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domenica 18 aprile 2021

MANI

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MANI
Nel paese che forse c'è, un mattino di un giorno probabile, per caso si erano incontrate due mani. Insomma due mani così: una mano maschile, allungata, ampia, dura e legnosa; e una mano morbida di fanciulla. Niente di eccezionale in questo. Naturalmente. Si erano trovate a passare di lì, dove la collina si traveste da pianura. E dove i prati e boschi quatton quattoni, senza dir niente a nessuno si divertono a sembrare altura.
Si erano sentite da lontano. Provando entrambe un desiderio e un impulso forte di incontrarsi, di sfiorarsi, magari addirittura di stringersi…
Eh, ma già! Così? Tra il lusco e il brusco? Andiamoci piano! Ci vuole cautela. Discrezione. Riserbo!
Aveva mosso i primi passi la mano fanciulla. Con nonchalance e noncuranza, si era abbassata a raccogliere nel prato uno stelo che appariva trifoglio, ma che invece, incredibile ma vero, era proprio un quadrifoglio!
Sulle prime non credeva al proprio tatto. Sì, forse le era capitato qualche volta quand'era bambina… Ma quel giorno, proprio non se l'aspettava! Aveva avuto quasi timore e titubanza nel raccogliere quello stelo. Ma poi l'aveva staccato dal terreno, garbatamente, con delicatezza. Regalandolo allo sguardo che lo ammirava entusiasta.
Li vicino, per un puro caso fortuito, una mano non più giovanissima maschile, aveva raccolto una "castagna matta". Il frutto dell'ippocastano. Chiamato così perché si diceva da sempre che tenendolo in tasca avrebbe portato fortuna.
Gli sguardi di quelle due mani si erano imbattute l'una nell'altra. Senza intenzione. Quasi timorose di sorprendersi vicendevolmente. Ma intanto la pompa cardiaca nella gabbia toracica di ciascuno dei due aveva cominciato a tamburellare. Prima in modo morbido e sommesso: tu-tum.…… tu-tum…. Tu-tum….
Ma, è noto a chiunque, che quando comincia questo mormorio interiore, è destinato al crescendo continuo.
La bianca mano color di latte, aveva sistemato tra i capelli biondi, il quadrifoglio. Dopo avere girato uno sguardo agli alberi e rami d'intorno quasi a scusarsi. Ma gli alberi erano rimasti zitti.
La castagna matta, si faceva sentire con il suo corpo compatto e consistente. Il lucido della sua buccia la faceva scivolare e saltare di qua e di là.
Può anche darsi che nel frattempo un chiurlo, o un'allodola, o magari anche una capinera, avessero regalato all'aria azzurra circostante un volo radente. È certo comunque che gli uccelli che stavano volandoli intorno avessero emesso dei saluti augurali.
A onor del vero, va precisato subito che lì intorno c'era una sola panchina. Di quelle verdi a listelli di legno. Dalla vernice verde un po' consunta. Per la pioggia e il maltempo, certo.
Per completare il quadro non può essere omesso un particolare. All'angolo della stradina di sterrato, vicino a un caseggiato in disuso, c'era una fontanella di quelle di ghisa di una volta. Anch'essa, purtroppo, ahimè, aveva tutta la vernice consumate consunta. Appariva ora grigia. Anche se avrebbe voluto sfoggiare ancora il verde per mostrarsi amica della panchina a listelli li vicino.
Per farla breve, se possibile, la panchina venne presto occupata.
Non prima che delle labbra si fossero vicendevolmente accostate al getto d'acqua abbastanza fresco della fontana per dissetarsi.
Labbra, per quanto è dato sapere, tra loro in quel momento ancora sconosciute reciprocamente.
Le mani, entrambe, quasi contemporaneamente, erano passate sulle rispettive labbra a cui appartenevano, per asciugarle delle gocce d'acqua rimaste.
Ma, fin qui, nulla di eccezionale.
Eccezionale, forse, potrebbe e dovrebbe essere definita la situazione vista dall'esterno.
Ponendosi a distanza, e guardando con una zoomata garbata la situazione.
Una ragazza bianca sta seduta all'estremità di una panchina comunissima di listelli verdi di legno.
Sul lato estremo, cercando di darsi un contegno, una sagoma d'uomo. Dinoccolato. Che si guarda in giro, di qua e di là, con apparente noncuranza.
L'uomo è spavaldo, abitualmente. Ma preferisce restar sulle sue. Non osa forse.
È lei che per prima fa vibrare l'aria della sua voce…
«Sono stata proprio fortunata… A colpo d'occhio ho riconosciuto nel prato un autentico trifoglio! Da bambine, facevamo per finta, di raccogliere un trifoglio, e di aggiungervi per gioco una fogliolina. Ma subito vedevamo scoperte e derise… Ma questo qui…»
E con la mano delicatamente tolse dai propri capelli biondi il magico fortunato simbolo, mostrandolo al suo interlocutore…
«… Questo qui è un quadrifoglio per davvero… Provi a guardare anche lei… Posso dire anche tu?… Non ho mica truffato questa volta…»
Lo sguardo dell'uomo si sporse contento: raccogliendo entusiasta la provocazione…
«Non c'è che dire… Un signor quadrifoglio direi! Proprio fortunata… Posso darle anch'io del tu?… E guardi cos'ho trovato io invece… Anzi, correggo, guarda cosa ho qui nella tasca…»
Frugò nella saccoccia e mostrò il suo vegetale porta fortuna.
Nelle mani bianche della ragazza il luccicore bruno della scorza, parve vibrare compiaciuto quasi fosse divenuto un gioiello…
Finalmente si permisero reciprocamente di regalarsi uno sguardo. Che subito smise di essere riservato e scontroso, titubante e timido… E divenne in entrambi i volti gradualmente un sorriso… Ma non di quei sorrisi di maniera. Formali. Di circostanza.
In entrambi gli sguardi e volti il sorriso divenne sempre più dilatato. Espandendosi all'infinito come in un volo etereo…
Fin quando, all'unisono, quasi l'avessero sincronizzato intenzionalmente, divenne una risata sonora… A onor del vero, due rispettive risate sonore… Baritonale, di petto, vibrante e calda quella di lui… Argentina come l'acqua della fontana alla quale avevano appena bevuto, la risata di lei…
Chiurlo, capinera, o allodola, quello che fossero i volatili che gironzolavano intorno nell'aria, fecero subito eco. Regalando le loro risate sonore e squillanti.
E mentre le risate si intrecciavano nel loro girotondo, quasi per caso, involontariamente, così, di propria iniziativa, ciascuna delle due mani si allungò verso l'altra.
Potrebbe apparire una storia banale. Certo. Ma va tenuto conto della situazione eccezionale. I reciproci rispettivi porta fortuna. Le sorsate d'acqua fresca alla fontana. Lo stare seduti sulla stessa panchina. Le risate che avevano preso a intrecciarsi e a giocare tra loro a girotondo… Pronte magari più tardi a giocare anche a mosca cieca… Chi lo può dire…
Eh no…! Non c'era nulla di banale.
Le mani si tennero un po' compagnia. Aumentando garbatamente e discretamente la pressione. Era successo qualcosa di molto eccezionale. Straordinario. Unico forse!
Solo più tardi, quando la brezza aveva cominciato a spirare sorniona e complice, le dita della mano maschile avevano sfiorato la guancia candida… Addirittura avvicinandosi alle labbra di lei.
Dopo avere riposto di nuovo lo stelo di trifoglio nell’oro dei suoi capelli, la mano fanciulla aveva risposto carezzando la barba corta corta della guancia di lui.
Il pudore, il riserbo, la discrezione impedisce di raccontare il seguito della vicenda. D'altra parte facilmente intuibile a chi legge queste parole…
È possibile soltanto, ora e qui, dire, che in un certo giorno probabile, diverso tempo fa, in un luogo che forse c'è, due mani si erano incontrate. Si erano conosciute. Corredate dei rispettivi sguardi, fiati, respiri, battito di ciglia, mormorio sorridente, batticuore…
Con il crescendo sempre più intenso del tamburellare del tu-tum tu-tum tu-tum tu-tum…
Chi lo ricorda, anche ora, non può negare di provare un'immensa emozione.
Qualcosa di eccezionale, irreversibile, magico, fantastico, irrevocabile era avvenuto.
E per essere più precisi: qualcosa è davvero avvenuto. E sarebbe banale definirlo soltanto qualcosa. Molto di più. Moltissimo di più. Solo raccontarlo e ricordandolo viene ancora il cuore in gola!

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