SCRITTURE
Erano
cominciate nella prima infanzia, o appena dopo… Avevo fatto la prima elementare
in una situazione di merda. Anemico e di recente orfanello, ero stato qualche
mese in pieno inverno a Borghetto Santo Spirito. Più che maestre o educatrici
erano delle assistenti le giovani donne che ci accudivano. Non ricordo come mi
ero accostato alla letto-scrittura, comunque sia, l'anno dopo, inserito in una
classe normale, con una vecchia maestra zitella arcigna con le mani dalle dita
nodose per l'artrite, dure come legno che ci sbatteva sulla testa magari senza
cattiveria ma per vezzo e consuetudine professionale di quel tempo, mi ero
accorto di avere una grafia e ortografia terribile! E giù sberle sulla zucca
pelata!
Eppure,
pur in quella situazione di disagio esistenziale e culturale, mi preparavo i
miei fogliettini con le mie prime scritture… Non ricordo non so ora che cosa ci
scrivessi. Segreti naturalmente, immagino…
Nei
banchi di legno tarlati dell'orfanotrofio, si erano create delle fessure e
degli interstizi. Col mio coltellino dalla lama traballante, ne avevo allargato
qualcuno facendolo diventare una tana, un piccolo rifugio, un sepolcro per i
segreti…
Avranno
bruciato probabilmente da un tempo infinito quei vecchi banchi di legno dalla
vernice nera scrostata e consunta. E nessuno si sarà curato di scavare nelle
mie tane. Forse meglio così. Posso immaginare i miei segreti di allora. Magari
potevo aver scritto: "bambina occhi azzurri guardato due volte…"
Oppure
forse, "succhiato liquerizia di legno dolcissima"…
O
anche "in castigo per due ore perché parlavo in fila…"
Fu
solo più avanti, credo, che ho cominciato a buttar giù qualcosa che mi sembrava
più consistente, significativo, importante ed essenziale…
Dopo
le letture dei libri della biblioteca, mi capitava spesso di essermi innamorato
di qualche romanzo. Ne ricordo uno, dii un autore che cominciava il suo nome
con «W». Il titolo si, lo ricordo: "sotto il manto rosso". E pure un
altro dello stesso autore: "un gentiluomo di Francia". Mi ci ero
buttato dentro a capofitto e le avevo letti e riletti… riletti all'infinito. Naturalmente
identificandomi con l'autore che a sua volta aveva giocato a travestirsi nel
proprio protagonista. Giustaccuori, ampi stivali di cuoio sdrucito e consunto
fino alla coscia, uno spadino ruggine al fianco, un cappello a larghe tese tarlato
con qualche piuma strapazzata…
Erano
avventure insieme amorose, di indagine, dove c'era da scoprire qualcosa,
naturalmente al servizio di qualche nobiluomo o nobildonna del tempo… A favore
di una dama bellissima e altera. Sprezzante nei suoi confronti. Ma che finiva
poi per donare gli sguardi gentili. Che trasformavano la gentilezza in
interesse. Per diventare alla fine sguardi d'amore… Per riconoscenza la dama
bellissima, nobile, altolocata e ricchissima di terreni e di rendite, finiva
per degnarlo di lo sguardo giusto fino da permettergli dchiedere la sua mano,
diventando la sua sposa…
Naturalmente
ero io il gentiluomo di Francia. E toglievo il cappello a larghe tese facendo
un leggero inchino, con la mia barba corta e mal curata, non osando guardarla
negli occhi. Timorosa di vergognoso della sua altera bellezza… Ma dentro il
cuore sapevo che prima o poi l'avrei sposata… Naturalmente dopo averla difesa a
costo della mia vita da ogni insidia, liberata dal tutore prepotente e avido
dei suoi denari, e di tutti coloro che armati di cappa e spada insidiavano la
sua bellezza estrema…
Però,
mi ritrovavo con la mia zucca pelata. I capelli cortissimi sul capo che
venivano rasati con una macchinetta elettrica che pizzicava strappando i
capelli tanto era vecchia, e la mia solitudine interiore.
Però,
almeno, già allora potevo fuggire volando nei sogni e nella fantasia.
La
sera, che per noi era la notte, andavamo a dormire alle nove. Ma anche bambino
non prendevo sonno subito. E potevo dedicarmi per un po' di tempo a inseguire i
sogni fantastici del film della mia fantasia. Oltre alle avventure eroiche
seicentesche, altri racconti mi raccontavo da solo. E stupivo contento quando
sentivo poi alcuni tra i miei coetanei meno sprovveduti che confidavano che
anche loro si raccontavano da soli le storie…
Quanti
romanzi avevo iniziato a scrivere al termine di ogni lettura. In genere completata
l' la prima pagina, al massimo arrivando a metà della seconda… Poi mi accorgevo
che mi mancavano argomenti… Era difficilissimo continuare una storia che già
esisteva e viveva di vita propria. Finivo per buttar giù degli inizi
abborracciati, tentennanti e zoppi.
Le
mie prime scritture.
Avevo
poi cominciato molto presto a tenere un diario. Ma per sfuggire alle ricorrenti
perquisizioni anche corporee, e al vedere messi alla berlina i miei segreti più
intimi, mi ero inventato una scrittura parallela. Mi avevano insegnato dei
coetanei i caratteri di una scrittura
stenografica del sistema Meschini. Avevo costruito una struttura mentale
secondo la quale trasformavo le varie lettere in un'altra omologa. Le
"a" le scrivevo come delle "o"… Le "t" le facevo
come delle "d"… E così via. Era facile come mappa di traduzione da
ricordare. Difficilissima e ardua l'impresa di rileggere i miei segreti,
balbettando faticosamente a mezza voce dentro di me.
Anche
lì poche sintetiche frasi telegrafiche che raccontavano alla bell'e meglio le
emozioni del momento ... Qualche pagina
di quelle l'ho ritrovata di recente. Una profonda estrema tenerezza pietosa nel
leggerle e decifrarle. E vedevo da lontano quel bambino dalla testa rapata, che
dovevo pur essere stato io, ma che era ormai diventato assolutamente un
estraneo…
Spesso
staccavo dal quaderno del diario le pagine, per conservarle piegate e riporle
sotto la maglia, a contatto con la pelle, custodite in piccole buste ricavate
dalle copertine plastificate dei quaderni.
Poi,
col passare degli anni, erano cominciati a sgorgarmi fuori i versi. Poesiole
modeste, piene di passione sentimento di malinconia. E infine veri e propri
consistenti inizi di narrazioni in prosa… Anche quelli accantonati dopo le
prime pagine che pure sembravano promettenti…
Qualche
decennio fa ne ho fatto materiale per un romanzo sostanzialmente
autobiografico. In cui il protagonista ritrova questi vecchi frammenti. Scritti
in epoche diverse della propria vita. Con stili e linguaggi naturalmente
diversi e datati. E ripercorre la propria storia con il collage di questi
frammenti temporali.
Da
maestro elementare mi ero divertito infinitamente insieme a quei bambini
minuscoli a giocare a inventare le scritture. Appena costruito lo strumento
della letto-scrittura, nascevano i primi racconti dell'anima di quegli alunni.
Erano i “testi liberi”. Spesso diventavano argomento e contenuto da stampare
col limografo. Ed essere letti da un pubblico più vasto per quanto circoscritto
all'ambito dei conoscenti e dei parenti dei bambini.
Da
padre pure, e con maggiore entusiasmo e passione, mi ero sbizzarrito le
divertito moltissimo con la mia tenera bambina, a giocare a fare le scritture.
"Le scritturine" le chiamavamo. Insieme alla lettura che le regalavo
per conciliarle il sonno quando andava a dormire, molto prima che avesse
imparato a leggere e scrivere, erano il nutrimento per i suoi occhi e per la
sua mente curiosa e golosa di narrazione.
Da
tempo, dopo alcune esperienze abbastanza deludenti con le case editrici,
rinunciando a pubblicare con gli editori a pagamento, quelli che ti dicono che
ti stampano tutto e che poi devi ripensarci tu a commercializzare il prodotto,
basta che tu dai loro un sacco di soldi
più di quanti ne daresti a un normale tipografo, ho trovato nel Web la palestra
consona e adeguata. Mi sono creato un blog dove riesco a caricare quasi tutto
quello che scrivo.
Dopo
averlo buttato nell'autostrada delle immagini e delle parole che si
autodefinisce con un termine abbastanza buffo: "libro-faccia".
O con
altro termine più generico: notiziario e giornale di socialità.
Che
certo non era nato per questo scopo.
Quando
mi ci avevano introdotto, inizialmente refrattario e poco convinto, ci avevo
trovato misere tristi e squallide confessioni gratuite. Banalissime. Disperate
insieme nella loro semplicità. Saluti formali e fasulli a un pubblico/uditorio
distratto e disattento. Assente. Sordo. Confessioni ingenue di allegria,
felicità, solitudine, malinconia… Spesso confessioni di vuoto…
Ero
riuscito nel limite del possibile e del tollerabile ad essere selettivo nei
contatti.
Raccogliendo
spesso numerose decine di lettori uditori fans… che lo spazio virtuale definiva
pomposamente e presuntuosamente "amici".
Alcuni
di esse e di essi erano e sono tuttora amici veri… Alcuni mai incontrati
fisicamente, ma molto a fondo virtualmente. Altri lo erano già.
Seguo
molti di questi amici nei loro percorsi di immagini, versi, racconti, saggi.
Spesso intervenendo anch'io a commento.
"Così
è, signora marchesa…"! Verrebbe quasi da dire. In questa società liquida,
diffusa e sparpagliata, nella quale raramente si riceve un saluto
sull'ascensore del proprio condominio, e si ricevono al massimo sguardi
distratti, occhi sfuggenti, nelle battute pronunciate nelle code dei
supermercati, i contatti umani, a quel che mi ha dato vedere, sono molto
rarefatti. Tranne alcuni, preziosi, straordinari che sopravvivono in questa
palude dell'esistenza sociale contemporanea.
I
racconti e i versi anche fuori del contesto di questo canale, hanno quasi
sempre avuto dei destinatari donne. Alcuni inviati direttamente attraverso
canali paralleli via etere. Solo i primi tempi su carta e consegnati a mano.
Talvolta
fatti cadere a pioggia per essere letti raccolti dalla destinataria giusta.
Il
non detto, trattenuto per falsi pudori formali, per ipocrisie, per simulazione
rituale usciva fuori a fiotti. Talvolta sconvolgendo la destinataria stupita o
anche risentita. Letture fantasiose in forma telepatica, quasi sempre azzeccate
ed esatte.
Superando
la barriera della corazza e dell'abito che alcune indossavano, andavano a
leggere i tratti sopra segmentali, intuivano, leggevano dentro…
Ciò
che era lampante e molto evidente, per quanto trattenuto per falso infantile
pudore e immaturità, sgorgava fuori dalle mie narrazioni. Toccando al cuore la
realtà. Magari ferendo, qualche volta. Ma sempre raggiungendo l'obiettivo.
Per
instaurare relazioni, soprattutto con pretese di essere nella dimensione
amorosa, è necessario indispensabile comunicare. E contestualmente conoscere.
Reciprocamente. Scambievolmente. E non a senso unico. E quando, con le
difficoltà e gli intoppi prevedibili, la comunicazione e la conoscenza
avvenivano e avvengono davvero, si
poteva creare un terreno fertile e favorevole ad instaurare relazioni emotive
profonde. A coltivare il sogno anche finalizzato all'amore…
Parola
grossa. Con troppe sfaccettature, letture, interpretazioni, accezioni…
“Questa
cosa tu non me l'hai detta, ma l'ho letta ugualmente con intuito e la fantasia.
Dal contesto completo. E te la rimando come lettura con le mie parole. Che
possono diventare una scossa elettrica, una frustata. Dolorosa e insieme
benefica. Chiarificatrice. Illuminante. Curativa. Salutare. Soprattutto se
anche tu vai al nocciolo cercando la realtà più profonda del messaggio, della
fotografia, e non ti fermi all'abito esteriore, all'apparenza, alla superficie
fredda e fasulla. Talvolta è possibile.
E
ora, qui, in questo istante, in cui buttò giù queste riflessioni sullo scrivere
e sulle scritture, mi corre l'occhio lontano. Al volto dell'amico, questo sì
per davvero, che scrive saggi favolosi che spaziano nel tempo e nei luoghi.
All'amica cara che non ho mai visto di persona ma che leggo da qualche
decennio, con le confidenze un tempo, e ora con il suo racconto di vita col
quale riporta alla luce un'infanzia simile, parallela, dolorosa insieme diversa
dalla mia. A qualche mia ex alunna insonne, ai bordi del lago d'Orta. Mi fa
commenti scherzosi e burle affettuose, continuando a darmi del lei. A tante
amiche e conoscenti vere che ora sento e vedo quasi solo qui nell'autostrada
virtuale.
A
quelle che ho incontrato o rincontrato e che mi fanno affettuosa compagnia.
Alla
donna che sto amando.
Che
credo di amare almeno.
O almeno che credo di aver amato.
Che
credo mi ami.
Che
credo che forse mi abbia amato…
Che
mi stia amando ancora, o stia per ricominciare a farlo.
Ai
nuovi incontri.
Ogni
tanto, piccolo banale ridicolo incidente di percorso, incuriosite dalla mia
immagine fotografica abbinata al mio nome, qualche puttanella del momento.
Ingenuamente si definiscono tutte o parrucchiere o massaggiatrici o qualcosa
del genere… Spesso dicendo che sono di lingua francese… Nel mio profilo e
l'unica lingua che insieme al latino risulta a me attribuita.
Che mi chiede amicizia. Così, a casaccio. E
poi, solo dopo però, mi chiede il mio nome, dove vivo, cosa faccio… Per
terminare ritualmente a domandarmi se m'interessa il sesso, e se voglio vederla
nuda nella webcam… Poverine. Squallide. Solitudini a pagamento.
Le
spiazzo domandando loro il perché mi hanno cercato… Finché scompaiono come nome
come foto come identità fasulla
Talvolta
queste profferte mi vengono da identità maschili. Che mi fanno avances
imbarazzanti.
"Così
va il mondo, davvero, madama la marchesa… Prendiamone atto…"
Ma
comunque, incidenti di percorso, inciampi, equivoci autentici o costruiti
artificiosamente, nonostante tutto ciò intendo dire, la scrittura continua.
Continuano "le mie scritture". Spesso corrisposte, ricambiate e
reciproche.
Talvolta
capricciosamente interrotte con pretesti, equivoci, imbarazzi e falsi pudori.
Spesso fuse, mescolate, sovrapposte e coincidenti con comunicazioni verbali.
Accorate, animatissime, intense e vivissime. Talvolta gli atti amorosi da
verbali e scritti si trasformano in concreti e fisici. Talaltra il contrario.
Talvolta
le remore bloccano la scelta di libertà. E viene preferito l'amplesso fisico e
basta.
Lasciando
il resto solamente alle parole, alla fantasia, al desiderio, alla repressione e
alla negazione sostanziale.
La
relazione fisica amorosa è una cosa stupenda. A volte però viene castrata del
profondo impulso benefico dell'amore. Lasciato solo in sottofondo. Come
dimensione e pulsione aleggiante. E allora rimane soltanto un bel, piacevole,
soddisfacente, entusiasmante far l'amore col corpo e con la carne con i sensi…
Rinviando sine-die tutto il resto.
Qualche
strada tende a interrompersi e qualche colloquio vacilla.
Talvolta
riprende più vivo.
Talaltra
finisce per addormentarsi addosso.
Come
alcune persone che si adagiano su se stesse e si compiacciono del proprio
grigiore, del proprio status e della propria condizione misera e triste.
Uccelli
che non osano prendere il volo, infilando il cancelletto fortuitamente aperto
dalla loro gabbietta di ottone similoro.
Perché
la libertà fa paura.
Anche
la felicità a volte ubriaca e insieme spaventa.
E
anche la verità.
La
sincerità totale.
Gli
occhi puliti davvero.
E
vien voglia di nasconderli.
E
viene preferito così.
Eppure,
gli occhi puliti, limpidi, che permettono di guardare dentro mentre guardano
fuori verso di te, sono un canale ancora più fervido che non le scritture nella
rete del Web.
Preferibili.
Anche se a volte imbarazzanti. Talvolta c'è chi preferisce viverli solo come
fuggevoli occasioni temporanee. Proibite. Esorcizzate.
Eppure,
come sono possibili e opportune la comunicazione e la conoscenza, come è
possibile voler bene arrivando addirittura ad amare, così pure è possibile la felicità.
La
fuga dalla palude.
Il
volo planato ad ali aperte.
Come
quello degli aironi sulle mie risaie.
Come
gli urli di gioia, di euforia e di piacere negli amplessi amorosi.
Per
il momento confermo che anche la scrittura è possibile. E la lettura.
Buona
lettura a chi mi legge.
Buona
scrittura a chi scrive.
Buona
compagnia reciproca a chi mi legge e mi commenta.
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