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lunedì 11 giugno 2018

SCRITTURE




SCRITTURE
Erano cominciate nella prima infanzia, o appena dopo… Avevo fatto la prima elementare in una situazione di merda. Anemico e di recente orfanello, ero stato qualche mese in pieno inverno a Borghetto Santo Spirito. Più che maestre o educatrici erano delle assistenti le giovani donne che ci accudivano. Non ricordo come mi ero accostato alla letto-scrittura, comunque sia, l'anno dopo, inserito in una classe normale, con una vecchia maestra zitella arcigna con le mani dalle dita nodose per l'artrite, dure come legno che ci sbatteva sulla testa magari senza cattiveria ma per vezzo e consuetudine professionale di quel tempo, mi ero accorto di avere una grafia e ortografia terribile! E giù sberle sulla zucca pelata!
Eppure, pur in quella situazione di disagio esistenziale e culturale, mi preparavo i miei fogliettini con le mie prime scritture… Non ricordo non so ora che cosa ci scrivessi. Segreti naturalmente, immagino…
Nei banchi di legno tarlati dell'orfanotrofio, si erano create delle fessure e degli interstizi. Col mio coltellino dalla lama traballante, ne avevo allargato qualcuno facendolo diventare una tana, un piccolo rifugio, un sepolcro per i segreti…
Avranno bruciato probabilmente da un tempo infinito quei vecchi banchi di legno dalla vernice nera scrostata e consunta. E nessuno si sarà curato di scavare nelle mie tane. Forse meglio così. Posso immaginare i miei segreti di allora. Magari potevo aver scritto: "bambina occhi azzurri guardato due volte…"
Oppure forse, "succhiato liquerizia di legno dolcissima"…
O anche "in castigo per due ore perché parlavo in fila…"
Fu solo più avanti, credo, che ho cominciato a buttar giù qualcosa che mi sembrava più consistente, significativo, importante ed essenziale…
Dopo le letture dei libri della biblioteca, mi capitava spesso di essermi innamorato di qualche romanzo. Ne ricordo uno, dii un autore che cominciava il suo nome con «W». Il titolo si, lo ricordo: "sotto il manto rosso". E pure un altro dello stesso autore: "un gentiluomo di Francia". Mi ci ero buttato dentro a capofitto e le avevo letti e riletti…  riletti all'infinito. Naturalmente identificandomi con l'autore che a sua volta aveva giocato a travestirsi nel proprio protagonista. Giustaccuori, ampi stivali di cuoio sdrucito e consunto fino alla coscia, uno spadino ruggine al fianco, un cappello a larghe tese tarlato con qualche piuma strapazzata…
Erano avventure insieme amorose, di indagine, dove c'era da scoprire qualcosa, naturalmente al servizio di qualche nobiluomo o nobildonna del tempo… A favore di una dama bellissima e altera. Sprezzante nei suoi confronti. Ma che finiva poi per donare gli sguardi gentili. Che trasformavano la gentilezza in interesse. Per diventare alla fine sguardi d'amore… Per riconoscenza la dama bellissima, nobile, altolocata e ricchissima di terreni e di rendite, finiva per degnarlo di lo sguardo giusto fino da permettergli dchiedere la sua mano, diventando la sua sposa…
Naturalmente ero io il gentiluomo di Francia. E toglievo il cappello a larghe tese facendo un leggero inchino, con la mia barba corta e mal curata, non osando guardarla negli occhi. Timorosa di vergognoso della sua altera bellezza… Ma dentro il cuore sapevo che prima o poi l'avrei sposata… Naturalmente dopo averla difesa a costo della mia vita da ogni insidia, liberata dal tutore prepotente e avido dei suoi denari, e di tutti coloro che armati di cappa e spada insidiavano la sua bellezza estrema…
Però, mi ritrovavo con la mia zucca pelata. I capelli cortissimi sul capo che venivano rasati con una macchinetta elettrica che pizzicava strappando i capelli tanto era vecchia, e la mia solitudine interiore.
Però, almeno, già allora potevo fuggire volando nei sogni e nella fantasia.
La sera, che per noi era la notte, andavamo a dormire alle nove. Ma anche bambino non prendevo sonno subito. E potevo dedicarmi per un po' di tempo a inseguire i sogni fantastici del film della mia fantasia. Oltre alle avventure eroiche seicentesche, altri racconti mi raccontavo da solo. E stupivo contento quando sentivo poi alcuni tra i miei coetanei meno sprovveduti che confidavano che anche loro si raccontavano da soli le storie…
Quanti romanzi avevo iniziato a scrivere al termine di ogni lettura. In genere completata l' la prima pagina, al massimo arrivando a metà della seconda… Poi mi accorgevo che mi mancavano argomenti… Era difficilissimo continuare una storia che già esisteva e viveva di vita propria. Finivo per buttar giù degli inizi abborracciati, tentennanti e zoppi.
Le mie prime scritture.
Avevo poi cominciato molto presto a tenere un diario. Ma per sfuggire alle ricorrenti perquisizioni anche corporee, e al vedere messi alla berlina i miei segreti più intimi, mi ero inventato una scrittura parallela. Mi avevano insegnato dei coetanei  i caratteri di una scrittura stenografica del sistema Meschini. Avevo costruito una struttura mentale secondo la quale trasformavo le varie lettere in un'altra omologa. Le "a" le scrivevo come delle "o"… Le "t" le facevo come delle "d"… E così via. Era facile come mappa di traduzione da ricordare. Difficilissima e ardua l'impresa di rileggere i miei segreti, balbettando faticosamente a mezza voce dentro di me.
Anche lì poche sintetiche frasi telegrafiche che raccontavano alla bell'e meglio le emozioni del momento ... Qualche  pagina di quelle l'ho ritrovata di recente. Una profonda estrema tenerezza pietosa nel leggerle e decifrarle. E vedevo da lontano quel bambino dalla testa rapata, che dovevo pur essere stato io, ma che era ormai diventato assolutamente un estraneo…
Spesso staccavo dal quaderno del diario le pagine, per conservarle piegate e riporle sotto la maglia, a contatto con la pelle, custodite in piccole buste ricavate dalle copertine plastificate dei quaderni.
Poi, col passare degli anni, erano cominciati a sgorgarmi fuori i versi. Poesiole modeste, piene di passione sentimento di malinconia. E infine veri e propri consistenti inizi di narrazioni in prosa… Anche quelli accantonati dopo le prime pagine che pure sembravano promettenti…
Qualche decennio fa ne ho fatto materiale per un romanzo sostanzialmente autobiografico. In cui il protagonista ritrova questi vecchi frammenti. Scritti in epoche diverse della propria vita. Con stili e linguaggi naturalmente diversi e datati. E ripercorre la propria storia con il collage di questi frammenti temporali.
Da maestro elementare mi ero divertito infinitamente insieme a quei bambini minuscoli a giocare a inventare le scritture. Appena costruito lo strumento della letto-scrittura, nascevano i primi racconti dell'anima di quegli alunni. Erano i “testi liberi”. Spesso diventavano argomento e contenuto da stampare col limografo. Ed essere letti da un pubblico più vasto per quanto circoscritto all'ambito dei conoscenti e dei parenti dei bambini.
Da padre pure, e con maggiore entusiasmo e passione, mi ero sbizzarrito le divertito moltissimo con la mia tenera bambina, a giocare a fare le scritture. "Le scritturine" le chiamavamo. Insieme alla lettura che le regalavo per conciliarle il sonno quando andava a dormire, molto prima che avesse imparato a leggere e scrivere, erano il nutrimento per i suoi occhi e per la sua mente curiosa e golosa di narrazione.
Da tempo, dopo alcune esperienze abbastanza deludenti con le case editrici, rinunciando a pubblicare con gli editori a pagamento, quelli che ti dicono che ti stampano tutto e che poi devi ripensarci tu a commercializzare il prodotto, basta che tu dai  loro un sacco di soldi più di quanti ne daresti a un normale tipografo, ho trovato nel Web la palestra consona e adeguata. Mi sono creato un blog dove riesco a caricare quasi tutto quello che scrivo.
Dopo averlo buttato nell'autostrada delle immagini e delle parole che si autodefinisce con un termine abbastanza buffo: "libro-faccia".
O con altro termine più generico: notiziario e giornale di socialità.
Che certo non era nato per questo scopo.
Quando mi ci avevano introdotto, inizialmente refrattario e poco convinto, ci avevo trovato misere tristi e squallide confessioni gratuite. Banalissime. Disperate insieme nella loro semplicità. Saluti formali e fasulli a un pubblico/uditorio distratto e disattento. Assente. Sordo. Confessioni ingenue di allegria, felicità, solitudine, malinconia… Spesso confessioni di vuoto…
Ero riuscito nel limite del possibile e del tollerabile ad essere selettivo nei contatti.
Raccogliendo spesso numerose decine di lettori uditori fans… che lo spazio virtuale definiva pomposamente e presuntuosamente "amici".
Alcuni di esse e di essi erano e sono tuttora amici veri… Alcuni mai incontrati fisicamente, ma molto a fondo virtualmente. Altri lo erano già.
Seguo molti di questi amici nei loro percorsi di immagini, versi, racconti, saggi. Spesso intervenendo anch'io a commento.
"Così è, signora marchesa…"! Verrebbe quasi da dire. In questa società liquida, diffusa e sparpagliata, nella quale raramente si riceve un saluto sull'ascensore del proprio condominio, e si ricevono al massimo sguardi distratti, occhi sfuggenti, nelle battute pronunciate nelle code dei supermercati, i contatti umani, a quel che mi ha dato vedere, sono molto rarefatti. Tranne alcuni, preziosi, straordinari che sopravvivono in questa palude dell'esistenza sociale contemporanea.
I racconti e i versi anche fuori del contesto di questo canale, hanno quasi sempre avuto dei destinatari donne. Alcuni inviati direttamente attraverso canali paralleli via etere. Solo i primi tempi su carta e consegnati a mano.
Talvolta fatti cadere a pioggia per essere letti raccolti dalla destinataria giusta.
Il non detto, trattenuto per falsi pudori formali, per ipocrisie, per simulazione rituale usciva fuori a fiotti. Talvolta sconvolgendo la destinataria stupita o anche risentita. Letture fantasiose in forma telepatica, quasi sempre azzeccate ed esatte.
Superando la barriera della corazza e dell'abito che alcune indossavano, andavano a leggere i tratti sopra segmentali, intuivano, leggevano dentro…
Ciò che era lampante e molto evidente, per quanto trattenuto per falso infantile pudore e immaturità, sgorgava fuori dalle mie narrazioni. Toccando al cuore la realtà. Magari ferendo, qualche volta. Ma sempre raggiungendo l'obiettivo.
Per instaurare relazioni, soprattutto con pretese di essere nella dimensione amorosa, è necessario indispensabile comunicare. E contestualmente conoscere. Reciprocamente. Scambievolmente. E non a senso unico. E quando, con le difficoltà e gli intoppi prevedibili, la comunicazione e la conoscenza avvenivano  e avvengono davvero, si poteva creare un terreno fertile e favorevole ad instaurare relazioni emotive profonde. A coltivare il sogno anche finalizzato all'amore…
Parola grossa. Con troppe sfaccettature, letture, interpretazioni, accezioni…
“Questa cosa tu non me l'hai detta, ma l'ho letta ugualmente con intuito e la fantasia. Dal contesto completo. E te la rimando come lettura con le mie parole. Che possono diventare una scossa elettrica, una frustata. Dolorosa e insieme benefica. Chiarificatrice. Illuminante. Curativa. Salutare. Soprattutto se anche tu vai al nocciolo cercando la realtà più profonda del messaggio, della fotografia, e non ti fermi all'abito esteriore, all'apparenza, alla superficie fredda e fasulla. Talvolta è possibile.
E ora, qui, in questo istante, in cui buttò giù queste riflessioni sullo scrivere e sulle scritture, mi corre l'occhio lontano. Al volto dell'amico, questo sì per davvero, che scrive saggi favolosi che spaziano nel tempo e nei luoghi. All'amica cara che non ho mai visto di persona ma che leggo da qualche decennio, con le confidenze un tempo, e ora con il suo racconto di vita col quale riporta alla luce un'infanzia simile, parallela, dolorosa insieme diversa dalla mia. A qualche mia ex alunna insonne, ai bordi del lago d'Orta. Mi fa commenti scherzosi e burle affettuose, continuando a darmi del lei. A tante amiche e conoscenti vere che ora sento e vedo quasi solo qui nell'autostrada virtuale.
A quelle che ho incontrato o rincontrato e che mi fanno affettuosa compagnia.
Alla donna che sto amando.
Che credo di amare almeno.
 O almeno che credo di aver amato.
Che credo mi ami.
Che credo che forse mi abbia amato…
Che mi stia amando ancora, o stia per ricominciare a farlo.
Ai nuovi incontri.
Ogni tanto, piccolo banale ridicolo incidente di percorso, incuriosite dalla mia immagine fotografica abbinata al mio nome, qualche puttanella del momento. Ingenuamente si definiscono tutte o parrucchiere o massaggiatrici o qualcosa del genere… Spesso dicendo che sono di lingua francese… Nel mio profilo e l'unica lingua che insieme al latino risulta a me attribuita.
 Che mi chiede amicizia. Così, a casaccio. E poi, solo dopo però, mi chiede il mio nome, dove vivo, cosa faccio… Per terminare ritualmente a domandarmi se m'interessa il sesso, e se voglio vederla nuda nella webcam… Poverine. Squallide. Solitudini a pagamento.
Le spiazzo domandando loro il perché mi hanno cercato… Finché scompaiono come nome come foto come identità fasulla
Talvolta queste profferte mi vengono da identità maschili. Che mi fanno avances imbarazzanti.
"Così va il mondo, davvero, madama la marchesa… Prendiamone atto…"
Ma comunque, incidenti di percorso, inciampi, equivoci autentici o costruiti artificiosamente, nonostante tutto ciò intendo dire, la scrittura continua. Continuano "le mie scritture". Spesso corrisposte, ricambiate e reciproche.
Talvolta capricciosamente interrotte con pretesti, equivoci, imbarazzi e falsi pudori. Spesso fuse, mescolate, sovrapposte e coincidenti con comunicazioni verbali. Accorate, animatissime, intense e vivissime. Talvolta gli atti amorosi da verbali e scritti si trasformano in concreti e fisici. Talaltra il contrario.
Talvolta le remore bloccano la scelta di libertà. E viene preferito l'amplesso fisico e basta.
Lasciando il resto solamente alle parole, alla fantasia, al desiderio, alla repressione e alla negazione sostanziale.
La relazione fisica amorosa è una cosa stupenda. A volte però viene castrata del profondo impulso benefico dell'amore. Lasciato solo in sottofondo. Come dimensione e pulsione aleggiante. E allora rimane soltanto un bel, piacevole, soddisfacente, entusiasmante far l'amore col corpo e con la carne con i sensi… Rinviando sine-die tutto il resto.
Qualche strada tende a interrompersi e qualche colloquio vacilla.
Talvolta riprende più vivo.
Talaltra finisce per addormentarsi addosso.
Come alcune persone che si adagiano su se stesse e si compiacciono del proprio grigiore, del proprio status e della propria condizione misera e triste.
Uccelli che non osano prendere il volo, infilando il cancelletto fortuitamente aperto dalla loro gabbietta di ottone similoro.
Perché la libertà fa paura.
Anche la felicità a volte ubriaca e insieme spaventa.
E anche la verità.
La sincerità totale.
Gli occhi puliti davvero.
E vien voglia di nasconderli.
E viene preferito così.
Eppure, gli occhi puliti, limpidi, che permettono di guardare dentro mentre guardano fuori verso di te, sono un canale ancora più fervido che non le scritture nella rete del Web.
Preferibili. Anche se a volte imbarazzanti. Talvolta c'è chi preferisce viverli solo come fuggevoli occasioni temporanee. Proibite. Esorcizzate.
Eppure, come sono possibili e opportune la comunicazione e la conoscenza, come è possibile voler bene arrivando addirittura ad amare, così pure è possibile  la felicità.
La fuga dalla palude.
Il volo planato ad ali aperte.
Come quello degli aironi sulle mie risaie.
Come gli urli di gioia, di euforia e di piacere negli amplessi amorosi.
Per il momento confermo che anche la scrittura è possibile. E la lettura.
Buona lettura a chi mi legge.
Buona scrittura a chi scrive.
Buona compagnia reciproca a chi mi legge e mi commenta.





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