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sabato 9 giugno 2018

E stavano venendo i primi caldi






E  stavano venendo i primi caldi. Era un luogo comune, tutti gli anni, verso giugno, dire che stava arrivando il caldo e fra un po' non ce la si sarebbe fatta più…
Il caldo non era così terribile ancora. Nella boscaglia le foglie avevano smesso quelle foglioline lucenti di verde luminoso. Indossando un vestito più serio. Più verde scuro. Erano scomparsi i fiori dai rami, e soltanto le infiorescenze a ciuffi chiari del tiglio mandavano i loro profumo… inebriante. Addirittura nauseante a colpi. E si mescolava con alcuni effluvi remoti di calicanto, di capelvenere, di gelsomino e di caprifoglio… Un miscuglio aromatico intenso che prendeva al naso alla mente e all'anima.
Riusciva a camminare abbastanza bene ora. Il dolore era quasi scomparso del tutto e solo a tratti compariva ancora attenuato.
I ciottoli del sentiero sterrato se li sentiva sotto i piedi. Cercava di evitarli.
Era già arrivato alla fontanella che ricordava. Un ruscelletto che mormorava con le sue acque cangianti di luce. Gli odori c'erano. Il verde e il ombra c'erano. Anche lo scintillio dell'acqua del ruscello. Qualcosa ancora però mancava.
E ne sentiva il vuoto immenso, come un urlo silenzioso che spaccava l'aria e tagliava come una sciabola i profumi che galleggiavano sospesi.
E non poteva e non voleva pronunciare il nome di quell'assenza.
Quel vuoto rimaneva sospeso e silenzioso.
Come un furto.
Come un peccato irrimediabile.
Come una condanna definitiva.
Come un lutto.
Come una malattia.
Come una guarigione
Come una resurrezione
Mosse nuovi passi e il lutto gli fece compagnia accennando qualche leggero fastidio al tallone che sembrava definitivamente in via di guarigione.
Qualche bombice planava col suo ronzio verso i fiori del prato. E piccoli insetti leggeri e fragili ronzavano intorno all'umido del volto e degli occhi.
Tutto insieme stava celebrando quel vuoto e quella assenza. Impronunciabile.
Che cercava di rimuovere continuamente col tasto all'indietro nella tastiera virtuale mentale del tablet della sua mente.
Una liturgia mesta.
Una malinconia diffusa.
Una rabbia urlata in silenzio nella propria testa.
Che sarà di noi?
Che sarà di me?
Che sarà di tutto?
Che fine ha fatto quella presenza assente che lo aveva illuminato?
Era poi davvero mai esistita o era stato solo un fantasma, una proiezione della sua mente, un sogno come tanti altri?
E se c'era mai stata, dove poteva essere ora?
Schiacciò di nuovo il tasto per cancellare quel pensiero.
Cercò di inghiottire in avide boccate quel silenzio e quella mancanza totale, intrisa di profumi nauseanti e inebrianti.
Presto avrebbe raggiunto la sua auto.
Aperta al caldo, al vento, al cielo, alle nuvole…
E magari avrebbe come faceva sempre dettato pensieri frasi versi da trascrivere poi…
Avrebbe composto una poesia al vuoto e all'assenza…
Strinse i denti.
Urlò una ricorrente bestemmia silenziosa.
Sentì che qualcosa stava morendo.
Sentì che qualcosa stava rinascendo. Sentì la resurrezione con i suoi scampanii squillanti.
Sentì l'ebbrezza della libertà.
La vita comunque stava continuando.
Le assenze potevano anche essere riempite di nuovo.
Le presenze scomparse tornare tramutate.
Aveva la fortuna di cullare e di gestire la propria solitarietà con le proprie parole immagini fantasie sogni…
E disse fra sé: I VUOTI PRESTO SI RIEMPIONO.
E mentre avviava l'auto e la faceva sfrecciare scoperchiata piena di vento di luce di sole, sorrise compiaciuto.
E sentì suonare il telefono…
LA VITA CONTINUA.


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