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sabato 26 dicembre 2020

LA MIA ’STANBUL

 LA MIA ’STANBUL

(Rosso Istanbul. Può la narrazione anche filmica provare a raccontarci la realtà?)
Confessò che la cosa lo ingolosiva e turbava nello stesso tempo.
Ferzan Ozpetek…! Non è come dirlo..
Con lui ci si era trovato altre volte in quel mondo particolare della narrazione filmica. Con gli stilemi ricorrenti. Spesso anche gli attori prediletti al loro posto…
Boh. Anche quella volta ci si buttò. E si imbatté nella vista e ci si era perso: Bosforo. Come un largo fiume dilatato. E, in prospettiva, sul lato destro, dell’immenso ponte che lo scavalcava.
Ci si era perso, letteralmente, allora.
Anche se probabilmente non aveva ancora come oggi 15 milioni di abitanti ma solo 12… Si fa per dire.
Più di quarant’anni fa. Un viaggio assurdo, affascinante, estenuante: in auto dalle risaie fino all’oceano indiano di Bandar Abbas…! E anche” in auto” merita una precisazione. Lui disponeva di una Citroën dyane 402 di cilindrata… I compagni di viaggio: una R4 che disponeva addirittura del doppio di cilindrata: 800, o giù di lì…Quell'altro non riusciva a capire come mai lui e la sua compagna stentassero così tanto a stargli dietro.
Fatto sta, che dopo circa 20.000 km, con la pelle riarsa e asciutta come un beduino, stava cercando di raggiungere il compagno di viaggio che lo precedeva, e che aveva promesso di far lui l’andatura… Praticamente perdendosi di vista!
Le dotazioni di comunicazione di quel tempo erano molto più limitate. Quando dalle cartine la sua navigatrice gli annunciò che stavano arrivando a Costantinopoli, fu preso dall’ansia e dallo sconforto.
E a maggior ragione quando si trovò all’imboccatura dell’immenso ponte sul Bosforo. Pattuglie militari impedivano di fermarsi a guardarsi in giro. Essendo un punto strategico. Perciò fu costretto, avanti e indietro diverse volte, a frugare ciò che gli era impossibile trovare… Né da un lato né dall’altro la Renault c’era!
Girò a vuoto qualche giorno, col cuore in gola, a curiosare di corsa quel gioiello di città composito astruso. Ci si era perso toccando una zona remota molto periferica di cui non ricordava più il nome, dalle abitazioni tutte in legno antico e corroso. Aveva frugato tutti i principali campeggi. Niente. Solo alla fine, perlustrando senza speranza, l’aveva trovata la tenda installata. Lasciando un messaggio scritto in cui raccontare la disavventura.
Una premessa doverosa: non è intenzione qui di perdersi in un depliant turistico.
Per venire al presente, ora, sullo schermo del computer, scorrevano le immagini coi titoli di testa: sullo sfondo della città imperiale…
Ozpetek.
Si adattò lentamente a quello stile di narrazione per immagini.
Pareva ogni volta che l’obiettivo della cinepresa si perdesse su volti, posizioni, gesti, persone, sfondi. E ci si perdesse per disattenzione, distrazione. Gli sguardi di tutti, a cominciare da quello dell’operatore di macchina, correggevano l’impressione. Tutto ciò che era apparso ad una prima visione insignificante, casuale, provvisorio, acquistava faticosamente un senso.
Intenso interesse a scrutare chiunque e qualunque cosa.
E la narrazione finiva per prendere senso.
Insieme alle parole.
La vicenda, molto autentica, per quanto apparentemente improbabile, indossava i vestiti della realtà.
Un editor era tornato alla sua terra di origine, chiamato dall’amico regista e ora scrittore. Per aiutarlo qui nella narrazione del romanzo a cui si accingeva.
La scena pullula di tutti i personaggi del mancato romanzo: il regista/scrittore scompare inspiegabilmente. E tutti gli altri continuano a frugare i propri sguardi nel dovunque presente e passato.
Ricordava bene le immagini remote conservate nelle proprie diapositive chissadove. Tutto era cambiato adesso. Come si dicevano tra loro i personaggi nel film.
Chi guarda troppo al passato non vede il presente.
Tu potresti essere l’uomo che ho sempre cercato.
Il dolore separa le persone o forse può unirle.
C’è bisogno di mentire per essere davvero sinceri.
Non siamo più al “museo dell’innocenza” di Pamuk.
La presenza, apparentemente distratta e di sfuggita della splendida Serra Yilmaz, presenza costante e abituale nei film di Ozpetek. Con le sue battute deliziose, che scombussolano e finiscono per dare un senso al racconto. Con ironia, distacco, pregnanza profonda.
Attraverso gli occhi, azzurri e luminosi di Orhan, guardiamo ed entriamo in quel mondo. Finendo per confonderlo confrontandolo con il nostro mondo mentale ricordato.
Cade e scompare, in quanto ininfluente qui, l’urlo rabbioso di lupo famelico, dell’attuale sultano Erdogan. Occupato nelle sue simulazioni di golpe per dominare quell’immenso paese che era stato Bisanzio.
Come pure le sue carceri, le torture e le esecuzioni.
Torna in mente il modo in cui aveva sentito pronunciare il nome della città.
E non era un errore di ricordo o di pronuncia. Quanto piuttosto una familiarità affettuosa degli anni 70: Istanbul veniva pronunciato a quanto ricordava ‘Stambul…
Credeva di ricordare ancora qualche breve frase in quell’idioma.
E si ritrovava sillabare: uno due tre quattro: bir iki üç dört…
Quanto costa? Ne kadar?
Per favore .Lütfen
buongiorno buonasera . günaydın iyi akşamlar
teşekkürler rica ederim. Grazie prego…
Le frasi inutili e banali da turista, come in quei manuali che dovrebbero o vorrebbero insegnarti una lingua partendo dalle cose più ovvie inutili… E l’ha capito bene il rumeno Eugène Ionesco.
“Teşekkürler rica ederim”, fantastico narratore di storie Ozpetek.
Avevo creduto di seguire il tuo film del ritorno alla tua terra. Alla tua infanzia. Alla tua origine. Come per caso, quasi non ne avessi l’intenzione vera, mi hai guidato nel percorso. Evitando che mi perdessi fino in fondo.
E forse è proprio vero che “bisogna saper mentire per esser davvero sinceri”.
(Ahi! Quanto è vero!)
“Chi guarda troppo al passato non vede il presente”.
(Lui stava guardando alle diapositive mentali del passato e faceva fatica a vedere il presente nitido e chiaro)
“Tu potresti essere l’uomo che ho sempre cercato”.
(Così aveva detto a lui anche la sua ultima donna.)
“Il dolore separa le persone o forse può unirle.”
(E si sentiva perciò nel dolore presente esistenziale quanto mai unito a lei… Nella distanza della separazione incombente…)
Mentre frugava con gli occhi nella scena filmica narrata, continuava mentalmente a frugare se stesso, la sua lei quasi remota, e la traccia che le formichine lasciavano sulla sabbia.
Erano tracce che raccontavano soltanto spostamenti. Insieme a parole che arrivavano per altre vie; a raccontare una realtà che andava sbriciolandosi, disfacendosi, e un po’ alla volta cancellando anche il passato amoroso.
Mi tocca di nuovo, per obbligo spirituale, ringraziare anche qui questo narratore di immagini. Che raccontava la sua storia. Attraverso la storia di altri. Che avrebbero dovuto raccontarla prima di scomparire definitivamente dal film.
Le storie, forse, tutte quante, si mescolano insieme… Per diventare un’unica narrazione… Il problema è decifrarle!
Ferzan Ozpetek. Aiutato dalla voce fuori campo della apparentemente buffa Sibel, la sempre meravigliosa Serra Yilmaz.
È d’obbligo, anche qui, ringraziare RaiPlay. Per avermi regalato questo gioiello che solo apparentemente può risultare nebbioso e confuso.
Nanni Omodeo Zorini

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