LA
SCATOLA STRAORDINARIA
All'inizio,
a dir la verità, non aveva affatto pensato che potesse diventare qualcosa di
speciale. Quando aveva comprato le ultime scarpe di vernice, quelle con il
cinturino e due aperture ovali una destra e una sinistra, stava per buttare la
scatola. Ma poi sua mamma le aveva detto: "Tienila da conto. Potrebbe senz'altro rendersi utile.
Ci puoi mettere magari i tuoi pennarelli. I pastelli. I giochini piccoli che
altrimenti rischi di perderli. I pezzetti di lego. Le carte da gioco. O tutte
le sorpresine che hai trovato nelle uova di Pasqua, anellini collanine… Certo
che così com'è non è un granché… Prendi magari un po' di quella carta che
abbiamo avanzato… Con le forbici e la colla la puoi foderare…"
Uffa!
Un altro lavoro da fare!
Poi
una volta che non aveva compiti era andata a recuperare il rotolo avanzato di
carta. La colla arabica. Le forbici… E ci aveva lavorato tutto un intero
pomeriggio…
Poi
l'aveva messa sopra al suo scrittoio, sullo scaffale dove teneva il dizionario
di italiano e degli altri libretti come Topolino e Tiramolla. Però non riusciva
a decidersi a metterci dentro qualcosa. Ogni tanto le capitava di avvicinarsi
alla scatola. Sollevava il coperchio e…
Ogni
volta le sembrava di vederci dentro qualcosa di strano. Di nuovo. Di
fantastico. Di straordinario… Allora decideva di lasciar perdere credendo di
aver avuto delle visioni o delle allucinazioni.
Ma
alla fine finì per convincersi: senza saperlo e senza volerlo quella scatola
comune di cartone rigido che aveva foderato con tanta cura tanto amore, era
diventata una "scatola magica".
Lo
faceva specialmente la sera prima di andare a dormire. Dopo aver dato la
buonanotte a tutti. Infilato il pigiama. Lavati i denti. Chiusa la porta della
cameretta. Si avvicinava in punta di piedi al suo scrittoio. Sollevava il
coperchio… E…
Poteva
vederci qualsiasi cosa. Bastava che fosse sintonizzata e che ci stesse pensando
da un po'. Se era concentrata il miracolo avveniva.
Come
da lontano usciva una voce sommessa di musica rock.
Del
profumo di bosco, di foglie e di funghi.
Il
rumore del mare e addirittura l'odore di salmastro…
Una
mandria di cavalli al galoppo.
Una
famiglia di scoiattoli.
Però
non voleva abusarne troppo. Temeva che la sua scatola fatata a un certo punto
potesse smettere di avere efficacia. Come se fosse stata predisposta per un
certo numero di apparizioni e poi rimanesse esaurita.
Per
cui il regalo della scatola se lo riservava soltanto per i momenti in cui era
un po' triste. Di malumore. Mesta. Mogia. O quando era stata sgridata per
qualcosa. Giustamente o senza motivo non aveva importanza. E allora, era solo
in quei casi che si regalava la sua scatola magica…
Una
sera, che era particolarmente giù di morale, reduce da una ramanzina
lunghissima per questo e quest'altro, non aveva saputo resistere. Con gli occhi
bassi. Il volto aggrottato. Aveva deciso che si regalava una visione.
Sul
comodino c'era solo una piccola lucetta coperta da un foulard, per fare un po'
di penombra fintanto che si sarebbe addormentata. La stanza era quasi buia.
Invece
del pigiama indossava una camiciola da notte con i funghetti e le fragole. Ce
l'aveva da qualche anno per cui le risultava un po' strette e attillata e le
arrivava un po' sopra il ginocchio. Avrebbe voluto prima sciogliere la treccina
dei capelli. Ma poi preferì regalarsi il suo sogno.
Con
cautela, e molto delicatamente, con l'indice e il pollice di ciascuna mano
sollevò il coperchio…
Doveva
essere proprio un giorno speciale. Era come se si trattasse di un filmato visto
in televisione. Ma era a tre dimensioni. E il suo sguardo ci si perdeva dentro.
Era come se lei fosse entrata in quel mondo straordinario che stava vedendo.
Da
una parte in alto c'erano delle rocce. Probabilmente una montagna. Si scorgeva
soltanto il luccichio scintillante di una cascatella. Che scendeva giù e andava
buttarsi in una pozza non troppo grande ma che faceva un laghetto. Intorno
adesso dei salici. E poco più in là allineati tutti i diritti come pennarelli o
pastelli in piedi, delle betulle… Con la loro corteccia che sembrava fatta di
pezzetti di carta di quaderno incollata. Intorno un prato che sembrava tagliata
di fresco. Senza accorgersene era entrata dentro la visione. Aveva dimenticato
nella cameretta le ciabattine e sentiva piacevolmente i piedi nudi sull'erba
tagliata.
Si
avvicinò al piccolo laghetto. Infilò i piedi nell'acqua e sentì che non era
neanche troppo gelida. Piacevolmente fresca. (Giustappunto, pensò, quella sera
si era dimenticata di lavare i piedini).
Da
qualche parte doveva esserci un giradischi o mangianastri. Oppure, ma non osava
sperarlo, un'orchestrina stava suonando musiche dolcissime e melodiose.
Nascosta da qualche parte magari dietro le betulle o nel folto dei salici.
Tenendo
i piedi al fresco dell'acqua da seduta che era appoggiò il busto e allargò le
braccia sull'erba. Pensò che non era mai stata così bene. La musica, l'arietta
fresca e profumata di bosco, tutta la situazione nell'insieme, le stavano
facendo venire un certo sopore. Avrebbe voluto quasi addormentarsi così.
Ma
sul più bello avvenne un incantesimo.
Mentre
teneva gli occhi chiusi, sentì qualcosa che le sfiorava le labbra. Ma niente di
brutto o di disturbante. Come se le avessero accostato alla bocca un'albicocca.
Una pesca, un fazzoletto di seta…
Non
osava aprire gli occhi. Per paura di ritrovarsi, svegliandosi da quella magia,
nella propria cameretta. Di dover ricordare la ramanzina di quella sera. E poi
finì per capire.
Le
sue labbra di ragazza stavano ricevendo un bacio. Morbido. Delicato. Pulito.
Una
mano molto discreta le carezzò la guancia.
Capì
che senz'altro un principe era venuto a trovarla per consolarla di quella
giornata di rimproveri.
Rimase
nel suo bacio. Lo corrispose. Nei film aveva visto come fanno i grandi a
baciarsi. Nessun altro mai l'aveva baciata sulla bocca. Qualche volta ci aveva
sognato e fantasticato quando vedeva qualcuno che le garbava abbastanza. Però,
quello era il suo primo bacio. Per quanto magico. Ma forse proprio per questo
straordinario e speciale.
Un
bacio che durava all'infinito. E non vedeva neppure il volto del principe che
la stava baciando. Lo immaginava soltanto. Ed era la somma e la sintesi di
tutti i ragazzi principi che aveva desiderato.
Capì
in quel momento che stava diventando grande.
Seppe
che avrebbe presto incontrato il principe che sarebbe stato l'amore di tutta la
sua vita.
E
l'avrebbe incontrato in tanti posti. Tante volte. All'infinito.
Senza
mai che le venisse a noia. Senza doverci fare l'abitudine o provarci fastidio.
Da
quel momento, aveva chiaro, che sarebbe rimasta per sempre bambina e ragazza
nell'anima. Avrebbe lasciato che il proprio corpo diventasse quello di un adolescente,
di una signorinetta, di una donna… Ma dentro la ragazza era sempre pronta a
incontrare per caso, per fortuna, per miracolo, l'uomo della sua vita… Per
trovarlo. Perderlo. Desiderarlo. E ritrovarlo di nuovo. All’infinito…
Poi
alla fine si decise. Il mattino dopo si sarebbe aperta la porta della
cameretta: "svegliati, dai, che è tardi… Se no fai tardi a scuola… C'è già
pronto il caffelatte. Anche i biscotti sono nella scatola di latta. Ciao. Io
vado…"
Portò
il sogno meraviglioso che la scatola magica le aveva regalato sotto le coperte.
Si girò sul fianco. Con le mani sotto il mento unite. E il sogno le fece
compagnia tutta la notte.
Da
grande, prima o poi, l'avrebbe rivissuto intensamente fino in fondo.
E
mentre stava cominciando a prendere sonno, pensò che la protagonista di un
sogno così doveva avere un nome eccezionale. E allora decise di sceglierne uno
apposta invece del proprio. Da usare solo nel sogno. E decise di chiamarsi
Artemisia.
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