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mercoledì 2 dicembre 2020

IL COLLOQUIO-1-2-3-4-5

 

Si era preparata a puntino. Aveva indossato uno degli abiti migliori, elegante, ma anche abbastanza sobrio e non troppo vistoso.

Non aveva detto niente in casa. Si teneva tutto dentro e ci pensava.

Passando dal centro si fermò, visto che aveva un buon margine di anticipo, a guardare delle vetrine. Una camicetta come piaceva a lei. E anche una borsa anzi due…! Ma per il momento finché non aveva il nuovo lavoro, avrebbe dovuto aspettare.Arrivo nell’edificio con un discreto margine.

Il personale che la accolse fu abbastanza formale, gentile, ma distaccato.

Già guardando le vetrine le era venuto in mente quello che le avevano raccontato Fabiana e le altre amiche.

In situazioni occasioni simili.

La prima aveva dovuto aspettare circa un’ora. C’era sempre un andirivieni: gente che entrava e usciva. E aveva visto là in fondo la porta dove sarebbe dovuta entrare per il colloquio.

Poi.… Miseriaccia…

Un ometto piccolo tarchiato con la faccia inespressiva che continuava a chiacchierare al telefono e neanche le faceva segno di sedersi davanti a lui.

Poi… Una serie di predicozzi squallidi. “E si ricordi questo e quest’altro… Il suo dovere è quello di… E non le venga neanche per l’anticamera del cervello di…”

Fabiana era tornata a casa con un grande disagio interiore. Ricordava ancora la mano che l’ometto le aveva dato, e con la quale aveva tenuto la sua, per qualche minuto, reggendola con tutte e due guardandola negli occhi con aria poco raccomandabile…

Anita aveva avuto un’esperienza all’inizio apparentemente migliore.

Il tipo le era subito venuto incontro sulla porta. Le aveva sfiorato la mano e intanto con l’altra la accompagnava appoggiandogliela sul braccio. Aveva voluto fare il simpatico con battute di spirito. Non aveva parlato affatto dell’impegno del lavoro. Ma lei aveva notato che aveva chiuso a chiave la porta d’ingresso.

Poi la sua mano era scesa dal braccio fino al polso. Glielo aveva accarezzato.

Lei era molto imbarazzata. Sarebbe stato praticamente anche per lei il primo impiego, se l’avesse ottenuto. Non si era preparata e non aveva previsto quel comportamento.

Un po’ a malincuore, ma pensando al probabile risultato che avrebbe ottenuto, lo lasciò fare.

Le mani dai polsi cominciarono a frugare il suo petto. Lei continuava a sorridere imbarazzata e bloccata.

Era abbastanza massiccio e con un po’ di pancia.

Poi, avvenne tutto il resto… Tornando a casa si sentiva un pochino schifata, ma insieme anche abbastanza compiaciuta. Il tipo aveva gradito la sua presenza e il suo aspetto. E s’era messo a farle delle cose che a casa quello là non le proponeva e non  le faceva mai.

Arrossì ancora dentro di sé.

E poi a Marina: quel tipo piccoletto, pelato, con la faccia un po’ da stronzo, che continuava a fare battute tra il lusco e il brusco. Spesso allusive. Al momento era rimasta in contropiede. Poi si era divertita.

Naturalmente anche lei a casa non aveva raccontato niente. E trovava divertente avere quella storia trasgressiva segreta anche se abbastanza squallida.

Come pure Sandra.

Alle altre era andata con piccole varianti.

Cinzia anziché il predicozzo sugli obblighi professionali, aveva subìto e ascoltato strani discorsi ambigui e ambivalenti. Apparentemente parlava del lavoro ma alludeva a qualcos’altro. Circa essere obbediente e ottemperare a tutto…

Per fortuna che poi aveva trovato lavoro altrove.

A qualcuna era andato invece pulita e alla grande. Richiesta di informazioni sulle loro competenze; informazioni sul mansionario; e anche sulle regole relative agli orari e alle eventuali assenze…

Ci aveva ripensato mentre guardava i negozi delle borsette. E ci stava ripensando ora. Che cosa le sarebbe capitato?

Ripensò che il giorno dopo aveva appuntamento dalla parrucchiera. Peccato: avrebbe preferito andare al suo primo colloquio di lavoro coi capelli molto in ordine. Ma non era stato possibile. Avevano già un sacco di prenotazioni. E poi la telefonata era arrivata all’ultimo momento.

Non aveva detto niente: anche perché in casa spesso si dimenticavano dei suoi impegni. Bastava che lei si occupasse delle faccende quotidiane. Per il resto era solo una presenza. Ciao, ciao. Ci vediamo più tardi. Arrivederci…

In effetti, ora, stava sulle spine.

Dietro la porta là in fondo, da dove usciva quel profumo intenso di tabacco da pipa, con aroma di incenso, sentiva una voce forte e vibrante stentorea che parlava con qualcuno oppure stava conversando al telefono.

Non sapeva se avere paura o essere confortata da quella voce baritonale che ogni tanto si lasciava andare in risate col tono di voce più alto.

Infine, una addetta, che era stata avvertita dal citofono, le si avvicinò, in modo sempre formale, e la accompagnò alla porta.

Gliela aperse, e le fece segno di entrare…

Era un salone immenso.

In fondo, sulla sinistra un tavolo da lavoro ingombro di documenti e carte.

A fianco un tavolinetto con un grosso computer e la sua tastiera.

Da un altro lato un altro tavolo di rappresentanza, in stile fratino. E sull’altro lato della stanza un salotto con divano e due poltrone e un piccolo tavolino.

Al tavolo da lavoro, in modo assolutamente opposto e diversissimo rispetto alle sue amiche, stava seduto un uomo abbastanza attraente, abbastanza giovane…

Teneva in bocca la pipa che provocava e spandeva quel profumo gradevole e piacevole.

Indossava una giacca verde di loden a un solo bottone.

Aveva i capelli molto folti e molto fitti ricciuti color castano.

Occhi scuri luminosi intensi che la guardavano in modo aperto e attraente.

Si alzò, le andò incontro, le strinse la mano con calore…

Poi si spostò dal tavolo da lavoro e la invitò ad accomodarsi al salotto…

Forse le chiese nome cognome e tante altre cose rispetto alla sua formazione…

Ripensandoci, a posteriori, non si ricordò più nessun particolare.

Fu gentilissimo. Garbato. Seducente e seduttivo.

Ma per niente invadente come era avvenuto per le sue amiche.

Non voleva sembrare indiscreto e l’aveva chiamata di volta in volta: “gentil signorina… Oppure gentile signora ma non voglio sapere i fatti suoi…”

Quando uscì dall’immenso salone era ancora tutta impregnata di quel profumo intenso di fumo di pipa.

E sentiva ancora risuonare nella sua memoria e nelle sue orecchie: “gentil signorina… O gentile signora …”

E non ricordava assolutamente il contenuto del colloquio.

Era andato comunque decisamente bene.

Avrebbe dovuto cominciare il giorno tal dei tali.

Ma lei aveva in mente altro cui pensare…

Certo, ripassando davanti alla vetrina oltre alla camicetta e alla borsa vide delle scarpe addirittura meravigliose.

E messi da parte il racconto dei ricordi del colloquio delle sue amiche, nella situazione totalmente nuova e diversa che era capitata a lei, si inventò mentalmente degli sviluppi di quell’incontro favoloso…

Forse lui un giorno l’avrebbe chiamata per chiederle come andava il lavoro. Lei sarebbe stata molto timida  e impacciata. Lui l’avrebbe rincuorata con la sua voce calda.

Poi magari le avrebbe detto che voleva presentarle alcune situazioni speciali relative ai suoi compiti e mansioni. E che facesse pure con comodo e gli facesse sapere tramite il telefono del centralino quando le fosse più opportuno.

Ripensava a quel salottino che il tipo aveva allestito nel suo salone ufficio.

Lui non aveva affatto chiuso la porta quando lei era entrata.

Ma magari avrebbe potuto anche farlo. Una prossima volta. E sorrise tra sé…Oppure il personale di quel posto non osava assolutamente entrare senza avere prima bussato e averne avuto il consenso. Oppure… Oppure… Oppure ancora…

La borsetta e le scarpe non le interessavano più in quel momento.

A casa non avrebbe assolutamente descritto il suo nuovo capo dirigente.

Anche perché quasi senz’altro quello là non gliel’avrebbe chiesto.

E mica avrebbe potuto dire che era un uomo che l’aveva affascinata.

Che aveva circa il doppio dell’età di lei.

E che…

Si tenne dentro di sé le sue fantasie…

Chissà… Magari un giorno…

Intanto segnò sulla sua agenda personale la data dell’inizio lavoro.

Magari  il primo giorno sarebbe venuto personalmente il gentiluomo con la giacca di loden verde a darle il benvenuto?

Ripensò con fastidio alle esperienze delle amiche. E anche ad altri approcci che qualche conoscente aveva tentato e azzardato con lei.

Il dirigente gentiluomo sarebbe stato tutt’un’altra cosa…

E continuò a pensarci mentre rigovernava la casa…

Il cuore però le batteva forte…

Il nuovo lavoro…! E  quel personaggio fascinoso…!

Ma diamo tempo al tempo…

 

2

RACCONTO IL COLLOQUIO 2. E poi…

 

Quanto tempo era passato?

Provò ora, come altre volte aveva fatto, a srotolare all’indietro la moviola dei propri ricordi.

Proprio in questo particolare momento qui. Che si navigava e si galleggiava vista per il malessere diffuso dovunque. E soprattutto per il disagio della sofferenza che la stavano incatenando e soffocando.

Proprio ora, che guardava a quel tempo passato con un cannocchiale rovesciato, come se si fosse trattato dei ricordi di un’altra.

Coprì con un velo malinconico quell’ultimo amaro periodo. Tutto quello che le era successo. Trascorreva le giornate praticamente in stand by. Non usciva quasi più se non per impegni sanitari.

Però, stimolata dalle parole di lui nella videotelefonata ultima che le aveva fatto il giorno prima, diede uno sguardo all’indietro…

Saltò  a pié pari l’amarezza che aveva vissuto. E molto a fatica riuscì a mettere da parte gli aspetti più fastidiosi, dolorosi e pesanti dal punto di vista fisico.

Aveva rinunciato alle lunghe camminate. E anche quel salto dovette farlo solo metaforicamente con la fantasia…

Però…

 

Sarà stato qualche anno fa, due o tre, probabilmente, si disse.

Avevo ancora quell’altra auto. Allora,  è tre anni fa concluse…

L’inverno aveva appena smesso di attanagliare con il freddo e il gelo. Le strade non erano più innevate da molto tempo.

In mattinata dopo la colazione e il tè coi biscotti, gli aveva mandato un messaggio.

«Se ce la faccio, credo di partire appena dopo pranzo. Sarò da te dopo le 14… Ti va bene Ciccio? Non stare a preparare cibi speciali. Non troppo tardi, appena avremo mangiato un boccone qualsiasi, stasera, magari un panino e basta, voglio tornare a casa prima che sia troppo buio… Comunque poi vediamo…»

Aveva un sacco di cose in ballo da terminare. Raccolse il bucato che ormai era asciutto. Diede una stirata veloce ad alcune camice e ad una tovaglia.

Prima di pranzo si fece una doccia.

L’acqua calda scivolava sul suo corpo con una piacevole carezza.

Impiegò più tempo per farsi uno shampo. C’era da mettere le creme e le lozioni.

Mentre asciugava i capelli trovò che erano ancora abbastanza in ordine, luminosi, con quel colore dorato che tendeva all’argento.

Incrociò di sfuggita mentre ancora era in accappatoio, quell’altro che si aggirava in cucina con i suoi affettati. Non la degnò quasi di una parola. Ma c’era abituata.

Non doveva neanche fare il pieno del serbatoio. L’aveva fatto il giorno precedente e le sarebbe durato per un po’ il gpl.

Quando salì sull’auto le venne da sorridere. L’auto aveva quel colore metallizzato dorato, che il suo poeta letterato definiva sempre un disco volante.

Chiuse la serranda del box.

Traffico non ce n’era quasi.

E il piccolo disco volante sfiorava l’asfalto con dolcezza delicata.

Appena era partita gli aveva mandato come d’abitudine un messaggio: «sto partendo».

Dopo pochi secondi ricevette un messaggio lunghissimo com’era d’abitudine del suo lui.

«Allora buon viaggio, Gigetta… Il mio cuore sta già cominciando a fare tu-tum- tu-tum-tu-tum… Allora calcolo che fra 50 minuti circa sarei qui potrò abbracciarti, vederti, ammirarti e tremare di gioia… Buon viaggio Cucciola…»

Sorrise tra sé. Poi mise il cellulare nella borsetta.

Non si vedevano da poco più di una settimana. Sapeva che lui ci teneva tantissimo. Ma lei aveva tante cose da fare. In casa. Fuori. Al lavoro… Per la domenica avevano invitato quegli amici. La casa era in ordine. E aveva già preparato qualcosa da offrir loro.

Quasi quasi lo invidiava: vivendo da solo aveva tutto il tempo a disposizione per fare qualsiasi cosa o addirittura per non fare assolutamente niente. Le scriveva dei lunghi messaggi. Graziose garbate poesie. Racconti di vario genere. Fantastici. Dove lei era sempre la protagonista. E le mandava anche dei racconti a sfondo amoroso erotico …

E messaggi chilometrici che non finivano più…

Mentre guidava se lo immaginava… Le sarebbe venuto incontro giù in strada, magari con il cappello e vestito nei suoi modi bizzarri…

Poi sarebbero saliti in ascensore.

Appena dentro lei si sarebbe tolto il giaccone e avrebbe appoggiato la borsetta.

Poi si sarebbero messi sul divano rosso. Lui le avrebbe regalato qualche momento di proprio silenzio. Lei avrebbe potuto raccontare di questo e quest’altro… Le piaceva che lui l’ascoltasse bevendo golosamente le sue parole…

Avrebbe appoggiato la testa sui cuscini damascati. Tolte le scarpe avrebbe messo i piedi e le gambe sulle sue ginocchia. Lui le avrebbe cominciato a carezzare morbidamente i piedi. Carezzare massaggiare perché le aveva i piedi un po’ freddi in quei casi…

Gli avrebbe raccontato qualcosa relativa al lavoro. O  relativa alla sua famiglia… A volte riusciva anche a tirar fuori dei ricordi di quando era bambina ragazza adolescente che lui stava ad ascoltare e pendeva dalle sue labbra…

Poi, ad un certo punto sarebbe stata lei a tirarlo vicino. A fargli capire che voleva essere baciata. Ricambiando intensamente il bacio che sapeva di fumo di pipa.

Si sarebbero coccolati un pochino. Poi lei gli avrebbe detto: «senti… Che ne dici se andiamo di là…»

E andava all’indietro. A quando aveva avuto a livello fantastico che diventava più reale del reale, quel colloquio. Nel racconto… Probabilmente mai avvenuto. E lui sarebbe stato il suo capo nel lavoro. E sempre mentre guidava, immaginava gli sviluppi, anche lei aveva buona fantasia come lui…

 

Dopo quel primo incontro colloquio, se l’era davvero trovato il primo giorno di lavoro ad accoglierla. Gentile. Garbato. Mostrandole  molto interesse.

Ma non l’interesse animale che nel racconto era capitato alle sue amiche e conoscenti. O  delle attenzioni beceramente assatanate di squallidi maschi insoddisfatti della propria vita sessuale, alle quali le donne a volte non osano dire di no, tirandosi indietro. E loro si sfogano, dando loro quel piacere puramente bestiale ma di basso livello…

Lui, invece, non si sbilanciava più di tanto. Diceva e non diceva. Allusivo alludeva. E lei lo guardava trasognata. Neanche più imbarazzata a fantasticare una storia d’amore trasgressiva, bizzarra, scatenata e vulcanica, con il suo principale…

E si sarebbe subito dedicata dichiarandosi devota in tutto. Nel lavoro ma anche negli altri aspetti più piacevoli. E poi si sa, da cosa nasce cosa… Lei gli avrebbe chiesto di ordinarle qualche dopolavoro. Qualche incontro extra eccezionale straordinario. Lei avrebbe accettato volentieri… Ma non sapeva ancora adesso, perché nel racconto sul colloquio non se ne parlava, di quale fosse il lavoro che avrebbe avuto con lui. Provò a pensare al mondo della scuola. Oppure a quello della sanità… Oppure, oppure, oppure…

Il suo maestro le stava insegnando bene. Anche lei stava cominciando a imparare a raccontarsi le storie da sola come aveva sempre fatto lui. E come faceva bene anche con lei.

 

Lui era già andato di là nel frattempo. Aveva  acceso tutti gli incensi. I lumini e le candele.

E l’aveva accolta nell’ampio letto, nella penombra con le luci tremolanti delle candele, che si riflettevano negli specchi messi da tutte le parti… E quando lei si era coricata molto nuda accanto a lui nudissimo, come preliminare amoroso, mentre l’accarezzava qua e là, le aveva regalato un raccontino erotico…

«… E il maestro le aveva detto: piccina, certo, fermati nell’aula a darmi una mano quando le tue compagne saranno uscite. Ho tanto bisogno del tuo aiuto… E poi, lo sai, che dopo avere sistemato la cattedra, tolti i quaderni e libri, ti ci farò sedere… Ti solleverò la gonnellina. Ti  sfilerò le mutandine se le avrai ancora indosso. Ti bacerò molto a lungo la tua patatina e quando sarà bella umida e molto ben goduta e divertita, ti entrerò nella carne prima davanti e poi di dietro… Sai com’è la storia… Te la racconto sempre ma non cambia mai ed è sempre più bella…»

Lo ascoltava ridendo. Poi gli chiese: «mi  porteresti un bicchiere di acqua o di acqua tonica amore?»

 

3

Da tempo, ormai,  lui non glielo chiedeva più… Oppure lo faceva così di corsa, alla sfuggita prima di chiudere la telefonata  video… Nei loro colloqui era come se fosse sorto un pudore riservato e nuovo. Lui parlava di tutto. Fatti politici. Aspetti di costume sulla pandemia. Reazioni della gente stupida. Che affermava, talvolta, di rispettare le regole imposte, quasi soltanto o prevalentemente per timore delle sanzioni. Dimostrando di non avere capito assolutamente la gravità che stava dilagando. Negozianti, bottegai, funzionari di vario genere, personale sanitario, gentuccia comune: il timore delle multe salate che sarebbero arrivate ai trasgressori. Sembrava essere l’aspetto dominante. Come se si trattasse di qualcosa che capitava ad altri, tutto quello sfacelo, quell’ammalarsi, e i lutti… Talvolta qualcuno affermava, con una dose di incoscienza egocentrica, che capitava solo agli altri. Che lui o lei ne erano immuni.

Poi le raccontava dei vari contatti on-line. Le varie videoconferenze dei gruppi e delle associazioni. E le sue passioni del momento. Da ultimo le aveva raccontato di aver cominciato a frequentare una piattaforma che si occupava delle origini etimologiche delle parole. Era stata sempre una sua passione: dentro le parole spesso permangono residui e tracce di avvenimenti recenti o molto lontani.

Ma anche il gruppo l’aveva abbastanza annoiato: raramente gli arrivavano notizie nuove, informazioni che non aveva. Più che altro si trattava di curiosi che domandavano gli altri spesso senza averne risposte…

Ma da tempo, ormai,  lui non glielo chiedevano di più, come stava. A entrambi sembrava superfluo. Lei lo sapeva e lo soffriva nella sua carne e nella sua esistenza. Lui al massimo partecipava, con battute rapide e veloci, facendole capire che le era vicino, che sentiva la sua sofferenza umana. Che era profondamente solidale con lei.

Qualche volta si dilungava nei messaggi o nei racconti: cercando di distrarla. Di farle pensare ad altro. Riprendeva la storia immaginaria, fantasiosa, improbabile eppure bellissima, di quell’incontro che non era mai davvero avvenuto nel tempo. E non solo dal punto di vista del suo approccio all’attività lavorativa, nella quale ipotizzare che lui avesse potuto essere il suo principale e il suo capo.

Ma anche altre sfumature e particolari. E le buttava lì come fossero realtà.

Guidava, come fosse stato un giostraio dei baracconi, la ruota che andava su e giù. O che girava di qua e di là.

Le aveva regalato a posteriori la fantasia di una convivenza familiare. E allora attribuiva a quelle nozze mai celebrate, la nascita dei figli di lui e di lei… Mettendoli insieme. Rispettando i dati anagrafici e cronologici…

Aggiungendo variazioni. L’aveva fatta viaggiare con lui, sul camper, su piroscafi che andavano alle isole mediterranee, su aerei che solcavano le nubi e portavano lei e i ragazzi nei luoghi favolosi che lui aveva visitato. L’Iran. Parigi. La Danimarca. Le isole greche.

Lei ascoltava, leggeva, assorta e a volte un po’ malinconica.

 

In tali occasioni, di propria iniziativa, ripercorreva i reali viaggi in cui l’aveva condotta con sé.

Tra le calli e i canali della moribonda città di Venezia. Con il suo fascino. Il suo odore stantio di acqua ferma.

Oppure anche appena dopo il confine tra Liguria ed Emilia-Romagna.

Al festival della mente di Sarzana. E lì c’erano stati davvero. Le tornava in mente quel piccolo alloggio su due piani. I giochi amorosi che si erano reciprocamente regalati.

Le sveglie inaspettate e improvvise all’alba…

E quando guidando un po’ all’impazzata nelle stradine aveva tagliato uno pneumatico della propria auto. Era solo era tornato a cambiare la gomma…

I gamberoni i funghi e pesci fritti nel ristorante all’aperto…

Le tensostrutture bianche sulle quali batteva il sole e si aspettava golosamente che ne alzassero lateralmente i teloni per avere qualche soffio rinfrescante.

O quelle gite alle isole dei loro laghi. Nei primissimi tempi della loro vicenda stupenda.

Ci ripensava. Malinconicamente carezzava quei ricordi.

I rari viaggi reali oltre a quelli che lui inventava per regalarglieli: insieme a quelli reali a parziale ricompensa per addolcire la mancanza assoluta di vacanze che la sua vita quotidiana le aveva propinato.

 

Lui dopo tutte le esperienze compiute era decisamente contrario alla vita coniugale e al matrimonio. E lei, pure, amaramente ripensando a se stessa era dello stesso parere…

Eppure, seppure per gioco, lei gli diceva che lui era l’uomo della sua vita, il suo unico vero sposo, marito, compagno… E lui diceva altrettanto… Anche lui consolandosi delle tristi esperienze che le donne gli avevano finora regalato.

E nel racconto che lui probabilmente stava confezionando su misura per lei, probabilmente ci sarebbe potuto essere un viaggio…

Sognato. Un regalo a distanza…

 

«Beh, poi, il suo nuovo capo, divenuto suo compagno di vita, le aveva fatto vedere dei biglietti aerei… Stupita aveva curiosato la destinazione. Il Magreb…

15 giorni di sogno! Partire in pieno inverno, lasciando nell’auto parcheggiata all’aeroporto gli abiti invernali e le giacche a vento. E nella borsa da viaggio estrarre camicie leggeri di seta. Sandali. Mini shorts…

Nell’inverno europeo l’Africa ha un clima più mite.

Tiepido e caldo quel tanto che basta da essere sopportabile.

Le sgroppate nelle piste dure di sabbia.  O a dorso di cammello…Gli arabeschi e i colori ricchi di lapislazzuli delle regge imperiali nordafricane. E magari anche, con un rapido spostamento interno, una puntata alla Valle dei Templi, alle piramidi di Giza, alla sfinge… Tutti allineati verso il cielo dove una volta compariva la costellazione di Orione.

E di nuovo parole.

Racconti.

Ricordi…

Di 3000 e più anni prima.

A curiosare Luxor.

A fare piccoli spostamenti sugli immensi barconi del Nilo a discendere verso il sud…

E le aveva chiesto se era di suo gradimento.

Lei lo guardava estasiata. Non gli mancava la fantasia per farle ogni volta doni speciali e sublimi…

E dopo i biglietti dei voli immaginari, se la teneva vicina, senza niente addosso, a raccontarle di nuovo del maestro/barone e della sua bambina alunna prediletta…

Lei ascoltava. E  in parte ricordava perché erano racconti non nuovi come atmosfera…»

 

Ma ora, amaramente e dolorosamente c’era il presente. Ripensava a quanto le mancavano le camminate tra gli alberi e nei boschi. Da sola o in compagnia.

Lui le prometteva ora nelle video telefonate, che magari, usando le cautele del caso e la prudenza, e delle guaine elastiche di rinforzo alle caviglie, appoggiandosi al braccio di lui, avrebbe magari potuto riprendere a farne qualcuna…

O magari anche più di qualcuna.

 

Di lontano gli echi e le statistiche della sciagura colossale che invadeva il pianeta.

Ogni tanto, il regalo di qualche telefonata che faceva o che riceveva…

Pensò, nel presente vero attuale e concreto, che stava ricevendo in quel momento così brutto un regalo d’amore immenso.

Il barone, maestro, poeta bizzarro un po’ assurdo, sceglieva ancora, sempre, di nuovo, intimamente e fino nel profondo della mente e della carne, lei come sua compagna.

E la derideva quando lei si autodefiniva un’invalida, e le regalava continuamente sprazzi di azzurro cielo e di sole radioso.

Le donava la primavera  e il risveglio la resurrezione dal disagio e dalla sofferenza.

Lui sapeva, voleva, pretendeva, ingiungeva di essere lui l’unico uomo della sua vita. Suo salvatore. Anche se finora non aveva compiuto miracoli tangibili.

Perché considerava come miracolo più grande e possibile la forza dell’affetto e dell’amore.

 

4

E intanto, non avendo di meglio da fare, il tempo aveva guardato il calendario e si era messo le mani nei capelli… Meravigliandosi addirittura di essere arrivato fino al 1° dicembre senza avervi fatto ricorso: era ora di mettersi a nevicare…

Si guardò in giro, il cielo era grigio abbastanza.

Sia in pianura, che sulle colline, che sul lago…

Perciò, abbassate le mani dai capelli, se le fregò l’una con l’altra quasi per riscaldarsele e si decise:

“potremmo cominciare a fare una prima spruzzatina di neve, buona idea…”

Tanto, pensò tra sé, mica c’è il rischio di impedire in questo modo alla Cipolletta di andare a trovare il suo barone…

 

Lei, poverina e tenerella, se ne stava rannicchiata nel suo letto. Da un po’ di giorni a dire il vero…

Non potendo andare a fare le sue camminate, per quanto le piacesse molto, per via del dolore che non la lasciava un attimo in pace, se ne stava così. Ore e ore. Non solo la notte ma anche molte ore del giorno.

Aveva seguito le sue solite routine.

Qualche scambio di messaggi.

Qualche telefonata. E poi quando non ce la faceva più se ne stava sul divano a guardare la tele. Oppure ascoltava le sue musichine nelle cuffie.

Aveva rimeditato anche le storielle, racconti, fantasie probabili e anche improbabili che il suo barone narratore maestro innamorato le mandava ogni tanto.

E un po’ per consolarsi, c’aveva aggiunto dei particolari…

 

«Ma sì, che lei fosse o no stata assunta alle dipendenze del barone dirigente, che lei lo avesse incontrato e avessero incominciato una vita in comune, oppure anche no…

Poco importava…

Ragionando all’indietro aveva deciso proprio quel giorno, che era il 1 dicembre, di dichiararsi perfettamente d’accordo con la legge appena approvata pochi anni addietro. Che tutti gli altri ritenessero una cosa bella piacevole opportuna sposarsi, riflettendoci bene, aveva concluso di preferire una vita da single. Chissà a cosa sarebbe andata incontro sposandosi… Sì, d’accordo, si poteva metter su famiglia, avere una casa in comune, avere dei figli da seguire e accudire…

Ma con chi poi?

Non certo con quel tale omuncolo che le aveva  gironzolato intorno e col quale aveva avuto una storiella di recente. Non prometteva nulla di buono. Disponibile, addirittura attraente, come riusciva a voler sembrare, ma poi? Si sarebbe ricordata di lei in tutti i momenti? Oppure l’avrebbe lasciata nel suo brodo a far la casalinga, la madre, la badante della casa… Trascurandola poi e non portandola neanche a fare viaggetti e vacanze?

Sì, l’idea del focolare caldo, dell’usare il plurale “noi”, i “nostri amici”, nostri parenti, e cose del genere era abbastanza allettante… Ma poi?

E neanche era conveniente e opportuno aspettarsi o desiderare che fosse il barone dai capelli arruffati a “convolare a giuste nozze con lei”… Insomma a sposarla.

E poi? Sarebbe stato lui nella realtà della vita quotidiana per il quale avrebbe dovuto tutta la vita accudire la casa? Sbrigare le faccende domestiche? Magari ricevendo in cambio soltanto indifferenza, fastidio, freddezza…? Fino a quando magari lui avesse poi deciso di occuparsi di altro… Altre donne… O peggio ancora: invece che altre donne il suo altro “niente” … Indifferenza magari consolata con qualche birretta ad alta gradazione… L’uomo verso il quale provare soltanto fastidio, dipendenza, reverente rispetto, frustrazione insoddisfatta…?

Certo il barone non sembrava promettere questo. Ma, come si fa a dirlo preventivamente? Magari il barone da grande, avanti negli anni futuri avrebbe desiderato fare il saltafossi, cercare altre donne, altre convivenze più o meno coniugali…

E magari anche a lei, come aveva sentito raccontare da amiche intime, sarebbe poi magari venuta la voglia di guardare con desiderio qualche altro maschio.

Che le ricordasse in qualche modo come aspetto come tono di voce come modi il suo amante compagno…

Con il rischio di trovare soltanto altri omuncoli modesti, squallidi, assatanati perché annoiati e stufati della propria attuale compagna.

Per avventurette meschine, arruffate, “usa e getta”…

Vissute e gestite in posti improbabili… In case estranee… Scomodamente nell’auto…

 

Ma no…! Molto meglio, per quel racconto che lui le aveva regalato e che lei si regalava da sola ripensandoci, considerarlo il suo uomo ideale. Amante segreto. Senza nessun desiderio da parte propria o da parte di lui di trasgredire o di avere altre storie… Lei non avrebbe mai desiderato avere un altro oltre lui perché lui l’aveva sempre considerata libera, schiava sì ma una schiava libera… E una schiava libera non ha bisogno di allontanarsi dal suo padrone se è lei che lo sceglie, se è lei che lo vuole, se è lei che non desidera di meglio…

Da coniugata a una donna è possibile probabile che desideri avere qualcun altro. Che si faccia delle fantasie affettive, visive, magari anche erotiche. Ma una donna libera proprio perché libera non ha nessun bisogno di interesse o volontà di liberarsi ulteriormente…

Già… Ma per avere i figli insieme? Avrebbe potuto come avevano fatto molte altre persone che lei conosceva, convivere e basta. Senza bisogno di dover imbarcarsi nell’impresa del divorzio che da poco permetteva la separazione di tutto.

Due persone che si scelgono e convivono liberamente molto probabilmente sono più capaci come han deciso di mettersi insieme, nel caso malaugurato, anche di separarsi…

Ma lei pensava che non avrebbe mai fatto…

Anche perché quella era una storia puramente pensata…

Magari fosse stata vera…»

 

Sorrideva compiaciuta, ora, di avere imparato anche lei questo gioco che le aveva insegnato il suo maestro e amante innamorato: raccontarsi le storie.

E dopo l’inizio continuare, continuare, continuare…

 

L’unica evasione e trasgressione che desiderava davvero, era quella con lui, il barone, il folle bizzarro poeta don chisciotte, il suo vero totale compagno amante padrone tiranno dolcissimo…

Non sapeva assolutamente cosa farsene di altre fantasie, di altre storie…

Aveva appena sentito la sua voce nella videotelefonata.

E  aveva visto il suo volto.

E aveva riso per le sue battute…

Sorriso…

E si era divertita!

Il suo barone, che non vedeva da un sacco di tempo ormai, quello che l’aveva accompagnata volentieri nei giri alle isole… A ridere e scherzare sul santo imbalsamato nella teca sotto il santuario. O in quell’altra isola in quell’altro lago, quando gli aveva involontariamente per sbaglio pestato un piede, girandosi di scatto… Ridendo e scusandosi. E per farsi perdonare si era alzata sulla punta dei piedi baciandolo intensamente sulla bocca.

Fregandosene della gente che c’era intorno a fare da sfondo.

Fino a qualche tempo prima, quando ancora non era obbligata a starsene tutto il giorno a letto da sola, erano andati insieme al teatro sull’altra riva.

Erano andati insieme a nuotare nel blu verde cupo del lago.

Erano dati di qua e di là…

 

Si strinse nelle spalle. La magnetoterapia continuava con le sue leggere vibrazioni alle sue estremità..

E un pezzetto del racconto non fantastico, ma reale, probabile e certo ormai vicino, le suggeriva che bastava aspettare ancora un po’. Almeno quel tanto che le permettesse di muoversi con l’auto e arrivare fino alla sua casa disordinata, piena di fiammelline di candele e di profumo d’incenso.

E provò a ripensarci.

Non era più soltanto un racconto, una fantasia, un sogno…

Lei lo voleva…

Quella era la medicina migliore…

Sia per lei che per lui…

Sì, certo, si disse tra sé.

Diamo tempo al tempo.

O come dice lui: “LA SPERANZA È SEMPRE L’ULTIMA A MORIRE…”

IL COLLOQUIO 5…

 

In effetti “il colloquio” era stato concluso da tempo. Circoscritto in quell’ambito narrativo a ritroso. Ora i colloqui avvenivano con video telefonate…

E non erano fantasiose ipotesi retrospettive di approcci mai avvenuti, nei quali lei si trovasse di fronte proprio lui, nel passato di entrambi, per un’assunzione in un’attività professionale che non veniva definita. Ma lasciata lì in sospeso…

Lui le aveva detto, molto scherzosamente sperando di non offenderla, che presto le avrebbe fatto un elenco di tutti i suoi malanni…

Sì, perché adesso si è raggiunto anche un forte mal di schiena. Tipo lombalgia. Avevano riso insieme della cosa.

A lui piaceva scherzarci. Metterla sul buffo e sul ridicolo. Per sdrammatizzare.

Perché da così lontano, non aveva altro modo per mandarle carezze, farle sentire il proprio affetto profondo, coccolarla come a lei faceva bene… E quel giorno ci si era messa anche la spruzzatina di neve. Era stata anticipata il giorno prima narrativamente. Là era il “signor tempo”, stupefatto per non averlo ancora realizzato: ai primi di dicembre un po’ di neve ci andava giusto a puntino.

Ma tutto si era risolto un po’ alla buona. Una spruzzatina di nevischio subito sciolta da una pioggerella senza impegno. Quel tanto che bastava per far venire alla sua principessa, baronessa, alunna, bambina e donna, un’ulteriore fastidioso malanno.

A onor del vero, il narratore barone poeta amante innamorato e quant’altro, non aveva nessuna responsabilità di ciò. Se non quella sua capacità divinatoria di prevedere anzitempo i fenomeni e i fatti. Mista a quell’altra di leggere nel pensiero anche a distanza. Nella conversazione video aveva interpretato i pensieri che la fanciulla aveva proprio in quel momento dopo una sua battuta.… E lei ci aveva riso. Confermando.

Più che di colloqui ora era il caso di occuparsi, disse tra sé il poeta barone, della maratona poetica alla quale era stato invitato e coinvolto.

Un’amica stimata l’aveva trascinato in uno di quei giochini abbastanza diffusi nei social media. Invitare qualcuno a far qualcosa. Il quale qualcuno avrebbe a sua volta dovuto invitare degli altri creando delle specie di catene di Sant’Antonio…

Lui in genere aveva sempre evitato cose di quel tipo. Ma in questo caso non aveva osato rifiutare l’invito. Anche perché sarebbe stata un’occasione per buttare al vento, agli occhi e alla lettura delle sue composizioni poetiche.

Aveva però un dubbio e una perplessità. Dovendo pubblicare per otto giorni consecutivi quotidianamente un testo poetico, ogni volta avrebbe dovuto invitare qualche altro poeta o poetessa nel gioco… Fece i suoi conti. Alcune persone che aveva contattato nel passato a proposito della poesia le aveva assolutamente tolte dal proprio repertorio per alcune carognate che gli avevano fatto. Ma contando bene riuscì a mettere insieme un numero sufficiente di persone che ricordava e considerava con simpatia e stima.

Quel giorno stesso, all’alba, anzi molto prima dell’alba e prima che il cielo facesse cadere i suoi modesti striminziti e stitici fiocchi di neve, aveva buttato giù un testo appassionato. Pieno di sangue e di lacrime. In  tutto il mondo partivano appelli per fermare una esecuzione capitale. Per un mite e probabilmente buono ricercatore medico nell’ambito dei disastri ambientali. E allora si era scatenato. L’esecuzione dopo quattro anni di torture e di reclusione stava per essere realizzata nel paese che lui aveva visitato circa 45 anni prima con la sua piccola molleggiatissima Citroën… 402 di cilindrata…! Andava pianissimo…! Ma con quella che aveva fatto circa 30.000 km raggiungendo l’oceano indiano torbido, caldo, infrequentato, se non dalla pinna triangolare degli squali. Nelle spiagge di Bandar Abbas…

Aveva aderito all’iniziativa della maratona poetica, rilanciando un testo che aveva scritto nell’81. Quando la involuzione khomeinista aveva scosso quel paese erede dell’impero persiano, e veniva condannato a morte un poeta… Reo di dissentire dal regime degli “ayatollah pirati” come lui li aveva definiti.

 

Come sempre ne aveva dato notizia alla sua diletta che aveva gentilmente schermito e dileggiato poco prima nella videotelefonata.

E mentre le raccontava quelle cose, mentre vedeva il suo volto che riusciva come sempre a fare sorridere e distendere, aveva fatto di nuovo mente locale.

Lei stava a letto. Ridendo da se stessa verso il nuovo malanno insortole. E lui era riuscito con le proprie parole, pensieri, immagini battute ironiche e quant’altro, a ,carezzarla e a riempirla di coccole. E la guardava oltre che nel monitor del suo tablet, la guardava mentalmente, spiritualmente, fisicamente… La guardava tutta da lontano e insieme da vicino.

Ma incapace a rassegnarsi alle sventure proprie e soprattutto a quelle delle persone (pochissime peraltro) che amava, le aveva buttato una ventata di speranza e di entusiasmo.

Come faceva nei videomessaggi e nei massaggi vocali che tutte le sere le mandava.

E non era un complimento un regalo gratuito e basta.

Lui sapeva, credeva, ne era profondamente convinto, che passata la bufera galattica del virus maledetto, sarebbero passati gradualmente anche gli aspetti più brutali, violenti e dolorosi della sofferenza di lei. Di quella fisica soprattutto. Ma fondamentalmente di quella morale spirituale emotiva.

Lei sorrideva dentro di sé incredula. E non riusciva fino in fondo a convincersene… Ma ogni volta un barlume ottimistico di speranza le si accendeva dentro. Come i lumini che lui faceva brillare diffusi in ogni angolo della casa e soprattutto della camera. Come le candele che ardevano nei candelabri di ottone di cui faceva incetta al mercatino dell’Assopace.

Non lo ammetteva con lui, ma almeno un briciolo dentro di sé faceva presa.

Perché lei voleva, anelava, pretendeva di tornare ad una vita un po’ più umana. Magari anche senza riprendere le lunghe camminate. Ne avrebbe fatta soltanto qualcuna nei dintorni della sua terra. Nei posti che conosceva bene. Nelle piccole frazioni che erano familiari ormai anche a lui. E questa volta avrebbe sempre avuto il braccio di lui a cui aggrapparsi. Materialmente ma soprattutto mentalmente.

Lui gliel’aveva detto e ripetuto:

«poche palle! Non sarà una questione di settimane o di mesi, magari ci vorrà un po’ di più, ma verrai di nuovo a camminare nelle campagne nei boschi e sulle colline. Sulle stradicciole che rasentano i torrentelli di acqua limpida. E ti aggrapperai  al mio braccio… E i viaggi che non hai mai fatto tranne quei pochi che hai regalato alla mia compagnia, allora davvero li faremo. Stanne pur certa…!»

Lei si era riassestata l’apparecchiatura della magnetoterapia. E si era preparata per andare a fare gli altri esercizi che un po’ alla volta lentamente avaramente pigramente sarebbero comunque riusciti a rimetterla in sesto…

Almeno quel tanto che bastava per potersi regalare di nuovo tutta quanta fin in fondo all’uomo della sua vita. Quello vero.

Si guardò nello specchio. Diede alcuni tocchi al trucco per migliorare il proprio aspetto.

Poi, conservando nelle orecchie la voce di lui che parlava parlava parlava all’infinito, si apprestò a partire.

 

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