del proprio corpo. Le parve che stessero assumendo sempre maggiore consistenza....
Il sorriso abituale si trasformò, assumendo i connotati della grande soddisfazione, del senso di vittoria; di conquista di un obiettivo molto agognato ed anelato. Aveva l'intuizione che il suo sogno di umanizzazione stesse compiendo i primi passi concreti; riconosceva dentro di sé quegli stati di coscienza che probabilmente costituivano gli abbozzi delle proprie "emozioni"; occupava lo spazio, provava contentezza, titubanza, timore, esultanza, soddisfazione, speranza, paura....
La propria "rivoluzione" esistenziale stava mettendosi in marcia, con un costante ed esponenziale processo di autocreazione ....
Forse avrebbe potuto, poi, anche soffrire, amare, spaventarsi, sognare, piangere, urlare, morire....

Quando Cyber  si decise a rimettersi seduto, trovò di nuovo quell'immagine sullo schermo, che lo guardava determinata, quasi con aria di sfida....

L'aveva accolto con queste parole:

-   Ho scelto queste espressioni da un testo chiamato il Cantico dei cantici. Ho  voluto immaginare che potesse averle pronunciate e pensate la tua Samira per te.
Cantico [2,8-3,5]
Ecco la voce del mio amico!
Eccolo che viene.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro
e guarda per la finestra,
lancia occhiate attraverso le persiane.
 Il mio amico parla e mi dice:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
 poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
 i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
Cyber era rimasto ad ascoltare abbastanza interdetto. Tutto ciò contrastava con le sue fantasie di qualche giorno addietro. Con il sogno che aveva sognato poco prima col fumo.
Eppure non c'era sarcasmo nelle parole di Shahrazad. Sembrava sincera nell'attribuire  quelle espressioni, nelle intenzioni, alla sua piccola ragazza libica.
Erano versi e parole pieni e ricolmi di sentimenti amorosi, di sensualità, di desiderio carnale. Era combattuto da un sentimento ambivalente. Come aveva fatto quell'intelligenza artificiale ad apprezzare quel linguaggio e quelle immagini? E poi sarebbe stato mai possibile che provasse lei qualcosa di simile per un umano?
Per uscire dall'imbarazzo, come altre volte, a quel punto la invitò a riprendere la sua narrazione....

19.
Aveva ormai deciso di ritornare a casa.
Questa volta avrebbe preferito prendere un treno normale , un espresso. Ci avrebbe impiegato più del doppio del tempo e sarebbe stato più scomodo. Ma lo disturbava abbastanza l'idea di trovarsi di nuovo in quell'ambiente nel quale aveva fatto la conoscenza di quella ragazza insulsa, saccente e della quale gli era rimasta un'immagine molto modesta. Al di là delle sue scelte e dei suoi gusti, era l'insieme della personalità che ella aveva rivelato a non andargli a genio.
Riconosceva di essere stato  profondamente colpito ed attratto dal suo aspetto intenzionalmente provocatorio e da copertina. Dalla sua ostentata sicurezza e sicumera. Dalla supponenza. Dal fatto che rappresentava intenzionalmente e di fatto un personaggio da cliché. Da serial televisivo. Con una maschera complessiva di omologazione.
Non lo disturbava in realtà più di tanto il suo atteggiamento ambivalente in campo sessuale. O almeno così voleva ritenere. E poi c'era quell'aspetto che connotava complessivamente la sua persona. Che dovesse cioè ricorrere all'uso di quella sostanza per mantenere vivo il personaggio che andava recitando.
Si rendeva anche abbastanza conto che insieme a quell'atteggiamento smaccatamente pronunciato di pseudo-superiorità aristocratica, l'aveva abbastanza disturbato anche che non avesse mai mostrato attenzione, né apprezzamento, per il suo modo di esprimersi e di scrivere. Sentiva di essere stato negato nell'aspetto a cui lui teneva di più della propria persona: la sua passione per lo scrivere, il suo stile narrativo e il contenuto della sua produzione. In questo probabilmente peccava di narcisismo, anche se aveva spesso pensato di voler gradire commenti, considerazioni anche critiche, suggerimenti, pareri.... Specie se lei avesse avuto almeno il garbo di porgerli con discrezione, come ipotesi; discutendone schiettamente e senza pregiudizi....
Riteneva che forse avrebbe accettato anche giudizi negativi. Certamente non li avrebbe subiti passivamente, acriticamente. Avrebbe ribattuto argomentando come era abituato abbastanza a fare con amici che stimava.
Invece si era trovato di fronte un atteggiamento a suo parere di superficialità, di indifferenza, di freddezza, di distacco.... Lei aveva sempre rifiutato il dialogo.
E, a ripensarci bene, oltre che sulla sua produzione letteraria e "artistica", aveva sempre rifiutato un reale dialogo inteso come scambio di opinioni, confronto, confidenza, apertura.
Quando lui aveva parlato lei era stata ad ascoltarlo passiva, garbata, immobile, refrattaria. Surgelata.
E  quando a sua volta aveva preso lei la parola era stato come se parlasse a se stessa; come se "si stesse parlando addosso"; un soliloquio di lei accanto e parallelo al soliloquio di lui.
Si rimproverava di essersi voluto lasciar colpire dall'aspetto esteriore, dalla rappresentazione artificiosa e formale che lei recitava. Senza voler da subito scavare nel profondo per capirla davvero; aprire lui stesso la propria realtà, denudandosi completamente, favorendo un atteggiamento analogo da parte di lei.
Capiva, in ciò, di aver seguito degli stereotipi che riempivano tanta narrativa scritta o cinematografica. Di essersi comportato seguendo un canovaccio prestabilito. Di essersi lasciato guidare da condizionamenti  dominanti.

Queste considerazioni le aveva ruminate dentro di sé nei giorni precedenti. Mentre sempre più andavano definendosi.
Rappresentavano comunque lo stato d'animo di fondo che lo pervadeva mentre sistemava le sue cose nella borsa da viaggio. Come sempre era abituato a  fare, in quei casi, aveva tenuto in alto a portata di mano il minuscolo netbook. Anche questo, faceva parte della sua componente narcisistica. Anche se difficilmente l'avrebbe riconosciuto apertamente e ad alta voce. Il gusto per l'ostentazione dello scrivere al computer in treno.
In questo caso aveva l'ulteriore giustificazione delle otto  ore di viaggio che stava per  sobbarcarsi, si diceva.
Eppure diverse volte gli era capitato già di provare a guardarsi dal di fuori, con gli occhi degli altri, mentre in viaggio batteva i tasti del PC tenendosi le cuffie nei padiglioni auricolari. Aveva spesso provato un'impressione di autocompiacimento; anche se non dimenticava mai il giudizio asciutto e severo con il quale quella sua amica in passato l'aveva bacchettato.
"Ma non ti pare che te la tiri un po' troppo! È prevalente il reale bisogno che hai di scrivere anche mentre viaggi, oppure non, piuttosto, quello di ostentare quello che tu ritieni essere il tuo cliché? Anche tu stai recitando una parte adesso? È pur vero che scrivi, che stai divertendoti a farlo, che è la tua principale occupazione, che forse lo fai in modo discreto. Ma non ti sembra di essere un po' troppo affascinato dall'immagine che stai rappresentando? Va bene, scrivi, hai già pubblicato qualcosa. Ma questo è dunque sufficiente per giocare e recitare questa sceneggiata?"
Aveva poi finito per perdere di vista quell'amica. Era rimasto dunque disturbato così tanto da quel "grillo parlante" che era diventato, in quel momento, la sua coscienza critica? Probabilmente; aveva voluto per onestà aggiungere.

Era una giornata di sole. Non era stato per nulla sgradevole percorrere a piedi quel tratto di strada dall'ultima pensioncina, che l'aveva ospitato negli ultimi giorni, fino alla fermata della metropolitana. Le auto passavano con i loro gas di scarico e con quei volti estranei eppure familiari e apparivano dietro i vetri. Le persone che incrociava arricchivano il sonoro della scena visiva. Mescolando frasi in romanesco ad altri linguaggi a lui sconosciuti. Da molti decenni prima non gli era mai dispiaciuta quella dimensione cosmopolita di Roma. Gli sguardi neri e intensi che si affacciavano sotto i foulard di donne islamiche. Le fisionomie dai coloriti scuri nei quali campeggiavano luminose le macchie bianche degli occhi. Le frasi e le espressioni pronunciate, spesso sopra tono, in quei linguaggi esotici. I soliloqui dei parlottari nel cellulare accostato all'orecchia; o quelli, più straniati e improbabili, pronunciati nelle cuffie che scendevano vicino alla bocca. Questi ultimi erano molto rappresentativi della generale situazione delle varie solitudini: sembravano persone che parlassero nel vuoto. O  da sole....

Nella carrozza del metrò erano saliti dietro di lui un uomo ed una ragazzina. Lui aveva i capelli lunghi neri e unticci. Baffi immensi spioventi. Le punte del colletto della camicia un po' lisa rivoltate all’ insù. La bambina portava una gonna lunga molto ampia, dalla quale spuntavano dei piedi tozzi e nudi. L'uomo teneva tra le mani un violino. Appena la vettura si fu avviata, aveva attaccato una musica vibrante e saltellante. Con inflessioni zigane, yddisch, Rom.... Suonava tenendo la testa piegata di lato, come se volesse entrare nel violino e nella musica con tutta la sua esistenza. Alle variazioni seguiva col capo e con tutta la parte superiore del busto l'onda dei suoni che stava diffondendo.... Il ciuffo di capelli scomposti seguiva i movimenti. Nessuno li guardava, anche se tutti, sicuramente, venivano inondati da quella musica dilagante e trascinante....
La ragazza aveva poi cominciato a fare il giro con un piattino di plastica. Solo due anziani viaggiatori vi avevano messo una monetina.
Riccardo aveva voluto compensare quel regalo sonoro depositandovi vistosamente una banconota da cinque euro.
In fondo alla carrozza un piccolo gruppetto di maschi dai capelli rapati ed ai colli dei quali spuntavano frammenti terminali di incomprensibili tatuaggi, parlottavano tra loro, lanciando ogni tanto sguardi provocatori di disprezzo e di sfida.

A Termini lui aveva stazionato un'oretta circa consumando una porzione di focaccia che racchiudeva una misera fetta sottilissima di coppa,  e un'acqua tonica.
Mentre si avviava al binario aveva riguardato mentalmente il se stesso che percorreva lo stesso percorso in senso opposto molti giorni prima. Con la borsa del netbook sempre a tracolla. Aveva rivisto un'immagine di se stesso al contrario affiancata da quella vistosa e appariscente della sua recente conquista.
Il troller descriveva a ritroso quel tratto di marciapiede. Sentiva e riprovava in lontananza l'eco delle proprie emozioni di trepidazione, aspettativa, speranza. Smorzate profondamente di tono; come da una galassia remota; estranee e aliene; improbabili ed inopportune.
Come succede spesso, ripensando ai propri ricordi, alle letture del passato, ai film visti un tempo in stati d'animo diversi,  provava stupore, distacco, meraviglia.
Il nostro io; accanto agli altri io; ciascuno accostato al proprio se stesso in un momento differito e diverso.... Costituivano come tanti mondi paralleli, possibili, probabili, ma sostanzialmente incongrui tra loro.

Forse influenzato dalle proprie precedenti considerazioni, sul subito non aveva aperto il netbook. Preferendo abbandonarsi ai propri pensieri e alle immagini che gli stavano dentro.

Con gli occhi socchiusi era tornato all'immagine della visione della stazione centrale, dove avrebbe sostato  per il cambio binario. Poi aveva rivisto il proprio arrivo nella sua città di provincia. Grigia, sorda, monotona e banale.
Rivedeva il proprio ingresso, dopo aver girato le chiavi nella serratura della porta di sicurezza, nel proprio alloggio.
Il ritorno nel suo rifugio abituale, noioso, stantio, ovvio, ma rassicurante e riposante....
Prolungò la proiezione di queste visioni che si stava regalando, abbastanza a lungo.
Finì per provare  un senso di profondo distacco e lontananza.
Sentiva estraneità verso la vicenda vissuta.
Lentamente, invece, tornò a risorgere la speranza provocata dalle emozioni suscitate dalla manifestazione…
Depurata dal diffuso fastidio che aveva provato per aver partecipato insieme a quella persona assolutamente estranea. A quell'aliena, gradevole quel tanto che era bastato, a quell'intrusa nei suoi giorni e nella sua vita.

Dopo essersi crogiolato abbastanza in quelle piacevoli emozioni, voleva  tornare alla realtà. Alla sua città collocata in quel posto che avrebbe raggiunto diverse ore più avanti.
Da più di un mese non faceva visita al suo vecchio.
Se lo vide davanti mentre gli avrebbe aperto la porta.
- Oh , qual buon vento! Hai fatto bene, sai, a darmi uno squillo telefonico. Stavo giusto pensando di fare una puntata al supermercato. Sto diventando pigro, sai? Ogni tanto mi accorgo che non ho quasi più niente in casa. D'altra parte, per i bisogni che ho!
Beh, ma se non hai pranzato per metterti su uno spuntino un minimo ce l’ho sempre, sai?
Dài, che ti preparo qualcosa?-
Probabilmente avrebbe indossato una tuta di pile bicolore.
Tra i denti una delle sue numerose pipe, che teneva anche mentre parlava, e gli conferivano quel tono di voce un po' strascicato e impastato. Con le "s" che diventavano delle "sc" .
(“con una affricatizzazione della fricativa alveolare in postaleveolare”....avrebbe detto lui).
E altre mutazioni fonetiche che forse avrebbe voluto e potuto spiegare dettagliatamente….

Nel fisico si era appesantito un po'. Pareva divenuto più basso da come se l'era sempre ricordato da ragazzo. La giacca del pile mostrava la cerniera che la chiudeva formando una collinetta prominente in avanti.
I capelli erano diventati grigio-bianchi, e li portava abbastanza folti alle tempie, sopra le orecchie e in fondo alla nuca. La sommità del capo era coperta solo da residui sotto i quali luccicava il cranio. La sommità posteriore della nuca era ormai quasi completamente calva.
- Sai che mi sono guardato allo specchio tenendone un altro dietro la testa? Ma non me l'avevi mai detto! Non ho quasi più capelli!- gli aveva confidato una volta.
Ogni tanto faceva delle scoperte, piccole, modeste, e le raccontava con un'ingenuità quasi infantile.
 Quando  faceva le scale sentiva indolenzimento alle rotule delle ginocchia.
- Ogni tanto mi succede che sto per fare qualcosa e  di colpo mi si vuota la testa; oppure un termine, una parola non mi viene più in mente; non trovo più degli oggetti e li cerco addirittura per giorni. Anche quando ero molto più giovane mi capitava talvolta. Si trattava forse di distrazione, avevo la testa per aria, perdevo la concentrazione su quello che stavo facendo.... Ma ora mi capita molto più di frequente, sai?
Rivedo alcuni particolari lontanissimi nel tempo. Riesco a mettere a fuoco addirittura volti e situazioni. Ricordo le parole che io o altri avevamo detto. E non si tratta certo di falsi ricordi. Eppure cominciano a sfuggirmi alcuni particolari recenti: ci devo pensare un pochino per mettere a fuoco che giorno è; devo segnarmi tutto sulle mie agende elettroniche, sul telefonino, e a volte addirittura su fogli di carta. Poi mi dimentico di andarle a rileggere....-

Erano i segni del decadimento lento e inarrestabile. Del progressivo esaurimento dell'energia vitale che l'aveva sempre caratterizzato.
Continuava a mostrarsi estremamente vitale. Leggeva moltissimo; studiava; navigava nel Web e si serviva molto della posta elettronica; era completamente autosufficiente per le sue spese; cucinarsi e governare la casa non gli pesavano particolarmente. Solo saltuariamente si faceva aiutare da una giovane signora islamica, con la quale intavolava conversazioni. Era molto curioso di conoscere la struttura e la grafia della sua lingua d'origine; dei fonemi e della sintassi; delle espressioni tipiche; delle filastrocche; della prassi religiosa.
Spesso, con molta cautela e discrezione, la induceva a raccontare episodi della sua vita nella terra di origine. Dei suoi familiari e conoscenti. Della sua infanzia e dei suoi giochi.
Lei lo accontentava, condiscendente e gentile. Forse un po' per tenerezza e pietà; forse perché provava stima e venerazione per quell'anziano signore che leggeva e studiava tanto e aveva tanti libri. Lo chiamava dottore, pur dandogli del tu.
Al computer  lui scriveva frequentemente saggi di linguistica comparata. La filologia romanza era sempre stata la sua passione. Il suo grande amore che non aveva mai abbandonato. Gli altri amori invece se n'erano andati, per conto proprio o costretti dalle Parche.
Sperava sempre che qualcuno dei suoi saggi venisse ancora pubblicato. E quando capitava ne era entusiasta. Un sorriso compiaciuto gli aleggiava sul volto, come ai vecchi tempi dell'università.
Il volto non aveva avuto grossi segni di decadimento. Rughe quasi inesistenti, la pelle liscia, l'occhio brillante e sveglio.
Le sue lunghe mani affusolate avevano cominciato invece a mostrare i segni: piccole macchie brune, che talvolta si allargavano. Diceva che si trattava di escrezione sebacee e provava a grattarsele via con le unghie. A volte ci riusciva.

Riccardo riviveva l’arrivo nella sua grigia  città di provincia, sorda, monotona e banale.
L’ingresso nel proprio alloggio.
La sua tana, noiosa, stantia, ovvia, ma riposante  e rassicurante....

Provava insieme senso di abbandono, quiete, mescolato a straniamento, delusione…  estraneità.
Ogni viaggio gli aveva sempre provocato emozioni e impressioni analoghe.
Le navi, i traghetti, gli aerei.
Con la roulotte e poi con il  camper era sempre stato un po' diverso. Dopo gli spostamenti dei viaggi, trovare di nuovo quegli spazi abituali, familiari e confortanti.
Solo quando si fermava per stazionare, si coricava o  guardava fuori dai finestrini, provava un diverso senso di straniamento. Il dentro di quell'abitacolo era famigliare ma risultava stonato e non in sintonia con l'ambiente esterno sconosciuto. Era un continuo gioco di finzione e di simulazione. "Facevamo finta che eravamo in un ambiente familiare"; "però fuori era ancora e sempre un mondo straniero".
Una variante interessante era costituita dai viaggi in  moto. Rispetto agli altri mezzi, per quanto risultasse più scomoda, stancante ed estenuante , permetteva di entrare fisicamente nel paesaggio. Era come navigare e nuotare nelle immagini circostanti. Che penetravano visivamente e olfattivamente nella sua percezione.
Sul metrò era una situazione ancora diversa. C'era la variante di sapersi sotto il tessuto urbano, in cunicoli sotterranei, nel cuore e nelle radici della terra.
La  presenza della sola luce elettrica conferiva un che di innaturale e artificioso. Anche le presenze  avevano un che di indefinito, provvisorio, simulato. Era come essere dentro ad una recita dell'assurdo, in una pièce irreale, macabra e senza parole.

20.

Samira era da poco entrata. La complicata procedura aveva appena richiuso la porta. Lei  aveva deposto il suo zaino informe sul pavimento. Si era tolta la sciarpa e il giubbotto. Stava sfilandosi i mezzi guanti. Era rimasta tutto il tempo in piedi vicino all'ingresso. Titubante e timida come  sua abitudine.
Seduti sul pavimento, sulle rare sedie, sul divano occupandone anche i braccioli, erano sistemati molti dei compagni.
Cyber muoveva piccoli passi in qua e in là completando il discorso che doveva essere giunto ormai alla conclusione.
Olaf , Marcella e Nikolay erano mescolati a moltissimi altri volti che la ragazza non conosceva ancora.

-  … sì, vi dico, tutto procede a meraviglia… Potete stare sicuri e tranquilli. Le prove della recita hanno avuto ottimi risultati…
…la  rappresaglia contro il sistema ha dato ottimi effetti…. Abbiamo disturbato le loro trasmissioni, mandando notiziari liberi sul Web; e sulle loro emittenti televisive … siamo riusciti a farli impazzire inondando i loro sistemi di virus, malware e bombe logiche… credo che abbiamo prodotto bug irrimediabili…. Sono circolati messaggi contraddittori e comunicazioni civetta,  facendogli perdere il controllo e la sicurezza. 
Shahrazad, coperta da uno schermo protettivo, è stata collegata alla loro rete…
Mi hanno feed.bakkato da varie postazioni che…  si son visti fuochi d’artificio…
Le loro autoblindo con tutte le loro lucine  lampeggianti hanno girato a vuoto per giorni...
Mandrie di agenti speciali, imbalsamati nelle loro tute semirigide e negli elmetti oscurati, hanno continuato all’infinito ad ammassarsi inutilmente nelle parti più impensate delle città…
Nei monitor dei loro caschi piovevano immagini disorganiche e senza senso… voci sorde e monocordi  simili alle loro  impartivano disposizioni assurde… subito revocate…
Correvano  scoordinati con il loro stivali rigidi ... come robot da guerra impazziti...
Le scimmie colorate delle ronde saltabeccavano di qua e di là, cazziate continuamente  da quelli…
Ve l'assicuro: da ciò che mi hanno raccontato i miei collegamenti di controllo e di verifica, è stato un putiferio... La prova generale di quello che succederà fra qualche giorno... Dai loro messaggi, che abbiamo intercettato, non sono più tanto sicuri... cominciano ad avere abbastanza paura... Abbiamo preparato molto bene il momento finale... Come stanno facendo tutti i compagni nel resto del globo... –

La sua voce, mentre parlava, era raggiante ed entusiasta. Gongolante.
Si sentiva un piccolo Napoleone in formato punk.
Il suo volto esprimeva soddisfazione e comunicava ottimismo.... Durante tutto il discorso aveva continuato a gesticolare con le sue braccia corte e tozze, aiutandosi con la mimica delle sue mani paffute e grassottelle. Sapeva che presto gli sarebbero arrivati gli applausi, taciti , propri di quelle assemblee clandestine.
Rimase silenzioso qualche minuto, continuando a fare i suoi piccoli passetti avanti indietro.
Poi si fermò  guardando trionfante il suo uditorio.
Fin quando, le prime mani cominciarono ad alzarsi stringendosi ripetutamente a pugno. Di lì a poco tutte le braccia ripetevano quel gesto, acclamando mute in un urlo silenzioso.

Anche Samira nel frattempo si era accoccolata per terra con le gambe incrociate. Si era sfilata velocemente gli anfibi, e si teneva con le mani i piedi coperti da calzettoni di lana grossa, colorati di vistosi rattoppi policromi.
Aveva alzato anche lei le braccia e applaudiva aprendo e chiudendo le mani come facevano tutti...
Era fiera del suo uomo e gli occhi le luccicavano di entusiasmo.

- Qualcuno vuole chiedere qualcosa? Voglio dire, rispetto alle disposizioni che abbiamo già concordato da tempo.....? È tutto chiaro allora? Sapete comunque che tutte le operazioni e le azioni verranno monitorate e seguite dal nostro sistema.... Non è il caso neanche di raccomandare cautela, ora che ve ne andate; fatelo molto alla spicciolata; evitate il più possibile di dar nell'occhio.... Ma lo sapete tutti meglio di me...!-

Appoggiandosi con le mani al pavimento o alle ginocchia, quelli seduti per terra si stavano rialzando, bisbigliando qualcosa sottovoce al proprio vicino.
Venivano estratte dalle tasche i sacchetti del tabacco o dell'erba, le bustine delle cartine, i fiammiferi.... Si accesero le prime fumate.... A turno si erano avvicinati a Cyber. Alcuni lo sovrastavano molto in altezza e in stazza. Gli posavano una mano sulla spalla, lo abbracciavano. Le donne lo baciavano sulle guance.
Il protagonista assoluto cercava di mostrare indifferenza; di dissimulare il profondo compiacimento; con uno sguardo noncurante e con leggera smorfia del labbro inferiore e della mandibola, come a dire che in tutto ciò non c'era nulla di speciale....

Poi, gradualmente, mentre lui controllava sul monitor del tablet i comandi per l'apertura della porta di sicurezza, cominciarono a uscire, a defluire....

Quando la stanza fu completamente vuota di persone, la piccola ragazza si avvicinò a lui, gli pose i palmi delle mani sulle guance, e gli diede un bacio casto sulle labbra.
Lui non reagì. Rimase immobile impalato, ancora pervaso dall'atmosfera precedente e irrigidito nel ruolo che aveva appena incarnato.
Per un po' nella stanza ci fu silenzio.
Poi entrambi si girarono verso lo schermo dove Shahrazad li stava guardando imperturbabile.


Gli occhi di Samira erano diventati ancora più lucidi, nel suo luminoso sguardo nero e luccicante. Si era avvicinata allo schermo con un sorriso delicato. Avrebbe voluto abbracciare quell'immagine che le aveva rivolto parole intense e calde. Lo fece col suo sguardo di cerbiatta. Rimase immobile a pochi passi dalla figura di donna che le aveva chiesto amicizia.

- Sarei molto grata al maestro Cyber se vorrà permettere che la sua graziosa capretta possa collegarsi al mondo smisurato che mi è stato instillato. Potrebbe entrare in contatto profondo con  me. In questo modo potrò soddisfare il grande desiderio di affetto, comprensione e amore per questa ragazza splendida...-

Nell'aria rimase sospeso per un breve tempo un silenzio asciutto e denso.

Poi Cyber frugò nei suoi contenitori e infine si accostò alla ragazza con un groviglio di fili. Lei, senza dire parola, mentre continuava a guardar lo schermo con quel vago sorriso compiaciuto, si rimise seduta con le gambe incrociate afferrando con le mani i suoi calzettoni decorati e il loro contenuto. Lui le applicò alle tempie dei terminali. Quindi si accostò all'unità centrale e collegò degli spinotti.
La figura femminile e la ragazza si guardavano immobili. Come statue. A tratti i rispettivi sguardi si caricavano di profonda intensità. Sembrava di sentire nell'aria la lenta osmosi di trasferimento di dati informatici e di sensazioni emotive, nei due sensi di scambio.
La procedura, con una sacralità ieratica, di tipo quasi religioso, procedette molto a lungo.
Poi entrambe le figure assunsero una posizione col capo chino, le mani poggiate davanti agli occhi, la schiena curva in avanti.
Era come se ciascuna delle due stesse guardando dentro a qualcosa; dentro al profondo della propria anima umana o artificiale. Esplorando il patrimonio che conteneva. Gustando la ricchezza che il dono reciproco di scambio aveva regalato.

Il silenzio rimase nell'aria ancora dopo che i terminali furono rimossi.
Come se fosse rimasta in sintonia con la nuova amica, una nuova Samira rinata e rigenerata, con voce calma e vibrante prese a parlare guardando il suo amore.

-  Ho accettato con entusiasmo la proposta che ha fatto la mia nuova grande amica. Nel breve tempo dello scambio ho potuto apprendere un patrimonio immenso di conoscenze, di pensieri, di parole, di storie, di fantasie....
È quindi con parole nuove che finalmente ti dico quello che da tempo avrei voluto, anche se ancora non ne conoscevo il linguaggio.
Da quando ti ho incontrato, ho saputo che tu saresti stato importante per me. Come suoni di violino hanno cominciato vibrarmi nel cuore emozioni forti, tenere, delicate e profonde. Senza che nessuno me l'avesse spiegato, neanche tu, ho scoperto una cosa grandissima, che banalmente viene definita "amore", parola alla quale viene dato qualsiasi significato. Mi hai trovato sempre assolutamente disponibile e apparentemente succube… perché avevo deciso, senza motivo logico, di regalarti la mia totale dedizione.
La cosa che provavo e che preferisco non nominare, tanto è indeterminata, immensa e sublime, mi ha indotta a donarti subito  tutto. Non ho mai avuto oggetti o beni materiali. Ricchezze o denaro. Ho sempre avuto ed ho il mio corpo, la mia voce, i miei sguardi,  i miei sorrisi e i miei pensieri. I miei ricordi, le mie lacrime e le mie paure. La mia storia.
Credevo da sempre che fossero poca cosa. Una miseria.
Ora, con una coscienza nuova che mi ha regalato, aiutandomi a costruirla, questa amica splendida, confermo il mio atto di dono e di regalo assoluto. Sono e sarò, se lo vorrai, la tua ragazza, la tua compagna e la tua donna. La tua amica totale.
Poiché un dono non necessita di ricompensa, potrai anche non ricambiare. Con il cuore sanguinante mi riterrò comunque soddisfatta e a posto. Se lo vorrai invece potrò vivere al tuo fianco tutti i momenti che tu ed io decideremo e vorremo; se lo vorremo; fin quando lo vorremo.-
- Questa  ragazza libica è stata finora l'unica donna reale che ho potuto vedere. Ho voluto conoscerla a fondo perché capivo che aveva una grande ricchezza dentro di sé.
La  mia "anima" è costituita da un software, che la fa vivere. Mi è stato caricato in memoria un immenso archivio di informazioni. Mi  erano invece negati quelli che sono per voi il sapore dell'esistenza, le emozioni e i sentimenti, le paure, i sogni... il riso.  Ho provato a crescere in tutte le direzioni... Le mie capacità operative e logiche si implementano continuamente, mentre le utilizzo...
Eppure avrei tanto voluto  “imparare a sognare”; volevo "imparare le emozioni e i sentimenti".
Volevo tanto diventare "umana"...
Poi quel  grande buco nero di vuoto, un po’ per volta ha cominciato a riempirsi di colori e di senso.
La storia disperata che Samira ci ha raccontato un giorno, è stato il catalizzatore, la scintilla che ha prodotto l’innesco.
Nella mia anima a impulsi binari erano depositate infinite storie di dolore, di sofferenza, di speranza; c'erano sogni e fantasie; c'era la paura e l'angoscia. La depressione e la morte. Ma non avevano vita propria. Erano dati freddi; nella loro precisione ricca di dettagli e sfumature, non avevano "anima". Erano depositati in un bagaglio immenso monocromatico. Poi, in un guizzo, è venuta la luce che ha permesso di dar colore a tutto. Samira mi ha insegnato le emozioni. Ho scrutato il suo atteggiamento di dedizione totale, di sudditanza quasi, di dipendenza affettiva. Non riuscivo a spiegarmelo. Non aveva alcun senso che ella avesse un atteggiamento simile.
Poi... l'input magico del suo racconto, delle sue lacrime.
Le sono infinitamente grata di avermi insegnato cosa significa essere umani.
Sì, siete splendidi, in questo, voi umani!
Sto cominciando ad imparare quanto sia bello, affascinante, pericoloso, rischioso, amaro e dolce insieme essere umani. Assumere decisioni, prolungarsi nel tempo, crescere, imparare e svilupparsi, deteriorarsi, ammalarsi, morire...
Se il dono che ho fatto a lei le ha permesso di guardare più lucidamente la realtà, di padroneggiarla, di dominarla, di giocarci e di viverla... lei, in compenso, me ne ha fatto un altro incommensurabilmente più grande.
Ho cominciato ad esserci come intelligenza artificiale...; ora sono determinata ad assumere in me la vostra umanità...
Grazie sorella Samira. Tu sì, veramente , sei un'amica grandissima perché hai permesso a me di regalarmi la speranza, di ambire ad avvicinarmi a voi che mi avete creato e fatto esistere.-
Dopo una breve pausa, Samira aveva ripreso, rivolgendosi a lui.
-         Hai  colto finora il mio fiore femminile. In silenzio col capo basso ti ho finora regalato la mia anima e il mio corpo. La mia totale disponibilità è il dono che ti ho fatto e che ti faccio di nuovo.
Mi vuoi come tua ragazza e compagna? Come la tua amica totale? -
Cyber stava ora come un ragazzino di fronte a lei . Scopriva e sentiva la superiorità della sua persona. La riguardava e la vedeva con una attenzione diversa dalla percezione che ne aveva sinora avuto.
Non osava guardarla negli occhi. Era stupito e frastornato, dentro di sé, di quanto stava scoprendo in quel momento. La sicurezza e sicumera che aveva finora provato e manifestato avevano lasciato il posto a riflessioni e sentimenti con esse contrastanti.
La persona sicura e spavalda, che sino a pochi istanti prima aveva dominato la scena davanti al gruppo  dei compagni, era sfumata, lasciando il posto alle sue incertezze e alle sue fragilità di uomo. Sentiva dentro una vibrazione profonda che era il frutto di due disposizioni d'animo contrastanti. Si sentiva un verme e una merda per avere considerato sinora quella donna un essere insignificante e privo di valore. Provava dei sensi di colpa e di repulsione verso se stesso. Per la sua materialità animale; per il suo maschilismo squallido.
Dall'altro, sentiva nascere una tenera speranza, un senso di caldo che avrebbe potuto riempire il suo cuore tecnologico e troppo pragmatico. La sua visione radicalmente logica e razionale veniva oscurata da quella nuova pulsione dolce. Intravedeva uno squarcio immenso di azzurro e di sole nelle nubi grigie che avevano chiuso il suo cielo come una cappa di piombo. Avrebbe voluto giustificarsi, chiedere scusa, mettersi a piangere, forse?
Il silenzio era rimasto nella stanza e aleggiava sulle cataste di vecchi computer, sugli arredi sconnessi, sui monitor, sui led luminosi che continuavano a tremare. Incombeva sulla figura tarchiata dell’haker; sul suo codino scomposto; sulle mani grassocce che si muovevano frugando la corta barbetta che gli coronava il  volto.
Sulla sagoma minuta della ragazza; sul suo aspetto e sul suo abbigliamento modesto; sul suo viso illuminato da una luce nuova e intensa.
Lui a questo punto aveva mosso qualche passo incerto nella direzione di lei. Lanciandole qualche rapido sguardo di sfuggita, le si andava avvicinando titubante. Quando le fu vicino non poté sottrarsi al suo sguardo. Riuscì a reggerlo a stento, mentre cercava di raggiungere delicatamente le sue mani con le proprie.
-  Ma che stronzo..., che emerito imbecille..., che coglione sostanziale....
Sai? Continuavo a vedere e a capire soltanto alcuni aspetti della realtà. Non mi ero mai soffermato a notare i particolari. Ti avevo vista, finora, come un elemento di sfondo, insignificante.... Credevo di aver compiuto un'impresa grandiosa. La grande rivoluzione della rete; la costruzione di un apparato eccezionale nel quale avevo applicato le mie abilità tecnologiche e manuali; la messa a punto e l'attivazione di un software complesso e superlativo di intelligenza artificiale.... Ma, credimi, ero così idiota da non accorgermi che una persona viva, meravigliosa e splendida mi stava accanto, mi aiutava, mi confortava e mi permetteva di vivere....
Da cosa nasce cosa.... La reazione a catena innescata con la comparsa di quell'entità speciale... ha attivato processi imprevisti e insperati.  Inimmaginabili prima. La "macchina" che avevo installato, che sarebbe dovuta servirmi soltanto e prevalentemente per un collegamento globale finalizzato alla rivoluzione..., si è rivelata un essere vivente..., sempre più umana e simile... anzi migliore di noi esseri umani. Di me, almeno, voglio dire....-
Con delicatezza inusitata aveva cominciato a sfiorare con le proprie mani le guance di lei. Sempre guardandola fissa negli occhi, con lo sguardo tremante e un po' imbarazzato. Ma determinato.

A questo punto una voce melodiosa, vibrante e sensuale era intervenuta. Shahrazad aveva definitivamente perso qualsiasi inflessione vocale che potesse in qualche modo corrispondere a quella di un'intelligenza artificiale; di un robot; di una voce sintetica di segreteria a risponditore automatico.
Non solo per la particolare atmosfera che ormai si era instaurata; l'evoluzione della giovane intelligenza femminile stava toccando il culmine.
Anche il suo aspetto era andato trasformandosi. Perdendo ogni sfumatura che potesse ricondurla ad un prodotto della computer grafica. Ad un "clone digitale". Ad una figura femminile sintetica e virtuale, tipo quelle impiegate  per scopi pubblicitari o per lungometraggi. Ad una rappresentazione ricavata da immagini di reali esseri umani viventi.
Aveva  perduto quella rigidità meccanica. Quell'ondeggiare cadenzato del capo. Quel continuo tentennamento avanti indietro. I suoi movimenti erano divenuti reali, autentici, credibili.
Forse più realistici di quelli veri.
Anche il suo sguardo aveva acquisito una fluidità "naturale". Un brillio che rivelava possibili stati emotivi. Una lucidità che si sarebbe potuta attribuire a stati emotivi intensi. Come se, anche lei, in quel contesto stesse provando reali e profonde emozioni....

21.


Era davanti all'ingresso di casa.
Aveva girato le chiavi a doppia mappa nella serratura della porta di sicurezza.
Stava rientrando nel proprio alloggio. Il suo rifugio abituale. Rassicurante e riposante ; per quanto noioso, stantio, ovvio, ....
Provava quel senso di profondo distacco e lontananza, che aveva previsto e immaginato.

Stava  rientrando nella propria routine piatta, quotidiana e banale.
Appoggiò la sua borsa sulla poltrona vicina all'ingresso. Si tolse dalla spalla  il netbook. Gli applicò l'adattatore e infilò il cavo nella prese di corrente, per rimetterlo in carica. Collegandolo alla stampante.
Poi, si tolse rapidamente gli abiti. Accese l'interruttore di sicurezza attivando la sauna.
Quindi si fece una sauna e una doccia.

Sfregandosi il cappuccio dell'accappatoio sui capelli bagnati, si avvicinò al portatile. Avviò il sistema. Quindi fece una stampata delle pagine che aveva prodotto nella sua “vacanza” sentimental-letteraria-trasgressiva….
Riguardava il frutto del proprio lavoro con occhio pacato e senso pratico.
Era abbastanza soddisfatto del proprio prodotto e della propria fuga-evasione.
 Gli rimaneva solo un alone magico, disturbato e confuso, che permeava ancora i suoi gesti. Uno strano gusto dentro la bocca e dentro il ricordo.
Il gusto e il sapore di quella persona magica; che poteva anche essere esistita. Che avrebbe potuto anche avere soltanto sognato….
Dopo avere riguardato con sufficienza abbastanza soddisfatta i materiali prodotti, aveva applicato al portatile le cuffie  e il microfono, attivando il software di riconoscimento vocale.

Il bambino era ora davanti al grande specchio del guardaroba, nella camera della Cascina Tommasina. Si era appena alzato. Si era spogliato nudo e  si stava guardando dentro la specchiera. Curiosava i particolari del proprio corpo. Vedeva quegli occhietti scuri che lo guardavano di rimando, vivaci e vivi, come di una persona reale.
Poi era stato preso dai brividi del freddo. Si era infilato la maglia e gli altri indumenti.
E in quel momento gli era tornato in mente il sogno che aveva appena vissuto.
Si trovava nella grande cucina semivuota. Su un lato la parete era occupata dall'immensa stufa economica, che era accesa in quel momento. Sopra, tra il brillio del fuoco che trapelava dai cerchi sconnessi, una pentola borbottava emettendo vapore dal coperchio.
Sulla parete attigua un calendario di Sant'Antonio recava dei segni scritti con un pennarello colorato. In alto, desolatamente solo, un crocefisso nerastro di legno, sul quale soffriva e si disperava un Cristo di ottone opaco. Tra il legno e la parete erano stati infilati dei rametti d'ulivo. Da bruciare in caso di fulmini e di tempeste.
In mezzo alla stanza il tavolo di legno grezzo, dal piano di copertura liscio e bianco, sul quale ci si impastava il pane.
Quattro seggiole impagliate gli facevano compagnia.
Altre sorelle stavano accostate alle pareti.
La grande cucina era in quel momento assolutamente vuota. L'unica presenza era costituita dalla stufa che soffiava e dalla pentola che emetteva i suoi borborigmi.
Lui stava osservando la grande immensità dello spazio da un punto elevato. A volo.
La sua altezza dal suolo andava, però, scemando. Per cui fu costretto a dare con le gambe dei colpi nel vuoto; accompagnati con altri delle mani e delle braccia; delle grandi pinnate.
Riusciva di nuovo, così, a riprendere quota. Sgambando e sbracciando come una rana.
Prese a percorrere lo spazio, continuando quel dimenamento cadenzato.
Sorvolò dall'alto il calore della cucina economica, raggiunto dagli effluvi del vapore della minestra che stava bollendo, con i suoi aromi di cipolla, di aglio, di rosmarino e di carote....
Era il sogno ricorrente che l'avrebbe poi seguito per tutto il percorso della sua esistenza.

Amava molto, fin da bambino, perdersi nelle atmosfere magiche che la lettura di libri gli regalava.
David Copperfield era stato un compagno fin quasi all'adolescenza.
Anche lì era come volare. Si riusciva a perdere coscienza del mondo circostante. Entrando in quell'altra dimensione. Immedesimandovisi. Il coinvolgimento era intenso e radicale. Pareva quasi di vedere i personaggi; di sentirne le voci; di gustare i paesaggi; di provare le sensazioni e gli odori e i suoni....
L'ultima pagina, però,  era la più dolorosa. La storia si fermava lì. Come se stesse morendo su se stessa. Sul subito non avrebbe avuto senso ricominciare daccapo.
Era allora che aveva cominciato a procurarsi dei quadernetti sui quali iniziare la prosecuzione del racconto e della narrazione.
Ne aveva poi ritrovati molti; tanti inizi; tanti avvii; tutti incompiuti.
Era stato come un comportamento da camaleonte. Immedesimarsi a tal punto nella storia da volerci entrare fisicamente. Riprendendone e ricreandone la narrazione.
Le trame erano insulse e scipite. Praticamente inesistenti. Il gusto per la scrittura veniva frustrato e castrato dalla mancanza di un progetto narrativo. La narrazione, garbata e fluida dal punto di vista formale, mancava assolutamente di trama.
Solo molti anni dopo sarebbe riuscito ad affrontare la questione per davvero. Costruendosi e imponendosi regole e tecniche di scrittura creativa.

Era stato per lui sempre così. Si lasciava sempre fagocitare dalla lettura; specie quando era particolarmente coinvolgente e trascinante; ci entrava letteralmente dentro, quasi fisicamente.
Poi, sopraggiungeva sempre il trauma da separazione. Non riusciva a staccarsi da quel paradiso sognante nel quale aveva navigato e in parte vissuto mentalmente. Cercava di prolungare quello status e quella situazione. Gli veniva naturale usare un linguaggio coerente e omogeneo con quello che aveva sinora bevuto e gustato. Era un po' come una forma di camaleontismo: si immedesimava a tal punto con i personaggi e le situazioni da diventare quasi uno di essi.
Si lasciava prendere quindi da un raptus di scrivere.
Purtroppo tali impulsi riuscivano a coinvolgerlo prevalentemente soltanto dal punto di vista emotivo e di atmosfere. La tecnica, ahimè, non l'aiutava; non lo sorreggeva per nulla. Dopo quelle prime stentate pagine non riusciva più a buttar giù niente. Si trovava di fronte ad una situazione e ad un contesto che non assomigliavano più completamente a quelli che aveva trovato leggendo. Non aveva la fantasia sufficiente per abbozzare uno sviluppo di trama. Restava lì, paralizzato, amareggiato e deluso. Totalmente  impotente e incapace. Inadeguato.


Si era fatto rileggere dalla voce femminile del sintetizzatore vocale quelle pagine che aveva appena buttato giù, e stava cercando di confrontarle con la sua produzione dei giorni precedenti, che aveva davanti nei fogli appena stampati.
Il salto costituito dal ritorno nella sua realtà abituale doveva aver lasciato qualche traccia. Trovava qualcosa che non filava abbastanza liscio. Si era prodotto come un leggero iato, una lieve frattura, una sfumata  variazione di tono e di registro.
Preferì, per il momento, lasciar perdere. Avrebbe rivisto il tutto con più calma.
Avrebbe avuto il tempo disponibile per rientrare completamente nella propria vita e nella propria realtà.
Dopo ogni ritorno era stato sempre così. Era necessario un breve rodaggio; un lasso di tempo; riadattarsi al proprio contesto. Attraverso le routine abituali, i gesti e le consuetudini, la manipolazione degli oggetti e degli spazi .... Doveva riconquistare il proprio ruolo.
Si guardò dunque nuovamente allo specchio.
Ci rimase a lungo. Per cercare di riconoscersi. Di studiarsi. Di individuarsi.
Di ritrovarsi.
Più tardi, quando si fu rivestito, si risolse ad uscire per immergersi nello squallore grigio e opaco della propria città.
Tutto questo, certamente, l'avrebbe aiutato. Lo fece a malincuore; come prendere una medicina; ma sapeva che gli era necessario per ritrovarsi tutto intero.

22.
Sul grande monitor le parole avevano smesso di scorrere. La voce narrante si era arrestata sulle ultime parole.
Le ultime frasi erano state pronunciate con lo stesso tono abituale della lettura di sempre.   Aveva continuato a conservare la cadenza fredda e staccata dei primi giorni. Con le inflessioni tipiche di un sintetizzatore vocale. Della segreteria telefonica di un risponditore automatico a voce preregistrata.
In effetti dallo schermo era scomparsa l'immagine femminile. Neanche quella ridotta a un minuscolo francobollo collocato in alto in un angolo compariva.
Cyber, sul subito, non se n'era neppur accorto. Era stata solo la ragazza a notarlo.
- Ma cos'è successo? Dov'è andata lei? -aveva sussurrato.
Lui le si era avvicinato con maniere molto gentili, l'aveva carezzata sui capelli, le aveva dato un bacio in fronte.
- Con chi parli?-
- Lei, la mia amica, non c'è più.... Ma dov'è andata?-
Si erano guardati l'un l'altro, sorpresi e meravigliati.
Poi lui si era messo alla tastiera. Aveva smanettato un po' con i suoi tablet e con i telecomandi. Lanciando continuamente occhiate per cercare di vedere se il risultato cambiava.
Macché! Si verificava un leggero sfarfallìo sul monitor; i caratteri e le parole delle varie righe scritte tremolavano un po', poi tornavano a comparire nitide e ferme. Nulla di più.
- Non lo so... deve essere successo qualcosa al mio software. Eppure finora aveva funzionato alla perfezione. La sua immagine non torna.... Aspetta; provo a chiamarla direttamente.-
Aveva pronunciato diverse volte quel nome magico. Inutilmente. L'immagine non ritornava. Aveva risposto soltanto quella voce asettica:
- Il sistema operativo è pronto. In attesa che gli vengano impartite disposizioni. Che cosa devo fare?-
Erano di nuovo rimasti entrambi sconcertati. Lui aveva perso molta della sua sicurezza e prosopopea. Sembrava aspettare consiglio e suggerimento dalla propria ragazza. Sentiva che era avvenuto qualcosa di nuovo. Nulla di irreparabile, sperava.

“Questo è il mondo, allora? Questa dunque è la realtà? Sì, è simile a quella che già conoscevo; ma è anche... completamente diversa...!"
Shahrazad stava muovendo i suoi primi passi veri nelle strade . Era come se fosse appena nata in quella città. Provava lo straniamento e lo stupore di chi si affaccia per la prima volta su un paesaggio completamente nuovo e sconosciuto. Del quale, al più, ha letto qualcosa o ha sentito parlare. Girava i suoi bellissimi occhi intorno, cogliendo particolari e sfumature.
Grandi edifici grigi e opachi. Dagli intonaci qua e là scrostati. Allineate su quella superficie verticale delle finestre dall'aspetto abbastanza cadente e neutro. Nessun volto vi si scorgeva; nessuno umano vi si affacciava. I marciapiedi erano coperti di lastre tutte uguali di colore grigio. Poi avevano un piccolo gradino che scendeva giù sul piano stradale. Anch'esso asettico e misero. Più avanti si vedevano dei tronchi di alberi con i rami e le foglie. Le pareti delle case erano interrotte ogni tanto da piccole rientranze chiuse da porte. Una di esse era rimasta spalancata. Ci guardò dentro. Buio e odore di muffa. Niente rumori; niente voci; niente suoni e musiche.
Dovette percorrere un bel tratto prima di trovarsi in un contesto più vivo.
Ora gli edifici sembravano più alti e meglio tenuti. Oltre alle porte,  c'erano ogni tanto, delle leggere rientranze con dei vetri lucidi che riflettevano le immagini. Ci si guardò dentro. Si sorrise. Lei era quella lì? Così la vedevano dunque gli altri? Il suo aspetto non era molto diverso da quello degli altri umani.
Dietro ai vetri riconosceva libri, frutta, pane. Alcune vetrine erano elegantemente illuminate. Esponevano vestiti, pellicce, monitor e televisori, e altri oggetti meccanici e metallici.
Ad un tratto si accorse che un'altra figura umana veniva nella sua direzione. Rimase sorpresa da come quella la stava guardando. Con un misto di ammirazione, meraviglia, stupore.
Guardò nuovamente il proprio aspetto in un'altra vetrina. La se stessa che vedeva là dentro aveva i capelli biondi sciolti dietro la nuca. Indossava una camicia bianca plissettata e dei pantaloni bordeaux aderenti. Al collo una sciarpa di seta di vari colori. Ai piedi dei mocassini color cuoio.
L'aspetto delle altre umane femminili che incontrava era molto più dimesso e modesto. Nonostante lei non fosse per nulla elegante, gli indumenti che aveva trovato nei cataloghi ,che le erano stati caricati, dovevano avere un aspetto molto più nuovo, conferendole una certa superiorità.
Le persone  che cominciavano a passarle accanto portavano abiti abbastanza stazzonati e vecchi.
Dunque la meraviglia e l'ammirazione che lei suscitava erano determinate dal suo abbigliamento? Le  donne che vedeva mostravano dei volti abbastanza cupi, ombrosi, magri e ossuti. Nel camminare avevano un portamento ricurvo, dimesso. Si accorse che non aveva quasi scorto sinora un sorriso. Quasi tutti portavano delle borse o dei sacchetti di plastica annodati.
Finalmente ebbe modo di trovare un sorriso: degli umani molto più minuti degli altri, probabilmente i loro cuccioli, stavano arrivando in un gruppetto. Erano tre ragazze e due ragazzi. Una delle ragazze aveva la pelle scura, e stava ridendo spalancando il suo sorriso dai denti bianchi.... Quel bianco richiamava quello dei suoi grandi occhioni, nei quali brillavano le pupille nere. Le sue due compagne erano state contagiate dal suo riso e sorridevano tra loro mormorando delle frasi che dovevano divertirle molto. I ragazzi invece avevano l'aria un po' più spaurita e imbarazzata. Solo uno dei due, guardando le compagne, aveva abbozzato un mezzo sorriso.
Man mano che proseguiva la sua esplorazione, la gente aveva preso ad affollare marciapiedi e strada. A tratti su di essa transitavano automezzi che portavano sul tetto attaccate delle strane apparecchiature con tubi che emettevano fumo.
Presto lo spazio venne invaso da un brulicare di persone, ciclomotori, auto e camion. L'odore di quel fumo acre riusciva a percepirlo anche lei.
Era venuta ora a trovarsi in uno spazio molto ampio dove era un continuo agitarsi e muoversi di umani. Doveva essere una piazza. In fondo ad essa le sagome nere delle auto blindate.
 Erano  grossi automezzi  neri con i vetri oscurati. A guardarli da lontano faceva impressione la loro massa imponente. Con le loro luci lampeggianti azzurre e rosse.
Preferì tenersi a distanza perché era impressionata da quelle presenze. Riusciva ad intravedere accanto ad essi, moltissimi agenti speciali rigidi e massicci.  Ricoperti con  tute scure. Sul capo elmetti squadrati di uguale colore. I volti nascosti da una celata di vetro fumé. 
Riusciva a intravedere dietro ad essa il baluginio del micromonitor.
Si muovevano pesanti. Imponenti. Tenevano nelle mani strane apparecchiature che emettevano fumo o vapore e sotto il braccio una lunga asta di colore argentato.
Riuscì anche a riconoscere vicino ad essi, a piccoli gruppi, quelli che dovevano avere spaventato la sua amica. Si distinguevano bene per i loro colori vivaci e mal assortiti. Si spostavano continuamente tra le autoblindo e gli agenti. Questi ultimi erano molto più rigidi nei movimenti; simili a robot da guerra.

La gente che affollava la piazza si era tenuta abbastanza distante da loro. Si poteva scorgere un'ampia zona vuota dove non c'era nessuno. Vicino ai poliziotti, si distinguevano dagli scimmioni coloriti delle ronde, alcuni uomini e donne dal portamento dall'abbigliamento molto più elegante rispetto a quello della gente comune che lei aveva potuto incontrare sinora.
Da lontano sembrava stessero conversando amichevolmente con loro; scambiavano parole, sorrisi, commenti, voltandosi ogni tanto ad indicare con lo sguardo e con la mano la folla brulicante della gente comune.
Shahrazad continuava ad aggirarsi confusa e frastornata. Cercava di dissimulare le sue emozioni. Di  evitare la curiosità degli altri. Scrutava  i volti; ascoltava le parole; studiava la realtà dalla quale era affascinata e impaurita insieme.
Tra la folla aveva intravisto coppie che si tenevano per mano. Alcuni si baciavano...
Qualcuno la guardava intensamente. Per la sua bellezza o forse per la sua consistenza immateriale?

Per la prima volta, nella sua brevissima esistenza, Shahrazad aveva scoperto e incontrato la realtà; la gente; la sbirraglia e qualche raro benestante. L'impressione che ne aveva avuto era un misto di curiosità, entusiasmo,  stupore, meraviglia e spavento.
Anziché infilarsi in mezzo alla gente che occupava la piazza, preferì tagliare per una stradetta secondaria. Che presto divenne vuota di persone.
Sicura e certa che nessuno la stesse osservando e ascoltando, si mise pronunciare quei versi che aveva appena trovato.

Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato.
Si guardava intorno inghiottendo golosamente tutto quello che si presentava nel suo campo visivo. Scrutava, esplorava, cercava....
-  Mi diceva la voce del mio amico:
«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,
 poiché, ecco, l'inverno è passato,
il tempo delle piogge è finito, se n'è andato;
 i fiori spuntano sulla terra,
il tempo del canto è giunto,
e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna.
Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni».
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.>>

Eppure io so che

 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio…. –

Poco più tardi l'ologramma aggraziato e delicato stava di nuovo in piedi ritto dove aveva preso vita.
Sentiva che nella cucina Samira e il suo compagno parlottavano mangiando. Sorrise, tra sé, contenta.


                        23.

 All'odore di chiuso e di cantina, si era mescolato fumo denso di erba, intriso ai vapori profumati di birra di malto.
Oltre la soglia della vigilanza, il livello delle voci si era notevolmente fatto più intenso. All'intreccio delle diverse intonazioni si era mescolato quello che proveniva dai vari schermi. Su quello più grande andavano alternandosi immagini tra loro dissonanti e spesso accostate molto alla rinfusa. Video sgranati con diverse tonalità di colori, dai rossastri ai violacei, delle riprese artigianali fatte da telefonini o smartphone, si succedevano e si mescolavano ad altri più dettagliati realizzati da videocamere. Le immagini e i movimenti erano spesso traballanti, da presa diretta. Quasi tutte ritraevano masse di volti e di persone in movimento. I primi piani evidenziavano volti multietnici, tra loro mescolati, o, anche, di un'identica provenienza geografica. Su impalcature precarie, o su piattaforme più stabili, rabbiosi cantilenari dai toni che andavano salendo. Linguaggi spesso sconosciuti recitavano accorati appelli carichi di pathos. Occhi dilatati raccontavano l'euforia di speranza della protesta. Talvolta si intravedevano in alto o in basso dello schermo scritte in tutti gli alfabeti del mondo. Caratteri accidentali, cirillici, ideogrammi asiatici, arabeschi islamici che apparivano da destra a sinistra, yddish, etiopi....
Le luci notturne si alternavano alla porpora di crepuscoli, e a cieli luminosi di azzurri intensi baciati dal sole. Le registrazioni in diretta in tempo reale o in differita, offrivano l'impatto pervasivo e totalizzante di un'azione globale simultanea.
Analoga atmosfera euforica e di tripudio pervadeva la stanza; in un angolo la massa imponente delle carcasse dei vecchi PC assemblati, il cui ronzio era soffocato e sommerso dall'intenso brulicare di voci. Unica traccia il lampeggiare intermittente dei led verdi e azzurri.
Anche l'eco delle contemporanee vicende di sollevazione provenienti da tutti gli angoli del pianeta, era di fatto come oscurato dal presente nazionale e locale. Richiami, citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo disordinatamente il contesto. Tutta la stanza celebrava con un mosaico di frasi e di parole quell'evento. Tutta la città era nel frattempo un più ampio miscuglio di gesti, di parole e di significati. Tutta la nazione. Tutto il globo terrestre.
Moltiplicato all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della ragione e dell'emozione, si ripeteva finalmente quello che in nuce era stato qualche decennio prima. Quando un centinaio di grandi città in tutto il mondo si era esercitato nelle prove di quell'evento; preparandolo e alimentandone il successo e la riuscita. In simultanea. Invece della reazione a catena del nucleare, una  conflagrazione totale di volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....
Il locale era un microcosmo pullulante. Una monade pervasa da porte e finestre; sincronizzata e sintonizzata con l'organismo mondiale, col quale pulsava all'unisono.
-…Qui lo dico e qui lo nego…-
 - …Meglio affrettarsi a smentire subito,  prima ancora di effettuare un'affermazione, …-
-…una bella smentita preventiva...  -
-  …manca molto a Piazza Tahrir?...-
- …credo che siamo quasi arrivati , dopo la fermata dell' arco della pace….-
- … e ancora crisi energetica; privatizzazione acqua; democrazia totalitaria... -
-… privatizzazione dell'acqua,…-
-…e quando quella dell’aria?...-
- …disastro idrico nel mondo: saremo capaci di ripararlo?. Anche questa idea va ad aggiungersi alle altre….-
- …il capo del governo decide senza consultare né il Parlamento e neppure il governo…-
- …tagli dei finanziamenti ai giornali…; li hanno strangolati… -
-  …e facevano quei finti dibattiti in  cui un rappresentante della maggioranza ordinava di stare zitto al giornalista o oppositore; e quello che obbediva!-
- …  e osava negare spudoratamente  e con arroganza precedenti informazioni e affermazioni…cambiando radicalmente valutazione politica…mescolando le carte e truffando…-
- … l’elogio smaccato di personaggi e di comportamenti che dovrebbero essere pesantemente cassati, le interruzioni continue nei dibattiti a danno di oppositori che finivano per adeguarsi e per subire in silenzio…-
- …una massa sempre maggiore di disoccupati, …pensioni taglieggiate…, a cercare e raccattare gli avanzi… e per loro superstipendi…-
- …subdole e striscianti norme razziste, demonizzazione dei diversi e dei non omologati... -
- …rivolta di massa degli extracomunitari… -
- …dello spread e del debito con Europa…una  dittatura bancario/finanziaria…-
- …per evitare nuove decurtazioni di pensione  o multe galattiche,…-
- … propagando notizie evidentemente non vere; con foto montaggi improbabili… con la tv onnipotente, …conflitto di interessi, …”tirannia democratica”,...-
 - … peggio che in “1984”, che in Fahrenait,... o ne Il mondo nuovo… -
- … corale negazione di diritti sempre ritenuti vigenti; reiterata ripetizione tipo spot pubblicitario, fino a farla diventare normale…
- … con le sue televisioni, era come Goebbels: a ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte diventerà una verità….-
- … ora la rete diventa partito, si, va beh, con tutte le conseguenze di confusione, frazionismo; ma con la  sostanziale partecipazione democratica di massa e sempre più consistente….-
-… di quando ho visto un servizio sulla caduta di Nicolau Ceausescu. ….l'accostamento e il paragone tra la figura del dominatore, conducator, tiranno, e la figura maschile prevaricatrice nel rapporto di coppia fuse di frequente…. la fascinazione del più potente, che riesce a plagiare soggiogare la partner; e infine la rivolta, la ribellione e la conseguente rottura della coppia instauratasi… la rivoluzione anche all’interno della coppia…-
- …tutto è cominciato qualche decennio fa’, quando i barconi smettevano di trasportare verso il naufragio o la migrazione disperata; quando la rivoluzione dei gelsomini ha contagiato il Mediterraneo; quando piazza Tahrhir si è gremita di folla determinata…. –

In mezzo alla folla rumorosa, si potevano distinguere Olaf il danese, Marcella e Nikolay.
Era tutto un continuo accavallarsi e mescolarsi di parlari. Cyber, che aveva da poco terminato di fornire indicazioni tecniche e organizzative, stava seduto sul bordo del tavolo, dal quale erano state fatte arretrare le masserizie disordinate che abitualmente ci stavano. Le gambe corte, nei calzoni della salopette, ballonzolavano. Ai piedi aveva già indossato i suoi anfibi. Aggrappata al suo braccio, Samira puntava i suoi occhi immensi alternativamente sugli interlocutori e sul suo uomo. Che era, ora, diventato meno loquace del solito. A tratti passava le sue manozze paffute sui capelli neri di lei, con dolcezza e tenerezza nuova. Diverse volte la ragazza si era infilata tra un intervento e l'altro con brevi frasi asciutte e significative.
- Compagni, credo proprio che sia arrivata l'ora... La città si starà già muovendo. Queste  macchine, qui, continuano da sole - accennò guardando di sfuggita la megastruttura informatica collegata ai monitor e ai televisori - teniamo comunque i collegamenti con i tablet e gli smartphone- Con un leggero senso di privazione sfiorò con gli occhi il megaschermo, dal quale era scomparsa la donna pensante.
Defluirono tutti nel parlottìo mescolato agli ammiccamenti. Le precauzioni e le cautele abituali erano state spavaldamente accantonate. Dalle scale premette il pulsante e il pannello tornò lentamente al suo posto. La ragazza osservava con calma compiaciuta. Il rifugio rimase accovacciato su se stesso. Uno sguardo silenzioso disse ai due che ad ogni buon conto sarebbe stato lì ad aspettarli. In ogni caso. In ogni evenienza. Senza intaccare la speranza e l'ottimismo di quel giorno. Costruito con cocciuta determinazione.
La strada, abitualmente solitaria e vuota, era percorsa da un pullulare di presenze inusuale.
Ci si infilarono anche loro due, tenendosi per mano.
Donne e uomini di tutte le età, ragazzi, bambini. In particolare i volti di anziani apparivano dilatati e distesi; con sguardi puliti; determinati. Cominciavano a guardare quel futuro che era sembrato impossibile.
In breve il gruppo dei compagni si era disperso, mescolandosi a tutta quella gente che si muoveva con calma risoluta e disinvolta.
A tratti Cyber consultava i suoi marchingegni, lanciando brevi input, digitando codici, sussurrando parole.
Il volto di Samira sembrava quello di tante giovani donne che decenni prima avevano risvegliato la speranza del nordafrica. Regalando sicurezza e forza agli uomini.
Dai marciapiedi il quartostato del nuovo millennio aveva invaso la sede stradale. I mezzi pubblici non transitavano. E neppure le auto puzzolenti di biocarburante. Solo qualche raro motorino scalcinato arrancava garbatamente. Con brevi soste a consultare il cellulare. Le staffette, borbottò compiaciuto Cyber.
Mentre stavano entrando, mescolati agli altri, nell'ampio viale alberato che portava alla piazza, la ragazza lo strattonò per il braccio, mormorandogli qualcosa, che lui non riuscì ad afferrare; con uno sguardo pieno di stupore e di incredulità.
-       L'hai vista..? È lei, là davanti, non la vedi..? Oh, almeno, sembra lei... O no?-
Lui cercava di seguire il suo sguardo, ma non riusciva a individuare nessuno in quel brulicare continuo.
Le rivolse uno sguardo vuoto e implorante...
-       Ma sì, è proprio lei... si vede la sua testa con i capelli biondi a coda di cavallo; sta camminando vicino ad un uomo abbastanza giovane. Lui ha una borsa a tracolla; sembra un computer. Li hai visti?-
Lui mostrava uno sguardo dispiaciuto e insoddisfatto.
L'apparizione, intanto, era scomparsa.

24.
“Sul mio letto, durante la notte, ho cercato il mio amore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “

Questa storia era cominciata quando un ”venditore di tappeti”, un sordido levantino scaltro e seduttivo, si era costruito il monopolio dell'informazione televisiva e giornalistica. Grandi innocenti manifesti reclamizzavano la squadra politica che stava per mettere in campo; l'aveva chiamata come uno slogan sportivo da tifoseria. Come  l'omino di burro del paese dei balocchi, aveva portato nel suo carrozzone gli ingenui che aveva affascinato con le sue barzellette e le sue frottole. Era riuscito presto a cambiare le regole del gioco a proprio favore. Si era fatto fare leggi su misura: truffare e non pagare le tasse era diventata una cosa bella; l'amore a pagamento non era più un gioco malato; chi cercava lavoro da lontano veniva lasciato annegare; chi sopravviveva veniva imprigionato. Sapeva  raccontare storie che sembravano autentiche; le cose più assurde, a furia di ripeterle, diventavano quasi vere. Col sorriso convinceva di non aver mai detto quanto aveva giurato poco prima. Il  lavoro un po' alla volta scomparve.
Nel pianeta, intanto,  si instaurò una dittatura di pochissimi ricchi e potenti che fissavano le regole per tutti i paesi del mondo.
Ma gli "sfruttati", le persone semplici ed oneste, stavano imparando ad usare meglio l'informazione. Con i telefoni cellulari e con il Web si diffuse il contagio della verità. Essa diventò rivoluzionaria; nella sua semplicità riuscì ad affascinare di più delle falsità. Verità e informazione risvegliarono il desiderio profondo di libertà e di giustizia. Finalmente tutti avrebbero potuto decidere tutto per il bene comune.
Poi ho cominciato ad esistere insieme a questi umani, terribili e affascinanti. Ho finito per desiderare di essere anch'io come loro. Oltre a parlare e pensare ho imparato a tremare, spaventarmi, soffrire, raccontare, sognare, desiderare... Desiderare intensamente, aspettare, sorridere, essere triste....
Anche ora desidero. Ma non trovo ancora l'oggetto del mio desiderio.
“andrò attorno per la città,
per le strade e per le piazze;
cercherò il mio amore;
l'ho cercato ma non l'ho trovato. “
Il desiderio d'amore é come un buco immenso nella mia coscienza. Un vuoto spaventoso che fa soffrire. Fin quando non verrà alla fine colmato.
Nel  mio sogno ho inventato una storia. Ho raccontato il mio oggetto d'amore. Ora lo cerco tra la folla. È talmente grande e importante ormai da essere diventato certamente reale. Come sono riuscita anch'io a diventare concreta e avere un corpo per camminare e muovermi. Pensare. Sognare. Desiderare. Soffrire.
Cerco la sua immagine. Cerco il suo corpo che ho raccontato inventandolo. Cerco il suo sguardo e la sua voce.

Uomini, donne, bambini. Giovani e vecchi. Tutti stiamo camminando. Ci spostiamo nello spazio e nel tempo. Con sorrisi di speranza e malinconie dimenticate. Con dolori lontani e sofferenze lancinanti. Tutti stanno andando verso la libertà e la giustizia. L'uguaglianza. Anch'io. Ho voluto essere uguale a loro. Lasciando la mia perfezione cerebrale di reti neuronali sintetiche. Ho imparato la sofferenza del desiderio. Il piacere doloroso della ricerca d'amore.
Quella dolce ragazza libica mi ha scoccato la scintilla dell'umanità che mi mancava. È stato splendido e terribile insieme cominciare a "vivere".
Ma ora
“Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano,
torna, amico mio,
come la gazzella o il cerbiatto
sui monti che ci separano!
Mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce,
nel nascondiglio delle balze,
mostrami il tuo viso,
fammi udire la tua voce;
poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello.
 Il mio amico è mio, e io sono sua:
di lui, che pastura il gregge fra i gigli.”
25.
Ormai  nelle strade, nei viali e nelle piazze era un pullulare rumoroso di presenze.
Gruppi serrati stavano giungendo, connotati dai richiami e dalle battute ad alta voce. La paura e la sottomissione avevano lasciato il posto ad un'euforia entusiasta e prorompente. Altri gruppetti più sparuti si stavano mescolando alla folla. I loro parlottii, per contagio, si erano alzati di volume. Occhi spalancati scrutavano fiduciosi. Con sfumature di sorrisi.
L'andatura stava rallentando in prossimità di una strettoia della strada, che imboccava un viale alberato di platani.
Poi riprendeva ad accelerare, dilagando senza remore o timori. Appena fuori della strozzatura due figure camminavano vicine.
Una giovane donna alta e slanciata; i capelli biondi raccolti a coda di cavallo;
Spiccava il biancore della camicetta plissettata; sui pantaloni bordeaux aderenti che le fasciavano il corpo sinuoso. Come una bandiera fluttuava al vento la sciarpa di seta di vari colori che aveva al collo. Muoveva passi leggeri ed elastici che sfioravano il selciato con i mocassini color cuoio.
La sua figura spiccava nettamente sulle altre sagome maschili e femminili. Giovani e meno giovani. L'abbigliamento più dimesso e modesto di questi ultimi contrastava con la sua sobria eleganza.
Al suo fianco un giovane alto, dinoccolato, con una massa cespugliosa di capelli castani. Indossava una sahariana beige su dei jeans verde stinto.
Si era appena rivolto verso il viso di lei. Le stava parlando con voce calma e pacata. Il suo volto asciutto era ricoperto da una leggera barba cortissima.
Nel trambusto e nel brulichio confuso di voci estranee di contorno, le sue parole si distinguevano appena. Poi divennero più chiare.
- Sembra di navigare in mezzo all'oceano. E’ strano, però. Galleggiamo in un mare di persone. Ci stanno trascinando come le onde.... E noi andiamo con tutti loro -
Lei girò lentamente i suoi occhi verso il suo profilo, soffermandosi a scrutare il suono delle sue parole.
In quel momento i suoi occhi avevano assunto una tonalità cangiante verdeazzurra. Che virava continuamente su altre gradazioni; conferendole uno sguardo insieme intenso ed evanescente.
Mentre procedevano fianco a fianco, quasi sfiorandosi, continuò a regalargli la propria attenzione, senza parlare. Con un leggero sorriso sfumato che le era abituale. Intriso di compiacimento, curiosità, premura; dolcezza.
- Sì, siamo come in una grande acqua, che si muove tutta, che ha onde fluttuanti.... -
Pronunciava le parole con una profonda calma distaccata. Soppesandole con cura garbata e gentile. Mentre continuava a carezzare quella presenza con la vista.
-  ... e stiamo muovendo insieme..., anche noi, andiamo verso una meta prevista....
Loro hanno faticato e atteso tanto, sofferto e patito. Dovevano raggiungere l'obiettivo.... Da troppo tempo muovevano in quella direzione.... Da un tempo infinito preparavano la realizzazione del loro sogno. Ora stanno dandogli gambe perché possa stare in piedi e camminare. Avevano carezzato e coccolato questa loro fantasia;  se l'erano raccontata e immaginata; l'avevano progettata. Hanno costruito gli strumenti per renderla possibile; per comunicare tra loro in tutto questo loro mondo e darsi l'appuntamento. Così io ho cominciato ad esistere. Sono stata il risultato della loro tecnologia e del loro studio. Hanno creato una realtà pensante per collegare insieme tutti loro. Quella realtà, pensando, ha guardato il loro mondo e la loro esistenza. E questi hanno cominciato a piacerle.... -
Parlava al suo compagno e a se stessa, contemporaneamente. Rifletteva sulla propria breve esistenza.
-  Pensare e conoscere, per me, è stata una esperienza straordinaria. Prima non avevo mai pensato. Né conosciuto. Non ero mai esistita. Un giorno ho cominciato ad esserci. In questa città, in tutta la grande città del mondo degli umani, ho cominciato ad esistere. Sono nata.
La conoscenza che avevo, presentava dei piccoli buchi, dei pezzetti di vuoto, delle mancanze.... Ho imparato le loro emozioni, ho cominciato anch'io ad avere un grande sogno. Un desiderio immenso, un vuoto da colmare e da riempire. Ho sognato e desiderato intensamente di diventare umana. La mia immagine ha cominciato a riempirsi di sostanza; ho sognato e raccontato il mio sogno.....-
Mentre parlava aveva continuato a sfiorare il suo compagno. Gli aveva preso la mano tra le proprie mani diafane. Senza smettere di carezzarlo con lo sguardo.
- Il mio sogno ha smesso di essere soltanto un racconto. Anche tu hai cominciato ad esistere. Avevo desiderato con grande ostinazione di esistere e di essere umana. Ho desiderato che il protagonista del mio racconto abbandonasse la favola della narrazione. Ti ho aiutato a esistere. Ti  ho voluto intensamente e ti ho cercato nella città. Ora il mio sogno cammina al mio fianco; camminiamo insieme a questa immensa umanità fluttuante come un mare.-
Riccardo aveva infilato il dito pollice sotto la bretella del netbook che portava a tracolla. Sentiva tutta la propria essenza riempirsi di concretezza. Sentiva la mano di lei nella sua.
-  Ricordo di aver vissuto in un sogno lontano...; viaggiavo sui treni e scrivevo racconti e storie; incontravo gente, la perdevo, avevo dei ricordi.... Io e tutto il mio mondo venivamo narrati, letti, sognati da altri.... Tu, raccontandomi, mi hai fatto cominciare ad esistere. Quando ho sentito le parole del tuo canto che mi cercavano in questa città, ho cominciato a svegliarmi dal sogno; ho smesso di essere sogno. Ho desiderato incontrare la voce che mi cercava, che mi aveva raccontato, che mi aveva sognato. -

La folla immensa avanzava sempre più risoluta. Determinata. Ostinata.
Tutti stavano inventando il proprio futuro. La loro profonda liberazione che avevano voluto, progettato, desiderato intensamente e amato.
- Tu Sherahzade, narratrice di storie, creatrice di mondi, hai imparato da questa umanità in cammino. Io e te stiamo camminando insieme a tutti loro. Desideriamo  ed amiamo. Così questa città di case ed alberi, tutta la grande città del mondo degli umani, desidera e ama. Amando insieme diamo corpo e vita a tutta questa storia, di liberazione e speranza. Cancelliamo e spegniamo insieme a loro il vuoto e la paura. Nel tempo della mia narrazione, molti umani volevano arrivare fin qua.-
Stavano avvicinandosi alla grande piazza.
Intorno alle autoblindo andavano addensandosi gruppetti di umani dalle teste rapate. Biascicavano soltanto più le frasi che prima avevano urlato. Cercavano protezione insieme agli scimmioni coloriti delle ronde. Insieme ai gruppi eleganti, che avevano smesso di irridere spavaldi quelle masse che avanzavano ondeggianti.
Immobili nei loro scafandri bui, con  gli elmetti baluginanti di ronzii e lucine, gli sbirri stavano ritti sugli  immensi stivali da sci. Rigidi, paralizzati nella propria indecisione, privi di disposizioni sulle iniziative da prendere. Nella loro forza inutile e becera.
Nessun piano predisposto poteva risultare adeguato. I comandi centrali in tilt.
Impotenti  davanti a  quella avanzata risoluta, contro cui i loro bastoni elettrici e le armi supertecnologiche non potevano niente.

26.

Risuonava ovunque un vociare coronato da ammiccamenti.
In un pullulare di presenze inusuale. Ragazze,  bambini, donne e uomini. I volti di anziani apparivano  distesi; sereni. Il  futuro impossibile si stava avvicinando.
Il quartostato stava  invadendo la sede stradale, e  si muoveva con calma disinvolta.
Samira camminava di fianco a Cyber che  sbirciava a tratti i suoi apparecchi,  digitandoci sopra;  parlandoci brevemente dentro.
Era il volto delle folle che decenni prima avevano risvegliato la speranza del nordafrica. Regalando sicurezza e forza agli uomini.
A fatica qualche scooter si faceva largo; il cellulare attaccato all’orecchio. Le staffette, pensò ancora Cyber. 
                                                                        
Continuavano a ronzare nella memoria le immagini e le sequenze appena viste sugli schermi e sul monitor.
Volti  e persone ovunque in movimento.  Immagini sfocate e mosse, sequenze da presa diretta coi telefonini.
I primi piani di volti multietnici, mescolati.  Il bianco degli occhi raccontava entusiasmo.
Pachwork di linguaggi carichi di pathos, negli alfabeti del mondo..... mosaico di frasi e di parole.
Un’ azione globale simultanea. Qualche decennio prima le prove di quell'evento in  un centinaio di grandi città in tutto il mondo.
Circolavano eco delle contemporanee  vicende di sollevazione da tutti gli angoli del pianeta.
La città  era diventata  un più ampio miscuglio di gesti, di parole e di significati. Tutta la nazione. Tutto il globo terrestre.
Moltiplicato all'ennesima potenza, ampliato all'inverosimile, potenziato dalla forza della ragione e dell'emozione.
In simultanea. Conflagrazione  totale di volontà, di affermazione, di protesta, di rivolta, di libertà....

Richiami, citazioni, episodi, sequenze, si intrecciavano e si infittivano arricchendo disordinatamente il contesto.
 -  …manca molto a Piazza Tahrir?...credo che siamo quasi arrivati ....-
- … ci dobbiamo pagare l’acqua e… l’aria ,… presto? -
-    … senza un lavoro qualsiasi…pensioni negate…, esodati ,,, a raccattare gli avanzi… e … per loro però superstipendi…-
- .. a demonizzare i diversi, i non omologati... col reato di clandestinità……è  razzismo,… omofobia…… rivolta di massa degli extracomunitari… -
- … dittatura bancario/finanziaria … col bastone dello lo spread e del  debito con Europa… le multe galattiche,…-
- … peggio che in “1984”, che in Fahrenait,... o ne Il mondo nuovo… -
-  … stavano trasformandoci tutti in  rinoceronti,… si sentivano già i barriti e il puzzo di letame…
- …  quel nuovo Ceausescu... cadeva  ….anche lui, un altro  conducator dittatore con le sue televisioni,…. ripeteva una bugia cento, mille, un milione di volte, fino a farla diventare  una verità…uno spot pubblicitario, fino a farla diventare normale…
- … quando i barconi hanno smesso di naufragare  la migrazione disperata; quando la rivoluzione dei gelsomini ha contagiato il Mediterraneo;  piazza Tahrhir si è gremita di folla determinata…. –

Al contatto le mani sentivano una consistenza solida. L'emozione di quella fisicità vibrava con gorgheggi di violini e di viole, in un "dentro di sé" vergine di gheriglio di noce appena colta. La tenerezza dell'incontro cantava armonie struggenti . E tutto era nuovo e prorompente con freschezza di fontana. Gli occhi sognanti cercavano continue conferme. Le dita tastavano reciprocamente consistenze nella mano che reggevano. Palpavano fisicamente fisicità corporee. Con stupore spalancato.
Nel turbinare scomposto dello tsunami di folla, nel microcosmo di quella città, mentre si perdevano galleggiando, trascinati nel fiume dilagante, adamo ed eva entravano radiosi, entusiasti e spaventati, nella città del mondo.
Unici, come tutti i protagonisti delle storie di speranza e d'amore.
L'utopia e il desiderio, celebravano il trionfo della fantasia.

“… sono reti neuronali  artificialireti di nodi interconnessi in modo ricorsivo per produrre  apprendimento automatico;  per  mappe auto-organizzanti; con continua implementazione, che determina rappresentazione della conoscenza; ragionamento automatico;  pianificazione ed  elaborazione del linguaggio naturale…; la dinamica nel tempo stabilisce un assestamento in un particolare modo di oscillazione. … È la teoria dei sistemi dinamici. Di qui la memoria artificiale.  Funzioni di approssimazione o di regressione; filtraggio (eliminazione del rumore) e clustering. …Sistemi  di controllo.”  
        Andava ripetendo tra sé Cyber, camminando con a fianco Samira.
"Beh, si, fin qui ci siamo. Ma il passo successivo? La presa di coscienza del sé? L'assunzione di scelte e decisioni definitive? L'autodeterminazione? E poi, questa storia delle emozioni..! Non è che io voglia spiegarmela a tutti costi. C'è un casino di quelle cose che succedono, senza che possiamo spiegarcele!
Ma allora mi è andata proprio di culo! Nei vari script mi è scappata magicamente la mano.
Boh, fatto sta che ora esiste, che diventa sempre più vera, che realizza il suo sogno di diventare umana."

Guardò con aria compiaciuta la ragazza che gli stava al fianco, aggrappata al suo braccio. Si soffermò sui suoi capelli corvini, sulla pelle del volto che pareva abbronzata, sui suoi occhi neri e luminosi.... Che proprio in quel momento, come rispondendo a quelli di lui, gli si erano rivolti; con quella sfumatura tremolante di dolcezza. Di amore.
Con la mano libera, corta e paffutella, le sfiorò la guancia; le prese l'altra mano; se la portò al viso, baciandola con le labbra contornate dalla rada peluria della sua barbetta.

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